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Nº 3 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE
maggio-giugno
Maria, tenerezza di Dio
pag. 22 La ser a prima pag. 34 Il sistema pag. 50 Gianni River a del conclave preventivo Anche lui Intervista al card. Severino Poletto
Il capolavoro educativo di don Bosco
giocava a calcio dai Salesiani
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MAGGIO-GIUGNO 2013
Messaggio di Madre Yvonne Reungoat a papa francesco Santità, veniamo a Lei con immensa gioia per esprimerle il nostro cordiale augurio per la missione di Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica e di Vescovo di Roma a cui è stata chiamata dalla volontà dei Cardinali partecipanti al Conclave. La preghiera per il Papa e per le sue alte responsabilità ci vede impegnate in prima linea, anche per l’amore al Successore di Pietro che il nostro Fondatore e Padre san Giovanni Bosco ha lasciato in consegna alla Famiglia Salesiana. Ora che possiamo pensare al Papa con un nome e con un volto la preghiera sarà ancora più intensa. La barca di Pietro ha di nuovo un Timoniere che, accogliendo l’eredità spirituale di Benedetto XVI, guiderà la Chiesa in questo tempo, carico di sfide, ma anche ricco di opportunità e di segni di speranza. A nome di tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice sparse nei cinque Continenti, esprimo filiale adesione al suo Magistero di Pastore e di Padre della Chiesa universale. La nostra fedeltà al Papa vuole tradursi anche in una vita religiosa più autentica, aderente al Vangelo e al carisma salesiano: sorgenti che la vivificano e le danno fecondità anche vocazionale. Con tutta la Chiesa esprimiamo il nostro impegno nella Nuova Evangelizzazione attraverso l’educazione delle giovani generazioni fino all’annuncio esplicito di Gesù. Siamo convinte che solo se siamo discepole appassionate di Lui, potremo essere missionarie del suo amore perché sapremo trasmettere con la nostra vita il fascino della sua presenza che colma di senso, di gioia, di pace l’esistenza umana. Ci uniamo a Lei, Santità, nel saluto alla Vergine con cui intende iniziare il suo Pontificato. Maria Ausiliatrice continui a benedire la sua vita e renda feconda la sua nuova missione. Offriamo la nostra preghiera perché in questo Anno della fede, la sua guida illuminata orienti l’umanità a incontrare Gesù. Roma, 13 marzo 2013 suor Yvonne Reungoat fMA
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Messaggio ai Salesiani e membri tutti della famiglia Salesiana Beatissimo Padre, mi faccio presente a Lei, con questa lettera, per manifestarLe i sentimenti di omaggio e di augurio della Congregazione e dell’intera Famiglia Salesiana, per la sua nomina a Vescovo di Roma e Sommo Pontefice. Le scrivo nel giorno della solenne inaugurazione del suo Pontificato, che auguro duraturo e colmo delle benedizioni di Dio. Come eravamo convinti di avere, in Benedetto XVI, un grande Pastore, così ora siamo riconoscenti al Signore per averci dato un altro grande Pastore nella persona del suo Successore. In Lei, Santità e Amatissimo papa Francesco. In questo momento, come cristiani e religiosi Salesiani, mentre vogliamo esprimere la nostra gioia per la sua nomina, Le rinnoviamo la nostra fedeltà e assicuriamo il rispetto filiale ereditato da don Bosco. Egli spesso si esprimeva con frasi cariche di affetto e di fede nei confronti del Successore di Pietro. «Chi è unito con il Papa, è unito con Cristo!» (MB VIII, 567). «Saremo ossequiosissimi alla Cattedra Apostolica in tutto, in ogni tempo, in ogni luogo, dove ci chiamerà il Signore» (MB XV, 249). «La preghiera del Papa è per me un comando» (MB V, 874). «La sua parola deve essere la nostra regola in tutto e per tutto» (MB VI, 494). Così parlava il nostro Fondatore don Bosco e così vuole sentire il nostro cuore, oggi. Voglio dirLe, Santità, che immediatamente dopo l’annuncio della Sua elezione è stato per me spontaneo ricordare con gioia la bellissima e indimenticabile esperienza di Chiesa ad Aparecida, nel maggio 2007, dove ho avuto la grazia di conoscerLa e salutarLa personalmente. Insieme abbiamo partecipato ai lavori, alle celebrazioni e agli incontri della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi; ci siamo pure incontrati per la riunione con i vescovi argentini, da Lei presieduta, al fine di definire il luogo e le modalità della beatificazione del ven. Zeffirino Namuncurá. Non
dimenticherò mai le sue parole, piene di stima per il lavoro dei miei confratelli Salesiani nella Patagonia, e per il suo intervento affinché fosse Chimpay la sede della celebrazione. So molto bene della sua vicinanza affettiva ai Salesiani, particolarmente quelli della comunità di Almagro, dove si trovava il P. Enrique Pozzoli, che è stato suo direttore spirituale, e il P. Lorenzo Massa, fondatore della squadra di calcio del San Lorenzo. Soprattutto ho apprezzato moltissimo la sua testimonianza sul nostro confratello coadiutore, beato Artemide Zatti, nel momento in cui Lei era Provinciale dei Gesuiti, e la sua paternità, come Pa-
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store dell’Arcidiocesi di Buenos Aires, verso i nostri confratelli. Sempre mi ha dato grande gioia la nota Sua devozione a Maria Ausiliatrice, ricordata da tanti nostri confratelli. Sin dal momento della sua elezione e della sua presentazione siamo rimasti affascinati dal nome assunto come Pontefice, che raccoglie bene alcuni dei tratti della Sua persona e annuncia un programma di rinnovamento della Chiesa, riportandola alla sua vera identità e al Vangelo, attraverso la semplicità, l’austerità, e tenendo fisso lo sguardo sul Signore Gesù. Santità, accogliamo e facciamo nostro il suo au-
gurio di avere «il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti». Nella fedeltà alla Chiesa e al nostro Fondatore don Bosco, raccogliamo questo suo invito, Santità, e Le promettiamo di tenerlo sempre presente nella nostra vita personale, nelle nostre scelte pastorali e nei nostri programmi apostolici. Le assicuriamo la nostra preghiera. Lo Spirito Santo La assista nel delicato compito che la Provvidenza ha voluto affidarLe e la Vergine Maria sia sempre la grande Ausiliatrice del Suo ministero. Con questa lettera Le inviamo come segno della vicinanza una statua di Maria Ausiliatrice. Sarebbe un grande dono per tutti noi averLa presente un 24 Maggio a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice, costruita con tanto amore da don Bosco. Forse nel 2015, in cui celebreremo il secondo centenario della sua nascita. In spirito di obbedienza filiale, Le diciamo oggi e sempre la nostra devozione e il nostro affetto. Roma, 19 Marzo 2013 Don Pascual Chávez Villanueva Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco
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Sommario 24 36 mamme SuLLe orme di maria 20 UN BAMBINO E BASTA
a tutto Campo 6
PROFONDO ROSSO
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IL VENTO SOFFIA DOVE VUOLE
CHieSa ViVa
iL SaLuto deL rettore
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QUELLA SERA PRIMA DEL CONCLAVE APPUNTI DI CRONISTA PAPA FRANCESCO IN PILLOLE MARIA, UNA MANO TESA TRA TERRA E CIELO FRANCOBOLLI E MONETE PER LA SEDE VACANTE 31 L’ANNO DELLA FEDE... DENTELLATO
LeGGiamo i VanGeLi 10 UN INCONTRO CHE TOCCA IL MISTERO DEL CUORE
in Cammino Con maria 12 DAL FIAT AL MAGNIFICAT GioVani in Cammino 14 UN “SÌ” CHE RENDE LIBERI amiCi di dio 16 RITA, L’AMORE PAZIENTE
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maria nei SeCoLi 18 LA MADONNA DEL LATTE
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DI AMBROGIO LORENZETTI
domus mea ic
Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980
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don BoSCo oGGi 32 TUTTO È COMINCIATO... CON UN URLO! 34 IL SISTEMA PREVENTIVO: CAPOLAVORO 36 38 40 41
EDUCATIVO DI DON BOSCO UN INGUARIBILE SOGNATORE MARIA RISVEGLIA LA CHIESA NELLE ANIME YALLAH AVANTI! PELLEGRINI A CREA CON ‘NDIVIA E CROCION
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46 poster Lettere a Suor manu 59 IL BAFFO DELLA TIGRE
L’aVVoCato riSponde 42 DIRITTI DEI CONSUMATORI:
E SE LA MERCE È DIFETTOSA CHI MI RISARCISCE?
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poSter AUSILIATRICE PERCHÉ MADRE
Sfide eduCatiVe 44 LA “RETE” DIO E L’UOMO 46 GIOVANI BY NIGHT eSperienze 48 LA TERRA DI FRANCESCO 50 QUANDO GIANNI RIVERA GIOCAVA A CALCIO DAI SALESIANI 52 LA TERRA, DONO DI DIO È IL MIO UNICO PADRONE 54 SE LA MORTE DIVENTA LEZIONE DI VITA 56 AIUTARE I BISOGNOSI NEL NOME DI SAN PAOLO
La paroLa Qui e ora 58 CORPUS DOMINI: TUTTO È DONO
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domenica, 12 maggio 2013
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a tutto Campo
Profondo rosso In questa paurosa crisi economica si può ancora pensare positivo? Soprattutto: c’è qualcosa che possiamo fare nel nostro piccolo?
«Nel considerare la mia condizione, mi sono chiesto quale caratteristica mi accomuni a tutti gli altri giovani e studenti di questo Paese. La risposta più istintiva è stata la paura». È un episodio accaduto al direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano. Risale a ottobre dell’anno scorso quando si è ritrovato, al Politecnico di Milano, in un’aula gremita di ragazzi e ragazze. L’interlocutore, arpionato il microfono, incalza: «Sui nostri pensieri incombono mille paure: paura di non riuscire a riscattare tutti i crediti, paura del contratto a progetto che scade; paura di non trovare, dopo gli studi, un lavoro all’altezza delle nostre aspettative o di non trovarne affatto». Conclusione inquietante: «Questa generazione, la mia generazione, ha paura del proprio futuro; non credo possa trovarsi un indicatore più significativo per certificare lo stato di malessere di un Paese». Ci stiamo avvitando in un gorgo buio e senza fine? Quasi ogni giorno, nella redazione del mio giornale, arrivano bollettini scon-
fortanti. Unioncamere, Unioncamere per esempio, ha calcolato che nel 2012 si sono verificate quasi mille chiusure di imprese al giorno: quasi 365 mila, su un totale di oltre sei milioni. Ci aspetta ancora almeno un anno di recessione per l’Eurozona, mentre le agenzie di rating – terribili e controversi giudici dell’affidabilità finanziaria di un sistema-Paese – vanno di ghigliottina, tagliano su Londra, sforbiciano su Roma. Secondo le ultime previsioni della Commissione Ue, nel 2013 la contrazione del Pil (il Prodotto interno lordo, cioè la ricchezza prodotta in una nazione) sarà dello 0,3% contro una previsione precedente del +0,1%. La ripresa si verificherà soltanto nel 2014, con un incremento dell’1,4%. La Francia è bocciata sulla crescita, la Spagna ha un deficit previsto vicino al 7%. In Italia la situazione rimane fragilissima: è allarme sulla disoccupazione, che potrebbe toccare il 12% nel 2014; i ricavi dell’industria manifatturiera perdono oltre 37 miliardi, la pressione fiscale supererà il
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record storico del 45,3%. Il Wall Street Journal – in febbraio – si è dedicato alle diseguaglianze tra le nostre generazioni. Titolo: “fortysomething”, ossia “i quarantenni e qualcosa“, per sottolineare come proprio su questi ultimi cadrà il peso dell’austerità. Il quotidiano americano cita uno studio realizzato dall’Università di Verona insieme alla Banca d’Italia, dal quale emerge che un italiano nato nel 1970 nel corso della sua vita pagherà tra tasse e contributi il 50% in più rispetto a un italiano nato appena 18 anni prima, nel 1952.
un interroGatiVo diVerSo Ce la faremo? Come se non bastasse, ci sono l’incertezza politica, alimentata dalle nebbie di reciproci veti ed egoismi, nonché la burocrazia, gli scandali. Forse, però, dobbiamo provare a met-
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tere sul tavolo un’altra domanda, senza nulla togliere – beninteso – alle responsabilità dei governanti: che cosa possiamo fare noi? C’è qualche azione che può essere messa in atto anche nel nostro piccolo senza sentirci impotenti di fronte a corruzione e marciume dilagante? Penso che dobbiamo partire dalla constatazione della crisi delle relazioni. Questo è il male endemico di cui stiamo soffrendo e da qui – probabilmente – occorre ricominciare in una società ormai caratterizzata dalla “liquidità dei rapporti”, secondo la bella immagine coniata dal sociologo Zygmunt Bauman per dire che tutto è precario, fragile, effimero, specie nei rapporti tra le persone. Una buona relazione si basa su una buona comunicazione. Ma che cos’è? A Francesco di Sales, vissuto tra il 1500 e il 1600, illuminato vescovo di Annecy, non a caso patrono dei giornalisti (e ben caro a don Bosco, come sappiamo) si attribuisce un’efficace definizione: è buona comunicazione quella che parla “da cuore a cuore”. Cor ad cor loquitur. Nelle economie ricche siamo ormai sempre più poveri di tempo: costa sempre di più. A partire dal tempo che si dedica alle relazioni in famiglia, che resta cellula base della società. Bisogna investire sul legame di coppia, ogni giorno; bisogna investire sul rapporto con i figli: che non si compra con denaro o regali, che non si conquista distruggendo “l’istituzione scuola”. Il sistema dell’istruzione è quello che è, ma che danno provocano quei genitori che qualunque
cosa dica un insegnante – anche sacrosanta, come un quattro in matematica – sono pronti a denigrarlo, contestarlo, accusarlo, pur di accaparrarsi la benevolenza dell’adolescente? Ecco il rischio educativo: quanto è più facile dire “sì” sempre? Ma quali adulti di domani stiamo preparando?
una QueStione di StiLe È proprio qui – a mio parere – che la crisi può essere una buona occasione per rimettere mano ai nostri stili di vita. Di crisi di relazioni parlano con intelligenza anche studiosi come Leonardo Becchetti (Tor Vergata Roma2), che hanno approfondito “l’economia della felicità”, il rapporto con il denaro. Si dice che “i soldi non danno la felicità, ma calmano i nervi (figuriamoci la miseria, chiosava Woody Allen)”. Ebbene, si tratta di un tema importante, al centro del cosiddetto “paradosso di Easterlin” (Richard Easterlin, l’economista californiano che nel 1974 osservò come all’aumentare del redddito pro-capite diminuiva la felicità e cresceva l’uso degli
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antidepressivi). Si spiega con l’adattamento edonico: non si è mai contenti, quello che si è raggiunto non basta mai. Ecco l’invidia consumistica, il reddito relativo, il confronto spasmodico con gli altri. Dobbiamo continuare a rotta di collo su questo pericoloso crinale, con la forbice sempre più divaricata tra ricchi e poveri, o si può invertire la tendenza? C’è, insomma, un sistema che va ripensato e non si può prescindere dalla giustizia. Per chi volesse farsi un’idea, ecco due link per ascoltare le riflessioni del professor Becchetti (la prima più articolata, la seconda più sintetica, tratta da una sua intervista rilasciata a Serena Dandini su Raitre):
Dovremmo prendere maggiormente in considerazione alcuni temi – che spesso archiviamo semplicisticamente come tabù o utopistici – quali “microcredito”, “economia solidale”, “commercio equo”. Sembrano concetti astrat-
ti in grado di non spostare la realtà, ma non è così. Pensiamo a Mohammad Yunus, nobel 2006, il banchiere dei poveri, che cosa ha fatto con il microcredito moderno, che non è follia, ma tecnica per fare prestiti anche a persone “non bancabili”, in grado però di restituirle. Curioso che a marzo l’Istat abbia iniziato a parlare di Bes, l’indice di benessere equo e solidale: un modo diverso dal Pil (e dai vari spread) per ragionare di economia. In realtà l’aveva già intuito Bob Kennedy il 18 marzo 1968, in uno storico discorso alla Kansas University, tre mesi prima di venire assassinato. Ascoltatelo:
C’è chi parla di “decrescita”, addirittura di “decrescita felice”, parola capace di generare vespai, come l’economista Serge Latouche:
Vi invito – io l’ho fatto in questi ultimi tempi – a curiosare sulla rivista “Valori” – www.valori.it (c’è anche un app per iPad e iPhone) – che ha pubblicato un interessante dossier nel settembre 2012 con un articolato dibattito sul tema. Noi, per esempio, siamo consumatori consapevoli? Siamo attenti ai rifiuti differenziati? Non lo dico a caso, ma attraverso questi gesti, che sono relazioni – relazioni sociali – si possono cambiare le cose.
una paStoraLe deL “Condominio”? Mi piace – in questo senso – sostenere che dobbiamo imparare a “ripartire dal basso”, per esempio dal condominio. L’Italia è il Belpaese, sicuramente generoso, ma difficilmente governabile. Lo si capisce bene, giustappunto, dalle assemblee di condominio, per chi ci abita. Ebbene, in quella porzione di città (dunque nel palazzo) oppure in paese, possiamo trovare uno straordinario banco di prova per le relazioni. Nulla di stratosferico, ma piccoli e costanti gesti possono farci diventare presenza costante e di riferimento: pacificatori, laddove ci sono liti, perché in grado di trovare e suggerire soluzioni eque; nella gestione – pulita – delle spese comuni, per esempio; nell’attenzione a chi è anziano o più in difficoltà; nel non assecondare i chiacchiericci da portineria, nel portare sorriso e serenità dove necessario; nel prendersi in due (o, meglio ancora, con i figli) il fardello di qualche incarico. Vi sembrerà poco, invece sono gocce di impegno civico che possono lasciare un segno per iniziare a mettere qualche mattoncino di “bene comune”. L’industria ha bisogno di relazioni più mature e di stili differenti. Di sindacati meno ideologici, di imprenditori lungimiranti e capaci di essere dei modelli. Le logiche Nimby, not in my back yard, “non nel mio cortile”, di cui assistiamo da anni l’evoluzione in Valle di Susa in merito alla vicenda della nuova linea ferroviaria Torino-
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Lione, non fanno che alimentare egoismi opposti: informarsi, capire, ragionare, accettare le logiche democratiche significa cambiare stili di vita. Ecco, questo è il punto. Oggi non possiamo essere cittadini inconsapevoli del villaggio globale. Dobbiamo informarci, capire. Senza disperarci. Credere nella Provvidenza non significa essere fatalisti. Pensiamo positivo e guardiamo avanti, iniziamo a fare qualcosa “dal basso”, subito, senza rinunciare a essere critici o legittimamente preoccupati. Perché – come diceva l’anziano scrittore francese Julien Green – «finché siamo inquieti, possiamo stare tranquilli». Solo così, possiamo non avere paura del futuro: nostro e dei nostri figli. francesco Antonioli “Il Sole 24 Ore”-Vice al desk, Redazione “Impresa&territori” francesco.antonioli@ilsole24ore.com
iL SaLuto deL rettore
foto di Mario Notario
Il vento soffia dove vuole Amici carissimi, non possiamo non ringraziare il Signore per il grande dono che ci ha fatto con l’elezione di papa Francesco. Il nuovo Vescovo di Roma ha già conquistato i nostri cuori, e non solo i nostri, con la semplicità, il suo amore ai più poveri, il continuo richiamo alla misericordia e alla tenerezza. Come dubitare della presenza dello Spirito nella Chiesa? Uno Spirito che scombina le carte, ribalta i pronostici e spiazza con la sua fantasia tutte le ipotesi e i calcoli umani. Nel suo discorso ai giornalisti, il papa ha sottolineato che per parlare e descrivere la Chiesa occorre tenere conto di una «prospettiva più giusta: quello della fede». Perché la Chiesa, «pur essendo anche un’istituzione umana e storica non ha una natura politica ma essenzialmente spirituale». Soltanto l’ottica della fede può far capire i progetti di Dio. Nello stemma di papa Francesco compare una stella: è il richiamo a Maria, la “Stella del mattino” come la prega la Chiesa. «Guarda la Stella, invoca Maria!», recita una preghiera di san Bernardo. È proprio pensando alla luce di questa Stella che quando si avvicina il mese di maggio, qui a Valdocco si incomincia a respirare un’aria particolare. Tutti i mesi sono belli, tutti sono importanti, però maggio ha un richiamo speciale: è il mese dedicato dalla tradizione a Maria, il mese che sottolinea in modo particolare la sua presenza materna, che si china sulla Chiesa e su ciascuno di noi. Non c’è chiesa, né cappella, per quanto piccola, che non abbia un quadro, una statua, un richiamo a Maria. Nella nostra Basilica passano persone di ogni età, colore, condizione sociale, che si inginocchiano insieme, senza distinzione, di fronte al quadro o alla statua dell’Ausiliatrice. È il fascino di una madre, la madre di tutti, che ama tutti, è vicina a tutti, ascolta tutti e protegge tutti. È la fede dei semplici, di coloro che sanno andare dritto al cuore delle cose e mettersi in ascolto, sicuri di non essere soli nel cammino. Scorrendo la storia, non troviamo un santo o una santa il cui cuore non si sia aperto a Maria, la madre che Dio ha scelto per suo Figlio, la madre che il Figlio ha donato a noi sulla croce, perché l’accogliessimo in casa nostra, e alla quale ci ha affidati. Vi aspettiamo il 24 maggio, per vivere insieme momenti forti di devozione a Maria Ausiliatrice. Assicuriamo il costante ricordo nella preghiera. Don franco Lotto, rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net
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LeGGiamo i VanGeLi
Un incontro che tocca il mistero del cuore
Come in una sorta di appuntamento prefissato, nel momento in cui Gesù si ferma al pozzo di Sicar, vi arriva una samaritana per attingere. Un incontro che giunge fino al mistero del cuore di quella donna e le apre un nuovo orizzonte di vita. La pazienza deL diaLoGo
avuto cinque mariti e che ora vive con un uomo che non le è sposo. Attorno a lei è stata fatta terra bruciata, nessuno vuole avere a che fare con lei: ecco perché si reca al pozzo da sola ed in un’ora non appropriata. Gesù invece desidera aiutarla e per trovare uno spiraglio che sia utile a tal fine, si mostra lui bisognoso di aiuto e le dice: «Dammi da bere». Egli è presso un pozzo profondo, è stanco, le chiede dell’acqua: non c’è richiesta più normale di cui servirsi per aprire discretamente una qualche possibilità di dialogo.
Ci sono incontri che lasciano il tempo che trovano, altri invece che lasciano un segno profondo: sono simili ad un’esperienza che scava, attraverso la pazienza del dialogo, sino a toccare il mistero del cuore; qualche volta fino a cambiare la rotta della vita. Così è l’incontro al pozzo tra la samaritana e Gesù: questi le si avvicina, la fa riflettere e promuove in lei una disposizione nuova che le permette di iniziare un cammino interiore. Leggiamo con attenzione i vv. 5-15, primo dei tre dialoghi contenuti in Gv 4,1-30. I discepoli vanno in città a fare provviste e lasciano solo Gesù che, stanco per il viaggio, si ferma verso mezzogiorno presso il pozzo di quel luogo. È allora che una samaritana si reca là ad attingere. Come mostra il prosieguo del racconto, egli sa chi sia quella persona e cosa si muova nel suo cuore: è una donna che ha
iL miStero deL Cuore La prima risposta della donna è però disarmante: «Come mai tu che sei giudeo chiedi da bere a me che sono una donna samaritana»? (v. 9). Un rifiuto velato con cui le distanze già esistenti per ragioni storiche tra costei, samaritana, e quell’uomo,
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giudeo, vengono rese ancora più larghe. Solenne la replica di Gesù che al rifiuto risponde sorprendentemente con un’offerta: dice di poterle dare «il dono di Dio» (v. 10). Se la donna conoscesse quel dono i ruoli si rovescerebbero: lei gli domanderebbe dell’acqua e lui le darebbe «acqua viva». La samaritana ancora troppo bloccata da convinzioni sociali e religiose che le negano la possibilità di accogliere una qualche novità nella sua vita, non si dà per vinta. Ribatte e tesse un ironico confronto tra Giacobbe e quel saccente giudeo assetato che pretende di poterle dare «acqua viva», pur trovandosi lui nell’impossibilità di bere perché privo di un secchio per attingere! Non quello sconosciuto, ma il grande patriarca che aveva fatto scavare il pozzo, lui sì che di acqua gliene avrebbe potuta dare (vv. 11-12). Gesù non abbandona però la sua pretesa né di dialogo né di dono (v. 13-14). Ora è lui a fare un confronto tra l’acqua di quel pozzo ed un’acqua in grado di dissetare per sempre e che lui solo può offrire. Siamo al vertice del dialogo. Le parole di Gesù riescono a far breccia. Ogni distanza viene eliminata ed il cuore di quella donna inizia ad essere più docile. Le parti si invertono: ora lei chiede «dammi quest’acqua». Non ci interessa stabilire se costei capisca e creda veramente in quella straordinaria promessa. Ciò che più conta
L’acqua che offre Gesù è capace di colmare la vita dell’uomo la sua sete di felicità. Quando infatti lo Spirito è accolto nel nostro cuore e nella mente, ci fa penetrare in Cristo che è “il dono di Dio” per eccellenza, la pienezza della grazia e della verità. infatti è osservare come la samaritana si sia lasciata guidare da Gesù e come questi sia riuscito a far maturare nel cuore di quella un forte desiderio per qualcosa di nuovo. Un prezioso indizio è prova di tale disponibilità: la donna andata ad attingere acqua, se ne va lasciando la sua anfora presso il pozzo (v. 28)! Gesù le aveva raccontato la sua vita, le aveva insegnato come si deve pregare Dio, le si era rivelato come il Cristo. Se il cuore non le fosse stato toccato, certamente quell’anfora non sarebbe stata abbandonata. Qualcosa di profondo in lei è cambiato.
La Vita nuoVa Cosa sarà mai quell’acqua descritta prima come il dono di Dio, poi come viva, infine come capace di dissetare per sempre e in grado di diventare in chi la beve «una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (v. 14)»? Ora tocca a noi rispondere all’interrogativo suscitato dal racconto. Quell’acqua è simbolo dello Spirito Santo (cfr. Gv 7,37-39) che, se trova in noi persone pronte a riceverlo, diventa una sorgente interiore che zampilla fino alla vita eterna. Quando lo Spirito è accolto nel nostro cuore e nella mente, ci fa penetrare in Cristo che è «il dono di Dio» per eccellenza, la pienezza della grazia e della verità, la parola più vera che il Padre abbia da dirci, la completa rivelazione. Dobbiamo aprirci all’azione dello Spirito Santo se vogliamo che la Parola del Risorto tocchi il mistero del nostro cuore e lo apra a nuovi orizzonti di vita. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net
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in Cammino Con maria
Dal fiat al magnificat È un simbolo dell’itinerario di ogni cristiano che compie il suo pellegrinaggio della fede dall’adesione iniziale al progetto di Dio verso il pieno godimento della bellezza di questo progetto. Nel racconto di Luca l’episodio dell’annunciazione e quello della visitazione sono collegate in continuità. «L’angelo partì da lei» e Maria «si mise in viaggio» (Lc 1,38-39). La tradizione cristiana, con grande intuito, ha conservato un sigillo dell’unità tra i due eventi. Nella preghiera dell’Ave Maria lodiamo Maria con le parole dell’angelo: «Ave, piena di grazia, il Signore è con te», congiunte a quelle di Elisabetta: «Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo seno». Dopo l’accoglienza del divino, Maria s’avvia verso gli altri. Mentre percorre in fretta le vie tortuose della montagna, dentro di lei si snoda un itinerario interiore di fede che va dall’adesione docile del fiat all’esplosione gioiosa del Magnificat, dall’essere visitata da Dio all’essere visita di Dio per altri. Maria unisce l’altissima contemplazione nell’incontro col mistero alla concretissima azione nell’esperienza del servizio, fonde in armonia il più grande trasporto nei confronti di Dio e il più grande realismo nel confronti del mondo e della storia. La premura del cammino verso Ain Karim mostra lo stile attivo, intraprendente, creativo, risoluto
di Maria. Il suo andare in fretta è immagine della Chiesa missionaria che, subito dopo la Pentecoste, investita dallo Spirito Santo, si mette in cammino per diffondere la buona novella fino agli estremi confini della terra. Paolo conosce bene questa fretta e la interpreta così: «È l’amore di Cristo che ci spinge» (2Cor 5,14).
maria inauGura Lo StiLe di dio Salendo sulla montagna, Maria sente di non essere sola. Il Figlio di Dio è presente, nascosto in lei. Luca descrive questo viaggio in chiara analogia con il trasferimento dell’arca dell’alleanza verso Gerusalemme, narrato in 2Sam 6,2-11. Il sobbalzare di Giovanni nel grembo materno richiama la gioia di Davide davanti all’arca, e le parole con cui Elisabetta saluta Maria riproducono da vicino l’esclamazione del re: «Come è possibile che l’arca del Signore venga da me?». Il saluto dell’angelo a Nazaret, «il Signore è con te», che Maria faticava a comprendere, ora si fa esperienza reale e convinzione profonda. Maria, Madre del Dio-con-noi, è ora l’arca della nuova alleanza, la nuova dimora di
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Dal fiat al magnificat è un simbolo dell’itinerario di ogni cristiano che compie il suo pellegrinaggio della fede dall’adesione iniziale al progetto di Dio verso il pieno godimento della bellezza di questo progetto. Maria, testimone perfetta di questo cammino, ci incoraggia a seguirla e intercede per noi.
Dio, nuova trasparenza della presenza divina tra gli uomini, nuovo motivo di gioia per tutti. Con il suo camminare per vie scomode per raggiungere l’altro a casa sua, Maria inaugura lo stile di Dio, lo stile di servizio, di abbassamento, di solidarietà verso chi ha bisogno. In lei il Dio incarnato si fa il Dio che entra nella trama umana e permea di sé anche la sfera del quotidiano. La salvezza acquista tonalità domestica. «Oggi devo entrare in casa tua», «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 5.9): ciò che Gesù dirà più tardi nell’incontro con Zaccheo è in qualche modo realtà anticipata per mezzo di Maria. Maria porta gioia e speranza. Dalla Galilea alla Giudea ella percorre lo stesso tratto di strada che più tardi avrebbe dovuto fare Gesù. Camminando in fretta sui monti, Maria evoca il celebre testo profetico: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di un lieto annuncio» (Is 52,7). La buona novella portata da Maria emana gioia contagiosa, fa esultare un bambino nel grembo materno, rende felice un’anziana. I bambini che nascono e gli anziani che giungono alla pienezza della loro vita si incontrano e si uniscono nell’esultanza lodando lo stesso Dio che è «amante della vita» (Sap 11,26).
LunGo tutta La Sua Vita maria diffonde La Gioia Lungo tutta la sua vita Maria continua a moltiplicare e diffondere dappertutto la gioia pura di cui ella è ripiena, quella gioia scaturita dal saluto dell’angelo «Rallegrati Maria» e resa più intima e profonda dal suo fiat. Alla nascita di Gesù questa gioia si estenderà ai pastori di Betlemme attraverso l’annuncio dell’angelo: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). Portando Gesù nel tempio, Maria farà ancora trasalire di gioia l’anziano Simeone e la profetessa Anna. A Cana, poi, la gioia non verrà a mancare al banchetto delle nozze grazie all’intercessione di Maria presso il suo Figlio. A Maria, portatrice della Buona Novella e madre del Dio della gioia, si potrebbe applicare la parola del salmista: «Al tuo passaggio stilla l’abbondanza [...], tutto canta e grida di gioia» (Sal 65, 12-14). Dal fiat al magnificat è un simbolo dell’itinerario di ogni cristiano che compie il suo pellegrinaggio della fede dall’adesione iniziale al progetto di Dio verso il pieno godimento della bellezza di questo progetto, passando attraverso una “salita” graduale: il servizio, la gratuità del quotidiano, l’andare con sollecitudine verso chi ha bisogno, l’incontro di amicizia nella comunità, lo sforzo missionario nel portare Gesù in casa altrui, l’annunciare la buona novella con gioia suscitando gioia di salvezza nella gioventù che si apre alla vita. Maria Ko Ha fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net
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GioVani in Cammino
Un “sì” che rende liberi
La propoSta di feLiCitÀ
Nei Vangeli quel giovane famoso pone a Gesù questa domanda: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Un bravo ragazzo, certo. Quasi si scandalizza quando Gesù gli dice di osservare i comandamenti. L’ha sempre fatto! Però sente la monotonia del vivere bene senza quel qualcosa che rende la vita piena, felice appunto. Cerca “qualcuno” che gli dica qual è “quella cosa”. Interessante. Molto interessante. Perché va proprio dalla persona giusta. «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi». Egli però non dice «sì», «ma a queste parole si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni» (Mc 10).
Non è una proposta sdolcinata, tanto per fare l’educatore amicone. È un’offerta lucida, molto concreta, quasi tagliente. Anzitutto lo invita a muoversi, a darsi da fare: va’, vendi, vieni e seguimi. Una proposta che è un invito ad allargare lo “spazio vitale”: non ripiegarti su di te, esci dal tuo guscio, guardati intorno, gli altri hanno bisogno di te, di quello che sei, che hai. Metti le tue risorse a disposizione («dallo ai poveri»): la tua intelligenza, il tuo cuore, le tue braccia, i tuoi beni. Una proposta che dilata il “tempo” aprendo orizzonti infiniti («avrai un tesoro
Felicità è anche guardarsi attorno, accorgersi degli altri, stupirsi delle bellezze che sgorgano dalla “fantasia” di Dio, ma soprattutto...
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in cielo»). Un invito a farlo subito: il tempo a disposizione non è illimitato, non occorre aspettare di invecchiare per mettersi a vivere davvero. Una proposta che sconvolge le regole del mercato che puntano al profitto: produrre, acquistare, accumulare. Per Gesù chi vende e dona non rimane certo privo, ma ha un tesoro che si raddoppia, anzi centuplica ed è proprio questo svuotarsi che riempie di quel “qualcosa” che sa di eterno e qualifica tutte quelle norme osservate fin dalla giovinezza! E poi «vieni e seguimi»: condividi la causa giusta, quella di uno di cui puoi fidarti e più pensi, vedi e vivi come lui più sai dove vai perché la tua fiducia l’hai investita al meglio andando al di là di ogni certezza radicata sul presente. «Ma se ne andò rattristato». Interessante anche il fatto che, di fronte al rifiuto, Gesù non gli corre dietro, non modifica le richieste, non le diluisce, non cerca una via di mezzo più ragionevole. Lui ha gettato un seme. Forse un domani sboccerà. Ma finché non avrà il coraggio di dire quel «sì», non sarà libero dalla zavorra che lo lega, lo appesantisce e non gli permette di volare e quindi essere pienamente felice.
La riCerCa deLLa feLiCitÀ «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Amico mio, non sono le cose quel “qualcosa” che stai cer-
... ancorarsi a quel Qualcuno che ci propone ogni giorno nella sua sequela la profonda realizzazione di noi stessi. cando, perché le cose generano la voglia di altre cose all’infinito, perché l’accumulare non è garanzia di costruire felicità, anche se la logica di tanti genitori è proprio quella di riempire i figli di tutto senza dare la risposta a quella grande domanda. La felicità non è un oggetto da ricercare, la felicità è la vita, un certo modo di vivere, senza cercare facilitazioni e scorciatoie. Lo dice bene Massimo Gramellini: «La felicità non è mai il traguardo in fondo alla strada. La felicità è la strada. Il nostro modo di starci sopra senza rinunciare a goderne il panorama e le mille possibilità di svolta (con una diffidenza naturale per le scorciatoie)». È facile perderla la felicità se si pensa sempre che sia in un altro posto, magari nel prato sempre più verde del vicino. Alessandro Baricco scrive: «Perché è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai ancora l’anima addormentata e ti semina dentro un’immagine o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quand’è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule; a migliaia di chilometri da quell’immagine, da quel suono, da quell’odore. Alla deriva». «La felicità è come una farfalla: se l’insegui non riesci mai a prenderla, ma se ti siedi tranquillo, può anche posarsi su di te».
LiBero e feLiCe Ma se l’insegnamento-risposta di Gesù alla domanda del giovane non fosse sufficiente ti consegno
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una specie di mini-decalogo per “misurare” il tuo grado di felicità e per verificare se per caso non stai morendo di triste narcisismo contemplando sempre e solo te stesso quasi fossi l’ombelico dell’universo, oppure stai rischiando quel bubbone dell’anoressia che ti porta a una insoddisfazione indefinibile per rispettare i canoni costruiti dal mercato dell’infelicità. Punto primo: «Beati i poveri in spirito» = Mi accontento! «Nulla rifiutare e nulla domandare». Il povero in spirito non ha paura neanche della persecuzione: uomo libero interiormente, che non dipende dall’opinione degli altri, non si lascia possedere da nulla, perché ha trovato nella povertà, nel distacco quel “qualcosa” che fa la differenza, lo rende libero e nessuno potrà togliergli la felicità. Altri sette punti li trovi all’inizio di Matteo cinque. Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
amiCi di dio
Rita, l’amore paziente Rita da Cascia: una Santa amata, pregata, invocata da milioni di devoti, in tutto il mondo. Ed anche molto cliccata in internet. Ha tanto sofferto e ha tanto amato seguendo Cristo sofferente, che lei sempre meditava.
da fare ostie: aggressivo e arrogante, senza troppi sforzi si fece molti nemici. La povera Rita ne dovette subito subire la violenza e la mancanza di rispetto. Ma lei non si dette mai per vinta, nella speranza di convertirlo a maniere più gentili, prima o poi. Questo “poi” durò ben 18 anni. Ma la sua pazienza, bontà, mansuetudine, preghiera ed eroica capacità di sopportazione alla fine vinsero. Quando sembrava tutto impossibile, il possibile divenne realtà. E arrivò la tanto sospirata e pregata conversione di Paolo. Tutti gridarono al “miracolo”, visto il soggetto in questione! Ma la sua conversione non significava automaticamente anche il perdono dei nemici. Questi, una notte, su una strada buia regolarono il conto finale: ucciso. Altro dolore per Rita. Lei perdonò gli assassini, ma non altrettanto fecero i due figli, che giurarono vendetta. Rita si sentì sconfitta: non era riuscita a convincerli al perdono. Ma continuò la preghiera.
Anni fa è stato fatto un sondaggio, una specie di top list dei santi. Al primo posto sul podio risultò Francesco d’Assisi, poi Antonio da Padova e da terzo Giovanni Bosco: tre Santi molto conosciuti in tutto il mondo. Tra le “colleghe”, invece, al top risultò Rita da Cascia. Anche lei famosa a livello mondiale. Ancora oggi? Sì, eppure visse ben 6 secoli fa. Perché ha un messaggio recepito ancora oggi, e non da pochi. Come si vede il tempo logora tutto ma non il ricordo di lei. Le sue devote, numerose, attive e convinte e presenti in tutti i santuari sentono per lei una devozione tutta particolare.
rita, moGLie e madre Rita (Mancini il suo cognome) è nata presso Cascia, in Umbria, verso il 1381, da genitori ormai anziani. Fin da fanciulla si distinse per la sua bontà, laboriosità e pietà. Arrivata all’adolescenza Rita voleva farsi monaca, ma i genitori si opposero facendola maritare, per forza. Lui si chiamava Paolo di Ferdinando. In poche parole: non era proprio farina
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La santa da Cascia appartiene alla grande schiera delle donne cristiane che hanno avuto significativa incidenza sulla vita della Chiesa, come anche su quella della società (Giovanni Paolo II). rita, VedoVa e aSpirante monaCa
Tratto in forma ridotta da: campioni, Anche Dio ha i suoi campioni Elledici 2011, 936 pagine, 29,00 Euro.
al Cristo sofferente era totale, e fu così per i suoi ultimi quindici anni. Quando morì ci fu in paese uno scampanio spontaneo: cominciava così la sua attività taumaturgica. Dichiarata santa nel 1900, ebbe l’onore di una solenne commemorazione cento anni dopo, nel 2000. Beato papa Giovanni Paolo II: «Ma quale è il messaggio che questa santa ci lascia? È un messaggio che emerge dalla sua vita: umiltà e obbedienza sono state la via sulla quale Rita ha camminato verso un’assimilazione sempre più perfetta al Crocefisso». Non fu lui stesso ad affermare che per essere suoi discepoli bisognava prendere la propria croce e seguirlo? Rita fece proprio così.
Alcuni anni dopo, Rita libera da legami familiari (erano morti i figli) potè coronare il sogno di farsi monaca. Un bel sogno, certo, che all’inizio trovò le porte sbarrate: non fu accettata. Ma non si arrese. Sapeva che Dio non l’aveva dimenticata. Il suo tempo sarebbe arrivato. Un po’ di pazienza e Rita ne aveva tanta. Era ormai vedova e sola in casa. Un giorno, ritornando da una visita ad un’ammalata, incontrò sul ciglio della strada una donna sfinita e lacera, distesa sulla neve. Veniva da Spoleto da dove era fuggita per salvarsi dai maltrattamenti del marito. Era anche stata aggredita e derubata dai ladri. Rita la portò a casa sua, e le donò l’unica veste che aveva. La persuase poi a tornare dal marito, di cui le assicurò la conversione. Questo spiega la particolare devozione che hanno le donne che patiscono ingiustizie e maltrattamenti di vario genere specie in famiglia, ma che non vogliono rompere il vincolo matrimoniale. Per la sua storia familiare, santa Rita, è considerata la migliore avvocata e confidente di queste donne in difficoltà.
Mario scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net
rita, monaCa e Santa E il suo desiderio di farsi monaca? Era sempre nel cuore e, alla fine, le sue preghiere incessanti vinsero. Eccola accolta nel monastero di Cascia, (oggi intitolato a lei!). Vi rimase fino al 22 maggio 1447, quando morì. Rita da monaca condusse una vita molto austera, fatta di preghiera e di contemplazione, di visite agli ammalati e ai lebbrosi, di penitenze secondo le Regole e di penitenze volontarie. Si adoperò anche per portare la pace tra le fazioni della sua città. Ma il centro della sua vita spirituale fu la meditazione e contemplazione della Passione di Cristo. Finché un giorno (1432) ebbe un regalo dal Crocifisso: una spina della corona si conficcò nella sua fronte procurandole una profonda piaga e costringendola alla segregazione. L’assimilazione
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maria nei SeCoLi
La Madonna del latte di Ambrogio Lorenzetti Poco si conosce degli estremi anagrafici di Ambrogio Lorenzetti. Era nato a Siena verso il 1290, in una famiglia di artisti, suo fratello maggiore, Pietro, fu lui pure valente pittore che lavorò per chiese cittadine e per fabbriche importanti non senesi; di lui si ammirano gli affreschi nel transetto della chiesa inferiore di San Francesco ad Assisi. Il testo pittorico più famoso di Ambrogio è l’Allegoria del Buon Governo e l’Allegoria del Cattivo Governo, affrescato sulle pareti della Sala dei nove nel Palazzo Pubblico di Siena, realizzato tra il 1337 e il 1340. Si tratta di uno dei primi manifesti di propaganda politica in un’opera medioevale. Ambrogio, ricevette delle importanti commissioni nella città natale, come la Madonna con Bambino per la chiesa di Sant’Angelo di Vico l’Abate, firmata e datata 1319 e considerata la prima opera certa.
Le reaLizzazioni a firenze e Siena In seguito visse a Firenze dove lasciò una testimonianza diretta nel Trittico di San Procolo, realizzato nel 1332, dove raffigura al centro la Madonna col Bambino tra i santi Nicola e Procolo. Sopra i tre panelli le cuspidi riportano il Cristo Redentore (al centro) e i santi Giovanni Evangelista (a sinistra) e Giovanni Battista (a destra). Ritornato a Siena verso il 1335 lavorò con il fratello Pietro con il quale firma gli affreschi, oggi scomparsi, dello Spedale di Santa Maria della Scala. Lavorò ancora con il fratello fino al 1336 e con la partenza per Avignone di Simone Martini diviene la personalità artistica di maggior spicco per Siena. Realizzò numerose opere per il contado senese nella stessa città natale, da Asciano con una Pala
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con la Vergine e il Bambino, San Michele Arcangelo e santi; con una Maestà per Massa Marittima fino agli affreschi per la rotonda dell’Eremo di Montesiepi, dove è conservata la spada piantata nella roccia da San Galgano, poco distante dalla celebre Abbazia. Nel 1347 fu nominato membro del Consiglio dei Pacieri della città di Siena; carica che gli fu conferita forse a causa della sua notorietà. Ambrogio morì nel 1348, durante la famigerata peste nera che spopolò città e paesi per tutta l’Europa e distrusse intere botteghe di artisti.
La madonna deL Latte
volta, è coperto da un mantello blu profilato con una elaborata balza d’oro. La tunica rossa ravviva la composizione e crea un contrasto con la carnagione della Vergine e con le carni del piccolo; la madre lo stringe a sé e lo tiene avvolto in un panno chiaro, che copre buona parte del corpicino, ma lo sgambettare soddisfatto del piccolo lo libera in parte dalla leggera coperta. Le aureole che circondano il capo di Maria e di Gesù, se da un lato sacralizzano la scena dall’altro nulla valgono a diminuire la delicatezza del momento e l’intensa umanità del gesto che, per altro, non è neppure diminuita dalla puntuta cuspide della tavola e della cornice, tributo offerto all’impostazione tutta gotica che del dipinto. casa e narra il fatto alla mamma, però non lo prendemolto in considerazione. Il soggetto, diffuso fin ben addentro il seIl giorno dopo alle tre del pomeriggio XVritorna in tutto il mondo lacolo bambina per pregare e no-cristiano, con la riforma tatridentina che l’immagineèsacra è coperta su- spirito puritano, come stato letto,dicon dore. una dissacrazione della divina maternità di Maria. Meravigliata, fa notare la cosa a due uomini di passaggio quali, constataLo stesso San iCarlo Borromeo tentò di ovviare al to il fatto, esclamano: “ragazza, è brutdelle tofatto segno”.facendo coprire alcuni leparticolari pareti dell’edicola perimtrovare se vi La fanciulla dopo molto tempo vesia qualche spiegazione magini più venerate e dissuadendo gli artisti a della re- presende passare una donna, Maria Bertorelliza di quel sudore “lucente come la rualizzarne di nuove dello stesso tema. Cattaneo, e la chiama perché constati giada”. I documenti parlano di guari-
rugiada
La Madonna del latte, conservata nel Museo Diocesano di Siena e dipinta nel 1340 circa, è una delle realizzazioni sacre più alte di Ambrogio. È una tenerissima composizione dove la Madre tiene stretto a sé il piccolo Gesù e compie il gesto più umano e più impegnativo che una madre possa fare per suo figlio: lo sta nutrendo. Maria è rivestita con abiti in uso a Siena all’epoca del pittore: un velo candido le copre la fronte e una cocca si avvolge attorno al collo, questo, a sua
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il prodigio; convince poi la mamma a gioni prodigiose regolarmente reginatale Maffioli venire essa pure alla Cappella per vestrate e conservate negli archivi. dere la Madonna, il Crocifisso e i San-maffioli.rivista@ausiliatrice.net Il 19 febbraio si celebra la festa per ti che sudano. ricordare il fatto miracoloso che diede Il fatto si ripete nei giorni successiorigine al Santuario.1 vi sempre dalle ore 15 e alle 17 e si diMario Morra vulga in modo inspiegabile. Il Parroco morra.rivista@ausiliatrice.net del paese Don Piero Conti, il sindaco Luigi Marchesi e l’ingegnere Enea Ru1 GIAMBATTISTA BUSETTI, Santuari mariani delbini procedono ad esaminare il tetto e la Bergamasca (Bergamo, Velar 1984).
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Orari Lun-Ven: 8,30-12,30 / 14,30-18,30 Sab: 8,30-12,30 / 17,00-19,00 Dom: 9,30-12,30 / 17,00-19,00
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mamme SuLLe orme di maria
Vi sono persone che si caratterizzano per la voce o il modo di gesticolare o l’andatura o per il tipo di risata... R. ha sempre avuto come “segno distintivo” un sorriso triste. A distanza di tempo, ripensandoci, forse quel suo sorriso mai pieno, mai completamente sereno e gioioso preannunciava il grosso dolore che le avrebbe cambiato la vita. Ho conosciuto R. sul lavoro, una giovane donna bionda, fragile e minuta. L’ho vista sposarsi, diventare madre di un bel bambino ed alcuni anni dopo ho condiviso con lei il desiderio di un secondo figlio che però si faceva attendere. Fin da giovane aveva pensato di formarsi una famiglia numerosa, lei che era figlia unica ed inoltre pensava che la nascita di un fratellino avrebbe aiutato a crescere il piccolo Luca, vivacissimo, molto testardo e un po’ troppo accentratore delle attenzioni di tutta la famiglia. Un bel giorno, finalmente R. scoprì di essere rimasta incinta. Ce lo disse con il suo solito modo composto e con il suo sorriso misurato, nonostante la gioia che provava, gioia che purtroppo durò per poco tempo... infatti le analisi di controllo evidenziarono che il suo bimbo era affetto dalla sindrome di Down.
Un bambino e basta La storia di una mamma che come Maria decide di dare alla luce un figlio «diverso» e così è nato Marco, per la medicina bambino Down, ma per tutti quelli che lo amano solo un bambino.
SCeGLiere La Vita L’ho visto nella sua cullina trasparente, uguale a quella degli altri bimbi nati in ospedale, con il suo braccialetto identificativo, con le manine piccole e la pelle un po’ rugosa come hanno tutti i neonati. La sua mamma però, vedeva in lui solo quella “diversità” che tanto l’aveva spaventata e la spaventava e, guardandolo con tristezza, mi confidò che temeva che l’averlo voluto far nascere nonostante tutto e tutti, fosse stato un atto di egoismo, egoismo perché forse aveva fatto una scelta per lei e non per il bene del bambino! Fui molto colpita da ciò che mi disse e capii come fosse incondizionato e profondo l’amore per quel bambino, tanto da farglielo scambiare addirittura per egoismo!
Quel bimbo tanto voluto portava in sé un dramma che sconvolse l’animo di R. e la pose di fronte a mille perché, a dubbi ed interrogativi: se da un lato la medicina le dava un’opportunità di scelta, dall’altro la sua coscienza ed il suo credo religioso le chiedevano di andare ugualmente avanti e di scegliere la vita per questo bambino. R. pensò che anche Maria aveva partorito un bambino “diverso”, un figlio che sin da piccolo aveva portato sulle spalle il peso di un’umanità dolente e peccatrice, un figlio che l’aveva lasciata per andare a svolgere il suo compito, che l’aveva fatta soffrire tanto con il suo stesso soffrire e morire. Maria, la ragazza di Nazareth, fin dall’Annunciazione aveva accettato pienamente quel figlio con un atto di obbedienza, di fede e di amore e così fece anche R. Marco nacque durante l’estate: era bellissimo, biondo, con gli occhi azzurri ed un faccino tondo.
oLtre La “diVerSitÀ” Così anche R. intraprese la complessa ed impegnativa strada dei genitori di bimbi con difficoltà ma
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di questo sforzo, di questo atto di amore, anche se per ora, in un modo adatto alla sua tenera età, affinché i due fratelli si aiutassero a vicenda ad affrontare e superare gli ostacoli perché si cresce davvero solo quando ci si fa carico di un altro essere umano.
SorriSo “pieno” Luca prese molto sul serio le parole della mamma, si impegnò nel seguire il fratellino, nell’aiutarlo, sostenerlo e ciò contribuì positivamente anche alla sua crescita, perché si responsabilizzò e migliorò moltissimo nei suoi atteggiamenti e comportamenti. Ora Marco ha iniziato la prima classe, cresce sereno, molto amato da tutti poiché è un bambino allegro, simpatico e socievole. Ha fatto molti progressi, grazie alle sollecitazioni continue ed agli stimoli offertigli dalla sua famiglia. La sua mamma ha trovato un buon equilibrio, ha saputo tirare fuori una carica vitale eccezionale, inaspettata ripensando alla figurina fragile e delicata che avevo conosciuto anni fa, ed ora ciò che colpisce di più in lei è che, nonostante o forse grazie alle tante difficoltà affrontate e superate, il suo sorriso non è più velato di tristezza ma è luminoso e pieno di forza. francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
percorrendola, passo dopo passo, riuscì ad andare oltre la disabilità ed arrivare alla persona. Non si fermò a quella diagnosi secca e dolorosa che avevano fatto a Marco, al fatto che il suo bimbo era diverso e così R. scoprì giorno dopo giorno che oltre alla malattia c’era un bambino come tutti gli altri, con la sua gioia, la sua allegria, la sua affettuosità, la sua simpatia, il suo desiderio di comunicare, le sue risa e le sue lacrime: un bambino e basta. Si rese conto che dietro alle tante difficoltà ed ai sacrifici che comportava l’ occuparsi di Marco, dietro alle frustrazioni davanti a risultati sperati e non raggiunti, c’era anche la profonda soddisfazione di cercare di far emergere e sviluppare tutto il bello che il suo bambino racchiudeva in sé. Decise poi di spiegare al suo primogenito le difficoltà di Marco per renderlo consapevole e farlo partecipe nel processo di crescita del fratellino. Era infatti convinta che anche lui dovesse farsi carico
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CHieSa ViVa Ha compiuto 80 anni il 18 marzo, 5 giorni dopo avere contribuito a eleggere papa Francesco. Il cardinale Severino Poletto, Arcivescovo emerito di Torino, si stava «preparando a passare nel novero dei Cardinali non più elettori», e invece ha fatto in tempo a partecipare al Conclave dopo la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI. Nella Cappella Sistina era il secondo Porporato elettore più anziano (dopo il tedesco Walter Kasper), e il decano degli italiani. E quello di marzo 2013 è stato il secondo Conclave a cui ha preso parte: c’era già a quello dell’aprile 2005, che aveva portato sul Soglio di san Pietro Joseph Ratzinger.
Quella sera prima del Conclave Eminenza, partiamo dalla vigilia. Quali emozioni e sensazioni provava la sera dell’11 marzo, giorno prima del Conclave?
lì non si sarebbe più usciti, fino a quando il nuovo Papa non si sarebbe affacciato dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro».
«Le emozioni della vigilia erano legate alla dimensione spirituale dell’evento. Quello che più sentivo come impegno per quella sera era stare in comunione col Signore. Avevo ricevuto numerosi messaggi con i quali varie persone mi avevano assicurato la loro preghiera: era ciò che più gradivo in quel momento. Non mi ritenevo “importante” perché partecipavo al Conclave, al contrario sentivo il peso della responsabilità. Comunque, ero sereno, sapevo che Dio ci avrebbe fatto vedere e capire quello che sarebbe stato meglio per la Chiesa».
In una notte così ha pensato alla sua vita, ai suoi 80 anni? Ha fatto una sorta di “bilancio”? «Un po’ sì: sono cresciuto in una famiglia di contadini, nella semplicità, e mai avrei pensato di partecipare addirittura a due Conclavi. E poi sa a chi pensavo?». Mi dica… «Ai “miei” (possessivo affettuoso) fedeli di Torino e all’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia: la mia preoccupazione e il mio bene andava a loro; e speravo che i torinesi pregassero per tutti i Cardinali elettori e dunque anche per il loro Arcivescovo emerito».
E che cosa ha fatto in quelle ore? «Preghiera e riflessione, da solo nella mia camera, è stato il programma della serata. E poi a letto presto, perché il giorno successivo intorno alle 8 c’era il trasloco da fare: dai Missionari della Consolata, dove alloggiavo, alla Casa di Santa Marta; dovevamo portare là tutta la nostra roba perché da
E l’ultimo pensiero prima di addormentarsi? «A quello che sarebbe avvenuto dal giorno dopo nella Cappella Sistina». E allora passiamo a quello che avete compiuto. Il primo Papa gesuita, il primo che sceglie
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di questo sforzo, di questo atto di amore, anche se per ora, in un modo adatto alla sua tenera età, affinché i due fratelli si aiutassero a vicenda ad affrontare e superare gli ostacoli perché si cresce davvero solo quando ci si fa carico di un altro essere umano.
SorriSo “pieno” Luca prese molto sul serio le parole della mamma, si impegnò nel seguire il fratellino, nell’aiutarlo, sostenerlo e ciò contribuì positivamente anche alla sua crescita, perché si responsabilizzò e migliorò moltissimo nei suoi atteggiamenti e comportamenti. Ora Marco ha iniziato la prima classe, cresce sereno, molto amato da tutti poiché è un bambino allegro, simpatico e socievole. Ha fatto molti progressi, grazie alle sollecitazioni continue ed agli stimoli offertigli dalla sua famiglia. La sua mamma ha trovato un buon equilibrio, ha saputo tirare fuori una carica vitale eccezionale, inaspettata ripensando alla figurina fragile e delicata che avevo conosciuto anni fa, ed ora ciò che colpisce di più in lei è che, nonostante o forse grazie alle tante difficoltà affrontate e superate, il suo sorriso non è più velato di tristezza ma è luminoso e pieno di forza. francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
percorrendola, passo dopo passo, riuscì ad andare oltre la disabilità ed arrivare alla persona. Non si fermò a quella diagnosi secca e dolorosa che avevano fatto a Marco, al fatto che il suo bimbo era diverso e così R. scoprì giorno dopo giorno che oltre alla malattia c’era un bambino come tutti gli altri, con la sua gioia, la sua allegria, la sua affettuosità, la sua simpatia, il suo desiderio di comunicare, le sue risa e le sue lacrime: un bambino e basta. Si rese conto che dietro alle tante difficoltà ed ai sacrifici che comportava l’ occuparsi di Marco, dietro alle frustrazioni davanti a risultati sperati e non raggiunti, c’era anche la profonda soddisfazione di cercare di far emergere e sviluppare tutto il bello che il suo bambino racchiudeva in sé. Decise poi di spiegare al suo primogenito le difficoltà di Marco per renderlo consapevole e farlo partecipe nel processo di crescita del fratellino. Era infatti convinta che anche lui dovesse farsi carico
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CHieSa ViVa
In piazza San Pietro, durante l’ultima udienza generale di Benedetto XVI. «La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è del Signore e il Signore non la lascia affondare».
Appunti di cronista C’è un bambino che dorme in piazza San Pietro. È stanco come se avesse affrontato a piedi il viaggio da Monza a Roma. Come un pellegrino è lì insieme alle sue catechiste per partecipare all’ultima udienza generale di Benedetto XVI. Dorme, mentre dagli altoparlanti esce la voce serena del pontefice che saluta i suoi fedeli. È stanco, il bambino. Gli occhi si chiudono dopo un’attesa passata a giocare con i suoi compagni di viaggio, a stupirsi per il boato che creano i cori più scatenati in piazza. Forse gli è sembrato per un attimo di essere allo stadio, certo non immaginava così la Chiesa.
“Viva” come l’ha definita Benedetto XVI nel suo congedo. «Il Papa è stanco», mi dice una signora di mezz’età che è partita dalla Colombia per essere in Vaticano «in tempo per salutarlo». Faccio il mio lavoro di cronista, prendo appunti sulla signora. Dice che lo trova stanco, «come può esserlo un uomo che sente tutto il peso della Croce». Intanto, il bimbo di fronte a lei continua il suo sonno, sorride, sogna. Ed è una stanchezza umana anche quella, carica di innocenza. Quel bimbo è stanco per esser stato bambino. Un uomo può esserlo nell’affrontare la vita, come un pescatore che incontra
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una tempesta, pur rimanendo saldo e fiducioso nell’affrontarla?
Quanto peSa La CroCe deL redentore? Ogni giorno ha la sua croce e non resta che decidere come portarla. Non ha torto chi ha interpretato la scelta di Benedetto XVI come un atto di responsabilità. Altro conto sono le fatiche umane, ma è nella fiducia nell’uomo, nella possibilità che ha la Chiesa di proseguire il percorso sulle proprie gambe, che si sceglie di affidarsi agli altri. All’altro possiamo affidare qualcosa, ma a chi ci affidiamo quando sentiamo il peso della croce?
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sonno sulla barca in balia della tempesta sul lago o finirà per cedere alla paura? Saprà rispondere se gli sarà chiesto «Dove è la tua fede?».
L’annunCio di franCeSCo
Quello di Gesù, verso il Gòlgota, è affidato a Simone di Cirene. Un contadino. Questo grande stravolgimento nella storia della Chiesa, la rinuncia al ministero petrino da parte del Papa, è avvenuto in tempo di Quaresima. Quando all’uomo è dato di dover toccare con mano i propri abissi di umanità e scegliere in cosa confidare, mentre è portato dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti che non lo rendono certo meno umano. Prepararsi al peso della croce da quel momento, prepararsi a saperla portare. Quell’uomo potrà concedersi al
«Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore. Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso». Non sono passate più di tre settimane da quel giorno in piazza San Pietro. Sotto la croce del Redentore, Francesco ha rivolto al mondo il suo primo saluto, ha chiesto «la benedezione del popolo», chinando il capo sulla sua croce di vescovo. «Il compito del conclave è dare a Roma il suo vescovo e pare che i cardinali lo siano andati a prendere quasi alla fine del mondo». Francesco è arrivato con la sua croce di vescovo da Buenos Aires, dove ha conosciuto la violenza e la disperazione dei barrios, inviando un esercito di preti di strada a evangelizzare e farsi testimoni di speranza. Perché quella di Francesco è la croce che redime, non lo strumento di supplizio.
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un inneSto rinnoVatore Per l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, l’arrivo di papa Francesco al soglio di Pietro ha una portata “sicuramente rinnovatrice”. Un “respiro nuovo” per gli uomini di buona volontà. «Come per un albero che necessita di un innesto, perché porti ancora fiori e frutti da un germoglio nuovo», ricorda mons. Nosiglia, che ha subito pensato a Papa Roncalli sentendo le prime parole di Francesco. «Dovremmo guardare con attenzione ai “primi cento giorni”, all’inizio del pontificato, perché ne daranno il senso. Senza esagerarli, i primi gesti e i primi discorsi faranno capire dove la Chiesa intende andare. Un po’ come avvenne con Giovanni XXIII» spiega l’arcivescovo di Torino. Con la prima omelia da Papa, Francesco ha indicato tre linee guida perché la Chiesa non diventi «una Ong pietosa»: camminare, edificare e confessare. La Chiesa di Francesco si è già messa in cammino o forse non si è mai fermata. «La Chiesa ora più che mai può tornare davvero a mettere al centro del proprio mandato l’uomo. L’evangelizzazione di cui ha parlato Francesco non contraddice quella di Benedetto XVI, ne è complementare. La croce diventa un simbolo di resurrezione e non soltanto di morte. Mi sembra un’accentuazione molto forte dell’annuncio di Gesù, come atto d’amore che non fa distinzione tra il povero e il ricco». Enrico Romanetto redazione.rivista@ausiliatrice.net
CHieSa ViVa
Papa francesco in pillole
Don Diego Goso risponde a quello che gli hanno chiesto alcuni lettori ed amici. Senza pretesa di poter dire tutto su quello che sta accadendo. Senza la petulanza con cui si sono riempite le pagine dei giornali e i servizi televisivi, alla ricerca di qualcosa che ancora non c’è, anche se la si spera. sarà il Papa dei poveri? Certamente. Perché è stato un prete per i poveri, un vescovo per i poveri, un cardinale per i poveri. Voleva tornare in fretta a casa, pensando alle favelas e sentendosi soffocare dalla nostra opulenza occidentale.
Non prevedo stravolgimenti di aperture dottrinali alla modernità. La Chiesa Cattolica resta la Chiesa Cattolica. Ma di certo avremo uno stile simbolico forte, una comunicazione calda e umana, un pastore che tenta di convincere senza imporre. Un teologo del cuore.
È stata la sconfitta della Curia?
È un segno dei tempi anche per chi non crede?
Dalla velocità del Conclave posso immaginare un ripiegamento di tutti i cardinali verso un messaggio forte che era necessario inviare alla Chiesa tutta e al mondo. Direi una grande alleanza con qualche compromesso, certo, dettata dalla situazione di crisi.
I commenti che sento dagli amici non credenti sono di piacevole sorpresa. Certo nessuno si fa illusioni, ma sembra loro di aver ritrovato un poco una figura amica nel ruolo del Papa che avevano sentito assente in questi anni.
Ci sarà un chiusura netta? Comincia una nuova stagione per la Chiesa?
Avremo il primo angelus domenica, la messa di inizio pontificato il giorno di San Giuseppe, la pri-
Quali sono le tappe future?
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Tutto il mondo – credenti e non – guarda a papa Francesco con molte attese. Sicuramente non tradirà la vicinanza ai poveri e agli ultimi che ha sempre caratterizzato il suo ministero.
papa Francesco non è persona che teme la figura del predecessore, la cui diversità può anche ricercare la complementarietà. Di certo lui vorrà “regnare” come Vescovo di Roma. E gli farà piacere avere la fine intelligenza di Ratzinger a disposizione. Credo inoltre che il papa emerito non lo vedremo proprio più, lontano dalla scena del mondo. Quale la sfida più grande che lo aspetta? La scelta di un nuovo cardinale di Stato che sappia ricucire gli strappi nel collegio cardinalizio e con Islam e Ortodossi. Senza pensare a dover riempire la Curia dei suoi. Quale il più grande errore di valutazione in questo inizio fibrillante? Crederlo un Papa di sinistra. Non ci saranno aperture sui gay, non ci saranno cambi di posizione sull’inizio e sul fine vita, non ci saranno abolizioni di celibato o dichiarazioni di nullità matrimoniali facili. Cosa dobbiamo allora aspettarci? Il congelamento dell’ecclesiastichese, una nuova spinta all’impegno sociale nella Chiesa, un catechismo semplice ed essenziale, qualche gesto di riconciliazione, l’impegno per i diritti umani di tutti del Vaticano.
ma udienza generale sarà invece dopo la Settimana Santa e ovviamente la Pasqua con il nuovo Papa. E credo che spesso vedremo papa Francesco in San Giovanni in Laterano, oltre che San Pietro, in quanto cattedrale di Roma e in quanto egli ha posto con forza l’accento sull’essere Vescovo di Roma anzitutto. Con tanto di cardinal vicario a fianco (il suo vice parroco, praticamente) fin dalla prima apparizione.
Diego Goso dondiegogoso@icloud.com
Qualcuno pensava ad un Papa italiano. Ma così non è stato. Perché? Penso che il concetto di Papa italiano ormai non abbia più senso. Si potrà forse chiedersi in futuro se avremo un Papa europeo. Ma ormai la mondialità del cattolicesimo non ci permette più il provincialismo italiano. E già con l’Europa siamo un pochetto vecchi, date le ricchezze spirituali che vengono da Asia, America e Africa. Ci sarà un problema di coabitazione con Ratzinger? Direi che ogni dubbio adesso è fugato. Benedetto XVI non è persona capace di interferire: anzi. E
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CHieSa ViVa
Con amore materno e fiducia incrollabile nella Parola di Dio, la Madonna guida e sostiene i cristiani lungo la strada che conduce al Signore.
maria, una mano tesa tra terra e Cielo Maggio, mese dedicato tradizionalmente a Maria, è per molti cristiani occasione privilegiata per esprimere devozione nei confronti della mamma di Gesù. Devozione guardata talora con sospetto da cristiani di confessioni diverse da quella cattolica, che giudicano teologicamente discutibili alcune manifestazioni di religiosità che – a ben vedere – sono più spesso frutto d’ignoranza che di malafede.
L’amore materno e La paura di dio In materia di devozione mariana la teologia cattolica è cristallina: pregare e invocare la Madonna non è un’alternativa a pregare e a invocare Dio. Maria, infatti, non è una dea ma una creatura: una
donna che si è affidata con totale fiducia al Signore e che la Chiesa cattolica non si stanca di indicare come modello da imitare per avvicinarsi a Gesù. Una donna straordinaria, ma pur sempre una creatura. Il suo compito, sempre secondo i teologi, è ridurre la distanza che separa i cristiani da suo figlio Gesù, Salvatore del mondo, solo e unico mediatore – con lo Spirito Santo – tra l’Umanità e il Padre. Maria è simile a una mano costantemente protesa verso tutti coloro che continuano a credere nelle false rappresentazioni di Dio come Padre distante e inarrivabile e di Gesù come fratello troppo esigente e difficile da seguire. Un’immagine ben nota anche alla psicologia, che non si stanca d’in-
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dagare nel profondo le analogie e le differenze che caratterizzano l’amore paterno e l’amore materno: esigente e sempre sul punto di chiedere conto di quanto fatto il primo; accogliente e incondizionato il secondo. Contemplando tale dinamica con tenerezza, il Signore sembra quasi constatare: «I miei figli hanno paura di me ma non di Maria: a lei si avvicinano più facilmente». E Maria, instancabile, accoglie chiunque si rivolga a lei.
una fede SempLiCe e ConCreta Le caratteristiche che consentono a Maria di svolgere il ruolo di «co-mediatrice» tra Cielo e Terra sono essenzialmente due: la vicinanza materna e la testimonianza
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di una fede incrollabile nella Parola di Dio. Attraverso la vicinanza materna, nutrita d’affetto, dolcezza e tenerezza, Maria sembra voler rassicurare la psiche profonda dell’uomo ricordandogli: «Dio ti è vicino e s’interessa a te. Io lo so, perché ho sperimentato quanto il Signore ami le proprie creature!». Attraverso la testimonianza della propria fede nella Parola di Dio – invece – Maria pare rassicurare chi si rivolge a lei dicendo: «Fidarsi di Dio è cosa buona e giusta. Qualunque situazione tu viva, se confidi nel Signore non hai nulla da temere». Non si tratta – però – solo di parole, perché lei di Dio si è fidata davvero! Se immaginiamo quanto Maria abbia confidato nel Signore ci colgono le vertigini. Ragazza di Nazareth, paese sperduto e occupato militarmente dai romani, di quali sogni avrebbe potuto riempire il proprio futuro? Per le sue coetanee realizzasi significa-
va dare un figlio a una persona importante e avere di che vivere. Maria, con semplicità e fiducia, mette la propria verginità – il bene più importante e prezioso che possiede – nelle mani del Signore. E ne riceve in cambio una maternità al di sopra di ogni altra: concepisce e da alla luce Gesù, il Figlio di Dio.
i miLLe VoLti deLLa deVozione mariana È allora giusto che i cristiani esprimano la propria devozione nei confronti di Maria. A patto di non venerarla come una dea e di non inciampare nei lacci della superstizione, che fa domandare ad alcuni se sia più conveniente pregare la Madonna di Lourdes o quella di Fatima o se si ottengano più grazie invocando la Madonna d’Oropa o la Consolata… Perdendo di vista il fatto che la Madonna non è un distributore automatico di favori e che Maria è sempre e comunque una sola. La cosa migliore – come sugge-
riscono i padri spirituali – è che ciascuno si senta libero di venerare la Madonna che nel proprio intimo sente più vicina. L’attrazione verso una particolare qualità di Maria, infatti, rappresenta non di rado un monito e un insegnamento. Attraverso la devozione all’Immacolata – per esempio – il Signore può invitare i cristiani a intensificare il proprio cammino di fiducia e di fedeltà spirituale, dal momento che «Immacolata» significa che Maria ha sempre detto sì a Dio. Attraverso l’Ausiliatrice o la Consolata può invece suggerire che è giunto il momento di cominciare a essere d’aiuto ai fratelli o di ascoltare e consolare chi ha smarrito se stesso e stenta ad andare avanti. Lungi dall’essere residui del passato, le molteplici devozioni a Maria possono allora rappresentare un tesoro di fede importante e in grado di aiutare i cristiani a comprendere sempre meglio se stessi e la strada che il Signore propone loro. Ezio Risatti Preside dells SSF Rebaudengo e psicoterapeuta redazione.rivista@ausiliatrice.net
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don BoSCo oGGi
Tutto è cominciato... con un urlo! continua dal numero scorso dG
e allora voleva defenestrarlo seduta stante. Madre mia che paura aveva quel povero figliolo.
Quindi tutto è cominciato da un sogno… Don Bosco sorride e scuote in diagonale destra e a sinistra la testa.
dG
E tu ti sei messo in mezzo.
dB
Più o meno…
dB
dG
In che senso? Credevo…
dB
Certo il sogno è stato il grande segnale dall’alto. Ma il vero inizio di quest’opera della Madre di Dio è stato un pochetto meno solenne. Direi anzi che tutto è iniziato… da un urlo.
Ah, Comotti è un brav’uomo. Lo hanno messo a lucidare candelabri anche qui, con tutti i putti che ci sono. Appena gli ho detto che il ragazzo era mio amico lo ha lasciato stare, storcendo un poco il naso, ma lo ha lasciato stare.
dG
Bartolomeo Garelli.
dB
Bartolomeo. Un curriculum eccezionale. Muratore d’Asti, senza un padre, senza una madre, non sapeva scrivere, leggere, cantare, fare il segno di croce. Però gli piaceva fischiare. – annuisce soddisfatto.
dG
Il tuo primo ragazzo: il primo ragazzo dell’oratorio.
dB
Oh, siamo ancora un pelo distanti da arrivare all’oratorio. È stato il primo incontro tra due vite: un giovane che aveva bisogno di una famiglia e di un padre e un povero prete che voleva costruire la casa per quella stessa famiglia. Una combinazione di ingredienti perfetti. Abbiamo recitato un’Ave Maria insieme: il mio primo catechismo giovanile, le cose essenziali sono tutte in quella parole dell’angelo.
dG
Un’Ave Maria importante – lo incalzo.
dB
Oh, sì: “tutte le benedizioni piovuteci dal cielo sono frutto di quella prima Ave Maria detta con fervore e retta intenzione”. Non sai quante volte l’ho ricordato ai miei figli. Lo scrivi, vero?
dG
Certo, certo. E poi cosa è successo?
dB
Ah, per un poco di caldo in più il ragazzo era anche disposto a sorbirsi il mio catechismo. Si passa dalla merenda certe volte per portarli all’Ostia, sai? Non bisogna dimenticarlo: le priorità di un educatore non sempre coincidono
dG
Urlo? Il santo sacerdote annuisce convinto. Socchiude gli occhi.
dB
dG
8 dicembre 1841. Chiesa di san Francesco d’Assisi in Torino. Sto preparandomi a celebrare la messa dell’Immacolata e sento urlare nel retro sacrestia. Ma certo! Era… – mi lascio prendere dall’entusiasmo ricordando la data che per noi amici di don Bosco è da sempre la grande giornata di festa in cui ricordiamo la nascita dell’oratorio con la stessa gioia con cui festeggiamo Natale… È il Natale salesiano in effetti…, don Bosco continua: dB
era… Giuseppe Comotti, il nostro sagrestano. E stava dando del bestione ad un ragazzetto che era venuto lì a scaldarsi in quel freddo dicembre. Il sagrestano non voleva ospiti non graditi. Gli aveva chiesto se voleva servire messa: il ragazzo aveva detto che non era capace – ammicca il Santo – anche adesso mi pare da voi laggiù lo sappiano fare meglio le bambine…
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con quelle dei ragazzi, ma non per questo sono in contraddizione. dG
E quindi gli hai proposto di venire a catechismo da te… così si scaldava un poco.
dB
Oh sì. Ma gli ho chiesto un prezzo importante. Doveva venire accompagnato da alcuni amici. Se vuoi riempire un oratorio oggi, non devi mica scervellarti nei manuali di pastorale…
appena, quel piccolo esercito di fanciulli in sacristia proprio non lo poteva vedere. Io poi portavo dei dolci che avanzavano al Convitto dove risiedevo allora e i ragazzi riuscivano a fare un tappeto di briciole che non immagini. La gioia di quell’inizio veniva subito segnata da una difficoltà: non avremmo certo potuto continuare a trovarci in quella sacristia. Anche perché l’effetto contagio del fischio di Bartolomeo continuava a crescere…
don Bosco abbassa la voce: sai anzi tenere un segreto? – Mi chiede avvicinandosi al mio orecchio. dG
Ok, certo. Non lo scrivo – prometto.
dB
Qui – e indica tutto l’ambiente intorno – quei manuali sono proibiti. La Provvidenza è l’unica pastorale che conta…
dG
Ops. Sicuro che non devo scriverlo?
dB
Ah – alza entrambe le mani – io in ogni caso nego tutto.
dG
dB
Dicevi, per riempire un oratorio oggi…
dB
Ecco sì. Basta chiedere ai ragazzi che hai la stessa cosa: se ti piace l’Oratorio perché non lo condividi con i tuoi compagni di classe? Con gli amici della palestra? Con la ragazza che ti da ripetizione? Non tutti si fanno contagiare subito, qualcuno ti prenderà in giro: ma nel mucchio di amici qualche nuovo membro della famiglia lo trovi di sicuro. Don Bosco garantisce al cento per cento.
dG
E Bartolomeo?
dB
Ah, lui! Non sapeva leggere, non sapeva scrivere, ma a fischiare era davvero un maestro. Il suo richiamo me ne ha fatti conoscere altri nove, di ragazzi, la settimana successiva. E tutti avevano le stesse necessità, che sono poi diventate la carta costituente dell’oratorio…
dG
Povertà, ignoranza, anche religiosa… azzardo.
dB
E infatti: per questo bisognava lavorare per renderli buoni cristiani e onesti cittadini. La missione era chiara. Il sogno cominciava a diventare realtà.
dG
E il tuo sagrestano?
dB
Oh, il Comotti, figurati. Se uno lo sopportava
don Bosco ride di gusto. Grave errore, infatti. Io cercavo in alto, Dio aveva già preparato tutto in basso: un tettoia in zona Valdocco…
Qualcuno bussa alla porta e ci interrompe. Diego Goso dondiegogoso@icloud.com
Sorrido e lo invito a riprendere: dG
E quindi sei dovuto andare a chiedere aiuto in qualche alto palazzo.
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don BoSCo oGGi
Il sistema preventivo: capolavoro educativo di don Bosco In mezzo a grandi difficoltà don Bosco elabora il suo personale modo di relazionarsi con i giovani fatto di ragione, religione ed amorevolezza. L’impegno educativo profuso da don Bosco nell’educare i giovani fu costante e profondo, ma non trionfale come lo descrive una certa facile agiografia superficiale ed acritica. Non tutti i ragazzi erano disposti a seguire docilmente il giovane prete, soprattutto quando si trattava di educazione religiosa e di pratica dei sacramenti. Alcuni si ribellavano anche in modo aperto. Quando cessavano i giochi per dare spazio alle attività formative si dileguavano o, addirittura, disturbavano le preghiere con lanci di sassi e canzonacce cantate a pieni polmoni. Con il passare del tempo i giovani cominciarono a conoscere le “astuzie” che don Bosco «usava per intrappolarli al momento dell’istruzione religiosa e delle pratiche devote; tra loro c’era chi non gradiva e sapeva mettere in campo la propria furbizia per sgattaiolare e poi ritornare quando si riattivavano i giochi», scrive don Pietro Stella. Questo non minimizza assolutamente la grande capacità di Giovanni Bosco ad interfacciarsi, con il dialogo costante, con qualsiasi situazione che la vita del nascente oratorio gli poneva. Non mancarono le misure estreme e non gradite, cioè il castigo a fine educativo e persino l’allontanamento dall’assembramento oratoriano.
© Nino Musio
L’amBiente oratoriano SpeCCHio deLLe Contraddizioni deLLa SoCietÀ deL tempo C’erano ragazzi che venivano a Valdocco armati di coltello. Abbondavano i ladruncoli, i giocatori d’azzardo, gli spioni, i disturbatori a prescindere.
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Alcuni, già a quei tempi, avevano una certa propensione alla pedofilia. Nell’Archivio Centrale Salesiano si conservano registri che documentano aspetti interessanti della vita collegiale. Non mancano note sulle cause di dimissione di alcuni convittori. In prevalenza si tratta di “furto”, “moralità” o di un asciutto “tornò ai parenti”. Tra gli allontanati risalta un nipote di Urbano Rattazzi dotato di eccessiva vivacità e di scarso rispetto nei riguardi dei compagni. È registrato nella storia oratoriana per aver qualificato Domenico Savio con un poco caritatevole epiteto di “tisicone”. In questo difficile contesto, lentamente in don Bosco matura dei comportamenti che daranno vita al suo Sistema
Preventivo che don Stella sintetizza in quattro punti. 1) Farsi amare per farsi temere. La sottrazione di benevolenza è già un castigo. 2) Uno sguardo non amorevole, spesso, produce maggior effetto che non farebbe uno schiaffo. 3) Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni. 4) Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio in posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili si devono assolutamente evitare, perché sono proibiti dalle leggi civili, irritano grandemente i giovani ed avviliscono l’educatore. Tutti questi principi non sempre trovavano una facile osservanza soprattutto da parte di chi era quotidianamente a stretto contatto con i giovani. Il reale quotidiano rischiava di compromettere l’ideale prospettato dal Sistema Preventivo. don Bosco dovette lottare per salvare il suo modello educativo. Resistette a tante pressioni, da parte dei suoi collaboratori, ad attivare le “camere di riflessione” allora piuttosto in auge. Non si stancò mai ad invitare a una presenza più assidua, ad una maggiore dedizione, a una più autentica sintonia di affetti tra gli educatori e gli educandi. Per tutta la vita egli tentò di opporsi in ogni modo contro gli infiniti tentativi di “collegializzare” l’esperienza di vita oratoriana. Instancabilmente difese i propri ideali educativi che, con l’andare del tempo, fissò nelle Memorie dell’Oratorio, nella lettera-sogno da Roma del maggio 1884 e nelle molte lettere confidenziali ai suoi figli spirituali. Sono questi gli scritti che dobbiamo riprendere in mano, per studiarli e meditarli, se vogliamo riscoprire in tutto il suo splendore il sistema che, anche dopo 150 anni, continua ad essere il perno del nostro essere salesiani nell’attuale società post moderna. Ermete tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
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don BoSCo oGGi
«Sei (SoLo) un SoGnatore»
un LiBro
Una frase entrata nel sentire comune come un giudizio senza appello, che di solito lascia intendere: «Bello, il tuo progetto, ma irrealizzabile». A volte la condanna è anche peggiore, e suona come un «Non sai stare con i piedi per terra». Così deve sembrare ai contemporanei Giovanni Bosco, quando ancora bambino ha la prima visione ad occhi aperti. Così è parso anche dopo che i suoi sogni si sono realizzati, perfino quando è stato proclamato santo. In questo modo, le sue numerose rivelazioni sono passate in secondo piano rispetto alle coordinate del santo sociale, del prete tutto d’un pezzo, concreto, combattivo. Eppure, senza di esse non si riesce a spiegare la sua tenacia, che lo ha portato a superare mille ostacoli (tra cui il dilagare del laicismo e del soggettivismo), concretizzando un progetto creduto da molti quasi impossibile.
A restituirci un don Bosco a tutto tondo ci ha pensato la giornalista e scrittrice torinese Cristina Siccardi, con il suo don Bosco mistico. Una vita tra cielo e terra (2013, ed. La Fontana di Siloe). L’opera ripercorre la vita del santo di Castelnuovo d’Asti dall’infanzia, seguendone gli studi, le amicizie, le svolte nell’Italia del XIX Secolo, attraverso le fonti ufficiali. Una storia conosciuta ai più, fatta di opere e di incontri con personaggi chiave, come il Cafasso. A essere diverso è, invece, l’occhio con cui la si osserva: quello del sognatore.
SoGni premonitori Per capire le scelte di don Bosco, occorre spogliarsi dell’abitudine di considerarlo unicamente come santo sociale. L’incontro con il soprannaturale nella vita di don Bosco è un dato quasi ordinario. Ancora bambino,
Un inguaribile sognatore
Affabile, estroverso, concreto. Così lo abbiamo conosciuto finora. Ma don Bosco è anche un “mistico”. La sua storia, raccontata da Cristina Siccardi, è costellata di visioni, il modo in cui Dio gli parla.
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mentre aiuta nei lavori in campagna, lo trovano sovente come assorto, con gli occhi rivolti al cielo. A 9 anni gli viene rivelata la missione che dovrà compiere: è il famoso sogno del cortile pieno di ragazzi che si azzuffano e bestemmiano, che da solo non riesce a fermare; ma un uomo dal manto bianco e sua madre splendente di luce gli indicano la via e il futuro. A 16 anni gli viene spiegato il modo in cui riuscirà a raccogliere e a nutrire moltissimi ragazzi; a 19 anni «un imperioso comando gli fa intendere di non essere libero di rifiutare la missione affidatagli», spiega Siccardi; a 21 anni gli viene mostrato di chi dovrà curarsi; a 22 scopre dove, a Torino. Le visioni si susseguono nel tempo, il suo dialogo con Gesù e con Maria Auxilium Christianorum non si arresta mai. Tra gli episodi che hanno fatto più scalpore, l’ultimo saluto di un giovanissimo Luigi Comollo, compagno in seminario e amico fraterno, morto sulla soglia dei 22 anni la sera del 2 aprile 1839, a causa di una fulminea malattia. Le cronache riportano anche altri avvenimenti: le medicine a base di pastiglie di pane e Salve Regina che procurano inspiegate guarigioni, gli interventi del Grigio; il misterioso cane che compare nei momenti di pericolo. Giovanni Bosco alimenta il suo dono affinando la preparazione spirituale: ancora studente, si appassiona degli scritti di sant’Ignazio di Loyola, sant’Alfonso Maria de’ Liguori e san Francesco di Sales, insieme al De imitatione Christi di Tommaso da Kempis. A volte si dimentica di mangiare; pure di animo giocoso ed estroverso, riduce al minimo vacanze, uscite (se non per le celebri “camminate”) e la par-
don Bosco mistico La Fontana di Siloe, 2013, pagg. 408, € 24.50
tecipazione alle feste, se lo distolgono dal dialogo con Dio. Nel sogno della nave condotta dal Papa tra le due colonne in mezzo a una flotta di nemici (1862), don Bosco vede le afflizioni e il futuro della Chiesa. Quella stessa immagine oggi si può osservare in un dipinto al fondo alla Basilica di Maria Ausiliatrice, a Torino.
iL SeGreto di don BoSCo
Cristina Siccardi Cristina Siccardi, nata a Torino nel 1966, è sposata e ha due figli. Laureata in lettere con indirizzo storico, è specializzata in biografie. Il 26 novembre 2010 ha ricevuto il Premio «Bonifacio VIII» della città di Anagni. www.cristinasiccardi.it www.facebook.com/cristina.siccardi.7
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Se è stato capace di tanto, perché allora le sue visioni – tranne alcune importanti eccezioni – non sono famose quanto le opere? I fatti parlano da sé: l’oratorio, l’attività con i ragazzi della strada, l’opera di riscoperta del cristianesimo in contrapposizione a una società che mette il denaro e le “cose” davanti agli uomini e al progetto di Dio sono evidenti e innegabili. I sogni, invece, vanno raccontati. Un privilegio che don Bosco riserva ai suoi “birbanti” e ai collaboratori. Del resto, i suoi interlocutori sono per tutta la vita Dio e i fanciulli. Con il primo è abituato a parlare fin da piccolo, attraverso la preghiera e la contemplazione. Ai secondi riferisce semplicemente le sue visioni, come insegnamenti. Non gli importa di più. Ci penseranno i compagni, gli ex allievi e i documenti a testimoniare la dimensione mistica del santo piemontese. A lui basta che i messaggi del cielo e le buone opere terrene si incontrino nel cuore, per farne un tesoro inestinguibile. Come gli ricordava da piccolo mamma Margherita: «È Dio che ha creato il mondo e ha messe lassù tante stelle. Se è così bello il firmamento, che cosa sarà del paradiso?». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Maria risveglia la Chiesa nelle anime
Stiamo vivendo tempi singolari per la vita della Chiesa: la conclusione del ministero petrino di papa Benedetto XVI e l’elezione del nuovo pontefice; il luminoso pontificato di papa Ratzinger e la venuta di papa Francesco che gli Em.mi Cardinali riuniti in Conclave, guidati dall’azione dello Spirito Santo, hanno scelto dopo aver scrutato insieme i segni dei tempi della Chiesa e del mondo. Tutto questo è conferma di ciò
che a Maria sta a cuore: il cammino di preghiera e di conversione che ognuno è chiamato a compiere. La Madre esorta i suoi figli a non cedere al peccato che trascina verso le cose terrene. Chiede di prendere una decisione ferma per la santità, in modo tale che il cammino spirituale diventi semplice e gioioso. Ci ammonisce a non venire a patti col male, perché è una forza che logora le nostre energie fino a distruggerci. Solo con una ferma rinuncia a satana e alle sue seduzioni ci sentiamo liberi e procediamo spediti nel cammino della santità. “La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che – come la Vergine Maria – accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; of-
frono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi” (Benedetto XVI). Nel papa Benedetto XVI Maria Madre della Chiesa e Regina degli apostoli ha donato e mostrato alla Chiesa, come pochi prima lo avevano visto, una sua immagine viva, che irradia bontà, sapienza e umiltà. Nel nuovo papa Francesco ci invita a prendere sul serio la scelta di Dio e a vivere con autenticità gli impegni del nostro battesimo per sperimentare la gioia e la pace del Signore Risorto. Pierluigi Cameroni Animatore spirituale pcameroni@sdb.org
ADMA Giovani Venezuela
ADMA Giovani Bolivia
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ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
adma GioVani
www.donboscoadma.org
L’Associazione di Maria Ausiliatrice è una realtà viva e diffusa nel mondo, un’Associazione “più giovanile e più salesiana”, come abbiamo sperimentato in occasione del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, celebrato a Czestochowa in Polonia nel 2011, e come stiamo vedendo in questi mesi. Vogliamo manifestare la nostra gioia e il nostro stupore costatando come l’Ausiliatrice sta rinnovando l’Associazione con il sorgere e consolidarsi di gruppi giovanili dell’ADMA, segno di speranza e di futuro. È bello vedere sia come questi gruppi nascono da realtà e storie diverse e come i giovani stessi desiderano farli crescere e maturare, segno di speranza di una Chiesa che si risveglia nelle anime giovanili.
“Per me l’ADMA è come un bel Giardino, ricco di fiori e profumi. Sono sempre passata accanto a questo giardino, l’ho sempre guardato da fuori e ne sentivo il buon profumo ma non sapevo come entrarci. Avevo paura che non c’entrassi niente con tutti quei bei fiori. Forse non mi ero pienamente affidata nelle mani del Giardiniere, del Signore. Sono arrivata però ad un momento in cui il pensiero di quel buonissimo profumo e di quei bei fiori mi continuava a venire in mente. Come resistere a tale bellezza? Come non dire Sì alla chiamata di crescere con un gruppo di così bei fiori profumati, sostenuti e assistiti con amore e cura dal Giardiniere, da Dio? Questa è per me l’ADMA. Quindi spero vivamente che voi bei fiori mi aiutiate a diventare profumata come voi, e che voi Giardinieri di Dio, mi aiutiate ad essere un bel fiore da presentare a Dio” (Alessandra).
CHe CoS’è per me L’adma? “Se ci pensate è come una MANO... Immaginate una stretta di mano quando si conosce qualcuno. Ogni persona che viene “toccata” incontra dapprima le dita: Cammino, Preghiera, Formazione, Amicizia, Animazione. Non importa quale che sia il primo dito che incontrerà perché alla fine la stretta di mano li coinvolgerà tutti. In seguito, affinché la stretta di mano si completi, occorre che si incontrino i due palmi delle mani. Il palmo che unisce le cinque dita rappresenta l’Incontro con Dio e con la Fede” (Alessandro). “Avete presente la roccia levigata dalla caduta di molte gocce d’acqua? Ecco per me l’ADMA è proprio come quelle gocce d’acqua. Ogni incontro, le parole dei don, i pellegrinaggi, i ritiri, il rosario recitato insieme il 24 del mese, i momenti di animazione, le cene insieme, le condivisioni, i sorrisi di ciascuno, le S. Messe del giovedì, e tanti altri momenti di preghiera e amicizia sono per me come tante gocce d’acqua che levigano il mio cuore, la mia persona e sono proprio queste gocce che, insieme alla formazione data dai miei genitori, hanno gradualmente fatto germogliare e crescere la Fede dentro di me e continuano a nutrirla, rendendo chiara in me l’idea di essere accompagnata ogni giorno dalla bontà di Dio Padre e dalla tenera protezione di Maria” (Elisabetta).
ADMA Giovani Comunità Shalom
ADMA Giovani Torino
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Yallah avanti!
Bergamasca d’origine, suor Maria Stucchi ha vissuto per oltre sessant’anni in Terrasanta, portando ovunque la gioia e l’entusiasmo di Madre Mazzarello.
Maria nasce il 28 giugno 1925, a Filago, nell’“Isola bergamasca”. Prima di cinque sorelle e un fratello, a 23 anni lascia la casa paterna per diventare suora Salesiana (Figlie di Maria Ausiliatrice). Ad appena un anno dalla professione religiosa, nel 1950, è in Medio Oriente, a Damasco, nell’ospedale Italiano gestito dalle consorelle. La richiesta di essere missionaria è sua, e nello stesso tempo è facile immaginare la sofferenza nello staccarsi dalla famiglia. Da primogenita, comunque, diventa perno a cui tutti i familiari fanno riferimento: attraverso la corrispondenza, orienta, infonde coraggio, insegna a guardare in Alto, e anche loro imparano a dire “Yallah, Yallah!”, avanti, avanti. Nel 1953, è destinata a Betlemme: l’obbedienza le da molta gioia, che nessuno le toglierà, nemmeno l’enorme lavoro del guardaroba dei Salesiani. Questa casa delle Salesiane è la prima dell’lspettoria Medio Oriente e dispone di un ambiente abbastanza vasto dove poter svolgere anche attività educative, soprattutto il Centro Giovanile, che accoglie le ragazze del quartiere (negli anni, le suore
vi hanno costruito una bella chiesa). Con le sue capacità, suor Maria contribuisce a dare vita e stile all’oratorio e finché le forze glielo permettono, lei è in mezzo alle ragazze. Circa otto anni fa, suor Maria ha problemi alla vista: non può più leggere e la sua attività è gradualmente diminuita. Dal gennaio 2011, accusa malore ai polmoni ed è portata a Nazareth, nell’ospedale dei “Fatebenefratelli”, e poi nella comunità di Nazareth. Poi, il tramonto: le ultime settimane in ospedale sono per lei un calvario. Si spegne il 28 luglio. I funerali si svolgono a Betlemme, presenti tanti familiari, Salesiani e Salesiane, sacerdoti e religiose di varie congregazioni. Tutti insieme per dire il loro “Grazie”: a Dio che ce l’ha prestata per tanti anni e a lei, suor Maria, per la sua fedeltà e per il dono della sua vita a quella missione. sintesi e revisione del testo dell’Ispettoria Medio oriente
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Pellegrini a Crea con ‘ndivia e crocion Il mistero della Madonna nera. Crocion: crostini di pane raffermo tostati e insaporiti con aglio cui si accede con un’imponente scalinata, in un suggestivo scenario naturale. Soggetto a fortunose vicende storiche e al governo di diversi ordini religiosi, attualmente il sacro complesso è retto dai frati francescani ed è meta di devoti pellegrinaggi delle popolazioni dell’Astigiano e del Monferrato. Oggi i pellegrini possono sostare presso un elegante ristorante adiacente il Santuario; in passato si accontentavano del pranzo al sacco consumato sui prati, consistente nell’insalata del proprio orto condita con crostini di pane. Ecco la povera ricetta: Indivia e crocion. Ingredienti: un cespo di indivia, olio, aceto, sale. Una manciata di croste di pane raffermo tagliate a dadini e strofinate con aglio. Tagliuzzare l’indivia accuratamente lavata; condire con olio, aceto, sale e crostini, con eventuale aggiunta di gherigli di noce e dadini di parmigiano.
Su un ameno colle del Monferrato, anticamente sede di culti pagani, sant’Eusebio fece costruire un sacello in cui fu collocata una statua della Madonna proveniente dalla Palestina, ove il santo era stato perseguitato in seguito alla diffusione dell’arianesimo. Sul colore nero di questa scultura sono state fatte, nel tempo, varie ipotesi: la caratteristica del legno pregiato e rarissimo, l’ispirazione dell’artista, che colorando di nero il volto della Vergine e del Bambino avrebbe voluto sottolinearne il distacco dalla comune umanità. Una recente opera di restauro ha riportato la statua alla purezza originaria, evidenziando il fatto che il colore nero era dovuto al fumo delle candele votive. La Madonna e il Bambino di Crea oggi hanno un bel volto roseo. Il complesso del Sacro Monte è costituito da un santuario, dedicato all’Assunta, eretto sui resti del sacello eusebiano, e da 23 cappelle, rappresentanti i misteri del Rosario ed alcuni episodi della vita della Vergine. Sul punto più elevato del colle sorge la cappella del Paradiso,
Anna Maria Musso freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
• un cesto di indivia, olio, aceto, sale • una manciata di croste di pane tagliate a dadini strofinate con aglio • tagliuzzare l’indivia ben lavata • condire a piacere con olio, aceto, sale • aggiungere un po’ gherigli di noce e dadini di parmigiano
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L’aVVoCato riSponde
Diritti dei consumatori:
e se la merce è difettosa chi mi risarcisce? Dedichiamo questa puntata della nostra rubrica al tema della vendita dei beni di consumo: chiediamo al nostro esperto quali strumenti ha il consumatore per tutelare i propri diritti, soprattutto in caso di merce difettosa «Queste pagine – precisa l’avvocato Castellarin – vogliono essere soltanto un piccolo ausilio soprattutto per le famiglie che spesso si trovano disarmate davanti a quei venditori che, anziché rispondere alle legittime richieste del consumatore, sollevano le più svariate scuse generando, così, una confusione diffusa tra gli utenti, circa la reale portata dei tali diritti e dei doveri di chi acquista e di chi vende». Avvocato Castellarin, facciamo il caso di aver appena acquistato un prodotto che si è rivelato difettoso: a chi mi devo rivolgere ed entro quando? «Capita spesso, dopo aver acquistato beni di consumo rivelatisi dopo poco tempo non funzionanti, di non sapere a chi rivolgere le proprie lamentele e come far
valere le proprie ragioni. La normativa a tutela del consumatore, attraverso diversi interventi legislativi a partire dagli anni novanta e attualmente confluiti in maniera organica nel D. Lgs 206 del 2005 (Codice del Consumo) ha sortito ed ingenerato nell’utente – consumatore finale – non poca confusione. Innanzitutto occorre precisare che il Codice del Consumo disciplina varie materie volte a salvaguardare la posizione giuridica del consumatore, quale soggetto che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, professionale eventualmente svolta. A fianco della classica e conosciuta garanzia convenzionale, ossia quella garanzia di buon funzionamento che generalmente viene offerta dal produttore stesso del bene per 24 mesi, si affianca una garanzia legale che è invocabile per tutti quei vizi di conformità. Quest’ultima, di cui agli artt. 130, 131 e 132 Cod. Cons., è una forma di garanzia che è obbligatoria ovverossia imposta dall’ordinamen-
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to giuridico a maggior tutela del consumatore. Troverà applicazione questa garanzia, ogni qualvolta il prodotto acquistato risulti inidoneo all’utilizzo al quale servono abitualmente altri beni dello stesso tipo, ovvero non rispecchino la descrizione esplicata o risultino prive delle qualità promesse o pubblicizzate ovvero non presentino le qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo e dal quale il consumatore si aspetterebbe». Cosa dobbiamo fare allora se il bene acquistato non è conforme? «Il consumatore può rivolgersi direttamente al venditore, per essere quest’ultimo responsabile per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna oppure manifestatosi nell’arco dei due anni dalla consegna stessa. In tal caso il consumatore ha una serie di diritti esperibili attraverso due rimedi, sempreché denunci al venditore il difetto entro due mesi dalla scoperta: 1) ripristino senza spese della
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conformità del bene mediante sostituzione o riparazione. In caso di esito negativo, il consumatore potrà accedere al secondo tipo di rimedio: 2) riduzione adeguata del prezzo ovvero chiedere la risoluzione del contratto». Capita spesso, però, che nell’ipotesi in cui il prodotto si riveli difettoso (alle volte anche dopo poche settimane) il venditore risponda alle nostre prime lamentele in questo modo: ‘Ci spiace ma essendo decorsi – e chi dice sette e chi dice dieci – giorni previsti per legge non è possibile sostituire il prodotto ma solo la sua riparazione senza spese presso un centro assistenza autorizzato». È corretto questo atteggiamento del venditore? «Assolutamente no. Affermazioni di questo tipo sono il segno di poca conoscenza della materia o di evidente mala fede del venditore». Allora come ci dobbiamo comportare? «Nel caso in cui succeda quanto detto sopra è opportuno far presente al venditore che la normativa a tutela del consumatore prevede, nel caso di difetti di conformità del prodotto, il diritto alla riparazione ovvero alla sostituzione – senza spese in entrambi i casi e a scelta del consumatore – salvo che il rimedio preteso sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso (tenuto
Chi desiderasse porre domande all’avvocato Marco Castellarin del Foro di Torino può segnalarlo a: redazione.rivista@ausiliatrice.net specificando nell’oggetto della e-mail: per L’Avvocato risponde conto del valore del bene, dell’entità del difetto e dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore). Il venditore è tenuto a provvedere alle riparazioni e alle sostituzioni entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenuto conto del tipo di bene e dello scopo per il quale è stato acquistato; in caso contrario, si potrà far ricorso alla seconda fase di rimedi cui sopra accennavo: la riduzione congrua del prezzo ovvero la risoluzione del contratto con conseguente restituzione del prezzo pagato». E nel caso di acquisto di beni a distanza (per intenderci internet) o fuori dai locali commerciali (ad esempio con la modalità «porta a porta») il consumatore gode delle stesse garanzie? «Anche in questi casi il consumatore potrà sempre avvalersi di tale garanzia; ma vi è di più: in questi tipi di vendita si potrà altresì esercitare il diritto di recesso. Secondo l’art. 64 Cod. Cons. il consumatore ha diritto di recedere senza penalità e senza dover necessariamente specificarne il motivo. Si tratta di un vero e proprio diritto di ripensamento che il legislatore ha voluto riservare al consumatore che si trova a comprare prodotti a distanza ovvero fuori dai con-
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sueti locali di commercio, purché eserciti tale diritto entro 10 giorni lavorativi con comunicazione scritta mediante raccomandata a/r. Si badi bene, il venditore deve – nei contratti a distanza o in quelli conclusi fuori dai locali commerciali – informare per iscritto e in chiare lettere il consumatore di tale suo diritto di recesso, illustrando bene le modalità, l’indirizzo al quale far recapitare detta comunicazione e restituire la merce comprata. In linea di massima, laddove il venditore non rispetti i propri obblighi informativi, il termine per l’esercizio del diritto di recesso è aumentato: è di 60 giorni per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali e di 90 giorni per i contratti a distanza: termini che decorrono, dal ricevimento della merce e per i servizi dalla conclusione del contratto. Va precisato che, in linea generale, nella vendita di servizi il diritto di recesso non potrà essere esercitato per quella parte di prestazione già eseguita e della quale il consumatore ne ha comunque usufruito». a cura di Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
Sfide eduCatiVe
La “rete” dio e l’uomo
Per padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, «la Rete ci sta cambiando troppo, anche a livello antropologico, per non avere a che fare in qualche modo con il disegno di Dio per l’uomo». Tutto è cambiato alle 11.46 di lunedì 11 febbraio 2013. A segnare la svolta è stata non soltanto la notizia – la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato – ma anche le modalità comunicative. È stato il Papa stesso a dare l’annuncio durante un’udienza, un’agenzia giornalistica l’ha rilanciato e 40.000 tweet, i “commenti” del celebre social network Twitter, lo hanno diffuso ai quattro angoli del pianeta in pochi secondi. Questo episodio illustra in maniera esemplare due caratteristiche della comunicazione contemporanea, come ha spiegato padre Antonio Spadaro, direttore della rivista «La Civiltà Cattolica» e
membro del Pontificio Consiglio per la cultura e le comunicazioni sociali, intervenendo a Torino il 19 febbraio scorso alla conferenza su «La ricerca di senso al tempo della Rete». «Il modo ordinario di conoscere – ha affermato Spadaro – non è più il broadcasting , tipico dei media come radio e tv, che lanciano un’informazione
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nell’etere in modo unidirezionale, ma lo sharing, la condivisione tipica dei social network. Le notizie si diffondono in maniera “virale” attraverso il “passaparola” tra persone che hanno una relazione tra loro». Amicizia e conoscenza diventano, dunque, un binomio fondamentale: comunicare – e questa è la seconda caratteristica dei social network – significa anzitutto testimoniare. «In questo senso – spiega Spadaro – tutti coloro che sono immersi nelle reti sociali sono chiamati a un’autenticità di vita molto impegnativa». Le implicazioni sul piano pastorale sono enormi e, non a caso, su
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Con internet Si CondiVidono riSorSe, tempo, idee
questi temi è incentrato anche il messaggio papale per la Giornata delle Comunicazioni 2013, intitolato Reti sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione. Nei social network, scrive il Papa, sono spesso presenti domande sui temi che più toccano l’animo umano: l’amore, la verità, il significato della vita. L’intervento dei cristiani nel Web assume quindi importanza primaria.
uno Spazio reaLe CHe infLuiSCe SuLLa noStra Vita Internet, ha spiegato ancora padre Spadaro, «è uno spazio di esperienza, che sempre più sta diventando parte integrante della vita quotidiana». La Rete, dunque, non è un semplice strumento o, peggio, «una realtà parallela»: è un vero e proprio «spazio antropologico interconnesso con gli altri della nostra quotidianità». Non stupisce allora che cominci a incidere sulla nostra capacità di vivere e pensare. Ma in che modo? Secondo Spadaro «una volta l’uomo era attratto dal mondo reli-
gioso come da una fonte di senso fondamentale. Come l’ago di una bussola, l’uomo sapeva di essere attratto verso una direzione precisa e la vita aveva sempre un senso. Poi l’uomo, specialmente con la seconda guerra mondiale, ha cominciato a usare il radar, che implica un’apertura indiscriminata anche al più blando segnale, non l’indicazione di una direzione precisa». Queste due metafore, sebbene restino vere, oggi reggono meno. «L’immagine attualmente più calzante è quella dell’uomo che si sente smarrito se il suo cellulare non ha campo o se il suo device tecnologico (computer, tablet o smartphone) non può accedere alla Rete. Se una volta l’uomo-radar era alla ricerca di un segnale, oggi invece cerca un canale di accesso attraverso il quale i dati possano passare». Il problema allora, prosegue Spadaro, «non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, cioè riconoscerlo significativo. Oggi è importante non tanto dare risposte, ma saper individuare le domande fondamentali».
antonio Spadaro Nato il 6 luglio 1966 a Messina. Dopo gli Studi classici frequenta il corso di Laurea in Filosofia. Il 21 dicembre 1996 è ordinato prete. Pronuncia i Voti Solenni il 24 maggio 2007. Attualmente vive a Roma dove è direttore della rivista La Civiltà Cattolica. www.antoniospadaro.net www.laciviltacattolica.it
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Altri risvolti rilevanti della Rete riguardano la nostra capacità di fare comunità. «Grazie a Internet ogni individuo si trova ormai presente allo stesso tempo in tutti i mari e i continenti», spiega Spadaro. «È necessaria una meditazione prolungata su questa tensione dell’uomo all’aggregazione: la Rete è una tappa del cammino dell’umanità». Le relazioni in Rete, d’altronde, possono essere ben più radicali di un semplice “scambio”. Di fatto Internet comporta la condivisione di risorse, tempo, idee… L’esempio ormai classico è quello di Wikipedia (la famosa enciclopedia on line), frutto della convergenza di tante persone connesse tra loro a livello globale. In qualche modo è come se si «pensasse» insieme. Certo non mancano gli aspetti problematici: come evitare di farsi chiudere nel “bozzolo” ristretto delle proprie preferenze da motori di ricerca e social network sempre più “intelligenti”, che filtrano le ricerche in base alle nostre propensioni individuali? E, non meno importante, come verificare la veridicità di informazioni prodotte ormai da chiunque? O, ancora, come difendere l’interiorizzazione e la profondità in un futuro di “nativi digitali” abituati all’interazione e alla superficialità? Domande e sfide cruciali, con cui tutti dobbiamo misurarci perché, conclude Spadaro, «la Rete ci sta cambiando troppo, anche a livello antropologico, per non avere a che fare in qualche modo con il disegno di Dio per l’uomo». Lara Reale redazione.rivista@ausiliatrice.net
Sfide eduCatiVe
Giovani by night Un antidoto alla noia. Molti ragazzi cercano lo svago per allontanare le preoccupazioni quotidiane. Sono soprattutto gli adolescenti a usare il tempo libero per distrarsi, a differenza dei più grandi. Bamboccioni e senza opportunità di lavoro. Sradicati dai valori della tradizione e senza prospettive. E soprattutto, dediti al divertimento più sfrenato. È l’immagine che non pochi hanno oggi dei giovani. È davvero così? Cos’è cambiato dai loro coetanei di tanti anni fa? Stimolati dall’invito di un lettore, abbiamo deciso di compiere un breve viaggio per scoprire come i ventenni moderni riempiano il loro tempo libero serale, con alcune sorprese.
per la paura della solitudine che per un senso di appartenenza. L’oratorio non interessa più, è considerato un posto per bambini. Si scopre il bisogno di affermarsi, ma non si sa in quale direzione. Eppure, tornando all’indagine modenese, tra i primi venti valori in cui i ragazzi credono di più, il divertimento compare solo a metà classifica. In pole position si trovano invece amicizia, famiglia, libertà e democrazia. Sono soprattutto gli adolescenti a dare più importanza allo svago e al tempo libero. Una priorità che perde attrattiva con l’età. Un’altra ricerca, condotta in Piemonte dal Centro di iniziativa per l’Europa su ragazzi fino ai 19 anni, osserva come, in ogni gruppo, è fondamentale la relazione fra lo spasso e la noia: più cresce il primo, più la voce della seconda viene coperta dal suo rumore, per tornare a farsi sentire non appena ci si separa dagli amici per tornare a casa. Sono considerazioni di massima, che tuttavia aiutano ad abbozzare il fenomeno.
La non Generazione La prima arriva da una recente indagine condotta dal Comune di Modena: dall’inchiesta emerge come i giovani locali fra i 15 e i 24 anni non si considerino più una generazione, ma individui. Sembrano aver perso la “coscienza collettiva” propria di ogni gruppo di coetanei, prendendo a prestito modelli di confronto e giudizi («Non è più come una volta») dai genitori o dalla televisione. Si muovono spauriti e si ritrovano nel gruppo quasi più
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Il Centro di Iniziativa per l’Europa del Piemonte, è un’associazione culturale senza fini di lucro che si propone di costruire una cultura concreta e diffusa dell’Europa, attraverso l’informazione, il confronto culturale, la formazione.
iL tempo LiBero Per lo psichiatra Vittorino Andreoli, la programmazione del tempo libero è un’invenzione degli anni ‘60: in una fase di espansione sociale e lavorativa, serviva a scaricare lo stress e a prepararsi ad affrontare un’altra settimana di lavoro. Da qui, i primi tentativi delle cittadelle del piacere. Oggi quel panorama si è arricchito di televisione e computer, altri due mondi con cui fare i conti. «Nelle economie del superfluo la durata della scuola si allunga e si diventa soggetti perennemente da educare. Ciò comporta, da una parte, il successo del controllo e dall’altra, per i figli, un mai raggiunto protagonismo», scriveva Andreoli in un saggio di qualche anno fa. Parole ancora attuali. Anche in questo caso, tuttavia, le considerazioni fatte non esauriscono le ragioni che spingono a divertirsi. Ad esempio, c’è anche solo chi cerca un po’ di spensieratezza, o trova l’occasione per chiacchierare con gli amici.
piacciono mediamente al 90% e all’87,2% degli intervistati, secondo il VI Rapporto IARD. Marianna, studentessa torinese, racconta con i suoi amici: «In generale i giovani tra i 18 e i 25 anni si divertono andando a ballare. Il weekend comincia il giovedì e termina la domenica e vede la sua serata principale nel venerdì (non più il sabato). La protagonista della domenica sera torinese è l’apericena. Ci sono tantissimi locali che, con un prezzo medio di 10 euro, danno la possibilità di bere una consumazione e mangiare un mix di antipasti, primi, secondi e, nei casi più fortunati, dolci e frutta a buffet. Se ci si sposta in provincia, il prezzo scende a 5 euro». Resistono al tempo le discoteche, un po’ sbiadite, un po’ trasformate: da sale da ballo sono diventate posti in cui la musica fa da sfondo al bere. Ai margini delle notti bianche dei giovani ci sono esperienze come rave party e flash mob, organizzati attraverso passaparola e internet: i primi sono raduni illegali con occupazione di vecchie aree dismesse, dove insieme alla musica ad alto volume è facile trovare anche alcoolici e droga; i secondi sono incontri proposti per realizzare un’azione comune, insolita, di breve durata (ad esempio, una cena davanti a Palazzo reale a Torino, vestiti di bianco). Tra gli ever green ci sono anche il cinema e le serate a casa di amici, rivalutate specie negli ultimi tempi di crisi economica. Classifiche a parte, la gran parte dei giovani continua a vivere il tempo libero della notte per esprimersi, distendersi e ridere. Perché, in assenza di meglio, una sana risata in compagnia di amici aiuta a prepararsi al domani.
HappY Hour E mentre gli àmbiti prediletti dei giovani sono, oltre ai social network, televisione, radio, musica e cinema, i luoghi di divertimento by night che più incontrano i desideri di maschi e femmine di diverse fasce d’età sono in particolare pub e birrerie:
Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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eSperienze
La terra di francesco Un viaggio nel paese di origine di Jorge Mario Bergoglio. Guardando la strada sembra di non sapere da che parte andare. Una lingua d’asfalto nero, un chilometro e rotti di statale. Poche case di campagna, pare che dormano tutti. Buie le insegne e spenti i lampioni. Non c’è un’anima in strada a Stazione di Portacomaro. Francesco è apparso al mondo dal balcone di San Pietro meno di due ore fa. Lo sanno tutti, per forza, c’erano gli occhi di tutti a guardare quel comignolo, le televisioni di tutto il mondo collegate dal Vaticano. E quanti in cuor loro avranno pregato che fosse proprio Francesco, così da non poter che essere esauditi? «Questa è stata proprio la scelta dello Spirito Santo» dirà l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, che ai suoi collaboratori aveva rivelato questa speranza. «Ci vorrebbe un Francesco...».
è in piazza o al bar del paese per festeggiare l’annuncio, la parrocchia è spenta, tutto tace. Davanti alla cattedrale di Buenos Aires si sono raccolte già migliaia di persone. Qui non c’è nessuno. I primi inviati, quelli più intraprendenti, sono già arrivati ma sembrano sperduti nel silenzio. Si interrogano sul quel momento così strano nella storia della Chiesa, su quella sorpresa inaspettata dalla Loggia. La distrazione dura poco, le redazioni battono il tempo per ricevere reportage e corrispondenze. Si sono fiondati alla ricerca di un lontano cugino, di un conoscente qualsiasi. Pochi, pochissimi rispetto a quelli che verranno domani. Centinaia di macchine fotografiche, videocamere, taccuini e registratori si dirotteranno tra questi campi, a cercare di carpire qualche informazione privata, qualche curiosità in più. Andranno persino a cercare i bambini nelle scuole pur di riuscire a strappare la conferma di una lontana parentela.
a Stazione di portaComaro, tutto taCe Qui l’attesa e l’annuncio hanno avuto un significato in più. Bergoglio è un cognome torinese, ma la famiglia da secoli ha sparso i suoi figli in ogni paese e frazione fino ad Asti. Dalle colline del Monferrato, poi, sono partiti i suoi migranti, per raggiungere la “fine del mondo”, Lamerica. Qui a Stazione pare non ci sia nessuno, adesso. Dei settecento abitanti di questo sperduto avamposto di collina, nessuna
entrate, io Sono franCeSCo... Sul portone della canonica c’è un uomo ma è nascosto dalla notte, sta rientrando a casa e non si
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sono in pochi da queste parti a mantenere rapporti. «Vorrei dirgli qualcosa in piemontese. Sapete che lo parla ancora?». Armando è un contadino, parla il suo cuore. «Mio cugino Delmo, mi pare, gli ha regalato un Grignolino, quando è venuto su l’ultima volta per il conclave». Delmo, a differenza sua, è già a letto. Solo il giorno dopo, insieme a decine di altri parenti spuntati come funghi, risponderà alle curiosità dei cronisti. Il “format” è quello di rito, si scava nel passato per trovare piccoli spunti di colore, si cerca la casa d’origine e il nuovo proprietario è ben orgoglioso di aprire il cancello alle televisioni. A meno di ventiquattro ore dall’elezione di papa Francesco, il circo ha perso la strada della città ed è arrivato nella più sperduta frazione di campagna. «Gli ho preparato la bagna caoda» racconterà tra le tante una «amica di vecchia data». Di papa Francesco – Giorgio, come lo chiamano i parenti italiani – qualcuno conserva un’immagine che racconta di una visita tra queste colline fertili e ferme nell’attesa della primavera. La fiducia è carattere di questi contadini. La fede, da queste parti, si racconta anche così, con l’attesa della bella stagione. La terra ora è fredda, dura, aspetta la primavera. La terra è memoria. «Quando Giorgio è venuto qui l’ultima volta ha preso una manciata di terra dalla casa del bisnonno. Voleva portarla con sé, come ha detto lui, quasi alla fine del mondo».
aspetta visite. «Sono il parroco, mi chiamo Francesco». Si fa avanti un uomo preceduto da un sorriso che accoglie. È un giovane, Francesco Sales. Lui è nato a Madras in India, anche lui è arrivato qui dalla fine del mondo e non serve chiedergli quale speranza gli abbiano dato le prime parole del Papa. «Spero che possa davvero esercitare il suo ministero per i poveri e gli ultimi del mondo». Fra due giorni ciò che era chiaro dal principio lo confermerà l’altro Francesco. «Quanto vorrei una Chiesa povera, per i poveri». Giù sullo stradone, intanto, arriva un’utilitaria grigia. Il telefono di Armando Bergoglio non ha smesso di squillare un istante, ma a quell’appassionato fotografo che dal tardo pomeriggio lo implora di incontrarlo anche solo un istante, l’anziano contadino non sa dire di no. Anzi, uscirà di casa per andargli incontro. «Tanto sono solo e non ho niente da fare, con chi avrei potuto commentare l’elezione del Papa?». Armando è un uomo semplice e la sua gioia è genuina. «Sapevamo che “rischiava” una volta cardinale e ci abbiamo sperato» rivela il cugino, insieme al fatto che a parte un paio di altri parenti nel torinese,
Enrico Romanetto redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Quando Gianni rivera giocava a calcio dai salesiani Nel cortile salesiano di Alessandria è cresciuto un talento del calcio italiano di tutti i tempi e papa Francesco è tifoso di una squadra argentina fondata da un salesiano. Oggi ad Alessandria i salesiani sono in corso Acqui, quartiere Cristo, e hanno un campo di calcio davvero invidiabile. Ma quando a fine anni Cinquanta a correre dietro al pallone dietro la canonica c’era Gianni Rivera l’oratorio era in via Santa Maria del Castello: si giocava sulla terra battuta e una nuvola di polvere indicava dove stava il pallone e dove si svolgeva l’azione. Tempi memorabili. Inizia proprio lì una delle più belle storie del calcio italiano. Rivera gioca 27 partite nell’Alessandria (dove è nato il 18 agosto del 1943) e mette nel carniere sei reti; poi ad aspettarlo c’è Milano e la maglia rossonera. Le partite ufficiali alla fine saranno 658 e le reti 288 e Gianni diverrà il primo calciatore italiano ad aggiudicarsi il Pallone d’oro nel 1969. Ma il talento, la personalità, la straordinaria visione del gioco, l’eleganza, le giocate imprevedibili e i passaggi precisi al millime-
tro nascono grazie «a don Piero, don Fillipini, don Cerchia, figure carismatiche che dedicavano molto parte del loro tempo a tenere insieme i giovani con attività sportive, ma non solo».
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daLL’oratorio a meSSiCo ‘70 Incontriamo Rivera sulle colline di Cuccaro Monferrato dove ha partecipato alla consegna del Premio Nils Liedholm. È lui il Golden boy del calcio: con la maglia della nazionale scenderà in campo 60 volte segnando 14 reti. «Ho sempre cercato, anche attraverso il mio ruolo all’interno della Federazione Italiana Giuoco Calcio, di puntare ai valori che ho imparato dai salesiani: dobbiamo creare tecnici in grado di insegnare a giocare, ma soprattutto a vivere. I giovani vanno indirizzati verso la qualità e la tecnica, ma al primo posto viene il rispetto delle regole. Bisogna essere anzitutto ottimi cittadini e poi anche buoni calciatori. È un messaggio importante: tornare ai valori dell’oratorio significa tornare al passato per guardare al futuro». È storicamente provato che il calcio italiano è figlio della tradizione oratoriale. Non c’è realtà salesiana in cui, almeno fino agli anni ’90, non abbia mosso i primi passi un campione.
Gianni Rivera: 27 partite con l’Alessandria e 6 reti, 658 partite con il Milan e 288 reti; primo calciatore italiano a ricevere il pallone d’oro (1969).
se di ospitare le partite nel cortile dell’oratorio della sua parrocchia in Calle Mexico. In cambio dello spazio a disposizione i ragazzi si impegnarono a seguire la messa ogni domenica. Nel 1933 arrivò il primo successo in campionato. Oggi i titoli argentini vinti sono 13, e con la maglia blu e rossa hanno giocato campioni come Lavezzi e Simeone.
modeLLo eduCatiVo VinCente Tante altre belle pagine di sport stanno per essere scritte sullo sfondo di don Bosco: il 13 luglio 2009 nel corso dell’incontro della Conferenza delle Ispettorie Salesiane d’Italia (CISI), i superiori delle Ispettorie italiane hanno firmato l’atto costitutivo della nuova associazione nazionale per
papa franCeSCo tifa “SaLeSiano” Il legame tra i salesiani e il calcio passa anche attraverso un “tifoso” d’eccezione: papa Francesco. Jorge Mario Bergoglio non ha mai nascosto la sua passione il San Lorenzo de Almagro, società del quartiere Boedo di Buenos Aires, polisportiva famosa soprattutto per la sua squadra di calcio, colori rosso e blu a strisce verticali, fondata dal salesiano Lorenzo Massa che a inizio Novecento deci-
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lo sport, il Cnos-Sport (Centro nazionale operare salesiane per lo sport). Con questo atto si è voluto strutturare in modo organizzato, con valenza civile ed ecclesiale, la pastorale salesiana con i ragazzi e i giovani coinvolti nello sport. «In tutto il mondo gli oratori continuano a essere l’unica vera risposta organizzata ed economica alle esigenze di migliaia di famiglie – conclude Rivera -. È un modello educativo vincente: provare per credere». Andrea Caglieris redazione.rivista@ausiliatrice.net
eSperienze
La terra, dono di Dio è il mio unico padrone Mattia Ercules, diciassette anni è il “Giovane Agricoltore 2013” per il Comune di Pino Torinese. Come premio ha ricevuto un buono per l’acquisto dei libri e una pergamena del Comune di Pino Torinese, un cappellino del Museo delle Contadinerie, un portachiavi dello Sportello Scuola Volontariato, ma la ricompensa più grande per Mattia Ercules è proprio la possibilità di coltivare un rapporto speciale con la sua terra. A nemmeno diciott’anni è lui il “Giovane Agricoltore 2013”, titolo del premio che valorizza ogni anno un giovane di famiglia contadina o attivo nel settore agricolo di Pino Torinese, deciso ad esprimere la tradizione di vicinanza alla terra con saperi innovatori e ben impegnato in una scuola a indirizzo di settore. Mattia, che vive a Valle Ceppi di Chieri, infatti, frequenta il quarto anno all’Istituto professionale Vittone, ed è stato suo il desiderio di iscriversi proprio ad agraria. Un talento scoperto rivoltando le zolle della terra, “sinonimo di bellezza”, per Mattia «il più grande dono di Dio all’umanità».
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Mattia, quando è nata la tua passione per la terra e a quale età hai cominciato a occupartene? «Quando ho imparato a camminare. Andavo nei solchi, seguivo i passi dei miei genitori. Poi, appena sono cresciuto un po’, mi sono stati affidati i primi lavoretti e le prime responsabilità pratiche. Per esempio, tra queste, ricordo quando ancora bambino davo l’acqua nelle serre, custodivo il
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banco al mercato, oppure, raccoglievo e facevo scorte di verdura per l’agriturismo. Sono sempre stato contento di lavorare, di andare a scuola e vivere la vita normale che può avere un ragazzo della mia età». Papa francesco ha fatto appello affinché donne e uomini di buona volontà sappiano essere “custodi” dell’ambiente e della terra che è stata a noi affidata. tu a buon titolo ti ritieni un custode? Come valuti il rapporto che i tuoi coetanei hanno con queste tematiche? «Posso rispondere raccontando un fatto. Molti dei miei compagni pensavano che la scuola di agraria non contemplasse grandi fatiche lavorative, ma sono rimasti delusi. Avrebbero potuto capirlo dal fatto che è una scuola professionale, però spesso si ignora che l’agricoltura imponga ritmi e disciplina ben più di una fabbrica o di un impiego da operai. In quel caso si ha un padrone, un capo e una gerarchia professionale a
cui rispondere del proprio lavoro e che impongono ritmi e tempi di produzione. Nel mio caso è la natura l’unico “padrone”, il mio capo è la vita stessa con i suoi cicli e la propria regolarità. È a quella che io devo rispondere perché dia frutto». La tua passione complica il rapporto con gli amici della tua età in questo senso? Il tuo lavoro e lo studio ti concedono del tempo libero? «Certo, ho anche frequentato una scuola di ballo. Quando si vuole si trova il tempo per tutto». nel consegnarti il premio è stato sottolineato il tuo coraggio nello scegliere la tradizione. Che cosa ti ha spinto a dare questo indirizzo alla tua vita? «La voglia di lavorare anche duramente per mantenere viva, anzi per dare un nuovo impulso all’azienda di famiglia. Non sono mai stato un perditempo; da piccolo ho respirato la voglia di darmi da fare di uno dei miei nonni. Tra l’altro, proprio quello che faceva un lavoro diverso e si occupava di tessitura. Poi c’è stata la spinta data dall’esempio dei miei genitori che hanno messo insieme quintali di sacrifici, di impegno, di passione per avviare l’azienda di famiglia. Oggi i tempi sono duri anche nel mondo dell’agricoltura: ma esiste lo sbocco della diversificazione e su quello bisogna puntare. Non basta produrre, bisogna anche proporre il prodotto lavorato dal campo all’agriturismo». Come vedi l’ambiente al giorno d’oggi?
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«Messo male. La cementificazione sta divorando la terra,anche a Pino. L’edilizia è il nemico numero uno dell’agricoltore. Troppe case una ridosso all’altra e campi sempre più ridotti, si sta esagerando in una maniera davvero impressionante. La nostra produzione per essere redditizia e soddisfacente ha bisogno di spazio e possibilità di ampliamento, il piccolo orto di famiglia non basta più. L’ambiente ha bisogno di cura, affetto e di attenzione. Non di intoppi burocratici o trucchi da furbetti come le cubature che si spostano di qua e di là su progetti di carta e piani regolatori. Anche nelle piccole cose bisogna ragionare in termini di sostenibilità e di innovazione. Tradizione sì, ma legata a filo doppio con le nuove conoscenze, con le nuove possibilità di aumento di resa. La tradizione deve andare a braccetto con la modernità». Che valore ha la terra nella tua vita? «È sinonimo di bellezza. La terra è la risorsa più preziosa e il più grande dono che Dio ha fatto all’umanità». flavia Vaudano redazione.rivista@ausiliatrice.net
eSperienze
Se la morte diventa lezione di vita A tu per tu con la dottoressa Paola Maina, geriatra e dirigente di un’Asl torinese, ogni giorno a contatto con persone che affrontano l’ultima fase dell’esistenza. Le malattie – sostiene il filosofo tedesco Ernst Jünger – sono domande. Interrogativi che scavano nel profondo, giorno e notte, magari per mesi o anni. Quesiti che non di rado mettono in discussione convenzioni e convinzioni che non solo chi è malato ma anche amici e famigliari davano per assodate. «Convivere con la sofferenza, a qualunque età, non è impresa facile», confida – al termine di una giornata in corsia – la dottoressa Paola Maina, ex allieva salesiana, specializzata in Geriatria e dirigente di un’Asl torinese. L’abbiamo incontrata per sviluppare alcune riflessioni sulla malattia e la fase conclusiva della vita.
«Innanzi tutto con grande rispetto. Gli anziani mentalmente lucidi si rendono conto quando l’esistenza volge al termine e si preparano. È una fase delicata e ognuno l’affronta a modo proprio: c’è chi chiama il notaio per gli ultimi dettagli testamentari, chi allontana i parenti, chi attende rassegnato, chi si arrabbia e si dispera. I pazienti affetti da demenza, invece, si spengono lentamente, come candeline che esauriscono la cera. Un modo per rispettarli, oltre a offrire tutte le cure e l’assistenza necessarie, è non parlare mai in loro presenza, neppure quando sembrano dormire o incoscienti, delle loro condizioni di salute o di quanto manchi alla fine dei loro giorni».
riSpettare La diGnitÀ di oGni maLato
La fede può aiutare i malati ad affrontare un momento così intimo e definitivo come è quello della morte?
In una società come l’attuale, che rimuove il dolore e nega la morte, come si vive ogni giorno a contatto con chi è reso fragile dalla sofferenza o sul punto di morire?
«La fede costituisce una marcia in più e l’Unzione degli Infermi infonde conforto e rasserena la fine dell’esistenza e l’inizio di un’esperienza nuova, de-
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Gli anziani si confrontano quotidianamente con il termine della loro vita tra paure, fatiche fisiche, solitudine… Portare tra loro lo spirito di don Bosco significa trasmettere fiducia, coraggio, speranza in un Dio che ci ama in ogni fase della nostra esistenza, da quando ci si affaccia alla vita a quando ci si congeda.
stinata a durare per l’eternità. La fede rende più facile accettare l’idea della morte anche a quei medici che vivono il decesso dei pazienti come una sconfitta, come la prova che non sono stati in grado di curarli in modo adeguato. Le morti che mi toccano di più sono quelle per insufficienza respiratoria, quando la persona pare aggrapparsi a tutto pur di respirare, a volte anche alla tua energia vitale...».
portare iL CariSma SaLeSiano in CorSia
Come è possibile incarnare lo spirito salesiano operando con gli anziani?
sempre più studiosi sostengono che curare un malato, soprattutto se lungodegente, significa prendersi cura del suo fisico, del suo corpo famigliare e delle sue relazioni... «È senza dubbio vero, anche se la maggior parte degli anziani ospitati nelle case di riposo hanno già vissuto una sorta di precongedo dai parenti che, non più in grado di accudirli, hanno deciso di “allontanarli” dalla propria abitazione. Altri sono soli, spesso reduci da gravi situazioni di fragilità personale e sociale. E così può accadere che medici e operatori diventino la loro famiglia».
«Partendo dalla convinzione che ogni fase della vita merita di essere vissuta con dignità. Un principio inculcatomi dalla famiglia e dai Salesiani che cerco di trasmettere a chi collabora con me prendendomi cura dei pazienti, offrendo loro tutta l’attenzione possibile e rifiutandomi di considerarli numeri». Questo significa anche aiutare chi sta per congedarsi dalla vita con la coscienza carica di rimorsi e di paura a far pace con se stesso? «Senza dubbio. Da quando nasce a quando muore l’essere umano ha bisogno che qualcuno si prenda cura di lui e non lo lasci solo. Nei momenti cruciali, quando i conti sembrano non tornare, è importante rincuorare, aprire gli animi a una fiduciosa speranza e suggerire che il passato, per quanto doloroso, è comunque il passato». Come cambia la vita stare a così stretto contatto con la morte? «Innanzi tutto si riflettere con più attenzione sulle scelte di ogni giorno e sulle loro conseguenze, consapevoli che la tua serenità di oggi sarà la tua serenità del futuro. Stare in corsia insegna che l’imminenza della morte può mettere in discussione parte delle decisioni e delle scelte fatte nel corso della vita e che, fino a quando le tessere che compongono il “puzzle” dell’esistenza non si incastrano, il trapasso non può essere sereno». Carlo tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Aiutare i bisognosi nel nome di San Paolo La Compagnia di San Paolo, fondata 450 anni fa e poi diventata banca e fondazione, svolge finalità di interesse pubblico e di utilità sociale. Anche quest’anno il suo “Gruppo Anziani” ha festeggiato la ricorrenza all’Ausiliatrice. (fotografie di Renata Goia)
Nel XVI secolo, c’erano grandi sperequazioni economiche. Ai bisogni dei meno abbienti suppliva la carità della Chiesa e dei ricchi. È quindi un sentimento di carità umana e cristiana che suggerì a sette torinesi, di diverso ceto sociale, di riunirsi non per fondare un’organizzazione mercantile o di affari, ma per portare aiuto ai bisognosi. Il 25 gennaio 1563, Giovanni Albosco, avvocato, Pietro Della Rossa, capitano, Battista Gambera, canonico, Nicolò Ursio, causidico, Benedetto Valle, mercante, Nicolin Bossio, sarto, e Ludovico Nasi, libraio, costituirono una confraternita chiamata Compagnia di San Paolo. Le regole della Compagnia, subito approvate dall’Arcivescovo di Torino Girolamo della Rovere, furono sottoposte nel 1566 a papa Pio V, che approvò lo Statuto. I Confratelli di San Paolo si dedicarono subito a soccorrere i poveri con contributi propri e con collette pubbliche. L’istituzione più importante fu il Monte di Pietà. E sono proprio il prestigio della Confraternità, l’impeccabile gestione degli affari, la sicurezza anche materiale del Monte di Pietà a dare impulso alle attività bancarie. La Compagnia,
sopravvissuta ai rivolgimenti di tre secoli e sempre fedele allo spirito dei fondatori, segnò l’inizio di un importante istituto bancario. Negli anni Novanta del secolo scorso l’Istituto Bancario San Paolo di Torino si trasforma in società per azioni e la Compagnia di San Paolo – che in questo 2013 festeggia i 450 anni della fondazione – rinasce sotto forma di Fondazione, con finalità di interesse pubblico e di utilità sociale. Nel 1963, proprio mezzo secolo fa, l’Istituto delibera la costituzione del “Gruppo Anziani” per «mantenere legami affettivi e collaborativi e favorire ed intensificare i vincoli di amicizia e solidarietà fra gli ex dipendenti della Banca ed i dipendenti anziani accomunati da un lungo periodo di lavoro, nonché adottare iniziative e provvidenze intese a procurare ai soci vantaggi di ordine morale, assistenziale, ricreativo e culturale». Da allora, ogni anno il Gruppo ricorda la Fondazione del “San Paolo” con una celebrazione religiosa e un grande incontro di soci. Dal 2002, la ricorrenza si festeggia nel Santuario di Maria Ausiliatrice di Torino, con una Messa alla quale hanno partecipato, tra gli altri, il card. Seve-
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rino Poletto, Vescovi ausiliari, Rettori del Santuario. In questo 2013, la celebrazione è stata valorizzata dai canti della corale “Grilli canterini Senior” e da una preghiera, letta del presidente dell’Associazione, Ezio Cullino. Eccone ampi stralci.
più deboli, la lungimiranza, le capacità realizzatrici (…). Signore, vorremmo anche che i loro nomi venissero conosciuti e ricordati dalle generazioni che ci seguiranno come grande emblematico esempio perché sappiano, anche con poche risorse di partenza ma con fede, coraggio, impegno, onestà integerrima, che si può dar vita ad iniziative di grande e duraturo valore. Signore, al termine di questa solenne cerimonia noi Ti ringraziamo per avere salvaguardato nei secoli questa Istituzione ed averci consentito di portarla avanti sempre con grande impegno fino alle dimensioni ed all’importanza dei giorni nostri. Ed imploriamo la Tua benedizione affinché questo 450° anniversario sia per noi “Sanpaolo Senior” un felice ambito traguardo raggiunto e per i più giovani una spinta a far sempre più grande, importante, utile questa Istituzione che si fregia del nome e della protezione del grande Apostolo delle Genti: San Paolo. Così sia». Lorenzo Bortolin
«Signore, il Tuo tempo è l’eternità, ma a noi Tue creature hai concesso un tempo dai limiti molto precisi. un breve soffio, un rapidissimo passaggio tra le vicende terrene. Per questo vogliamo chiederTi di dare un senso, un significato, un valore nel Tuo tempo e nel nostro tempo ai 450 anni di vita del “San Paolo” che noi oggi con grande entusiasmo festeggiamo. Signore, generazioni e generazioni nell’arco di questi 450 anni si sono succedute per mantenerlo vivo e farlo progredire. Noi Anziani Sanpaolo abbiamo il convincimento, la soddisfazione, l’orgoglio di avere vissuto intensamente una parte che, seppur minima nella storia e nelle vicende della nostra nobile Istituzione, ha lasciato un’importante traccia. (…) Signore, vogliamo in questa circostanza, ancora una volta ricordare con commozione i nostri Magnifici Sette Fondatori, non a Te i cui nomi ed opere sono note nell’eternità per la risposta data ai Tuoi arcani disegni, ma a noi, che li abbiamo sempre considerati con ammirazione e come ideali guide per l’esempio dato, la generosità ,l’interesse e l’attenzione per i
bortolin.rivista@ausiliatrice.net
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La paroLa Qui e ora
Corpus Domini: tutto è dono Gesù disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
(Lc 9, 12-17)
Sarebbe difficile dubitare che il mondo di oggi è dominato – o almeno, fortemente influenzato – da logiche di tipo economico. E l’economia, si sa, è la “scienza della miseria”: gli ultimi secoli del nostro glorioso progresso tecnologico e industriale si fondano sulla penuria (di cibo o di materie prime) e sul desiderio (disporre di prodotti e cibi “impossibili”). Questo brano del Vangelo ricorda che la realtà è esattamente il contrario: non tutto è mercato, ma tutto è dono. Ciò che manca alle moltitudini, in quella zona deserta dove
non ci sono alberghi né fast food, il Signore, lo moltiplica all’infinito, lo offre a chi ne ha bisogno. E ne fa avanzare dodici ceste. Il miracolo è almeno duplice: c’è il Corpo del Signore che diventa “vero cibo”, nel Sacramento eucaristico. Ma c’è anche il miracolo della condivisione: intorno ai pani e ai pesci, non c’è qualcuno che mette da parte le pagnotte per rivenderle; ma si mangia insieme quel che c’è – quel che il Signore ha donato –. Se è vero il senso dell’Eucaristia come ringraziamento e condivisione, non è neanche difficile capire perché il cristianesimo non vada più tanto di moda, nell’Occidente di oggi. In un racconto di Karen Blixen, da cui è tratto un film bellissimo, Il pranzo di Babette, il vecchio generale ricorda e riepiloga la sua vita: «Tanta è la nostra umana stoltezza e imprevidenza – dice – che immaginiamo la grazia divina essere finita. E perciò tremiamo. Ma viene il giorno in cui i nostri occhi si aprono e vediamo e capiamo che la grazia è invece infinita. Ciò che abbiamo scelto ci è dato, e pure, allo stesso tempo, ci è accordato ciò che abbiamo rifiutato. Anzi, ciò che abbiamo respinto è versato su di noi con abbondanza». Anche per questo il Sacramento viene portato in processione lungo le strade delle nostre città, nel Giovedì in cui si celebra il Corpus Domini: perché quel pane celebra il mistero più profondo, le parole più importanti di cui disponiamo al mondo. C’è un Signore che è il padrone vero, delle nostre vite e del nostro sostentamento. E, almeno una volta l’anno, la sua signoria va ricordata anche fuori dal tempio. Perché tutti sappiano che la grazia non è finita. Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it
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Lettere a Suor manu
Il baffo della tigre Per educare alla gentilezza occorre essere gentili. Noi per primi. Cara Suor Manu, Mio figlio, quarta elementare, da un po’ di tempo dice parolacce, che sicuramente non ha mai sentito in casa. Poi, è molto sgarbato quando risponde a me e a sua nonna. Queste cose le ha imparate, purtroppo, da suo padre che da tempo non sa cosa siano le belle maniere. In un primo momento, pensavo fosse un problema mio o di casa mia, invece da alcuni episodi mi hanno convinta che il problema è molto più vasto. Infatti, in un ufficio per una pratica, un impiegato mi ha risposto con tono così maleducato che mi sono chiesta quali disgrazie possano giustificare tanta aggressività. All’ospedale, c’è una mia vicina di casa molto anziana: alcune infermiere sono così scorbutiche, che mi chiedo se tratterebbero così anche la loro mamma. Del resto, in televisione non abbiamo molti esempi di buona educazione, e le brutte maniere sono la “legge” di molti film. Meno male che papa Francesco ha esordito salutando con dolcezza! Ma io mi chiedo: come posso aiutare il mio bambino a diventare una persona educata, se viviamo in una società di maleducati?
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Nella nostra scuola abbiamo indetto la “settimana della gentilezza” e qualche mamma ha confidato di essersi molto stupita quando suo figlio le ha detto «Grazie». È vero: la gentilezza sembra un po’ passata di moda, ma se ne sente il bisogno, se persino l’ONU ha indetto la “Giornata mondiale della gentilezza”, che si celebra il 13 novembre. Qualcuno ha detto che la gentilezza è un linguaggio che anche il sordo può sentire e il cieco può vedere. E il Presidente americano Lincoln scrisse: «Una saggia massima dice: Una goccia di miele prende più mosche di un litro di fiele. Se volete guadagnare un uomo alla vostra causa, prima convincetelo di essergli amico. È questa goccia di miele che vincerà il suo cuore che, pensatela come volete, è la strada maestra per giungere alla sua ragione». Un racconto può aiutarci a rispondere alla sua domanda.
L’importante pozione Una giovane donna si recò da un eremita che viveva su una montagna, per chiedergli una pozione magica. «Mio marito – spiegò – mi è molto caro. Negli ultimi tre anni è stato lontano a combattere in guerra, e ora che è ritornato mi parla a malapena. Se mi rivolgo a lui, sembra non sentire. Quando si degna di proferir parola, lo fa aspramente. Se gli servo cibo che non gli piace, lo spinge da parte ed esce dalla stanza infuriato. Voglio una pozione da dare a mio marito, in modo che torni amorevole e gentile come era un tempo». «La pozione si può fare – le rispose l’eremita – ma l’ingrediente essenziale è il baffo di una tigre viva. Portamelo e io ti darò ciò che ti serve». «Il baffo di una tigre viva! – esclamò la donna – Come posso procurarmelo?».
«Se la pozione è importante per te, ci riuscirai», concluse l’eremita. La donna andò a casa e pensò come fare per procurarsi quell’ingrediente. Poi, una notte, uscì di casa con in mano una ciotola di riso e sugo di carne; si recò dove viveva la tigre e la chiamò. Ma la tigre non uscì. La notte seguente tornò alla tana della tigre; questa volta si avvicinò un po’ di più e offrì di nuovo una ciotola di cibo. La donna si recò ogni notte dalla tigre, portandosi sempre qualche passo più vicino alla grotta, e così un po’ alla volta la tigre si abituò alla sua presenza. Mesi dopo, la giovane poté sfiorarle la testa con la mano. Infine una notte, disse: «O tigre, animale generoso, devo avere uno dei tuoi baffi; non arrabbiarti con me!». Detto questo le tagliò un baffo. La tigre non si arrabbiò. La donna scese lungo il sentiero,
correndo, tenendo il baffo stretto in mano, fino alla casa dell’eremita. «Maestro! Ho il baffo della tigre! Ora potete preparare la pozione che mi avete promesso, in modo che mio marito torni a essere amorevole e gentile!». L’eremita prese il baffo, lo esaminò e lo lasciò cadere nel fuoco che bruciava nel camino. «Che cosa ne avete fatto!», esclamò la giovane donna, angosciata. «Raccontami come te lo sei procurato», disse l’eremita. «Beh, sono andata ogni notte alla montagna con una piccola ciotola di cibo. Dapprima mi sono tenuta a distanza, poi mi sono avvicinata ogni volta un po’ di più, conquistando la fiducia della tigre. Sono stata paziente. Non ho mai parlato aspramente, non l’ho mai rimproverata ...». «Certo, hai reso mansueta la tigre e conquistato la sua fiducia e il suo affetto». «Ma voi avete gettato il baffo nel fuoco!» esclamò la donna. «No, non c’è più bisogno del baffo. Un uomo è forse più feroce di una tigre? Se sei in grado di conquistare l’amore e la fiducia di un animale feroce, tramite la gentilezza e la pazienza, certamente potrai fare lo stesso con tuo marito, non credi?». Non abbiamo alternative: l’unico modo per educare alla gentilezza è far sperimentare la gentilezza. È essere, noi per primi, gentili. E pazienti. Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net
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Anche dal Giappone Maria Ausiliatrice ci accompagna.
Con Maria verso la nostra prima Comunione.
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