Rivista Maria Ausiliatrice n.3/2011

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ANNO XXXII BIMESTRALE Nº 3 - 2011

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO

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Ausiliatrice,

prega per noi

pag.4 Coraggio

diciamo sì

Suor Yvonna Reungoat, Madre generale delle suore salesiane.

pag. 20 Don Bosco

ha 200 anni In cammino verso il bicentenario della nascita.

pag. 26 Poster Anche quest’anno Torino in festa per onorare Maria Ausiliatrice.


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Attività & iniziative

hic domus mea

Cari lettori, alcuni di voi ci hanno chiesto come diffondere la Rivista presso amici e conoscenti. Y Una soluzione è chiederci l’invio di una copia “saggio gratuito”, comunicandoci i loro nominativi e indirizzi. Ovviamente, la richiesta è possibile una sola volta l’anno per la stessa persona. Y Un’altra soluzione è regalare l’abbonamento ad altri. In altre parole, promuovere direttamente la conoscenza della Rivista, facendo un dono che – ci auguriamo – sarà apprezzato. In questo caso, come per tutti, l’abbonamento o il rinnovo alla Rivista sono annuali a decorrere dal mese successivo all’arrivo del versamento. La scadenza è indicata dai primi sei numeri sull’etichetta. Per esempio, 12/2011 significa che la scadenza è Dicembre 2011. L’abbonamento non rinnovato è sospeso sino a nuovo versamento.

inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980

Per motivi tecnici, il modulo di CCP è inserito anche nelle copie di quanti hanno già versato la quota di abbonamento. Ci scusiamo con loro e li ringraziamo per la fedeltà.

Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Rivista 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 http://rivista@ausiliatrice.net www.ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it

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La direzione

Collaboratori: Corrado Bettiga, Lorenzo Bortolin, Nicola Latorre

direzione.rivista@ausiliatrice.net

ANNO XXXII BIMESTRALE Nº 1 - 2011

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3 - CB-NO/TO

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come?

L’invito del Rettor Maggiore ad essere tutti, ogni giorno, migliori.

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pag.16 Battesimo

seconda nascita

Il Papa si racconta e ci esorta a riscoprire il suo valore..

pag. 20 Oratori

multietnici

Decennale AGS: quando l’accoglienza diventa risorsa.

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prega per noi

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e in abbonam ento postale

Ausiliatrice,

Poste Italiane

Poste Italiane

pag.4 Cristiani

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27-02-2004 n. 46) art. (conv. in Legge - D.L. 353/2003

27-02-2004 (conv. in Legge - D.L. 353/2003

Sei sempre

con noi Gesù

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1, comma 2

n. 46) art. 1,

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3 - CB-NO/TO comma 2 e n. 46) art. 1,

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In festa con Don

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ANNO XXXII BIMESTRALE Nº 3 - 2011

ANNO XXXII BIMESTRALE Nº 2 - 2011

pag.4 Emergenza

pag.16 Eucaristia

Facile incolpare i giovani. Una società senza spessore.

Il Papa ricorda la sua Prima Comunione e il valore del sacramento.

educativa

N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

pag. 32 Leader o

divi?

E noi stiamo a guardare? Le nostre responsabilità.

pag.4 Coraggio

diciamo sì

Suor Yvonna Reungoat, Madre generale delle suore salesiane.

pag. 20 Don Bosco pag. 26 Poster

ha 200 anni

In cammino verso il bicentenario della nascita.

Anche quest’anno Torino in festa per onorare Maria Ausiliatrice.


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La pagina del Rettore

Maria, l’Ausiliatrice Carissimi amici, pensare a maggio e pensare alla Vergine Maria è per noi un fatto quasi naturale, un richiamo interiore forte, reso a noi più vivo e profondo, celebrando nel nostro Santuario la sua gloria, con momento culmine il giorno 24, solennità di Maria Ausiliatrice, titolare della nostra Basilica. Come ogni anno, la festa vuole essere un momento di fervore e di intensità spirituale. La presenza di molti pellegrini, anche di tanti giovani, alle celebrazioni e nella processione conferma che la dimensione mariana della nostra fede è ancora viva, al di là delle “profezie” del secolarismo. Per noi cristiani il mistero della storia della salvezza, che ha come vertice la venuta di Gesù, continua ad essere vivo e presente nella nostra storia e nel nostro cuore. In questa vicenda, Maria, Madre di Gesù, occupa un posto particolare. Il popolo cristiano ne è sempre stato consapevole, si è rivolto a lei per averne aiuto, ne ha celebrato le feste, ha innalzato chiese in suo onore. Questo perché Dio l’ha scelta per cooperare al progetto di salvezza iniziato con l’Incarnazione. Le ha fatto la proposta, e la sua risposta è stata pronta: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Maria è modello di disponibilità, di amore generoso, di adesione totale a Dio, senza “ma” e senza “se”. È donna coerente e fedele alla parola data. È facile dire un “sì” all’inizio di un’esperienza, ma non è altrettanto facile essere coerenti sino alla fine, specie nei momenti di prova, di fatica e di sofferenza. Maria lo ha fatto e ci rappresenta al vivo il cammino, insieme faticoso e felice, a cui ogni cristiano è chiamato, verso la propria piena realizzazione, a cui ci spinge il progetto di Dio. Maria ci educa alla piena donazione

 Maria Ausiliatrice con il Bambino, particolare del noto dipinto di Tommaso Lorenzone conservato in Basilica. © Archivio RMA

al Signore, ci è vicina e ci infonde coraggio nel dire il nostro “sì” a Lui e ai fratelli. Oggi abbiamo soprattutto bisogno di coraggio per testimoniare la nostra fede, un coraggio che non ci appiattisca nella mediocrità e nella rassegnazione, che non permetta di adeguarci alle idee di moda, ma ci renda capaci di percorrere con entusiasmo il nostro cammino cristiano. Maria è “capocordata” in questo cammino. Sotto la sua guida e protezione, facciamo di questo mese di maggio un momento di intensa preghiera e di forte ripresa spirituale. Vi aspettiamo tutti il giorno di Maria Ausiliatrice: di persona o per i più lontani, in comunione con noi attraverso Telepace, che trasmetterà i momenti più salienti della festa. Don Bosco ci regali un po’ del suo amore a Maria. Con un vivo ricordo in Basilica. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net

 Il Rettore don Franco Lotto con il salesiano card. Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente della Conferenza episcopale dell’Honduras. Foto Notario

N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Editoriale

Il coraggio del sì I

l mese di maggio, nella religiosità popolare e nella tradizione salesiana, è un appuntamento annuale molto significativo. Per i cristiani è il mese dedicato alla Madonna che la Famiglia salesiana onora come Ausiliatrice. Incontrando Maria nelle pagine del Vangelo e pensando alla sua presenza continua nella storia della Chiesa e dell’umanità, si accende nella mente e nel cuore un desiderio mai saziato di conoscerla, di ammirarla, di imitarla. A questa giovane donna viene fatta una richiesta che supera ogni previsione umana: il coraggio del sì. La risposta affermativa di Maria deciderà il futuro dell’umanità. È un annuncio che irrompe nella sua vita e le attraversa l’anima. La sua esitazione nasce dalla volontà di accogliere il progetto di Dio e di sentirsi piccola di fronte ad una chiamata avvolta nel mistero. Di fronte ad esso Maria vive intensamente un silenzio attivo abitato da interrogativi comprensibili. La risposta è una sola: consegnarsi incondizionatamente a Dio, Signore della vita, da lei conosciuto attraverso le Sacre Scritture. Maria di Nazareth accoglie nel suo grembo il Verbo, generato nella fede e in pienezza di amore. Da qui la luminosità della sua figura che resterà nella storia dei credenti come faro che orienta la rotta della vita. L’audacia del sì di Maria parla anche a noi oggi. Chiede di essere vissuto nella “Nazareth” del nostro quotidiano fino al “Calvario”, quando esso si presenta con il volto del dolore, della malattia, del dubbio, della precarietà. In queste ore intrise di mistero guardiamo a Lei che con coraggio ha sigillato il suo primo sì con il sì ai piedi della croce. È tutta questione di amore, per-

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 Madre Yvonne Reungoat, nata in Francia 66 anni fa, è Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice e nona successora di Madre Maria Domenica Mazzarello. © Archivio FMA-Roma

ché la verità dell’amore è più forte della vita stessa. Il nostro tempo registra esempi meravigliosi di vita, che rinnovano nella storia il sì di Maria con forza e senza sconti. Penso ai sette Trappisti uccisi in Algeria a Tibhirine nel 1996. Uomini di Dio, testimoni fedeli in un paese ferito dalla violenza. Una vocazione radicale diventata per loro il sì del martirio di sangue. Il mio sguardo si posa con commozione sulla giovane Chiara Luce Badano, dichiarata beata il 25 settembre 2010. Il coraggio del suo sì, nell’accoglienza cosciente della malattia, la porta a raggiungere, in tempi brevi, le alte vette


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Celebrare il mese di Maria è un nuovo appello a vivere l’audacia del sì alla chiamata di Dio per essere, oggi, un segno della sua presenza nel mondo. La Famiglia Salesiana sente la chiamata ad essere per le giovani e i giovani di oggi un sostegno perché abbiano il coraggio di dire un sì a Dio, alla vita, all’amore. Scopriranno che la vita è vocazione ed è fonte di gioia ridonarla con speranza per costruire una nuova umanità. Con questa certezza ci auguriamo un santo mese di maggio in compagnia di Maria! Suor Yvonne Reungoat FMA Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Suor Yvonne Reungoat durante due festosi incontri con giovani che frequentano istituti femminili salesiani in Asia. © Archivio FMA-Roma

della santità: “Mamma, sii felice, perché io lo sono”; e ancora: “Io ho tutto”. Il letto del dolore si trasforma in altare. È un faro che raggiunge il mondo giovanile e lo contagia di luce vera. Emergono alla memoria altri esempi bellissimi e molto attuali di giovani che hanno raggiunto la vetta della santità: Domenico Savio, Laura Vicuña, Pier Giorgio Frassati, Zeffirino Namuncurá. Ci sono poi i testimoni della “porta accanto” che nell’ombra rinnovano il sì di Maria ogni giorno facendo riaffiorare, con la testimonianza della loro vita cristiana e salesiana, i valori in difesa della dignità della persona umana, della solidarietà, della giustizia, della pace. N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Leggiamo i Vangeli

Un’occasione da non sprecare F

igli che temporeggiano con il padre, vignaioli che si comportano malvagiamente, invitati a un banchetto di nozze che rifiutano di partecipare alla festa: tre parabole che raccontano un’offerta rifiutata (Mt 21,28-22,14), ma che non per questo viene ritirata. Quale insegnamento ne ricaverà Gesù mentre a Gerusalemme discute nel Tempio? «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano» (v. 33). Così inizia la seconda parabola. Vi si narra di un uomo la cui munificenza e fiducia sono avvilite dalla prepotenza crescente dei contadini ai quali la vigna è affidata. L’unico loro obiettivo è impossessarsi del vigneto. Per questo non ricusano di uccidere i servi

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In una parabola di Gesù, Dio Padre è come un uomo che piantò una vigna, la diede in affitto ad alcuni contadini e poi mandò i servi a ritirare il raccolto. © Peterpan - Photoxpress

inviati per prendere i frutti. Di fronte a ciò il padrone decide il tutto per tutto: invia il figlio, l’erede, sperando che almeno di lui abbiano rispetto. Ma così non sarà. Matteo ci offre un magnifico esempio di come Gesù rileggesse e attualizzasse il Primo Testamento fino a se stesso: il padrone come Dio che offre la propria vigna; la vigna come figura del Regno; i vignaioli come una parte del Giudaismo antico che aveva rifiutato Gesù; i servi inviati bastonati ed uccisi come i profeti rifiutati e raramente ascoltati da Israele; il figlio portato fuori dalla vigna e assassinato come Gesù trascinato fuori da Gerusalemme e ucciso. Un’occasione per chi? Il racconto a questo punto registra un brusco cambiamento (v. 40). Gesù non lo conclude, ma chiede ai capi dei sacerdoti


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ed ai farisei di farlo. La loro risposta contiene una dura sentenza contro quei vignaioli. Di lì a qualche attimo essi capiscono di aver pronunciato una condanna che si sarebbe ritorta contro di loro. Gesù, infatti, fa subito capire che erano proprio loro a comportarsi come quei vignaioli, mentre ordivano complotti per catturarlo. Rimane una questione sospesa: che cosa farà il padrone di quella vigna rifiutata? Che cosa farà insomma Dio del suo Figlio e del Regno respinti? Ritrarrà l’offerta? No, ma il rifiuto di alcuni diventerà occasione per altri. Il progetto continuerà: “Il Regno sarà affidato ad altri che sapranno dare frutto” (v. 43). Questi “altri” sono tutti coloro che in ogni tempo accoglieranno in Gesù il Regno di Dio. La nostra occasione Parabola di rifiuto e di occasione rilanciata! Certo, Gesù la raccontò per i farisei e i sacerdoti, ma la rilettura che Matteo ne ha fatto per la sua comunità, impone a ciascuno di interrogarsi sulla propria accoglienza del Regno di Dio. Gli “altri” di cui il Signore dice, ora siamo noi. Come i rapporti tra il padrone e gli

Tutto è pronto per il banchetto, mancano soltanto gli invitati. La parabola interpella ciascuno di noi, invitandoci a un rapporto con Dio che non si esaurisca in pratiche esteriori. © Dmitry Kalinovsky - Shutterstock

agricoltori fittavoli con l’invio del figlio giungono ad un punto di non ritorno, allo stesso modo anche noi con la venuta di Gesù ci troviamo nella situazione di dover compiere una scelta decisiva. Così come l’invio del Figlio Gesù è ritenuto da Dio il suo atto d’amore più alto e conclusivo, allo stesso modo la nostra risposta è considerata come l’ultima possibile. La parabola insegna che davanti al Regno che viene e a Gesù che ce lo porta non è più possibile temporeggiare e rimandare la decisione. Una posizione non netta comporterebbe la rovina. Il comportamento dei vignaioli resterà per sempre il modello indelebile della non accettazione. Tutto ciò deve essere riletto come un invito ad accogliere! Forte deve essere pertanto la decisione ad accogliere adesso, ma forte deve essere anche la consapevolezza che nel caso di un nostro rifiuto, al Signore non resterà che convalidare la nostra decisione. Egli però è così appassionato del suo progetto da non revocarlo: Cristo, il Regno, la salvezza sono doni troppo preziosi. Altri li attendono, ad altri il buon Dio li proporrà. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

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Spiritualità mariana

Maria, Donna dal cuore m N

radici e senza memoria, la vita dell’uomo è superficiale, inconsistente, vuota. Egli non sa coltivare sentimenti intensi, ma ha soltanto emozioni di breve durata. Non sa alimentare l’attesa e nutrire la speranza, concepire grandi ideali e progetti, ma si agita con affanno, chiuso nell’immediato. Dante dice: “Non fa scienza senza lo ritener l’aver inteso”. Possiamo aggiungere: “Non si ha la sapienza senza il ritener l’aver vissuto”.

el celebre libro Il piccolo principe, Antoine de Saint Exupéry ha un bel racconto: il piccolo principe attraversò il deserto e incontrò soltanto un fiore a tre petali. “Buon giorno! Dove sono gli uomini?”, domandò. Il fiore, che tempo prima aveva visto passare una carovana, rispose: “Gli uomini? Ne esistono, credo, sei o sette. Li ho visti molti anni fa. Ma non si sa mai dove trovarli. Il vento li spinge qua e là. Non

hanno radici e questo li imbarazza molto”. Anche nella Bibbia c’è un paragone simile: il primo Salmo descrive il giusto “come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo”, mentre il malvagio è “come pula che il vento disperde” (Sal 1,3-4). Molti pensatori indicano tra le caratteristiche del nostro tempo la perdita delle radici e il calo della memoria. Senza

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 Le “memorie” sempre più potenti delle moderne tecnologie non devono far perdere all’uomo la “memoria” dei tempi lunghi, della sua storia e dell’eterno. © Alexander Kirch - Shutterstock

Computer con grande memoria e mente umana con pochi ricordi Oggi i computers sono sempre più potenti di memory, invece la mente umana è sempre più ridotta a una mens momentanea e passeggera. La vita dell’uomo appare una serie di episodi transitori, sconnessi. Perdiamo il senso dei tempi lunghi, della storia, dell’eterno.


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cisioni capaci di coinvolgere tutta l’esistenza. Maria, donna dal cuore memore, incarna il sapiente di cui il Siracide fa l’elogio: “Beato chi mediterà queste cose; le fissi bene nel cuore e diventerà saggio” (Sir 50,28). Il cuore di Maria è come una Bibbia vivente, che custodisce tutte le parole che Dio ha detto all’umanità, è come uno specchio, che lascia trasparire con limpidezza il progetto di Dio. Maria “riunisce e riverbera i massimi dati della fede”, afferma la Lumen Gentium del Vaticano II (n. 65). In questa nostra epoca della memoria debole contempliamo Maria per imparare da lei l’arte di regredire nella memoria per progredire nella fede, l’arte di lasciarsi con-prendere per poter comprendere, l’arte di saper guidare la vita esteriore con una forte interiorità, di condensare per diffondere la propria esperienza di Dio, l’arte di capire il passato per intuire il futuro. Maria Ko Ha Fong

e memore Si indeboliscono i legami tra generazioni. E sentiamo poco la responsabilità verso i posteri. Si verifica quello che il Qoelet dice con amarezza: “Nessun ricordo resta degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito” (Qo 1,11). Eppure il cristiano è un uomo dalle radici forti, un uomo di buona memoria. La sua fede si fonda su un evento storico, si nutre di un “memoriale” – l’Eucaristia – e ha come modello Maria, donna dal cuore memore. Nel racconto evangelico, le notizie su Maria sono scarse, ma di lei Luca ha sottolineato la capacità di far memoria, ripetendo due volte la frase: “Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (2,19.51). È interessante vedere come Luca mette la descrizione di Maria accanto a quella di Gesù negli anni di quotidianità serena e semplice. Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (2,52), sua Madre cresceva nella sapienza della memoria, del silenzio e dell’accoglienza. Maria collaborava alla crescita di Gesù e Gesù faceva crescere Maria.

kohafong.rivista@ausiliatrice.net

 Maria è la donna “memore” per eccellenza, perché “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. © Zvonimir Atletic - Shutterstock

Lasciarsi com-prendere per poter comprendere Maria custodiva tutte le cose nel cuore. Fare memoria dei fatti non è soltanto un’attività dell’intelletto, ma anche del cuore. La parola “ricordare” viene dal latino re-cordari. Alla lettera: far salire di nuovo al cuore. Ricordare vuol dire, quindi, aver presente nel cuore un evento del passato come se fosse capitato oggi. È pensare con amore, col cuore; e nel linguaggio biblico il cuore indica l’io più profondo, da cui sgorgano de-

 Nella Bibbia, il primo Salmo sottolinea che la persona “giusta” è “come albero piantato lungo corsi d’acqua che darà frutto a suo tempo”. © djgis - Shutterstock

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Maria nei secoli

“Nel nome di Maria d Santa Caterina da Siena

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l XIV secolo fu un’epoca tormentata nella storia della Chiesa. Un po’ tutto era in decadenza: la teologia, la vita consacrata, l’istruzione religiosa della gente, la vita morale. L’Europa era insanguinata da guerre, la popolazione era decimata da calamità naturali ed epidemie, e l’Islam conquistava Paesi di antica tradizione cristiana. Il Papa non risiedeva a Roma, ma ad Avignone, sotto l’influenza del re di Francia. Nei momenti di maggiore difficoltà, però, il Signore benedice la sua Chiesa, suscitando santi che la scuotono e ne provocano la conversione ed il rinnovamento. Proprio come Caterina Benincasa, vissuta, come il Signore sulla terra, trentatré anni. Era nata nel 1347. A 16 anni entrò nel Terz’Ordine Domenicano, di cui vestì l’abito bianco e il mantello nero. E con quest’abito la vediamo inginocchiata, insieme a san Domenico, dinanzi alla Madonna del Rosario, nelle popolari immagini che tutti conosciamo. Rimanendo in famiglia, Caterina confermò il voto di verginità fatto privatamente da adolescente, si dedicò alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, soprattutto con gli ammalati. L’autodidatta diventata “Dottore della Chiesa”

Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di direzione spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: monasteri maschili e femminili, nobili ed uomini politici, ecclesiastici, persino il Papa che leggeva con devozione le sue lettere. Viaggiò molto per predicare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati. Morì nel 1380. Fu canonizzata nel 1461. Papa Pio XII la volle “Patrona d’Italia”, Paolo VI la dichiarò

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 La “Madonna col Bambino, con santa Caterina e san Domenico”: il dipinto di Pompeo Batoni (1708-1787) è conservato nel Museo Civico di Pistoia.

 “Santa Caterina da Siena” con il Crocifisso e il giglio, in un dipinto del sec. XVII, nel Duomo di Siena.

Additando «Cristo crocifisso e Maria dolce» ai contendenti, ella mostrava che, per una società ispirata ai valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione. Giovanni Paolo II

Dottore della Chiesa, insieme a Teresa d’Avila, e poi Giovanni Paolo II la nominò “Compatrona d’Europa”. L’insegnamento di Caterina, che imparò a scrivere da adulta, è infatti di una straordinaria ricchezza. Il suo “Dialogo della


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dolce” Divina Provvidenza” è un capolavoro della letteratura spirituale di tutti i tempi. Un tratto fondamentale della sua spiritualità è rappresentato dal suo sposalizio mistico con Gesù, un episodio spesso raffigurato nell’iconografia che la riguarda. In una visione che mai più si cancellò dal suo cuore e dalla sua mente, la Madonna la presentò al Figlio, che si unì a lei misticamente, inanellandola. Quell’anello rimase visibile solo a lei. Da quel momento, Caterina associò sempre il Figlio e la Madre. Quando scriveva le sue lettere ai suoi figli e alle sue figlie spirituali, uomini e donne che la chiamavano “mamma”, anche se più anziani di lei, si presentava con queste parole: “Nel nome di Gesù Crocifisso e di Maria dolce”. Gesù, Pane di vita impastato da Maria, la “farina” più pura Caterina era dotata di carismi soprannaturali: spesso cadeva in estasi. Come tutti i mistici, adopera un linguaggio figurato per illustrare i misteri della fede. Un simbolo adoperato da Caterina è quello del pane e della farina: “Oggi tu ci hai dato della farina tua. Oggi la Divinità è unita e impastata con l’umanità nostra sì fortemente che mai non si può separare, né per morte né per nostra ingratitudine, questa unione”. Nella sinagoga di Cafarnao, Gesù ha parlato di Sé come del Pane di vita. E Caterina, per esempio, ci dice che questo Pane divino è stato impastato con la “farina” più pura: Maria che ha dato un corpo a Gesù, perché Egli potesse salvarci. A questi accenni geniali, Caterina aggiunge altre considerazioni dottrinalmente rilevanti. Evidenzia che il consenso della volontà di Maria all’opera dell’Incarnazione è stato necessario perché essa si compisse. Da questa osservazione, Ca-

 “Santa Caterina dona le vesti a Cristo mendicante”, affresco di Alessandro Franchi (18381914) nella casa natale della santa.

O Maria, mare pacifico; Maria, donatrice di pace; Maria terra fruttifera. Tu, Maria, sei quella pianta novella dalla quale abbiamo il fiore odorifero del Verbo. Santa Caterina da Siena

terina ricava una conseguenza fondamentale: ogni anima ha a disposizione un dono straordinariamente importante, la propria libertà. E solo liberamente si può corrispondere all’azione della grazia, come già aveva insegnato Agostino: “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”. Collaborare liberamente e lietamente alle iniziative di Dio è possibile ed in un certo senso facile, nonostante miserie e debolezze di ogni anima: è sufficiente coltivare una grande devozione verso “Maria dolce”, nel Suo nome e nel Suo cuore. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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La Parola qui e ora

Ascensione: un diverso senso d «

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li undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”» (Matteo 28,16-20). Il Vangelo dell’Ascensione parla del destino del corpo. La verità che ci viene ricordata in questa domenica è la stessa che ripetiamo in tutte le domeniche dell’anno proclamando il “Credo”: “salì al cielo, siede alla destra del Padre”. La conclusione “gloriosa” dell’avventura umana di Gesù è strettamente collegata alla morte e alla risurrezione. A ben guardare, la logica è sempre la stessa: la croce, strumento di sofferenza, di vergogna, di morte, è il “passaggio obbligato” per approdare a una vita nuova. Lo stesso Signore che accetta la morte per fedeltà alla volontà del Padre è quello che ha predicato che “se il chicco di grano non muore non porta frutto” (Giovanni 12,24). In questo ciclo di distruzione-ricostruzione, il destino del corpo ha un senso preciso. Un significato che, invece, stiamo dimenticando progressivamente: perché il corpo oggi è diventato un “idolo” per se stesso. Palestre, centri di fitness, body building (letteralmente costruzione del corpo) sono il livello più accessibile e diffuso del benessere. Il corpo, e il cibo. Anche qui le parole inglesi sono un “must”, il Verbo predicato è quello dello “slow food”. Non si tratta solo di mangiare lentamente ma di avere

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“Se il chicco di grano non muore non porta frutto”. Il grano è il cereale di più antica coltura e l’alimento più diffuso. © Elnur - Photoxpress

“un certo stile di vita...”. Negli anni ’60, quelli del miracolo economico in Italia, mangiar bene era un modo per sottolineare il miglioramento delle proprie condizioni, l’approdo al benessere. Oggi siamo ben oltre il riscatto dalla fame che aveva attanagliato tutte le generazioni precedenti le nostre ultime. Il ciclo si è capovolto: bisogna continuare a mangiar bene perché questo è un “valore sociale”, ma bisogna anche non ingrassare, mantenersi in forma. E un po’ di digiuno? Una piccola riflessione sul fatto che il cibo non è tutto? Sconsigliato, fuori moda; puzza – appunto – di quaresima. Il ramadan, quella sì che è un’esperienza interessante... Lo “star bene” è uno star bene del corpo, e basta. Curiosamente (ma non tanto) la priorità al corpo, al cibo, a questo tipo di benessere, è vissuta quasi sempre come una rivalsa, una rivendicazione: aver cura del proprio corpo è un modo per riappropriarsi di se stessi, per usare il


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o della vita tempo a nostro esclusivo vantaggio. E intanto si è perso di vista, forse per sempre, l’orizzonte di tutto ciò che è al di là del corpo, e che pure invece ci fa soffrire e godere, sperare.

Anche per questo l’eutanasia è entrata nel linguaggio comune, è un “problema sentito”, di cui si dibatte sempre più spesso. Un tema che viene tenuto sempre all’attenzione della cronaca dando grande enfasi ai “casi” che via via la scienza medica produce. Le chiacchiere sul coma, sul diritto a staccare la spina, le leggi speciali: tutto viene usato per “spettacolarizzare” il problema. Il messaggio che passa, in realtà, è prima di tutto questo: che oggi la scienza rende possibili queste cose, e dunque tali dimensioni rientrano nell’orizzonte dei nostri “diritti”. E l’altro grande messaggio implicito è che con la fine del corpo finisce tutto, con il degrado delle nostre “performances” anche la vita perde di significato e di valore, è meglio “liberarsene” che soffrire. L’Ascensione del Signore viene a ricordare opzioni diverse, un diverso destino del corpo ma – soprattutto – un diverso senso della vita. Marco Bonatti

 Oggi l’Occidente non è più attanagliato dalla fame e il “ben-essere” è diventato uno star bene del corpo. © Subbotina Anna - Shutterstock

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Amici di Dio

Tutto per amore Santa Teresa di Lisieux (1873-1897), Patrona delle Missioni, Dottore della Chiesa

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uando il 19 ottobre 1997 Giovanni Paolo II proclamò Dottore della Chiesa Santa Teresa di Lisieux, scrisse: «Questa giovane carmelitana fu interamente presa dall’amore di Dio, visse radicalmente l’offerta di se stessa in risposta all’amore di Dio. Nella semplicità della vita quotidiana seppe allo stesso tempo praticare l’amore fraterno. Teresa, umile e povera, traccia la “piccola via” di fanciulli che si abbandonano al Padre con audace fiducia». Anche un grande carmelitano, il Card. A. Ballestrero (fu vescovo di Torino) scrisse: “Teresa non è dottore per la scienza, ma è dottore per la sapienza ed è dottore per l’esperienza di una vita consumata d’amore, dove tutto è amore, solo amore, sempre amore”. Parole sagge e profonde che caratterizzano la vita della giovane Teresa e la sua morte arrivata a soli 24 anni, consumata dalla malattia e dal suo totale amore a Dio e al prossimo.

In queste pagine: la santa in una fotografia da ragazza, vestita da monaca carmelitana e il santuario di Lisieux, in Normandia, dove la santa è sepolta.  

Una “piccola via” per gente forte Nella vita di Teresa si parla di infanzia, di Gesù... bambino, di giocattolino nelle sue mani, di atteggiamenti da bambino nelle braccia di Dio Padre, di cose piccole, di piccoli atti di amore, di “piccola via”. Per alcuni anni tutto questo è stato male interpretato. Forse l’ultimo colpo di coda del diavolo stesso contro di lei? Per qualcuno, ahimè anche uomini di Chiesa, tutto questo era diventato sinonimo di sentimentalismo, di sdolcinatura, di infantilismo spirituale. Ci voleva invece, dicevano questi signori, un cristianesimo più “maschio”, più forte, più operativo, più intellettuale, più sociale, più... Fu un grande errore. In realtà il messaggio che Teresa ci lascia con la sua vita piena di amore quotidiano e con la sua Autobiografia è

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Compresi che la Chiesa aveva un cuore, e che questo cuore bruciava d’Amore. Compresi che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa, che se l’Amore si fosse spento, gli apostoli non avrebbero più annunciato il Vangelo, i Martiri avrebbero rifiutato di versare il loro sangue... Compresi che l’Amore era tutto. Allora esclamai “La mia vocazione è l’amore. Sì ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore”. Dall’Autobiografia

per anime forti, coraggiose, decise, robuste spiritualmente. Per persone piene di fiducia che guardano oltre la siepe del proprio io, che si fidano e si affidano a Dio, da giovani e meno giovani, da sani e da ammalati, sempre. Teresa nacque a Lisieux (Normandia) il 2 gennaio 1873 da Zelia Guérin e Louis Martin, genitori profondamente cristiani, già avviati sulla strada della canonizzazione. A dieci anni ebbe una strana malattia di natura psico somatica, dovuta forse alla partenza per il Carmelo della sorella maggiore che le aveva fatto da mamma. Guarì improvvisamente, e lei sempre affermò che, a guarirla, era stata “la Vergine santa, bella, così bella, con un incantevole sorriso”. Piccole cose fatte con grande amore Teresa entrò nel Carmelo di Lisieux il 9 aprile 1888. Quindi solo nove anni di vita religiosa carmelitana. Pochi? Ed ecco Teresa chiusa fra quattro mura ma aperta al mondo intero, sensibile ai suoi molteplici bisogni spirituali ed all’incredulità, al suo anticlericalismo ed ateismo, al suo materialismo ed edonismo, al suo bisogno di Dio e del suo amore. Il cuore di Teresa, il suo giovane grande cuore, abbracciava e amava tutti, ricordava tutti, pregava e soffriva per tutti. Anche per i missionari lontani, che la sentivano vicina. Nel monastero Teresa visse la vita delle altre, insieme anche alle sue sorelle (l’ultima sarà Céline). Ha vissuto per nove anni la dura vita di monaca carmelitana. Insieme alle altre, con lo stesso orario, nella ripetitività degli stessi gesti, con le


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Pensieri di Teresa

piccole mansioni a lei affidate, nel “terribile quotidiano” che a tutti molto spesso fa paura perché consuma, fisicamente e psichicamente. Tutto insieme alle altre monache. Ma come le altre? Sicuramente no. La Chiesa ha riconosciuto, proclamandola santa e Maestra di vita spirituale (Dottore della Chiesa) che lei, Teresa, più delle altre ci ha messo un qualcosa che sostanzia la santità: l’amore, l’amore sempre, di giorno e di notte, d’estate e d’inverno, nella salute e nella malattia. L’amore, cioè “il dono più grande”, che non passerà mai (1 Cor 13), quell’amore senza il quale tutto perde significato. Il suo messaggio: tutto per amore, solo per amore Amore quando? Sempre. Per chi e perché? Per tutti e per amore di Dio. Dove? In ogni azione, cancellando la differenza tra azioni grandi e piccole. Sempre nell’abbandono alla volontà di Dio, serena sempre come un bambino in braccio alla madre, Dio (Sal 130). E arrivò anche per lei la prova finale della malattia dolorosa (tisi). Vissuta nel totale abbandono a Dio, anche se “sentito”

1 Non ho dato a Dio altro che amore, ed Egli mi restituirà amore. 2 Non c’è cosa più gradita a Dio, che abbandonarsi a Lui come un bambino si addormenta nelle braccia di suo padre. 3 Le cose della terra non possano mai turbare la mia anima e niente turbi la mia pace. Gesù, non ti domando che la pace. Ed anche l’amore, l’amore infinito senza altro limite che te: l’amore per cui non esisto più io, ma tu, o Gesù. 4 La mia vocazione è l’amore. 5 Io credo perché voglio credere. 6 Ho dimenticato me stessa, ho fatto in modo di non ricercarmi in nulla. 7 Il fuoco d’amore purifica più del fuoco del purgatorio. 8 Non ho mai cercato che la verità. 9 Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra. 10 Sento che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime.

lontano. Fu un anno di terribili sofferenze accompagnate dalla “notte oscura” dello spirito. Tutto scomparso. Dio assente, il cielo chiuso, le preghiere senza risposta, il diavolo all’assalto, tentazione della propria inutilità. Un’agonia terribile. Ma lei anche in quelle circostanze affermò: “Io credo perché voglio credere”. Morì il 30 settembre 1897, mormorando “Mio Dio, io vi amo”. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

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Il Papa ci parla

Beato il mio amico Karol! I

l primo maggio 2011 Benedetto XVI proclama beato Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla. È il primo Papa, nella storia della Chiesa, che beatifichi il suo predecessore. Con lui Ratzinger aveva collaborato da cardinale per un quarto di secolo, sempre al suo fianco, in sincera esemplare amicizia. Il calore con cui ora in ogni occasione parla di Karol lascia intravedere la sua stima e il suo affetto. In vita lo chiamava “il nostro amato Papa”. In morte lo ha definito: “padre e guida sicura nella fede, zelante pastore e coraggioso profeta di speranza, testimone infaticabile e appassionato servitore dell’amore di Dio”. E lo sentiva verso di sé “padre, fratello e amico” (02-04-2007). Il teologo Ratzinger nel 1977 era stato nominato da Paolo VI arcivescovo di Monaco in Baviera, e subito dopo cardinale. Aveva partecipato ai conclavi che vedranno eletti Giovanni Paolo I e pochi mesi dopo Giovanni Paolo II. All’inizio del 1982 papa Wojtyla gli chiede di più: di fare i bauli e venire a Roma come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Capo di quel dicastero – un tempo detto Santo Uffizio – piuttosto malfamato perché ha l’ingrato compito di bacchettare chi va per traverso. Così Ratzinger, robusto intellettuale, diventa – come hanno detto – “la mente teologica del pontificato di Giovanni Paolo II”. Un venerdì dopo l’altro Per un quarto di secolo ogni venerdì pomeriggio il card. Ratzinger prende il suo quadernetto di appunti, lascia il suo ufficio e percorre a piedi il breve tratto che lo porta al Palazzo Apostolico dove papa Wojtyla lo attende. Per strada lo riconoscono e lo salutano, e lui risponde con l’abituale cortesia. E saluta anche i

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Papa Giovanni Paolo II ha presieduto la concelebrazione in Piazza Maria Ausiliatrice, davanti alla nostra Basilica, il 4 settembre 1988, in occasione del centenario della morte di Don Bosco. © Archivio SGS

gatti per cui ha simpatia fin da bambino. Ma eccolo da Papa Wojtyla, e insieme passano in rassegna i problemi della Chiesa, i passi da compiere, i documenti da redigere, magari un’enciclica da preparare, o il nuovo Catechismo. E magari decidono un viaggio a qualche Chiesa qua e là per il mondo. Insieme. Così, un venerdì dopo l’altro, per un quarto di secolo. Fino al Venerdì Santo, 25 marzo 2005, quando Ratzinger deve sostituire Papa Wojtyla nel portare la croce nella Via Crucis del Colosseo: l’amico Karol, minato dal male, non ce la fa più. Fino a quel venerdì 8 aprile quando Ratzinger in Piazza San Pietro deve tenere l’omelia funebre per l’estremo saluto all’amico morto. Mentre il ponentino sfoglia le pagine del Van-


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gelo deposto sulla bara. Con le televisioni che guardano da tutto il mondo. In quell’ultimo loro venerdì, il card. Ratzinger vinto dalla commozione dirà all’“immensa folla silenziosa e orante”: “Oggi deponiamo le sue spoglie nella terra, come seme di immortalità”.

ancor più il calvario dell’agonia, e la serena morte dell’amato nostro Papa, hanno fatto conoscere agli uomini del nostro tempo che Gesù Cristo era veramente il suo tutto” (02-04-2007). L’affettuosa amicizia in Maria

Papa Benedetto ricorda Poi, negli anni del suo pontificato, Papa Benedetto ogni 2 aprile celebra la messa in suffragio del suo amico. E nelle omelie lo ricorda.  L’uomo di fede. “Chi ha avuto modo di frequentarlo da vicino, ha potuto quasi toccare con mano quella sua fede schietta e salda, che se ha impressionato la cerchia dei collaboratori, non ha mancato di diffondere, durante il lungo pontificato, il suo influsso benefico in tutta la Chiesa... Una fede convinta, forte e autentica, libera da paure e compromessi, che ha contagiato il cuore della gente” (02-04-2006).  Il pontefice. “Si è rinnovato il dialogo con Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami? Pasci le mie pecorelle». Alla domanda del Signore: «Karol mi ami?», l’arcivescovo di Cracovia rispose dal profondo del suo cuore: «Signore, tu sai tutto: tu sai che ti amo». L’amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre. Chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo, ha potuto portare un peso che va oltre le forze puramente umane: essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale” (02-04-2005).  Il testimone. “Della luminosa testimonianza che Giovanni Paolo II ha offerto di un amore per Cristo senza riserve e senza risparmio... ne abbiamo approfittato noi che gli siamo stati vicini, e ringraziamo Dio. L’amore di Papa Wojtyla per Cristo è traboccato, potremmo dire, in ogni regione del mondo, tanto era forte e intenso. Il fruttuoso ministero pastorale, e

 Papa Wojtyla riceve in dono una chitarra durante uno dei tanti incontri con i giovani. © Archivio SGS

I due amici hanno avuto in comune una terza amicizia, Maria. Traspare anche dalla commozione con cui il card. Ratzinger ha spiegato il motto mariano scelto da Karol per il suo pontificato: “Totus tuus, Tutto tuo”. Nel rito funebre, al momento dell’addio, nella commossa omelia ha detto: “Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia del Signore nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocefisso come dette proprio a lui personalmente: «Ecco tua madre!». E ha fatto come il discepolo prediletto: l’ha accolta nell’intimo del suo essere. Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo”. Sono stati amici in Maria, amici in Cristo, per insegnare a noi l’amicizia nel Signore. Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net

Come quello svoltosi a Colle Don Bosco, il 3 settembre 1988, per la beatificazione di Laura Vicuña. © Editrice Elledici

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Vita della Chiesa

Evangelizzare la pol i Il card. Rodríguez Maradiaga, a Torino

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“ ’educazione cattolica e l’evangelizzazione della politica attraverso l’impegno nelle istituzioni pubbliche ed economiche”. È stato il cardinal Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, fermo nell’indicare la rotta per la Chiesa dei nostri giorni, quello che si è presentato lunedì 7 marzo nell’ultima conferenza dei “Lunedì del Santo Volto” a Torino. E “per la prima volta – lui salesiano – da oratore in pubblico nella patria di Don Bosco”. Lo ha ribadito più volte il sessantottenne arcivescovo honduregno di Tegucigalpa, dato fra i papabili dell’ultimo Conclave: “Il cambiamento verso il bene comune passa dall’insegnamento cristiano e dall’impegno dei cattolici nella società: guai a privatizzare la fede, che non è affare individualistico, ma dono comunitario”. Rodríguez Maradiaga ha sottolineato la necessità di superare “l’attuale situazione di crisi profonda nella quale la politica è spesso strumento per raggiungere interessi privati e arricchimento personale”.

Una metamorfosi dell’economia

Il card. Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, salesiano, è arcivescovo di Tegucigalpa e presidente della Conferenza episcopale dell’Honduras. Il cardinale Rodríguez Maradiaga con don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore dei Salesiani. © ANS ImageBank

Ci vuole, ha detto, “una metamorfosi radicale delle strutture del peccato che reggono il sistema economico internazionale e causano il sottosviluppo di intere nazioni; si tratta di abbattere le sproporzioni di una crescita diseguale che non permette la realizzazione di tutti e di ciascuno”. L’opera di liberazione passa per la lotta alla corruzione, “il cancro che ha ammazzato la politica al servizio della gente” capace di corrodere anche le iniziative più meritevoli (è il caso della cancellazione del debito estero dei Paesi sottosviluppati) se non supportate da un cambiamento strutturale. Il discorso torinese del cardinale si è snodato tra America Latina ed Europa per avvicinare le due sponde dell’Atlantico, più che per marcare differenze. La Chiesa latinoamericana “incontra le difficoltà e le povertà dei popoli” e ha deciso di sposarle: “I vescovi del continente – ha spiegato il prelato salesiano – lo hanno affermato sin dal 1968, nella Conferenza generale di Medellin, esprimendo l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri”. Rinnovamento e conservazione della fede in America Latina sono spesso iniziativa dei laici, come i migliaia di “delegati della Parola” che animano le comunità cristiane dei paesi piccoli e sperduti. Negli ultimi anni, ha riferito con allarme Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, si scontrano con “un preoccupante esodo di cattolici verso altre confessioni religiose, spesso nate per coltivare gli interessi di pochi ai danni di molti poveri”. Costruire insieme un mondo migliore La stella polare rimane il compito di evangelizzare la politica. Molti torinesi hanno chiesto al cardinale indicazioni

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l itica sulle “pratiche per l’affermazione dei cristiani e dei loro valori”. L’arcivescovo di Tegucigalpa ha fatto riferimento a temi sensibili della sua terra d’origine, che però è stato facile per i tanti uditori ribaltare sulla realtà italiana: “La catechesi dei giovani, la pastorale dei migranti poveri che sostengono con le dimesse economie di interi Paesi, l’attenzione agli ammalati, ai drogati, agli uomini richiusi nelle prigioni”. I sentieri aperti, o anche soltanto abbozzati sono stati molti: “dal volontariato, attività in cui Torino fa scuola, al mondo del lavoro, nel quale i cristiani devono oggi trovare modi concreti di dare lavoro, creando economie del bene comune”. “Sì – ha ammesso Rodríguez Maradiaga – è un compito fuori dall’ordinario. Ma se qualcosa si può sperare dai nostri popoli è la riserva di umanità di chi sceglie di camminare col prossimo come compagno, immaginando e costruendo insieme un mondo migliore”. Andrea Ciattaglia redazione.rivista@ausiliatrice.net

 Foto Notario L’incontro del cardinale con i giovani a Valdocco. E mentre presiede una S. Messa nel santuario.  Foto Notario

ENZO BIANCO

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ENZO BIANCO

BENEDETTO XVI LAVORATORE NELLA VIGNA

ELLEDICI

Editrice Elledici, pagine 144, € 8,00 È la prima biografia di Ratzinger pubblicata dopo la sua elezione a Papa, la prima che racconta la sua azione pastorale fino agli avvenimenti più recenti del Pontificato. Ripercorre a volo d’uccello l’ampio arco di 78 anni della vita del Papa. Non si tratta di uno studio scientifico per gli studiosi, ma di un’esposizione divulgativa, accessibile al lettore comune, e di sicuro attesa nel mondo cristiano.

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Memorie salesiane

Don Bosco compie duecento anni: a A “

ccorrete, accorrete presto a salvare quei giovani...”. Si esprime così Don Bosco alla vigilia del 31 gennaio 1888, mentre si prepara per l’ultimo viaggio. È la sintesi di una vita vissuta intensamente per amore di Dio e dei suoi ragazzi. Ma, soprattutto, un appello accorato. Ed è a questo appello che intende rispondere il programma di preparazione al suo Bicentenario. Lo scorso 31 gennaio il Rettor Maggiore don Pascual Chávez ha annunciato ufficialmente il cammino, che durerà tre anni, dal 2011 al 2014: ciascuna tappa si svilupperà dal 16 agosto – giorno in cui è nato Don Bosco – al 15 agosto dell’anno successivo, e sarà scandita da un particolare aspetto da approfondire: la storia, la pedagogia e la spiritualità del pastore dei giovani. Anzitutto, la conoscenza della storia (16 agosto 2011 - 15 agosto 2012). Giovanni Melchiorre Bosco nasce a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815. Ma

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Il Rettor Maggiore dei Salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, dalla cappella delle reliquie, indice ufficialmente la preparazione al Bicentenario della nascita di Don Bosco. Foto Notario

quando scopre la sua vocazione? E chi è quel ragazzo destinato a diventare un tassello importante della Provvidenza? Sono molte le domande sulla sua figura a cui si cercherà una risposta, ricorrendo alle fonti e alle principali ricerche. “Lo studio di Don Bosco è la condizione per potere comunicarne il carisma e proporne l’attualità. Senza conoscenza non può nascere amore, imitazione e invocazione”, afferma don Chávez nella lettera di indizione. Ma è solo il primo passo. La sua riscoperta servirà a introdurre la tappa successiva (16 agosto 2012 - 15 agosto 2013), incentrata sugli aspetti pedagogici dell’opera del santo piemontese. “Farsi amare piuttosto che farsi temere”, riassume il Rettor Maggiore. Un precetto difficile da comprendere nell’800, ma anche oggi. Come ricorda ancora don Chávez nella Strenna 2011 “Venite


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: auguri!

 © www.sdb.org Il poster della “Strenna 2011” del Rettor Maggiore, dal titolo “Venite e vedrete”. La casa natale di Don Bosco, nella frazione di Becchi, a Castelnuovo Don Bosco.  © Foto Notario

e vedrete”, il contesto storico e sociale della Torino dell’epoca è quello di un ambiente poco favorevole – e per certi aspetti del tutto contrario – allo sviluppo delle vocazioni. Don Bosco, però, non attua campagne vocazionali, ma crea a Valdocco un clima di gioia e di familiarità. Un luogo dove la vita è concepita e vissuta concretamente come un dono. Le vocazioni maturano di conseguenza. Il terzo passaggio (16 agosto 2013 - 15 agosto 2014) è il più complicato e riguarda la sua spiritualità. La difficoltà è di andare oltre ciò che egli ha saputo trasmettere e fare, per giungere alle sue riflessioni, al suo personale dialogo con Dio. Come pregava Don Bosco? Sono rimasti segni degli esercizi spiri-

 Valdocco, Campo Bosco 2008: momento di incontro e confronto per molti giovani. © Archivio RMA

tuali che praticava insieme alla prima comunità salesiana – oggi divenuti percorsi e mete di turismo religioso –, ma giungere a una comprensione della sua vita spirituale resta ancora un’impresa non agevole, per la scarsità di fonti al riguardo. Una ricerca che si fa sfida. Cosa che la renderà ancora più stimolante da affrontare. Il 16 agosto 2014 si aprirà la celebrazione del Bicentenario, dopo il ventiseiesimo Capitolo Generale: il tema sarà la “Missione di Don Bosco con i giovani e per i giovani”. Oltre alle due Messe solenni del 16 agosto del 2014 e del 2015 al Colle Don Bosco, sono previsti altri due grandi eventi: il Congresso internazionale di Studi salesiani sullo “Sviluppo del carisma di Don Bosco” al Salesianum di Roma, a novembre 2014, e il Campo Bosco del Movimento Giovani Salesiani con il tema “Giovani per giovani” ad agosto 2015, a Torino. Oltre a una serie di iniziative tutte mirate a spegnere insieme le duecento candeline del suo compleanno, con l’augurio di aiutare a seminare ancora a lungo l’Amore di Dio nel cuore dei giovani. Come amava dire lui: “Da mihi animas, cetera tolle”. Dammi la cura delle anime, e del resto fa’ pure ciò che vuoi. Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Attualità

Famiglia: una scelta sempre meno f Prima comunità educante, ma con pesanti condizionamenti

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i sono notizie che a forza di sentirle o leggerle, non stupiscono più. Come nel caso dei matrimoni. Ci si sposa sempre meno e sempre più avanti negli anni, ma la coppia “resiste” di meno. Anzi, per dirla con il titolo di un film, L’amore è eterno finché dura. E i figli, quando ci sono, si ritrovano divisi tra un padre e una madre, che talvolta pensano di risolvere il problema proponendo un altro padre o un’altra madre. È una situazione, questa, ripetuta in vari capoluoghi italiani all’inaugurazione sia dell’Anno giudiziario civile, sia del Tribunale Ecclesiastico Regionale.

Sposandosi, ci si promette a vicenda di essere “fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della propria vita”.

© Svetlana Turilova - Photoxpress

La famiglia è la prima “cellula” della società. © Monkey Business - Photoxpress

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A Torino, che citiamo perché città sede del nostro Santuario, mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo e moderatore del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese (TERP), ha ricordato all’inaugurazione del LXII anno giudiziario che “dietro ai numeri, alle decisioni delle singole sentenze, alle carte che compongono lo svolgersi di ogni singolo processo di dichiarazione di nullità, ci sono sempre persone concrete, con le loro vicende spesso dolorose, da cui sono nate ferite che restano aperte nei loro cuori”. E ha ricordato che gli Orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale Italiana per il prossimo decennio, dal titolo Educare alla vita buona del Vangelo, riconoscono la famiglia come “prima e indispensabile comunità educante”, ma anche che è sottoposta a pesanti condizionamenti esterni. Tra questi, “il sostegno inadeguato al desiderio di maternità e paternità, pur a fronte del grave problema demografico; la difficoltà a conciliare l’impegno lavorativo con la vita familiare, a prendersi cura dei soggetti più deboli, a costruire rapporti sereni in condizioni abitative e urbanistiche sfavorevoli, il numero crescente delle convivenze di fatto, delle


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o frequente

Gli ordinamenti statali, nonostante tutto, tutelano sempre meno il matrimonio e la famiglia. © Andres Rodriguez - Photoxpress

fuori dal matrimonio erano pari al 20%. Per quanto riguarda il Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese, il Vicario giudiziale don Ettore Signorile ha detto che nel 2010 il TERP ha deciso 152 cause di nullità, 125 delle quali con sentenze affermative. Se tra “i motivi di nullità spiccano l’incapacità di valutare i diritti e i doveri matrimoniali, la negazione dell’indissolubilità del vincolo o di avere figli”, accanto è emerso “un mondo di gravissime sofferenze (tentativi anticonservativi, raptus, dipendenze dall’alcool, dalle droghe e dal gioco d’azzardo), per non parlare delle nuove dipendenze quali quelle da internet”. Per il Vicario giudiziale (e non solo) “la Chiesa sta rimanendo l’unica voce che si alza chiara e sicura contro le richieste più spregiudicate e populiste. Gli ordinamenti statali, rinunciatari nel tutelare il matrimonio e la famiglia, sembrano sottovalutare il fatto che minare questo baluardo di umanità è la premessa per avviare un cammino di disfacimento del tessuto sociale, che porta a una decadenza annunciata e irreversibile”. Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net

separazioni coniugali e dei divorzi, il diffondersi di stili di vita che rifuggono dalla creazione di legami affettivi stabili e i tentativi di equiparare alla famiglia forme di convivenza tra persone dello stesso sesso”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il matrimonio è una scelta sempre meno frequente: secondo le rilevazioni I STAT 2008 (ultimi dati disponibili) si sono celebrati circa 4 matrimoni ogni mille abitanti, con un calo costante dal 1972 (7,7). E i primi sono più tardivi: in media, gli sposi hanno sei anni in più rispetto a metà degli anni Settanta. Sono in aumento, invece, i matrimoni civili (36,7% del totale, contro il 20% di 15 anni fa) e le seconde nozze (13,8%, contro il 6,5% nel 1972). Poi, nel 2008 si sono avuti 286 separazioni e 179 divorzi ogni 1.000 matrimoni, contro 158 e 80 nel 1995. Aumentano anche le coppie “di fatto”, tanto che nel 2008 i bambini nati

Mandateci le vostre foto! Avete foto in cui vi siete fatti immortalare con la Rivista? Bene: speditecele. Noi le sceglieremo e le pubblicheremo con la vostra dedica o auguri o preghiera. Inviate a: foto.rivista@ausiliatrice.net oppure al nostro indirizzo postale. Nel caso di foto con minori, entrambi i genitori devono esplicitare per iscritto il consenso alla pubblicazione ed inviarcelo.

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Le ricette di Mamma Margherita

Il “bonet” Q

ualcuno si è domandato se è giusto celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia e perché. La risposta ci viene indirettamente dall’anelito di libertà che scuote il mondo arabo, dal constatare che oggi, come ieri, come sempre, tanti giovani sono disposti a morire per la Patria. Torino, culla del Risorgimento e prima capitale d’Italia, ha dato la sua risposta con mille tricolori sventolanti dai balconi. Hanno dato la loro risposta i cittadini, riversati nelle vie del centro a festeggiare l’anniversario con gioia. Hanno dato una risposta le rievocazioni storiche, diffuse dai media. Dietro i grandi nomi del Risorgimento, come quelli di Cavour, di Garibaldi e di Mazzini, con le voci di Vittorio Emanuele II, di Massimo D’Azeglio, di Vincenzo Gioberti e di Silvio Pellico, è giusto vedere i volti e sentire le voci di altri grandi, di cui la storia si occupa soltanto marginalmente: i santi dell’Ottocento vissuti a Torino. Don Bosco, per esempio, combatteva le sue “battaglie” per dare ai giovani una formazione professionale, oltre che umana e cristiana. E il suo grande amico Francesco Faà Di Bruno, matematico e astronomo, nel quartiere San Donato, confinante con Valdocco, aveva istituito la Cittadella della solidarietà femminile, con opere destinate all’ospitalità e al recupero delle “donne di servizio” e delle ragazze madri, messe al bando dalla società. Al primo liceo da lui aperto nel quartiere San Donato, Don Bosco aveva mandato alcuni suoi ragazzi, con la raccomandazione di “restituirglieli promossi”. Poi, Giuseppe Benedetto Cottolengo, con la sua attività a favore dei più dimenticati. L’azione politica dei grandi statisti è affidata alla memoria degli archivi storici. L’opera di Don Bosco è viva e diffusa nel mondo. Il campanile di Santa Zita ricorda ai torinesi la pietà di Faà Di Bruno. La

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 Tre santi sociali torinesi: Don Bosco con il suo grande amico Francesco Faà Di Bruno, matematico e astronomo e Giuseppe Benedetto Cottolengo.

 Tradizionale dolce piemontese, il “bonet” è anche facile da preparare. © KatiaandKitchen.blogspot.com

Piccola Casa del Cottolengo testimonia, con la carità, l’amore di Dio per tutti gli uomini, anche i più emarginati. Perché anche gli ultimi fanno la storia. I santi sociali, sociali perché santi, sono autori del vero Risorgimento, quello dello spirito. Il cammino da loro percorso e additato è l’unico capace di costruire umanamente l’uomo. È dunque giusto festeggiare l’anniversario, da onesti cittadini, proprio perché buoni cristiani, come direbbe ancora Don Bosco. E farlo gustando magari il classico “bonet” piemontese. La ricetta? Eccola. Rivestire uno stampo da budino di zucchero caramellato, sciogliendo a fuoco moderato 30 g di zucchero e due cucchiai d’acqua. Preparare una crema con 150 g di zucchero, 20 g di cacao, mezzo litro circa di latte, 3 uova, 50 g di amaretti sbriciolati. Versare il composto nello stampo da budino e cuocere a bagnomaria per mezz’ora. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net


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Il poster

Ausiliatrice nel quotidiano C

Perché ti amo, Maria Maria, il tuo dolce nome riempie il mio cuore di gioia. Quando contemplo la tua vita nel Vangelo, non ho più paura di avvicinarmi a te, Vergine piena di grazia. Tu a Nazareth sei vissuta povera tra i poveri. Tu sei la madre dei poveri, degli umili, dei piccoli. Essi possono, senza timore, alzare gli occhi a te. Tu sei l’incomparabile Madre che va con loro per la strada comune, per guidarli al cielo. O Maria, voglio vivere con te, voglio vivere come te, voglio seguirti ogni giorno.

on impressionante chiarezza san Giacomo apostolo ci ricorda che: “la fede senza le opere è morta” (Gc 2,26). Questa fede o trasforma e plasma tutta la nostra vita (diventa totalizzante) o non è fede profonda. E la vita la intendiamo con tutte le sue stagioni, belle o brutte, con i suoi giorni caldi o freddi, con i suoi alti e bassi, “nella buona e nella cattiva sorte”, cioè nella salute o malattia. Quindi non solo la domenica, più leggera perché senza i soliti impegni, ma specialmente nei giorni feriali quando le “opere” da compiere (i nostri doveri professionali) li sentiamo pesanti e stressanti. La fede quindi vista come motore spirituale del proprio vissuto quotidiano, fatto di piccole o grandi azioni. Questo lo possiamo dire anche della devozione a Maria di Nazaret, la Madre di Gesù. O la sentiamo vicina esistenzialmente come costante modello di fede e comportamento, oppure la nostra devozione è debole e inconsistente. Su questo ha insistito anche Teresa di Lisieux. Di lei non abbiamo ponderosi volumi di mariologia, ma poche illuminanti parole sotto forma di poesia (200 versi) in “Perché ti amo, Maria”. Maria è per lei non tanto la regina, inaccessibile quanto grande, potente quanto estranea, ma è soprattutto una Madre, la Madre di Gesù. La Maria di Teresa è quella che emerge dai Vangeli “sofferente e mortale”, capace di “tacere e di nascondersi”, “umile donna tra le donne di Nazaret”. Una Madre capace di “gioire e di piangere”, tutta occhi e premure come a Cana, umile tra la gente umile che ascoltava suo Figlio, senza reclamare la prima fila (nessun minaccioso

“Lei non sa chi sono io”!). Una Madre coraggiosa e fedele, che ha posto la vita tutta in relazione alla missione del Figlio, fino a seguirlo ai piedi della Croce, condividendone il dolore, fino a morire con Lui senza morire. Una Madre molto terrena, vicina alla nostra vita di ogni giorno, una sorella maggiore più che una sovrana. Una come noi, ma nello stesso tempo molto più di noi, da amare e imitare non solo da ammirare, o celebrare in qualche processione. Teresa fece un rimprovero ai predicatori del suo tempo (e del nostro?) affermando che tutte le prediche ascoltate l’avevano lasciata fredda. “Perché una predica sulla Vergine Maria dia frutto, è necessario mostrare la sua vita reale, così come il Vangelo ce la mostra. La sua vita a Nazareth e anche più tardi dovette essere totalmente ordinaria. Bisognerebbe dire che ella viveva di fede come noi e portare le prove tolte dal Vangelo”. E Teresa contempla Maria nella sua ordinarietà, fatta di piccole cose quotidiane, faccende familiari e sociali da sbrigare. Riflette su tutte le azioni e tutte le attenzioni che una mamma deve avere per il proprio bambino piccolo e che anche Maria ebbe per il piccolo Gesù che non “recitava” a fare il bambino ma lo era davvero. Con tutti i piccoli e talvolta grandi problemi che un bambino pone e che Maria certamente ha affrontato. Tutto questo come ogni buona mamma, con tutta la fede e tutto l’amore di cui ella disponeva, dispiegato nelle innumerevoli piccole azioni quotidiane. In altre parole Teresa, dottore della Chiesa, ci insegna a guardare Maria con “occhi feriali” come la nostra ausiliatrice nella vita quotidiana, per fare di questa un avvenimento di salvezza, come lei. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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RIVISTA MARIA AUSILIATRICE - N. 3 - 2011

Foto Notario

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Santa Maria Santa Maria, donna feriale insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza. Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l’abbandono alla volontà di Dio. Torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria, innamorata di normalità, che prima di essere incoronata Regina del cielo, hai ingoiato la polvere della nostra povera terra. Mons. Tonino Bello, Servo di Dio (1935-1993)

Donami il coraggio Maria, limpido splendore della gloria di Dio, Madre amabile. Desidero amarti, imparando da Te l’umile abbandono alla volontà del Padre. Donami il coraggio per seguire il tuo Gesù. Possa nei momenti di dolore e di sconforto guardare Te per avere il tuo sostegno, e per ritrovare quella gioia certa che Gesù dona a coloro che a Te ricorrono. Anna Maria Leotta

Maria, Donna ideale

 Sano di Pietro: “Madonna con Bambino”.

Nessuna più di Te. Nessuna come Te, o Maria, donna ideale. Totalmente splendida, totalmente umile, col tuo “sì” ci ottenesti la salvezza: dal Santo Spirito adombrata divenisti MADRE dell’Unigenito Figlio di Dio. E a Te, straziata dal dolore, ai piedi della Sua Croce, Egli, divino olocausto, tutti gli uomini ha affidato: di ieri, di oggi, di domani. Suoi fratelli e Tuoi figli noi siamo. Fermati, Ti preghiamo, accanto alla nostra solitudine, porgici la Tua carezza di Madre e fa’ che possiamo, dietro a Te, come Te, calarci nel profondo dell’AMORE.

Foto Guerrino Pera

Alessia

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Catechesi & dintorni

Un fratello... più fratello È

davvero strana la chiave di lettura con cui i ragazzi di nove-dieci anni si accostano alla parabola del figliol prodigo. La loro attenzione si concentra, infatti, sulla figura del fratello maggiore, più che su quella del Padre misericordioso. “Aveva ragione di protestare con suo padre: io avrei sbattuto la porta in faccia a un figlio così!”. “Forse io lo avrei ripreso in casa, ma facendo patti molto chiari e severi, come fa mio padre con me”. “Io non lo avrei più voluto come fratello, non gli avrei più rivolto la parola! E soprattutto, non gli avrei più fatto toccare le mie cose”. Il dibattito è acceso e violento; altro che clima adatto per prepararsi alla confessione! Dopo che il gruppo ha sfogato malumori vecchi e nuovi vissuti nell’ambito familiare, Alessia, rimasta stranamente silenziosa, interviene tristemente: “È vero, è difficile andare d’accordo tra fratelli. Anch’io bisticciavo sempre con mio fratello e gli facevo i dispetti, come lui faceva con me. Adesso che ha avuto un incidente con il motorino ed è in coma all’ospedale, mi spiace tanto essere stata così cattiva. Adesso gli voglio bene davvero e se riuscirà a guarire, glielo dirò tutti i giorni: prima non glielo avevo mai detto”. La ragazzina scoppia in un pianto dirotto. Cerco di confortarla: “Tuo fratello sa che gli vuoi bene e noi pregheremo perché guarisca”. Siamo tutti scossi, ma il bellicoso Matteo rompe l’improvviso silenzio: “Beh, certo che un fratello malato è... un po’ più fratello! Si può anche perdonargli qualche cosa!”. Faccio notare che il figliol prodigo della parabola, in fondo, è un po’ malato, e come tale merita comprensione. “E che malattia aveva? Il Vangelo non lo dice”. Certo, non si tratta di una malattia specifica, non di un male fisico, ma spirituale. Soffriva di insoddisfazione, di sconten-

 Ritornò in sé e disse: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te” (Lc 15,18). © Mikael Damkier - Photoxpress

Quando i genitori sono buoni e pazienti è bello vivere tutti insieme appassionatamente. © Sonya Etchison - Photoxpress

tezza, di noia. Aveva tutto ciò che si può desiderare: casa, famiglia, affetto, benessere, ma non gli bastava. Aveva un padre tenero e comprensivo, pronto ad esaudire i suoi desideri, e lo ha lasciato per vivere con amici poco affidabili, pronti ad abbandonarlo alla prima occasione. “Pensandoci bene, doveva essere proprio malato, sì, ma nella testa!”, osserva Monica. “Allora ha fatto bene il padre a riprenderselo in casa!”. “E l’altro figlio avrebbe dovuto capire e starsene zitto”. “Allora anche noi siamo un po’ malati quando ci lamentiamo per i compiti, perché non ci piace il pranzo della mensa scolastica, perché abbiamo poco tempo per giocare”. “Siamo davvero fortunati ad avere tante cose! Ad avere un Padre che ci perdona ogni volta che combiniamo qualche pasticcio”. Ecco come siamo diventati bravi! Così, insieme, preghiamo di cuore per il fratello di Alessia. E perché la preghiera sia più efficace, decidiamo di impegnarci in qualche “fioretto”. Matteo promette di non bisticciare con la sorella per due giorni. “Non è facile il Vangelo – conclude Chiara –. Però non è facoltativo, vero?”. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Avvenimenti

Giovanni Paolo II è Beato Devotissimo a Maria: “Totus Tuus” Lo stemma papale È un omaggio al mistero centrale del cristianesimo: la Redenzione. Raffigura una croce, la cui forma non corrisponde a nessuno dei consueti modelli araldici. L’inusuale spostamento trova spiegazione nel secondo oggetto presente nello stemma: la M maiuscola, che ricorda la presenza di Maria sotto la Croce e la sua eccezionale partecipazione alla Redenzione. La devozione del pontefice alla Vergine si manifesta in questa maniera, come era espressa anche nel suo motto cardinalizio: “Totus Tuus”. Nella Provincia ecclesiastica di Cracovia, poi, si trova il santuario mariano di Czestochowa, dove da secoli i polacchi esprimono la loro devozione alla Madonna.

Lo scorso 1° maggio, papa Giovanni Paolo II è stato proclamato beato dal suo successore Benedetto XVI. La cerimonia ha confermato che nessun altro pontefice è stato descritto, fotografato, amato come lui. Anche la nostra Rivista ha pubblicato suoi testi e fotografie, come in occasione delle sue visite alla Basilica, nel settembre 1988, per i cent’anni della morte di Don Bosco e nel maggio 1980. Così, per non ripeterci, ecco alcune “curiosità”, che ce lo fanno amare di più.

29 volte il giro del mondo Nessun altro Papa si è mai spostato come lui: in auto, in aereo o con la nave

 Il francobollo per la beatificazione emesso il 12 aprile dalle Poste del Vaticano, con soggetto identico a quello della Polonia.

ha percorso 29 volte il giro del mondo. In particolare, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie romane, su un totale di 333. In Italia ha compiuto 145 viaggi, in 259 città (non conteggiate le ripetizioni) per un totale di 84.998 km, oltre 71 volte la lunghezza della Penisola. Poi, nei 104 viaggi internazionali (Italia esclusa) ha visitato 617 località di 129 nazioni (senza ripetizioni): come se avesse compiuto tre volte la distanza tra la Terra e la Luna. Considerando i giorni vissuti fuori Italia, ha trascorso all’estero il 5,6% del suo intero pontificato. 14 Encicliche Oltre a 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche, Giovanni Paolo II ha scritto le seguenti 14 Lettere encicliche: Redemptor Hominis (4 marzo 1979)

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 Papa Wojtyla in preghiera nel nostro Santuario, nel settembre 1988. © Archivio SGS

Lo stemma di papa Giovanni Paolo II, con la grande “M”, che richiama il motto “Totus tuus”. 

nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio” (novembre 1996); “Trittico romano”, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004) e “Memoria e Identità” (febbraio 2005). – Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi. – Ha allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più uno “in pectore”). – Ha proclamato 1338 beati e 482 santi. – Ha avuto 38 visite ufficiali e altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, oltre a 246 udienze e incontri con Primi Ministri. Siti per saperne di più – Vaticano: http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/index_it.htm – Vicariato di Roma: http://www.vicariatusurbis.org/beatificazione/italiano/homepage.htm – Per la beatificazione: http://www.karol-wojtyla.org Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net

Dives in Misericordia (30 novembre 1980) Laborem Exercens (14 settembre 1981) Slavorum Apostoli (2 giugno 1985) Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986) Redemptoris Mater (25 marzo 1987) Sollicitudo Rei Socialis (30 dicembre 1987) Redemptoris Missio (7 dicembre 1990) Centesimus Annus (1° maggio 1991) Veritatis Splendor (6 agosto 1993) Evangelium Vitae (25 marzo 1995) Ut Unum Sint (25 maggio 1995) Fides et Ratio (14 settembre 1998) Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003). Che numeri! – A Giovanni Paolo II si ascrivono anche cinque libri: “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994); “Dono e mistero:

PREGHIERA PER IMPLORARE GRAZIE PER INTERCESSIONE DEL BEATO GIOVANNI PAOLO II O Trinità Santa, ti ringraziamo per aver donato alla Chiesa il papa Giovanni Paolo II e per aver fatto risplendere in lui la tenerezza della tua paternità, la gloria della Croce di Cristo e lo splendore dello Spirito d’amore. Egli, confidando totalmente nella tua infinita misericordia e nella materna intercessione di Maria ci ha dato un’immagine viva di Gesù Buon Pastore, e ci ha indicato la santità come misura alta della vita cristiana ordinaria quale strada per raggiungere la comunione eterna con te. Concedici, per sua intercessione, secondo la tua volontà, la grazia che imploriamo, nella speranza che egli sia presto annoverato nel numero dei tuoi santi.

Amen.

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All’ombra del santuario

Màrtiri, Santi e anche due Bea t La cappella delle reliquie

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in dal IV secolo, la Chiesa di Roma ha venerato i corpi dei màrtiri. Nel settimo e ottavo secolo, in seguito all’invasione longobarda, le reliquie dei più famosi furono traslati nelle chiese urbane. In età carolingia, in tutto l’Occidente cristiano si diffuse il desiderio di possedere almeno una reliquia dei martiri. Ogni grande monastero voleva il “suo” santo e divenne comune la falsa credenza che le catacombe fossero i cimiteri di questi testimoni della fede. Cominciò, così, un traffico di reliquie vere e false. La palma, le lettere greche χ (chi) e ρ (ro) intrecciati, detto krismon, e altri simboli sulle chiusure delle tombe furono interpretate come il contrassegno del loculo di un martire. E così i cosiddetti “corpisantari” estrassero dalle catacombe salme di semplici cristiani, spacciandole per reliquie dei martiri. Oltre a questo “commercio” di reliquie, ce n’è un altro meno appariscente: quello dei collezionisti di reliquie. Uno fu il torinese Michele Bert, uomo molto religioso, che nel 1891 fece erigere la chiesa del Pilonetto e nel 1904 donò il terreno per la costruzione di un asilo infantile. Morì nel 1926, dopo aver legato al Rettor Maggiore dei Salesiani, don Pietro Ricaldone, la sua

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La tomba e il monumento funebre al beato don Michele Rua, primo successore di Don Bosco. Foto Notario

raccolta di oltre tremila reliquie. Per custodirle, l’architetto salesiano Giulio Valotti progettò nella cripta della basilica di Maria Ausiliatrice una cappella, consacrata il 14 settembre 1934, a navata unica e con sette altari. Il maggiore, con la reliquia della Santa Croce, è dedicato alla passione di Gesù, e gli altri a diverse “categorie” di santi: i martiri, i confessori della fede, i fondatori di Ordini e Congregazioni religiose, i Dottori della Chiesa e le Vergini. I dipinti posti sopra gli altari furono eseguiti dal pittore Mario Barberis. Successivamente furono collocate le spoglie di


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a ti salesiani  Nella Cappella, situata nella cripta del nostro santuario, appena discesa la scala ci si trova di fronte all’altare dell’Apparizione. Foto Notario

due beati salesiani: don Michele Rua e don Filippo Rinaldi, ricordati da lastre bronzee con la loro immagine, opere dello scultore Gabriele Garbolino Ru’. Oltre alle reliquie dei santi, che possono soddisfare la devozione e la curiosità dei fedeli, la cappella possiede un’importante opera scultorea. Appena scesi dalla scala

I sei altari laterali sono dedicati a “categorie” di santi. Da sinistra: altare dei martiri Callisto Caravario e Luigi Versiglia, di San Tarcisio, di don Rua, di don Rinaldi, di santa Cecilia e della Santa Croce. Foto Notario

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che proviene dalla Basilica, si incontra subito il primitivo monumento funebre del beato Michele Rua, primo successore di Don Bosco, opera dello scultore e conte Annibale Galateri (nato a Cesena nel 1864, da nobile famiglia saviglianese, fu anche pittore e uomo politico; morì a Savigliano nel 1949). La figura del beato è collocata in un arcosolio, disteso su una lastra di marmo e rivestito con camice e piviale. Il capo poggia su un doppio guanciale, mentre i piedi sono raccolti da un cuscino cilindrico. Il viso scarno è composto nella serenità della morte; lo scultore vi ha impresso un leggero sorriso come se sul suo corpo morto si riflettesse la gioia della vita eterna. Il sembiante di don Rua è di un potente realismo e produce una forte reazione emotiva in chi lo osserva, tale che non lascia indifferenti: o la si apprezza, o la si rifiuta. L’attuale non è la collocazione originaria del cenotafio. Morto il 6 aprile del 1910, don Rua fu sepolto nelle vicinanze della tomba di Don Bosco, nel collegio salesiano di Valsalice; soltanto più tardi la tomba fu arricchita con la sua immagine. In occasione dell’ampliamento della basilica di Maria Ausiliatrice (19351942), il monumento fu trasferito nel sito attuale. Lo scorso 31 gennaio, festa di san Giovanni Bosco, la cappella è stata nuovamente inaugurata, dopo importanti restauri che l’hanno restituita alla primitiva integrità. Don Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net

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Amare i giovani

In cerca di identi t C

hi vive a contatto con gli adolescenti di oggi sa, per esperienza, che si tratta di una realtà variegata e di difficile descrizione. Sono molti gli articoli sui giornali che cercano di descrivere la realtà giovanile, ma gli autori sono quasi sempre adulti che vivono dall’esterno l’universo “gioventù” e finiscono per presentare una visione lontana dalla realtà. L’adolescenza ha caratteristiche magmatiche difficili da incapsulare in una definizione e da incanalare in una descrizione. La pretesa di dire chi sono i giovani è ridicola, per il semplice fatto che nemmeno i diretti interessati lo sanno. Chi vive quotidianamente in contatto diretto con loro ha imparato ad essere cauto nell’esprimere giudizi e nello stilare valutazioni. Procede per impressioni. Una delle più condivise è quella che coglie nella solitudine esistenziale la piattaforma comune a tanti ragazze e ragazzi. È una realtà che viene negata a parole, ma, in realtà, è confermata dai comportamenti. Spesso si maschera dietro un’apparenza di sicurezza e di arroganza. Il linguaggio povero di vocaboli, ricco di doppi sensi, infarcito

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di slang incomprensibili ai non addetti rivela una tendenza a privilegiare le relazioni blindate nel gruppo di appartenenza e piuttosto impermeabile a qualsiasi altro rapporto. Spesso i giovani si mascherano dietro un’apparenza di sicurezza e di arroganza. © Suzanne Tucker - Shutterstock 

In discoteca, nell’uniformità di vestiti, musiche, luci e ritmi ci si illude di ricuperare i caratteri di una identità collettiva. © Dmitriy Shironosov - Shutterstock

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Ascoltare la vita Se il giovane Werter si consumava nel chiuso della sua camera con la penna in mano, l’adolescente di oggi inganna la noia ed esorcizza le sue paure moltiplicando i contatti virtuali delle chat, attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a sua disposizione. Vederli tecnologicamente aggiornati, spavaldi in compagnia, sciolti nel parlare, eleganti nel vestire, prestanti nel fisico, curati nell’aspetto, sembrano mettere soggezione agli adulti. Ma se una persona li avvicina, li ascolta e si lascia coinvolgere nei loro problemi, sente un tonfo al cuore. Li riconosce ripiegati su se stessi, fragili nei sentimenti, restii a prendersi impegni duraturi, spiazzati di fronte al dolore, impauriti dalla vita vera che preferiscono percepire attraverso il filtro protettivo del computer che evita l’impatto diretto con i propri simili. Quando passano dalla relazione di gruppo a quella familiare e sociale i silenzi prevalgono sui dialoghi, la spontaneità lascia strada al formalismo. Chiusi in se stessi “sentono” la vita nelle sue pulsioni, ma non la “ascoltano” nei suoi ideali e nei suoi valori.


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i tà Un vuoto... da riempire Nella solitudine delle loro camere plasmano e mettono alla prova i loro ideali accettando le sfide poste loro dai videogiochi, rimanendo restii ad aprirsi ai valori solidali. Informati sulle grandi tragedie ed ingiustizie della società moderna, raramente si sentono coinvolti nel cercare una soluzione. Molti per cancellare il vuoto interiore, si stordiscono con la musica “sparata a palla” in modo ossessivo. Le piste delle discoteche sono animate da monadi impermeabili tra loro: nell’uniformità di vestiti, musiche , suoni, luci, movimenti, ritmi ci si illude di ricuperare, in perfetta solitudine, i caratteri di una identità collettiva. Nella massa ognuno è solo se stesso, con i suoi movimenti, con il suo personale modo di percepire e ballare la musica a tutto volume. Con le orecchie che scoppiano, con i battiti cardiaci alle stelle, con i neurotrasmettitori cerebrali sollecitati al massimo, si aprono i sensi,

 Molti giovani esorcizzano le loro ansie moltiplicando i contatti virtuali, resi possibili dagli attuali strumenti tecnologici. © Killroy Productions - Shutterstock

© Anton Zabielskyi - Shutterstock

tutte le inibizioni svaniscono, le paure si sciolgono, ogni goccia di energia viene bruciata e si ha la sensazione di essere vivi. Fatte le debite distinzioni, la solitudine dei ragazzi di oggi ha molte cose in comune con quella dei giovani poveri e sfruttati della Torino ottocentesca dei tempi di Don Bosco. Siamo disposti a farcene carico con la stessa passione ed inventiva? Se sì, genitori ed educatori dovrebbero mettere il problema dell’educazione al primo posto delle loro preoccupazioni, vivere in funzione dei figli, preoccupandosi non solo del materiale, ma industriandosi ad elaborare, in un confronto continuo e serrato con loro, un progetto da realizzare insieme e non rassegnarsi a consegnare il problema del tempo libero in mano a chi ha solo l’interesse di ricavare il massimo del profitto economico, senza preoccuparsi dell’aspetto educativo ma solo di quello ludico. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Maria nell’arte

Sintesi di Genesi e dell’Apo c L’“Immacolata” del Tiepolo

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iovanni Battista Tiepolo nacque a Venezia, in una calle vicino alla chiesa di San Domenico, il 5 marzo del 1696. Il padre lo mise presto a bottega da Gregorio Lazzarini, mediocre pittore, ma buon didatta. L’attenzione di Giambattista fu presto attratta dalle opere dei contemporanei Piazzetta, Ricci, Bencowich e dalla grande stagione veneta del Cinquecento, in modo particolare da Paolo Veronese. Nel 1717 fu iscritto nella “fraglia” o corporazione dei pittori veneziani, e due anni dopo sposò Cecilia Guardi, sorella dei grandi vedutisti, dalla quale ebbe nove figli. Uno di questi, Giandomenico, seguì con notevoli risultati le orme del padre. Il Tiepolo eccelse nell’affresco: coprì superfici immense con mano felice e con inventiva insuperabile. Nel 1725 dipinse il primo affresco per palazzo Sandi a Venezia. Nel 1726 fu chiamato a Udine a decorare la cappella del duomo. In quell’occasione affrescò pure alcuni ambienti del palazzo vescovile. Queste opere sono il capolavoro della sua giovinezza. Chiamato a Milano, dipinse i soffitti di palazzo Archinto (distrutto da una bomba nel 1943) e palazzo Dugnani.

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Da Würzburg a Madrid Dopo un breve ritorno in patria, eccolo a Bergamo, dove affrescò la Cappella Colleoni e per la cattedrale approntò una superba pala d’altare con il Martirio del Vescovo Giovanni. A Venezia, nel 1737 iniziò gli affreschi per la chiesa dei Gesuati. Il 1740 è di nuovo a Milano, dove eseguì,

 Il Museo del Prado, a Madrid, fu voluto dal re di Spagna Carlo III (1716-1788).

  Alcuni particolari e, nella pagina accanto, l’intero dipinto dell’ “Immacolata Concezione”: la tela fu commissionata al veneziano Giovanni Battista Tiepolo nel 1767 e terminata due anni dopo. 

con strepitoso successo, gli affreschi per palazzo Clerici. Di nuovo a Venezia, per la chiesa degli Scalzi affrescò l’immenso Trasporto della Santa Casa di Loreto (distrutto da una bomba austriaca nel 1915). Il 12 dicembre 1750 il maestro arrivò a Würzburg, chiamato dal principe vescovo Carl Philipp von Greiffencla. Il soggiorno tedesco fu ricco di onori e di compensi, e Tiepolo lasciò una serie di affreschi che sono tra i capolavori della decorazione barocca in terra tedesca. Dal 1753 al 1770 l’attività del pittore e della sua scuola fu frenetica: affreschi per chiese, ville, palazzi, e anche pale d’altare per tutto lo Stato veneto e per la committenza forestiera, desiderosa di piccole tele, scene mitologiche e ritratti. Nel 1762 fu chiamato da Carlo III alla corte di Spagna, dove iniziò a decorare il grandioso palazzo reale, architettato da Filippo Juvarra. In quegli anni ebbe a soffrire per gli intrighi di palazzo e si vide messo da parte per la presenza del Mengs, paladino del neoclassicismo. Morì in terra straniera, a 74 anni, il 27 marzo 1770.


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o calisse La tela madrilena La tela dell’“Immacolata Concezione”, ora al Museo del Prado, fu commissionata al pittore dal re di Spagna Carlo III, nel marzo del 1767, per un altare laterale nella chiesa di San Pasquale Baylon, ad Aranjuez, e terminata nell’estate del 1769. Fu presto sostituita da una tela di Anton Raphael Mengs, gradita al re e al suo confessore. La figura dell’Immacolata è contraddistinta da dettagli che sono il risultato della sintesi, forse un poco ridondante, dell’affermazione nel libro della Genesi (“Allora Dio disse al serpente... la sua discendenza ti schiaccerà la testa”) e del testo apocalittico: “Una donna che sembrava vestita di sole, con una corona di dodici stelle in capo e la luna sotto i suoi piedi”. La veste

argentata della Vergine intrisa di luce, emerge dall’ombra del manto, illustrando l’affermazione della donna vestita di sole. Lo spicchio di luna è soverchiato dalla sfera del mondo sopra la quale è simbolicamente ingaggiata una battaglia decisiva tra la Donna e il serpente, mentre le dodici stelle che formano una corona ruotante attorno al capo della Vergine sono il riconoscimento della vittoria, che di certo non può mancare. Il rimando delle allusioni fa sì che lo stesso serpente con il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male tra le fauci, accenni al “drago enorme” dell’Apocalisse. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Wellness educativa

Famiglia e scuola insi e Intervista a don Sandro Ferraroli

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iovani di buona famiglia che, come “eroi” di videogame, percorrono le periferie improvvisandosi teppisti. Teen ager dalla faccia pulita che, per dar scacco alla noia, incendiano cassonetti. Ragazzi che si lasciano vivere, “comparse” in un mondo sempre più virtuale che anestetizza relazioni ed emozioni. Quando riportano simili episodi, i cronisti parlano di “emergenza educativa”. Emergenza o no, c’è chi scommette che le sfide educative vadano raccolte. Come don Sandro Ferraroli, presidente nazionale dei Centri di orientamento scolastico professionale e sociale (Cospes), che ha da poco pubblicato il volume Educare si può - Famiglia e scuola insieme, edito da Elledici. Una vita bella, buona e autentica

Si sente spesso parlare di “emergenza educativa”. Semplificazione giornalistica o problema reale? «Ogni tempo ha le proprie emergenze educative e la storia della pedagogia è ricca di teorie che provano a rispondervi. Il suo significato va cercato nel cammino dell’uomo errante, nel destino di tanti desideri che non raggiungono l’obiettivo, nel clima di smarrimento etico che accompagna le nuove generazioni e può esplodere improvvisamente in situazioni di grave disagio che portano alla luce i segni di una “fatica di vivere” che non può lasciare indifferenti». Su quali valori può far leva un educatore per proporre ai ragazzi una vita bella, buona e autentica? «La qualità dell’educazione dovrebbe “volare alto” per formare persone capaci di farsi carico dei problemi che riguardano il presente e il futuro dell’umanità. Una proposta educativa forte non può pre-

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scindere dai bisogni più essenziali dell’essere umano: essere accolto e amato per poter accogliere e amare, conoscere e capire la realtà circostante, vivere la libertà e la responsabilità». La “ricetta” di san Giovanni Bosco, basata sull’educare i giovani a essere buoni cristiani e buoni cittadini è ancora attuale?

Don Sandro Ferraroli, salesiano e psicologo, dirige il Centro di Psicologia e Consulenza educativa Cospes di Bologna. Attualmente è docente di Psicologia dell’Orientamento, dello Sviluppo e Generale presso l’UPS. È presidente nazionale del Cospes. © Archivio Cospes

 Don Sandro nel suo studio corregge le bozze del libro “Educare si può”. © Archivio Cospes

«Senza dubbio. Il suo amore per i ragazzi più poveri e abbandonati ha anticipato gran parte delle teorie pedagogiche fondate sui diritti dei bambini e degli adolescenti. Egli dà fiducia al ragazzo e crede nelle sue capacità. La sfida, oggi, è educare i giovani a partecipare e a impegnarsi per lo sviluppo umano, a farsi soggetti attivi di una nuova cittadinanza mondiale responsabile». Il ruolo della famiglia e della scuola Non di rado i genitori di figli protagonisti di casi di bullismo sembrano rendersi


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i eme improvvisamente conto di aver allevato degli estranei... «La famiglia, oggi, appare più debole che mai. Spesso “dimezzata” e sola, priva i figli della presenza costante di entrambi i genitori e non è sempre affiancata e sostenuta da insegnanti e da altre figure educative di riferimento. Moltissimi padri e madri sono abbastanza forti per insegnare ai figli che cosa sia bene e che cosa sia male. Molti, però, non ce la fanno». Quale dovrebbe essere, in questo contesto, la missione della scuola? «La scuola non deve accontentarsi di istruire ma mirare a educare. A partire dalla pedagogia delle piccole cose quotidiane, dalle possibilità educative offerte dalla globalizzazione, dalla lotta contro ogni forma di emarginazione e di razzismo... Le nozioni, da sole, non bastano: è necessario educarsi a pensarle e a viverle nello spirito della solidarietà e della sussidiarietà».

 Una proposta educativa forte non può prescindere dai bisogni essenziali dell’uomo: essere amato, capire la realtà circostante e vivere la libertà e la responsabilità.

Quale consiglio darebbe ai genitori che non riescono a instaurare un dialogo o a entrare in contatto con il proprio figlio? «Non trasformare i momenti difficili in stati di scoraggiamento permanente e accettare la fatica del proprio ruolo». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net

SANDRO FERRAROLI

EDUCARE SI PUÒ Editrice Elledici, pagine 216, € 12,00 Il libro prende lo spunto dalla domanda: è possibile educare, dal momento che sia nel mondo ecclesiale che in quello laicale si parla sempre più frequentemente di emergenza educativa? La risposta è positiva, a patto che si verifichino determinate condizioni. Tra i vari argomenti trattati: la relazione del docente con allievi, colleghi, genitori e come aiutare i figli a crescere.

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150 anni di contributo salesiano a “fa r F

are l’Italia Unita non è stato facile, tanto più che è stata fatta senza, anzi contro la Chiesa. Ma anche “fare gli italiani”, è stata un’impresa eroica, al punto che non è ancora riuscita perfettamente. Chissà che non sia questo il motivo per cui, nella serie di libri editi finora in occasione del 150º, pochi illustrano chi e come si è cercato di fare tali Italiani. Pertanto hanno una loro originalità alcuni volumi che illustrano il contributo che i SDB (Salesiani Don Bosco) e le FMA (Figlie Maria Ausiliatrice) hanno dato a fare, come voleva Don Bosco, “buoni cittadini [italiani] in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo”. Anzitutto il volume Salesiani di Don Bosco in Italia. 150 anni di educazione in Italia (Roma, LAS 2011), a cura di F. MOTTO, ricco di 10 saggi di indole storica che coprono il primo centenario e di sei contributi di indole testimoniale relativi all’ultimo mezzo secolo. Passa così davanti ai nostri occhi, la Storia d’Italia di Don Bosco, l’azione preventivo-sociale dei SDB a fine ’800 e primo ’900, la collateralità dei SDB al Movimento cattolico, la loro passione educativa sul fronte di guerra e durante il fascismo, il decollo della SEI

 La copertina de “La storia d’Italia raccontata alla gioventù” scritta da Don Bosco e pubblicata nel 1935.

negli stessi decenni, la protezione di chiunque fosse in pericolo durante la Resistenza. Sentite e precise poi le testimonianze circa il boom del teatro salesiano negli anni 50, la mitica esperienza del centro di rieducazione di Arese (MI) con la nascita in loco dell’OMG, la storia della Elledici e della pastorale giovanile degli anni del dopoconcilio, il significato innovativo del VIS, gli ultimi 30 anni della federazione CIOFS-FAP. Di grande significato per i futuri studiosi sono i due contributi statistici iniziali sulle 400 presenze salesiane e sui 17.000 SDB, suddivisi regione per regione, provincia per provincia, decennio per decennio.

© Archivio Salesiano Centrale

Alcuni “scatti” d’epoca di vita salesiana: nelle scuole professionali e in oratorio, ieri come oggi, si insegna ad essere “buoni cittadini e bravi cristiani”. © Archivio Salesiano Centrale  

In secondo luogo Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia (1872-2010). Donne nell’educazione, a cura di G. LOPARCO - M. T. SPIGA (Roma, LAS 2011). La ricerca muove da una riflessione sull’educazione nell’accezione salesiana; documenta la di-

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a re gli Italiani” stribuzione locale di oltre 1.100 comunità dal 1872 al 2010; parla di quasi 14.000 FMA italiane. Emerge soprattutto la varietà enorme delle opere: le più massicce riguardano l’istruzione; poi la formazione al lavoro, l’oratorio; la formazione religiosa; l’assistenza connotata secondo i tempi normali o di emergenza; le associazioni, dalle ex allieve a quelle più recenti, come CIOFS, TGS, CGS, PGS, VIDES, le case e i servizi di cura... Per alcuni anni è calcolato il numero dei destinatari, in parallelo con i SDB. Alcuni studi riguardano le scuole, specie la formazione delle maestre; il gruppo SAS per la sperimentazione didattica e la pubblicazione di libri di testo; il CIOFS

Scuola impegnato per la riforma. Un saggio sull’assistenza dei bambini della strada parla di Genova, un altro presenta l’attività delle FMA durante la II Guerra mondiale; poi l’evoluzione della formazione professionale con una proposta culturale del

 Il “manifesto” di una rappresentazione svoltasi presso l’Oratorio “Quartiere Don Bosco” di Roma, per la “Festa dei genitori” nell’anno centenario dell’Unità d’Italia.

Di interesse storico sono anche F. MOTTO, Vita e azione della parrocchia nazionale salesiana di San Francisco (18971930). Da colonia di paesani a comunità di Italiani (Roma, 2010). J. M. PRELLEZO, Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (18531953), (CNOS-FAP 2010). Più divulgativo ma avvincente G. MANIERI, Salesiani laici per il mondo del lavoro (Torino, Ed. Elledici 2011).

CIOFS-FP oggi riconosciuta nel civile. La ricerca offre preziosi dati inediti, che saranno la base per altre indagini. Dall’insieme emerge che i SDB e le FMA hanno dato un apporto, ispirato al Sistema preventivo di Don Bosco, in una rete nazionale fittissima di opere, istituzionalizzate e non formali. Secondo le esigenze dei tempi, dei contesti locali, hanno promosso l’educazione cristiana a largo raggio, promuovendo la cultura umanistica, del lavoro, del tempo libero produttivo, favorendo l’integrazione, la modernizzazione e la crescita del “Bel Paese”, nella convinzione, sempre attuale, che nell’impronta salesiana non c’è contrapposizione tra essere cittadini ed essere cristiani, anzi i valori civili esprimono le convinzioni religiose. Come educatori e educatrici sono stati e sono anche una risorsa economica del Paese, per tanti servizi offerti alle famiglie “senza oneri per lo Stato”. Francesco Motto fmotto@sdb.org N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Esperienze

La farfalla vola e ora la scuola c’è! “Il sogno di Samuele” in Ciad

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ara Rivista, desideriamo far conoscere ai lettori la realizzazione di un sogno. Tutto inizia nel 2008, in Ciad, nell’Africa centrale, dove un prete salesiano, don Enrico Bergadano, e i suoi confratelli desiderano realizzare una scuola per i bambini della comunità locale in Sarh, a circa 600 km dalla capitale, Djamena. Manca tutto o quasi, soprattutto manca il denaro, ma c’è la fiducia nella Divina Provvidenza. E la Provvidenza fa volare l’idea come una farfalla, che attraversa il deserto e arriva in Italia, dove il suo battito d’ali si fonde con il battito del cuore generoso e straziato di una mamma e di un papà che hanno appena perso il loro primogenito, Samuele. Samuele Callegaro è morto il giorno dell’Assunta, a soli 10 anni, colpito da un fulmine improvviso, nel giardino di casa, a Mappano (Torino). Nonostante l’immenso dolore, mamma Martina e papà Alessandro riescono a dare un senso alla tragedia, decifrandola in una “cosa grande” che diventa l’Associazione Onlus “Il sogno di Samuele”, sostenuta e alimentata dagli amici più cari, ai quali se ne aggiungono altri e altri ancora, con l’obiettivo di trovare i fondi per la scuola in Ciad.

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Le fotografie di questo articolo e tutte le altre che riguardano i progetti del sogno di Samuele sono disponibili anche sull’indirizzo web: www.flickr.com/groups/ilsognodisamuele

Ed eccoci a condividere con voi questa nostra storia, affidata alla protezione di Maria e all’intercessione di Don Bosco, che passo passo ci guidano nella grande impresa. Il 19 luglio 2009, infatti, raggiungiamo il primo traguardo, consegnando 38.810 euro a don Enrico. È una grande festa per tutta la comunità di Mappano e la gioia continua, altri 100 mila euro sono donati da due anonimi benefattori. È quasi fatta: l’albero dei sogni inizia a dare i suoi frutti, e a novembre dello scorso anno la scuola San Domenico Savio è terminata. La costruzione ha portato lavoro per la popolazione locale e domani permetterà ai bambini di imparare a scrivere e leggere, soprattutto di avere una chance in più per migliorare il mondo. Ora la raccolta fondi continua per un secondo progetto: vogliamo realizzare un centro di aggregazione giovanile a Mappano, dove Samuele è cresciuto. Vogliamo che sia costruito per educare i giovani come Don Bosco faceva con i suoi ragazzi, attraverso la gioia, il gioco, lo sport, la ricreazione e la catechesi che avvicinano i ragazzi a Dio.


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Se volete sapere qualcosa in più, visitate il sito: www.ilsognodisamuele.it. E se qualcuno desidera conoscerci, siete benvenuti ogni venerdì sera presso la nostra sede, in Strada Cuorgnè 27, a Mappano di Caselle (Torino). A fianco trovate una pagina dal diario di Sergio e Nino: che lo scorso 30 gennaio erano in Africa, a nome nostro e dei genitori di Samuele, per l’inaugurazione della scuola elementare nella missione salesiana di don Enrico. Grazie a tutti per il sostegno, l’amicizia e l’amore dimostrati, a voi particolarmente che attraverso le pagine di questa splendida pubblicazione date voce ai miracoli che Dio distribuisce ancora nel mondo!

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La pagina dell’ADMA

Giovanni Paolo II e il suo affid a

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ADMA news Per informazioni complete e aggiornate sull’ADMA nel mondo consultate il sito: www.admadonbosco.org oppure: www.donbosco-torino.it adma-on-line

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a gioia per la beatificazione di papa Giovanni Paolo II è motivo di ringraziamento al Signore e a Maria per il dono straordinario del suo pontificato nella Chiesa e nella storia del nostro tempo. La sua vita testimonia la verità del suo stemma e del suo motto: “tutto di Maria, per essere tutto di Gesù”. Con Maria ai piedi della croce, per essere con Maria vero discepolo e apostolo di Gesù e servo fedele e generoso della Chiesa. Da Papa, egli visitò i luoghi della tradizione e della santità salesiana di Torino e del Piemonte in due occasioni: nell’aprile del 1980 e nel 1988, in occasione del centenario della morte di Don Bosco. E nella Lettera “Iuvenum Patris” ricordò che per Don Bosco l’opera educatrice è «uno squisito esercizio di maternità ecclesiale» e che Maria «continua nei secoli ad essere una presenza materna». Il 4 settembre 1988, a Torino, all’Angelus, pronunciò un messaggio profetico per noi oggi: «Da questo Santuario mariano tanto significativo per i giovani rivolgo un appello ai genitori, ai presbiteri, alle persone consacrate ed agli educatori tutti, ricordando loro che hanno la vocazione d’interpretare con generosa donazione di sé la maternità della Chiesa per la nascita e la crescita della fede nel cuore dei giovani. Quante difficoltà trova oggi la gioventù al riguardo! È una sfida preoccupante, tra le più urgenti e anche tra le più delicate e complesse. Non è un compito facile, ma è più che necessario. Invito, pertanto, a guardare Maria, potente aiuto e materna guida degli educatori della fede. Se ci affidiamo veramente a lei, sentiremo crescere in noi un atteggiamento di piena fiducia e capacità pedagogica e, insieme, un grande amore riconoscente, come ricambio della sua sollecitudine per la gioventù. Saremo portati a sentire più intensamente, guidati

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da “Colei che ha creduto”, il compito dell’educazione della fede, e a percepire più distintamente che l’azione della Chiesa nel mondo è come un prolungamento della maternità della Vergine piena di grazia. In questo modo, la partecipazione alla missione della Chiesa si tradurrà in amore per Maria, stella dell’evangelizzazione, e in riconoscenza per il suo materno aiuto». È molto bello che il VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, in programma a Czestochowa dal 3 al 7 agosto, abbia come tema “Totus tuus”. Chiediamo una speciale intercessione a Giovanni Paolo II, grande innamorato e apostolo di Maria. Don Pier Luigi Cameroni Animatore spirituale pcameroni@sdb.org

L’ADMA nel mondo Roma, Giornate di spiritualità (20-23 gennaio 2011)

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na ventina di soci ADMA hanno partecipato a questo appuntamento che approfondisce e orienta il cammino


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d amento a Maria Ausiliatrice

dei gruppi della Famiglia Salesiana attorno alla “strenna” del Rettor maggiore. San Benigno Canavese (Torino)

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omenica 30 gennaio il locale gruppo ADMA ha celebrato l’aggregazione alla Primaria di Torino-Valdocco. Nell’abbazia di Fruttuaria, sorta nel Settecento sui resti di una chiesa dell’anno 1000, si sono radunati i gruppi della Famiglia Salesiana, insieme ai giovani e ai parrocchiani. Il presidente dell’ADMA Primaria, Tullio Lucca, ha consegnato il diploma al presidente del nuovo gruppo, Sergio Luigi Rocca. Capaci (Palermo)

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l 31 gennaio hanno aderito all’ADMA dieci nuovi soci. Il gruppo è animato da suor Francesca Vicari, FMA. Torino-Valdocco ADMA Giovanile 

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omenica 6 febbraio, una ventina di giovani dell’ADMA Giovanile hanno riflettuto sul messaggio del Rettor Maggiore in occasione della festa di Don Bosco. In particolare, è stato accolto il messaggio di essere “perle preziose”, metafora di una vita carica di senso, tipica di giovani che rifiutano di “vivacchiare”. N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Appuntamenti mariani

La silenziosa “Madonna del 11 maggio 1510

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l santuario della Madonna del Frassino sorge quasi sulla sponda del lago di Garda, vicino a Peschiera e ai colli dove si sono combattute sanguinose battaglie del Risorgimento. Tra il verde e la quiete dei cipressi, vi è conservata una piccola statua della Madonna dalle origini prodigiose.

 L’immagine popolare raffigura l’evento miracoloso che ha portato alla costruzione del santuario, vicino a Peschiera del Garda. Vista aerea del complesso, affidato ai Francescani. 

L’apparizione L’11 maggio del 1510 un contadino, Bartolomeo Broglio, lavora nel proprio campicello. I tempi sono tristi: le guerre tra i Francesi e la Repubblica di Venezia hanno portato distruzione e povertà. Improvvisamente sente un fruscio e rimane atterrito alla vista di un serpente, che gli si avvicina minaccioso. Bartolomeo istintivamente rivolge un’invocazione alla Madonna e con sollievo vede che il serpente si allontana. Nello stesso istante, è attratto da una luce tra i rami di un alto frassino. Si avvicina e con meraviglia vede, nello splendore, una piccola statua della Madonna con in braccio il Bambino. Colmo

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SANTUARIO-CONVENTO DEL FRASSINO Via Frassino - 37019 Peschiera del Garda (VR) Tel. +39 045 7550500 santuariodelfrassino@virgilio.it

di gioia, comprende che è stata la Vergine a salvarlo; bacia la statuetta e se la porta a casa, dove racconta ai familiari quanto gli è accaduto. Preoccupato di conservare quel tesoro, depone la statuetta in un cassettone che ritiene sicuro. La notizia dell’apparizione, però, si propaga. Tutti vogliono vedere la statuetta e Bartolomeo non sa dire di no: apre il cassettone, ma con sorpresa non trova la statua. Sconvolto, corre al campo e vede nuovamente la statua della Madonna tra i rami del frassino. La notizia del fatto straordinario si diffonde in un baleno, e i fedeli accorrono per implorare grazie e benedizioni dalla Vergine. Il parroco, mons. Antonio Cornacchi, informa il Vescovo. Poi, la statuetta è portata in processione a Peschiera e collocata nella chiesa della Disciplina, custodita sotto chiave in un tabernacolo. L’afflusso del popolo continua ininterrotto, ma un giorno il custode aprendo il tabernacolo dove


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frassino”

l’immagine è custodita, lo trova vuoto. La Madonna è tornata sul frassino, a dimostrazione che desidera essere venerata in quel luogo.

 La statuetta miracolosa della Madonna, venerata da cinque secoli.  L’interno del santuario, mèta di pellegrinaggi non soltanto dalle zone vicine.

Il Santuario La Vergine dal volto soave, raffigurata nella statuetta alta circa 14 cm, è ritta su di un piedistallo, avvolta da una veste che le scende in leggere pieghe sino ai piedi. Sul capo porta la corona regale e con la destra stringe al petto Gesù, che guarda con immensa dolcezza la Madre e tende verso di lei le braccia nude. Nel frattempo, la gente costruisce una cappella, affidata dapprima ai Servi di Maria e poi ai Frati Minori Francescani, i quali edificano la bella chiesa detta appunto “della Madonna del Frassino”, sin dal 1514. Da cinque secoli, il santuario è centro di fede per gli abitanti delle zone circostanti, nonostante le dolorose vicende

CSDM online Consultate l’archivio on-line del Centro di documentazione. Troverete anche nuove informazioni ed approfondimenti. www.donbosco-torino.it Questo mese: storia illustrata dei Papi della prima metà del IX secolo.

che lo coinvolsero. Le truppe di Napoleone prima, l’esercito piemontese del maggiore Alfonso Lamarmora poi, in lotta contro l’Austria per l’indipendenza dell’Italia, recarono distruzione e rovine. La Madonna, però, ha sempre vegliato sulla sua Casa e la pace di Villafranca, nel 1859, ha salvato definitivamente il santuario. Nel 1930, la Madonna del Frassino è incoronata solennemente e nel 1933, su unanime richiesta dei parroci e dei sindaci delle terre del Lago, è proclamata Regina del Garda. Mons. Eugenio Ravignani, Vescovo di Trieste, così sintetizzava nel 1990 il messaggio che ci viene dalla Madonna del Frassino: “È una Madonna silenziosa, non ha detto una parola. Lei tace. L’umiltà del suo silenzio... Ci troviamo davanti ad una piccola statua: è l’umiltà della sua piccolezza, di Lei che sempre amò chiamarsi Piccola. E poi, questo strano fatto: l’immagine scompare e si trova là soltanto dove è apparsa la prima volta: l’umiltà di essere nelle mani di Dio, che la colloca là dove Egli vuole”. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Sull’esempio di Don Bosco

“Si può ricominciare, se m L’Arcivescovo di Torino all’Istituto penale per minorenni di Torino

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hi pensa che i ragazzi dell’Istituto penale per minorenni “Ferrante Aporti” di Torino siano diversi da quelli che si incontrano nelle piazzette o nelle scuole o nei centri commerciali, si sbaglia di grosso. I 17 giovani (6 italiani e 11 tra peruviani, romeni, senegalesi e marocchini) ora detenuti potrebbero essere nostri figli o figli dei nostri vicini di casa. Alcuni con i pantaloni a vita bassa, codino, tatuaggi e bandana, altri in tuta da ginnastica, tutti con la faccia spaurita di chi non sa cosa ti riserva il futuro. Ma appena stringi loro la mano, gli occhi sorridono. Con loro l’Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia ha voluto iniziare la Quaresima, il Mercoledì delle Ceneri, visitando il carcere accompagnato dal cappellano, il salesiano don Domenico Ricca, e dalla direttrice Gabriella Picco. Un incontro informale, una “predica nei

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fatti” come l’ha definito l’Arcivescovo prima di congedarsi. La sfida della “Generala”

L’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, in visita all’Istituto penale per minorenni “Ferrante Aporti” di Torino, con (da sinistra) l’ispettore della Polizia Penitenziaria Giovanni Camillo, il cappellano don Domenico Ricca, il dott. Antonio Pappalardo, Dirigente Centro Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, e la direttrice dell’IPM dott. Gabriella Picco. © Foto di L. Donadio - Laboratorio Informatico F. Aporti

Don Ricca – cappellano dal 1979, amato dai ragazzi e “anche da tutti coloro che se ne occupano” – all’inizio del “giro”, ha invitato l’Arcivescovo a sostare di fronte alla lapide che ricorda la visita di Don Bosco. Del resto, da quando il “Ferrante” è stato aperto nel 1845, i cappellani sono stati quasi sempre salesiani, perché “un carcere minorile è il luogo privilegiato per accettare la sfida di educare buoni cristiani e buoni cittadini”, ricorda don Ricca. E Don Bosco alla “Generala” (così si chiamava il carcere minorile fino al 1935, quando fu intitolato al sacerdote ed educatore Ferrante Aporti) era di casa, come documenta la storia dell’Istituto.


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e mpre”

 Un altro momento della visita di mons. Cesare Nosiglia. © Lucia Donadio e laboratorio informatico Ferrante Aporti

Mons. Nosiglia, sin dall’inizio del suo ministero a Torino, ha indicato i giovani come suoi interlocutori privilegiati. Da tempo desiderava incontrare i ragazzi del “Ferrante”. Ed ecco i primi, quelli del laboratorio “multimediale”. Hanno preparato un’intervista al “Tg Ferrante”, come accade tutte le volte che un “personaggio illustre” entra nel carcere minorile, spiega la direttrice mostrando una copia del giornalino dei giovani, L’Albatros, il gabbiano che vola più in alto di tutti. Avere fiducia in se stessi Daniel, a nome dei compagni, pone una raffica di domande a mons. Nosiglia: “Com’era da ragazzo? Perché si è fatto prete? Che cosa pensa dei ragazzi d’oggi? Esiste il diavolo? Esiste un Tribunale per i sacerdoti che sbagliano? Come si diventa vescovo? I suoi genitori erano d’accordo che si facesse prete? Cosa pensa dei giovani d’oggi? Perché ci è venuto a trovare?”. L’Arcivescovo risponde senza esitazione. Poi, si sofferma

 “Io sono convinto che la luce è più forte delle tenebre. Sbagliare è umano, ma si può ricominciare, sempre”. Mons. Nosiglia ai giovani del carcere minorile.

nei vari laboratori, dove i ragazzi possono imparare un mestiere per favorire il loro inserimento al termine della pena. La direttrice spiega lo sforzo che da anni si cerca di fare con i ragazzi, insieme con i vari operatori, i magistrati, gli agenti della polizia penitenziaria e i volontari: pensare per ogni giovane un percorso individuale, perché possa tornare ad avere fiducia in se stesso, nelle sue capacità, nel mettere a frutto i propri talenti.

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La luce è più forte delle tenebre La lapide ricorda la visita di Don Bosco e la validità del suo “sistema preventivo”. © Lucia Donadio e laboratorio informatico Ferrante Aporti

Dopo l’incontro personale con ogni ragazzo, l’Arcivescovo ha un momento assembleare con tutti gli operatori e gli ospiti del carcere e lascia ai giovani un messaggio di speranza “forte”: «Dovete avere fiducia: si esce sempre da una situazione difficile, se lo vogliamo. Io sono convinto che la luce è più forte delle tenebre. Sbagliare è umano, ma si può ricominciare, sempre». E agli operatori, richiamando il tema dell’emergenza educativa, ha ricordato come spesso, dietro a un reato commesso da minori, ci siano adulti inesistenti: «I giovani hanno bisogno degli esempi di adulti significativi – ha concluso Nosiglia – che abbiano un progetto di vita e un quadro di valori con cui si possano identificare. È da lì che dobbiamo ripartire». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

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Lettere a Suor Manu

Benedetta sofferenza? “M

ia figlia, terza media, è stata ingiustamente punita dai professori. Ora soffre molto. Ho provato a parlarne con una professoressa, ma questa non ha neppure compreso il problema. Vorrei tanto soffrire io al posto di mia figlia. Ho cercato di capire chi era il colpevole della punizione e che riconoscesse di essere stato lui... Possibile che non si possa evitare questa benedetta sofferenza?

Un giorno, in un bozzolo apparve un piccolo buco. Un uomo che passava di lì per caso, si mise a guardare la farfalla che si sforzava di uscire. Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa e che il foro avesse sempre la stessa dimensione. Sembrava che la farfalla avesse fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare altro. Allora l’uomo prese un temperino e aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però, il suo corpo era rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento. L’uomo continuò ad osservare perché sperava che le ali della farfalla si aprissero e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla. La farfalla passò la sua esistenza trascinandosi per terra: non fu mai capace di volare. Quell’uomo, con l’intenzione di aiutare, non aveva capito che passare per lo stretto buco del bozzolo era necessario perché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare. Era la forma con cui Dio la faceva crescere. La risposta alla sua domanda, quindi, è: non è possibile evitare la sofferenza! Ogni volta che ci sostituiamo ai nostri figli, facciamo loro del male. Ogni volta che impediamo esperienze di sofferenza, non li aiutiamo a crescere. Ogni volta che

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N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

© Mdb - Photoxpress

cerchiamo di togliere la sofferenza dalla loro vita, togliamo loro la possibilità di volare. Eppure ognuno di noi, in particolare chi è genitore, vorrebbe che la sofferenza non esistesse nella vita di chi amiamo, in particolare nei figli. Penso che il segreto stia non nel togliere le sofferenze, ma nel non far mancare la nostra vicinanza nel momento della sofferenza. I ragazzi, anche più piccoli, non devono crescere pensando che la sofferenza non ci sia, ma devono crescere con la certezza che anche il dolore più grande può essere affrontato, e che in quel dolore e in quella sofferenza non saranno lasciati soli. Il problema, per quanto riguarda la sofferenza di sua figlia, non sta nell’ingiustizia, ma nel fatto che ora non riesca a rialzarsi da questa sofferenza. Passerà certamente e ne uscirà rafforzata in qualche aspetto. Manzoni afferma che “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande”. Sarà importante riflettere insieme su quale apprendimento si può trarre da questa esperienza, così da trasformare le ferite in feritoie. Non togliamo la sofferenza e la fatica, toglieremmo ai figli la possibilità di crescere. Facciamo però in modo che non si sentano soli nella sofferenza e nella fatica e possano sempre scoprire il positivo anche di tali esperienze! Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net


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MARIO SCUDU

ANCHE DIO HA I SUOI CAMPIONI 120 profili di Santi e Martiri Editrice Elledici, pagine 936, € 29,00 Questo ponderoso volume presenta il profilo storico-spirituale di 120 santi e martiri del Calendario Liturgico. Sono donne e uomini diversi, vissuti in secoli differenti, nei più vari contesti professionali e culturali, ma tutti accomunati dall’amore a Cristo, “bruciati” dal desiderio di imitarne gli esempi. Un volume utile nell’animazione liturgica, nella catechesi, nella scuola, nei ritiri spirituali. E un ottimo sussidio per la propria cultura religiosa e per la meditazione personale.

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SOMMARIO

3

N° 3 • MAGGIO-GIUGNO 2011

Maria, l’Ausiliatrice La pagina del Rettore

4

Il coraggio del sì Editoriale

6 8 10 12 14 16 18

29 Un fratello più fratello don Franco Lotto

Catechesi & dintorni

A. M. Musso Freni

30 Giovanni Paolo II è Beato Suor Yvonne Reungoat

Avvenimenti

Lorenzo Bortolin

Un’occasione da non sprecare Marco Rossetti Leggiamo i Vangeli

32 Cappella della reliquie

Maria, Donna dal cuore memore Maria Ko Ha Fong Spiritualità mariana

34 In cerca di identità

“Nel nome di Maria dolce” Roberto Spataro Maria nei secoli

36 Sintesi di Genesi e dell’Apocalisse

Ascensione: un diverso senso della vita Marco Bonatti La Parola qui e ora

38 Famiglia e scuola insieme

Tutto per amore Amici di Dio

Mario Scudu

anni di contributo salesiano 40 150 a “fare gli Italiani”

Beato il mio amico Karol ! Il Papa ci parla

Enzo Bianco

All’ombra del Santuario

Natale Maffioli

Amare i giovani

Ermete Tessore

Maria nell’arte

Natale Maffioli

Wellness educativa

Carlo Tagliani

Italia 150

Francesco Motto

42 La farfalla vola, e ora la scuola c’è

Evangelizzare la politica Andrea Ciattaglia Vita della Chiesa

Esperienze

Associaz. Il Sogno di Samuele

Paolo II 44 Giovanni e il suo affidamento a Maria Ausiliatrice La pagina dell’ADMA

Pier Luigi Cameroni

Don Bosco compie duecento anni: 20 auguri!

silenziosa “Madonna del frassino”, 46 La a Peschiera del Garda

Famiglia: 22 una scelta sempre meno frequente

può ricominciare, sempre” 48 “Si M. Lomunno Sull’esempio di Don Bosco

24 Il “bonet”

50 Benedetta sofferenza?

Memorie salesiane

Attualità

Luca Mazzardis

Lorenzo Bortolin

Le ricette di Mamma Margherita A. M. Freni nel quotidiano 25 IlAusiliatrice poster a cura di Mario Scudu

Appuntamenti mariani

Lettere a Suor Manu

Mario Morra

Manuela Robazza

FOTO DI COPERTINA: Celebrazione per la festività annuale di Maria Ausiliatrice. Foto Renzo Bussio

ANNO XXXII BIMESTR ALE Nº 3 - 2011

R

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I V I S TA

D E L L A

B

A S I L I C A

D I

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R I N O

-VA

L D O C C O

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Ausiliatrice,

prega per noi

ggio pag.4 Cora mo sì dicia

t, Suor Yvonna Reungoa Madre generale . delle suore salesiane

Poster no o pag. 26 Anche quest’an

Bosc pag. 20 Don 200 anni ha

In cammino verso il bicentenario della nascita.

Torino in festa per onorare ce. Maria Ausiliatri

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