Partners - Anno IX - n.50 2020
P AR TNERS INFORMAZIONE E FORMAZIONE PER IL CANALE ICT A VALORE
MAR-APR n°50
Artificial Intelligence Tra dubbi e opportunità crescono le soluzioni data driven
INCHIESTA SPECIALE Il centralino per lo Smart Working pag.20
e-Commerce pag.58
SPECIALE Lo smart working pag.46
ICT A VALORE
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tivi sono numerosi e fonda trasformazione. I mo pro di e fas una in è oro ondo del lav ci e sociali e nvolgono aspetti tecnologi soluzioni di comunicazion a larghissima banda e le reti le ire in co rag inte di o tton piano tecnologi me per licazioni office e business, ie ficata, integrate con le app ecosistema di applicazion e flessibile con il proprio e ent do immediato, traspar sone. biare il modo di lavorare rmatiche permettono di cam info e ogi re. nol tec le iale soc l piano della vita sociale e familia più aderente alle esigenze o, libr sto que di etto ogg nteragire e rendere il lavoro , ce e la Smart Enterprise Pla art Sm lo la a sul vist e di ent to questo pun re profondam evoluzione volta ad impatta una di te ad o par sin no no fan , han City che Smart po e di luogo re quelle barriere di tem cietà attuale e ad abbatte . ano urb e tivo produt ggi caratterizzato il mondo ey nel settore
, rapporti, studi e surv e coautore di numerosi libri omunicazioni Giuseppe Saccardi è autore dell’informatica e delle telec po cam nel o pian o prim di età soci in Fisica in rato eato laur lavo È Ha dell’ICT. rienza nel settore. urando una trentennale espe nazionali e internazionali, mat ia. nalisti della Lombard ed è iscritto all’ordine dei gior Reportec. È cofondatore e President di
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TRA VIRGOLETTE IL NUMERO 50 DI PARTNERS
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PRIMO DIGIT INFORMAZIONI E DATI: VERSO UNA NUOVA “ALFABETIZZAZIONE”
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TRENSFORM TO SUCCEED L’IMPATTO DI RETI, STRUTTURE E SISTEMA ICT IN ITALIA
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PANORAMI PARTNERS Anno IX - numero 50
marzo-aprile 2020
Rapporto Clusit 2020: solo Coronavirus peggio del cybercrime La strategia della resilienza
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Direttore responsabile: Gaetano Di Blasio In redazione: G iuseppe Saccardi, Paola Saccardi, Edmondo Espa Grafica: Aimone Bolliger Redazione, amministrazione, pubblicità: REPORTEC srl via Marco Aurelio, 8 -20127 Milano Tel 0236580441 - Fax 0236580444 www.partnersflip.it partners@reportec.it pubblicità: edmondo.espa@reportec.it Diffusione: 35.000 copie Iscrizione al tribunale di Milano n° 515 del 13 ottobre 2011. Stampa: A.G.Printing srl, via Milano 3/5, 20068 Peschiera Borromeo (MI) Immagini: Dreamstime.com Proprietà: Reportec Srl, c.so Italia 50, 20122 Milano
INCHIESTA IL CENTRALINO INTELLIGENTE PER LO SMART WORKING L’UCC in azienda: realtà e prospettive Come farsi notare con la soluzione UCaaS e abbattere i costi
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Tutti i diritti sono riservati Tutti i marchi sono registrati e di proprietà delle relative società
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PRIMO PIANO L’ARTIFICIAL INTELLIGENCE FRA DUBBI, PROMESSE E SPERANZE 34 AI: italiani consapevoli ma non senza qualche perplessità 36 Le prospettive dell’Intelligenza Artificiale per il 2020 Le tecnologie ICT per il business su cui puntare L’automazione cambia Data Science e visual analytics
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SPECIALE SMART WORKING POTETE LAVORARE, MA A DISTANZA Lo smart working frena l’emergenza e rende agili le aziende Covid-19 e smart working: rischi e vantaggi per Kaspersky Il cloud financial management a supporto del workplace Il tunnel di Barracuda rende sicuro lo smart working Automotive più smart con il VoIP su reti IP e in cloud Con Snom SRAPS servizi a valore erogati anche da casa
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SPECIALE E-COMMERCE L’E-COMMERCE SI PREPARA PER LE NUOVE REGOLE EUROPEE L’e-commerce che salva dall’emergenza E4Com 2020 disegna il futuro del commercio elettronico
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OAD: Osservatorio Attacchi Digitali in Italia L'OAD, Osservatorio Attacchi Digitali, è l'unica iniziativa in Italia per l’analisi sugli attacchi intenzionali ai sistemi informatici delle aziende e degli enti pubblici in Italia, basata sui dati raccolti attraverso un questionario compilabile anonimamente on line. Obiettivo principale di OAD è fornire reali e concrete indicazioni sugli attacchi ai sistemi informatici che possano essere di riferimento nazionale, autorevole e indipendente, per la sicurezza ICT in Italia e per l’analisi dei rischi ICT. La disponibilità di un'indagine sugli attacchi digitali indipendente, autorevole e sistematicamente aggiornata (su base annuale) costituisce una indispensabile base per contestualizzare l'analisi dei rischi digitali, richiesta ora da numerose certificazioni e normative, ultima delle quali il nuovo regolamento europeo sulla privacy, GDPR. La pubblicazione dei rapporti OAD aiutano in maniera concreta all’azione di sensibilizzazione sulla sicurezza digitale del personale a tutti i livelli, dai decisori di vertice agli utenti. OAD è la continuazione del precedente OAI, Osservatorio Attacchi Informatici in Italia, che ha iniziato le indagini sugli attacchi digitali dal 2008. In occasione del decennale OAD, in termini di anni considerati nelle indagini sono state introdotte numerose innovazioni per l’iniziativa, che includono:
• sito ad hoc come punto di riferimento per OAD e come repository, anno per anno, di tutta la documentazione pubblicata sull'iniziativa OAD-OAI: https:// www.oadweb.it • visibilità di OAD nei principali social network: pagina facebook @OADweb, in LinkedIn il Gruppo OAD https://www. linkedin.com/groups/3862308 • realizzazione di webinar gratuiti sugli attacchi agli applicativi: il primo, sugli attacchi agli applicativi, è in https:// aipsi.thinkific.com/courses/attacchiapplicativi-italia • questionario OAD 2018 con chiara separazione tra che cosa si attacca rispetto alle tecniche di attacco, con nuove domande su attacchi a IoT, a sistemi di automazione industriale e a sistemi basati sulla block chain • omaggio del numero di gennaio 2018 della rivista ISSA Journal e di un libro di Reportec sulla sicurezza digitale ai rispondenti al questionario OAD 2018 • ampliamento del bacino dei potenziali rispondenti al questionario con accordi di patrocinio con Associazioni ed Ordini di categoria, quali ad esempio il Consiglio Nazionale Forense con i vari Ordini degli Avvocati territoriali • Reportec come nuovo Publisher e Media Partner • collaborazione con Polizia Postale ed AgID.
IL NUMERO 50 DI PARTNERS Lo scorso ottobre programmammo le uscite di Partners, pianificando uno speciale sullo smart working, che fu subito allargato con un’inchiesta sponsorizzata da 3CX. Mai avremmo pensato che il tema sarebbe esploso a causa di una pandemia. Fino ad allora lo smart working era un argomento dibattuto e additato come un’opportunità da cogliere, ma, contemporaneamente, era avversato da molti imprenditori ancora legati a un controllo stretto sul lavoro dei dipendenti. I vantaggi del cosiddetto lavoro agile erano apprezzati da una minoranza di aziende, che vedevano le opportunità del modello basato su obiettivi e sul lavoro in team eterogenei. Per il resto si trattava di modalità da offrire a giovani mamme e, per sentirsi moderni e “politically correct” ai neo papà. Taluni esperti, ritenevano che l’unica chiave per far accettare lo smart working, fosse il risparmio sugli affitti, potendo ridurre gli spazi e
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Tanto smart working, ma anche e-commerce, artificial intelligence e le classiche rubriche
di Gaetano Di Blasio
lavorare in co-working, senza una scrivania propria. Oggi, hanno affermato vari manager che abbiamo intervistato nello speciale non si tornerà più indietro. Certamente tutti i lavoratori che svolgono attività tali da poter operare da remoto sono stati costretti a una full immersion di telelavoro. In tanti hanno compreso che questo ha anche ridotto l’inquinamento e, anche se si tratta di un obbligo, ha liberato tempo per la famiglia. D’altro canto, molti hanno invece riscontrato difficoltà dovute a collegamenti insufficienti in zone prive di banda larga. A questo riguardo, nell’ambito della Rubrica Transform to Succeed abbiamo intervistato Daniela Rao, Senior Research and Consulting Director di IDC Italia, che ferma i frettolosi entusiasmi a proposito del 5G, che serve soprattutto per lo streaming di contenuti video, mentre lo smart working necessita di altre caratteristiche e si concentra sulla rete fissa, ma occorrerà considera-
re tutti i parametri del servizio e non solo del prezzo. L’inchiesta, dal canto suo, ha permesso di far emergere le tante soluzioni che possono arricchire La experience del lavoro da remoto. Vi si troveranno conferme e sorprese. Un altro tema, peraltro si è messo in mostra “grazie” alle direttive nazionali e regionali che incitano a restare a casa. Si tratta dell’e-commerce, che ha permesso di supportare i fabbisogni dei molti casalinghi loro malgrado. Si tratta di un settore in costante crescita, che quest’anno dovrebbe affrontare un’importante riforma a livello europeo. C’è infine un altro tema di grande attualità, che occupa la copertina per due motivi. Si tratta dell’Artificial Intelligence, originariamente programmata in Primo Piano. Poi ridotta a un ruolo da gregario, ma rimasta in copertina perché con ogni probabilità sarà L’AI a trovare il vaccino per il coronavirus e sarà l’AI il tema dominante nei prossimi anni. v
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INFORMAZIONI E DATI: VERSO UNA NUOVA V “ALFABETIZZAZIONE” orrei iniziare questo articolo con un’affermazione ben precisa: i Chief Data Officer (CDO, che però non sono da confondere con i Chief Digital Officer che usano la stessa sigla ma fanno un mestiere ben diverso) e, in generale, chi in azienda ha la responsabilità del “data analytics” (dati, informazioni e analisi correlate), devono farsi promotori di una cultura aziendale che diventi veramente “alfabetizzata” in relazione ai dati e che valorizzi le informazioni come una risorsa fondamentale e da sfruttare, proprio come se fosse una materia prima: oro, acciaio o petrolio. Non sorprenda la parola “alfabetizzazione” Normalmente si parla di alfabetizzazione quando si impara a leggere e scrivere. Un’alfabetizzazione di base era forse sufficiente nel 1900 e, purtroppo, ancora oggi in alcune zone dell’Africa (vedi cartina: nel Niger, nel 2015,
La necessità di sviluppare una cultura aziendale che valorizzi le informazioni gli analfabeti con oltre 15 come risorsa anni di età erano l’81%!). fondamentale Però, dalle nostre parti, l’alfabetizzazione non può più da sfruttare
essere solo definita come la capacità di leggere e scrivere. Non a caso, si parla sempre più frequentemente di “analfabeti funzionali”, ovvero di persone che apparentemente sanno leggere e scrivere e che credono di comprendere il significato di ciò che leggono, ma che, in realtà, non sono veramente in grado afferrare il vero argomento della discussione e soprattutto le sue implicazioni sociali, economiche, culturali o personali. In partica leggono ma non capiscono. Ma sono ancora più pericolosi perché non si pongono il problema di non aver capito. Analogamente, ci sono oggi
molti altri tipi di “alfabetizzazioni” che le persone in azienda dovrebbero fare propri per risolvere problemi, sfruttare opportunità, acquisire conoscenze. L’alfabetizzazione in relazione ai “dati” - definita come la capacità di leggere, scrivere e comunicare dati utili e sensati in un contesto aziendale e di mercato - diventa quindi oggi un’abilità tra le più importanti in un’organizzazione. Secondo Gartner, entro il prossimo anno, l’80% delle aziende che vorranno continuare ad essere rilevanti dovrà avviare un progetto di sviluppo delle competenze nel campo dell’alfabetizzazione dei dati. Ormai, la maggior parte delle aziende, siano esse produttive o commerciali, ha identificato la necessità
di Primo Bonacina si occupa d’informatica dal 1980. Con PBS - Primo Bonacina Services (www.primobonacina.com) fornisce consulenza e ”best practice” digitali in ambito sales/marketing/HR
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di creare delle pratiche di lavoro basate sui dati e ciò si riflette nella crescente nomina di Chief Data Officer, i quali rappresentano una sorta di “angelo custode” del dato, in qualità di responsabile della gestione, fruizione, comprensione e attivazione del dato in azienda. Se una delle prossime priorità di un’azienda che vuole stare sul mercato è quella di promuovere una tale alfabetizzazione al proprio interno, occorre avviare programmi di sviluppo delle competenze in tal senso, riconoscendo l’importanza del dato e dell’informazione e l’attuale carenza
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di capacità di gestione delle organizzazioni aziendali al riguardo. Si parla tanto, e da alcuni anni, di “Digital Transformation”. Il fatto è che una vera trasformazione digitale è oggi una priorità per molte aziende, ma questo è diventato un termine un po’ abusato. Per fare chiarezza, vi propongo quindi la definizione che Kaleido Insights ne dà: definiamo la “trasformazione digitale” come “un cambiamento tecnologico, culturale e operativo in cui le organizzazioni sfruttano al meglio i dati per fornire nuovo valore ai clienti, innovare agilmente e sostenere con
vitalità la crescita”. Si noterà come questa definizione ponga un preciso accento sui “cambiamenti all’interno dell’organizzazione” a seguito dell’adozione dirompente di una cultura “data-rich” in azienda e nel suo ecosistema di partner. Per questo motivo, la mentalità dei dipendenti e come questi sapranno modificare il loro modo di lavorare nel futuro sono aspetti chiave da far evolvere per raggiungere una vera e propria trasformazione digitale. Il fatto che la definizione si focalizzi sui dati piuttosto che su altre tecnologie comunque importanti (web, social media, uni-
fied communications, cloud, data center, security, app, e-commerce) suggerisce che i dati possono rappresentare la vera forza trainante della trasformazione digitale di un’organizzazione. 3 assi per il cambiamento La trasformazione aziendale nella direzione di una cultura basata sui dati e una maggiore alfabetizzazione all’interno di un’organizzazione, richiede però ai CDO di assumere la guida in 3 precise aree di influenza: 1. Il valore di business dei dati: Le strategie di analisi dei dati sono ancora raramente misurate da metriche quantificabili. Espressioni generiche quali “I giusti dati aiutano il processo decisionale” oppure “Dobbiamo avere univocità del dato per poter decidere” non bastano più a giustificare ingenti investimenti in data analytics. Bisogna quindi evitare che si apra un diva-
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rio tra la domanda di analisi di dati aziendali e i risultati di business derivanti dalle azioni susseguenti. I CDO non dovrebbero certo considerare queste metriche come un peso, bensì come un modo per evidenziare il successo dell’iniziativa. A tal proposito, potrebbe essere utile identificare da subito le aree di business che potranno trare maggior immediato valore dall’analisi e tenere traccia di risultati e benefici ottenuti 2. Gli impatti culturali e organizzativi di un approccio basato sui dati: la cultura aziendale è guidata dalla mentalità. I CDO non possono semplicemente dire alle persone di cambiare la propria cultura e diventare improvvisamente e miracolosamente alfabetizzati. I CDO devono quindi usare argomenti sia razionali, sia emotivi, per ispirare le persone a credere che un cambiamento culturale sia necessario. Devono quindi formare le persone (con un preciso e dettagliato percorso di training) e aiutarle a sviluppare una nuova mentalità che guidi un
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differente set di comportamenti, spiegando in dettaglio come i dati influenzino i processi decisionali e come le persone in azienda possano effettivamente interagire con i dati e trarne beneficio 3. Le implicazioni etiche: molte professioni, ad esempio la sanità e il diritto, hanno una lunga storia in fatto di codici etici. Al confronto, la cosiddetta “etica digitale” è assai giovane ma è un qualcosa di troppo importante per potere farne a meno. Alcune decisioni aziendali possono avere implicazioni di vasta portata e non necessariamente intenzionali, se vengono prese senza il supporto di un codice etico. I CDO dovrebbero quindi assumere un ruolo guida nel garantire che l’etica relativa al data analytics acquisisca una posizione centrale in azienda. Occorre quindi
definire delle linee guida come parte dell’adozione di un approccio basato sull’information governance. La presenza di un codice etico in azienda rafforza infatti l’obbligo di “fare la cosa giusta” a dispetto della mera necessità di portare a termine un lavoro o delle richieste di un cliente. Occorre perciò saper affrontare temi delicati quali la trasparenza delle fonti, la protezione dei dati personali e sensibili e l’integrità etica degli analisti stessi Come vi state muovendo? Sempre di più sono i rivenditori che operano in area Data Analytics al servizio delle aziende clienti. Ma, se anche non state operando in questo settore, una cultura basata sulla comprensione del dato può risultare importante al vostro interno. Voi l’avete capito? Avete un programma in tal senso? Ne vogliamo parlare? v
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L’IMPATTO DI RETI, STRUTTURE E SISTEMA ICT IN ITALIA Reportec: Le imprese hanno infrastrutture adeguate a supportare la crescita del digitale? Daniela Rao, Senior Research and Consulting Director di IDC Italia: La domanda di banda larga (di rete fissa e mobile) delle imprese italiane è caratterizzata da un forte paradosso: - da un lato è evidente che la banda larga non basta mai, ha un’importanza strategica in tutti i processi di business sia che si tratti di una micro-impresa che di una multinazionale. Ci sono ancora zone del territorio italiano non coperte da reti fisse e mobili in grado di supportare applicazioni di business e anche segnalazioni di disservizi su reti in rame che ancora servono le aree rurali del Paese. - dall’altro lato, la battaglia competitiva degli operatori prolungata negli anni, ha spinto le aziende (e anche consumatori) a considerare il prezzo al ribasso come principale criterio di scelta dell’operatore e del servizio. Il potere negoziale delle imprese nei confronti degli operatori continua ad essere alto, anche se ormai
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Le reti a banda larga hanno un’importanza strategica per le aziende. In piena crisi sanitaria servono infrastrutture di rete adeguate a supportare la domanda, sopratutto per le reti fisse, che stanno supportando lo smart working degli italiani
di Daniela Rao, Senior Research and Consulting Director di IDC Italia
è evidente a tutti (clienti e operatori) che il livello della qualità del servizio offerto dipende essenzialmente dalle condizioni dell’infrastruttura della rete pubblica nella zona in cui l’impresa è localizzata e dal tipo di comunicazioni/ servizi online che l’impresa deve utilizzare per svolgere le sue attività. Molte delle micro-imprese italiane, appartenenti ai settori produttivi più tradizionali solo nell’ultimo anno hanno scoperto quanto è importante la banda larga (di rete fissa e mobile), e stanno forse diventando più propense a spendere un po’ di più, o almeno in modo differenziato in relazione alla qualità dei servizi richiesti. Quando pensano ai servizi di telecomunicazioni gran parte delle piccole aziende ita-
liane considera importante essenzialmente usufruire di una migliore copertura e una maggiore velocità di risposta della rete per messaggistica e voce, mentre sono ancora poche quelle che ritengono importante utilizzare la rete per progettare nuovi servizi, creare e/o utilizzare applicazioni innovative o “dialogare” con oggetti connessi. Investimenti per l’estensione delle reti in fibra pubblici e degli operatori, nonché gli incentivi previsti nel Piano Transizione 4.0 e voucher per la banda larga alle imprese sono e saranno importanti per sostenere le imprese italiane nella competizione del mercato globale, ma è evidente che il successo o la sopravvivenza delle nostre imprese (soprattutto dopo questa grande emergenza) dipenderà strettamente
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dalla capacità di sfruttare le tecnologie digitali per essere più efficienti, raggiungere nuovi clienti e cogliere nuove opportunità, in stretta relazione con i fattori culturali e strutturali che caratterizzano il nostro ecosistema produttivo. Per rispondere alla domanda iniziale: Si, ce l’hanno anche se non ancora perfettamente efficienti. Del resto si può dire che essendo la banda una risorsa limitata ma essenziale per le nostre vita sociale ed economica, la “fame di banda” una volta iniziata tende solo ad aumentare e, di conseguenza, le reti di telecomunicazioni non saranno mai finite, complete e perfettamente aderenti alla domanda del mercato. In sintesi, mancanza di banda larga non può essere un alibi per non investire nell’innovazione: ovvero nell’esplorazione di nuovi mercati, creazione di nuovi servizi, sperimentazione di nuovi modelli organizzativi. Reportec: L’emergenza sanitaria ha portato a un
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boom dello smart working, le infrastrutture stanno reggendo? quanto si acuisce il digital gap? D.R.: La domanda di banda che sta mettendo sotto pressione le reti italiane non è tanto relativa allo smart working, quanto piuttosto legata al consumo di contenuti video per intrattenimento. Lo smart working ha generato soprattutto una crescita del traffico su rete fissa che ad oggi è stato gestibile dagli operatori. Gli incrementi di traffico più importanti sono invece generati dall’accesso ai contenuti video e streaming per intrattenimento utilizzati da casa che mettono a dura prova le reti italiane. Questa domanda emergente, già dai prossimi mesi, avrà un impatto sui piani strategici dei Telco e, con l’emergenza del Coronavirus, sembra destinata a diminuire la sensibilità al prezzo dei clienti finali: consumatori e imprese dopo aver scoperto quanto la banda larga può cambiarci la vita, saranno forse propensi a spendere un po’ di più. Di conseguenza potrebbe diminuire la tendenza al ribasso dei prezzi bundle dei Telco e crescere il numero delle richieste di upgrade delle connessioni ancora in rame in aree periferiche. Crescerà
meno significativamente la domanda di servizi su rete mobile, essenzialmente perché i movimenti fuori casa di tutti noi sono limitati per decreto. In questo momento, inoltre le reti a banda larga su reti fisse e mobili si stanno rivelando fondamentali nell’assistenza in emergenza, dove l’informazione in tempo reale è cruciale per la diagnosi e il trattamento dei pazienti. Probabilmente il mercato dei servizi di telecomunicazioni, dopo aver chiuso anche il 2019 con una flessione (-4% rispetto al 2018), potrebbe tornare alla crescita “0” entro un paio di anni, guidata proprio dalla domanda di contenuti e comunicazioni in videostreaming che partirà da ognuno di noi con l’obiettivo di ampliare le forme con cui mantenere sempre il contatto sociale, anche quando le condizioni fisiche non ce lo permettono. Ora comunque è certo che l’industria delle telecomunicazioni sta vivendo un momento di “impasse”. Il Coronavirus sta rallentando la catena di approvvigionamen-
to ICT, impatta sui servizi ad alta intensità di lavoro come l’implementazione delle reti, la sperimentazione e anche il rilascio dei nuovi standard 5G (del 2021) che dovrebbero sostenere le nuove applicazioni destinate all’IoT. Non solo, le vendite degli smartphone stanno subendo una significativa diminuzione da parte della domanda dei consumatori, che decidono di spendere per generi di prima necessità. Inoltre, con fabbriche asiatiche chiuse (nei mesi passati) e catene di distribuzione limitate, sarà posticipato anche il rilascio sul mercato dei nuovi modelli 5G. Se si riuscirà a fermare il virus, il rallentamento dell’offerta e della domanda di rete mobile sarà velocemente recuperato nel corso del 2021. Reportec: Il 5g sarà la panacea che tutti credono per superare il gap digitale del paese? Oppure ci sono criticità da affrontare e, se si, quali? D.R.: No, assolutamente il 5G non è una panacea ma una tecnologia necessaria
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a sostenere la nuova fase evolutiva dell’economia digitale, dove è la capacità di scambiare in tempo reale informazioni di diversa natura, elaborarle ed utilizzarle che produce nuovo valore economico, anche riducendo sprechi e consumi. Il 5G è lo standard tecnologico che potenzierà le reti di telecomunicazioni mobili e renderà possibile lo sviluppo di molti nuovi servizi online, ma per vederne i concreti effetti sul mercato dovremo aspettare il 2025 (forse, meglio il 2027). Secondo le stime IDC più recenti entro il 2023 in Europa, le connessioni 4G rappresenteranno più dell’80% del numero totale (755 milioni di unità), mentre le connessioni 5G rappresenteranno solo il 12% del totale. Le criticità da affrontare
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riguardano essenzialmente: - l’evoluzione delle reti che sarà sempre più riconosciuta come fattore chiave del Sistema Paese e di conseguenza non potrà che essere supportata da politiche di investimento, maggior sostegno e controllo da parte dei Governi e delle Istituzioni. Le reti di trasporto in fibra, quali asset strategici di Paese, torneranno (gradualmente) ad essere “nazionalizzate” (o comunque a vedere una forte partecipazione pubblica nelle quote di controllo dei gestori), mentre i servizi di connettività su rete di accesso a imprese e consumatori utenti finali saranno offerti da soggetti privati. Questo cambierà profondamente l’organizzazione e la struttura dell’industria delle Telecomunicazioni che
siamo stati abituati a conoscere. Del resto è da anni è i Telco stanno cercando nuovi modelli business, nel prossimo quinquennio saranno sempre più spinti a cambiare struttura, organizzazione e offerta. - I tempi di ritorno degli investimenti per la costruzione dell’infrastruttura 5G, costi che includono non solo le infrastrutture di rete, ma anche i costi per le frequenze, i servizi correlati allo sviluppo di nuove piattaforme di servizio e gestione di una rete che vedrà spostata all’edge gran parte dell’intelligenza elaborativa . Nonostante l’entusiasmo per il 5G, rimangono ancora aperte molte sfide prima che l’adozione globale possa aver luogo. - la sicurezza e la privacy degli individui. Entro i
prossimi 10 anni entreremo nella “Cyber Physical Fusion” dove l’Intelligenza Artificiale sarà onnipresente, le informazioni arriveranno ovunque con device anche indossabili, mentre robot, droni e processori ci assisteranno in molte azioni quotidiane. Anche se è difficile dire oggi come si concretizzerà quest’evoluzione, è evidente che le nostre capacità individuali, decisionali e sensoriali saranno il terreno di conquista di questa nuova fase dell’Industria ICT. Sicurezza, protezione dei dati e privacy su reti e device sempre più materia di decisioni politiche che sposteranno sui tavoli istituzionali il dibattito sulla libertà di comunicazione e il diritto all’informazione. v
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Rapporto Clusit 2020: solo Coronavirus peggio del cybercrime La quindicesima edizione del Rapporto Clusit sulla sicurezza ICT, mostra una situazione drammatica su quasi tutti i fronti
di Gaetano Di Blasio
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li attacchi gravi continuano ad aumentare anno su anno: nel 2019: +91,2% degli attacchi rispetto al 2014. Ma è solo la solo la punta di un iceberg, avvisa Alessio Pennasilico, membro del consiglio direttivo del Clusit, introducendo la presentazione del Rapporto Clusit 2020. Infatti, dall’analisi si evince che si registra un nuovo picco di crescita degli attacchi gravi: 1670, cioè il 7% in più nel 2019, rispetto al 2018. Vergognosa la pressione sul settore sanitario, che non accenna a diminuire, anzi gli attacchi a strutture della Sanità sono stati il 12% del totale degli attacchi, aumentati del 17% rispetto al 2018. Tra i colpiti, diverse realtà anche in Italia, come sottolinea Sofia Scozzari, tra gli degli autori del rapporto. Un dato che spicca è relativo alla crescita degli attacchi a “bersagli multipli”: si tratta di ben un quarto degli attacchi compiuti a livello mondiale. Stupisce meno il sempre maggior utilizzo delle tecniche di Phishing e Social Engineering (+81,9% rispetto al 2018). Più in generale, gli esperti del Clusit hanno rilevato 139 attacchi al mese da gennaio a dicembre 2019, colpendo sistematicamente, in ogni aspetto della società, della politica, dell’economia e della geopolitica, ha evidenziato Andrea Zapparoli Manzoni, uno degli autori del rapporto e membro del Comitato Direttivo Clusit. Si tratta del 47,8% in più rispetto alla media dei 94 attacchi mensili registrati nel quinquennio 2014-2018. Questi dati già di per se stessi impressionanti, sono una minima parte, perché non comprendono gli attacchi tentati o bloccati e, per quanto significativo, il campione analizzato è inficiato dalla tendenza a non rendere pubblici gli incidenti. Anche il GDPR (General Data Protection Regulation) nonché l’entrata in vigore della direttiva NIS, neo 2018, non hanno ancora dato evidenza di un miglioramento nelle pratiche per la sicurezza informatica.
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Peraltro, la consapevolezza delle istituzioni e degli utenti sta crescendo. Si tratta di fenomeni che per natura e dimensione travalicano i confini dell’IT e della stessa cyber security. Al riguardo, Zapparoli Manzoni ha affermato:«Ci troviamo di fronte a un vero e proprio cambiamento epocale nei livelli globali di cyberinsicurezza, causato dall’evoluzione rapidissima degli attori, delle modalità, della pervasività e dell’efficacia degli attacchi. Gli attaccanti sono oggi decine e decine di gruppi criminali organizzati transnazionali che fatturano miliardi, multinazionali fuori controllo dotate di mezzi illimitati, stati nazionali con i relativi apparati militari e di intelligence, i loro fornitori e contractors, gruppi state-sponsored civili e/o paramilitari ed unità di mercenari impegnati in una lotta senza esclusione di colpi, che hanno come campo di battaglia, arma e bersaglio le infrastrutture, le reti, i server, i client, i device mobili, gli oggetti IoT, le piattaforme social e di instant messaging (e la mente dei loro utenti), su scala globale, 365 giorni all’anno, 24 ore al giorno». L’esperto è ancora più duro: «Viviamo ed operiamo in una situazione di inaudita gravità in termini di rischi cyber, che mette a repentaglio tutti i presupposti sui quali si basa il buon funzionamento dell’Internet commerciale e di tutti i servizi - online e offline - che su di essa fanno affidamento».
Tecniche di attacco (fonte: Clusit)
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I dati principali sugli attacchi
Gli esperti del Clusit, ormai dal 2014 hanno riclassificato gli attacchi in differenti livelli di impatto, sulla base di variabili di tipo geopolitico, sociale, economico, distinguendoli anche in attacchi diretti e indiretti. Nel 2019, gli attacchi andati a buon fine, sono stati, nel 54% dei casi, di impatto alto e critico , per il 46% di gravità media. Il cyber crime si conferma come principale causa degli attacchi gravi, essendo protagonista nell’83% dei casi. A questa categoria, d’altronde appartengono gli attacchi con l’obiettivo di estorcere denaro alle vittime, senza preoccuparsi di bloccare apparati medici e mettere a rischio la vita dei pazienti. Più in dettaglio, gli esperti del Clusit hanno registrato il numero di attacchi di Cyber crime più elevato degli ultimi 9 anni, con una crescita del 162% rispetto al 2014 e del 12,3% rispetto al 2018. Lo spionaggio attraverso sistemi telematici ha registrato una crescita bassa: 0,5%, raggiungendo una quota del 12%,ma si ritiene che le informazioni in questo “comparto” siano insufficienti per aver un quadro veritiero. Diminuiscono gli attacchi di Cyber Warfare, cioè la guerra delle informazioni, che è il 2% del totale. Si deve però considerare la gravità di questi attacchi che minano i presupposti della democrazia.
Tipologia di attaccanti (fonte: Clusit)
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Il destino delle vittime
L’analisi del Clusit prosegue esplorando i settori maggiormente colpiti da attacchi gravi, in particolare, nel 2019 si è registrato un 24% del totale degli attacchi nella categoria Multiple Targets, cioè attacchi di vario tipo, accumunati dall’essere nel mirino di organizzazioni criminali, come su accennato, concentrati su una logica “industriale” tesa a massimizzare i guadagni. A seguire, gli autori del Rapporto Clusit rilevano il settore pubblico attirare il15% degli attacchi, in discesa del 19,4%), ma in questi non sono conteggiati gli attacchi alla sanità, che, che non è tutta pubblica e che nel suo complesso è il bersaglio per il 12% degli attacchi, crescendo del 17% rispetto al 2018. Un boom è quello dei servizi online, che è colpito “solo nell’11% degli attacchi, ma registra un “promettente” + 91,15%. La “classifica” prosegue con il settore della Ricerca e formazione scolastica (8% in calo dell’8,3%), con il finance (pure in calo del10,2%). Seguono i settori bancario e assicurativo che quota il (6% in ma in calo del 10,2%). Poi ci sono:intrattenimento/informazione con il (5% in calo del 31,4%), Commercio e Grande Distribuzione Organizzata (2% degli attacchi, in crescita del 28,2%), e l’insieme di “Altri Settori” (3% del totale attacchi, +76,7%), Telecomunicazioni (1% del totale. Da evidenziare, infine, un piccolo 1% degli attacchi rivolti ai Fornitori di Sicurezza Informatica, che cresce addirittura di un +325%.
Le tecniche d’attacco
L’analisi degli esperti del Clusit svelano che gli attacchi utilizzati sono stati basati per il 44% dei casi, su Malware, in crescita del 24,8%. Tra questi il Ransomware ammonta al 46%; grazie a una crescita del 21% rispetto al 2018. Confermata la tendenza dei cyber criminali a scegliere tecniche semplici. Mentre gli attacchi che sono imputabili a organizzazioni “vicine ai governi” storicamente usano tecniche più complesse, ma si stanno adattando, perciò si osserva la tendenza all’utilizzo di queste tecniche anche da parte di attori e state-sponsored. Con il 19%, al secondo posto, fra le tecniche d’attacco, uno sconfortante “unknow”, che però è calato del22%. Al contrario delle tecniche di Phishing e Social Engineering in, gran spolvero con .+81,9% rispetto al 2018, giungendo così a rappresentare il 17% del totale. Facile immaginare che questi attacchi usano soprattutto la posta elettronica, vista la gran quantità di messaggi palesemente falsi, ma che, evidentemente sono efficaci. Gli autori del rapporto specificano, infatti che una quota crescente di questi attacchi basati su Phishing si riferisce “BEC scams”, ovvero frodi via email che colpiscono in maniera specifica le organizzazioni con l’obiettivo di infliggere danni economici, con impatto spesso ragguardevole. Sommando il resto delle altre tipologie di attacco utilizzate nel 2019resta solo il 12,3% del totale.
Tipologia e distribuzione delle vittime nel mondo (Fonte: Clusit)
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Distribuzione malware e botnet (Fonte: Clusit)
Prepararsi alla resilienza
Da segnalare, Inoltre, un notevole aumento percentuale delle catagorie“0day” (+50%) e “Account Cracking” (+53,6%), mentre sembrano scendere gli attacchi realizzati sfruttando vulnerabilità note (-28,8%), DDOs (-39,5%) e tecniche multiple/APT (-33,7%). Si può notare che le categorie” infrastrutture critiche” e “ “strutture governative”, hanno subito il maggior numero di attacchi che presentano un livello di Severity“Critical”, insieme a “Banking/ Finance” e altri; mentre le categorie con il maggior numero di attacchi con impatti di livello alto sono diretti principalmente alla sanità e, di nuovo, alle strutture governative. Come sempre, il rapporto si completa con alcuni contributi, tra cui l’analisi della situazione italiana in materia di cyber-crime e incidenti informatici a cura di Fastweb, che presenta i dati relativi agli attacchi rilevati dal proprio Security Operations Center
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(SOC), cui si aggiungono i dati (qualitativi) sullo stato della sicurezza informatica nel Sud Italia” condotto dai ricercatori dell’Università degli Studi di Bari con Exprivia|Italtel. Accurata, ovviamente, anche la consueta analisi di IDC Italia sul mercato italiano della Sicurezza IT. Concludiamo con un’osservazione degli autori del rapporto: “Dal punto di vista della distribuzione degli attaccanti che le hanno prese di mira, emergono differenze molto significative tra le aziende, il che conferma che ogni categoria di bersagli ha un suo particolare panorama di minacce dalle quali deve proteggersi. Di conseguenza non esistono soluzioni universali ma anzi, ogni settore dovrebbe schierare un mix di soluzioni difensive specifico. Questa osservazione evidenzia, a nostro avviso, che occorre una strategia aziendale per la sicurezza e la protezione dei dati che deve basarsi su una logica mirata alla resilienza, cioè sulla capacità v di “risollevarsi dopo una caduta.
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La strategia della resilienza I consigli degli analisti di Gartner per superare la pandemia e prepararsi ad affrontare altre situazioni di crisi come questa di Gaetano Di Blasio
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li esami non finiscono mai esclama Guglielmo Speranza, il protagonista della commedia di Eduardo de Filippo, coniando un modo di dire tuttora in voga che è anche il titolo dell’opera. Gli esami non finiscono mai neanche per le aziende, messe alla prova da un disastro che le ha trovate impreparate a causa della natura, certamente straordinaria, di un evento che si poteva prevenire o, quantomeno contrastare essendo preparati. La pandemia è, infatti, considerata nei manuali di business continuity e disaster recovery. Se messe in pratica, le azioni di risposta che le imprese dovrebbero aver pianificato, avrebbero ridotto i danni e accelerato il ritorno alla normalità e invece molte realtà dovranno “fare nuovi esami” per non confidare solo nella speranza. Innanzi tutto, gli esperti di Gartner raccomandano ai CIO di concentrarsi su tre azioni a breve termine per fornire supporto a clienti e dipendenti e garantire la continuità delle operazioni: la prima è quella di mettere a disposizioni gli strumenti per operare in remoto, la seconda è garantire la disponibilità della rete e supporto per la sicurezza alla stessa; la terza riguarda le misure a garanzia dell’operatività e continuità delle operazioni. In particolare per le medie e grandi imprese, si dovranno considerare le condizioni al contorno, che, come oggi tutti hanno sperimentato possono significare misure di quarantena e restrizioni di viaggio, con attività commerciali sospese o eseguite a capacità limitata. Gli esperti analisti di Gartner sono intervenuti immediatamente al fianco delle aziende cinesi appena scoperti i primi focolai a Wuhan. In questo articolo sintetizziamo alcuni loro suggerimenti sulle strategie da adottare e le dieci lezioni da imparare/ esami da superare. L’obiettivo è quello di impostare una strategia per la resilienza, cioè la capacità per un organismo di tornare nel proprio stato naturale dopo uno “stress”, come la canna che si piega ma non si spezza.
Salvaguardare le operazioni il più possibile
I manager di lunga data, sanno che è normale doversi fronteggiare con imprevisti, potenzialmente anche dirompenti. Secondo gli analisti di Gartner, più precisamente, il 90% delle grandi imprese ha superato almeno una vera e propria svolta negli ultimi quattro anni. Il Coronavirus è solo l’ultima in termini di tempo. La strategia della resilienza va attivata prima del danno, ma occorre accettare di fare degli investimenti, nella speranza che siano 18 PANORAMI
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“inutili”. È concettualmente una polizza assicurativa, che copre gli imprevisti. Va, però considerata attentamente e da ogni lato. Per esempio lo smart working è una pratica adottata da tante imprese che hanno potuto ridurre il costo dell’affitto, aumentando la soddisfazione di molti dipendenti e la produttività, come hanno dimostrati numerosi casi di studio. Le aziende che già da tempo applicano il cosiddetto lavoro agile hanno subito danni ridotti relativamente alle restrizioni sui movimenti dei dipendenti. In queste dinamiche condizioni, inoltre, si devono pianificare diverse strategie ed essere pronti alle prossime fasi, sempre predisposte alla resilienza a lungo termine, preparandosi al “rimbalzo”, che può essere di due tipi: un ritorno della pandemia o un ritorno alla normalità, che non è detto sia indolore, né è scontato che sia rapido. Con tutte le considerazioni economiche e finanziarie, che non approfondiamo nell’articolo. Rimanendo, invece nell’ambito ICT, si deve riconoscere che, per la continuità delle operazioni, l’effetto del Coronavirus è paragonabile ai danni di una cyber intrusione o un disastro naturale. Come più volte abbiamo sottolineato è necessario agire investendo in anticipo, piuttosto che reagire quando, in corsa, tutto è più difficile e si rimpiangerà di non aver investito infrastrutture informatiche, afferma Sandy Shen, direttore senior della ricerca di Gartner. Nelle aziende in cui non si è ancora attivato lo smart working, i Cio devono elaborare soluzioni temporanee a breve termine, sostengono in Gartner, suggerendo funzionalità quali la messaggistica istantanea per comunicazioni generali, la condivisione di file, e soluzioni per riunioni e l’accesso ad applicazioni aziendali come pianificazione delle risorse aziendali (ERP) e gestione delle relazioni con i clienti (CRM), rivedendo al contempo tutte le disposizioni di sicurezza per garantire un accesso sicuro alle applicazioni e ai dati. In effetti, nell’era del cloud, non dovrebbe essere un problema insormontabile. Le organizzazioni devono inoltre affrontare la carenza di personale per mantenere le operazioni di base può essere un’opportunità per migliorare la digitalizzazione di alcuni processi. Per questo i CIO possono collaborare con i leader aziendali per condurre la pianificazione della forza lavoro al fine di valutare i rischi e colmare le lacune del personale, come pure identificare le aree di servizio mission-critical. In sostanza è un’occasione per riflettere sull’innovazione, magari
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verificando come tecnologie digitali, quali l’artificial intelligence, possano essere utilizzate per automatizzare le attività, per esempio lo screening dei candidati e il servizio clienti. Può, per alcuni, essere il momento per avviare i progetti digitali, usando i canali digitali, che in tanti già dispongono e possono potenziare, attraverso siti, app, social network.
Coinvolgere clienti e partner attraverso canali digitali
Molte organizzazioni coinvolgono già i clienti su piattaforme digitali, come siti e app, mercati online e social media. Ma il coinvolgimento diretto offline continua a svolgere un ruolo importante. La collaborazione sul posto di lavoro, le videoconferenze e le soluzioni di livestream possono servire a vari scenari di coinvolgimento e vendita dei clienti. Le organizzazioni dovrebbero inoltre consentire ai clienti di utilizzare il self-service tramite canali online, mobili, social, kiosk e interattivi con risposta vocale. Sempre Shen, evidenzia: «Il valore dei canali digitali è evidente man mano che la domanda del mercato diminuisce e le persone si affidano maggiormente alle piattaforme online per le forniture quotidiane. Le organizzazioni possono sfruttare i canali digitali, per compensare parte della perdita della domanda». Ovviamente, questo richiede eventuali modifiche all’offerta online per consentire la vendita via Web, sempre che si possano adattare rapidamente i prodotti per renderli idonei alla vendita v attraverso i canali digitali.
I 10 insegnamenti che ci lascia il Coronavirus
Gli esperti di Gartner sintetizzano in dieci punti i temi principali che conviene seguire nel fronteggiare crisi come quella del Coronavirus: 1. stabilire un quadro di preparazione alla pandemia 2. monitorare la situazione per determinare i cambiamenti in termini di gravità 3. controllare le implicazioni finanziarie e di tesoreria 4. ampliare il workspace personale di ciascuno 5. rivedere le politiche delle risorse umane e le loro prassi 6. stabilire un programma di preparazione alla pandemia 7. rivedere l’impatto sull’attività commerciale 8. rivedere l’azione IT e la considerazione 9. rivedere il piano pandemico per identificare e risolvere le aree problematiche 10. ricontrollo finale
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IL CENTRALINO INTELLIGENTE PER LO SMART WORKING
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L’UCC in azienda: realtà e prospettive di Giuseppe Saccardi
L’inchiesta realizzata dalla nostra redazione per conoscere lo stato dell’arte e le prospettive di sviluppo nell’adozione delle tecnologie di Unified Communication nelle aziende italiane
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l centralino o Pbx, fisico o virtuale, di proprietà o fruito come servizio, è diventato un elemento di aggregazione di tecnologie che servono a facilitare il lavoro collaborativo e l’integrazione tra Unified Communication e IT. Ma lo stato dell’arte della sua evoluzione, la sua reale corrispondenza alle esigenze aziendali e del momento, le prospettive di sviluppo come
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Per ognuna delle seguenti tecnologie può indicare (barrando la casella corrispondente) quali sono già state introdotte in azienda e quali saranno adottate nei prossimi 12 mesi?
Rilevamento della presenza
Chat/Messaging
Conference call
Video comunicazione da pc Presente in azienda Prevista l’adozione entro 12 mesi Non la considero una priorità
Video comunicazione con Teleprecence Huddle Room
Telefoni IP in azienda Telefonia su IP tramite software (Softphone) Organizzazione condivisa di appuntamenti/meeting (calendar) Condivisione di applicazioni e/o di file (*) 0
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elemento di business, come sono viste dal mercato e dagli utenti finali? Per comprendere meglio cosa sta avvenendo in un settore che nel passato
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è sempre stato molto conservativo Partners ha realizzato un’inchiesta qualitativa in proposito. Vediamone i punti salienti.
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Può indicare (barrando le risposta applicabili) quali sono le tecnologie integrate tra loro all’interno della vostra azienda e quali prevedete di integrare nei prossimi 12 mesi?
E-mail + Telefonia mobile (Push e-mail) (§) E-mail + Fax Telefonia mobile + IP Telephony Telefonia mobile + Videocomunicazione IP Telephony + E-mail Soluzione completa e integrata di Unified Communication Portale per la Business Collaboration
Presenti in azienda Previsto entro 12 mesi Non la considero una priorità
Telefoni e video citofoni per sistemi building (apertura porte, cancelli, saracinesche) Smartphone e telefoni collegati con sistema HR per registrazioni presenze/cartellino Soluzioni integrate con sistemi contact center Sistemi CRM Soluzioni IoT 0
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L’approccio preferito Per quanto concerne quale soluzione adottare la propensione al service nella telefonia si evidenzia consistente. A fronte di un 40% di rispondenti che ne dispongono e lo gestiscono in proprietà si contrappone un significativo 60% che ne fruisce o se lo fa gestire
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Come leggere le inchieste di Partners È opportuno specificare che la nostra è una redazione e il nostro compito è quello di “riportare” le informazioni e i commenti degli esperti. Il commento che accompagna i dati è il frutto dell’osservazione dei dati emersi dal sondaggio, al quale hanno risposto, in questa occasione, 47 individui. Una parte di questi sono stati contattati dalla redazione, principalmente al fine di migliorare l’interpretazione delle domande. Il sondaggio, come la maggior parte dei sondaggi che coinvolgono gli iscritti ai siti web, è libero e non filtrato.
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Avete ottenuto vantaggi all’interno di queste aree grazie all’adozione di soluzioni di Unified Comunication e Business Collaboration ? (barrare tutte le risposte applicabili)
Incremento di produttività dei dipendenti Si No Non so
Vantaggio competitivo
Riduzione del time-to-market
Risparmio nei costi operativi
Flessbilità nel lavoro
Aumento complessivo delle ore di lavoro
Riduzione degli errori
Ottimizzazione dei servizi / maggior soddisfazione dei client
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Pertanto i dati ottenuti non si possono classificare e considerare rigorosamente rilevanti in un’indagine statistica. Mancano, infatti i presupposti di base non essendo state, le persone coinvolte, selezionate in modo da rappresentare un campione significativo, né sul piano numerico, né su quello statistico. Quello proposto è da considerare semplicemente, come un punto di vista, certamente limitato, che fornisce spunti per ulteriori osservazioni di tipo qualitativo. In altre parole è un modo per “misurare” il polso della situazione sugli argomenti più caldi del momento.
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da un service provider. Oltre il 50% è risultata poi la percentuale di aziende che fa ricorso alla tecnologia VoIP, mentre è intorno al 40% la percentuale di chi ha un centralino integrato nel cloud, gestito da un provider o gestito internamente.
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Cosa ostacola nelle aziende l’adozione di soluzioni UCC
Mancanza di cultura specifica
Mancanza di risorse interne
Budget insufficienti Diffidenza sulla tecnologia / timore di perdita di controllo Contratti pre-esistenti
Dubbi sulle reali performance
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Le tecnologie utilizzate e quali in prospettiva Indipendentemente dal fatto che si tratti di un centralino di proprietà o erogato come servizio, la fruizione di servizi quali il chat messaging, la conference call e la videocomunicazione da pc appare ampiamente adottata, con una quota intorno all’80%. Più indietro appare la videocomunicazione con telepresenza, che si posiziona a circa il 50% del valore precedente in termini di interesse, così come la presenza di huddle room, che comunque appaiono in costante crescita come adozione. In prospettiva e a breve termine, le applicazioni che maggiormente attraggono l’interesse nell’arco
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temporale dei prossimi 12 mesi sono, non sorprendentemente, la videocomunicazione con telepresenza, l’huddle room e la telefonia IP tramite softphone, tutte modalità connesse al lavoro agile e da remoto, applicazioni viste con interesse da una percentuale variante dal 30% al 40%.
Il grado di integrazione delle tecnologie Il centralino, sia fisico che virtuale, si conferma un importante punto di aggregazione di tecnologie atte a favorire la comunicazione e la collaborazione. Se a livello di installato o di interesse l’integrazione continua ad essere trainata dalla telefonia mobile e fissa su IP, la videocomunicazione,
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l’e-mail e l’integrazione con i contact center, si fa strada però anche l’interesse ad integrarvi soluzioni IoT, già presente in un significativo quasi 40% dei casi e di interesse per il prossimo anno quasi nel 50%.
I benefici dell’UCC Consistenti, pur se con qualche eccezione, i benefici percepiti derivanti dall’adozione di una moderna soluzione di UCC. In primis va evidenziata la maggior flessibilità nello svolgimento delle attività, cosa ancor più critica per quanto sta accadendo a livello mondiale, e poco addietro come percentuale l’ottimizzazione dei servizi che ne è derivata e la maggior soddisfazione dei clienti.
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Un terzo punto di interesse è considerato il risparmio significativo ottenuto inerente i costi operativi, evidenziato da quasi il 70% delle aziende rispondenti, derivato di un rinnovamento tecnologico, di una esternalizzazione dei servizi e anche della forte competizione tra i fornitori di piattaforme e servizi.
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Gli ostacoli all’adozione Tre si evidenziano essere i principali motivi che ostacolano l’adozione di tecnologie e servizi UCC evoluti. In primis, con oltre il 30%, la mancanza di una cultura specifica che ne faccia intravedere i concreti vantaggi, a seguire con il 16% il timore di perdere il controllo della tecnologia installata e, con il 12%, il persistere di dubbi sulle
reali maggiori prestazioni ottenibili. Praticamente nulli o molto ridotti i problemi e le criticità dovuti alla carenza di budget o il timore di non disporre poi di capacità di rete interna sufficiente a supportare la telefonia IP. Complice in questo l’elevata capacità di banda disponibile a prezzi molto bassi sia per le reti interne sia per le reti pubbliche, fisse o mobili . v
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Come farsi notare con la soluzione UCaaS e abbattere Sviluppare il business, migliorare la i costi comunicazione, ridurre gli spostamenti: attirare l’attenzione scegliendo e differenziando la soluzione UCaaS
di Tito Labanchi
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l servizio UCaaS (Unified Communications as a service), ha preso d’assalto il mondo aziendale, sostituendo sia i sistemi telefonici analogici sia il tradizionale PBX quale metodo di comunicazione leader mondiale. Non sorprende dato il livello di connettività, collaborazione e persino di intimità reso possibile dalle moderne soluzioni UC. Sono finiti i giorni quando si ammassavano persone in soffocanti sale per riunioni e conferenze, con le UCaaS il controllo viene rimesso nelle mani degli utenti. Videoconferenze dal proprio cellulare? Nessun problema! Una sessione di brainstorming mentre si è in treno? Semplice! Uffici distanti che hanno bisogno di chiamate interne? Un gioco da ragazzi!
I perché di una mossa da fare Per le aziende, il passaggio all’UCaaS può ridurre i costi di comunicazione fino all’80%. I dipendenti in viaggio o che lavorano a distanza, possono
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chiamare gratuitamente utilizzando l’interno dell’ufficio dal proprio cellulare. Mentre le riunioni sul web possono essere utilizzate come metodo di comunicazione alternativo, eliminando del tutto le spese di chiamata! Una piattaforma UCaaS completa comprende: il servizio chat, tecnologia per la rilevazione della presenza, sale riunioni online, collaborazione di team, telefonia, videoconferenze, applicazioni mobili, hot desking ed e-mail web. I principali operatori UCaaS offrono anche funzionalità di contact center come receptionist digitali, wallboard interattive, indirizzamento delle chiamate e integrazioni con strumenti di produttività, come un CRM per garantire all’utente finale flessibilità e adattabilità per le attività quotidiane. Per i rivenditori, l’introduzione di una soluzione UCaaS in un portafoglio MSP o ISP esistente, porta anche una miriade di vantaggi. Le licenze vengono vendute su base annuale, fornendo a chi gestisce il sistema un flusso di ricavi ricorrenti che aumenta la stabilità, facilita il flusso di cassa e supporta la crescita del business. Le
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soluzioni migliori faciliteranno la creazione di flussi di entrate secondarie insieme all’offerta del prodotto principale (contratti di assistenza, costi di consulenza, leasing, integrazioni personalizzate e vendita di hardware) e sono offerte congiunte con un interessante programma di partner. Infatti, la scelta di un fornitore che è noto per guidare il successo dei suoi partner, è importante tanto quanto
Loris Saretta, 3CX Channel Manager for Italy
la funzionalità del prodotto stesso. Cercate un fornitore che offra margini interessanti, un programma di distribuzione competitivo e un servizio di supporto e formazione gratuiti per tutta la durata della vostra collaborazione.
Le opportunità per i rivenditori «Il modello più redditizio per i partner di entrare nel mercato delle comunicazioni unificate è di offrire ai propri clienti il servizio di Unified communications as a service», afferma Loris Saretta, 3CX Channel Manager for Italy, che sottolinea: «I rivenditori hanno riscontrato delle restrizioni con le offerte UCaaS nel passato, ma con la soluzione di 3CX, i rivenditori si possono trasformare in fornitori di servizi, e possono differenziarsi attraverso la semplificazione dell’implementazione, dato che non servono delle risorse ingenti. Inoltre la gestione della soluzione 3CX è facile da amministrare, e permette di introdurre un servizio con un costo mensile per il cliente a un prezzo molto competitivo. Le funzionalità della piattaforma 3CX includono messaggistica aziendale,
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tecnologia di presenza, riunioni online, collaborazione in team, telefonia e videoconferenza, offrendo quindi una soluzione completa ai rivenditori per poter sfruttare il servizio UCaaS, e potersi proporre nel mercato con una soluzione unica, efficace e scalabile».
La sfida Ottenere questo mix di prodotto e collaborazioni porta direttamente sull’autostrada verso il successo. Il valore di mercato globale delle Unified Communications, infatti, dovrebbe superare gli 86 miliardi di euro entro il 2023 e con l’ISDN, che non è più un’opzione nella maggior parte delle regioni, Saretta si aspetta di vedere una migrazione di massa verso i servizi UCaaS basati sul VoIP nei prossimi anni. «Questo è’ il momento migliore per gli MSP per rivalutare la loro offerta attuale, per assicurarsi di essere posizionati in modo da trarre vantaggio dalla prossima corsa all’oro» afferma il manager. Dove ci sono molte opportunità, ci sono di conseguenze anche molte sfide. Da qui la necessità per i rivenditori di scegliere un partner di comunicazione unificata che offra condizioni favorevoli e una soluzione che si distingua dalla massa (quando il mercato cresce di conseguenza cresce anche la concorrenza, con nuovi fornitori che appaiono ogni settimana). Essere in
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grado di differenziare il proprio business è la chiave per superare queste prove ed è qualcosa che i potenziali rivenditori dovrebbero considerare, sia nei loro sforzi di marketing, sia nella scelta del prodotto stesso. Tenendo presente questi fattori all’inizio del viaggio UCaaS, aiuterà a evitare le insidie, la più comune delle quali è la tendenza dei nuovi rivenditori a proporre la loro soluzione come una merce, piuttosto che focalizzarne il potenziale valore. L’adozione della strategia precedente si traduce in una battaglia di sconti tra rivenditori con offerte funzionali simili (la parte lesa è quasi sempre marginale), mentre l’applicazione della tecnica moderna apre le porte a una moltitudine di opportunità. Ciò è solitamente causato da una mancanza di conoscenza dei punti vendita reali dei prodotti e dalla conseguente incapacità di convertirli in differenziatori all’interno del proprio business.
Avvicinamento alla diversificazione Ora, probabilmente penserete che questo vi suoni familiare. In effetti,
per molti rivenditori la diversificazione è il più grande ostacolo per la creazione di un modello UCaaS redditizio. Tuttavia, con il giusto quadro di riferimento, è facile prepararsi per il successo. La ricerca del Priority Metrics Group ha individuato i 5 aspetti chiave dai quali è possibile rendere diverso il proprio business. questi aspetti sono: - Prodotto - Prezzo - Servizio - Rapporti - Reputazione Nella restante parte di questo articolo, discuteremo in dettaglio ogni aspetto in modo che possiate garantire ai clienti una soluzione che si distingua dalla massa.
Aspetto numero 1: Prodotto L’aspetto del prodotto è forse il più visibile in quanto si riferisce alle caratteristiche, alle capacità e alle prestazioni del sistema stesso. Questo è forse il motivo per cui molti venditori sono istintivamente inadempienti nel proporre le specifiche complete del sistema, dato che è l’elemento più concreto.
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Per essere sicuri di distinguersi quando si tratta di prodotto, assicuratevi innanzitutto di scegliere un partner UCaaS con tutto il necessario. Ciò significa avere un offerta di collaborazione e un servizio di voce integrato, con la capacità di integrare le applicazioni interne esistenti sotto un’unica piattaforma centrale. Oltre a questo, assicuratevi che il vostro fornitore
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abbia una catena di innovazione fiorente. Infine, bisogna avere caratteristiche che incuriosiscono e diano ai vostri clienti qualcosa che nessun altro potrà fornire:, l’esclusività vende a tonnellate! Quando si valutano i fornitori, se non possono vendere il sistema a voi, come ci si può aspettare che voi lo vendiate ai vostri clienti con efficacia?
Per 3CX è fondamentale scegliere un partner che porti costantemente sul mercato caratteristiche innovative. Ricordate di basare la vostra proposta sulle esigenze dei vostri potenziali clienti e sulla comprensione dei vantaggi che gli utenti possono trarre nei loro settori. Esaminando ogni funzionalità del PBX, anche il tecnico più appassionato si addormenterebbe ed
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è probabile che altri fornitori si presentino preparati con proposte simili. Mantenete la vostra attenzione sul prodotto e concentratevi una sulle caratteristiche dei prossimi 4 aspetti rimanenti per avere un impatto reale.
Aspetto numero 2: Prezzo Negli ultimi anni, ha riscontrato molto successo un unico metodo per la determinazione dei prezzi per quanto riguarda UCaaS. La maggior parte dei gestori offre ora piani basati sul numero di utenti e sulla combinazione di funzionalità’ richieste, con pacchetti aggiuntivi comuni per le funzioni aziendali come i contact center, il failover e persino la segreteria telefonica. Inoltre, i prezzi sono convergenti, quindi molto simili. I marchi leader sono raggruppati al top della gamma, ben al di fuori del budget medio delle piccole e medie imprese, mentre i fornitori più recenti si raggruppano al “livello base”, spesso privi di tutte le caratteristiche necessarie alle aziende moderne per rimanere in contatto. Per gli acquirenti, può essere difficile vedere chiare le differenze tra i due segmenti. Per aggiornarsi quindi, occorre sedersi al tavolo delle trattative con un nuovo approccio. Diversi fornitori si sono distinti in questo settore ripensando
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al modello tradizionale di concessione delle licenze. Le strutture di prezzo alternative includono tariffe fisse per il numero di chiamate simultanee che la piattaforma può supportare in qualsiasi momento, perché pagare per utente se l’uso del telefono è poco frequente? L’adozione di prezzi per chiamate simultanee vi distinguerà immediatamente dai risultati degli MSP che vendono piani hosted costosi per singolo utente e, di fatto, potrebbe far risparmiare ai clienti fino all’80% rispetto alla loro attuale bolletta telefonica. Questo, di sicuro è qualcosa che attirerà l’attenzione dei potenziali clienti.
Aspetto numero 3: Servizio Per i rivenditori B2B è essenziale mantenere un forte primato nel servizio: un recente studio di PwC ha rilevato che l’86% degli acquirenti prenderebbe in considerazione di pagare di più se si potesse garantire un ottimo servizio, sottolineando il potenziale di questo settore per tutti i rivenditori. Le vie per la differenziazione del servizio includono: un servizio clienti che funzioni di supporto
come la formazione, l’installazione e la facilità d’uso. Un modo per iniziare a pensare a come diversificarsi, in base al servizio, è quello di considerare come migliorare il percorso di acquisto dei clienti. Offrire servizi aggiuntivi accanto alla tua soluzione UCaaS, in modo che non abbiano bisogno di fare altri acquisti inutilmente, oppure offrire una consulenza gratuita a chi sta pensando di spostarsi, aiutandolo a sentirsi informato quando è il momento di fare una scelta. Ci sono molti modi per distinguersi quando si tratta di servizi, ma la chiave è trovare la propria nicchia e poi approfondire sempre di più quell’area. Il vostro partner di comunicazione avrà anche un impatto sul livello di servizio che sarete in grado di fornire, quindi assicuratevi che questo venga preso in considerazione quando sarà il momento di consultare i fornitori. Cercate un supporto tecnico illimitato e gratuito, una gestione attiva dei canali e una formazione completa, poiché questi garantiranno la vostra capacità di fornire ai vostri clienti l’assistenza di cui hanno bisogno.
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Aspetto numero 4: Rapporti L’aspetto della relazione è strettamente legata alla fornitura del servizio, ma si concentra in particolare sulle relazioni interpersonali. Come esseri umani abbiamo la tendenza a ricordare come siamo fatti per sentire le sensazione, più che a ricordare ciò che ci viene detto o mostrato e questo vale sia negli affari che nella vita. Infatti, gli studi hanno dimostrato che circa il 49% degli acquirenti prende decisioni di acquisto dopo aver ricevuto un’esperienza di vendita personalizzata*. Le persone vogliono lavorare con le persone, quindi prendetevi il tempo necessario per far sentire i vostri clienti apprezzati, speciali e curati vi distinguerà dalla concorrenza. Nella maggior parte delle aziende, i rappresentanti di vendita, l’assistenza e il servizio clienti hanno il maggior numero di contatti con gli utenti. Assicuratevi dunque, che in ogni possibile punto di contatto, i membri del team siano educati, credibili, capaci e soprattutto affidabili, in quanto questo solidificherà il legame tra cliente e fornitore. I colleghi estroversi sono il
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collegamento chiave tra il prodotto e il cliente, quindi se questo collegamento si interrompe, è probabile che anche la vostra azienda subisca un colpo.
Aspetto numero 5: Creare una reputazione Costruire un’immagine o una reputazione può essere scoraggiante per i nuovi fornitori UCaaS, ma non necessariamente. Con il fornitore giusto e anche con un piccolo budget di marketing, è possibile costruirsi una reputazione concentrando la tua attenzione sul cliente. Identificate i clienti chiave che possono incrementare il successo della vostra azienda
e costruite le vostre strategie di marketing, di comunicazione e di servizio intorno alle loro esigenze. Fate bene questo e diventeranno promotori organici della vostra attività, dai quali potrete poi richiedere testimonianze, interviste e altri materiali che contribuiranno a far crescere la presenza del vostro marchio. La scelta di un fornitore UCaaS con una soluzione collaudata vi darà un vantaggio in più. Sarete in grado di utilizzare le testimonianze esistenti e le referenze dei clienti, creando un database e sfruttare il loro marchio consolidato. Per una spinta in più, cercate un partner che sia focalizzato su un canale. I fornitori che vendono attraverso il canale, hanno un interesse ad aiutarvi, così da ricevere referenze e pubblicità gratuita sui loro siti web e strumenti di localizzazione. Se si sta cercando un modo per distinguersi dalla massa e non avete ancora aderito al 3CX Partner Program, forse è il momento di entrare in contatto. Iscrivetevi oggi stesso e scopriite come possiamo aiutarvi a incrementare le vendite fino al 25% in un solo anno. v
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L’ARTIFICIAL INTELLIGENCE FRA DUBBI, PROMESSE E SPERANZE Dati di mercato, prospettive, analisi, soluzioni
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AI: italiani consapevoli ma non senza qualche italiani appaiono consapevoli della perplessità Gli potenzialità dell’Intelligenza Artificiale, di Giuseppe Saccardi
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obot in grado di riconoscere le emozioni e interagire con l’uomo in modo empatico, questo è il desiderio degli intervistati per la seconda edizione del rapporto “Retail Transformation 2.0” elaborato da Digital Transformation Institute e CFMT, in collaborazione con SWG. I dati sono auto esplicativi del fenomeno in corso e della sua inarrestabilità. Rispetto allo scorso anno aumenta dal 64 all’80% il bisogno di confrontarsi con macchine in grado di percepire ciò che provano la persone che hanno di fronte. In aumento, però, anche il grado di scetticismo rispetto alla possibilità di sostituzione dell’uomo da parte delle macchine in alcuni lavori o attività quotidiane. C’è solo da auspicarsi che non si tratti di un wishfull thinking. Se è vero che la cura di figli e anziani è considerata dagli intervistati prerogativa dell’uomo, è altrettanto vero che diminuisce, rispetto alla edizione precedente dello studio, il numero di persone che ritiene l’intelligenza artificiale migliore dell’essere umano nell’emettere giudizi e sentenze legali e nell’arbitrare una partita di calcio (-9%), nel comporre musica (-6%), nel presentare potenziali amici (-5%), ma anche nello scrivere articoli di giornale, selezionare personale, diagnosticare le malattie o guidare (-4%).
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ma la osservano con un certo timore. E non senza ragione
Ma con chi parlo? Una certa diffidenza cresce. Peggiora infatti il grado di fiducia nelle macchine in prospettiva futura a dieci anni, con l’unica eccezione per quanto concerne il possibile aiuto nelle faccende domestiche, cosa che gli intervistati delegherebbero a una soluzione di intelligenza artificiale più volentieri dello scorso anno (+5%). Insieme alla diffidenza nei confronti dell’AI cresce anche la necessità da parte degli intervistati di differenziare gli assistenti virtuali dagli uomini (+10%) al fine di poterli riconoscere meglio, mentre cala di un 5% il numero di quelli che vedrebbero di buon occhio un umanoide. Di certo, viene da considerare, i film in circolazione non aiutano a percepire un umanoide in termini positivi. Anche in caso di assistenza da remoto, il 90% delle persone vorrebbe tuttavia sapere se sta interagendo con una macchina piuttosto che con una persona.
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Assistenti virtuali I favorevoli ad assistenti virtuali dotati di AI, in grado di dare consigli nel momento in cui si fanno, per esempio, acquisti online o in negozio, restano fermi a circa la metà (53%), come nell’edizione passata. Invariate anche le situazioni in cui si preferisce una macchina al posto di un umano per evitare situazioni imbarazzanti, o per avere una scontistica personalizzata. La “persona” vince (ancora) sulla macchina nel comprendere i bisogni (47% uomo, 36% indifferente) e avere una piacevole esperienza d’acquisto (36% uomo, 44% indifferente). Variazioni significative, invece, si registrano nell’aumento di fiducia nei confronti delle macchine (+8%) per la tutela della privacy e la gestione dei dati personali. A guadagnare punti fiducia rispetto all’anno precedente è invece il settore alimentare, dove gli intervistati sarebbero maggiormente propensi a fare acquisti interagendo con un assistente virtuale dotato di intelligenza artificiale (+10%). In generale, rimane stabile la propensione degli utenti all’utilizzo dell’AI per l’acquisto di vestiti ed accessori, servizi telefonici ed elettrici e device tecnologici, mentre nessun miglioramento delle fiducia verso l’AI si registra negli investimenti di maggiore valore: immobili, finanza, auto.
• L’acquisto di una casa con una AI al posto del notaio che fa le verifiche di legge e redige l’atto con la stessa validità legale (+6%). • La guida autonoma, considerata sicura dal 35% delle persone “perché il ricorso al computer per guidare le automobili diminuirà il numero di incidenti”. «I dati mostrano un sostanziale miglioramento nella consapevolezza degli italiani circa il ruolo dell’intelligenza artificiale nella società e nel business. Il problema centrale è che dobbiamo smettere di chiederci - come singoli, come aziende, come istituzioni - se l’intelligenza artificiale sia positiva o negativa, se faccia bene o male, se crei o distrugga posti di lavoro. Dovremmo invece interrogarci su quali sono i passi da compiere perché sia uno strumento utile a perseguire obiettivi di sviluppo sostenibile, sia dal punto di vista sociale ed ambientale che economico», ha commentato i dati dello studio Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute. Tra le cose su cui ci si dovrebbe interrogare, viene da aggiungere, è il fattore tempo, e cioè se un’eccessiva accelerazione nel ricorso incontrollato all’IA sia congrua con lo sviluppo sociale e i tempi necessari per riallocare lavoratori che potrebbero, proprio a causa dell’IA, finire fuori dal ciclo produttivo. Ma questa è un’altra storia. v
Cosa è visto con favore In presenza di una evidente perplessità guadagnano terreno in termini di fiducia nei confronti delle AI alcune attività quali: • La sottoscrizione di una utenza domestica (telefonica, energetica, ecc.) parlando (al telefono o in videochiamata) con un operatore virtuale che dà le indicazioni sulle cose da fare e guida il procedimento (+4%).
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Le prospettive dell’Intelligenza Artificiale fornitore al retailer si diffonde l’IA, per il 2020 Dal con impatti positivi sulla produzione, sulla supply chain e sull’ambiente
di Giuseppe Saccardi
L’IA dal produttore al retail
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i sente sempre spesso più parlare del ricorso all’intelligenza artificiale, o IA, o AI in anglosassone, nei processi di business, produttivi, gestionali, di pianificazione e così via. Praticamente non sembra esistere campo dello scibile in cui non si pensi all’IA per migliorare i risultati di business. Ma cosa ci si deve realmente, o perlomeno presumibilmente, attendere da una tecnologia che se da una parte promette e lascia intravedere ampi benefici per il business dall’altra solleva però qualche perplessità sull’impatto che poterebbe avere una sua adozione massiccia dal punto di vista sociale? Una disanima e considerazioni su quello che dovrebbe essere l’IA perlomeno nel breve termine, nel 2020, è stata fatta da JDA Software, disanima che offre lo spazio a spunti e considerazioni interessanti.
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Un primo punto evidenziato è relativo all’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul modo di impostare le strategie decisionali. E’ universalmente accettato che l’AI dovrebbe contribuire a migliorare processi complessi e a superare l’apprendimento basato solo sulla correlazioni dei dati storici. Un esempio è quello offerto dal mondo del retail, dove è prassi comune che gli operatori del settore si concentrino sui clienti fidelizzati ma dove la marginalità potrebbe essere migliorata adottando strategie commerciali specifiche pensate anche per gli acquirenti occasionali. Identificare la tipologia di cliente e il giusto prezzo da proporre può essere possibile ricorrendo a conoscenze causali basate sull’AI. In pratica, ciò permetterebbe ai retailer di formulare offerte e promozioni sempre più personalizzate, basate anche sulla causalità, e di massimizzare la marginalità delle vendite a clienti non fidelizzati. Una seconda considerazione è che i confini aziendali grazie alla AI diverranno sempre più liquidi. Il motivo è che quando l’Intelligenza Artificiale viene integrata nella supply chain di un’azienda mette a disposizione capacità predittive avanzate che permettono di trarre decisioni più consapevoli e basate su fatti e non su sensazioni. Se poi l’AI viene integrata trasversalmente a livello dell’intera organizzazione sino a com-
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prendere il concetto di azienda estesa costituita anche dalla supply chain, ne deriva la possibilità di pianificare meglio le attività di tutti gli attori facenti parte della filiera che va dal produttore al distributore al consumatore. Ad esempio, se il produttore conosce le attività dei retailer e le conseguenze che queste hanno sulla propria attività, e viceversa, diventa possibile ottimizzare le scorte di prodotti e materie prime ed entrambe le parti avranno la possibilità di migliorare la pianificazione. L’AI si evidenzia quindi come uno strumento in grado di rendere più efficiente l’intero ecosistema della supply chain e, di conseguenza, apportare consistenti e concreti benefici non solo all’azienda che l’adotta, ma anche ai suoi partner commerciali.
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Il ruolo strategico dell’Intelligenza Artificiale La AI si prevede estenderà i suoi benefici anche su due altri settori, quello dei manager per quanto concerne il mondo del lavoro e quello dell’ambiente per quanto concerne la sostenibilità. Il primo deriva dalla disponibilità di una nuova generazione di manager che affondano le loro radici culturali e di formazione scolastica nel pieno dell’era Internet e sono praticamente o quasi nativi digitali. Cosa, questa, che li mette in grado di comprende il valore aggiunto delle tecnologie cognitive e di coniugarlo con le esigenze del business per affrontare con maggior probabilità di successo le sfide del mercato. La realtà è che, nonostante assumano un ruolo di rilievo nel futuro digitale delle aziende, i data scientist non potranno fare tutto e si renderanno necessari manager che siano in grado di riconoscere sia il potenziale delle soluzioni di IA che i processi specifici del business, pena il fallimento o perlomeno il non completo raggiungimento degli obiettivi postisi con gli investimenti in innovazione digitale. Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello più social, va considerato che tecnologia e sostenibilità andranno sempre più di pari passo e le aziende, utilizzando gli algoritmi dell’Artificial Intelligence avranno la possibilità di meglio misurare gli impatti ambientali e sociali, apportare le correzioni più opportune ai processi pro-
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duttivi o distributivi e ottimizzare le iniziative a supporto della sostenibilità. Le tecnologie cognitive possono in sostanza aiutare le aziende a operare in modo responsabile e profittevole favorendo la riduzione degli sprechi, una produzione che sia più efficiente, strategie di trasporto più consapevoli e l’ottimizzazione delle risorse.
Il problema occupazionale Ha una certa diffusione la convinzione che l’IA causerà una riduzione dei posti di lavoro. Il timore non è di certo peregrino e la diffusione degli assistenti virtuali, dell’automazione nelle risposte dei call center e cos’ via, di certo non aiuta nel vedere del tutto in modo benevolo l’IA. Si può di certo dire che una certa idea di luddismo pervade alcuni strati sociali. Il dubbio che aleggia non è peraltro nell’IA in sé, ma se la velocità con cui si diffonde e viene adottata sia congrua o meno con l’organizzazione sociale, il tempo richiesto per creare
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posti di lavoro alternativi, convertire la preparazione professionale e così via. Di certo ci sarà sempre bisogno dell’uomo per costruire, guidare e monitorare i sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale. Il problema potrebbe essere tuttavia nel rapporto occupazionale tra chi gestisce l’IA e chi invece ne subisce le conseguenze. A mitigare i timori, pur sempre latenti, di una trasformazione digitale che potrebbe risultare troppo impetuosa e rapida, con effetti che potrebbero essere difficilmente prevedibili per le nazioni avanzate, va però considerato, osserva la disanima, che quando sono stati inventati i computer, le persone pensavano che ci sarebbe stata una diminuzione di posti di lavoro. La realtà è invece diversa, poiché sono andati creandosi nuovi profili professionali più qualificati, e ad oggi scarseggiano ancora gli esperti in informatica. Un certo ottimismo quindi si impone ma ricordando il manzoniano “Pedro, adelante con juicio”. v
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Le tecnologie ICT per il business su cui puntare Le applicazioni diventano tutte mission critical, basate su cloud e container. Canale e aziende devono adeguare i loro piani per la digital transformation di Giuseppe Saccardi
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impatto dell’evoluzione tecnologica sia nel mondo aziendale sia del sociale continua a crescere. E viene il dubbio che quanto sino ad ora visto costituisca solo il prodromo di trasformazioni ancor più massicce che con il 5G, le reti a larghissima banda e la costante esternalizzazione nel cloud dell’IT già si prefigurano in un orizzonte molto vicino. Identificare gli elementi chiave e un denominatore comune per tutte le aziende pubbliche e private, end user o di canale, di questa trasformazione per cui prepararsi, non è facile ma tuttavia alcune considerazioni, basate su studi e analisi su clienti realizzati nei mesi scorsi da aziende produttrici e società di ricerca, è possibile farle.
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Le applicazioni mission-critical? Tutte Innanzitutto sta riducendosi sempre più la differenza tra quelle che in azienda sono considerate applicazioni mission critical e quelle che non lo sono. Questo appare conseguenza del fatto che le aziende fanno sempre più affidamento sulla loro infrastruttura digitale. E se tutto è digitale, dalla collaborazione alla pianificazione, dalla supply chain alla progettazione, e inserito in un contesto distribuito, la capacità di fare una distinzione diventa molto difficile. Essendo tutto correlato, come in una catena, il tutto dipende dall’anello più debole e quindi tutte le applicazioni devono avere un livello di disponibilità non inferiore a quello accettabile per le applicazioni più critiche.
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Quello che sembra essere il tempo massimo di inattività si sta in sostanza riducendo a poche ore e alcuni report si spingono a indicare in un paio d’ore un tempo di fuori servizio massimo accettabile. Se le applicazioni sono critiche non meno lo diventa la gestione dei dati su cui queste si basano o di cui necessitano. Questo fattore impatta profondamente sul come a livello infrastrutturale e di investimento selezionare e scegliere le tecnologie e l’hardware di storage più funzionali alle proprie esigenze. I tempi di reazione sempre più stretti richiesti alle aziende lasciano però intravedere l’esigenza di disporre di data center la cui gestione sarà necessariamente sempre più incentrata sul software. In sostanza, il provisioning manuale dell’infrastruttura IT sta rapidamente finendo nel cassetto per lasciare il posto a un provisioning automatico delle risorse in un contesto di IT esteso al cloud e al multicloud. Questa evoluzione è suggerita dal fatto che l’automazione delle procedure di replica e la possibilità di sfruttare il cloud pubblico assicura maggior precisione, agilità e scalabilità e, in definitiva, consente alle aziende di implementare le applicazioni in modo veloce e semplice.
Il Cloud Data Management per garantire diponibilità e portabilità
megabit o di gigabit. L’importanza crescente della disponibilità è peraltro confermata da studi che evidenziano come quasi un terzo delle aziende esegua procedure di backup e di replica di applicazioni ad alta priorità su base continuativa e come la preoccupazione principale per le aziende sia che la totalità dei loro dati sia ripristinabile e che il ripristino possa essere realizzato nell’ordine dei minuti. Va poi osservato che una disponibilità garantita dei dati permette anche di utilizzare i dati di backup a scopo di ricerca, sviluppo o test prima di mandare in produzione nuove applicazioni e di conseguenza aiuta nel prendere decisioni sulle strategie di trasformazione digitale in atto. In un quadro di tali esigenze è prevedibile che l’approccio on-premises e il cloud pubblico acquisiranno sempre più rilevanza e che il cloud si confermerà sempre più come il modello di implementazione più utilizzato. Già ora, evidenziano ricerche, oltre l’80% delle aziende
Un trend che si evidenzia è la crescente esigenze di avere dati sempre disponibili, cosa che corrisponde e implica soluzioni basate su Service Level Agreement sempre più stringenti per quanto concerne i tempi accettabili di inattività e di discontinuità del servizio. In sostanza, ciò corrisponde al fatto che l’aspetto chiave di un processo di backup e ripristino si sta spostando verso i tempi di ripristino, cosa peraltro avviata a migliorare di molto a seguito della diffusione di reti mobili come la 5G o a larghissima banda in fibra ottica. Evoluzione che coinvolge non solo la struttura aziendale in senso stretto ma anche chi lavora da remoto o in home working. Basta considerare che oramai la disponibilità diffusa della fibra ottica, perlomeno nei centri urbani maggiori, permette di disporre a livello domestico di connessioni di centinaia di Artificial Intelligence 42 PRIMO PIANO
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si definisce prevalentemente hybrid-cloud o multi-cloud. Non va in questo quadro evolutivo nascosto il problema della sicurezza e della data privacy, che rappresentano indubbiamente due tra le maggiori preoccupazioni dei decisori per quanto concerne il percorso evolutivo dell’IT aziendale, questo considerando anche un trend delle minacce che non accenna a rallentare la sua crescita. Esternalizzazione, tempi di risposta veloci, cloud e multi-cloud stanno poi confluendo nel creare un’altra esigenza, quella della gestione dell’insieme di risorse fisiche e virtuali, locali o nel cloud, che ne risulta. In pratica e obtorto collo, le aziende dovranno far conto sempre più su un robusto Cloud Data Management per garantire la disponibilità dei dati in tutti gli ambienti di storage a cui le applicazioni business fanno riferimento. La realtà è che in un crescendo di esigenze aziendali la vision “i tuoi dati, quando ne hai bisogno, dove ne hai bisogno” può essere re-
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alizzata solo attraverso una solida strategia di Cloud Data Management.
Il backup? Meglio se con nuove architetture e tecnologie Nuove esigenze e modalità di lavoro basate sulla disponibilità dei dati e sulla rapidità hanno un impatto anche sulle tecnologie atte a favorirlo. La diffusione, per esempio, di storage basato su tecnologie flash ai diversi livelli di una architettura storage aziendale e che tende ad appiattirla, ne è un esempio. Si va, in sostanza, verso una semplificazione dell’architettura di storage atta a consentire semplicità, flessibilità e affidabilità delle soluzioni di business continuity. Sono tutte cose difficili da ottenere con buona parte dell’hardware oggigiorno installato, e ciò spinge e accelera la sostituzione e il rinnovo del parco dei dispositivi. Il numero medio di interruzioni nel funzionamento dell’hardware legacy, indicato da analisi in cinque nell’ultimo anno come interruzioni impreviste, contribuisce indubbiamente ad aumentare il dubbio sulla capacità di garantire la disponibilità dei dati e ciò spinge a valutare la sostituzione delle soluzioni di backup e recovery esistenti. Quello dell’inefficienza (si fa per dire, perché comunque in buona parte dei casi si tratta di soluzioni con caratteristiche robuste e adeguate al contesto sino ad ora servito) delle soluzioni esistenti è però solo un aspetto. L’evoluzione delle architetture e delle tecnologie come la già citata Flash fa si che nuove soluzioni storage permettano di ridurre i costi di manutenzione, permettano di ampliare le possibilità di virtualizzazione e di disporre di maggiori funzionalità cloud integrate nativamente con ambienti di provider quali AWS o Azure e garantire una gestione integrata nonché la movimentazione trasparente e automatizzabile dei dati in ambito multi-cloud. v
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L’automazione cambia Data Science e visual analytics TIBCO Software spiega come ottenere insight eseguibili, che abbiano un impatto sui processi di business, con AutoML di Gaetano Di Blasio
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n obiettivo fondamentale per i visual analytics e la data science è quello di identificare insight eseguibili, i cosiddetti “actionable” che abbiano un impatto sui processi di business con lo scopo di aumentare il fatturato, migliorare la produttività o mitigare i rischi. «L’intelligenza artificiale automatizzata o il machine learning automatizzato specificamente per la data science possono aiutare a raggiungere questo obiettivo - afferma Michael O’Connell, Chief Analytics Officer di TIBCO Software – che aggiunge - AutoML può aumentare in modo notevole la produttività dei data scientist automatizzando i compiti più banali e consentendo di dedicare maggior tempo all’innovazione». AutoML with transparency, spiega ancora il manager può anche guidare e formare gli utenti su come ottenere il massimo dai loro dati e dall’ambiente di data science, implementando nel contempo best practice. «Il ruolo e la funzione dei data scientist sono in crescita: essi hanno accentrato tutto quello che serve per portare a termine il loro compito». Un compito che può comprendere il progetto e il deployment di sistemi end-to-end per testare i modelli e per inferenza. Questo per job batch che girano lanciati con un clock o un trigger e per elaborazione di eventi in tempo reale. «Tali sistemi end-to-end comprendono tipicamente accesso e federazione di dati, strategie di caching, feature engineering, machine learning e model ops, che può comprendere la “containerizzazione” di modelli, l’aggiunta di Artificial Intelligence 44 PRIMO PIANO
interfacce RESTful e il deployment in sistemi operazionali, in ambienti ibridi e qualche volta multi-cloud», ci spiega ancora O’Connell. I data scientist vogliono diventare più produttivi. Per questo, afferma il manager di Tibco «AutoML li aiuta assistendo gli analisti nella preparazione dei dati, la pulizia degli stessi, la feature selection, feature engineering e modellazione, con explainability». L’assistenza digitale di AutoML, continua il manager, è in fase di estensione alle piattaforme di data science che scalano attraverso ambienti cloud ibridi con deployment in architetture basate su eventi. Idealmente, i sistemi AutoML dovrebbero generare flussi automatici che sono modificabili e informativi in merito al funzionamento del software. Questo dovrebbe includere il far emergere i passi o i nodi del workflow e come essi vengono creati e configurati per l’analisi. «I flussi generati dovrebbero, e possono, rappresentare un’esperienza educativa per il data scientist su come utilizzare il software in modo ottimale. Un sistema AutoML è anche un modo per implementare best practice, sia per il data scientist esperto e professionale, sia per il praticante con meno esperienza. Così, quando l’utente si muove attraverso una pipeline di data science, l’ambiente aiuta a collegare, pulire e preparare i dati, oltre a ingegnerizzare caratteristiche per la costruzione di modelli. Inoltre, il sistema dovrebbe idealmente offrire una guida su questioni come i set di validazione di blocco (hold-out), combinazioni di caratteristiche e modelli e possibilità di spiegazione (explainability) dei modelli» sostiene il Chief Analytics Officer di Tibco.
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Questi mette le mani avanti: «Non stiamo affermando che l’obiettivo sia la completa automazione di tutto nell’ambito della data science, com’è stato sostenuto da altri. Il goal non è quello di realizzare un ambiente di automazione totale in cui la pressione di un grande pulsante rosso significhi ‘lavoro concluso’. Piuttosto, l’obiettivo è quello di formare l’utente come assistente digitale, automatizzare i compiti di più basso livello, educarlo e implementare buone pratiche scientifiche». Il manager continua, sostenendo che il software AutoML ideale aiuta gli analisti di business, i data scientist e gli sviluppatori attraverso la rimozione della complessità e l’accelerazione del deployment in ambienti reali di produzione. Queste capacità, sottolinea il manager, stanno cominciando a spostare il focus di business analyst, data scientist, sviluppatori e business executive sulla soluzione dei problemi attuali con le migliori soluzioni disponibili. Automatizzare i compiti di basso livello consente di disporre di maggior tempo per lo sviluppo di approcci innovativi alla crescita del fatturato, alla riduzione del rischio e alla cancellazione dei costi inutili.
AI automatizzata per tutti Il gran numero di figure coinvolte rende difficile semplificare i processi e organizzare i differenti workflow. Qui sussiste, quindi, la possibilità di migliorare la produttività, grazie alla generazione automatica di questi differenti workflow per compiti quali la preparazione dei dati, la feature engineering, feature selection e modellazione. «L’automazione dei processi dalla preparazione alla sintonizzazione del modello produce workflow trasparenti
Michael O’Connell, Chief Analytics Officer di TIBCO Software
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e modificabili che possono diventare più velocemente versioni pronte per la produzione in sistemi operazionali», dice l’esperto, continuando: «Quando un data scientist crea un modello predittivo, sviluppare i numerosi diversi workflow richiesti può rivelarsi un lavoro impegnativo. Quando, invece, sono generati automaticamente, ci possono essere importanti vantaggi in termini di tempo, modelli più accurati e best practice applicate su tutto». La preparazione automatica dei dati e il machine learning possono creare notevoli incrementi nella produttività per gli analisti di business e i data scientist. Automatizzando differenti stadi del workflow dai business analyst ai data scientist alla produzione, si creano modelli che si sintonizzano e si implementano come ambienti cloud nativi di produzione. Per indirizzare questioni più complesse, il deployment e il collegamento a feed di dati dei modelli di machine learning stanno diventando più semplici, per supportare decisioni più veloci e più smart in tempo reale. Non si tratta di creare una scatola neraqualsiasi sia l’obiettivo e l’ambito applicativo. «Un’area di valore fondamentale nella data science è legata alla realizzazione di previsioni accurate in ambienti operativi reali. Così come le linee produttive fisiche automatizzate hanno creato la moderna era industriale, si pensi ai robot utilizzati per costruire autovetture», L’automazione della data science sta inaugurando l’era industriale digitale attraverso la possibilità di applicare le analytics rapidamente a diversi domini da parte di esperti che non sono più costretti a svolgere attività di basso livello. Attraverso l’automazione, la data science può svilupparsi più rapidamente per risolvere problemi del mondo reale, offrendo nel contempo a tutti benefici misurabili lungo tutta la catena del valore. v
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POTETE LAVORARE,
Lo smart Working ha permesso a completamente. Continuare a usarlo ripresa, come spiegano gli esperti
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MA A DISTANZA
molte imprese di non bloccarsi può accelerare e favorire la che abbiamo intervistato
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Lo smart working frena l’emergenza e rende agili le aziende Le soluzioni di Avaya abilitano il lavoro agile, aumentano la produttività e preservano l’ambiente di Gaetano Di Blasio
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Massimo Palermo, Country Manager di Avaya per l’Italia
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ossibile che ci voglia un’emergenza come quella del Covid-19 per far comprendere i vantaggi del lavoro agile? Si chiede Massimo Palermo, Country Manager di Avaya per l’Italia, che, all’indomani della crisi Coronavirus, ha messo gratuitamente a disposizione di scuole e università italiane la piattaforma Avaya Spaces, affinché docenti e studenti possano, scaricando la relativa app da Apple Store e Google Play, iniziare a interagire e collaborare. Cercando il lato positivo in questa situazione, il manager guarda ai tanti che potranno riconsiderare l’approccio verso queste soluzioni ed evidenzia come Avaya si proponga quale abilitatore del “lavoro agile”, fornendo il proprio supporto consulenziale e tecnologico alle aziende private e pubbliche che vogliono intraprendere questo percorso. Lo smart working: non solo strumento per fronteggiare l’emergenza ma un’opportunità strategica di cambiamento per le aziende: «Per questo motivo, non possiamo che accogliere con favore il decreto dell’esecutivo che semplifica l’applicazione di
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formule di lavoro agile per far fronte a una situazione di emergenza». Peraltro, continua il manager italiano: «Nell’attuale contesto di mercato, nel mondo iperconnesso e globalizzato la valutazione dei benefici nell’ adozione dello Smart Working e delle tecnologie digitali dovrebbe far parte della strategia di qualsiasi organizzazione che voglia aumentare flessibilità, resilienza e soprattutto vantaggio competitivo».
14 miliardi di PIL Ci sono ancora resistenze culturali nel mondo del lavoro, ma le imprese dovrebbero considerare l’adozione di questi approcci, come un normale processo di valutazione di innovazione organizzativa, teso al recupero della produttività ma soprattutto alla creazione di esperienze. Si tratta, aggiunge Palermo: «di uno strumento potentissimo, culturale e organizzativo e non solo tecnologico che merita di essere compreso e adottato più di quanto fatto finora». Per concretizzare questa affermazione, il manager cita i dati del Politecnico di Milano. In particolare, tali dati mostrano i vantaggi concreti, ottenuti dalle imprese che pure stanno crescendo. Addirittura, i dati del Politecnico mostrano come si potrebbe ottenere un effetto benefico sul Pil del Paese pari circa a 14 miliardi di euro. Eppure, spesso, lo smart working viene semplicemente usato come sinonimo del vecchio “telelavoro” e inteso come svolgimento delle mansioni lavorative da casa o da remoto. Secondo la visione di Avaya, invece, lo smart working è un’opportunità di cambiamento strategica
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per le imprese. «È flessibilità, occasione di innovazione organizzativa e cambiamento culturale, ottimizzazione delle performance, valorizzazione del work-life balance, oltre che espressione dell’efficienza di un’organizzazione che deve aumentare la propria resilienza e velocità per sopravvivere e competere nell’era della dematerializzazione e della digital transformation», sottolinea ancora il manager italiano. Palermo, inoltre, aggiunge anche il tema, molto attuale, del lavoro in team. Questa tipologia di “workforce” è sempre meno tollerante rispetto alla mancanza di flessibilità, da un lato e di arretratezza della dotazione tecnologica dall’altra. del resto si tratta di mettere i lavoratori nelle migliori condizioni possibili per produrre. Per altro, sempre secondo la visione di Avaya, l’experience è la vera meta della digital transformation e, di riflesso, anche dello smart working. In futuro trasformazione digitale sarà sempre meno collegata ai benefici tradizionali come la riduzione dei costi, e sempre più sarà indirizzata a ridefinire le esperienze di clienti, partner e dipendenti. In questo contesto, è evidente che l’ufficio tradizionalmente inteso non ha senso e viene sostituito da un posto di lavoro digitalizzato. Palermo, però, aggiunge anche: «La collaborazione oggi più che mai costituisce il cuore dell’impresa dove prevale lavoro dei team rispetto a quello dei singoli individui, potendo lavorare da ogni luogo e in qualunque momento». Abbiamo comunque bisogno di ritrovare un nuovo spazio di collaborazione intorno a noi. Se la tecnologia è un supporto indispensabile,
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avverte Palermo, il il cambiamento deve partire necessariamente dal tempestivo ripensamento delle organizzazioni verso nuove modalità di lavoro e di collaborazione all’interno degli eco-sistemi aziendali estesi, come pure all’interno delle istituzioni pubbliche. Anche per questo Palermo ha apprezzato la citata direttiva del ministro della Pubblica Amministrazione Dadone, in cui ci so indicazioni importanti che segnano una svolta rispetto a ipotesi di irrigidimento dei controlli. Una esperinza che speriamo diventi un caso di successo, grazie all’emergenza, per continuare dopo. Del resto, afferma ancora il country manager di Avaya,: «Se analizziamo bene le nostre città, le nostre comunità e le nostre stesse aziende, vediamo che sono già da tempo in affanno e gli Smart Workers potrebbero essere la chiave di volta per un miglioramento generale delle attività in un’ottica senz’altro più sostenibile da tutti i punti di vista». Conclude Palermo: «Bisogna puntare su una multiexperience dei sistemi e app di collaborazione per superare i confini organizzativi aziendali, a creare ponti di maggiore contatto, efficienza e produttività». Per farlo bisogna avere anche il coraggio di accelerare il rinnovamento tecnologico, senza rimanere vincolati agli ammortamenti, sapendo di poter migliorare le performance aziendali. v
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Covid-19 e smart working: rischi e vantaggi per Kaspersky Cittadini e lavoratori costretti in casa ricorrono allo smart working, ma non tutti sono preparati. Un’occasione per riesaminare le politiche per l’accesso da remoto e sfruttarne i vantaggi di Gaetano Di Blasio
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o smart working anche in diretta televisiva, con gli anchorman, i giornalisti e gli ospiti che intervengono da casa, è la conseguenza della pandemia di coronavirus e delle misure messe in atto dal canale televisivo Sky TG24. Un messaggio forte di come tutti stiano abbracciando le opportunità dello Smart Working. Negli ambiti in cui ciò è possibile, le aziende stanno concedendo a più persone di lavorare da remoto. Gli esperti di Kaspersky credono che per le imprese, questa debba essere anche un’occasione per verificare le misure per la sicurezza dell’accesso da remoto ai propri sistemi.
5 raccomandazioni Più in dettaglio vengono suggerite cinque raccomandazioni per verificare le prassi aziendali e il rispetto delle policy per la sicurezza. 1. Fornire una VPN ai dipendenti per consentirgli di
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connettersi in modo sicuro alla rete aziendale; 2. Proteggere con un software di sicurezza appropriato tutti i dispositivi aziendali, inclusi laptop e dispositivi mobili (per esempio, consentendo di cancellare i dati dai dispositivi di cui è stato denunciato lo smarrimento o il furto, separando i dati personali e quelli di lavoro e limitando le applicazioni che possono essere installate); 3. Effettuare sempre gli aggiornamenti di sistemi operativi e applicazioni; 4. Limitare i diritti di accesso delle persone che si collegano alla rete aziendale; 5. Assicurarsi che il personale sia consapevole dei pericoli derivanti dalla risposta ai messaggi non richiesti. A causa del Coronavirus, si aggiungono altre criticità, dovute a un ricorso “improvvisato” allo smart working. Infatti molte imprese hanno semplicemente permesso o imposto ai lavoratori di usare i propri dispositivi non aziendali, collegandoli a reti domestiche, non sempre dotate di livelli di sicurezza adeguati. Quindi aumentando i rischi. Per questo, gli esperti di Kaspersky sollecitano le aziende a mantenere alta la guardia. Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky dichiara: «Raccomandiamo alle aziende di essere particolarmente vigili in questo momento. Tutte le organizzazioni dovrebbero garantire un accesso sicuro anche da remoto e dovrebbero assicurarsi, attraverso una chiara comunicazione, che i propri dipendenti siano consapevoli dei possibili rischi informatici in cui possono incorrere lavorando da casa. Oltre ad un notevole aumento dei dipendenti in smart working, abbiamo rilevato anche diversi casi di criminali informatici che cercano
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di sfruttare il virus nascondendo file dannosi in documenti che sembrano essere collegati al Coronavirus. Considerato l’approccio opportunistico da parte dei criminali informatici e tenuto conto dell’aumento di accessi da remoto da parte dei dipendenti, le aziende dovrebbero prestare molta più attenzione alla sicurezza della propria rete». È molto importante, inoltre, concentrare l’impegno sul comportamento dei dipendenti nell’utilizzo degli strumenti aziendali e, soprattutto, della rete Internet. È comprensibile la ricerca spasmodica di informazioni sull’attuale pandemia in momenti allarmanti come questi, ma il consiglio di controllare le fonti e diffidare sempre, è quanto mai rilevante. Gli analisti di Kaspersky hanno rilevato file dannosi che si presentavano come documenti relativi al coronavirus. Per esempio pdf, mp4 e docx, il cui nome attirava i tanti preoccupati dalla pandemia. Il nome dei file suggeriva che fossero istruzioni video su come proteggersi dal virus, aggiornamenti sulla minaccia e persino procedure di rilevamento dello stesso, quello biologico, ma intanto miravano a “infettare” il dispositivo informatico dell’utente. Gli esperti prevedono che questi attacchi sono destinati a durare a lungo. In particolare, Anton Ivanov, Malware Analyst di Kaspersky ha dichiarato: «Finora abbiamo osservato solo 10 file unici ma, come spesso succede con argomenti di interesse generale, prevediamo che questa tendenza possa crescere. Tenuto conto che si tratta di un tema che sta generando grande preoccupazione tra le persone di tutto il mondo, siamo certi che rileveremo sempre più malware che si nascondono dietro a documenti falsi sulla diffusione del coronavirus».
Non perdere i vantaggi dello smart working Già nel 2017, i ricercatori della Stanford University avevano scoperto che chi lavorava da remoto fosse più produttivo del 13% rispetto agli
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Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky
impiegati tradizionalmente operativi all’interno degli uffici aziendali. Quello stesso anno un censimento del United State Censius Bureau, mostrò che 8 milioni di persone quell’anno avevano lavorato da casa. In Italia, Lo Smart Working è partito da tempo, ma solo nel 2016 la vecchia legge che, regolamentava il “Telelavoro” è stata riformata allargando le opportunità di impiegare il Lavoro Agile, che, in molti contesti si è rivelato molto efficace e apprezzato da lavoratori e imprenditori. Oltre allo spazio e all’affitto risparmiato eliminando le scrivanie, il vantaggio principale del lavoro da remoto, spiegano i manager di Kaspersky, è la maggiore motivazione del dipendente, mentre alcune ricerche suggeriscono che il 58% dello staff sia motivato dalla flessibilità offerta. Il risultato da ottenere consiste nella maggiore produttività. Gli uffici possono essere luoghi difficili, rumorosi e affollati ma allo stesso tempo offrono la possibilità di fare amicizie e stimolare lo spirito di squadra. Si tratta di trovare il giusto equilibrio, sfruttando anche le tecnologie digitali e avendo cura della sicurezza dei dispositivi utilizzati.
Assenteismo ridotto L’Office of National Statistics britannico ha fatto uno studio sull’assenteismo, calcolando che ogni anno, per diversi motivi, si perdono centinaia di milioni di giorni lavorativi, ma in tempi di Coronavirus non occorre fare calcoli: è ovvio che lo smart working permette di ridurre molte delle ore perse.
Maggiore fidelizzazione È più probabile che i dipendenti si impegnino a lungo termine in favore di un’organizzazione se si sentono apprezzati nella loro singolarità e incoraggiati a vivere nel modo migliore per loro. Il lavoro da remoto elimina il pendolarismo, restituendo tempo utile per la vita moderna. v
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Il cloud financial management a supporto del workplace Matrix42 fornisce soluzioni e servizi unificati per ottimizzare i costi e massimizzare l’efficienza nella gestione dell’IT e della sua governance di Gaetano Di Blasio
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ttimizzare il workplace in azienda non è solo una questione di risparmi su spazi e affitti ridotti dall’uso dello smart working. Un’accurata gestione dei dispositivi aziendali, delle licenze software, del cloud e di tutto quello che supporta il workspace management permette non solo di ridurre le spese, sia capex sia opex, ma di aumentare efficienza e produttività. Ne abbiamo parlato con Roberto Casetta, Vice President of Global Sales di Matrix42, una software house tedesca in forte crescita, presente da circa due anni in Italia, che si sta espandendo a livello internazionale grazie a un modello di vendita che combina soluzioni e servizi per ottimizzare l’ambiente di lavoro digitale. «Forniamo soluzioni a supporto del workspace management, quindi tutto ciò che occorre per gestire postazioni e ambienti di lavoro in aziende appartenenti a ogni settore produttivo, con l’obiettivo di garantire il funzionamento dei dispositivi, dei software installati su questi device e di servizi e i processi che possono essere richiesti
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dagli utenti finali», ci spiega il manager, che aggiunge: «Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una significativa crescita nell’uso delle tecnologie mobili in Europa. In precedenza, i fattori che hanno guidato l’innovazione sono stati la mitigazione del rischio e il controllo dei costi; oggi, il focus si è totalmente spostato sull’incremento della produttività e l’“employee experience”. Ad ogni modo, la sicurezza IT rimane una delle massime priorità dei manager IT e, in particolare, nel 2020, il maggior driver in ambito sicurezza dei dati sarà la User and Environmental Behavior Analysis (UEBA). In questo panorama, capire il contesto e lo scenario è la chiave del successo, e la capacità di gestire i dispositivi a 360 gradi è il fattore cruciale di cui siamo esperti». Più in dettaglio, il manager italiano ci fa l’esempio di una tipica gestione per la distribuzione del software, che comprende aver cura del mantenimento, compresi upgrade, update, patch management e tutto quello che c’è dietro.
Secure digital workspace A ciò si aggiunge una componente di sicurezza che non consiste nelle soluzioni classiche per la cyber security, come l’antivirus, ma la sicurezza del device stesso. In pratica si tratta di device control e application control, che consistono nel controllare l’acceso e l’usabilità del dispositivo, per esempio disattivando o attivando una connessione wireless, una porta USB o altro. Questo concetto di secure digital workspace è poi completato da un’importante componente di service management.
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Service management Questa parte implica la capacità di saper gestire tutti i classici servizi a supporto dell’IT, a partire dall’help desk, fino a poter soddisfare la richiesta di servizi che vanno oltre l’IT, come la fornitura di assistenza al personale o altri tipi di supporto. Una parte delle richieste di supporto è per esempio collegato ai device gestiti da remoto ed è semplice intervenire per il ripristino di un laptop o di una applicazione. «I nostri strumenti di service management offrono soluzioni automatizzate e su misura per il cliente che le richiede, pertanto è possibile e rispondere in modo pratico e veloce agli imprevisti, evitando che la produttività dei team ne risenta», spiega Casetta. Secondo le stime calcolate dall’azienda tedesca, per ogni 1.000 dipendenti in un’impresa ci sono 2.500 dispositivi da gestire. In buona parte si tratta di device mobili, cui si aggiunge tutto il mondo dei server insieme alla parte applicativa che oggi, con virtual machine e application in cloud, diventa sempre più complicata da gestire e, soprattutto, misurare: «L’elevato numero di dispositivi utilizzati nelle moderne aziende rende più complicato, rispetto al passato, il censimento accurato dei dispostivi e dei database installati e richiede il coinvolgimento attivo dello staff e dei sistemi preposti. Soprattutto nelle grandi organizzazioni, con la facilità con cui si espandono le strutture in cloud, la gestione diventa difficile; dunque occorre specializzarci, definendo il concetto di cloud financial management», afferma il manager. «I grandi provider fanno pagare per spazio occupato e/o per utilizzo delle CPU, cioè a consumo. Diventa quindi importante avere una chiara evidenza di quanto consumo ed eventualmente ottimizzare questi consumi. Per questo è fondamentale avere sotto controllo quante licenze ho installato, quante sono attive e, contemporaneamente, quanti utenti
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Roberto Casetta, Vice President of Global Sales di Matrix42
lavorano: poter conoscere l’andamento statistico dei consumi sul medio e lungo termine permette di ottimizzare i costi quando vado su cloud e chiarire se mi conviene adottarlo, perché questo non è una scelta automatica», sottolinea Casetta. Le complessità da considerare sono molteplici: il vantaggio messo a disposizione da Matrix42 è, in primo luogo, un’unica soluzione con vari moduli, come la Chatbot che funge da assistente personale. La chatbot fornisce risposta a ogni genere di problematica IT grazie a un motore di artificial intelligence che apprende di continuo, sgravando le operazioni del team. I vari moduli consentono di gestire le diverse esigenze, ma il tutto è unificato in un’unica interfaccia. Ci spiega il manager italiano: «I nostri clienti spesso ci scelgono perché cercano una soluzione a un problema specifico: c’è chi parte da un modulo, chi da un altro, e poi sposa l’intera soluzione». Frequentemente il “punto di accesso” è la classica soluzione di SAM (Software Access Management), diventata importante da quando i software vendor hanno iniziato a pianificare auditing a sorpresa per controllare le licenze in aziende grandi, medie e piccole. Matrix42, in particolare, è certificata da KPMG per attestare la conformità d’uso immediatamente, in altre parole risparmiando i tempi lunghi dei controlli che abbattono la produttività aziendale. Il modello di Matrix42 incontra i bisogni dei clienti ed è questo il motivo della forte crescita, supportata dall’ingresso, nello scorso anno, di oltre 300 nuovi clienti. L’obiettivo per Casetta è ora quello di espandere le attività attraverso una solida rete di partners sul territorio. v
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Il tunnel di Barracuda rende sicuro lo smart working Casi studio nel supporto per le emergenze in ASL e GDO, mentre gli hacker sfruttano il Coronavirus di Gaetano Di Blasio
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ulla sarà come prima, in Italia, osserva Stefano Pinato, country manager di Barracuda Networks pensando a come tanti lavoratori hanno sperimentato lo smart working e a quelli che grazie al lavoro da remoto hanno potuto continuare a esercitare la propria professione. «Noi di Barracuda Networks da gennaio ci stiamo occupando praticamente solo di progetti urgenti, legati al Coronavirus», racconta Pinato. Tra questi anche una Asl della zona rossa, che in tempi rapidi ha dovuto “spostare” il personale non necessario in ospedale, evitando che molti lavoratori rischiassero il contagio e permettendo loro di essere utili, lavorando da casa. Di fatto, una massa di persone ha dovuto sperimentare nuove modalità di operare ed è facile immaginare che una buona percentuale di queste non tornerà indietro, sostiene il country manager, che riporta un’altra esperienza diretta affrontata da Barracuda Networks durante la fase iniziale dell’emergenza, riguardante una delle principali realtà della GDO (Grande distribuzione
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Organizzata). Quest’ultima ha visto crescere vertiginosamente il traffico sul sito per le richieste di consegne a domicilio: dai 2mila utenti contemporanei di fine febbraio a 5mila il 2 marzo, poi saliti l’8 marzo a 30mila. «Abbiamo dovuto moltiplicare per quattro le risorse in tempi rapidissimi, riuscendo a sostenere l’offerta, finché l’azienda ha dovuto arrendendosi solo a causa delle difficoltà logistiche: mancavano i camion», rivela Pinato.
Luci e ombre dello smart working Il passaggio allo smart working, però, non è semplice. Ci sono difficoltà da superare a cominciare dal cambio culturale, soprattutto di alcuni capiufficio, che devono imparare a misurare i risultati con nuovi indicatori di produttività. Il country manager di Barracuda ci racconta, al riguardo, il caso di un’azienda tirolese che non aveva intenzione di adottare lo smart working, rifiutandolo a priori. L’8 marzo, con il blocco delle attività non essenziali, si sono arresi. Provando, hanno capito che funziona e porta vantaggi, con ripercussioni positive sull’inquinamento dovuto al minor traffico, per esempio, o anche sulla soddisfazione del lavoratore e sulla sua produttività. Una delle difficoltà che l’Asl di cui sopra ha dovuto affrontare riguarda la dotazione di strumenti informatici a disposizione del personale “dirottato” a casa: 500 persone. Teoricamente, potrebbero essere acquistati. Nella situazione venutasi a creare, i fondi sono stati inevitabilmente utilizzati per l’emergenza medica. Quindi, si sono dovuti usare i dispositivi personali di ciascuno, con
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grandi rischi per la sicurezza, poiché privi di protezione adeguata, nonché eterogenei. Barracuda Networks ha però risolto il problema, grazie alle capacità dei propri sistemi di accesso remoto e CudaLaunch, che consente di creare una sorta di tunnel tra l’azienda e il dispositivo utilizzato, fornendo la massima sicurezza possibile, ci spiega Pinato. CudaLaunch è un’applicazione per dispositivi Windows, macOS, iOS e Android che fornisce ai lavoratori in smart working accesso sicuro attraverso Barracuda Remote Acces alle applicazioni cloud private delle loro organizzazioni e ad altre informazioni sensibili.
L’ignominia dei cybercriminali
Stefano Pinato, Country Manager di Barracuda
Le organizzazioni di cyber criminali mostrano il loro lato peggiore, sfruttando anche questa occasione per organizzare campagne malevole. I ricercatori di Barracuda Networks hanno notato un costante aumento del numero di attacchi via email collegati al tema Coronavirus/ COVID-19 da gennaio scorso e osservato un picco in questo tipo di attacco, in crescita del 667% dalla fine di febbraio. Il phishing è principale il tipo di minaccia: varie, infatti, le campagne che sfruttano la paura e il bisogno di tenersi aggiornati. Tramite la posta elettronica sono applicate tattiche di phishing comuni che si osservano regolarmente; tuttavia, un numero crescente di campagne fa leva sul coronavirus per tentare di ingannare gli utenti distratti, sfruttando la paura e l’assenza di certezze delle vittime designate. L’FBI ha recentemente diffuso un avviso su questo tipo di attacchi.
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Gli analisti di Barracuda Networks hanno identificato tre tipi principali di attacchi relativi a phishing, che utilizzano temi legati al Coronavirus COVID-19: “truffa”, “brand impersonation” e “business email compromise”. Più in dettaglio, attraverso i rilevamenti di Barracuda Sentinel soluzione di intelligenza artificiale per la difesa in tempo reale da spear phishing e frodi online - i ricercatori hanno osservato che, fino al 23 marzo, il 54% degli attacchi erano relativi a truffe, il 34% riguardavano attacchi di brand impersonation e l’1% il BEC (Business Email Compromise). Se si notano anche attacchi con tecniche più sofisticate, come il conversation hijacking, d’altro canto gli analisti di Barracuda hanno registrato un numero significativo di tentativi di ricatto. La pressione dei cybercriminali sulle truffe è in crescita: al 17 marzo, gli attacchi di phishing legati al Coronavirus individuati da Barracuda Sentinel erano al 77% truffe, 22% tentativi di brand impersonation e 1% BEC. Essendo il tema universale, è comprensibile che gli attacchi BEC siano bassi, mentre si dimostra sempre più ignobile il comportamento di cyber criminali che non smettono di attaccare gli ospedali. Gli hacker malintenzionati più esperti sanno come approfittare dei punti deboli; come dimostrano da tempo le campagne di “sextorsion” o di ramsonware, che riescono nell’intento di provocare imbarazzo e paura nelle persone al fine di sottrarre loro denaro. Per esempio con il ricatto, perpetrato magari attraverso il ramsonware soprannominato “Coronavirus, unico virus informatico ad avere un omonimo biologico. Tra le principali azioni maligne, appaiono particolarmente ignobili quelle che fanno leva sullo spirito di solidarietà, come quelle che invitano a donare soldi a strutture, come la protezione civile o a una delle tante sanitarie e, invece indirizzano a falsi siti ben camuffati, gestiti dal cyber crime. v
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Automotive più smart con il VoIP su reti IP e in cloud
stesso tempo, la carenza di statistiche attendibili sul contributo della telefonia alla produttività aziendale. «Si tratta di carenze che non solo minano l’efficacia dei processi commerciali implementati dalle concessionarie ma anche la loro capacità di fidelizzare il cliente, poiché sviluppati su una base di informazioni incompleta», evidenzia Piccini. In questo un aiuto è fornito dal VoIP. Dal punto di vista aziendale, un’infrastruttura VoIP resiliente, combinata ad un Pbx VoIP di nuova generazione in grado di interfacciarsi con gli applicativi e i sistemi informativi aziendali, consente di analizzare i picchi delle chiamate e quanto personale dedicare alla gestione di chat e chiamate, in quali orari o nel di Giuseppe Saccardi fine settimana. Tramite l’interazione nativa on il progredire delle tecnologie e con la prospettiva con le soluzioni CRM è posdell’adozione di nuove infrastrutture di comunicazione sibile altresì correlare i log come la 5G atte a favorire un modo di cooperare sempre più delle chiamate in arrivo o in smart, le prospettive con cui ci si rivolge alle telecomunicauscita al processo di vendita zioni sono destinate a mutare. per generare statistiche atTuttavia, le Tlc sono per lo più ancora percepite come l’unico tendibili in merito all’intero strumento per mettere in contatto le persone. Di certo quepercorso. Tale integrazione e Michele Piccini, CEO di IPKom sto è vero ma con l’evolversi degli strumenti di cooperaziole funzionalità di numero unine e tecnologie quali il VoIP, si è usciti dallo stretto ambito co consentono inoltre di indidelle infrastrutture e si è approdati in quello più rizzare chi chiama al giusto interlocutore in base ampio delle applicazioni business anche in settori al numero chiamante. sino ad ora poco permeabili. Creare un contesto smart evita al cliente di dover «Nelle organizzazioni commerciali che fanno capo spiegare a terzi l’intera situazione più volte per al settore automotive, migrare al VoIP non è più essere poi inoltrato al collaboratore di riferimenquestione di rendere fissi i costi altrimenti varia- to; permette invece all’addetto di essere informabili della telefonia ma, trattandosi di un servizio to automaticamente della chiamata ricevuta, di critico per l’impresa, di dotarsi di un’infrastruttura registrare tale informazione nel CRM o in sistemi concepita secondo il criterio della massima resi- di gestione del workflow, qualora in quel momenlienza e sicurezza, in grado di integrarsi piena- to l’addetto non possa effettivamente rispondere. mente con gli strumenti di business intelligence Non ultimo, diventa possibile sapere se una vendi cui sono dotate» osserva Piccini, CEO di IPKom. dita ha avuto origine con una telefonata e quindi Sono numerosi i casi in cui IPKom ha riscontra- analizzare l’effettivo contributo delle telecomuto presso concessionarie mono o multi-sede la nicazioni alla produttività aziendale, rispetto ad presenza di sistemi di BI all’avanguardia ma, allo altre modalità di contatto. v
Migrare al VoIP permette di dotarsi di un’infrastruttura resiliente e sicura in grado di integrarsi con il CRM, gli strumenti di BI e di gestione del workflow
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Con Snom SRAPS servizi a valore erogati anche da casa
che permette loro di gestire il parco installato e analizzare e risolvere da remoto e gratuitamente le problematiche in cui possono incorrere i terminali IP. L’obiettivo del servizio, ha spiegato Snom, è quello di permettere alle aziende di rispondere alle esigenze della propria clientela in modo efficiente, nonostante la possibile carenza di personale o il verificarsi di situazioni che non consentono di recarsi presso il cliente stesso, ad esempio installare nuovi telefoni, modificarne la configurazione, aggiornare il firmware dei terminali. Tutti compiti che con SRAPS possono essere svolti dai tecnici dei partner anche da casa. Mark Wiegleb, Head of Interop & SI tratta però, ha commentato di Giuseppe Saccardi Integration di Snom Technology l’azienda, di uno strumento utile in generale, e non solo innegabile che il centralino telefonico e i telefoni IP impiegati in azienda nella situazione contingente, perché consente di costituiscano la colonna portante delle comunicazioni di qualsiasi organiz- ridurre al minimo la necessità e i costi che derivano zazione e di norma si tratta di soluzioni personalizzate. da eventuali appuntamenti in loco, e che di conInterruzioni del servizio o malfunzionamenti richiedono un intervento imme- seguenza permette di semplificare e velocizzare i diato. Modifiche all’impianto e ai terminali, l’aggiunta di ulteriori interni o la tempi di messa in opera e di passaggio in esercizio configurazione dell’accesso dei telefoni al sistema tramite VPN vanno imple- di nuove installazioni. mentate in tempi brevissimi. «Con SRAPS i partner dispongono di un’arma in In questo momento, tuttavia, soddisfare l’esigenza di adeguare anche l’infra- più per fidelizzare la propria clientela a lungo terstruttura per la telefonia aziendale all’attuale situazione risulta problematico mine. Se da un lato riuscire a gestire in maniera perché le aziende non gradiscono ricevere personale tecnico esterno, a cui perfetta le richieste più diverse della clientela in comunque viene richiesto di ridurre gli spostamenti il più possibile. qualunque situazione contribuisce ad incrementarne significativamente il livello di soddisfazione e SRAPS, servizio all’utente senza rischi lealtà, dall’altro la clientela ha la certezza che il e con meno costi proprio fornitore dispone di strumenti ottimali per Per far fronte a questa esigenza Snom, produttore garantire che i terminali vengano costantemente internazionale di terminali IP per l’uso professiona- manutenuti e adattati tempestivamente a nuove le, ha annunciato la disponibilità del suo servizio esigenze», ha commentato Mark Wiegleb, ReSRAPS (acronimo di Secure Redirection and Provi- sponsabile del dipartimento Interop&Integration di sioning Service), uno strumento rivolto ai partner Snom Technology GmbH. v
Snom ha reso disponibile un servizio gratuito di configurazione automatica dei terminali via cloud che consente di soddisfare da casa le esigenze dei client
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L’E-COMMERCE SI PREPARA PER LE NUOVE REGOLE EUROPEE Davide Gallino, Direttore dell’Ufficio Sviluppo Servizi Digitali dell’AGCOM, Illustra i piani relativi alla direttiva eCommerce di Gaetano Di Blasio
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idea è di creare un mercato integrato a livello europeo. Un digital single market in cui ci siano poche regole chiare, con una minima responsabilità della piattaforma. La struttura c’è, si stanno operando delle modifiche, per venire incontro a nuove esigenze, che tengono conto di comportamenti non consoni, quali quelli relativi a haters o fake news. Soprattutto. Si deve tener conto di un più ampio concetto di digital shopping, nel quale non si possano applicare meccanismi di geobloking nelle nazioni dell’UE, come sancito nel 2018. Nel 2019, inoltre è stata promulgata la tutela delle piccole e medie imprese sui marketplace, che entrerà in vigore il 12 luglio 2020. Trattandosi di un regolamento, verrà immediatamente applicata a differenza delle direttive che hanno tempi lunghi.
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Più precisamente, il Parlamento e in consiglio Europeo hanno varato un regolamento per evitare che i fornitori di tali servizi agiscano in violazione delle norme e dei principi di lealtà e buona fede. Il Regolamento si propone anzitutto di assicurare trasparenza e parità di trattamento all’interno del mercato europeo dei servizi online o, meglio, si applica ai servizi di intermediazione online e ai motori di ricerca online, a prescindere dal luogo di stabilimento o di residenza del fornitore di tali servizi e dal diritto altrimenti applicabile, forniti o proposti per essere forniti, rispettivamente, agli utenti commerciali e agli utenti titolari di siti web aziendali. Parte della strategia del mercato unico digitale è incentrata sulla definizione di un quadro di riferimento adeguato per il commercio elettronico e sulla prevenzione di un’ingiusta discriminazione nei confronti dei consumatori e delle imprese, coprendo non solo i servizi online, ma anche la pubblicità e altre attività, come i servizi di consegna e altri ancora, sempre per una massima trasparenza. Non ultimi i servizi digitali, cloud compreso. La commissione europea, come accennato, sta ancora cesellando la legge, in particolare sul tema della responsabilità della piatta-
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forma oline. Secondo alcune intepretazioni, infatti ci sono stati comportamenti che si è ritenuto essere scorretti, pertanto, si vuole intervenire con maggiore chiarezza, per rientrare nel solco della massima trasparenza. L’articolo 14 è quello che i regolatori guardano con maggiore attenzione, afferma Gallino. Esso regola l’hosting. In particolare, se rimaniamo nell’ambito eCommerce, il problema principale è appunto la responsabilità dell’host che nega di vendere, sostenendo di mettere a disposizione soltanto un punto di scambio, come, per esempio è tipico nei casi di bagarinaggio, dove si innescano anche reati fiscali.
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La direttiva sul commercio elettronico che si intende varare dovrà dirimere queste situazioni, quasi certamente, secondo Gallino, adottando tre distinzioni fra: servizi online, servizi passivi e servizi attivi. Inoltre si vogliono estende ld protezioni di responsabilità solo ai fornitori di servizi che svolgono un ruolo neutro, cioè meramente tecnico e passivo nei confronti dei contenuti ospitati. In pratica, per tutelare i fornitori di hosting, s’intende andare oltre la semplice definizione di hosting e tener conto della diversità dei servizi online. Per esempio, il provider che ospita contenuti illeciti, viene tutelato se il contenuto risulta criptato e quindi invisibile per l’lhost. v
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L’e-commerce che salva dall’emergenza Con la chiusura dei negozi fisici l’e-commerce diventa la principale fonte di business. Comprendere rischi e opportunità è fondamentale, come spiega Maurizio Alberti di Mapp Digital
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di Paola Saccardi
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n tempi di crisi, come quella causata dall’emergenza sanitaria per la diffusione del Covid-19, l’utilizzo dell’e-commerce rappresenta un’importante fonte di opportunità per salvaguardare il business che, invece, viene a mancare nei negozi fisici. Per le aziende che hanno già sviluppato un canale e-commerce e lo hanno affiancato a quello delle vendite nei negozi si tratta di eventualmente mi-
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Maurizio Alberti, VP Global Sales di Mapp Digital
gliorare i processi per sostenere la nuova ondata di acquisti che potrebbero riversarsi in questo canale. Queste aziende dovrebbero chiedersi se il proprio e-commerce sia pronto a reggere un traffico da “Black Friday” per un periodo di alcune settimane che potrebbero diventare mesi. Per chi ancora si trova ad avere un e-commerce assente o poco sviluppato, invece, la sfida potrebbe essere maggiore, ma sempre resterebbe un’opportunità da considerare al più presto per sostenere le vendite che potrebbero altrimenti calare drasticamente. In generale, comprendere i rischi e le opportunità di questo scenario e agire tempestivamente è una missione importante e complessa. Come spiega Maurizio Alberti, VP Global Sales di Mapp Digital, società che fornisce la piattaforma di customer engagement Mapp Cloud: «Questo momento potrebbe rappresentare una svolta epocale nell’apertura alla multicanalità, anche da parte di clienti che fino ad oggi hanno resistito conservando le abitudini d’acquisto tradizionali. Allo stesso tempo è un incentivo per ogni azienda con un e-commerce a puntare maggiormente sulla conoscenza dei clienti e del customer journey digitale, nonchè sulla personalizzazione dei contenuti durante la navigazione e in generale sul monitoraggio in tempo reale delle performance per intervenire tempestivamente nel migliorare l’esperienza del cliente». In una situazione come quella causata dall’emergenza Corona virus le aziende si ritrovano a dover spostare investimenti dal “drive-to-store” al “drive-to-online-store”, il che significa aumentare il budget digitale e rivedere il contenuto dell’advertising offline, come per esempio l’utilizzo di spot televisivi. Si rende necessario individuare quali
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siano i canali e quali i formati che generano traffico di migliore qualità e maggiore rendimento, ma per farlo bisogna anche avere a disposizione gli strumenti corretti. «Con l’aumento esponenziale del traffico web, ogni piccolo miglioramento può generare un risultato amplificato rispetto a un periodo normale. Comprendere con precisione che cosa accade sul sito e poter intervenire, ad esempio, per migliorare il funnel dei carrelli abbandonati diventa, mai come adesso, un fattore cruciale nell’impatto sul fatturato dell’ecommerce» spiega Alberti. Inoltre, molti possono essere i nuovi clienti che inizieranno a utilizzare il canale dell’e-commerce per la prima volta, e quindi diventa importante accoglierli in maniera personalizzata, e prepararsi a possibili anomalie nel customer journey, trattandosi appunto di una clientela diversa dal solito e abituata all’esperienza d’acquisto offline. In questo caso è anche consigliabile chiedere un feedback dopo l’acquisto per poter comprendere se è necessario offrire maggiore supporto a questi clienti nel caso vengano segnalate difficoltà oppure esperienze non totalmente positive. Soprattutto se tra questi nuovi clienti potrebbe esserci anche una fetta di clienti fedeli che acquistano solitamente nei negozi tradizionali e si trovano a dover cambiare le proprie modalità di acquisto. Sarebbe utile in questo caso individuare questi clienti e personalizzarne l’esperienza sull’e-commerce in base al loro comportamento offline, così da alimentare ancor di più la fidelizzazione al brand. L’importante è riuscire a trasformarli in clienti abituali del negozio virtuale, magari intervenendo durante la navigazione con messaggi che li invitino a restare in contatto con il brand tramite i canali a loro più congeniali, come per esempio la newsletter, le app oppure, per una clientela più senior e di solito meno abituata all’uso di strumenti digitali, tramite campagne sms. v
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E4Com 2020 disegna il futuro del commercio elettronico Le dinamiche del mercato, il networking, i casi di studio e un premio in otto categorie, tutto in un solo giorno di Gaetano Di Blasio
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uperando le aspettative, già alte, l’evento 4eCom si è confermato un appuntamento di riferimento per gli addetti del commercio online: più di 450 partecipanti, oltre il 60% dei quali ecommerce e Marketing Manager. Una formula vincente, che presenta molte occasioni di confronto, possibilità di delineare strategie e di aggiornarsi sulle innovazioni. Lo dimostrano i 250 gli iscritti ai 9 workshop in programma e gli oltre 350 incontri one to one fissati durante la giornata. Grande successo anche, per le 15 presentazioni della sessione plenaria. Transactionale, Competitoor, Qapla’ e Intergic, gli organizzatori possono dirsi più che soddisfatti, anche considerato che, oggettivamente si è calcolato un 30% in più di presenze, rispetto al 2019. Per questo Marianna Chillau, CEO & CO-Founder Transactionale, Davide Lugli, CEO & CO-Founder Competitoor e Roberto Fumarola, CEO & Founder Qapla’ e Marco Albonetti Partner & COO di Intergic, affermano in coro che questa edizione (la terza ndr) è stata “sorprendente”, oltre che una conferma della bontà dell’idea iniziale. Questa si arricchisce con l’istituzione del Premio 4Ecom,
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ideato per far risaltare l’eccellenza italiana nell’ambito dei siti di commercio elettronico che “sono diventati dei veri e propri ambasciatori del nostro Made in Italy”, rimarcano gli organizzatori.
Gli otto vincitori del Premio4eCom Otto i vincitori, che sono stati valutati e votati da una giuria molto ampia, tanto che citiamo solo alcuni fra i più noti, come: Paola Bonomo, Advisor e Business Angel, Giulia Chiari, Head of Partnership AliExpress gruppo Alibaba, Valentina De Nicola, Head of eCommerce di Facebook, Veronica Diquattro, Executive Vice President Southern Europe di DAZN, Francesca Gabrielli, CEO di Assist Digital, Elena Lavezzi, Head of Southern Europe di Revolut. A essere premiati, ciascuno per la propria categoria sono stati: 1 - Miglior Visibilità: Gioiapura; 2 - Miglior User Experience: Efarma; 3 - Miglior Servizio Clienti: Family Nation; 4 - Maggior Crescita: Ventis; 5 - Miglior Sviluppo Omnichannel: Thun; 6 - Miglior Strategia Cross Border: Drestige; 7 - Miglior Sito Emergente: Piedomont Delights; 8 - Best of the Best: Deghi. Tanti temi affrontati e quindici casi di studio Come accennato, sono stati tanti i temi e le occasioni per approfondirli, dal marketing automation al dynamic pricing., che è destinato a cambiare molte delle regole dei giochi consolidati, come ha dimostrato uno degli interventi più seguiti :quello in cui Maximilian Lanaro, CTO & Founder di Competitoor e Gabriele Contilli, President & CoFounder di Rocket PPC, hanno parlato dell’impatto che il dynamic pricing può avere sulle vendite di un top retailer, dimostrando come, nell’ambito della tecnologia digitale di consumo, sia stato possibile sfidare il leader del settore, Amazon, sul suo terreno, aumentando il fatturato di oltre il
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43%, nel frattempo alzando i prezzi del 3%. Il caso è stato illuminante, poiché e il dynamic pricing è un tema destinato a crescere, nonché controverso. Si tratta di una strategia sempre più adottata nei servizi digitali in cui i prezzi dei prodotti o servizi si adeguano continuamente, a volte nel giro di poco tempo, in risposta alla domanda, all’offerta e alla competizione in tempo reale. La questione è che molti ritengono si ottenga sempre un abbassamento del prezzo, mentre Lanaro dimostra il contrario. Non è fortuna o magia ma tecnologia e strategia. In particolare è il category mananager, in questo caso, che definisce la strategia di prezzo, aiutato dalla tecnologia della piattaforma di Competitor. È infatti il category manager, secondo Lanaro, la persona che meglio di altri ha la conoscenza del mercato e il contatto diretto con i fornitori e con gli altri reparti. Tra gli altri casi raccontati dagli eCommerce manager: AmicaFarmacia, Black&Deker, BirredaManicomio.com, Bricobravo, Contigo, FCA, Marta’s Cottage, MTM Shop, TimeSquaree e altri ancora, con approfondimenti sui risultati ottenuti e gli strumenti utilizzati.
Aziende e soluzioni Un’area espositiva è stata realizzata per approfondire tecnologie, servizi dedicati o gli stessi casi di studio, nonché conoscere più da vicino alcune aziende di questo mondo, tra cui Transactionale, network di Cross Advertising in Italia e Spagna che offre agli eCommerce la possibilità di acquisire nuovi contatti, premiare la propria customer base e allo stesso tempo monetizzare; Qapla’, piattaforma online che semplifica la connessione tra i sistemi dei corrieri, CMS e marketplace e attiva i canali di comunicazione col cliente finale a partire dal tracking; Intergic, realtà che accompagna le aziende nel processo di selezione e adozione di strumenti per l’innovazione del business, selezionando tecnologie per e-commerce e digital marketing atte a rendere
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lo scenario digitale italiano competitivo a livello internazionale; Competitoor, azienda innovativa specializzata in monitoraggio prezzi e dynamic pricing. Tra i partner presenti vi erano anche Afone Participation, operatore di telecomunicazioni e pagamenti elettronici, quotata alla Borsa di Parigi sul listino Euronex, CleverReach, tool di e-mail marketing con oltre 240.000 clienti in 152 paesi, Connecthub, realtà che supporta le aziende nello sviluppo di una strategia distributiva omnicanale attraverso soluzioni digitali innovative e logistica integrata ad alto valore aggiunto, DMCommerce agenzia focalizzata sul digital marketing con un forte approccio data-driven, la software house ITT Web, Junsan Network, realtà che supporta le imprese nelle loro strategie di digital transformation e comunicazione digitale, l’agenzia SEO e di Digital PR Fattoretto, PonyU, azienda innovativa operante nel settore della logistica urbana, l’azienda di prodotti per imballaggio -anche personalizzati- Propac, QuestIT, azienda italiana specializzata nello sviluppo di tecnologie proprietarie di Intelligenza Artificiale e Vtex, piattaforma di e-commerce che fornisce tutta la tecnologia e gestisce l’infrastruttura necessaria alle aziende per vendere online migliorando al contempo le proprie prestazioni. Presenti anche Magentiamo e eCommerce School. v
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