luglio-agosto 2013
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO
Nº 4 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE
luglio-agosto
Testimoni della
Gioia
pag. 4 V acanze pag. 38 D on Bosco pag. 52 P apa per annoiarsi? santo o Fr ancesco con i giovani furbacchione? La “buona sorpresa” stima e ascolto
Uno stile per nulla mieloso
A
continua
luglio-agosto 2013
Il saluto del Rettore
da così
insieme facciamo nuovo
Maria Madre della Speranza
il cortile di
don Bosco Perché la culla della Congregazione Salesiana torni ad essere simbolo di accoglienza, di gioia e di raccoglimento per tutti i pellegrini. La realizzazione è impegnativa e il momento difficile. Per questo ci permettiamo di chiedere l’aiuto concreto di tutti. Tutti possono partecipare: scuole, Ispettorie, parrocchie, famiglie. Ricordando che ogni contributo piccolo o grande è ugualmente prezioso.
Una nuova base per il monumento a don Bosco e comode panchine intorno agli alberi del cortile.
Per informazioni: e-mail: biesse@sdb.org Per i contributi: Banca Intesa Sanpaolo fil. 00505 - Torino IBAN: IT94 N030 6901 0051 0000 0016 221 BIC: BCITITMM Intestato a Oratorio San Francesco di Sales - Il cortile di don Bosco
Un'oasi di pace dove c'era l'orto di mamma Margherita.
a così
Un anfiteatro e alcuni gazebo per gli incontri giovanili.
Cari amici, mentre scrivo queste semplici righe di saluto, ripenso a quanto abbiamo vissuto nei giorni di Maria Ausiliatrice, giorni intensi di fede, di preghiera, di vita spirituale. In alcune celebrazioni la nostra Basilica si è rivelata insufficiente a contenere tutti i fedeli che sono accorsi. Abbia visto che Maria continua ad esercitare un grande fascino nel cuore della gente, senza distinzione di età, di cultura, di provenienza. Ancora una volta il popolo di Dio ha voluto affermare che Maria è amata, venerata, pregata. Da più parti si è sottolineato il clima particolare che ha accompagnato quei giorni. Ripensando sia alle varie celebrazioni che alla processione abbiamo avuto l’impressione di una partecipazione più numerosa, più intensa, più raccolta. Abbiamo visto tanti giovani! Li abbiamo sentiti pregare, li abbiamo visti sorridenti, li abbiamo percepiti vivi, protesi in avanti con speranza. «Non lasciatevi rubare la speranza» ha detto ai giovani papa Francesco; lo ha detto ai giovani, ma lo ha detto a tutti noi. Il cristiano non può e non deve dimenticare la virtù della speranza. La grande tentazione di oggi è proprio quella dello scoraggiamento, del pessimismo, del lasciarsi andare. Lasciamo risuonare nei nostri cuori la voce del profeta che grida al popolo e anche a noi: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente». (Sof 3,16-17). La speranza non è ingenuità, non è il rifugiarsi in un’illusione, non è fuga dalla realtà e dai problemi. La speranza è la capacità di guardare avanti con fiducia, di reagire con forza, di sapere che non siamo soli, «aperti al futuro di Dio, alle sue novità e alle sue sorprese» (card. Martini). Nel momento difficile che viviamo siamo chiamati a testimoniare al mondo che noi non siamo come «coloro che non hanno speranza» (1Ts 4,13), ma «Lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rom 12,12). Maria non è assente in questa nostra storia: siamo convinti che Ella continua ad essere presente nel cammino della storia, in quello della Chiesa e in quello di ogni suo figlio e figlia, come aiuto e protettrice: è per noi l’Ausiliatrice, colei che don Bosco ci invita a pregare con fiducia e costanza. «Maria, Madre della speranza, a Te con fiducia ci affidiamo. Con Te intendiamo seguire Cristo, Redentore dell’uomo: la stanchezza non ci appesantisca, né la fatica ci rallenti, e difficoltà non spengano il coraggio, né la tristezza la gioia del cuore» (Giovanni Paolo II). Vi ricordiamo in Basilica. Don Franco Lotto, rettore
Disegni: Luigi Zonta
lotto.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
Il saluto del Rettore
da così
insieme facciamo nuovo
Maria Madre della Speranza
il cortile di
don Bosco Perché la culla della Congregazione Salesiana torni ad essere simbolo di accoglienza, di gioia e di raccoglimento per tutti i pellegrini. La realizzazione è impegnativa e il momento difficile. Per questo ci permettiamo di chiedere l’aiuto concreto di tutti. Tutti possono partecipare: scuole, Ispettorie, parrocchie, famiglie. Ricordando che ogni contributo piccolo o grande è ugualmente prezioso.
Una nuova base per il monumento a don Bosco e comode panchine intorno agli alberi del cortile.
Per informazioni: e-mail: biesse@sdb.org Per i contributi: Banca Intesa Sanpaolo fil. 00505 - Torino IBAN: IT94 N030 6901 0051 0000 0016 221 BIC: BCITITMM Intestato a Oratorio San Francesco di Sales - Il cortile di don Bosco
Un'oasi di pace dove c'era l'orto di mamma Margherita.
a così
Un anfiteatro e alcuni gazebo per gli incontri giovanili.
Cari amici, mentre scrivo queste semplici righe di saluto, ripenso a quanto abbiamo vissuto nei giorni di Maria Ausiliatrice, giorni intensi di fede, di preghiera, di vita spirituale. In alcune celebrazioni la nostra Basilica si è rivelata insufficiente a contenere tutti i fedeli che sono accorsi. Abbia visto che Maria continua ad esercitare un grande fascino nel cuore della gente, senza distinzione di età, di cultura, di provenienza. Ancora una volta il popolo di Dio ha voluto affermare che Maria è amata, venerata, pregata. Da più parti si è sottolineato il clima particolare che ha accompagnato quei giorni. Ripensando sia alle varie celebrazioni che alla processione abbiamo avuto l’impressione di una partecipazione più numerosa, più intensa, più raccolta. Abbiamo visto tanti giovani! Li abbiamo sentiti pregare, li abbiamo visti sorridenti, li abbiamo percepiti vivi, protesi in avanti con speranza. «Non lasciatevi rubare la speranza» ha detto ai giovani papa Francesco; lo ha detto ai giovani, ma lo ha detto a tutti noi. Il cristiano non può e non deve dimenticare la virtù della speranza. La grande tentazione di oggi è proprio quella dello scoraggiamento, del pessimismo, del lasciarsi andare. Lasciamo risuonare nei nostri cuori la voce del profeta che grida al popolo e anche a noi: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente». (Sof 3,16-17). La speranza non è ingenuità, non è il rifugiarsi in un’illusione, non è fuga dalla realtà e dai problemi. La speranza è la capacità di guardare avanti con fiducia, di reagire con forza, di sapere che non siamo soli, «aperti al futuro di Dio, alle sue novità e alle sue sorprese» (card. Martini). Nel momento difficile che viviamo siamo chiamati a testimoniare al mondo che noi non siamo come «coloro che non hanno speranza» (1Ts 4,13), ma «Lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rom 12,12). Maria non è assente in questa nostra storia: siamo convinti che Ella continua ad essere presente nel cammino della storia, in quello della Chiesa e in quello di ogni suo figlio e figlia, come aiuto e protettrice: è per noi l’Ausiliatrice, colei che don Bosco ci invita a pregare con fiducia e costanza. «Maria, Madre della speranza, a Te con fiducia ci affidiamo. Con Te intendiamo seguire Cristo, Redentore dell’uomo: la stanchezza non ci appesantisca, né la fatica ci rallenti, e difficoltà non spengano il coraggio, né la tristezza la gioia del cuore» (Giovanni Paolo II). Vi ricordiamo in Basilica. Don Franco Lotto, rettore
Disegni: Luigi Zonta
lotto.rivista@ausiliatrice.net
Sommario
luglio-agosto 2013
44
52
20 non beneficenza
a tutto campo 4 Vacanze per annoiarsi o
giovani in cammino 20 la fede va in ferie?
per stare proprio bEne?
leggiamo i vangeli 8 l a vita di gesÙ è dono per tutti
mamme sulle orme di maria 22 la prima notte di quiete
in cammino con maria 10 Cercare Gesù con ansia
esperienze 24 cellule staminali: frontiere e limiti 26 giacomo celentano in “via d’uscita tour” 28 i luoghi dello spirito
4
amici di dio 12 Non amare è morire, raimondo lullo maria nei secoli 14 gabriele dell’addolorata e maria 16 madonna della cintola
h
Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980
de g a me lor i
a
in
Progetto Grafico: AT studio grafico - Torino Stampa: Higraf - Mappano (TO)
2
Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino
Foto di copertina: Giuseppe Ruaro
PayPal: abbonamento.rivista@ausiliatrice.net Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani
Foto FOTOLIA: Sergej Khackimullin (55); SHUTTERSTOCK:; DEPOSIPHOTOS: .Sandra Cunningham; (4); Viorel Sima (4); Alexander Shalamov (5); Yanlev (6); Yuri Arcurs (9): Andrey Kuzmin (10); Rafael Ben-Ari/ Chameleons Eye (11); Ysbrand Cosijn (18-19); Dan Barbalata (20); William Perugin (21); Olga Chernetska and Leonid Yastremskiy (22); Nikolai Sorokin (44); TONO BALAGUER (45); Monkey Business Images (46-47); Olga Shevchenko (50); PHOTOXPRESS: SYNC-STUDIO: ALTRI: Simon Dewey (8); Lucia Donadio (34-35); Carlo Avataneo (28)
Abbonamento annuo: ................................................ Amico ................................................... Sostenitore .......................................... Europa . . ................................................ Extraeuropei .. ...................................... Un numero .. .........................................
festa di maria ausiliatrice
donna, ecco il tuo figlio!
sfide educative 46 dritto al cuore dei giovani 48 valore e missione degli oratori 50 giovani e religione
e Lui non mi diede le pareti
Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100
42 maria custodisce la nostra salute
e al mondo
54 i primi “dentelli” di papa Francesco 55 la torre e l’albero
a 5 stelle, abbiamo dormito in una topaia
don bosco oggi 29 dal sacro monte di varallo
Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net
chiesa viva 52 quel «buonasera!» a roma
l’avvocato risponde 44 altro che bungalow
le patate della zingara
Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)
32 radicati in Lui 34 il buon pastore al Ferrante 36 I sette gradi del silenzio interiore 38 don bosco santo o furbacchione? 40 con “don patagonia” ai confini del mondo
30 Pinardi: chiesi a dio un tetto
di benozzo gozzoli
domus mea ic
inserto
la parola qui e ora 18 Il buon samaritano: compassione,
il saluto del rettore 1 M ARIA MADRE DELLA SPERANZA
E 13,00 E 20,00 E 50,00 E 15,00 E 18,00 E 3,00
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Sommario
luglio-agosto 2013
44
52
20 non beneficenza
a tutto campo 4 Vacanze per annoiarsi o
giovani in cammino 20 la fede va in ferie?
per stare proprio bEne?
leggiamo i vangeli 8 l a vita di gesÙ è dono per tutti
mamme sulle orme di maria 22 la prima notte di quiete
in cammino con maria 10 Cercare Gesù con ansia
esperienze 24 cellule staminali: frontiere e limiti 26 giacomo celentano in “via d’uscita tour” 28 i luoghi dello spirito
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amici di dio 12 Non amare è morire, raimondo lullo maria nei secoli 14 gabriele dell’addolorata e maria 16 madonna della cintola
h
Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980
de g a me lor i
a
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Progetto Grafico: AT studio grafico - Torino Stampa: Higraf - Mappano (TO)
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Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino
Foto di copertina: Giuseppe Ruaro
PayPal: abbonamento.rivista@ausiliatrice.net Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani
Foto FOTOLIA: Sergej Khackimullin (55); SHUTTERSTOCK:; DEPOSIPHOTOS: .Sandra Cunningham; (4); Viorel Sima (4); Alexander Shalamov (5); Yanlev (6); Yuri Arcurs (9): Andrey Kuzmin (10); Rafael Ben-Ari/ Chameleons Eye (11); Ysbrand Cosijn (18-19); Dan Barbalata (20); William Perugin (21); Olga Chernetska and Leonid Yastremskiy (22); Nikolai Sorokin (44); TONO BALAGUER (45); Monkey Business Images (46-47); Olga Shevchenko (50); PHOTOXPRESS: SYNC-STUDIO: ALTRI: Simon Dewey (8); Lucia Donadio (34-35); Carlo Avataneo (28)
Abbonamento annuo: ................................................ Amico ................................................... Sostenitore .......................................... Europa . . ................................................ Extraeuropei .. ...................................... Un numero .. .........................................
festa di maria ausiliatrice
donna, ecco il tuo figlio!
sfide educative 46 dritto al cuore dei giovani 48 valore e missione degli oratori 50 giovani e religione
e Lui non mi diede le pareti
Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100
42 maria custodisce la nostra salute
e al mondo
54 i primi “dentelli” di papa Francesco 55 la torre e l’albero
a 5 stelle, abbiamo dormito in una topaia
don bosco oggi 29 dal sacro monte di varallo
Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net
chiesa viva 52 quel «buonasera!» a roma
l’avvocato risponde 44 altro che bungalow
le patate della zingara
Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)
32 radicati in Lui 34 il buon pastore al Ferrante 36 I sette gradi del silenzio interiore 38 don bosco santo o furbacchione? 40 con “don patagonia” ai confini del mondo
30 Pinardi: chiesi a dio un tetto
di benozzo gozzoli
domus mea ic
inserto
la parola qui e ora 18 Il buon samaritano: compassione,
il saluto del rettore 1 M ARIA MADRE DELLA SPERANZA
E 13,00 E 20,00 E 50,00 E 15,00 E 18,00 E 3,00
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luglio-agosto 2013
a tutto campo
Vacanze per annoiarsi o per stare proprio bene?
c’è un cane che tenti delle risposte o meglio delle scommesse. Sono del parere che con tutti, ma soprattutto con i giovani, non si devono innescare processi semplificati di domande e risposte, buche dell’anima e saccenterie, tombini e botole per chiudere il problema e passarci sopra. Ogni domanda è veramente una voragine da allargare sempre di più e ogni risposta non può essere vista come un coperchio che sigilla, o un diversivo, ma una scommessa. È come quando un ragazzo viene all’oratorio a chiederti un pallone. Se sei un adulto, che ama i ragazzi, non gli dici che il suo bene sarebbe una bella ora di adorazione, ma gli dai il pallone. Però il modo con cui glielo dai, gli amici che gli metti accanto, l’ambiente in cui gioca, lo stile del gioco sono tutte cose che non si immaginerebbe mai di trovare quando ha chiesto solo un pallone e ne sarà entusiasta quando te lo riporta. La sua richiesta era già più larga di quello che si pensa e la scommessa deve fare il resto. L’estate e le vacanze non sono il tempo dei tombini e delle botole, ma della comunicazione ampia, bella, coinvolgente.
Ho scritto qualche anno fa un commento ai vangeli per l’estate e li ho chiamati “vangeli sotto l’ombrellone”. In copertina c’era una bella sdraio e un bell’ombrellone. Ho fatto fortuna. È stato il libro più venduto dall’editrice in quella stagione. Perché? Un ombrellone è una cosa che ti richiama la serenità, lo stare in apnea, dimenticare l’agenda e forse anche il cellulare: hai amici, hai tempo, hai pensieri che ti danno adrenalina (i vangeli sono proprio così), ti rilassi (questo lo farebbe anche un cagnolino), ma soprattutto ti ritrovi in mano la vita e non le idiozie di tutte le radio commerciali che imperversano in spiaggia. Noi adulti forse crediamo che i giovani non vogliano cose impegnative o troppo serie nel tempo libero, invece è assolutamente vero il contrario. Noi adulti nella vita abbiamo avuto le risposte senza farci le domande. C’era già definito che cosa dovevamo fare ed entro quali spazi di autonomia. Le giovani generazioni invece hanno molte domande e non
4
Il nostro dialogo coi giovani
il livello al solo divertimento, alla sola distrazione o all’assolvimento di alcune formalità sociologiche sia pure religiose. Sono cittadini del mondo, hanno sogni di spaziare su tutta la gamma delle possibilità umane, dei destini dell’umanità, della sua storia e del suo futuro. Il pensiero dell’uomo è importante per ogni giovane, se non glielo riduciamo a storia della filosofia, ma a percorsi di ricerca della verità che ciascuno è per se stesso, di dove si è giunti nella ricerca personale. Hanno una grande voglia di esprimersi, di dire e rappresentare quello che pensano e provano. Ne hanno capacità, ma non sono messi in grado di esprimersi. L’altro atteggiamento è di conseguenza l’ascolto vero, non per conquistare e quindi dare la nostra ricetta, ma per accogliere e accompagnarsi nella ricerca, correndo il rischio di non orientare secondo le nostre vedute e quindi l’avventura di capire mondi nuovi e nuove strategie di costruzione della propria vita. L’ascolto porta a conoscere ferite e gioie, risorse e decisioni, principi e prospettive. Mi immagino una Chiesa che accoglie le loro proposte, che mette a disposizione i suoi spazi per dare loro la possibilità di esprimere le potenzialità e le domande, piegare i nostri spazi all’ascolto e
Avendo più tempo a disposizione ci assumiamo due atteggiamenti di fondo: la stima e l’ascolto. La stima: Occorre un atteggiamento che sa vedere nei giovani il valore che essi sono, che li stima per la vita che esprimono, per il loro mondo in evoluzione che cerca, che non si accontenta di quello che incontrano perché non spegne la sete di felicità, di gioia, di vita, di bontà, di libertà e di realizzazione di sé che si portano dentro. Questo significa anche riflettere sul significato che ha l’età della giovinezza nell’arco della vita di una persona, pensare alla giovinezza come ad una singolare ricchezza, che l’uomo sperimenta proprio in tale periodo della sua vita. È il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell’”io” umano e delle proprietà e capacità ad esso unite. Davanti alla vista interiore della personalità in sviluppo di un giovane o di una giovane, gradualmente e successivamente si scopre quella specifica e, in un certo senso, unica e irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto l’intero progetto della vita futura. Giovinezza è: “la ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di assumere le prime decisioni in proprio, che avranno importanza per il futuro nella dimensione strettamente personale dell’esistenza umana. Nello stesso tempo, tali decisioni hanno non poca importanza sociale” (Giovanni Paolo II). L’esperienza comune è che la Chiesa è percepita come una costrizione, un soffocamento della libertà della propria vita, come un rimprovero, un deprezzamento delle tensioni interiori. Si possono inventare percorsi di ricerca, spazi espressivi che lasciano al giovane la responsabilità di dirsi e di ricercare, di esprimersi e di confrontarsi, di sperimentare e di rischiare? In questa ricerca occorre vedere nel giovane la sentinella dell’umanità che cerca, che non si accontenta di divertirsi, di vivere in fuga, di ridurre la sua umanità. Ha dentro spazi di pensiero, domande di assoluto, desideri di capire il senso di questa umanità. Non deve essere messo davanti a scelte fatte, precostituite o a continue banalità che abbassano
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luglio-agosto 2013
a tutto campo
Vacanze per annoiarsi o per stare proprio bene?
c’è un cane che tenti delle risposte o meglio delle scommesse. Sono del parere che con tutti, ma soprattutto con i giovani, non si devono innescare processi semplificati di domande e risposte, buche dell’anima e saccenterie, tombini e botole per chiudere il problema e passarci sopra. Ogni domanda è veramente una voragine da allargare sempre di più e ogni risposta non può essere vista come un coperchio che sigilla, o un diversivo, ma una scommessa. È come quando un ragazzo viene all’oratorio a chiederti un pallone. Se sei un adulto, che ama i ragazzi, non gli dici che il suo bene sarebbe una bella ora di adorazione, ma gli dai il pallone. Però il modo con cui glielo dai, gli amici che gli metti accanto, l’ambiente in cui gioca, lo stile del gioco sono tutte cose che non si immaginerebbe mai di trovare quando ha chiesto solo un pallone e ne sarà entusiasta quando te lo riporta. La sua richiesta era già più larga di quello che si pensa e la scommessa deve fare il resto. L’estate e le vacanze non sono il tempo dei tombini e delle botole, ma della comunicazione ampia, bella, coinvolgente.
Ho scritto qualche anno fa un commento ai vangeli per l’estate e li ho chiamati “vangeli sotto l’ombrellone”. In copertina c’era una bella sdraio e un bell’ombrellone. Ho fatto fortuna. È stato il libro più venduto dall’editrice in quella stagione. Perché? Un ombrellone è una cosa che ti richiama la serenità, lo stare in apnea, dimenticare l’agenda e forse anche il cellulare: hai amici, hai tempo, hai pensieri che ti danno adrenalina (i vangeli sono proprio così), ti rilassi (questo lo farebbe anche un cagnolino), ma soprattutto ti ritrovi in mano la vita e non le idiozie di tutte le radio commerciali che imperversano in spiaggia. Noi adulti forse crediamo che i giovani non vogliano cose impegnative o troppo serie nel tempo libero, invece è assolutamente vero il contrario. Noi adulti nella vita abbiamo avuto le risposte senza farci le domande. C’era già definito che cosa dovevamo fare ed entro quali spazi di autonomia. Le giovani generazioni invece hanno molte domande e non
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Il nostro dialogo coi giovani
il livello al solo divertimento, alla sola distrazione o all’assolvimento di alcune formalità sociologiche sia pure religiose. Sono cittadini del mondo, hanno sogni di spaziare su tutta la gamma delle possibilità umane, dei destini dell’umanità, della sua storia e del suo futuro. Il pensiero dell’uomo è importante per ogni giovane, se non glielo riduciamo a storia della filosofia, ma a percorsi di ricerca della verità che ciascuno è per se stesso, di dove si è giunti nella ricerca personale. Hanno una grande voglia di esprimersi, di dire e rappresentare quello che pensano e provano. Ne hanno capacità, ma non sono messi in grado di esprimersi. L’altro atteggiamento è di conseguenza l’ascolto vero, non per conquistare e quindi dare la nostra ricetta, ma per accogliere e accompagnarsi nella ricerca, correndo il rischio di non orientare secondo le nostre vedute e quindi l’avventura di capire mondi nuovi e nuove strategie di costruzione della propria vita. L’ascolto porta a conoscere ferite e gioie, risorse e decisioni, principi e prospettive. Mi immagino una Chiesa che accoglie le loro proposte, che mette a disposizione i suoi spazi per dare loro la possibilità di esprimere le potenzialità e le domande, piegare i nostri spazi all’ascolto e
Avendo più tempo a disposizione ci assumiamo due atteggiamenti di fondo: la stima e l’ascolto. La stima: Occorre un atteggiamento che sa vedere nei giovani il valore che essi sono, che li stima per la vita che esprimono, per il loro mondo in evoluzione che cerca, che non si accontenta di quello che incontrano perché non spegne la sete di felicità, di gioia, di vita, di bontà, di libertà e di realizzazione di sé che si portano dentro. Questo significa anche riflettere sul significato che ha l’età della giovinezza nell’arco della vita di una persona, pensare alla giovinezza come ad una singolare ricchezza, che l’uomo sperimenta proprio in tale periodo della sua vita. È il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell’”io” umano e delle proprietà e capacità ad esso unite. Davanti alla vista interiore della personalità in sviluppo di un giovane o di una giovane, gradualmente e successivamente si scopre quella specifica e, in un certo senso, unica e irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto l’intero progetto della vita futura. Giovinezza è: “la ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di assumere le prime decisioni in proprio, che avranno importanza per il futuro nella dimensione strettamente personale dell’esistenza umana. Nello stesso tempo, tali decisioni hanno non poca importanza sociale” (Giovanni Paolo II). L’esperienza comune è che la Chiesa è percepita come una costrizione, un soffocamento della libertà della propria vita, come un rimprovero, un deprezzamento delle tensioni interiori. Si possono inventare percorsi di ricerca, spazi espressivi che lasciano al giovane la responsabilità di dirsi e di ricercare, di esprimersi e di confrontarsi, di sperimentare e di rischiare? In questa ricerca occorre vedere nel giovane la sentinella dell’umanità che cerca, che non si accontenta di divertirsi, di vivere in fuga, di ridurre la sua umanità. Ha dentro spazi di pensiero, domande di assoluto, desideri di capire il senso di questa umanità. Non deve essere messo davanti a scelte fatte, precostituite o a continue banalità che abbassano
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ie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie...
L’esperienza di gran lunga la più progettuale è l’esperienza dell’amore. È la più delicata e la più coinvolgente, la più snaturata e la più svenduta, ma la meno ascoltata e riportata alla luce della sua prima origine.
E il lavoro? Avrei un altro obiettivo da proporre a tutti i ragazzi e i giovani. Fatta salva la sicurezza sia fisica che morale, è possibile aiutarli a lavorare, a non buttare tutto il tempo a sparare idiozie o a fare danni,
tti vicendevolMente
li” dell’annuncio della
a PReziosa”.
per la rete: Giovanni e Anna - cell. 349.6612203
a rete
IncontrInsieme
ma a costruire qualcosa di bello, di utile, di solidale? Qui occorre fantasia e saper osare. Il lavoro • Movimento di coppie, lui e lei: è scuola dellaforte vita e un giovane nonLuipuò L’identità su cui lavorare è la coppia, e arrivare Lei; a trentacinque anni per andare a questa scuola di Movimento “cristiani con lo sguardo vita. •È questione di non monetizzare tutto, ma di rivolto ai lontani”: I lontani, non da Dio, ma scandagliare i valori veri interlocutori, della vita.coloro E i giovani in dalla Chiesa, sono i nostri questochesono generosissimi. ci richiamano al messaggioMancherà evangelico, al loro nostrosemimpegno. Sono coloro che costantemente attendono e desiderano scoprirealaconvivere perla preziosa, la gioia del Cristo; pre qualcosa di importante: imparare Movimento locale con e non tutti nazionale: e ad• essere solidali attraverso il lavoro, Incontrinsieme è una realtà movimentista che nasce nei territori, lì opera e lì deve collaborare con il Creatore rendere ancora più e sono a servizio di essere sole e luce. In particolareai team territoriali si relazionano abitabile bello questo È desiderare con-i religiosi che in quel quel eterritorio, ed operanomondo. con le organizzazioni, le parrocchie, contestopienezza sono presenti;di umanità. cretamente • Movimento organizzato in team, squadre, territoriali e carismatiche teaM di teRRitoRioMons. Domenico Sigalini I team di territorio si occupano di relazionarsi, con le coppie che provengono da quel redazione.rivista@ausiliatrice.net territorio. I team propongono iniziative di diversa natura, da quelle animative a quelle di evangelizzazione, formazione e spiritualità.; teaM 1 - 2 - 3 sono Quelli del cHieRese Sono le tre squadre di coppie che si occupa del territorio dove è nata Incontrinsieme. teaM 7 – teaM astiGiano-caRMaGnolese E’ la squadra di coppie nata nel 2010 con l’obiettivo di regalare Incontrinsieme a nuovi territori dell’ Area Astigiana e Carmagnolese. teaM 9 – val di susa Dal 2012 il team si occupa del territorio della Val di Susa, ha iniziato dal paese di S. Ambrogio e di Chiusa S.Michele teaM 10 - teaM del toRinese Dal 2011 Incontrinsieme si confronta con una realtà urbana quale è il capoluogo Torino e la sua prima cintura, si sono aperti i primi interventi in zona San Salvario teaM 11 – bRenta -veneto E’ il primo team nato nel Veneto, ha iniziato la sua opera a Fiesso D’Artico sulle rive del Brenta, nell’ottobre 2012.
per info: www.incontrinsieme.it - info@incontrinsieme.it
IncontrInsieme
Happening ad Assisi 5 • 6 • 7 luglio 2013
grafica e stampa: il tipografo - riva presso chieri - tel. 011.946.86.12
PeRla PReziosa”, insieMe, la Gioia di ReGalaRla. non al controllo. Una Chiesa che ha il coraggio di i giovani per aiutare ciascuno a ragRete dilavorare nuovi,con folli e aPPassionati evanGelizzatoRi giungere una piena umanità.
DA RIVA DA BINASCO-MI O IN IR PO DA DA ISOLABELLA TA EN BR DAL DA SANTENA A OM -R NO SA CE DA TI DA NOVARA DA CHIAMPO DA AS SA DA VALfENERA DA SU DA CHIERI DA CASTELNUOVO DA TORINO DA PINO TORINESE
io... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio...
www.incontrinsieme.it - info@incontrinsieme.it Giovanni e Anna - Cell. 3496612203
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EDICOLA SALESIANA Un’applicazione per avere sott’occhio tutto il mondo salesiano. Dalla Rivista Maria Ausiliatrice (edizione italiana e spagnola) a Il Bollettino Salesiano (edizione italiana), alle notizie della Congregazione passando per le web radio. Uno strumento indispensabile per tutta la Famiglia Salesiana e utile per tutti gli amici di don Bosco. Attualmente scaricabile per device iOS e Android, prossimamente anche per Windows Phone e Kindle.
Negozio Ricordi Religiosi • Vieni a trovarci Orari Lun-Ven:8,30-12,30 14,30-18,30 Sab:8,30-12,30 17,00-19,00 Dom: 9,30-12,30 17,00-19,00
Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 TORINO Tel. 011.52.24.244 - Fax 011.52.24.225 E-mail: negozio@ausiliatrice.net
ie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie... ... per coppie e famiglie...
L’esperienza di gran lunga la più progettuale è l’esperienza dell’amore. È la più delicata e la più coinvolgente, la più snaturata e la più svenduta, ma la meno ascoltata e riportata alla luce della sua prima origine.
E il lavoro? Avrei un altro obiettivo da proporre a tutti i ragazzi e i giovani. Fatta salva la sicurezza sia fisica che morale, è possibile aiutarli a lavorare, a non buttare tutto il tempo a sparare idiozie o a fare danni,
tti vicendevolMente
li” dell’annuncio della
a PReziosa”.
per la rete: Giovanni e Anna - cell. 349.6612203
a rete
IncontrInsieme
ma a costruire qualcosa di bello, di utile, di solidale? Qui occorre fantasia e saper osare. Il lavoro • Movimento di coppie, lui e lei: è scuola dellaforte vita e un giovane nonLuipuò L’identità su cui lavorare è la coppia, e arrivare Lei; a trentacinque anni per andare a questa scuola di Movimento “cristiani con lo sguardo vita. •È questione di non monetizzare tutto, ma di rivolto ai lontani”: I lontani, non da Dio, ma scandagliare i valori veri interlocutori, della vita.coloro E i giovani in dalla Chiesa, sono i nostri questochesono generosissimi. ci richiamano al messaggioMancherà evangelico, al loro nostrosemimpegno. Sono coloro che costantemente attendono e desiderano scoprirealaconvivere perla preziosa, la gioia del Cristo; pre qualcosa di importante: imparare Movimento locale con e non tutti nazionale: e ad• essere solidali attraverso il lavoro, Incontrinsieme è una realtà movimentista che nasce nei territori, lì opera e lì deve collaborare con il Creatore rendere ancora più e sono a servizio di essere sole e luce. In particolareai team territoriali si relazionano abitabile bello questo È desiderare con-i religiosi che in quel quel eterritorio, ed operanomondo. con le organizzazioni, le parrocchie, contestopienezza sono presenti;di umanità. cretamente • Movimento organizzato in team, squadre, territoriali e carismatiche teaM di teRRitoRioMons. Domenico Sigalini I team di territorio si occupano di relazionarsi, con le coppie che provengono da quel redazione.rivista@ausiliatrice.net territorio. I team propongono iniziative di diversa natura, da quelle animative a quelle di evangelizzazione, formazione e spiritualità.; teaM 1 - 2 - 3 sono Quelli del cHieRese Sono le tre squadre di coppie che si occupa del territorio dove è nata Incontrinsieme. teaM 7 – teaM astiGiano-caRMaGnolese E’ la squadra di coppie nata nel 2010 con l’obiettivo di regalare Incontrinsieme a nuovi territori dell’ Area Astigiana e Carmagnolese. teaM 9 – val di susa Dal 2012 il team si occupa del territorio della Val di Susa, ha iniziato dal paese di S. Ambrogio e di Chiusa S.Michele teaM 10 - teaM del toRinese Dal 2011 Incontrinsieme si confronta con una realtà urbana quale è il capoluogo Torino e la sua prima cintura, si sono aperti i primi interventi in zona San Salvario teaM 11 – bRenta -veneto E’ il primo team nato nel Veneto, ha iniziato la sua opera a Fiesso D’Artico sulle rive del Brenta, nell’ottobre 2012.
per info: www.incontrinsieme.it - info@incontrinsieme.it
IncontrInsieme
Happening ad Assisi 5 • 6 • 7 luglio 2013
grafica e stampa: il tipografo - riva presso chieri - tel. 011.946.86.12
PeRla PReziosa”, insieMe, la Gioia di ReGalaRla. non al controllo. Una Chiesa che ha il coraggio di i giovani per aiutare ciascuno a ragRete dilavorare nuovi,con folli e aPPassionati evanGelizzatoRi giungere una piena umanità.
DA RIVA DA BINASCO-MI O IN IR PO DA DA ISOLABELLA TA EN BR DAL DA SANTENA A OM -R NO SA CE DA TI DA NOVARA DA CHIAMPO DA AS SA DA VALfENERA DA SU DA CHIERI DA CASTELNUOVO DA TORINO DA PINO TORINESE
io... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio... ... e vai andiamo da Dio...
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luglio-agosto 2013
leggiamo i vangeli
Gesù è la «porta» Farisei e Giudei sono raccolti intorno a Gesù e lo ascoltano. Come al solito le sue parole sono così intense da creare un vero dissenso. Mentre i più lo rifiutano, altri si aprono alla fede in lui. È un lungo discorso quello che si legge in Gv 10, denso di rivelazioni sulla identità di Cristo. Ci concentriamo unicamente su di una sua piccola parte. Gesù parla di sé usando alcune immagini. Inizialmente lo fa dicendosi «porta» attraverso la quale le pecore entrano in un recinto sicuro (vv. 7.9). Così dichiarando, egli indica in se stesso l’unico salvatore e ci
invita a passare attraverso lui per ottenere il dono della «vita» (v. 10) in abbondanza, ossia della piena comunione col Padre. È proprio per questo motivo che egli è venuto in mezzo a noi e ha dato se stesso: perché potessimo avere intimità col Padre. Già in questa parte del discorso Gesù menziona falsi pastori definiti come ladri, briganti, estranei. Il «buon pastore» – egli dice – non è come quelli! È con questo pastore buono che Gesù si identifica. Conosciamo bene come nella tradizione biblica di Israele il «pastore» fosse Dio: è lui che custodisce, guida, raduna e salva il suo popo-
lo. Dio aveva talvolta assimilato a questo suo ruolo delle persone, Mosè ed i re di Israele, ma a causa del fallimento di molti di loro, aveva avocato a sé quel compito importante, promettendo però di inviare un pastore messianico.
Il «pastore buono» Quando Gesù assicura di essere il «buon pastore» si mostra, pertanto, come il compimento della promessa divina: egli è l’unico capace di condurre ogni persona alla salvezza. L’aggettivo «buono» intende esprimere, in questo caso, la serie di qualità che rispondono perfettamente alle tre mansio-
La vita di Gesù è dono per tutti Chi è Gesù Cristo «buon pastore» (Gv 10,11-16), perché egli ha assunto questo ruolo, come lo ha esercitato, verso dove vuole condurci ed infine qual è la forma di imitazione richiesta a chi vuol essere dei suoi?
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ni che quel pastore dovrà ricoprire: dare la vita per le pecore, conoscerle e radunarle. Si tratta, in realtà, di un unico compito che tutto si riassume nell’espressione chiave: il «buon pastore dà la sua vita per le pecore» (v.11). Queste parole, inverate definitivamente dalla consumazione della vita di Cristo sulla croce, mostrano bene la disposizione totale e permanente che egli ebbe durante tutto il corso della propria esistenza ad affrontare scandali e rischi per la salvezza altrui. Gesù ha trascorso tutta la sua vita nella prospettiva del dono totale di se stesso: egli è il «pastore buono» che accetta di mettersi interamente a repentaglio purché la nostra vita sia felice e salva. Non ha trattenuto nulla per sé, si è «spogliato» di tutto. Si avvicini l’immagine del pastore buono che offre la vita per
le sue pecore a quella della porta attraverso cui esse devono passare e si capirà al meglio come esse ci parlino di Cristo nostra salvezza! Rimaniamo in contemplazione di fronte a questo Gesù salvatore, perfetto realizzatore delle promesse del Padre: il «Signore nostro Gesù» è davvero il «pastore grande delle pecore» (cfr. Eb 13,20)! La libera auto-donazione del «pastore buono», frutto di amore, non esclude nessun destinatario: Cristo è venuto «per dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Il suo dono è per tutti, perché è nella natura della missione affidatagli dal Padre che egli riconduca tutti e ciascuno a lui. È sua la promessa che una volta «innalzato sulla croce» avrebbe «attirato tutti» a sé (cfr. Gv 12,32). Ciò che consente a Gesù di condurre la propria esistenza nell’orizzonte del dono di sé – continua infine il testo – è uno speciale vincolo di amore e di relazione che lo lega al proprio Padre, al punto tale che egli può affermare: «il Padre è in me, e io sono nel Padre» (v. 38).
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Un dono da imitare L’esemplarità del Pastore buono che offre la vita, risveglia innanzitutto in noi un maggior senso di responsabilità: chi mangia e beve il Corpo ed il Sangue del «buon pastore» deve essere disposto a copiare il suo modello ed esempio, pena un inutile spreco del sacrificio di Cristo. È essenziale rilanciare la prospettiva eucaristica che deve dominare la nostra stessa esistenza cristiana! A tutti noi che siamo conosciuti, radunati e salvati da Gesù buon pastore, sono richiesti gesti concreti di auto-donazione: essi saranno manifestazioni stabili di una decisione che sgorga solo dal sentirsi amati dal Signore. Dobbiamo vivere nella consapevolezza del cuore e della mente che Gesù è il nostro pastore. Bisogna arrivare a dire: «Gesù tu sei il mio buon pastore». Curiamo di permeare le nostre vite della prospettiva eucaristica del dono di noi stessi, ad immagine del Pastore buono. Non centelliniamo l’amore, ma attraverso l’amore donato collaboriamo con lui alla sua opera di salvezza. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
leggiamo i vangeli
Gesù è la «porta» Farisei e Giudei sono raccolti intorno a Gesù e lo ascoltano. Come al solito le sue parole sono così intense da creare un vero dissenso. Mentre i più lo rifiutano, altri si aprono alla fede in lui. È un lungo discorso quello che si legge in Gv 10, denso di rivelazioni sulla identità di Cristo. Ci concentriamo unicamente su di una sua piccola parte. Gesù parla di sé usando alcune immagini. Inizialmente lo fa dicendosi «porta» attraverso la quale le pecore entrano in un recinto sicuro (vv. 7.9). Così dichiarando, egli indica in se stesso l’unico salvatore e ci
invita a passare attraverso lui per ottenere il dono della «vita» (v. 10) in abbondanza, ossia della piena comunione col Padre. È proprio per questo motivo che egli è venuto in mezzo a noi e ha dato se stesso: perché potessimo avere intimità col Padre. Già in questa parte del discorso Gesù menziona falsi pastori definiti come ladri, briganti, estranei. Il «buon pastore» – egli dice – non è come quelli! È con questo pastore buono che Gesù si identifica. Conosciamo bene come nella tradizione biblica di Israele il «pastore» fosse Dio: è lui che custodisce, guida, raduna e salva il suo popo-
lo. Dio aveva talvolta assimilato a questo suo ruolo delle persone, Mosè ed i re di Israele, ma a causa del fallimento di molti di loro, aveva avocato a sé quel compito importante, promettendo però di inviare un pastore messianico.
Il «pastore buono» Quando Gesù assicura di essere il «buon pastore» si mostra, pertanto, come il compimento della promessa divina: egli è l’unico capace di condurre ogni persona alla salvezza. L’aggettivo «buono» intende esprimere, in questo caso, la serie di qualità che rispondono perfettamente alle tre mansio-
La vita di Gesù è dono per tutti Chi è Gesù Cristo «buon pastore» (Gv 10,11-16), perché egli ha assunto questo ruolo, come lo ha esercitato, verso dove vuole condurci ed infine qual è la forma di imitazione richiesta a chi vuol essere dei suoi?
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ni che quel pastore dovrà ricoprire: dare la vita per le pecore, conoscerle e radunarle. Si tratta, in realtà, di un unico compito che tutto si riassume nell’espressione chiave: il «buon pastore dà la sua vita per le pecore» (v.11). Queste parole, inverate definitivamente dalla consumazione della vita di Cristo sulla croce, mostrano bene la disposizione totale e permanente che egli ebbe durante tutto il corso della propria esistenza ad affrontare scandali e rischi per la salvezza altrui. Gesù ha trascorso tutta la sua vita nella prospettiva del dono totale di se stesso: egli è il «pastore buono» che accetta di mettersi interamente a repentaglio purché la nostra vita sia felice e salva. Non ha trattenuto nulla per sé, si è «spogliato» di tutto. Si avvicini l’immagine del pastore buono che offre la vita per
le sue pecore a quella della porta attraverso cui esse devono passare e si capirà al meglio come esse ci parlino di Cristo nostra salvezza! Rimaniamo in contemplazione di fronte a questo Gesù salvatore, perfetto realizzatore delle promesse del Padre: il «Signore nostro Gesù» è davvero il «pastore grande delle pecore» (cfr. Eb 13,20)! La libera auto-donazione del «pastore buono», frutto di amore, non esclude nessun destinatario: Cristo è venuto «per dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Il suo dono è per tutti, perché è nella natura della missione affidatagli dal Padre che egli riconduca tutti e ciascuno a lui. È sua la promessa che una volta «innalzato sulla croce» avrebbe «attirato tutti» a sé (cfr. Gv 12,32). Ciò che consente a Gesù di condurre la propria esistenza nell’orizzonte del dono di sé – continua infine il testo – è uno speciale vincolo di amore e di relazione che lo lega al proprio Padre, al punto tale che egli può affermare: «il Padre è in me, e io sono nel Padre» (v. 38).
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Un dono da imitare L’esemplarità del Pastore buono che offre la vita, risveglia innanzitutto in noi un maggior senso di responsabilità: chi mangia e beve il Corpo ed il Sangue del «buon pastore» deve essere disposto a copiare il suo modello ed esempio, pena un inutile spreco del sacrificio di Cristo. È essenziale rilanciare la prospettiva eucaristica che deve dominare la nostra stessa esistenza cristiana! A tutti noi che siamo conosciuti, radunati e salvati da Gesù buon pastore, sono richiesti gesti concreti di auto-donazione: essi saranno manifestazioni stabili di una decisione che sgorga solo dal sentirsi amati dal Signore. Dobbiamo vivere nella consapevolezza del cuore e della mente che Gesù è il nostro pastore. Bisogna arrivare a dire: «Gesù tu sei il mio buon pastore». Curiamo di permeare le nostre vite della prospettiva eucaristica del dono di noi stessi, ad immagine del Pastore buono. Non centelliniamo l’amore, ma attraverso l’amore donato collaboriamo con lui alla sua opera di salvezza. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
IN CAMMINO CON MARIA
Cercare Gesù con ansia
Dal gesto materno di avvolgerlo in fasce all’angoscia per averlo smarrito a Gerusalemme, dal non comprendere le sue parole al capire che non è soltanto figlio suo. Nel racconto della nascita di Gesù, Luca riporta il gesto delicato di Maria: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). È un gesto semplice che esprime tutto l’affetto materno, tenero e rispettoso di Maria verso questo bambino che è figlio di Dio e figlio suo. Secondo gli usi del tempo, le fasce strette proteggono la spina dorsale del bambino dai possibili danni e l’aiutano a crescere diritto. Quando poi l’angelo annuncia la buona notizia della nascita del bambino ai pastori, darà loro questo come segno: «Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,13). Venti secoli sono passati e ancor oggi nelle nostre scene natalizie il bambino si presenta con questo segno dell’amore e della madre. A Betlemme, Maria insieme a Giuseppe si trova coinvolta in questo mistero nascosto da secoli nel-
la mente di Dio e che è diventato realtà davanti ai loro occhi: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Maria e Giuseppe sono i primi testimoni di questa nascita, avvenuta in condizioni umili e poveri, primo passo di quell’«annientamento» (cf Fil 2,5-8), che il Figlio di Dio liberamente sceglie per la salvezza di tutta l’umanità. E questo bambino è affidato alla loro cura. Quando la vita del bambino è minacciato da Erode, Maria e Giuseppe intrapresero con coraggio la fuga in Egitto, sfidando i pericoli e la fatica, i disaggi della migrazione e dell’esilio, affrontando l’ignoto e l’incerto.
nascita accompagnerà il figlio in ogni fase della vita. Il lungo periodo della vita “nascosta” a Nazaret, durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica, è riassunto da Luca in poche parole. Egli racconta un solo episodio della vita di Gesù adolescente: quello della Pasqua a Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni. La narrazione è incorniciata da due versetti che sottolineano l’idea della crescita di Gesù: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,40). «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Per la cultura ebraica, l’età di dodici anni rappresenta l’inizio dell’età matura di ogni essere umano. Si tratta di una svolta nella crescita di Gesù. Il suo viaggio alla città santa in occasione della pasqua segna una tappa della sua vita, è l’anticipazione di un altro viaggio a Gerusalemme che culminerà nella sua Pasqua. L’episodio segna anche la crescita della madre. Per tre giorni Maria e Giuseppe lo credevano perduto e lo cercavano «con ansia». Lo trovarono a Gerusalemme, nel tempio, in mezzo ai dottori della legge, con i quali dovrà poi più volte dibattere rivelando il vero volto di Dio che è amore e misericordia. Tutto l’episodio mostra un chiaro legame con il mistero pasquale. In maniera analoga, tre giorni dopo la morte di Gesù, ai discepoli addolorati e smarriti sarà annunciato che è inutile cercare il maestro tra i morti: egli è vivo, risorto, innalzato alla gloria del Padre.
Giorno dopo giorno Maria cresce nell’accoglienza di quel Bimbo che ha avvolto in fasce alla nascita: non è soltanto figlio suo, ma è dono del Padre all’umanità. Dono e mistero da cercare, custodire, far conoscere a tutti gli uomini Anche Maria ha un “deve” nelle cose del Padre Ritrovato Gesù nel tempio, Maria gli fa una domanda scaturita con naturalezza dal suo cuore di madre: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Nel «perché» di Maria è il riassunto di tanti perché dell’umanità intorno al mistero della croce e l’angoscia di tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla domanda della madre, Gesù dà per risposta due altre domande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Egli ha un «deve» nel disegno del Padre, con la crescita in età e in sapienza egli cresce soprattutto nella coscienza della sua missione. C’è poi un versetto che colpisce i lettori del racconto lucano: «Ma essi (Maria e Giuseppe) non compresero le sue parole». Il piano di Dio trascende ogni comprensione umana. «Persino colei, alla quale era stato rivelato più a fondo il mistero della filiazione divina, la madre, viveva nell’intimità con questo mistero solo mediante la fede!», commenta Giovanni Paolo II (Redemptoris mater 17). Stando a fianco del figlio e vivendo in intima unione con lui, insieme alla dolcezza e la gioia singolare Maria sperimenta anche l’oscurità della mente e la fatica del cuore, avanza gradualmente nella “peregrinazione della fede”. Giorno dopo giorno Maria cresce nell’accoglienza dell’identità di Gesù - questo figlio che ella ha avvolto in fasce alla nascita non è soltanto figlio suo - e cresce nella consapevolezza d’essere anche lei depositaria del mistero di Dio; lo sapeva sin dal momento dell’annuncio dell’angelo, ora tutto appare più vivo e reale, e allo stesso tempo più duro e più incomprensibile. Accanto al suo Figlio, anche Maria ha un «deve» nelle cose del Padre.
Un chiaro legame con il mistero pasquale L’amore tenero, la cura delicata, la protezione premurosa della madre espresse nel momento della
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Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net
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IN CAMMINO CON MARIA
Cercare Gesù con ansia
Dal gesto materno di avvolgerlo in fasce all’angoscia per averlo smarrito a Gerusalemme, dal non comprendere le sue parole al capire che non è soltanto figlio suo. Nel racconto della nascita di Gesù, Luca riporta il gesto delicato di Maria: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). È un gesto semplice che esprime tutto l’affetto materno, tenero e rispettoso di Maria verso questo bambino che è figlio di Dio e figlio suo. Secondo gli usi del tempo, le fasce strette proteggono la spina dorsale del bambino dai possibili danni e l’aiutano a crescere diritto. Quando poi l’angelo annuncia la buona notizia della nascita del bambino ai pastori, darà loro questo come segno: «Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,13). Venti secoli sono passati e ancor oggi nelle nostre scene natalizie il bambino si presenta con questo segno dell’amore e della madre. A Betlemme, Maria insieme a Giuseppe si trova coinvolta in questo mistero nascosto da secoli nel-
la mente di Dio e che è diventato realtà davanti ai loro occhi: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Maria e Giuseppe sono i primi testimoni di questa nascita, avvenuta in condizioni umili e poveri, primo passo di quell’«annientamento» (cf Fil 2,5-8), che il Figlio di Dio liberamente sceglie per la salvezza di tutta l’umanità. E questo bambino è affidato alla loro cura. Quando la vita del bambino è minacciato da Erode, Maria e Giuseppe intrapresero con coraggio la fuga in Egitto, sfidando i pericoli e la fatica, i disaggi della migrazione e dell’esilio, affrontando l’ignoto e l’incerto.
nascita accompagnerà il figlio in ogni fase della vita. Il lungo periodo della vita “nascosta” a Nazaret, durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica, è riassunto da Luca in poche parole. Egli racconta un solo episodio della vita di Gesù adolescente: quello della Pasqua a Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni. La narrazione è incorniciata da due versetti che sottolineano l’idea della crescita di Gesù: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,40). «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Per la cultura ebraica, l’età di dodici anni rappresenta l’inizio dell’età matura di ogni essere umano. Si tratta di una svolta nella crescita di Gesù. Il suo viaggio alla città santa in occasione della pasqua segna una tappa della sua vita, è l’anticipazione di un altro viaggio a Gerusalemme che culminerà nella sua Pasqua. L’episodio segna anche la crescita della madre. Per tre giorni Maria e Giuseppe lo credevano perduto e lo cercavano «con ansia». Lo trovarono a Gerusalemme, nel tempio, in mezzo ai dottori della legge, con i quali dovrà poi più volte dibattere rivelando il vero volto di Dio che è amore e misericordia. Tutto l’episodio mostra un chiaro legame con il mistero pasquale. In maniera analoga, tre giorni dopo la morte di Gesù, ai discepoli addolorati e smarriti sarà annunciato che è inutile cercare il maestro tra i morti: egli è vivo, risorto, innalzato alla gloria del Padre.
Giorno dopo giorno Maria cresce nell’accoglienza di quel Bimbo che ha avvolto in fasce alla nascita: non è soltanto figlio suo, ma è dono del Padre all’umanità. Dono e mistero da cercare, custodire, far conoscere a tutti gli uomini Anche Maria ha un “deve” nelle cose del Padre Ritrovato Gesù nel tempio, Maria gli fa una domanda scaturita con naturalezza dal suo cuore di madre: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Nel «perché» di Maria è il riassunto di tanti perché dell’umanità intorno al mistero della croce e l’angoscia di tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla domanda della madre, Gesù dà per risposta due altre domande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Egli ha un «deve» nel disegno del Padre, con la crescita in età e in sapienza egli cresce soprattutto nella coscienza della sua missione. C’è poi un versetto che colpisce i lettori del racconto lucano: «Ma essi (Maria e Giuseppe) non compresero le sue parole». Il piano di Dio trascende ogni comprensione umana. «Persino colei, alla quale era stato rivelato più a fondo il mistero della filiazione divina, la madre, viveva nell’intimità con questo mistero solo mediante la fede!», commenta Giovanni Paolo II (Redemptoris mater 17). Stando a fianco del figlio e vivendo in intima unione con lui, insieme alla dolcezza e la gioia singolare Maria sperimenta anche l’oscurità della mente e la fatica del cuore, avanza gradualmente nella “peregrinazione della fede”. Giorno dopo giorno Maria cresce nell’accoglienza dell’identità di Gesù - questo figlio che ella ha avvolto in fasce alla nascita non è soltanto figlio suo - e cresce nella consapevolezza d’essere anche lei depositaria del mistero di Dio; lo sapeva sin dal momento dell’annuncio dell’angelo, ora tutto appare più vivo e reale, e allo stesso tempo più duro e più incomprensibile. Accanto al suo Figlio, anche Maria ha un «deve» nelle cose del Padre.
Un chiaro legame con il mistero pasquale L’amore tenero, la cura delicata, la protezione premurosa della madre espresse nel momento della
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Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net
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AMICI DI DIO
Non amare è morire Raimondo Lullo (1233-1315)
nelle poesie d’amore. Si sposò ed ebbe anche due figli. Sembrava contento della propria vita e di se stesso... Qualcuno Altro no! Verso i 30 anni ecco la crisi religiosa. L’origine? Strane visioni del Cristo Crocifisso che per ben cinque volte gli sussurrò: «Raimondo, segui me!». Prima non ci badò, dubitando di tutto; poi non ci volle credere. Alla fine si arrese. Conversione totale. Fine di quella vita. D’accordo con la moglie e dopo aver lasciato beni sufficienti anche per i figli, lasciò lusso e agiatezza, feste di corte e i bei vestiti, vendette parte dei beni, e si mise in cammino. Visitò santuari e chiese, vivendo in preghiera e povertà, per alcuni anni. E riprese a studiare e a ricercare.
cultura (argomentazioni razionali). Furono questi i due orizzonti che segnarono tutto il pensiero e l’azione di Raimondo. Si impegnò quindi ad approfondire la filosofia, la teologia, a studiare l’arabo e ad enucleare le tecniche della logica, considerandola l’arte universale. Forse in questo è stato ispirato da san Pietro, l’ex pescatore che, in una sua lettera, esortava i primi cristiani ad «essere pronti a dare ragione della speranza» che avevano e che li faceva vivere e morire diversi dagli altri. Questo suo invito ebbe successo nei secoli seguenti: ricordiamo, tra gli altri, Giustino, filosofo e martire, e il grande Agostino. Anche Raimondo era conscio di quello che, secoli dopo, avrebbe scritto Giovanni Paolo II (beato) nell’Enciclica Fides et Ratio: «La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità».
Tratto in forma ridotta da: Anche Dio ha i suoi campioni, Elledici 2011, 936 pagine, 29,00 Euro.
Non amare è morire. Dimmi, o Pazza d’amore, se il tuo Amato non ti amasse più, che cosa faresti allora? Io continuerei ad amare, per non morire. Perché non amare è morire. Amare è vivere. (B. Raimondo Lullo)
Missionario coraggioso Non solo uno studioso, un professore di successo, ma anche missionario. Primo tentativo a 60 anni: altro che pensione! Era a Genova per imbarcarsi per Tunisi. Missione? Tra i musulmani, per predicare e testare le proprie teorie. Ma la prospettiva della morte (probabile) lo terrorizzò. Rimase a Genova, in preda ad una grave crisi psicologica e vicino alla follia. Vinta la paura partì finalmente. Ma venne quasi subito espulso. Una delusione: altro che dialogo. In seguito, nel 1307, si recò nell’odierna Algeria. Sperava in una sorte migliore. Le intenzioni erano ottime, la preparazione anche. Ma i musulmani non erano cambiati: lo arrestarono, lo picchiarono, lo imprigionarono. Fine della missione. Ultimo tentativo a 80 anni nel 1314. Ancora Tunisi: qui dedicò i propri scritti al sovrano tentando di nuovo la via del dialogo, con la ragione e con l’amore. Le cose non andarono meglio: fu lapidato. Per fortuna sua venne raccolto da mercanti genovesi e riportato in patria, dove morì nel 1315. Martire per la fede? Forse, almeno un po’ sì. Nel 1850 Pio IX gli confermò il titolo di Beato, meritato per questo coraggio nel vivere e predicare il Vangelo.
Rapporto ragione-fede e musulmani Per due anni (1287-1289) Raimondo fu anche insegnante all’Università di Parigi (poi Roma e Napoli). Così ebbe l’opportunità di esporre i capisaldi della propria dottrina, dando lettura pubblica dell’Ars Magna (i posteri per i suoi scritti lo chiameranno Doctor Illuminatus). Essendo essenzialmente uomo di azione, anche la sua riflessione era concentrata su come rendere più efficiente ed efficace, più convincente e più convertente l’azione del missionario. Essendo, secondo lui, la predicazione del Vangelo un’altissima missione non poteva essere lasciata solamente all’abnegazione e alla buona volontà del singolo. Occorreva preparare e prepararsi. Il suo pensiero (teso quasi a fondare scientificamente la missione) e la sua azione ne hanno fatto un precursore di quella che oggi si chiama missionologia. Da convertito insomma voleva diventare un convertitore, sempre con la ragione e con l’amore. Sentiva profondamente che alla missione però si doveva arrivare non solo con la predicazione e con il dialogo (fatto con amore) ma anche con la
Raimondo Lullo di Palma di Maiorca (ivi nato nel 1233 e morto nel 1315) non è una figura molto conosciuta in ambito ecclesiale, eppure è riuscito a ritagliarsi un posto nella storia della filosofia (e teologia) e nella mistica. Per alcuni aspetti la considero una figura moderna, attuale, interessante, anche per capire certe problematiche (fede-ragione: rapporto con i musulmani) che, guarda caso, sono presenti e non risolte ancora oggi, ma che lui ha studiato e tentato di risolvere. Per la verità, la storia dice anche con risultati non esaltanti. Ma è degno lo stesso del nostro ricordo perché lui almeno si è impegnato con tutta la sua intelligenza e amore.
Raimondo, segui me! Era di una ricca e nobile famiglia catalana e ricevette un’educazione adeguata. Per molti anni visse la vita di corte, fatta di lusso, feste e bei vestiti. Raimondo, poeta e cavaliere di corte non si sentiva a disagio. Gli piaceva quella vita e la celebrava anche
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Mario Scudu
archivio.rivista@ausiliatrice.net
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luglio-agosto 2013
AMICI DI DIO
Non amare è morire Raimondo Lullo (1233-1315)
nelle poesie d’amore. Si sposò ed ebbe anche due figli. Sembrava contento della propria vita e di se stesso... Qualcuno Altro no! Verso i 30 anni ecco la crisi religiosa. L’origine? Strane visioni del Cristo Crocifisso che per ben cinque volte gli sussurrò: «Raimondo, segui me!». Prima non ci badò, dubitando di tutto; poi non ci volle credere. Alla fine si arrese. Conversione totale. Fine di quella vita. D’accordo con la moglie e dopo aver lasciato beni sufficienti anche per i figli, lasciò lusso e agiatezza, feste di corte e i bei vestiti, vendette parte dei beni, e si mise in cammino. Visitò santuari e chiese, vivendo in preghiera e povertà, per alcuni anni. E riprese a studiare e a ricercare.
cultura (argomentazioni razionali). Furono questi i due orizzonti che segnarono tutto il pensiero e l’azione di Raimondo. Si impegnò quindi ad approfondire la filosofia, la teologia, a studiare l’arabo e ad enucleare le tecniche della logica, considerandola l’arte universale. Forse in questo è stato ispirato da san Pietro, l’ex pescatore che, in una sua lettera, esortava i primi cristiani ad «essere pronti a dare ragione della speranza» che avevano e che li faceva vivere e morire diversi dagli altri. Questo suo invito ebbe successo nei secoli seguenti: ricordiamo, tra gli altri, Giustino, filosofo e martire, e il grande Agostino. Anche Raimondo era conscio di quello che, secoli dopo, avrebbe scritto Giovanni Paolo II (beato) nell’Enciclica Fides et Ratio: «La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità».
Tratto in forma ridotta da: Anche Dio ha i suoi campioni, Elledici 2011, 936 pagine, 29,00 Euro.
Non amare è morire. Dimmi, o Pazza d’amore, se il tuo Amato non ti amasse più, che cosa faresti allora? Io continuerei ad amare, per non morire. Perché non amare è morire. Amare è vivere. (B. Raimondo Lullo)
Missionario coraggioso Non solo uno studioso, un professore di successo, ma anche missionario. Primo tentativo a 60 anni: altro che pensione! Era a Genova per imbarcarsi per Tunisi. Missione? Tra i musulmani, per predicare e testare le proprie teorie. Ma la prospettiva della morte (probabile) lo terrorizzò. Rimase a Genova, in preda ad una grave crisi psicologica e vicino alla follia. Vinta la paura partì finalmente. Ma venne quasi subito espulso. Una delusione: altro che dialogo. In seguito, nel 1307, si recò nell’odierna Algeria. Sperava in una sorte migliore. Le intenzioni erano ottime, la preparazione anche. Ma i musulmani non erano cambiati: lo arrestarono, lo picchiarono, lo imprigionarono. Fine della missione. Ultimo tentativo a 80 anni nel 1314. Ancora Tunisi: qui dedicò i propri scritti al sovrano tentando di nuovo la via del dialogo, con la ragione e con l’amore. Le cose non andarono meglio: fu lapidato. Per fortuna sua venne raccolto da mercanti genovesi e riportato in patria, dove morì nel 1315. Martire per la fede? Forse, almeno un po’ sì. Nel 1850 Pio IX gli confermò il titolo di Beato, meritato per questo coraggio nel vivere e predicare il Vangelo.
Rapporto ragione-fede e musulmani Per due anni (1287-1289) Raimondo fu anche insegnante all’Università di Parigi (poi Roma e Napoli). Così ebbe l’opportunità di esporre i capisaldi della propria dottrina, dando lettura pubblica dell’Ars Magna (i posteri per i suoi scritti lo chiameranno Doctor Illuminatus). Essendo essenzialmente uomo di azione, anche la sua riflessione era concentrata su come rendere più efficiente ed efficace, più convincente e più convertente l’azione del missionario. Essendo, secondo lui, la predicazione del Vangelo un’altissima missione non poteva essere lasciata solamente all’abnegazione e alla buona volontà del singolo. Occorreva preparare e prepararsi. Il suo pensiero (teso quasi a fondare scientificamente la missione) e la sua azione ne hanno fatto un precursore di quella che oggi si chiama missionologia. Da convertito insomma voleva diventare un convertitore, sempre con la ragione e con l’amore. Sentiva profondamente che alla missione però si doveva arrivare non solo con la predicazione e con il dialogo (fatto con amore) ma anche con la
Raimondo Lullo di Palma di Maiorca (ivi nato nel 1233 e morto nel 1315) non è una figura molto conosciuta in ambito ecclesiale, eppure è riuscito a ritagliarsi un posto nella storia della filosofia (e teologia) e nella mistica. Per alcuni aspetti la considero una figura moderna, attuale, interessante, anche per capire certe problematiche (fede-ragione: rapporto con i musulmani) che, guarda caso, sono presenti e non risolte ancora oggi, ma che lui ha studiato e tentato di risolvere. Per la verità, la storia dice anche con risultati non esaltanti. Ma è degno lo stesso del nostro ricordo perché lui almeno si è impegnato con tutta la sua intelligenza e amore.
Raimondo, segui me! Era di una ricca e nobile famiglia catalana e ricevette un’educazione adeguata. Per molti anni visse la vita di corte, fatta di lusso, feste e bei vestiti. Raimondo, poeta e cavaliere di corte non si sentiva a disagio. Gli piaceva quella vita e la celebrava anche
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Mario Scudu
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luglio-agosto 2013
maria nei secoli
Gabriele dell’Addolorata e Maria La Chiesa è bella per la bellezza dei santi: come Elisabetta e Gabriele, morti a soli 24 anni. Gabriele fu “convertito” da un invito di Maria. Entrato tra i Passionisti, fu sempre molto devoto della Madonna. Diceva: «Maria è il luogo più sicuro che ci sia». La Chiesa, grazie ai suoi santi, appare sempre bella. Quando i santi sono anche giovani, la Chiesa è bellissima. A 24 anni, conclusero il loro pellegrinaggio terreno una stupenda ragazza francese, la beata Elisabetta della Trinità, ed un ragazzo straordinariamente devoto di Maria, San Gabriele dell’Addolorata. Aveva assunto questo nome dopo essere entrato nella Congregazione religiosa dei Passionisti. Prima si chiamava Francesco, anche se per i suoi familiari era stato sempre “Checchino”.
cessione mariana, mentre seguiva con lo sguardo l’immagine della Madonna, avvertì distintamente una voce che lo esortava: «Segui la tua vocazione».
Da Francesco a Gabriele dell’Addolorata E così con gioia abbracciò la vita consacrata anche se, a causa della morte prematura, non poté diventare sacerdote. Non si pentì mai della scelta fatta, come si evince dalle lettere scritte al padre. In una di essa afferma: «Quanta più dolcezza si prova nell’ora di preghiera dinanzi a Gesù Sacramentato e alla sua Santissima Madre che non in serate intere in teatri e sale illuminate!». In segno di amore alla Madonna volle assumere un nome mariano, composto da quello di Gabriele, come l’Arcangelo che portò l’annuncio della nascita del Figlio di Dio, e di “Addolorata”. Intuì infatti che i dolori di Maria Santissima nella Passione di Cristo l’hanno resa un’Avvocata potente che intercede incessantemente per la salvezza degli uomini. Ecco le sue parole: «Se avremo Maria con noi, avremo tutto; se ci mancherà ella, ci mancherà tutto. Se
Segui la tua vocazione Suo papà ricoprì cariche importanti nell’amministrazione dello Stato Pontificio perché, quando Francesco nacque, in Italia esistevano ancora gli Stati preunitari. Visse infatti dal 1838 al 1862. Era intelligente e avvenente, gli piaceva indossare abiti eleganti e divertirsi in compagnia degli amici, al punto che lo avevano soprannominato “il ballerino”. Tuttavia, di animo buono e generoso, sentiva che il suo cuore rimaneva insoddisfatto e che era chiamato da Dio a compiere altre scelte. Esitò fino a quando, il 22 Agosto 1856, durante una pro-
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Oh quanto sarebbero più tranquilli i nostri sonni, più lieti i nostri giorni, un paradiso insomma il nostro vivere, se ci abbandonassimo completamente nelle mani di Maria (san Gabriele dell’Addolorata).
ci proteggerà Maria, saremo salvi; se ella ci abbandonerà, saremo dannati». Secondo san Gabriele, chi contempla i dolori della Madre può penetrare nel mistero dei dolori del Figlio. In questo senso, egli è stato un autentico teologo: per capire chi è Gesù e che cosa ha fatto per noi, bisogna capire chi è Maria e il suo ruolo nella storia della salvezza.
La gioia cristiana è la nota caratteristica di San Gabriele dell’Addolorata. Cari giovani, diffondetela dove vivete o svolgete la vostra attività (beato Giovanni Paolo II).
Maria, il “luogo” più sicuro Praticò perciò una devozione molto fervorosa alla Madonna ed incoraggiava tutti a seguire gli insegnamenti di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il grande teologo mariano vissuto nel secolo precedente al suo. In particolar modo, gli piaceva ripetere questo pensiero già formulato da Alfonso: «Se si unisce l’amore che tutte le madri portano ai figli, tutti gli sposi alle spose, e tutti i santi e gli angeli ai loro devoti, esso non giunge all’amore che Maria porta ad un’anima sola». Suggeriva pertanto di compiere gesti di devozione semplici ed ancora oggi molto graditi alle anime mariane, come la “visita a Maria”, portarsi cioè dinanzi ad un’immagine della Madonna per manifestare affetto e fiducia in Lei. Al fratello Michele proponeva di recitare quotidianamente il Rosario, che definiva originalmente un “atto di cortesia”, un gesto di gentilezza verso la Madre di Dio. L’autentica devozione mariana, naturalmente, secondo san Gabriele dell’Addolorata, esige la lotta al peccato e l’impegno di una vita virtuosa: Amiamo Maria – scrive – ma non già con qualche devozioncella, e poi crocifiggiamo il suo Figliolo. Sappiamo fare qualche sacrificio anche grande per non disgustare il suo cuore. Il segreto della santità di Gabriele dell’Addolorata consiste nell’aver fatto dimorare il suo cuore, cioè i suoi affetti, le sue speranze e le sue preoccupazioni, nel cuore di Maria. Ed è questo il suo messaggio più consolante: «Non vi è luogo più sicuro per nascondersi del seno di Maria. Entra anche tu nel luogo tranquillo di questo castello». Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net
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maria nei secoli
Gabriele dell’Addolorata e Maria La Chiesa è bella per la bellezza dei santi: come Elisabetta e Gabriele, morti a soli 24 anni. Gabriele fu “convertito” da un invito di Maria. Entrato tra i Passionisti, fu sempre molto devoto della Madonna. Diceva: «Maria è il luogo più sicuro che ci sia». La Chiesa, grazie ai suoi santi, appare sempre bella. Quando i santi sono anche giovani, la Chiesa è bellissima. A 24 anni, conclusero il loro pellegrinaggio terreno una stupenda ragazza francese, la beata Elisabetta della Trinità, ed un ragazzo straordinariamente devoto di Maria, San Gabriele dell’Addolorata. Aveva assunto questo nome dopo essere entrato nella Congregazione religiosa dei Passionisti. Prima si chiamava Francesco, anche se per i suoi familiari era stato sempre “Checchino”.
cessione mariana, mentre seguiva con lo sguardo l’immagine della Madonna, avvertì distintamente una voce che lo esortava: «Segui la tua vocazione».
Da Francesco a Gabriele dell’Addolorata E così con gioia abbracciò la vita consacrata anche se, a causa della morte prematura, non poté diventare sacerdote. Non si pentì mai della scelta fatta, come si evince dalle lettere scritte al padre. In una di essa afferma: «Quanta più dolcezza si prova nell’ora di preghiera dinanzi a Gesù Sacramentato e alla sua Santissima Madre che non in serate intere in teatri e sale illuminate!». In segno di amore alla Madonna volle assumere un nome mariano, composto da quello di Gabriele, come l’Arcangelo che portò l’annuncio della nascita del Figlio di Dio, e di “Addolorata”. Intuì infatti che i dolori di Maria Santissima nella Passione di Cristo l’hanno resa un’Avvocata potente che intercede incessantemente per la salvezza degli uomini. Ecco le sue parole: «Se avremo Maria con noi, avremo tutto; se ci mancherà ella, ci mancherà tutto. Se
Segui la tua vocazione Suo papà ricoprì cariche importanti nell’amministrazione dello Stato Pontificio perché, quando Francesco nacque, in Italia esistevano ancora gli Stati preunitari. Visse infatti dal 1838 al 1862. Era intelligente e avvenente, gli piaceva indossare abiti eleganti e divertirsi in compagnia degli amici, al punto che lo avevano soprannominato “il ballerino”. Tuttavia, di animo buono e generoso, sentiva che il suo cuore rimaneva insoddisfatto e che era chiamato da Dio a compiere altre scelte. Esitò fino a quando, il 22 Agosto 1856, durante una pro-
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Oh quanto sarebbero più tranquilli i nostri sonni, più lieti i nostri giorni, un paradiso insomma il nostro vivere, se ci abbandonassimo completamente nelle mani di Maria (san Gabriele dell’Addolorata).
ci proteggerà Maria, saremo salvi; se ella ci abbandonerà, saremo dannati». Secondo san Gabriele, chi contempla i dolori della Madre può penetrare nel mistero dei dolori del Figlio. In questo senso, egli è stato un autentico teologo: per capire chi è Gesù e che cosa ha fatto per noi, bisogna capire chi è Maria e il suo ruolo nella storia della salvezza.
La gioia cristiana è la nota caratteristica di San Gabriele dell’Addolorata. Cari giovani, diffondetela dove vivete o svolgete la vostra attività (beato Giovanni Paolo II).
Maria, il “luogo” più sicuro Praticò perciò una devozione molto fervorosa alla Madonna ed incoraggiava tutti a seguire gli insegnamenti di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il grande teologo mariano vissuto nel secolo precedente al suo. In particolar modo, gli piaceva ripetere questo pensiero già formulato da Alfonso: «Se si unisce l’amore che tutte le madri portano ai figli, tutti gli sposi alle spose, e tutti i santi e gli angeli ai loro devoti, esso non giunge all’amore che Maria porta ad un’anima sola». Suggeriva pertanto di compiere gesti di devozione semplici ed ancora oggi molto graditi alle anime mariane, come la “visita a Maria”, portarsi cioè dinanzi ad un’immagine della Madonna per manifestare affetto e fiducia in Lei. Al fratello Michele proponeva di recitare quotidianamente il Rosario, che definiva originalmente un “atto di cortesia”, un gesto di gentilezza verso la Madre di Dio. L’autentica devozione mariana, naturalmente, secondo san Gabriele dell’Addolorata, esige la lotta al peccato e l’impegno di una vita virtuosa: Amiamo Maria – scrive – ma non già con qualche devozioncella, e poi crocifiggiamo il suo Figliolo. Sappiamo fare qualche sacrificio anche grande per non disgustare il suo cuore. Il segreto della santità di Gabriele dell’Addolorata consiste nell’aver fatto dimorare il suo cuore, cioè i suoi affetti, le sue speranze e le sue preoccupazioni, nel cuore di Maria. Ed è questo il suo messaggio più consolante: «Non vi è luogo più sicuro per nascondersi del seno di Maria. Entra anche tu nel luogo tranquillo di questo castello». Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net
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maria nei secoli
Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli «Allora anche l’apostolo Tommaso fu trasportato all’improvviso sul monte degli Ulivi e vide il corpo di Maria dirigersi verso il cielo, e si mise a gridare: O madre santa, madre benedetta, madre immacolata! Allora la fascia con cui gli apostoli avevano cinto il corpo della Madonna fu lanciata a Tommaso. Ed egli la prese, la baciò e scese a valle con gli altri discepoli». Così si legge nel vangelo apocrifo Transito della Beata Vergine Maria attribuito a Giuseppe d’Arimatea, composto alcuni secoli dopo i vangeli canonici. Si sa che i vangeli apocrifi sono testi non ispirati e frequentemente contengono storie edificanti e fatti mirabolanti, spesso utilizzati dai predicatori e dagli artisti. La tavola, usualmente denominata Madonna della Cintola, di cui ci stiamo interessando fu dipinta dal pittore toscano Benozzo Gozzoli nel 1450 per la chiesa francescana di San Fortunato a Montefalco in Umbria. L’importante presenza di Benozzo a Montefalco è suffragata anche da un ciclo di affreschi che raccontano la vita di san Francesco con raffigurati i fatti più significativi occorsi al santo di Assisi. La tavola nel 1848 fu donata dai cittadini di Montefalco al papa Pio IX ed è tuttora conservata nei Musei Vaticani. Benozzo Gozzoli utilizzò, e come lui tanti altri prima e dopo, il testo apocrifo per raffigurare un
episodio dell’assunzione di Maria al cielo. Questo dogma è stato definito nel 1950 da Pio XII, ma la tradizione cristiana, spogliata da
16
L’opera tutti i dati fantastici, ha da sempre ritenuto che Maria è stata assunta con il suo corpo accanto al figlio suo risorto.
Gli elementi che costituiscono l’opera sono dei più tradizionali: una tavola centrale, con l’episodio principale, è contenuta entro due lesene corinzie con raffigurati i santi patroni della chiesa e
dell’ordine francescano. In basso, una predella racconta gli episodi principali della vita della Vergine. La scena principale è concepita in modo tale da incentivare la devozione: la Madonna è seduta su un trono di nubi e circondata da una miriade di angeli; alcuni, in primo piano, suonano degli strumenti musicali, gli altri, defilati, sono in atteggiamento di preghiera. Il fondo oro è trattato in modo che sulla superficie siano ricavati raggi che creano il senso della gloria e dello splendore del paradiso cui è destinata la Vergine. Inginocchiato, e proteso verso la madre di Dio, Tommaso tiene un capo del cinto che gli è porto e sostenuto per l’altro capo da Maria; tra i due intercorrono gli sguardi che dicono il significato del dono: è l’estremo saluto all’apostolo che ha la ventura di essere sempre in ritardo. Alcuni elementi naturalistici ambientano la scena: un albero, tenace come la fede di Maria, è piantato tra le rocce, aspre e desolate e in mezzo ad un prato, ricco di tutte le erbe prodotte dalla natura, è collocato il sepolcro dal quale, poco prima, la Madonna ha preso il volo, non vuoto ma pieno di fiori. Sulle due lunghe lesene corinzie laterali sono raffigurati sei santi: quattro francescani (i primi in alto e gli ultimi in basso) intervallati da due santi locali; in ordine san Francesco d’Assisi, san Fortunato in abiti vescovili, san Bernardino da Siena, san Ludovico di Tolosa, san Galgano e sant’Antonio da Padova.
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La predella narra la vita della Vergine nei suoi momenti salienti: ai due estremi la sua nascita e la sua morte e, in successione, il matrimonio con Giuseppe, l’annunciazione, la natività di Gesù e la sua presentazione al tempio. Sono tavolette dipinte con freschezza e con una verve narrativa tipica di Benozzo.
Il pittore Benozzo di Lese di Sandro, soprannominato Gozzoli dal Vasari, era nato a Scandicci nel 1420. Trasferitosi ancora fanciullo a Firenze con la famiglia entrò nella bottega del Beato Angelico e con il maestro partecipò all’impresa della decorazione delle celle dei domenicani nel convento fiorentino di san Marco. Seguì il maestro al lavoro in diverse imprese, a Roma, nella cappella Niccolina in Vaticano, fino ad Orvieto nella decorazione della volta della cappella di san Brizio. Fu successivamente in Umbria, a Montefalco dove realizzò le opere che conosciamo e finalmente a Firenze dove, nel 1459 completò l’opera sua più famosa: la cavalcata dei Magi nella cappella del palazzo Medici. Si trasferì a san Gimignano dove, nell’abside della chiesa di sant’Agostino, dipinse le storie con la vita del Santo. Portò a compimento numerose commissioni per chiese e confraternite di tanti luoghi della toscana: la morte lo colse a Pistoia il 4 ottobre 1497. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net
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maria nei secoli
Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli «Allora anche l’apostolo Tommaso fu trasportato all’improvviso sul monte degli Ulivi e vide il corpo di Maria dirigersi verso il cielo, e si mise a gridare: O madre santa, madre benedetta, madre immacolata! Allora la fascia con cui gli apostoli avevano cinto il corpo della Madonna fu lanciata a Tommaso. Ed egli la prese, la baciò e scese a valle con gli altri discepoli». Così si legge nel vangelo apocrifo Transito della Beata Vergine Maria attribuito a Giuseppe d’Arimatea, composto alcuni secoli dopo i vangeli canonici. Si sa che i vangeli apocrifi sono testi non ispirati e frequentemente contengono storie edificanti e fatti mirabolanti, spesso utilizzati dai predicatori e dagli artisti. La tavola, usualmente denominata Madonna della Cintola, di cui ci stiamo interessando fu dipinta dal pittore toscano Benozzo Gozzoli nel 1450 per la chiesa francescana di San Fortunato a Montefalco in Umbria. L’importante presenza di Benozzo a Montefalco è suffragata anche da un ciclo di affreschi che raccontano la vita di san Francesco con raffigurati i fatti più significativi occorsi al santo di Assisi. La tavola nel 1848 fu donata dai cittadini di Montefalco al papa Pio IX ed è tuttora conservata nei Musei Vaticani. Benozzo Gozzoli utilizzò, e come lui tanti altri prima e dopo, il testo apocrifo per raffigurare un
episodio dell’assunzione di Maria al cielo. Questo dogma è stato definito nel 1950 da Pio XII, ma la tradizione cristiana, spogliata da
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L’opera tutti i dati fantastici, ha da sempre ritenuto che Maria è stata assunta con il suo corpo accanto al figlio suo risorto.
Gli elementi che costituiscono l’opera sono dei più tradizionali: una tavola centrale, con l’episodio principale, è contenuta entro due lesene corinzie con raffigurati i santi patroni della chiesa e
dell’ordine francescano. In basso, una predella racconta gli episodi principali della vita della Vergine. La scena principale è concepita in modo tale da incentivare la devozione: la Madonna è seduta su un trono di nubi e circondata da una miriade di angeli; alcuni, in primo piano, suonano degli strumenti musicali, gli altri, defilati, sono in atteggiamento di preghiera. Il fondo oro è trattato in modo che sulla superficie siano ricavati raggi che creano il senso della gloria e dello splendore del paradiso cui è destinata la Vergine. Inginocchiato, e proteso verso la madre di Dio, Tommaso tiene un capo del cinto che gli è porto e sostenuto per l’altro capo da Maria; tra i due intercorrono gli sguardi che dicono il significato del dono: è l’estremo saluto all’apostolo che ha la ventura di essere sempre in ritardo. Alcuni elementi naturalistici ambientano la scena: un albero, tenace come la fede di Maria, è piantato tra le rocce, aspre e desolate e in mezzo ad un prato, ricco di tutte le erbe prodotte dalla natura, è collocato il sepolcro dal quale, poco prima, la Madonna ha preso il volo, non vuoto ma pieno di fiori. Sulle due lunghe lesene corinzie laterali sono raffigurati sei santi: quattro francescani (i primi in alto e gli ultimi in basso) intervallati da due santi locali; in ordine san Francesco d’Assisi, san Fortunato in abiti vescovili, san Bernardino da Siena, san Ludovico di Tolosa, san Galgano e sant’Antonio da Padova.
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La predella narra la vita della Vergine nei suoi momenti salienti: ai due estremi la sua nascita e la sua morte e, in successione, il matrimonio con Giuseppe, l’annunciazione, la natività di Gesù e la sua presentazione al tempio. Sono tavolette dipinte con freschezza e con una verve narrativa tipica di Benozzo.
Il pittore Benozzo di Lese di Sandro, soprannominato Gozzoli dal Vasari, era nato a Scandicci nel 1420. Trasferitosi ancora fanciullo a Firenze con la famiglia entrò nella bottega del Beato Angelico e con il maestro partecipò all’impresa della decorazione delle celle dei domenicani nel convento fiorentino di san Marco. Seguì il maestro al lavoro in diverse imprese, a Roma, nella cappella Niccolina in Vaticano, fino ad Orvieto nella decorazione della volta della cappella di san Brizio. Fu successivamente in Umbria, a Montefalco dove realizzò le opere che conosciamo e finalmente a Firenze dove, nel 1459 completò l’opera sua più famosa: la cavalcata dei Magi nella cappella del palazzo Medici. Si trasferì a san Gimignano dove, nell’abside della chiesa di sant’Agostino, dipinse le storie con la vita del Santo. Portò a compimento numerose commissioni per chiese e confraternite di tanti luoghi della toscana: la morte lo colse a Pistoia il 4 ottobre 1497. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
la parola qui e ora
Il buon samaritano: compassione, non beneficenza Senza scomodare i Comandamenti divini, non si può non osservare che la società funziona soltanto se ci mettiamo del nostro, se ci impegniamo in prima persona. Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». (Lc 10, 25-37)
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Goso Diego Quattro chiacchiere con Dio. Lo sapevate che Dio si fuma dei sigari grossi così? San Paolo Edizioni 2013, 118 pagine, Euro 10,00
Nel linguaggio di oggi il termine “Samaritano” è tornato in voga. C’è una legge del buon Samaritano che incoraggia a non sprecare i cibi avanzati, destinandoli immediatamente, senza troppa burocrazia, a chi ne ha bisogno. In bioetica si sta discutendo delle “donazioni samaritane” di organi: quelle compiute da un estraneo e non da un consanguineo. Certo, non sprecare il cibo è un’ottima cosa; certo, la donazione di un organo può essere utilissima e magari salvare la vita. Ma è soltanto questo il significato del “buon Samaritano”? I modi in cui si usa il linguaggio, come sanno bene i filosofi e i tiranni, sono decisivi per determinare la realtà. Se ci viene detto che libertà è la possibilità di cambiare continuamente telefono, o scegliere fra tanti canali tv, tutti dello stesso padrone, faticheremo di più a ricordare che libertà significa propriamente essere responsabili della realtà, e partecipare alle decisioni della storia. Così, se il Samaritano diventa un benefattore, come fosse un membro dei Rotary o dei Lions (in assoluto rispettabilissime organizzazioni), forse si per-
de di vista il senso principale delle parole di Gesù. Perché ciò che c’è di indispensabile, di essenziale nella parabola, è la misericordia, la “compassione” - non la beneficenza. La parabola delle “esclusioni incrociate” ci conduce a constatare che, per seguire il Signore, della misericordia non possiamo fare a meno. Altrimenti siamo come il levita e il sacerdote, ben inseriti nella rispettabilità sociale e che dunque escludono un intervento cui non sono obbligati; come i briganti, per definizione esclusi dai benefici e dalle garanzie del mondo ordinato; come l’oste, neutrale più degli Svizzeri. Invece, anche senza scomodare la trascendenza e i comandamenti divini, non si può non osservare che la società funziona soltanto se ci mettiamo del nostro, se ci impegniamo in prima persona. Altrimenti noi stessi finiremo per essere esclusi: magari non dalla rispettabilità, ma certo dal “senso” del vivere.
Agasso Domenico jr.; Agasso Domenico Dopo Cristo. Venti secoli di storia della Chiesa San Paolo Edizioni 2013, 256 pagine, Euro 19,00
Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it
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luglio-agosto 2013
la parola qui e ora
Il buon samaritano: compassione, non beneficenza Senza scomodare i Comandamenti divini, non si può non osservare che la società funziona soltanto se ci mettiamo del nostro, se ci impegniamo in prima persona. Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». (Lc 10, 25-37)
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Goso Diego Quattro chiacchiere con Dio. Lo sapevate che Dio si fuma dei sigari grossi così? San Paolo Edizioni 2013, 118 pagine, Euro 10,00
Nel linguaggio di oggi il termine “Samaritano” è tornato in voga. C’è una legge del buon Samaritano che incoraggia a non sprecare i cibi avanzati, destinandoli immediatamente, senza troppa burocrazia, a chi ne ha bisogno. In bioetica si sta discutendo delle “donazioni samaritane” di organi: quelle compiute da un estraneo e non da un consanguineo. Certo, non sprecare il cibo è un’ottima cosa; certo, la donazione di un organo può essere utilissima e magari salvare la vita. Ma è soltanto questo il significato del “buon Samaritano”? I modi in cui si usa il linguaggio, come sanno bene i filosofi e i tiranni, sono decisivi per determinare la realtà. Se ci viene detto che libertà è la possibilità di cambiare continuamente telefono, o scegliere fra tanti canali tv, tutti dello stesso padrone, faticheremo di più a ricordare che libertà significa propriamente essere responsabili della realtà, e partecipare alle decisioni della storia. Così, se il Samaritano diventa un benefattore, come fosse un membro dei Rotary o dei Lions (in assoluto rispettabilissime organizzazioni), forse si per-
de di vista il senso principale delle parole di Gesù. Perché ciò che c’è di indispensabile, di essenziale nella parabola, è la misericordia, la “compassione” - non la beneficenza. La parabola delle “esclusioni incrociate” ci conduce a constatare che, per seguire il Signore, della misericordia non possiamo fare a meno. Altrimenti siamo come il levita e il sacerdote, ben inseriti nella rispettabilità sociale e che dunque escludono un intervento cui non sono obbligati; come i briganti, per definizione esclusi dai benefici e dalle garanzie del mondo ordinato; come l’oste, neutrale più degli Svizzeri. Invece, anche senza scomodare la trascendenza e i comandamenti divini, non si può non osservare che la società funziona soltanto se ci mettiamo del nostro, se ci impegniamo in prima persona. Altrimenti noi stessi finiremo per essere esclusi: magari non dalla rispettabilità, ma certo dal “senso” del vivere.
Agasso Domenico jr.; Agasso Domenico Dopo Cristo. Venti secoli di storia della Chiesa San Paolo Edizioni 2013, 256 pagine, Euro 19,00
Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it
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luglio-agosto 2013
Giovani in cammino
con te tutto lo stress dal quale dici di voler scappare. Attento a quelle che una volta si chiamavano “occasioni”: evitarle o fuggirle senza discussioni o compromessi.
ca promiscuità? Visto che durante l’anno non c’è nemmeno il tempo per guardarsi un po’ in faccia... approfittarne durante le vacanze è una cosa sana. Smettere di leggere è come spegnere il cervello. Quante volte avremmo voluto leggere qualcosa di intelligente e di formativo. Durante le vacanze mettere in valigia quei libri e poi... leggerli anche!
Qualche paletto utile Per 11 mesi circa hai regolato tutto in maniera quasi maniacale: il lavoro, la scuola e la famiglia esigono un ritmo, un orario, e qui si inserisce anche il proprio cammino religioso. Con le vacanze gli schemi saltano, e anche la fede va a... farsi benedire! Non c’è tempo per il Signore, ti dimentichi di lui. Anzi quasi quasi provi vergogna a mostrarla la tua fede. Tienteli questi spazi sacri, senza che ostacolino i legittimi progetti di svago della tua comitiva.
La fede va in ferie? Spesso, dopo le ferie, si ritorna in chiesa per prendere atto che durante la vacanza non c’è stato posto per la fede e per la frequenza dei sacramenti. Qual è la logica di questo comportamento? La vita spirituale può essere interrotta? Certo, se si vive “a muzzo” la propria religiosità, se si frequenta tanto al chilo o soltanto le domeniche pari, se non c’è un cammino programmato, scandito secondo l’andare dell’anno liturgico, fermandosi spesso e volentieri a fare dei checkup di revisione della propria coscienza e del proprio modo di coniugare nella vita la Parola di Dio... allora non ci si meraviglia di niente, purtroppo!
debito o vendiamo la casa! Proviamo ad elencare qualche punto di non ritorno per non smettere di essere cristiano nel mese di agosto. Cristiano a tempo pieno, senza interruzione. È il punto di partenza per progettare il tuo tempo di riposo e di divertimento. Dovunque vai, qualunque pacchetto turistico scegli non dimenticare l’essenziale. Il passaporto? Nooo... Gesù Cristo! Almeno nelle domeniche. O no?
Approfittare per visitare luoghi interessanti. Si può però riempire ogni vacanza con la visita ai luoghi della fede più vicini: un santuario, una cattedrale, la città di un grande santo, una comunità di religiosi... Un modo semplice per sottolineare che siamo con Cristo anche quando ci si rilassa e ci si diverte.
Un giusto criterio nell’investimento senza eccessi
Una particolare attenzione agli altri. La vacanza come un dovuto per soddisfare il nostro egoismo perché ci meritiamo un po’ di attenzione tutta per noi, e gli altri si arrangino? Ma quanti aspettano soltanto che tu sia più libero perché ti accorga di loro per riempirli di attenzione? Se non durante le vacanze, quando?
Ovviamente non esiste una regola o una soglia sul modello-ferie. Un criterio utile? Evitare gli eccessi, mantenendo un sano equilibrio fra il tenore di vita ordinario e l’investimento-vacanze. Esagerare vuol dire togliersi la possibilità di fare qualcosa per gli altri.
La messa, la confessione, la preghiera personale. Abbiamo sempre la scusa di non aver tempo per pregare, per stare un po’ con Dio. Non siamo uomini di fede senza sacramenti. Chiese ce ne sono ancora in giro. E, pare, anche qualche prete! Approfittiamone prima che la specie si estingua.
E i figli? Fanno e vanno come e dove vogliono? Figli fai-da-te? Far ragionare i figli sulla opportunità di certe comitive è una responsabilità non delegabile. Tollerare o incoraggiare le vacanze congiunte di ragazzi e ragazze sponsorizzando una generi-
Quindi? Amico mio, fa’ in modo di tornare a casa contento di essere rimasto fedele alla tua umanità e fedele a quei principi che fanno di te un figlio di Dio. Fa’ in modo di non doverti vergognare per esserti dimenticato di ciò in cui dici di credere. E prima di partire fai un consiglio di famiglia per dire ciò che non si può assolutamente non fare durante le ferie: il riposo, lo svago, conoscere amici, venire incontro a chi è in difficoltà, rispettare la legge degli uomini e di Dio, costruire relazioni nuove senza svendere le altre, essere in contatto con Dio personalmente e comunitariamente.
Il riposo non è mai ozio. Staccare finalmente! Vuol dire che “bruci” il tuo tempo nel nulla assoluto? È la premessa per l’ozio, il vizio, la trasgressione, il peccato. Conviene una certa disciplina, cioè una scansione del ritmo di vita con tanto di riposo e divertimento, ma sempre vigili e prudenti.
Finalmente le ferie! Quando arrivano le tanto attese ferie si sentono urletti di emozione e di febbricitante agitazione per la partenza. Ovviamente erano già state prenotate mesi e mesi fa, oppure si scelgono last minute. Ma, in qualunque modo, alle ferie non si rinuncia. Sono un sacrosanto diritto: piuttosto facciamo un
Allegria con trasgressione? I nostri padri non andavano in vacanza e non facevano ferie. Ed erano felici e non stressati. Non chiamare riposo o divertimento ciò che sa di confusione, rumore o folla assordante. Non portare
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Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
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Giovani in cammino
con te tutto lo stress dal quale dici di voler scappare. Attento a quelle che una volta si chiamavano “occasioni”: evitarle o fuggirle senza discussioni o compromessi.
ca promiscuità? Visto che durante l’anno non c’è nemmeno il tempo per guardarsi un po’ in faccia... approfittarne durante le vacanze è una cosa sana. Smettere di leggere è come spegnere il cervello. Quante volte avremmo voluto leggere qualcosa di intelligente e di formativo. Durante le vacanze mettere in valigia quei libri e poi... leggerli anche!
Qualche paletto utile Per 11 mesi circa hai regolato tutto in maniera quasi maniacale: il lavoro, la scuola e la famiglia esigono un ritmo, un orario, e qui si inserisce anche il proprio cammino religioso. Con le vacanze gli schemi saltano, e anche la fede va a... farsi benedire! Non c’è tempo per il Signore, ti dimentichi di lui. Anzi quasi quasi provi vergogna a mostrarla la tua fede. Tienteli questi spazi sacri, senza che ostacolino i legittimi progetti di svago della tua comitiva.
La fede va in ferie? Spesso, dopo le ferie, si ritorna in chiesa per prendere atto che durante la vacanza non c’è stato posto per la fede e per la frequenza dei sacramenti. Qual è la logica di questo comportamento? La vita spirituale può essere interrotta? Certo, se si vive “a muzzo” la propria religiosità, se si frequenta tanto al chilo o soltanto le domeniche pari, se non c’è un cammino programmato, scandito secondo l’andare dell’anno liturgico, fermandosi spesso e volentieri a fare dei checkup di revisione della propria coscienza e del proprio modo di coniugare nella vita la Parola di Dio... allora non ci si meraviglia di niente, purtroppo!
debito o vendiamo la casa! Proviamo ad elencare qualche punto di non ritorno per non smettere di essere cristiano nel mese di agosto. Cristiano a tempo pieno, senza interruzione. È il punto di partenza per progettare il tuo tempo di riposo e di divertimento. Dovunque vai, qualunque pacchetto turistico scegli non dimenticare l’essenziale. Il passaporto? Nooo... Gesù Cristo! Almeno nelle domeniche. O no?
Approfittare per visitare luoghi interessanti. Si può però riempire ogni vacanza con la visita ai luoghi della fede più vicini: un santuario, una cattedrale, la città di un grande santo, una comunità di religiosi... Un modo semplice per sottolineare che siamo con Cristo anche quando ci si rilassa e ci si diverte.
Un giusto criterio nell’investimento senza eccessi
Una particolare attenzione agli altri. La vacanza come un dovuto per soddisfare il nostro egoismo perché ci meritiamo un po’ di attenzione tutta per noi, e gli altri si arrangino? Ma quanti aspettano soltanto che tu sia più libero perché ti accorga di loro per riempirli di attenzione? Se non durante le vacanze, quando?
Ovviamente non esiste una regola o una soglia sul modello-ferie. Un criterio utile? Evitare gli eccessi, mantenendo un sano equilibrio fra il tenore di vita ordinario e l’investimento-vacanze. Esagerare vuol dire togliersi la possibilità di fare qualcosa per gli altri.
La messa, la confessione, la preghiera personale. Abbiamo sempre la scusa di non aver tempo per pregare, per stare un po’ con Dio. Non siamo uomini di fede senza sacramenti. Chiese ce ne sono ancora in giro. E, pare, anche qualche prete! Approfittiamone prima che la specie si estingua.
E i figli? Fanno e vanno come e dove vogliono? Figli fai-da-te? Far ragionare i figli sulla opportunità di certe comitive è una responsabilità non delegabile. Tollerare o incoraggiare le vacanze congiunte di ragazzi e ragazze sponsorizzando una generi-
Quindi? Amico mio, fa’ in modo di tornare a casa contento di essere rimasto fedele alla tua umanità e fedele a quei principi che fanno di te un figlio di Dio. Fa’ in modo di non doverti vergognare per esserti dimenticato di ciò in cui dici di credere. E prima di partire fai un consiglio di famiglia per dire ciò che non si può assolutamente non fare durante le ferie: il riposo, lo svago, conoscere amici, venire incontro a chi è in difficoltà, rispettare la legge degli uomini e di Dio, costruire relazioni nuove senza svendere le altre, essere in contatto con Dio personalmente e comunitariamente.
Il riposo non è mai ozio. Staccare finalmente! Vuol dire che “bruci” il tuo tempo nel nulla assoluto? È la premessa per l’ozio, il vizio, la trasgressione, il peccato. Conviene una certa disciplina, cioè una scansione del ritmo di vita con tanto di riposo e divertimento, ma sempre vigili e prudenti.
Finalmente le ferie! Quando arrivano le tanto attese ferie si sentono urletti di emozione e di febbricitante agitazione per la partenza. Ovviamente erano già state prenotate mesi e mesi fa, oppure si scelgono last minute. Ma, in qualunque modo, alle ferie non si rinuncia. Sono un sacrosanto diritto: piuttosto facciamo un
Allegria con trasgressione? I nostri padri non andavano in vacanza e non facevano ferie. Ed erano felici e non stressati. Non chiamare riposo o divertimento ciò che sa di confusione, rumore o folla assordante. Non portare
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Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
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mamme sulle orme di maria
La prima notte di quiete
La Via Crucis di una madre che, come Maria, impotente, segue la figlia in un percorso di sofferenza e autodistruzione. Poi, in fondo al tunnel, una luce.
inespugnabile che la isolasse da quel mondo minaccioso e dalla gente cattiva che lo abitava, una difesa dagli altri ... ma purtroppo non da se stessa. Carla cercò in ogni modo di far breccia in quel muro di sofferenza, di aprire un varco, di rompere quel silenzio. Accompagnò anche la figlia da uno psicologo ma Giada con collaborava, era come distaccata ed assente e giorno dopo giorno si allontanava sempre di più da tutto, da tutti, compresa lei, sua madre. Era diventata la peggior nemica di se stessa: iniziò a non mangiare quasi più, perse peso, divenne magrissima, anoressica, una figurina dolente che girava per casa con gli occhi e il cuore vuoto. Aiutare chi non vuol essere aiutato è difficilissimo: Carla cercò tutte le maniere possibili e trovò aiuto nel pensare alla Madonna che seguì la via Crucis di suo figlio Gesù, ferito nel corpo e nello spirito dalla cattiveria e dall’indifferenza degli uomini. Un figlio tanto amato che Maria potè aiutare solo con la sua addolorata presenza, seguendo a distanza la sua sofferenza sino alla croce, senza po-
Aiutare chi non vuol essere aiutato è difficilissimo: Carla cercò tutte le maniere possibili e trovò aiuto nel pensare alla Madonna che seguì la via Crucis di suo figlio Gesù, ferito nel corpo e nello spirito dalla cattiveria e dall’indifferenza degli uomini ter fare altro, senza poter impedire tutto quel dolore e quell’umiliazione.
Carla sotto la croce... Anche Carla fu spettatrice impotente della rovinosa strada che Giada intraprese: iniziò a non frequentare più la scuola, a restare quasi tutto il giorno fuori casa, a rientrare sempre più tardi la sera e a non tornare a casa per giorni. Infine come molti giovani sofferenti e disorientati, Giada approdò al mondo della droga, a quel miraggio di consolazione che travolge e distrugge e non tornò più a casa. Un dolore profondo e costante divenne il compagno di Carla, un compagno che non la lasciava mai durante il giorno, che le impediva di riposare di notte facendole fare sogni terribili. Dov’era Giada? Cosa le era successo? Ogni telefonata, ogni squillo di campanello erano per Carla come grida di allarme, era sempre in attesa di qualche tremenda notizia. Poi un giorno uno squillo alla porta pose fine alle sue angosciose domande: due poliziotti le annunciarono che Giada era stata arrestata per spaccio di droga. Carla, nel Commissariato di Polizia finalmente rivide sua figlia, segnata dalla vita nel fisico ma con una luce negli occhi che era come una richiesta, un grido di aiuto, una mano protesa. Carla comprese che da quel momento avrebbe potuto aiutarla: avrebbe stretto quella giovane mano per riporla a sé, per tirarla fuori dal baratro. Quella sera tornò a casa un po’ più serena, aveva ritrovato sua figlia e quella notte non avrebbe pensato a dove potesse essere finita, come aveva fatto nelle notti passate. Quella sarebbe stata dopo tanto tempo la prima notte di quiete.
da uno sconosciuto ad entrare nell’androne di una vecchia casa e le era stata usata violenza. Quante volte, purtroppo, Carla avere letto sui giornali o sentito alla televisione di casi di stupro, tante, troppe. Ne era stata scossa, aveva provato sentimenti di rabbia, pena, solidarietà per quelle donne, aveva invocato leggi più severe, ne aveva discusso animatamente con le sue amiche, si era interrogata per capire da che cosa nascesse questa volontà maschile di sopraffare le donne e di umiliarle. Ora era toccato anche a Giada, alla sua Giada, alla sua bambina e lei era lì impietrita, incapace di trovare le parole giuste, i gesti adatti per consolarla: anche lei in quel momento era stata violentata nel suo spirito materno, attraverso quel giovane corpo che aveva tenuto dentro di sé per nove mesi, che aveva protetto, curato, amato nel corso degli anni.
La prima notte di quiete è un film di Valerio Zurlini del 1972, con uno splendido Alain Delon come protagonista: il titolo fa riferimento ad una frase di Goethe in cui la morte è vista come una “notte quieta”, la prima, perché finalmente priva di sogni. Ho scelto questo spunto per il mio articolo non per parlare di morte, ma perché mi è sembrata la migliore sintesi per la storia di Carla. Carla, una donna dalla vita normale, tranquilla, madre di una ragazza di diciassette anni che da un momento all’altro, in un tardo pomeriggio di alcuni anni fa, ha visto andare in mille pezzi il suo mondo. Stava aspettando che sua figlia Giada tornasse da scuola; era un po’ in ritardo ma non era preoccupata perché capitava spesso che la ragazza si fermasse a chiacchierare con le compagne: Giada era allegra, socievole, affettuosa e molto scelta dalle amiche. Quella volta però il ritardo si prolungò un po’ troppo... e quando finalmente sentì suonare il campanello il suo sollievo di Carla durò poco perché si trovò davanti la figlia stravolta e stremata: nel tragitto scuola-casa, con la forza, era stata costretta
Perché non urli? Giada non pianse, non urlo’, non buttò fuori il suo dolore, la sua rabbia, la sua disperazione, si rinchiuse a riccio e come un riccio tirò fuori gli aculei ed iniziò a costruire attorno a sé una fortezza
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Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
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mamme sulle orme di maria
La prima notte di quiete
La Via Crucis di una madre che, come Maria, impotente, segue la figlia in un percorso di sofferenza e autodistruzione. Poi, in fondo al tunnel, una luce.
inespugnabile che la isolasse da quel mondo minaccioso e dalla gente cattiva che lo abitava, una difesa dagli altri ... ma purtroppo non da se stessa. Carla cercò in ogni modo di far breccia in quel muro di sofferenza, di aprire un varco, di rompere quel silenzio. Accompagnò anche la figlia da uno psicologo ma Giada con collaborava, era come distaccata ed assente e giorno dopo giorno si allontanava sempre di più da tutto, da tutti, compresa lei, sua madre. Era diventata la peggior nemica di se stessa: iniziò a non mangiare quasi più, perse peso, divenne magrissima, anoressica, una figurina dolente che girava per casa con gli occhi e il cuore vuoto. Aiutare chi non vuol essere aiutato è difficilissimo: Carla cercò tutte le maniere possibili e trovò aiuto nel pensare alla Madonna che seguì la via Crucis di suo figlio Gesù, ferito nel corpo e nello spirito dalla cattiveria e dall’indifferenza degli uomini. Un figlio tanto amato che Maria potè aiutare solo con la sua addolorata presenza, seguendo a distanza la sua sofferenza sino alla croce, senza po-
Aiutare chi non vuol essere aiutato è difficilissimo: Carla cercò tutte le maniere possibili e trovò aiuto nel pensare alla Madonna che seguì la via Crucis di suo figlio Gesù, ferito nel corpo e nello spirito dalla cattiveria e dall’indifferenza degli uomini ter fare altro, senza poter impedire tutto quel dolore e quell’umiliazione.
Carla sotto la croce... Anche Carla fu spettatrice impotente della rovinosa strada che Giada intraprese: iniziò a non frequentare più la scuola, a restare quasi tutto il giorno fuori casa, a rientrare sempre più tardi la sera e a non tornare a casa per giorni. Infine come molti giovani sofferenti e disorientati, Giada approdò al mondo della droga, a quel miraggio di consolazione che travolge e distrugge e non tornò più a casa. Un dolore profondo e costante divenne il compagno di Carla, un compagno che non la lasciava mai durante il giorno, che le impediva di riposare di notte facendole fare sogni terribili. Dov’era Giada? Cosa le era successo? Ogni telefonata, ogni squillo di campanello erano per Carla come grida di allarme, era sempre in attesa di qualche tremenda notizia. Poi un giorno uno squillo alla porta pose fine alle sue angosciose domande: due poliziotti le annunciarono che Giada era stata arrestata per spaccio di droga. Carla, nel Commissariato di Polizia finalmente rivide sua figlia, segnata dalla vita nel fisico ma con una luce negli occhi che era come una richiesta, un grido di aiuto, una mano protesa. Carla comprese che da quel momento avrebbe potuto aiutarla: avrebbe stretto quella giovane mano per riporla a sé, per tirarla fuori dal baratro. Quella sera tornò a casa un po’ più serena, aveva ritrovato sua figlia e quella notte non avrebbe pensato a dove potesse essere finita, come aveva fatto nelle notti passate. Quella sarebbe stata dopo tanto tempo la prima notte di quiete.
da uno sconosciuto ad entrare nell’androne di una vecchia casa e le era stata usata violenza. Quante volte, purtroppo, Carla avere letto sui giornali o sentito alla televisione di casi di stupro, tante, troppe. Ne era stata scossa, aveva provato sentimenti di rabbia, pena, solidarietà per quelle donne, aveva invocato leggi più severe, ne aveva discusso animatamente con le sue amiche, si era interrogata per capire da che cosa nascesse questa volontà maschile di sopraffare le donne e di umiliarle. Ora era toccato anche a Giada, alla sua Giada, alla sua bambina e lei era lì impietrita, incapace di trovare le parole giuste, i gesti adatti per consolarla: anche lei in quel momento era stata violentata nel suo spirito materno, attraverso quel giovane corpo che aveva tenuto dentro di sé per nove mesi, che aveva protetto, curato, amato nel corso degli anni.
La prima notte di quiete è un film di Valerio Zurlini del 1972, con uno splendido Alain Delon come protagonista: il titolo fa riferimento ad una frase di Goethe in cui la morte è vista come una “notte quieta”, la prima, perché finalmente priva di sogni. Ho scelto questo spunto per il mio articolo non per parlare di morte, ma perché mi è sembrata la migliore sintesi per la storia di Carla. Carla, una donna dalla vita normale, tranquilla, madre di una ragazza di diciassette anni che da un momento all’altro, in un tardo pomeriggio di alcuni anni fa, ha visto andare in mille pezzi il suo mondo. Stava aspettando che sua figlia Giada tornasse da scuola; era un po’ in ritardo ma non era preoccupata perché capitava spesso che la ragazza si fermasse a chiacchierare con le compagne: Giada era allegra, socievole, affettuosa e molto scelta dalle amiche. Quella volta però il ritardo si prolungò un po’ troppo... e quando finalmente sentì suonare il campanello il suo sollievo di Carla durò poco perché si trovò davanti la figlia stravolta e stremata: nel tragitto scuola-casa, con la forza, era stata costretta
Perché non urli? Giada non pianse, non urlo’, non buttò fuori il suo dolore, la sua rabbia, la sua disperazione, si rinchiuse a riccio e come un riccio tirò fuori gli aculei ed iniziò a costruire attorno a sé una fortezza
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Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
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esperienze
Cellule staminali: frontiere e limiti
sideri e previsioni. Anche nella ricerca, la realtà ci pone dei limiti e se l’uomo non li riconosce spesso ne possono derivare grandi danni».
Essere malati e curarsi è un diritto, a cui la medicina cerca di rispondere con strumenti sempre più sofisticati, come le terapie fondate sull’uso delle cellule staminali. Quali sono le loro potenzialità? E quali i rischi? Fino a pochi anni fa erano conosciute soprattutto nell’ambiente della ricerca. Oggi, anche a seguito della risonanza di alcuni fatti di cronaca, si è aperto un profondo dibattito, a tutti i livelli: al centro, sta il loro utilizzo come rimedio per malattie che non hanno a disposizione farmaci efficaci o per i danni a tessuti in organi specifici. Quali sono le reali potenzialità delle “staminali”? Quali, i loro limiti? Per fare chiarezza, ci siamo rivolti al dottor Domenico Coviello, direttore del laboratorio di Genetica Umana all’EO Ospedali Galliera di Genova.
Staminali, queste sconosciute Cosa sono le cellule staminali e da dove originano? «Sono cellule non ancora specializzate. Sono, cioè, allo stadio primitivo, dotate della capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo, fino a diventare specifici organi, attraverso un processo denominato “differenziamento cellulare”. Le cellule staminali per eccellenza derivano dalla prima cellula (zigote) da cui si sviluppa un nuovo individuo,
In pratica, a cosa ci riferiamo?
con l’inizio del differenziamento cellulare, per dare origine a organi e tessuti. Queste prime cellule sono definite “totipotenti” o “cellule staminali embrionali”, perché sono le uniche in grado di dare origine ad un individuo completo. Per utilizzarle, in particolare per la ricerca, l’embrione che si sta sviluppando viene sacrificato, cioè viene disgregato in singole cellule che sono utilizzate per esperimenti di laboratorio». Ci sono altre “staminali”? «Sì, le “cellule staminali adulte”, ma sono differenti. Queste, infatti, non sono più “totipotenti” ma in una fase di differenziamento leggermente più avanzato. Sono definite “pluripotenti”, perché, pur potendosi trasformare, non possono più dare origine a un individuo completo. Queste cellule sono presenti in tutti i tessuti del nostro corpo: servono per generare e, quando serve, riparare i nostri organi e tessuti, che non sono tutti accessibili allo stesso modo: per esempio, il tessuto nervoso è il meno accessibile, mentre il più accessibile è il sangue, e il midollo osseo in cui viene formato. Sono proprio le “cellu-
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le staminali adulte” la maggiore risorsa per le sperimentazioni di “terapia cellulare” nelle malattie prive di farmaci in grado di curarle».
Le nuove frontiere Quali sono le nuove frontiere di questo tipo di medicina? «La possibilità di individuare cellule staminali in tutti i tessuti adulti ha costituito una nuova frontiera che ha aperto moltissimi filoni di ricerca. Si sono ottenuti risultati eccellenti nella riparazione di organi quali gli occhi, con la rigenerazione delle cornee; le corde vocali, ricostruite dopo le-
sioni irreversibili. E, naturalmente, nelle malattie ematologiche, dove l’isolamento delle cellule staminali dal midollo osseo è abbastanza “semplice”. Più complesso, è riparare danni del tessuto nervoso. Sono molti i gruppi di ricerca impegnati in questa sfida, che richiede grande esperienza e grande prudenza. È proprio in questa area che si colloca l’intervento di “Stamina”, che ha suscitato tanta discussione e perplessità».
Confrontarsi con la realtà A proposito del caso “Stami-
na”. Qual è il rapporto con le cure compassionevoli? «Le cure compassionevoli sono definite come terapie in fase avanzata di sperimentazione, dove si è già stabilita la non pericolosità del trattamento su basi scientifiche e comprovate, ma che non ha ancora terminato completamente l’iter di approvazione ufficiale da parte dell’autorità competente. Differente è il caso “Stamina”, in cui il trattamento non è stato reso accessibile alla verifica presso strutture autorizzare a tale scopo. In tutte le sue attività, l’uomo deve confrontarsi con la realtà, che spesso non coincide con de-
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«Per quanto riguarda le “cellule staminali embrionali”, per quanto possano essere affascinati da studiare, poiché contengono tutti i fattori che permettono lo sviluppo di un nuovo individuo, il limite dev’essere di non utilizzarle per ricerca. Tale limite deriva dal riconoscimento del valore della vita umana dalla prima cellula concepita. Per quanto riguarda le “cellule staminali adulte”, il limite non è tanto per la ricerca di laboratorio in vitro, ma per il loro utilizzo terapeutico in vivo. Tale utilizzo, se non verificato attentamente, può recare più danno che beneficio, come purtroppo spesso osservato nell’ultimo ventennio, dove, nei casi peggiori, si sono sviluppati tumori o in altri l’utilizzo non ha avuto nessuna efficacia». Quali sono le regole della ricerca? «Nel settore della terapia in medicina, le scoperte vengono documentate con protocolli resi pubblici (tramite le riviste scientifiche) e i risultati possono essere verificati. Anche l’utilizzo di cellule per la terapia deve seguire quindi regole egualmente severe e controllate». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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esperienze
Cellule staminali: frontiere e limiti
sideri e previsioni. Anche nella ricerca, la realtà ci pone dei limiti e se l’uomo non li riconosce spesso ne possono derivare grandi danni».
Essere malati e curarsi è un diritto, a cui la medicina cerca di rispondere con strumenti sempre più sofisticati, come le terapie fondate sull’uso delle cellule staminali. Quali sono le loro potenzialità? E quali i rischi? Fino a pochi anni fa erano conosciute soprattutto nell’ambiente della ricerca. Oggi, anche a seguito della risonanza di alcuni fatti di cronaca, si è aperto un profondo dibattito, a tutti i livelli: al centro, sta il loro utilizzo come rimedio per malattie che non hanno a disposizione farmaci efficaci o per i danni a tessuti in organi specifici. Quali sono le reali potenzialità delle “staminali”? Quali, i loro limiti? Per fare chiarezza, ci siamo rivolti al dottor Domenico Coviello, direttore del laboratorio di Genetica Umana all’EO Ospedali Galliera di Genova.
Staminali, queste sconosciute Cosa sono le cellule staminali e da dove originano? «Sono cellule non ancora specializzate. Sono, cioè, allo stadio primitivo, dotate della capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo, fino a diventare specifici organi, attraverso un processo denominato “differenziamento cellulare”. Le cellule staminali per eccellenza derivano dalla prima cellula (zigote) da cui si sviluppa un nuovo individuo,
In pratica, a cosa ci riferiamo?
con l’inizio del differenziamento cellulare, per dare origine a organi e tessuti. Queste prime cellule sono definite “totipotenti” o “cellule staminali embrionali”, perché sono le uniche in grado di dare origine ad un individuo completo. Per utilizzarle, in particolare per la ricerca, l’embrione che si sta sviluppando viene sacrificato, cioè viene disgregato in singole cellule che sono utilizzate per esperimenti di laboratorio». Ci sono altre “staminali”? «Sì, le “cellule staminali adulte”, ma sono differenti. Queste, infatti, non sono più “totipotenti” ma in una fase di differenziamento leggermente più avanzato. Sono definite “pluripotenti”, perché, pur potendosi trasformare, non possono più dare origine a un individuo completo. Queste cellule sono presenti in tutti i tessuti del nostro corpo: servono per generare e, quando serve, riparare i nostri organi e tessuti, che non sono tutti accessibili allo stesso modo: per esempio, il tessuto nervoso è il meno accessibile, mentre il più accessibile è il sangue, e il midollo osseo in cui viene formato. Sono proprio le “cellu-
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le staminali adulte” la maggiore risorsa per le sperimentazioni di “terapia cellulare” nelle malattie prive di farmaci in grado di curarle».
Le nuove frontiere Quali sono le nuove frontiere di questo tipo di medicina? «La possibilità di individuare cellule staminali in tutti i tessuti adulti ha costituito una nuova frontiera che ha aperto moltissimi filoni di ricerca. Si sono ottenuti risultati eccellenti nella riparazione di organi quali gli occhi, con la rigenerazione delle cornee; le corde vocali, ricostruite dopo le-
sioni irreversibili. E, naturalmente, nelle malattie ematologiche, dove l’isolamento delle cellule staminali dal midollo osseo è abbastanza “semplice”. Più complesso, è riparare danni del tessuto nervoso. Sono molti i gruppi di ricerca impegnati in questa sfida, che richiede grande esperienza e grande prudenza. È proprio in questa area che si colloca l’intervento di “Stamina”, che ha suscitato tanta discussione e perplessità».
Confrontarsi con la realtà A proposito del caso “Stami-
na”. Qual è il rapporto con le cure compassionevoli? «Le cure compassionevoli sono definite come terapie in fase avanzata di sperimentazione, dove si è già stabilita la non pericolosità del trattamento su basi scientifiche e comprovate, ma che non ha ancora terminato completamente l’iter di approvazione ufficiale da parte dell’autorità competente. Differente è il caso “Stamina”, in cui il trattamento non è stato reso accessibile alla verifica presso strutture autorizzare a tale scopo. In tutte le sue attività, l’uomo deve confrontarsi con la realtà, che spesso non coincide con de-
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«Per quanto riguarda le “cellule staminali embrionali”, per quanto possano essere affascinati da studiare, poiché contengono tutti i fattori che permettono lo sviluppo di un nuovo individuo, il limite dev’essere di non utilizzarle per ricerca. Tale limite deriva dal riconoscimento del valore della vita umana dalla prima cellula concepita. Per quanto riguarda le “cellule staminali adulte”, il limite non è tanto per la ricerca di laboratorio in vitro, ma per il loro utilizzo terapeutico in vivo. Tale utilizzo, se non verificato attentamente, può recare più danno che beneficio, come purtroppo spesso osservato nell’ultimo ventennio, dove, nei casi peggiori, si sono sviluppati tumori o in altri l’utilizzo non ha avuto nessuna efficacia». Quali sono le regole della ricerca? «Nel settore della terapia in medicina, le scoperte vengono documentate con protocolli resi pubblici (tramite le riviste scientifiche) e i risultati possono essere verificati. Anche l’utilizzo di cellule per la terapia deve seguire quindi regole egualmente severe e controllate». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
esperienze
Giacomo Celentano in
“Via d’uscita tour” Ha 46 anni, è figlio di Adriano Celentano e Claudia Mori e dall’età di 23 lavora nel mondo dello spettacolo e della musica.
Per informazioni sul Tour di Giacomo Celentano: Pio Del Duca, tel. 0039 3392302330. www.pddproduzioni.it visione più evangelica della nostra società e del momento storico in cui viviamo». Quali città ospitano il suo tour e che tipo di spettacolo viene offerto al pubblico? «Il Via d’uscita Tour 2013 tocca Eboli, Salerno, Pietrelcina, Rossano, Pompei, Assisi, Potenza, Matera... e si tratta più che di un concerto, di uno spettacolo, dove ci sarà anche lo spazio per la riflessione. E via via potrete trovare notizie più dettagliate sulla pagina Facebook Via d’uscita Tour 2013». A Salerno il concerto di giugno apre la Notte Bianca Week End Salerno nel centro storico della città, a Rossano Scalo (Cs) a maggio lo spettacolo è stato all’insegna del messaggio Progetta con Dio, abita il futuro. Un tour dunque tra la gente, giovani e adulti, per rivelare e testimoniare attraverso la freschezza, l’immediatezza e la gioia che la musica può trasmettere, quanto l’artista scrive sul suo sito:
Giacomo Celentano sta portando nelle piazze d’Italia il Via d’uscita tour con la PDD Produzioni di Pio Del Duca. Non un semplice concerto, ma un’occasione per ascoltare il suo nuovo album e al tempo stesso riflettere sul senso della vita, sul valore della fede. Un’opportunità per cogliere quell’intreccio tra musica e spiritualità che caratterizza l’esperienza dell’artista: un cammino iniziato come cantautore con l’album Dentro il bosco in collaborazione con Mario Lavezzi, segnato negli anni ‘90 dalla malattia, e che nel 2012 ha visto anche l’uscita del libro, La luce oltre il buio scritto con Andrea Pagnini ed edito da Mondadori Piemme. Giacomo, guardando alla sua storia, quali sono i momenti, le situazioni che hanno contribuito a fare di lei un artista che esprime con la musica la sua spiritualità?
«Oggi posso “gridare sopra i tetti” che il senso della mia vita è Cristo. Per me questa è la bella notizia del Vangelo. Noi dobbiamo sforzarci di imitare il Signore Gesù in tutto ciò che facciamo. Dobbiamo testimoniarlo in ogni ambiente in cui ci troviamo. noi, come Maria e come Gesù, dobbiamo offrire ogni istante della nostra vita al Signore, dobbiamo piacere a Dio nelle nostre azioni. Come Gesù e come Maria che vivevano per piacere al Padre, noi dobbiamo preoccuparci di fare la volontà di Dio in tutto. La nostra giornata deve diventare una preghiera continua in parole e opere, gradita a Dio». Siamo nell’Anno della fede, nel suo libro è la fede quella luce che permette di superare l’oscurità della malattia, della solitudine, e così anche nelle sue canzoni: pensa che oggi la musica possa essere una modalità di evangelizzazione?
Sono alcuni dei versi di Fine del mondo, uno dei nove brani del nuovo album Via d’uscita. Parole che trasmettono un esplicito messaggio cristiano, parole non consuete nel panorama musicale giovanile, da cosa nasce questa scelta?
«Io ho cominciato all’età di 23 anni a lavorare come cantautore in una maniera “normale”, senza alcun riferimento alla mia fede, per altro in quel periodo molto fragile. Poi il Signore mi ha chiamato, tramite la sofferenza ad un cambiamento, ad una conversione. Così nel 1997, anche avvalendomi della collaborazione artistica di Roberto Bignoli (cantautore cristiano) e di Mario Ferrara (arrangiatore – chitarrista), ho cominciato a scrivere brani di ispirazione cristiana. Ed è un percorso questo che sto portando avanti su due binari paralleli: da una parte scrivo canzoni pop e dall’altra scrivo canzoni cristiane».
«L’ho sempre creduto, oggi più che mai».
«Questa è una scelta che è iniziata, come ho detto, nel 1997, spinto da un mio desiderio interiore di scrivere anche musica cristiana, ma che con il passare del tempo si sta sempre più radicando nel mio cuore, divenendo una vera e propria vocazione artistica. Voglio mettere i miei talenti artistici a servizio di Dio e del mio prossimo. Ecco perché anche la musica cristiana; credo che la musica sia un meraviglioso linguaggio universale attraverso cui veicolare dei contenuti forti. In particolare Fine del Mondo nasce da una provocazione nei confronti della profezia Maya secondo la quale il 21 Dicembre 2012 sarebbe finito tutto. Io nel testo parto da qui per ampliare il discorso su di una
«Nessuno conosce l’ora e il giorno in cui Dio Padre porrà fine al mondo», «sforziamoci di passare per la porta stretta», «ama e prega».
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A quanti verranno ad ascoltarla nel tour o a chi la scoprirà attraverso Internet (www.giacomocelentano.it) o i social network come Facebook o Twitter, quale messaggio vorrebbe lasciare? «Il messaggio che voglio rivolgere a quanti verranno ad ascoltarmi nei concerti, ma soprattutto ai giovani è questo: facciamo nostre le parole di san Paolo nella Sacra Scrittura, teniamo lo sguardo fisso su Gesù Cristo, consapevoli che rimane Lui, anche in questo scorcio di Terzo Millennio, l’unico Salvatore dell’umanità». Federica Bello redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Giacomo Celentano in
“Via d’uscita tour” Ha 46 anni, è figlio di Adriano Celentano e Claudia Mori e dall’età di 23 lavora nel mondo dello spettacolo e della musica.
Per informazioni sul Tour di Giacomo Celentano: Pio Del Duca, tel. 0039 3392302330. www.pddproduzioni.it visione più evangelica della nostra società e del momento storico in cui viviamo». Quali città ospitano il suo tour e che tipo di spettacolo viene offerto al pubblico? «Il Via d’uscita Tour 2013 tocca Eboli, Salerno, Pietrelcina, Rossano, Pompei, Assisi, Potenza, Matera... e si tratta più che di un concerto, di uno spettacolo, dove ci sarà anche lo spazio per la riflessione. E via via potrete trovare notizie più dettagliate sulla pagina Facebook Via d’uscita Tour 2013». A Salerno il concerto di giugno apre la Notte Bianca Week End Salerno nel centro storico della città, a Rossano Scalo (Cs) a maggio lo spettacolo è stato all’insegna del messaggio Progetta con Dio, abita il futuro. Un tour dunque tra la gente, giovani e adulti, per rivelare e testimoniare attraverso la freschezza, l’immediatezza e la gioia che la musica può trasmettere, quanto l’artista scrive sul suo sito:
Giacomo Celentano sta portando nelle piazze d’Italia il Via d’uscita tour con la PDD Produzioni di Pio Del Duca. Non un semplice concerto, ma un’occasione per ascoltare il suo nuovo album e al tempo stesso riflettere sul senso della vita, sul valore della fede. Un’opportunità per cogliere quell’intreccio tra musica e spiritualità che caratterizza l’esperienza dell’artista: un cammino iniziato come cantautore con l’album Dentro il bosco in collaborazione con Mario Lavezzi, segnato negli anni ‘90 dalla malattia, e che nel 2012 ha visto anche l’uscita del libro, La luce oltre il buio scritto con Andrea Pagnini ed edito da Mondadori Piemme. Giacomo, guardando alla sua storia, quali sono i momenti, le situazioni che hanno contribuito a fare di lei un artista che esprime con la musica la sua spiritualità?
«Oggi posso “gridare sopra i tetti” che il senso della mia vita è Cristo. Per me questa è la bella notizia del Vangelo. Noi dobbiamo sforzarci di imitare il Signore Gesù in tutto ciò che facciamo. Dobbiamo testimoniarlo in ogni ambiente in cui ci troviamo. noi, come Maria e come Gesù, dobbiamo offrire ogni istante della nostra vita al Signore, dobbiamo piacere a Dio nelle nostre azioni. Come Gesù e come Maria che vivevano per piacere al Padre, noi dobbiamo preoccuparci di fare la volontà di Dio in tutto. La nostra giornata deve diventare una preghiera continua in parole e opere, gradita a Dio». Siamo nell’Anno della fede, nel suo libro è la fede quella luce che permette di superare l’oscurità della malattia, della solitudine, e così anche nelle sue canzoni: pensa che oggi la musica possa essere una modalità di evangelizzazione?
Sono alcuni dei versi di Fine del mondo, uno dei nove brani del nuovo album Via d’uscita. Parole che trasmettono un esplicito messaggio cristiano, parole non consuete nel panorama musicale giovanile, da cosa nasce questa scelta?
«Io ho cominciato all’età di 23 anni a lavorare come cantautore in una maniera “normale”, senza alcun riferimento alla mia fede, per altro in quel periodo molto fragile. Poi il Signore mi ha chiamato, tramite la sofferenza ad un cambiamento, ad una conversione. Così nel 1997, anche avvalendomi della collaborazione artistica di Roberto Bignoli (cantautore cristiano) e di Mario Ferrara (arrangiatore – chitarrista), ho cominciato a scrivere brani di ispirazione cristiana. Ed è un percorso questo che sto portando avanti su due binari paralleli: da una parte scrivo canzoni pop e dall’altra scrivo canzoni cristiane».
«L’ho sempre creduto, oggi più che mai».
«Questa è una scelta che è iniziata, come ho detto, nel 1997, spinto da un mio desiderio interiore di scrivere anche musica cristiana, ma che con il passare del tempo si sta sempre più radicando nel mio cuore, divenendo una vera e propria vocazione artistica. Voglio mettere i miei talenti artistici a servizio di Dio e del mio prossimo. Ecco perché anche la musica cristiana; credo che la musica sia un meraviglioso linguaggio universale attraverso cui veicolare dei contenuti forti. In particolare Fine del Mondo nasce da una provocazione nei confronti della profezia Maya secondo la quale il 21 Dicembre 2012 sarebbe finito tutto. Io nel testo parto da qui per ampliare il discorso su di una
«Nessuno conosce l’ora e il giorno in cui Dio Padre porrà fine al mondo», «sforziamoci di passare per la porta stretta», «ama e prega».
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A quanti verranno ad ascoltarla nel tour o a chi la scoprirà attraverso Internet (www.giacomocelentano.it) o i social network come Facebook o Twitter, quale messaggio vorrebbe lasciare? «Il messaggio che voglio rivolgere a quanti verranno ad ascoltarmi nei concerti, ma soprattutto ai giovani è questo: facciamo nostre le parole di san Paolo nella Sacra Scrittura, teniamo lo sguardo fisso su Gesù Cristo, consapevoli che rimane Lui, anche in questo scorcio di Terzo Millennio, l’unico Salvatore dell’umanità». Federica Bello redazione.rivista@ausiliatrice.net
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esperienze
© Carlo Avataneo
I Luoghi dello Spirito
«Là il tempo assume un’altra dimensione», dice affascinato il carmagnolese Carlo Avataneo, artistafreelance per passione. Il riferimento è ai Luoghi dello Spirito in Piemonte, a cui Avataneo ha dedicato una mostra itinerante e un calendario, dal titolo omonimo. Com’è nata l’idea? «Nel 2009, per accompagnare l’ostensione della Sindone nella primavera del 2010. La scelta è ricaduta su luoghi già noti per la storia, l’arte, la collocazione paesaggistica». La mostra si avvale del patrocinio del Comitato per l’Ostensione della Sindone e della Regione Piemonte. È stata riproposta nel 2011 al Lingotto di Torino, in occasione di Italia 150 e nel 2012, ad Alba, per l’appuntamento annuale della stampa cattolica. E il suo viaggio continua. Il percorso è stato condiviso con la Curia di Tori-
no. Sono occorsi sei mesi di preparazione e un anno di lavoro, in cui sono stati coinvolti nove luoghi comunitari e un eremita, frate Francesco, tornato a casa del Padre qualche mese fa, a 85 anni. In alcuni luoghi non era mai entra prima la macchina fotografica. «Mi sono avvicinato in punta di piedi: desideravo stare con loro, condividere i momenti di vita, fotografare le situazioni naturali, mai costruite», spiega ancora il freelance carmagnolese. Cos’è che colpisce di più del “loro mondo”? «Le riflessioni e la preghiera. Ma questo te lo aspetti. Ciò che non ti aspetti è l’eccellenza in ciò che fanno: Novalesa è rinomata per il restauro di libri, Orta san Giulio per il restauro di paramenti e icone. Vivono il lavoro in una prospettiva diversa: come dono di sé agli altri e soprattutto a Dio. E poi, la leggerezza (nel senso di semplicità e genuinità), la gioia. L’attenzione a ciò che per noi non è importante, e viceversa». Perché ha scelto come tema della sua ricerca i luoghi dello spirito? «M’interessava mostrare come vengono vissuti, a distanza di duemila anni, il Santo Volto e i valori espressi dalla Sindone. Questi luoghi non sono impenetrabili, ma sono aperti a chi voglia dedicare del tempo alla meditazione. È il messaggio di una vita alternativa, vissuta con coerenza. Una vita vissuta genuinamente».
Festa di Maria Ausiliatrice
24 maggio 2013
Foto di Mario Notario, Renzo Bussio, Aurora Cicero, Dario Prodan, Edoz, Giuseppe Verde,
Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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© Carlo Avataneo
I Luoghi dello Spirito
«Là il tempo assume un’altra dimensione», dice affascinato il carmagnolese Carlo Avataneo, artistafreelance per passione. Il riferimento è ai Luoghi dello Spirito in Piemonte, a cui Avataneo ha dedicato una mostra itinerante e un calendario, dal titolo omonimo. Com’è nata l’idea? «Nel 2009, per accompagnare l’ostensione della Sindone nella primavera del 2010. La scelta è ricaduta su luoghi già noti per la storia, l’arte, la collocazione paesaggistica». La mostra si avvale del patrocinio del Comitato per l’Ostensione della Sindone e della Regione Piemonte. È stata riproposta nel 2011 al Lingotto di Torino, in occasione di Italia 150 e nel 2012, ad Alba, per l’appuntamento annuale della stampa cattolica. E il suo viaggio continua. Il percorso è stato condiviso con la Curia di Tori-
no. Sono occorsi sei mesi di preparazione e un anno di lavoro, in cui sono stati coinvolti nove luoghi comunitari e un eremita, frate Francesco, tornato a casa del Padre qualche mese fa, a 85 anni. In alcuni luoghi non era mai entra prima la macchina fotografica. «Mi sono avvicinato in punta di piedi: desideravo stare con loro, condividere i momenti di vita, fotografare le situazioni naturali, mai costruite», spiega ancora il freelance carmagnolese. Cos’è che colpisce di più del “loro mondo”? «Le riflessioni e la preghiera. Ma questo te lo aspetti. Ciò che non ti aspetti è l’eccellenza in ciò che fanno: Novalesa è rinomata per il restauro di libri, Orta san Giulio per il restauro di paramenti e icone. Vivono il lavoro in una prospettiva diversa: come dono di sé agli altri e soprattutto a Dio. E poi, la leggerezza (nel senso di semplicità e genuinità), la gioia. L’attenzione a ciò che per noi non è importante, e viceversa». Perché ha scelto come tema della sua ricerca i luoghi dello spirito? «M’interessava mostrare come vengono vissuti, a distanza di duemila anni, il Santo Volto e i valori espressi dalla Sindone. Questi luoghi non sono impenetrabili, ma sono aperti a chi voglia dedicare del tempo alla meditazione. È il messaggio di una vita alternativa, vissuta con coerenza. Una vita vissuta genuinamente».
Festa di Maria Ausiliatrice
24 maggio 2013
Foto di Mario Notario, Renzo Bussio, Aurora Cicero, Dario Prodan, Edoz, Giuseppe Verde,
Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Donna, ecco il tuo figlio!
vocazione del sogno dei 9 anni. Uno degli aspetti che più mi impressiona in questo “racconto di fondazione” è lo stretto vincolo che unisce il Signore Gesù con sua Madre, Maria. Quando Giovannino fa una doppia domanda, la prima relativa all’identità del misterioso Personaggio e la seconda al nome che lo identifica, in entrambi i casi il rimando è a Maria: Ma chi siete voi, che parlate in questo modo? Io sono il Figlio di Colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno. Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome. Il mio nome domandalo a mia Madre. È questa «Donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella», colei che spiega la visione e indica la missione che Dio gli affida: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei».1 Quest’ultima espressione è quanto mai significativa: ricevendo il mandato per mezzo di Maria, Giovannino la identifica come Madre dei giovani più poveri, abbandonati e in pericolo; non solo riceve l’“indicazione del campo di azione e dello scopo per cui lavorare” ma anche del modo, ossia quell’“amorevolezza” che, declinata con ragione e religione, darà vita al metodo che, più avanti, don Bosco chiamerà “preventivo”: «Non colle percosse, ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici».2
Omelia nella Festa di Maria Ausiliatrice
La presenza di Maria nella vita e missione di don Bosco
Carissimi fratelli e sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana e giovani celebriamo oggi con gioia e gratitudine la festa di Maria Ausiliatrice, proprio a casa sua, da dove – come è scritto nell’epigrafe della facciata di questa bellissima basilica costruita dal nostro amato fondatore padre don Bosco – è uscita la sua gloria. Oggi con tutto il mondo salesiano, sparso su 132 paesi del mondo, innalziamo al Signore il nostro inno di lode per le meraviglie operate dalla Madonna in questa nostra famiglia spirituale apostolica e, attraverso noi, in migliaia e migliaia di famiglie e di giovani. Per noi la devozione a Maria Immacolata Ausiliatrice è un elemento costitutivo della nostra vita salesiana, come lo fu per don Bosco.
In effetti, parlare della presenza di Maria nella storia del nostro Padre significa, in pratica, considerare tutta la sua vita. Una sintesi stupenda ci viene offerta dalle Costituzioni dei Salesiani, là dove, all’articolo 8, troviamo tre verbi centrali che inquadrano la presenza materna di Maria nella vita del Fondatore: (Maria) ha indicato a don Bosco il suo campo di azione tra i giovani e l’ha costantemente guidato e sostenuto, specialmente nella fondazione della nostra Società. Ci viene detto, prima di tutto, che Maria «ha indicato a don Bosco il suo campo di azione tra i giovani». Ciò costituisce indubbiamente una rie-
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Donna, ecco il tuo figlio!
vocazione del sogno dei 9 anni. Uno degli aspetti che più mi impressiona in questo “racconto di fondazione” è lo stretto vincolo che unisce il Signore Gesù con sua Madre, Maria. Quando Giovannino fa una doppia domanda, la prima relativa all’identità del misterioso Personaggio e la seconda al nome che lo identifica, in entrambi i casi il rimando è a Maria: Ma chi siete voi, che parlate in questo modo? Io sono il Figlio di Colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno. Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome. Il mio nome domandalo a mia Madre. È questa «Donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella», colei che spiega la visione e indica la missione che Dio gli affida: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei».1 Quest’ultima espressione è quanto mai significativa: ricevendo il mandato per mezzo di Maria, Giovannino la identifica come Madre dei giovani più poveri, abbandonati e in pericolo; non solo riceve l’“indicazione del campo di azione e dello scopo per cui lavorare” ma anche del modo, ossia quell’“amorevolezza” che, declinata con ragione e religione, darà vita al metodo che, più avanti, don Bosco chiamerà “preventivo”: «Non colle percosse, ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici».2
Omelia nella Festa di Maria Ausiliatrice
La presenza di Maria nella vita e missione di don Bosco
Carissimi fratelli e sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana e giovani celebriamo oggi con gioia e gratitudine la festa di Maria Ausiliatrice, proprio a casa sua, da dove – come è scritto nell’epigrafe della facciata di questa bellissima basilica costruita dal nostro amato fondatore padre don Bosco – è uscita la sua gloria. Oggi con tutto il mondo salesiano, sparso su 132 paesi del mondo, innalziamo al Signore il nostro inno di lode per le meraviglie operate dalla Madonna in questa nostra famiglia spirituale apostolica e, attraverso noi, in migliaia e migliaia di famiglie e di giovani. Per noi la devozione a Maria Immacolata Ausiliatrice è un elemento costitutivo della nostra vita salesiana, come lo fu per don Bosco.
In effetti, parlare della presenza di Maria nella storia del nostro Padre significa, in pratica, considerare tutta la sua vita. Una sintesi stupenda ci viene offerta dalle Costituzioni dei Salesiani, là dove, all’articolo 8, troviamo tre verbi centrali che inquadrano la presenza materna di Maria nella vita del Fondatore: (Maria) ha indicato a don Bosco il suo campo di azione tra i giovani e l’ha costantemente guidato e sostenuto, specialmente nella fondazione della nostra Società. Ci viene detto, prima di tutto, che Maria «ha indicato a don Bosco il suo campo di azione tra i giovani». Ciò costituisce indubbiamente una rie-
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In questa stessa prospettiva, anche se vent’anni dopo (1844), troviamo un sogno simile. Si presenta nuovamente Maria, sotto forma di una bella Pastorella che, mentre indica il campo della missione, suggerisce anche al giovane sacerdote il metodo per realizzare, in compagnia di altri collaboratori, questa missione. «Allora mi accorsi che quattro quinti di quegli animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli. Ma essi fermavansi poco e tosto partivano. Allora succedette una meraviglia. Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che crescendo prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero e andavano altrove per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili».3 Vorrei sottolineare, in questo testo, ciò che costituisce il “metodo tipicamente salesiano” di promozione vocazionale. Per noi, l’indicazione proviene dalla stessa Madre di Dio: “convertire alcune delle pecorelle in pastori”. Basta ricordare quel che segnalavo in occasione del 150° della fondazione della Congregazione: quasi tutti i giovani riuniti attorno al Fondatore rispondevano a quel “profilo” che Maria aveva indicato a don Bosco 15 anni prima. «È una certezza: la Congregazione Salesiana è stata fondata e si è dilatata coinvolgendo giovani, che si lasciarono convincere dalla passione apostolica di don Bosco e dal suo sogno di vita. Ciò spiega la tenacia (che a taluni pareva testardaggine) con cui don Bosco applicava tale metodo, inusuale a quei tempi, quello cioè di attingere i futuri collaboratori dai giovani stessi, formandoli con cura del tutto particolare». In intimo rapporto con l’azione mariana indicata dal primo verbo, troviamo nel testo costituzionale gli altri due: lo guidò e lo sostenne. Questa endiadi si può comprendere in rapporto alle due dimensioni fondamentali della persona: l’intelligenza e la volontà. Maria è la Madre e Maestra che illumina l’intelligenza di Giovannino, affinché possa comprendere progressivamente, e ogni volta a un livello più profondo (intus-legere), in che cosa consiste la sua missione («A suo tempo tutto comprenderai»), fino ad arrivare al momento commovente in cui, celebrando l’Eucaristia nella Basilica del Sacro Cuore a Roma, confesserà: «Ora capisco tutto». D’altra parte, Maria lo sostenne du-
Altre fotografie si trovano sul sito www.donbosco-torino.it
rante tutta la sua vita, rinvigorendo la sua volontà affinché diventasse sempre più “forte e robusto”: altrimenti non avrebbe potuto sopportare il peso e la durezza di quella missione.
L’accoglienza di Maria da parte di don Bosco Possiamo inoltre meditare sulla presenza di Maria nella vita di don Bosco considerando i titoli che egli ha voluto privilegiare: immacolata - ausiliatrice. L’unione di questi due titoli non è casuale e meno di meno indifferente, giacché il nostro amore a Dio è inseparabile dall’amore e dal servizio ai fratelli e sorelle, specialmente ai giovani a cui il Signore ci invia.
IV
Immacolata
l’Immacolata diede origine all’Opera Salesiana: l’8 dicembre 1841, nell’importante incontro tra don Bosco e Bartolomeo Garelli, e l’“Ave Maria” con cui “tutto ebbe inizio”. Conviene ricordare, inoltre, come è stato vissuto, all’Oratorio, lo straordinario avvenimento della dichiarazione del dogma dell’Immacolata Concezione. «Aveva fervorosamente pregato, aveva celebrato messe per affrettare la grazia di questa definizione dogmatica, che da lungo tempo desiderava; e continuò a pregare e a ringraziare il Signore per aver così glorificata in terra la Regina degli Angeli e degli uomini. La festa dell’Immacolata divenne la sua prediletta, benché con grande solennità continuasse a celebrare quella di Maria Assunta in cielo».5
Come ho detto in altra occasione, «sulla cupola del santuario di Maria Ausiliatrice si trova una bella statua dell’Immacolata. L’Immacolata all’esterno e l’Ausiliatrice all’interno. Sono i due titoli con cui don Bosco ha voluto onorare la Madonna, perché tutti e due hanno a che vedere con il suo carisma e la sua missione: la salvezza dei giovani attraverso un’educazione integrale».4 È bene ricordare il significato e l’importanza che il titolo di “Immacolata” ha per don Bosco. Il dogma fu proclamato durante la sua vita, l’8 dicembre 1854, ma è certo che il riferimento all’Immacolata era già presente nella pietà popolare. Fu proprio alcuni anni prima della solenne proclamazione che
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In questa stessa prospettiva, anche se vent’anni dopo (1844), troviamo un sogno simile. Si presenta nuovamente Maria, sotto forma di una bella Pastorella che, mentre indica il campo della missione, suggerisce anche al giovane sacerdote il metodo per realizzare, in compagnia di altri collaboratori, questa missione. «Allora mi accorsi che quattro quinti di quegli animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli. Ma essi fermavansi poco e tosto partivano. Allora succedette una meraviglia. Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che crescendo prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero e andavano altrove per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili».3 Vorrei sottolineare, in questo testo, ciò che costituisce il “metodo tipicamente salesiano” di promozione vocazionale. Per noi, l’indicazione proviene dalla stessa Madre di Dio: “convertire alcune delle pecorelle in pastori”. Basta ricordare quel che segnalavo in occasione del 150° della fondazione della Congregazione: quasi tutti i giovani riuniti attorno al Fondatore rispondevano a quel “profilo” che Maria aveva indicato a don Bosco 15 anni prima. «È una certezza: la Congregazione Salesiana è stata fondata e si è dilatata coinvolgendo giovani, che si lasciarono convincere dalla passione apostolica di don Bosco e dal suo sogno di vita. Ciò spiega la tenacia (che a taluni pareva testardaggine) con cui don Bosco applicava tale metodo, inusuale a quei tempi, quello cioè di attingere i futuri collaboratori dai giovani stessi, formandoli con cura del tutto particolare». In intimo rapporto con l’azione mariana indicata dal primo verbo, troviamo nel testo costituzionale gli altri due: lo guidò e lo sostenne. Questa endiadi si può comprendere in rapporto alle due dimensioni fondamentali della persona: l’intelligenza e la volontà. Maria è la Madre e Maestra che illumina l’intelligenza di Giovannino, affinché possa comprendere progressivamente, e ogni volta a un livello più profondo (intus-legere), in che cosa consiste la sua missione («A suo tempo tutto comprenderai»), fino ad arrivare al momento commovente in cui, celebrando l’Eucaristia nella Basilica del Sacro Cuore a Roma, confesserà: «Ora capisco tutto». D’altra parte, Maria lo sostenne du-
Altre fotografie si trovano sul sito www.donbosco-torino.it
rante tutta la sua vita, rinvigorendo la sua volontà affinché diventasse sempre più “forte e robusto”: altrimenti non avrebbe potuto sopportare il peso e la durezza di quella missione.
L’accoglienza di Maria da parte di don Bosco Possiamo inoltre meditare sulla presenza di Maria nella vita di don Bosco considerando i titoli che egli ha voluto privilegiare: immacolata - ausiliatrice. L’unione di questi due titoli non è casuale e meno di meno indifferente, giacché il nostro amore a Dio è inseparabile dall’amore e dal servizio ai fratelli e sorelle, specialmente ai giovani a cui il Signore ci invia.
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Immacolata
l’Immacolata diede origine all’Opera Salesiana: l’8 dicembre 1841, nell’importante incontro tra don Bosco e Bartolomeo Garelli, e l’“Ave Maria” con cui “tutto ebbe inizio”. Conviene ricordare, inoltre, come è stato vissuto, all’Oratorio, lo straordinario avvenimento della dichiarazione del dogma dell’Immacolata Concezione. «Aveva fervorosamente pregato, aveva celebrato messe per affrettare la grazia di questa definizione dogmatica, che da lungo tempo desiderava; e continuò a pregare e a ringraziare il Signore per aver così glorificata in terra la Regina degli Angeli e degli uomini. La festa dell’Immacolata divenne la sua prediletta, benché con grande solennità continuasse a celebrare quella di Maria Assunta in cielo».5
Come ho detto in altra occasione, «sulla cupola del santuario di Maria Ausiliatrice si trova una bella statua dell’Immacolata. L’Immacolata all’esterno e l’Ausiliatrice all’interno. Sono i due titoli con cui don Bosco ha voluto onorare la Madonna, perché tutti e due hanno a che vedere con il suo carisma e la sua missione: la salvezza dei giovani attraverso un’educazione integrale».4 È bene ricordare il significato e l’importanza che il titolo di “Immacolata” ha per don Bosco. Il dogma fu proclamato durante la sua vita, l’8 dicembre 1854, ma è certo che il riferimento all’Immacolata era già presente nella pietà popolare. Fu proprio alcuni anni prima della solenne proclamazione che
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luglio-agosto 2013
e la vita di comunità, nell’esercizio di una carità che sa farsi amare» (Cost 20). Se Dio previene ogni creatura col suo Amore provvido, ciò si è realizzato in forma piena in Maria, la “piena di grazia”. “Grazia” è anzitutto Dio stesso; ma questa espressione può anche sottolineare la pienezza della gratuità dell’Amore di Dio in Maria. In questo senso, è bello poter contemplarla, Immacolata, come “il frutto più perfetto del sistema preveniente/preventivo di Dio”.
«In quello stesso 8 dicembre del 1885 il nostro Padre affermò che “di tutto noi siamo debitori a Maria” e che “tutte le nostre cose più grandi ebbero principio e compimento nel giorno dell’Immacolata”».6 Ma non è solo una coincidenza storica o dogmatica quella che sottolinea il rapporto tra il titolo di “Immacolata” e don Bosco. Alla base troviamo un elemento fondamentale del “Sistema Preventivo” che non è tanto una geniale intuizione pedagogica, quanto un «attingere alla carità di Dio che previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita». Per questo «don Bosco ce lo trasmette come modo di vivere e di lavorare (…). Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali
Ausiliatrice Quanto al titolo di “Ausiliatrice” (che appare nel Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium, unito a quello di “Madre della Chiesa”), sappiamo l’importanza che aveva per don Bosco. Diceva don Egidio
VI
Viganò: «C’è poi una ragione dedotta da un aspetto caratteristico della devozione stessa all’Ausiliatrice: si tratta di una dimensione mariana che è, per natura, fatta appunto per i tempi difficili. Don Bosco stesso lo manifestava a don Cagliero con quella famosa affermazione: “La Madonna vuole che noi la onoriamo sotto il titolo di Auxilium Christianorum: i tempi corrono così tristi che abbiamo proprio bisogno che la Vergine Santissima ci aiuti a conservare e difendere la fede cristiana”».7 Certo, le difficoltà del nostro tempo sono molto diverse da quelle che dovette affrontare il nostro Padre; ma diverse, per molti aspetti, anche da quelle che s’impongono a noi oggi: i tempi cambiano a ritmo vertiginoso, ed altrettanto la cultura giovanile con cui dobbiamo, ogni giorno, confrontarci. Una
cosa però occorre sottolineare: invocando Maria con questo titolo, non pretendiamo che ci aiuti e ci difenda ‘contro’ nessuno. Questo, però, non ci porta ad ignorare tante situazioni negative e tanti problemi inquietanti; per far fronte a ciò chiediamo il suo aiuto e la sua protezione, specialmente quando ci opponiamo al male, al peccato, alla “cultura di morte” così opposta alla vita di cui Maria, come donna e come madre, è simbolo trasparente e potente protettrice. Insieme alla gioia di poter constatare nelle diverse regioni del mondo la vitalità del nostro carisma e i suoi benefici effetti, affiora la tristezza nel considerare le devastazioni provocate da quelle potenze negative che, per mezzo di azioni, persone, strutture e istituzioni – espressioni tutte del mysterium iniquitatis – attentano alla felicità e compromettono la salvezza dei nostri giovani, specialmente di quelli meno protetti. È soprattutto a loro favore che chiediamo a Maria di essere Madre e Aiuto, “volto materno dell’Amore di Dio”. Possiamo approfondire questo titolo, cercando un’analogia con quello dell’Immacolata. Se la definizione dell’Immacolata Concezione riafferma, a livello dogmatico, tutto ciò che significa per don Bosco il Sistema Preventivo, non sarebbe esagerato scoprire, nel dogma dell’Assunzione di Maria, proclamato da Papa Pio XII nel 1950, uno stretto rapporto col titolo di “Ausiliatrice”. Possiamo ritenere che l’Assunzione di Maria segni l’inizio della sua protezione e del suo aiuto materno a favore di tutti i cristiani, anzi, di tutti gli uomini e le donne del mondo. Questo modo di considerarla, oltre a collegare la nostra devozione a Maria attraverso i titoli di Immacolata-Ausiliatrice al Magistero della Chiesa, ci permette di comprendere perché, per don Bosco, quella dell’Assunzione fosse una delle sue feste predilette, come indicava il testo delle Memorie dell’Oratorio, e questo non solo per la coincidenza (più simbolica che cronologicamente esatta) con la sua nascita, ma per il suo rapporto col titolo di “Ausiliatrice” ed il significato della sua devozione. Cari fratelli e sorelle, carissimi giovani, questa maternità di Maria Ausiliatrice si rende visibile nella nuova primavera che sta vivendo la Chiesa sotto il pontificato di Papa Francesco. Egli ci ha invitato – sin dall’inizio del suo ministero petrino – a porre Cristo Crocefisso al centro della nostra vita cristia-
VII
luglio-agosto 2013
e la vita di comunità, nell’esercizio di una carità che sa farsi amare» (Cost 20). Se Dio previene ogni creatura col suo Amore provvido, ciò si è realizzato in forma piena in Maria, la “piena di grazia”. “Grazia” è anzitutto Dio stesso; ma questa espressione può anche sottolineare la pienezza della gratuità dell’Amore di Dio in Maria. In questo senso, è bello poter contemplarla, Immacolata, come “il frutto più perfetto del sistema preveniente/preventivo di Dio”.
«In quello stesso 8 dicembre del 1885 il nostro Padre affermò che “di tutto noi siamo debitori a Maria” e che “tutte le nostre cose più grandi ebbero principio e compimento nel giorno dell’Immacolata”».6 Ma non è solo una coincidenza storica o dogmatica quella che sottolinea il rapporto tra il titolo di “Immacolata” e don Bosco. Alla base troviamo un elemento fondamentale del “Sistema Preventivo” che non è tanto una geniale intuizione pedagogica, quanto un «attingere alla carità di Dio che previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita». Per questo «don Bosco ce lo trasmette come modo di vivere e di lavorare (…). Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali
Ausiliatrice Quanto al titolo di “Ausiliatrice” (che appare nel Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium, unito a quello di “Madre della Chiesa”), sappiamo l’importanza che aveva per don Bosco. Diceva don Egidio
VI
Viganò: «C’è poi una ragione dedotta da un aspetto caratteristico della devozione stessa all’Ausiliatrice: si tratta di una dimensione mariana che è, per natura, fatta appunto per i tempi difficili. Don Bosco stesso lo manifestava a don Cagliero con quella famosa affermazione: “La Madonna vuole che noi la onoriamo sotto il titolo di Auxilium Christianorum: i tempi corrono così tristi che abbiamo proprio bisogno che la Vergine Santissima ci aiuti a conservare e difendere la fede cristiana”».7 Certo, le difficoltà del nostro tempo sono molto diverse da quelle che dovette affrontare il nostro Padre; ma diverse, per molti aspetti, anche da quelle che s’impongono a noi oggi: i tempi cambiano a ritmo vertiginoso, ed altrettanto la cultura giovanile con cui dobbiamo, ogni giorno, confrontarci. Una
cosa però occorre sottolineare: invocando Maria con questo titolo, non pretendiamo che ci aiuti e ci difenda ‘contro’ nessuno. Questo, però, non ci porta ad ignorare tante situazioni negative e tanti problemi inquietanti; per far fronte a ciò chiediamo il suo aiuto e la sua protezione, specialmente quando ci opponiamo al male, al peccato, alla “cultura di morte” così opposta alla vita di cui Maria, come donna e come madre, è simbolo trasparente e potente protettrice. Insieme alla gioia di poter constatare nelle diverse regioni del mondo la vitalità del nostro carisma e i suoi benefici effetti, affiora la tristezza nel considerare le devastazioni provocate da quelle potenze negative che, per mezzo di azioni, persone, strutture e istituzioni – espressioni tutte del mysterium iniquitatis – attentano alla felicità e compromettono la salvezza dei nostri giovani, specialmente di quelli meno protetti. È soprattutto a loro favore che chiediamo a Maria di essere Madre e Aiuto, “volto materno dell’Amore di Dio”. Possiamo approfondire questo titolo, cercando un’analogia con quello dell’Immacolata. Se la definizione dell’Immacolata Concezione riafferma, a livello dogmatico, tutto ciò che significa per don Bosco il Sistema Preventivo, non sarebbe esagerato scoprire, nel dogma dell’Assunzione di Maria, proclamato da Papa Pio XII nel 1950, uno stretto rapporto col titolo di “Ausiliatrice”. Possiamo ritenere che l’Assunzione di Maria segni l’inizio della sua protezione e del suo aiuto materno a favore di tutti i cristiani, anzi, di tutti gli uomini e le donne del mondo. Questo modo di considerarla, oltre a collegare la nostra devozione a Maria attraverso i titoli di Immacolata-Ausiliatrice al Magistero della Chiesa, ci permette di comprendere perché, per don Bosco, quella dell’Assunzione fosse una delle sue feste predilette, come indicava il testo delle Memorie dell’Oratorio, e questo non solo per la coincidenza (più simbolica che cronologicamente esatta) con la sua nascita, ma per il suo rapporto col titolo di “Ausiliatrice” ed il significato della sua devozione. Cari fratelli e sorelle, carissimi giovani, questa maternità di Maria Ausiliatrice si rende visibile nella nuova primavera che sta vivendo la Chiesa sotto il pontificato di Papa Francesco. Egli ci ha invitato – sin dall’inizio del suo ministero petrino – a porre Cristo Crocefisso al centro della nostra vita cristia-
VII
luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
Festa di Maria Ausiliatrice 24 maggio 2013 più ha bisogno, nel caso nostro i giovani e, fra essi, i più poveri, bisognosi e a rischio. Affidiamoci a Maria Immacolata Ausiliatrice perché ci conceda la grazia di saper accogliere lo Spirito che il Signore ha inviato su di noi e a lasciarci guidare da Lui, perché compia in noi le meraviglie operate in Lei. Amen. Don Pascual Chávez Villanueva Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco
1 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, a cura di Aldo Giraudo, LAS-Roma, 2011, p. 62-63. 2 Ibidem. 3 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, o.c. p. 134. 4 Pascual Chávez, “L’Immacolata e Don Bosco” in: Sacro Cuore, Bologna, dicembre 2011. 5 G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche di don Giovanni Bosco (MB) V, 152. In questo capitolo, D.Lemoyne presenta una bella sintesi della devozione di Don Bosco a Maria (pp.151-156). 6 Egidio Viganò, “Il testo rinnovato della nostra Regola di vita”, ACG n.. 312 (1984) p. 35-36 [ cf. Lettere Circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani, II, , Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, p. 582 ] 7 Egidio Viganò, “Maria rinnova la Famiglia Salesiana di Don Bosco”, ACS n. 289 (1978), p. 11 [ cf. Lettere Circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani I, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, p. 8 ]
na e della nostra attività, con lo Spirito Santo come principale protagonista della storia, trasformando la Chiesa in una Chiesa missionaria, che cammina, edifica e confessa, uscendo da sé per andare alle frontiere geografiche, culturali ed esistenziali, non pretendendo di forzare il mondo ad entrare in essa come essa è, bensì accettando il mondo come questo è, guardandolo e avvicinandolo con una immensa simpatia, misericordia e tenerezza, perché la Chiesa, come la luna, non brilla con luce propria ma rispecchia la luce che le viene da Cristo, come alla luna dal sole. Il mio più profondo desiderio è vedere tutta la Congregazione e l’intera Famiglia Salesiana entrando nella novità dello Spirito tornando all’essenziale, uscendo da noi stessi per andare all’incontro di chi
VIII
Dal Sacro Monte di Varallo le patate della zingara Dagli antichi culti pagani al Cristianesimo, al monte, inteso come anello di congiunzione fra terra e cielo, è legata una forte simbologia religiosa. Su un monte Mosè ha ricevuto le Tavole della Legge. Su un monte Gesù ha svelato la propria divinità con la trasfigurazione ed ha presentato la novità delle beatitudini. E sul monte Calvario è morto per salvare l’umanità. Padre Bernardino Caimi aveva cercato un complesso montuoso per edificare in Europa la Nuova Gerusalemme, e lo aveva trovato sulle alture che circondano Varallo Sesia. La costruzione iniziò nel 1486 con il progetto di tre nuclei ideali, legati alla narrazione evangelica: Nazareth, Gerusalemme, Betlemme. L’idea si sviluppò nella seconda metà del Cinquecento, grazie all’intervento di San Carlo Borromeo, con l’edificazione di una serie di cappelle che riproducevano cronologicamente le tappe salienti della vita di Cristo. Particolare rilievo fu dato al racconto della Passione e della morte, con la ricostruzione del palazzo di Pilato e della Scala Santa, riproducente quella romana di san Giovanni in Laterano. Grazie anche al finanziamento dei Savoia, nel 1614 fu iniziata la costruzione della Basilica dell’Assunta, completata nel 1713. Oggi il complesso consta della Basilica e di 45 cappelle, sparse nel grandioso scenario della Riserva Naturale speciale, con ben 800 statue di legno e terracotta policroma. Al complesso sacro di Varallo sono legate varie leggende, come quella secondo cui san Carlo Borromeo, nella cappella del Santo Sepolcro, avrebbe avuto la rivelazione della data della propria morte. Un leggenda più profana racconta di una zingara che in tempi di fame mendicava nei casolari di montagna qualche sacco di patate, regalando in cambio una golosa ricetta appresa da antenati tzigani. Ecco “le patate della zingara”.
Ingredienti: 1 kg di patate, ½ bicchiere di olio, un trito di erbe aromatiche con rosmarino, alloro, salvia. Sbucciare e tagliare a pezzi le patate, condirle con olio, sale e il trito di erbe. Sistemarle in una pirofila e coprirle con un canovaccio da cucina inzuppato d’acqua e strizzato. Coprire il recipiente e cuocere in forno a 150° per un’ora. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
• 1 kg di patate • ½ bicchiere di olio • 1 trito di rosmarino, alloro e salvia • 1 manciata di uva passa, pinoli Infornare a 150 gradi per 60 minuti
29
luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
Festa di Maria Ausiliatrice 24 maggio 2013 più ha bisogno, nel caso nostro i giovani e, fra essi, i più poveri, bisognosi e a rischio. Affidiamoci a Maria Immacolata Ausiliatrice perché ci conceda la grazia di saper accogliere lo Spirito che il Signore ha inviato su di noi e a lasciarci guidare da Lui, perché compia in noi le meraviglie operate in Lei. Amen. Don Pascual Chávez Villanueva Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco
1 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, a cura di Aldo Giraudo, LAS-Roma, 2011, p. 62-63. 2 Ibidem. 3 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, o.c. p. 134. 4 Pascual Chávez, “L’Immacolata e Don Bosco” in: Sacro Cuore, Bologna, dicembre 2011. 5 G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche di don Giovanni Bosco (MB) V, 152. In questo capitolo, D.Lemoyne presenta una bella sintesi della devozione di Don Bosco a Maria (pp.151-156). 6 Egidio Viganò, “Il testo rinnovato della nostra Regola di vita”, ACG n.. 312 (1984) p. 35-36 [ cf. Lettere Circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani, II, , Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, p. 582 ] 7 Egidio Viganò, “Maria rinnova la Famiglia Salesiana di Don Bosco”, ACS n. 289 (1978), p. 11 [ cf. Lettere Circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani I, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, p. 8 ]
na e della nostra attività, con lo Spirito Santo come principale protagonista della storia, trasformando la Chiesa in una Chiesa missionaria, che cammina, edifica e confessa, uscendo da sé per andare alle frontiere geografiche, culturali ed esistenziali, non pretendendo di forzare il mondo ad entrare in essa come essa è, bensì accettando il mondo come questo è, guardandolo e avvicinandolo con una immensa simpatia, misericordia e tenerezza, perché la Chiesa, come la luna, non brilla con luce propria ma rispecchia la luce che le viene da Cristo, come alla luna dal sole. Il mio più profondo desiderio è vedere tutta la Congregazione e l’intera Famiglia Salesiana entrando nella novità dello Spirito tornando all’essenziale, uscendo da noi stessi per andare all’incontro di chi
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Dal Sacro Monte di Varallo le patate della zingara Dagli antichi culti pagani al Cristianesimo, al monte, inteso come anello di congiunzione fra terra e cielo, è legata una forte simbologia religiosa. Su un monte Mosè ha ricevuto le Tavole della Legge. Su un monte Gesù ha svelato la propria divinità con la trasfigurazione ed ha presentato la novità delle beatitudini. E sul monte Calvario è morto per salvare l’umanità. Padre Bernardino Caimi aveva cercato un complesso montuoso per edificare in Europa la Nuova Gerusalemme, e lo aveva trovato sulle alture che circondano Varallo Sesia. La costruzione iniziò nel 1486 con il progetto di tre nuclei ideali, legati alla narrazione evangelica: Nazareth, Gerusalemme, Betlemme. L’idea si sviluppò nella seconda metà del Cinquecento, grazie all’intervento di San Carlo Borromeo, con l’edificazione di una serie di cappelle che riproducevano cronologicamente le tappe salienti della vita di Cristo. Particolare rilievo fu dato al racconto della Passione e della morte, con la ricostruzione del palazzo di Pilato e della Scala Santa, riproducente quella romana di san Giovanni in Laterano. Grazie anche al finanziamento dei Savoia, nel 1614 fu iniziata la costruzione della Basilica dell’Assunta, completata nel 1713. Oggi il complesso consta della Basilica e di 45 cappelle, sparse nel grandioso scenario della Riserva Naturale speciale, con ben 800 statue di legno e terracotta policroma. Al complesso sacro di Varallo sono legate varie leggende, come quella secondo cui san Carlo Borromeo, nella cappella del Santo Sepolcro, avrebbe avuto la rivelazione della data della propria morte. Un leggenda più profana racconta di una zingara che in tempi di fame mendicava nei casolari di montagna qualche sacco di patate, regalando in cambio una golosa ricetta appresa da antenati tzigani. Ecco “le patate della zingara”.
Ingredienti: 1 kg di patate, ½ bicchiere di olio, un trito di erbe aromatiche con rosmarino, alloro, salvia. Sbucciare e tagliare a pezzi le patate, condirle con olio, sale e il trito di erbe. Sistemarle in una pirofila e coprirle con un canovaccio da cucina inzuppato d’acqua e strizzato. Coprire il recipiente e cuocere in forno a 150° per un’ora. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
• 1 kg di patate • ½ bicchiere di olio • 1 trito di rosmarino, alloro e salvia • 1 manciata di uva passa, pinoli Infornare a 150 gradi per 60 minuti
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luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
Pinardi: Chiesi a Dio un tetto e Lui non mi diede le pareti ho potuto far riposare il mio povero oratorio, visto che nessuno ci voleva. DG Come mai tutta questa avversione? Il Santo prende un grosso sospiro. Come per ricordare tutto l’elenco che mi propone. DB
Perché le novità spaventano, perché i ragazzi facevano baccano, perché qualcuno invidia le persone che provano a fare del bene, perché c’è la gelosia tra i preti per i successi dei confratelli, perché la gente quando vede un povero sporco dimentica di avere la coscienza ancora più lercia e protetta dalla pulizia delle proprie case... scegli tu, ogni sfratto ha avuto una di queste motivazioni. Ah, lupus in fabula... - esclama il Santo alzandosi per aprire la porta.
FP
DG Mentre Pinardi...
Mi giro con la testa per vedere di chi si tratta stavolta. Vedo che
L’uomo si da un colpo alla testa, come se avesse appena ricordato qualcosa e saluta don Bosco andandosene via contento.
DB Pinardi era un fiero e piccolo imprenditore torinese: l’avrai capito dal dialetto… mentre, ehm, ascoltavi i nostri sussurri… non smette di usarlo anche qui in Paradiso…
DB
don Bosco confabula con un uomo magro, alto, con un fulard al collo e un cappello in mano. Il sacerdote gli parla proprio dentro l’orecchio ma l’uomo scuote il capo e insiste come se stesse contrattando. Riesco a carpire qualcosa di quella conversazione, spero che il Santo non mi rimproveri ma non voglio perdere davvero nulla di questa straordinaria esperienza. DB
Mi spiace, non posso fare nulla. Devi andare da San Giuseppe...
Ah, ma mi lo savia nen, lè sempre la stessa storia, lo dismentiu sempre...
Il Santo torna a sedersi. - Sai chi era? - mi chiede a bruciapelo.
DG Ehm - arrossisco.
Scuoto la testa. Ammetto che il personaggio non mi è nuovo. Come se lo avessi già visto in qualche foto, meglio in qualche quadro...
Ehm - sorride il Santo - oggi è venuto da me a farsi riparare un anta di un armadio. L’ho mandato da San Giuseppe. Qui il reparto falegnameria lo gestisce ancora lui...
DB
DG Ma perché è venuto da Te?
Quello è Francesco Pinardi... ne stavamo appunto parlando... Mi rizzo sulla sedia. - Il tizio della tettoia... Don Bosco annuisce contento: Sì, sì... la tettoia dove
30
DB
DB
È dalla prima volta che ci siamo conosciuti che non ha capito che io volevo aprire un oratorio e non un laboratorio. E ogni tanto
si dimentica e torna qui, convinto di trovare un’officina. Sono io stavolta a sorridere pensando al simpatico signorotto piemontese che non si da pace di aver affittato la sua tettoia per una sala giochi con preghiera annessa. DG Però è stato profetico... DB
Ti dirò che il pensiero di aprire dei veri e propri laboratori non mi era ancora venuta, anche se mi stavo rendendo conto che il catechismo da solo non bastava. Quei ragazzi erano sempre più numerosi, avevano fame: dovevano imparare un lavoro o non sarebbero sopravvissuti. Tanti li perdevo perché la predica non gli toglieva i morsi della fame, al massimo suscitava quelli del sonno. E allora finivano tra i malviventi: che pagavano subito e calmavano la paura dell’ansia della vita. DG Dalla tettoia, ai laboratori, ai centri di formazione professionale... DB Ah, qui voglio che dici una cosa bella chiara ai miei figli, puoi farmi il favore?
Chiudano tutte le scuole del mondo, se non ce la fanno... lascino le parrocchie, smettano di aprire palestre e centri sportivi. Ma guai se perdono un centro di formazione professionale... sono il nostro tesoro più prezioso. Ci vanno i ragazzi che si reputano meno dotati o sono così classificati da insegnanti e genitori. Sono quelli che ancora oggi, nei tempi di crisi che vivete, possono risollevare
con un onesto lavoro imparato con competenza, il proprio destino e quello di tutta la società. Un lavoro che piace e fatto con passione è molte volte la chiave della felicità per una persona. Che ricorda chi li ha istruiti in quella strada, con qualche spruzzo di Vangelo, che da il senso morale alle attività umane. DG Riporterò parola per parola. Ti prendi tu la responsabilità delle reazioni però. DB
Sottoscrivo tutto - mi dice serio - li ho voluti in maniche di camicia perché stessero nei laboratori e nelle officine con i più poveri, i miei salesiani. Se li volevo fini intellettuali avrei scelto come simbolo una poltrona... DG Ok, ok. Riferisco umilmente. Promesso. Dicevamo del Pinardi. DB
Ah sì - annuisce il Santo che socchiude gli occhi come per ricordare. DB
È stato testardo sai? Caratteristica dei balbuzienti... superare le difficoltà per arrivare dove vogliono e dire cosa desiderano. DG
Ti ha convinto a restare?
DB
Ah, appena ho visto quel posto mi sono cadute le braccia. Avevo chiesto a Dio un tetto. E lui me lo aveva dato. Ma non c’erano le pareti: bisogna sempre stare attenti a quello che si chiede, quassù ti prendono alla lettera: il Titolare ha un discreto senso dell’umorismo. DG
E quindi volevi andartene?
DB
Da una parte ero sfinito e senza alternative. Dall’altra il Pinar-
31
di voleva affittare il bene: sapeva che tra niente e piuttosto è sempre meglio piuttosto e quel terreno non rendeva nulla, nessuno ci voleva costruire e lui non riusciva a vendere. Si offrì di scavare per renderla più alta, ci mise un recinto per delimitarla, non pretese subito il primo acconto... DG
Anche tu tra niente e piuttosto...
DB
Accettai quel contratto. Il giorno dopo sarebbe stato Pasqua. E volevo avere un posto dove celebrarla con i miei ragazzi. Trasformammo subito la tettoia in una cappellina, molto semplice e con l’immagine di San Francesco di Sales appoggiata sopra il povero altare. C’erano altre due stanzette che usavo come sacrestia e come deposito. Era poco. Ma ti assicuro che per noi, del primo oratorio, fu uno dei giorni più belli. Avevamo una casa, un posto sicuro dove eravamo certi che ci saremmo potuti ritrovare la settimana successiva. Poco alla volta comprai tutta la proprietà Pinardi. La piccola tettoia è stata buttata giù per creare locali più grandi. Ma sono molto contento che nel 1929 i miei figli l’abbiano ricostruita. Digli anche questo.
DG
Certo - annuisco e attacco quindi c’era già un’immagine di San Francesco di Sales, da cui poi, salesiani... possiamo parlarne? DB
Nella prossima puntata, certo... - risponde con occhi vivissimi il Santo Prete. Diego Goso dondiegogoso@icloud.com
luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
Pinardi: Chiesi a Dio un tetto e Lui non mi diede le pareti ho potuto far riposare il mio povero oratorio, visto che nessuno ci voleva. DG Come mai tutta questa avversione? Il Santo prende un grosso sospiro. Come per ricordare tutto l’elenco che mi propone. DB
Perché le novità spaventano, perché i ragazzi facevano baccano, perché qualcuno invidia le persone che provano a fare del bene, perché c’è la gelosia tra i preti per i successi dei confratelli, perché la gente quando vede un povero sporco dimentica di avere la coscienza ancora più lercia e protetta dalla pulizia delle proprie case... scegli tu, ogni sfratto ha avuto una di queste motivazioni. Ah, lupus in fabula... - esclama il Santo alzandosi per aprire la porta.
FP
DG Mentre Pinardi...
Mi giro con la testa per vedere di chi si tratta stavolta. Vedo che
L’uomo si da un colpo alla testa, come se avesse appena ricordato qualcosa e saluta don Bosco andandosene via contento.
DB Pinardi era un fiero e piccolo imprenditore torinese: l’avrai capito dal dialetto… mentre, ehm, ascoltavi i nostri sussurri… non smette di usarlo anche qui in Paradiso…
DB
don Bosco confabula con un uomo magro, alto, con un fulard al collo e un cappello in mano. Il sacerdote gli parla proprio dentro l’orecchio ma l’uomo scuote il capo e insiste come se stesse contrattando. Riesco a carpire qualcosa di quella conversazione, spero che il Santo non mi rimproveri ma non voglio perdere davvero nulla di questa straordinaria esperienza. DB
Mi spiace, non posso fare nulla. Devi andare da San Giuseppe...
Ah, ma mi lo savia nen, lè sempre la stessa storia, lo dismentiu sempre...
Il Santo torna a sedersi. - Sai chi era? - mi chiede a bruciapelo.
DG Ehm - arrossisco.
Scuoto la testa. Ammetto che il personaggio non mi è nuovo. Come se lo avessi già visto in qualche foto, meglio in qualche quadro...
Ehm - sorride il Santo - oggi è venuto da me a farsi riparare un anta di un armadio. L’ho mandato da San Giuseppe. Qui il reparto falegnameria lo gestisce ancora lui...
DB
DG Ma perché è venuto da Te?
Quello è Francesco Pinardi... ne stavamo appunto parlando... Mi rizzo sulla sedia. - Il tizio della tettoia... Don Bosco annuisce contento: Sì, sì... la tettoia dove
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DB
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È dalla prima volta che ci siamo conosciuti che non ha capito che io volevo aprire un oratorio e non un laboratorio. E ogni tanto
si dimentica e torna qui, convinto di trovare un’officina. Sono io stavolta a sorridere pensando al simpatico signorotto piemontese che non si da pace di aver affittato la sua tettoia per una sala giochi con preghiera annessa. DG Però è stato profetico... DB
Ti dirò che il pensiero di aprire dei veri e propri laboratori non mi era ancora venuta, anche se mi stavo rendendo conto che il catechismo da solo non bastava. Quei ragazzi erano sempre più numerosi, avevano fame: dovevano imparare un lavoro o non sarebbero sopravvissuti. Tanti li perdevo perché la predica non gli toglieva i morsi della fame, al massimo suscitava quelli del sonno. E allora finivano tra i malviventi: che pagavano subito e calmavano la paura dell’ansia della vita. DG Dalla tettoia, ai laboratori, ai centri di formazione professionale... DB Ah, qui voglio che dici una cosa bella chiara ai miei figli, puoi farmi il favore?
Chiudano tutte le scuole del mondo, se non ce la fanno... lascino le parrocchie, smettano di aprire palestre e centri sportivi. Ma guai se perdono un centro di formazione professionale... sono il nostro tesoro più prezioso. Ci vanno i ragazzi che si reputano meno dotati o sono così classificati da insegnanti e genitori. Sono quelli che ancora oggi, nei tempi di crisi che vivete, possono risollevare
con un onesto lavoro imparato con competenza, il proprio destino e quello di tutta la società. Un lavoro che piace e fatto con passione è molte volte la chiave della felicità per una persona. Che ricorda chi li ha istruiti in quella strada, con qualche spruzzo di Vangelo, che da il senso morale alle attività umane. DG Riporterò parola per parola. Ti prendi tu la responsabilità delle reazioni però. DB
Sottoscrivo tutto - mi dice serio - li ho voluti in maniche di camicia perché stessero nei laboratori e nelle officine con i più poveri, i miei salesiani. Se li volevo fini intellettuali avrei scelto come simbolo una poltrona... DG Ok, ok. Riferisco umilmente. Promesso. Dicevamo del Pinardi. DB
Ah sì - annuisce il Santo che socchiude gli occhi come per ricordare. DB
È stato testardo sai? Caratteristica dei balbuzienti... superare le difficoltà per arrivare dove vogliono e dire cosa desiderano. DG
Ti ha convinto a restare?
DB
Ah, appena ho visto quel posto mi sono cadute le braccia. Avevo chiesto a Dio un tetto. E lui me lo aveva dato. Ma non c’erano le pareti: bisogna sempre stare attenti a quello che si chiede, quassù ti prendono alla lettera: il Titolare ha un discreto senso dell’umorismo. DG
E quindi volevi andartene?
DB
Da una parte ero sfinito e senza alternative. Dall’altra il Pinar-
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di voleva affittare il bene: sapeva che tra niente e piuttosto è sempre meglio piuttosto e quel terreno non rendeva nulla, nessuno ci voleva costruire e lui non riusciva a vendere. Si offrì di scavare per renderla più alta, ci mise un recinto per delimitarla, non pretese subito il primo acconto... DG
Anche tu tra niente e piuttosto...
DB
Accettai quel contratto. Il giorno dopo sarebbe stato Pasqua. E volevo avere un posto dove celebrarla con i miei ragazzi. Trasformammo subito la tettoia in una cappellina, molto semplice e con l’immagine di San Francesco di Sales appoggiata sopra il povero altare. C’erano altre due stanzette che usavo come sacrestia e come deposito. Era poco. Ma ti assicuro che per noi, del primo oratorio, fu uno dei giorni più belli. Avevamo una casa, un posto sicuro dove eravamo certi che ci saremmo potuti ritrovare la settimana successiva. Poco alla volta comprai tutta la proprietà Pinardi. La piccola tettoia è stata buttata giù per creare locali più grandi. Ma sono molto contento che nel 1929 i miei figli l’abbiano ricostruita. Digli anche questo.
DG
Certo - annuisco e attacco quindi c’era già un’immagine di San Francesco di Sales, da cui poi, salesiani... possiamo parlarne? DB
Nella prossima puntata, certo... - risponde con occhi vivissimi il Santo Prete. Diego Goso dondiegogoso@icloud.com
luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
un’avventura tra storia e spirito Durano cinque giorni, in due turni per fare partecipare tutti, presso la cascina La Quara, nella zona di Cimavilla. Sono i primi esercizi spirituali dei salesiani, che si svolgono a Trofarello nel 1866. La casa, donata ai salesiani appositamente dal parroco don Antonio Franco, non esiste più. Lo stesso don Bosco ne deve fare a
meno dopo qualche anno, perché divenuta troppo piccola per accogliere tutti i suoi ragazzi. L’iniziativa, però, piace a tal punto che se ne parla ancora oggi, nel libro Radicati in Lui. Gli esercizi spirituali nel carisma salesiano (edizioni Stylos). L’autore è Paolo De Martino, insegnante, giornalista pubblicista, presidente del Centro Studi don Bosco. Da molti anni, anche trofarellese.
Qual è il tema centrale dell’opera, il rapporto tra don Bosco e Trofarello? «Anche, ma non solo. Parte dal fatto storico ma va più in là. Il fulcro è proprio l’esperienza degli esercizi spirituali. L’importanza del “fare silenzio”, ma un silenzio che parla».
Non solo teoria Il libro riporta le conferenze di
Appena un piccolo paese a metà strada tra Chieri e Torino. Eppure, è a Trofarello che, nel 1866, don Bosco sceglie di effettuare i primi esercizi spirituali rivolti esclusivamente ai salesiani. Un’esperienza che continua ancora oggi.
Radicati in Lui
don Bosco. Che, nelle sue meditazioni, non si limita a “fare teoria”, ma tratta anche aspetti concreti, per non dire quotidiani. Perché? «La congregazione era nata appena sette anni prima (18 dicembre 1859). Quindi, doveva spiegare tutto, anche le cose più semplici, come, ad esempio, non tenere bibite in camera, non leggere mai il giornale davanti ai ragazzi (oggi si direbbe: il telefonino)... L’intuizione di don Bosco è stata però soprattutto far capire che ciò che conta, alla fine, è stare con Cristo. Al di là delle attività, delle iniziative, delle mille cose che possiamo fare. Basta soffermarsi sull’orario del suo oratorio, che è ricco di preghiera, meditazione, rosario. E anche il libro, di per sé, vuole essere uno “stare con Lui”, con Dio. Un libro a metà tra storia e spiritualità». Perché don Bosco sceglie questa pratica, che continua tutt’oggi nelle case salesiane? «Perché è la strada giusta. Gli esercizi spirituali sono una pratica controcorrente, ma, chissà perché, non vanno mai “fuori moda”. I monasteri sono sempre pieni. Siamo noi adulti che abbiamo paura di proporli ai giovani. Ovvio, la pastorale va misurata in base alle esigenze: il difficile dell’esercizio spirituale non è proporre l’esercizio in sé ma trovare modalità e contenuti in base alle persone che ho di fronte, per colpirle dove deve colpirle, cioè nel cuore. Sapendo che è una proposta alta. Per allenare lo spirito, così come si fa con il corpo, ad incontrare Dio».
32
Ma come fanno i primi salesiani a resistere a tanta disciplina? «Perché don Bosco propone una cosa alla volta: preferisce procedere passo a passo. Consente che ci possa anche divertire, rilassare, per poi aumentare progressivamente le ore di meditazione, anche da un anno all’altro. Non dimentichiamo che si rivolge a ragazzi giovanissimi. L’età media è di 21 anni».
Bisogna puntare in alto Dal dato storico, al significato degli esercizi spirituali oggi, fino ai loro risvolti pastorali: l’ultima parte è rivolta ai giovani e a chi si occupa di loro... «Il senso è non aver paura di puntare in alto, proponendo esercizi spirituali ai giovani. Bisogna puntare in alto per arrivare all’Altissimo. Oggi assistiamo alla “sindrome della maggioranza”: ci preoccupiamo dei numeri più che della qualità. Quanti siamo? Quante persone riusciremo a raggiungere? Gesù non si è fatto questo problema e ha scelto dai suoi discepoli solo dodici apostoli. Ogni volta che siamo in più di dodici, siamo più degli apostoli. Il problema dunque è la fede, non il numero. Dobbiamo avere oggi il coraggio, proprio come don Bosco, di riproporre gli esercizi spirituali a chiunque, ma soprattutto a coloro che hanno voglia di andare oltre, in profondità. Abbiamo moltissimi giovani che ce lo chiedono. Chi vuole andare in profondità, ha il diritto di ricevere delle proposte all’altezza delle sue esigenze».
33
Radicati in Lui Stylos, 2013, pagg. 211, € 18,00
Nel libro c’è un capitolo apposito che parla del silenzio. «La nostra vita è piena di attività: riunioni, riunioni, riunioni... Questo surplus di attività rischia però di essere un modo per coprire il silenzio. E Dio lo ascoltiamo, invece, proprio nel silenzio, nella brezza leggera, come nell’esperienza di Elia». Qual è il valore del tempo negli esercizi spirituali di don Bosco? «In generale, il silenzio è percepito come “tempo di vuoto”. In quanti, quando entriamo in macchina, accendiamo subito la radio? Sembra che abbiamo paura. Mentre invece è un tempo riempito da Dio. Gli esercizi spirituali ci aiutano a riempire questo tempo, con il massimo della pienezza, dove Dio ci parla e noi ascoltiamo. Gli esercizi spirituali ci aiutano a recuperare il senso dell’ascolto. Ci aiutano ad entrare nell’ottica del dono: cioè, Dio mi dà, perché io poi restituisca agli altri (“Amatevi, come io vi ho amati”). Il cristianesimo, dopotutto, non è un andare verso Dio, ma un lasciarsi trovare da Lui». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
un’avventura tra storia e spirito Durano cinque giorni, in due turni per fare partecipare tutti, presso la cascina La Quara, nella zona di Cimavilla. Sono i primi esercizi spirituali dei salesiani, che si svolgono a Trofarello nel 1866. La casa, donata ai salesiani appositamente dal parroco don Antonio Franco, non esiste più. Lo stesso don Bosco ne deve fare a
meno dopo qualche anno, perché divenuta troppo piccola per accogliere tutti i suoi ragazzi. L’iniziativa, però, piace a tal punto che se ne parla ancora oggi, nel libro Radicati in Lui. Gli esercizi spirituali nel carisma salesiano (edizioni Stylos). L’autore è Paolo De Martino, insegnante, giornalista pubblicista, presidente del Centro Studi don Bosco. Da molti anni, anche trofarellese.
Qual è il tema centrale dell’opera, il rapporto tra don Bosco e Trofarello? «Anche, ma non solo. Parte dal fatto storico ma va più in là. Il fulcro è proprio l’esperienza degli esercizi spirituali. L’importanza del “fare silenzio”, ma un silenzio che parla».
Non solo teoria Il libro riporta le conferenze di
Appena un piccolo paese a metà strada tra Chieri e Torino. Eppure, è a Trofarello che, nel 1866, don Bosco sceglie di effettuare i primi esercizi spirituali rivolti esclusivamente ai salesiani. Un’esperienza che continua ancora oggi.
Radicati in Lui
don Bosco. Che, nelle sue meditazioni, non si limita a “fare teoria”, ma tratta anche aspetti concreti, per non dire quotidiani. Perché? «La congregazione era nata appena sette anni prima (18 dicembre 1859). Quindi, doveva spiegare tutto, anche le cose più semplici, come, ad esempio, non tenere bibite in camera, non leggere mai il giornale davanti ai ragazzi (oggi si direbbe: il telefonino)... L’intuizione di don Bosco è stata però soprattutto far capire che ciò che conta, alla fine, è stare con Cristo. Al di là delle attività, delle iniziative, delle mille cose che possiamo fare. Basta soffermarsi sull’orario del suo oratorio, che è ricco di preghiera, meditazione, rosario. E anche il libro, di per sé, vuole essere uno “stare con Lui”, con Dio. Un libro a metà tra storia e spiritualità». Perché don Bosco sceglie questa pratica, che continua tutt’oggi nelle case salesiane? «Perché è la strada giusta. Gli esercizi spirituali sono una pratica controcorrente, ma, chissà perché, non vanno mai “fuori moda”. I monasteri sono sempre pieni. Siamo noi adulti che abbiamo paura di proporli ai giovani. Ovvio, la pastorale va misurata in base alle esigenze: il difficile dell’esercizio spirituale non è proporre l’esercizio in sé ma trovare modalità e contenuti in base alle persone che ho di fronte, per colpirle dove deve colpirle, cioè nel cuore. Sapendo che è una proposta alta. Per allenare lo spirito, così come si fa con il corpo, ad incontrare Dio».
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Ma come fanno i primi salesiani a resistere a tanta disciplina? «Perché don Bosco propone una cosa alla volta: preferisce procedere passo a passo. Consente che ci possa anche divertire, rilassare, per poi aumentare progressivamente le ore di meditazione, anche da un anno all’altro. Non dimentichiamo che si rivolge a ragazzi giovanissimi. L’età media è di 21 anni».
Bisogna puntare in alto Dal dato storico, al significato degli esercizi spirituali oggi, fino ai loro risvolti pastorali: l’ultima parte è rivolta ai giovani e a chi si occupa di loro... «Il senso è non aver paura di puntare in alto, proponendo esercizi spirituali ai giovani. Bisogna puntare in alto per arrivare all’Altissimo. Oggi assistiamo alla “sindrome della maggioranza”: ci preoccupiamo dei numeri più che della qualità. Quanti siamo? Quante persone riusciremo a raggiungere? Gesù non si è fatto questo problema e ha scelto dai suoi discepoli solo dodici apostoli. Ogni volta che siamo in più di dodici, siamo più degli apostoli. Il problema dunque è la fede, non il numero. Dobbiamo avere oggi il coraggio, proprio come don Bosco, di riproporre gli esercizi spirituali a chiunque, ma soprattutto a coloro che hanno voglia di andare oltre, in profondità. Abbiamo moltissimi giovani che ce lo chiedono. Chi vuole andare in profondità, ha il diritto di ricevere delle proposte all’altezza delle sue esigenze».
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Radicati in Lui Stylos, 2013, pagg. 211, € 18,00
Nel libro c’è un capitolo apposito che parla del silenzio. «La nostra vita è piena di attività: riunioni, riunioni, riunioni... Questo surplus di attività rischia però di essere un modo per coprire il silenzio. E Dio lo ascoltiamo, invece, proprio nel silenzio, nella brezza leggera, come nell’esperienza di Elia». Qual è il valore del tempo negli esercizi spirituali di don Bosco? «In generale, il silenzio è percepito come “tempo di vuoto”. In quanti, quando entriamo in macchina, accendiamo subito la radio? Sembra che abbiamo paura. Mentre invece è un tempo riempito da Dio. Gli esercizi spirituali ci aiutano a riempire questo tempo, con il massimo della pienezza, dove Dio ci parla e noi ascoltiamo. Gli esercizi spirituali ci aiutano a recuperare il senso dell’ascolto. Ci aiutano ad entrare nell’ottica del dono: cioè, Dio mi dà, perché io poi restituisca agli altri (“Amatevi, come io vi ho amati”). Il cristianesimo, dopotutto, non è un andare verso Dio, ma un lasciarsi trovare da Lui». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
Il Buon pastore al Ferrante Inaugurati i nuovi locali del carcere minorile di Torino dove dal 1979 un prete salesiano, don Domenico Ricca, cerca di educare anche qui buoni cristiani e onesti cittadini. mano, anche ai più spavaldi, gli occhi sorridono. Alla cerimonia del 22 aprile, oltre al capo del dipartimento Giustizia Minorile Caterina Chinnici, e alle altre autorità, il direttore del carcere, Gabriella Picco, ha invitato mons. Cesare Nosiglia che aveva voluto due anni fa, il 9 marzo 2011, iniziare il cammino di Quaresima nel mercoledì delle Ceneri proprio con i ragazzi del Ferrante. E proprio allora la direttrice aveva chiesto all’Arcivescovo di tornare quando il cantiere della nuova struttura fosse terminato. L’Arcivescovo ha tagliato il nastro dei nuovi locali e ha benedetto la nuova struttura e la cappella incoraggiando i ragazzi «a non mollare. Siamo qui per voi perché crediamo in voi – ha detto – nella vostra capacità di recuperare energie anche spirituali per cambiare e per riacquisire dignità, per guardare avanti». La nuova palazzina è dotata di un ampio piano terra per i servizi e ospita, oltre alla cappella, di-
«Un trasloco è sempre segno di un cambiamento non solo materiale e i nostri ragazzi hanno bisogno di ri-orientare la propria vita, in alcuni casi di ricominciare da capo. E cambiare casa, andare a vivere in locali nuovi, puliti e curati, può contribuire a predisporsi a cambiare rotta». Per questo, secondo don Domenico Ricca, salesiano, da tutti chiamato Meco, cappellano dal 1979 al Ferrante Aporti di Torino, l’inaugurazione di nuovi locali del carcere minorile di Torino, avvenuta lunedì 22 aprile scorso, è un passo importante soprattutto per i giovani detenuti. Ed eccoli i ragazzi di don Meco. Martin, Luca, Cesar, Ahmed: sono nomi di fantasia ma corrispondono a quelli dei 26 giovani (italiani e stranieri tra peruviani, romeni, senegalesi, marocchini) detenuti al Ferrante per i quali è stata allestita la nuova struttura, la prima in Italia concepita secondo gli ultimi orientamenti per gli istituti di pena minorile. Sono ragazzi dai 16 ai 21 anni, numerosi italiani, con alle spalle storie di spaccio, rapine e altri reati più gravi ma a vederli, potrebbero essere nostri figli o figli dei nostri vicini di casa. Pantaloni a vita bassa, codino, piercing, tatuaggi e bandana; altri semplicemente in tuta da ginnastica, tutti con la faccia spaurita di chi non sa cosa ti riserva il futuro. Ma appena stringi loro la
verse grandi aule destinate alle attività scolastiche, formative, ricreative e culturali affacciate in una grande piazza coperta che sarà utilizzata per attività teatrali e ad altre manifestazioni di apertura e integrazione con il territorio. Al primo piano la “zona notte” dove sono state allestite quattro sezioni detentive da 11 posti letto ciascuna per una capienza massima di 45 ragazzi. La nuova struttura è molto luminosa con pareti in tinta pastello e si trova all’interno di un’ampia area attrezzata con un campo da calcio regolamentare, campo sportivo per basket e volley e un giardino. Il campo di calcio è stato attrezzato di gradinate per gli spettatori e di spogliatoi per le squadre ospiti per favorire l’organizzazione di partite di calcio di squadre esterne con i giovani detenuti.
qui c’è stato don Bosco «Al Ferrante - ci dice don Ricca - una lapide ricorda le visite di don Bosco fra queste mura. Da quando il carcere è stato aperto nel 1845, allora si chiamava La Generala, i cappellani qui sono quasi sempre stati salesiani perché un carcere minorile è il luogo privilegiato per accettare la sfida di “educare buoni cristiani e onesti cittadini”. Del resto i nostri ragazzi non sono così diversi dagli altri adolescenti sebbene abbiano alle spalle storie disastrose: vivono alla giornata, non ce la fanno a fare progetti per il futuro. Noi cerchiamo di accompagnarli a progettare la loro vita cercando di costruire passo passo la convinzione e la capacità al cambiamento. Cerchiamo di invitarli a tenere qualche sogno nel cassetto perché per alcuni di loro intravedere il cambiamento è un sogno e noi dobbiamo aiutarli a realizzarlo».
E quale è il sogno di don Meco? «Uno si è realizzato in questi giorni: è 33 anni che attendo che in questo carcere venga adibito uno spazio a cappella accogliente, sempre aperta – se sarà possibile - e comunque un luogo per la riflessione sulla Parola e in alcuni momenti l’Eucarestia. Sul vetro di ingresso abbiamo appeso la riproduzione dell’affresco del Buon pastore che si trova nelle Catacombe di san Callisto a Roma perché mi pare ben si adatti all’idea di Gesù che vorrei trasmettere ai nostri ragazzi. L’immagine raffigura Gesù con al collo una pecorella e in mano un secchio con del latte come se volesse darne ai due agnellini ai suoi piedi. Ecco, Gesù buon pastore è anche “mamma”. Una guida saggia, il buon pastore, e una mamma affettuosa e che dia fiducia: di questo credo, hanno soprattutto bisogno i ragazzi che passano al Ferrante. Del resto il nostro motto salesiano in questi anni è: dare il massimo a chi ha avuto il minimo».
Francesco, ti aspettiamo Al termine dell’inaugurazione è stata ricordata la scelta di papa Francesco di celebrare la Messa del Giovedì Santo nel carcere minorile di Casal Marmo a Roma. Don Ricca, dice che in molti qui, soprattutto i ragazzi, anche quelli non cattolici, sperano che il Papa se verrà a Torino per il 200° di don Bosco nel 2015, faccia un salto al Ferrante. «Per i ragazzi è difficile comprendere che c’è qualcuno che scommette su di loro, e il gesto del papa che lava i piedi a giovani nella medesima condizione li ha colpiti: con questo gesto hanno capito cosa significa nella loro quotidianità essere servi gli uni degli altri. Ma il Papa con quel gesto ha voluto anche dire a tutti noi che questi ragazzi sono figli nostri, e che tocca a noi occuparcene». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
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DON BOSCO OGGI
Il Buon pastore al Ferrante Inaugurati i nuovi locali del carcere minorile di Torino dove dal 1979 un prete salesiano, don Domenico Ricca, cerca di educare anche qui buoni cristiani e onesti cittadini. mano, anche ai più spavaldi, gli occhi sorridono. Alla cerimonia del 22 aprile, oltre al capo del dipartimento Giustizia Minorile Caterina Chinnici, e alle altre autorità, il direttore del carcere, Gabriella Picco, ha invitato mons. Cesare Nosiglia che aveva voluto due anni fa, il 9 marzo 2011, iniziare il cammino di Quaresima nel mercoledì delle Ceneri proprio con i ragazzi del Ferrante. E proprio allora la direttrice aveva chiesto all’Arcivescovo di tornare quando il cantiere della nuova struttura fosse terminato. L’Arcivescovo ha tagliato il nastro dei nuovi locali e ha benedetto la nuova struttura e la cappella incoraggiando i ragazzi «a non mollare. Siamo qui per voi perché crediamo in voi – ha detto – nella vostra capacità di recuperare energie anche spirituali per cambiare e per riacquisire dignità, per guardare avanti». La nuova palazzina è dotata di un ampio piano terra per i servizi e ospita, oltre alla cappella, di-
«Un trasloco è sempre segno di un cambiamento non solo materiale e i nostri ragazzi hanno bisogno di ri-orientare la propria vita, in alcuni casi di ricominciare da capo. E cambiare casa, andare a vivere in locali nuovi, puliti e curati, può contribuire a predisporsi a cambiare rotta». Per questo, secondo don Domenico Ricca, salesiano, da tutti chiamato Meco, cappellano dal 1979 al Ferrante Aporti di Torino, l’inaugurazione di nuovi locali del carcere minorile di Torino, avvenuta lunedì 22 aprile scorso, è un passo importante soprattutto per i giovani detenuti. Ed eccoli i ragazzi di don Meco. Martin, Luca, Cesar, Ahmed: sono nomi di fantasia ma corrispondono a quelli dei 26 giovani (italiani e stranieri tra peruviani, romeni, senegalesi, marocchini) detenuti al Ferrante per i quali è stata allestita la nuova struttura, la prima in Italia concepita secondo gli ultimi orientamenti per gli istituti di pena minorile. Sono ragazzi dai 16 ai 21 anni, numerosi italiani, con alle spalle storie di spaccio, rapine e altri reati più gravi ma a vederli, potrebbero essere nostri figli o figli dei nostri vicini di casa. Pantaloni a vita bassa, codino, piercing, tatuaggi e bandana; altri semplicemente in tuta da ginnastica, tutti con la faccia spaurita di chi non sa cosa ti riserva il futuro. Ma appena stringi loro la
verse grandi aule destinate alle attività scolastiche, formative, ricreative e culturali affacciate in una grande piazza coperta che sarà utilizzata per attività teatrali e ad altre manifestazioni di apertura e integrazione con il territorio. Al primo piano la “zona notte” dove sono state allestite quattro sezioni detentive da 11 posti letto ciascuna per una capienza massima di 45 ragazzi. La nuova struttura è molto luminosa con pareti in tinta pastello e si trova all’interno di un’ampia area attrezzata con un campo da calcio regolamentare, campo sportivo per basket e volley e un giardino. Il campo di calcio è stato attrezzato di gradinate per gli spettatori e di spogliatoi per le squadre ospiti per favorire l’organizzazione di partite di calcio di squadre esterne con i giovani detenuti.
qui c’è stato don Bosco «Al Ferrante - ci dice don Ricca - una lapide ricorda le visite di don Bosco fra queste mura. Da quando il carcere è stato aperto nel 1845, allora si chiamava La Generala, i cappellani qui sono quasi sempre stati salesiani perché un carcere minorile è il luogo privilegiato per accettare la sfida di “educare buoni cristiani e onesti cittadini”. Del resto i nostri ragazzi non sono così diversi dagli altri adolescenti sebbene abbiano alle spalle storie disastrose: vivono alla giornata, non ce la fanno a fare progetti per il futuro. Noi cerchiamo di accompagnarli a progettare la loro vita cercando di costruire passo passo la convinzione e la capacità al cambiamento. Cerchiamo di invitarli a tenere qualche sogno nel cassetto perché per alcuni di loro intravedere il cambiamento è un sogno e noi dobbiamo aiutarli a realizzarlo».
E quale è il sogno di don Meco? «Uno si è realizzato in questi giorni: è 33 anni che attendo che in questo carcere venga adibito uno spazio a cappella accogliente, sempre aperta – se sarà possibile - e comunque un luogo per la riflessione sulla Parola e in alcuni momenti l’Eucarestia. Sul vetro di ingresso abbiamo appeso la riproduzione dell’affresco del Buon pastore che si trova nelle Catacombe di san Callisto a Roma perché mi pare ben si adatti all’idea di Gesù che vorrei trasmettere ai nostri ragazzi. L’immagine raffigura Gesù con al collo una pecorella e in mano un secchio con del latte come se volesse darne ai due agnellini ai suoi piedi. Ecco, Gesù buon pastore è anche “mamma”. Una guida saggia, il buon pastore, e una mamma affettuosa e che dia fiducia: di questo credo, hanno soprattutto bisogno i ragazzi che passano al Ferrante. Del resto il nostro motto salesiano in questi anni è: dare il massimo a chi ha avuto il minimo».
Francesco, ti aspettiamo Al termine dell’inaugurazione è stata ricordata la scelta di papa Francesco di celebrare la Messa del Giovedì Santo nel carcere minorile di Casal Marmo a Roma. Don Ricca, dice che in molti qui, soprattutto i ragazzi, anche quelli non cattolici, sperano che il Papa se verrà a Torino per il 200° di don Bosco nel 2015, faccia un salto al Ferrante. «Per i ragazzi è difficile comprendere che c’è qualcuno che scommette su di loro, e il gesto del papa che lava i piedi a giovani nella medesima condizione li ha colpiti: con questo gesto hanno capito cosa significa nella loro quotidianità essere servi gli uni degli altri. Ma il Papa con quel gesto ha voluto anche dire a tutti noi che questi ragazzi sono figli nostri, e che tocca a noi occuparcene». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
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luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
I sette gradi del silenzio interiore
Sono la guida spirituale di Luigi Novarese, sacerdote piemontese fondatore del Centro Volontari della Sofferenza, che la Chiesa ha proclamato beato l’11 maggio di quest’anno. dando vita ad associazioni come il Centro Volontari della Sofferenza (1947) e i Silenziosi Operai della Croce (1950). A spingerlo al sacerdozio fu l’incontro con la sofferenza. Ammalatosi a nove anni di tubercolosi ossea, infermità che nella prima metà del Novecento era ritenuta incurabile, ne guarì per grazia divina dopo essersi affidato all’intercessione di Maria Ausiliatrice e san Giovanni Bosco come gli aveva insegnato la mamma, Teresa Sassone. Luigi Novarese Fu durante gli anni trascorsi in Lo spirito che cura il corpo ospedale e in sanatorio, che Ludi Anselmo Mauro Edizione: Centro Volontari della igi capì l’importanza che veniva ad assumere la vita interiore Sofferenza Edizioni Data: novembre 2011 dell’ammalato nel modo di viveDimensioni: 14 x 21 cm re e affrontare la malattia. Una Euro: 18,00 scoperta decisiva. Nel trascorrere lunghi momenti in solitudine davanti al Crocifisso nelle cappelle degli ospedali, Novarese imparò
Luigi Novarese è il sacerdote piemontese che la Chiesa ha proclamato beato l’11 maggio di quest’anno. Nato a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1914 e morto a Rocca Priora (provincia di Roma) nel 1984, è stato definito da papa Giovanni Paolo II “l’apostolo degli ammalati”. Ha fondato case di ricovero, centri di assistenza e di accoglienza, si è impegnato a fondo nell’apostolato a favore dei disabili e degli infermi
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Novarese ha descritto le tappe di questo cammino in una serie di Meditazioni che hanno dato vita a I sette gradi del silenzio interiore, una guida spirituale nella quale egli ha riproposto la propria esperienza. A leggere questi scritti, si resta colpiti dagli evidenti punti di contatto con i mistici carmelitani spagnoli del Cinquecento. Se santa Teresa d’Avila (1515 - 1582), prima donna nominata Dottore della Chiesa da papa Paolo VI, indica nel “castello interiore” il luogo in cui l’anima ricerca la dimora dove l’attende il Dio Trinità; se san Giovanni della Croce (1542 - 1591) descrive questa dimora con i termini “caverna” e
“cella”, don Luigi prende in esame questa dimensione dell’essere usando un’altra definizione: “tenda interiore”. E spiega: «La tenda interiore è lo spazio che si dà a Dio in se stessi e che va da un massimo di presenza per chi fa di Dio lo scopo della propria esistenza, a un minimo per chi non spinge in avanti i rapporti con Dio fermandosi a una vita superficiale, magari contraddittoria».
Presa di distanza dal corpo sofferente È nella tenda interiore che l’ammalato impara a fare esperienza
a incontrare il Cristo dentro di sé nella meditazione e nella preghiera. E si rese conto che questo incontro giovava non soltanto alla sua serenità, ma gli rendeva meno penoso anche il dolore fisico. Il Cristo Risorto rompeva la sua solitudine e lo faceva sentire amato. Sconfiggeva l’angoscia, riaccendeva in lui la speranza.
La “tenda interiore”: lo spazio dato a Dio L’incontro con Cristo convinse Luigi a preferire il sacerdozio alla professione medica. E fu grazie all’esperienza spirituale vissuta alla luce di quell’incontro che, dopo la guarigione, egli decise di dedicare la sua vita ad un compito preciso: trasmettere agli ammalati la gioia della sua scoperta. Insegnare loro il cammino per incontrare dentro di sé la forza del Risorto.
del Cristo. «Nella propria tenda interiore, lì, veramente, si svolge il lavoro di officina, di limatura, di confronto per far scomparire gli angoli, per smussare, arrotondare, fare in modo che l’azione somigli sempre più a Gesù» (Settima Meditazione). La via che porta all’incontro con il Signore è un esercizio spirituale nel quale la creatura impara a fare esperienza del silenzio e del distacco. La partita con noi stessi è la più difficile. Essa è simile a una scalata lungo pareti impervie che ha come obiettivo un’altezza vertiginosa: l’annullamento dell’io nella volontà divina. È questa la meta interiore che prepara un abbandono senza rimpianti nelle braccia del Signore. «Gesù ci dice che se vogliamo salvare la nostra vita dobbiamo essere disposti a perderla con Lui, a metterla in gioco per Lui in una vita che sia completamente contro, in opposizione ai voleri umani». (Nona Meditazione). L’insegnamento di Novarese conduce l’ammalato a immergersi in una dimensione psicologica ed esistenziale nuova. Il rinnegamento dell’io diventa anche presa di distanza dal corpo sofferente, realizza la fine dell’identificazione mentale con la malattia. Il risultato è la pace. La liberazione dello spazio interiore dall’io, per lasciare posto a Lui. All’incontro con il Cristo medico che risana le ferite e appaga la nostra sete. Mauro Anselmo redazione.rivista@ausiliatrice.net
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DON BOSCO OGGI
I sette gradi del silenzio interiore
Sono la guida spirituale di Luigi Novarese, sacerdote piemontese fondatore del Centro Volontari della Sofferenza, che la Chiesa ha proclamato beato l’11 maggio di quest’anno. dando vita ad associazioni come il Centro Volontari della Sofferenza (1947) e i Silenziosi Operai della Croce (1950). A spingerlo al sacerdozio fu l’incontro con la sofferenza. Ammalatosi a nove anni di tubercolosi ossea, infermità che nella prima metà del Novecento era ritenuta incurabile, ne guarì per grazia divina dopo essersi affidato all’intercessione di Maria Ausiliatrice e san Giovanni Bosco come gli aveva insegnato la mamma, Teresa Sassone. Luigi Novarese Fu durante gli anni trascorsi in Lo spirito che cura il corpo ospedale e in sanatorio, che Ludi Anselmo Mauro Edizione: Centro Volontari della igi capì l’importanza che veniva ad assumere la vita interiore Sofferenza Edizioni Data: novembre 2011 dell’ammalato nel modo di viveDimensioni: 14 x 21 cm re e affrontare la malattia. Una Euro: 18,00 scoperta decisiva. Nel trascorrere lunghi momenti in solitudine davanti al Crocifisso nelle cappelle degli ospedali, Novarese imparò
Luigi Novarese è il sacerdote piemontese che la Chiesa ha proclamato beato l’11 maggio di quest’anno. Nato a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1914 e morto a Rocca Priora (provincia di Roma) nel 1984, è stato definito da papa Giovanni Paolo II “l’apostolo degli ammalati”. Ha fondato case di ricovero, centri di assistenza e di accoglienza, si è impegnato a fondo nell’apostolato a favore dei disabili e degli infermi
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Novarese ha descritto le tappe di questo cammino in una serie di Meditazioni che hanno dato vita a I sette gradi del silenzio interiore, una guida spirituale nella quale egli ha riproposto la propria esperienza. A leggere questi scritti, si resta colpiti dagli evidenti punti di contatto con i mistici carmelitani spagnoli del Cinquecento. Se santa Teresa d’Avila (1515 - 1582), prima donna nominata Dottore della Chiesa da papa Paolo VI, indica nel “castello interiore” il luogo in cui l’anima ricerca la dimora dove l’attende il Dio Trinità; se san Giovanni della Croce (1542 - 1591) descrive questa dimora con i termini “caverna” e
“cella”, don Luigi prende in esame questa dimensione dell’essere usando un’altra definizione: “tenda interiore”. E spiega: «La tenda interiore è lo spazio che si dà a Dio in se stessi e che va da un massimo di presenza per chi fa di Dio lo scopo della propria esistenza, a un minimo per chi non spinge in avanti i rapporti con Dio fermandosi a una vita superficiale, magari contraddittoria».
Presa di distanza dal corpo sofferente È nella tenda interiore che l’ammalato impara a fare esperienza
a incontrare il Cristo dentro di sé nella meditazione e nella preghiera. E si rese conto che questo incontro giovava non soltanto alla sua serenità, ma gli rendeva meno penoso anche il dolore fisico. Il Cristo Risorto rompeva la sua solitudine e lo faceva sentire amato. Sconfiggeva l’angoscia, riaccendeva in lui la speranza.
La “tenda interiore”: lo spazio dato a Dio L’incontro con Cristo convinse Luigi a preferire il sacerdozio alla professione medica. E fu grazie all’esperienza spirituale vissuta alla luce di quell’incontro che, dopo la guarigione, egli decise di dedicare la sua vita ad un compito preciso: trasmettere agli ammalati la gioia della sua scoperta. Insegnare loro il cammino per incontrare dentro di sé la forza del Risorto.
del Cristo. «Nella propria tenda interiore, lì, veramente, si svolge il lavoro di officina, di limatura, di confronto per far scomparire gli angoli, per smussare, arrotondare, fare in modo che l’azione somigli sempre più a Gesù» (Settima Meditazione). La via che porta all’incontro con il Signore è un esercizio spirituale nel quale la creatura impara a fare esperienza del silenzio e del distacco. La partita con noi stessi è la più difficile. Essa è simile a una scalata lungo pareti impervie che ha come obiettivo un’altezza vertiginosa: l’annullamento dell’io nella volontà divina. È questa la meta interiore che prepara un abbandono senza rimpianti nelle braccia del Signore. «Gesù ci dice che se vogliamo salvare la nostra vita dobbiamo essere disposti a perderla con Lui, a metterla in gioco per Lui in una vita che sia completamente contro, in opposizione ai voleri umani». (Nona Meditazione). L’insegnamento di Novarese conduce l’ammalato a immergersi in una dimensione psicologica ed esistenziale nuova. Il rinnegamento dell’io diventa anche presa di distanza dal corpo sofferente, realizza la fine dell’identificazione mentale con la malattia. Il risultato è la pace. La liberazione dello spazio interiore dall’io, per lasciare posto a Lui. All’incontro con il Cristo medico che risana le ferite e appaga la nostra sete. Mauro Anselmo redazione.rivista@ausiliatrice.net
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DON BOSCO OGGI
Don Bosco santo o furbacchione? La santità di don Bosco è il risultato di un grande lavorio esercitato su un carattere non facile e su una personalità complessa. Non ha nulla della mielosità con cui è stata avvolta per un periodo fin troppo lungo. © Nino Musio
fondazione di Valdocco. I fari della luce della ribalta sono fissi su di lui. Tutti gli altri sono relegati al ruolo di comprimari avvolti dalla penombra e dal silenzio, nonostante che si siano spesi, con generosità e fatica, nell’assecondarlo nelle sue prime esperienze educative. Un’altra sua caratteristica è quella di sopravvalutare i risultati oggettivamente realizzati. Dalle sue parole si ricava l’impressione che gran parte dei giovani della Torino di allora si raduni nei suoi oratori. Le statistiche demografiche, invece, ci dicono che fra gli anni 1846-1856 la frequenza oscilla fra i 600-1200 giovani. Questi numeri rimangono costanti anche negli anni 18801890 nonostante che la popolazione della capitale sabauda passi dai 136.000 ai 230.000 abitanti. In termini percentuali solo l’1,3% della gioventù frequenta gli ambienti salesiani. In Torino ci sono molte altre agenzie che si occupano dell’educazione giovanile, ma non vengono mai menzionate.
Don Bosco scriveva personalmente un gran numero di lettere era anche questo un modo per creare intorno a sè e alla sua opera una fitta rete di persone sensibili ai bisogni materiali che la congregazione doveva affrontare.
vaggia ed in gran parte sconosciuta da parte di audaci evangelizzatori, la costruzione di ospedali e strutture educative a favore di popolazioni lontane riaccendono sopiti sentimenti di carità solidale. Don Bosco coglie la palla la balzo e dà vita alle spedizioni missionarie che aprono alla giovane congregazione gli sconfinati orizzonti della Patagonia e dell’America del sud. Il Bollettino Salesiano si trasforma in un gratuito strumento di propaganda che mette a disposizione di don Bosco, tramite molti cooperatori e benefattori, le ingenti somme di denaro richieste dalle nuove fondazioni missionarie. Altro aspetto molto curato è quello dello scrivere, personalmente, un gran numero di lettere autografe. Questo gli permette di tessere una vasta rete di persone sensibili ai bisogni materiali che la nascente congregazione deve affrontare. Si tratta di un lavoro snervante, faticoso, intriso di furbizia e di saggezza che mette a dura prova il suo organismo spremendolo oltre ogni regola di prudenza. Tutto questo solo sotto lo stimolo insopprimibile del da mihi animas. Sotto questo aspetto la santità di don Bosco brilla trasparente ed indiscutibile. A duecento anni dalla sua nascita è con questa santità che dobbiamo noi tutti misurarci non solo a livello di buone parole e di mielose intenzioni, ma di condotta e comportamenti concreti e verificabili nella vita reale di tutti i giorni. Ermete Tessore
Un santo geniale nel farsi conoscere e nel farsi aiutare economicamente
Il giovane prete piemontese che con tenacia ed intelligenza riesce a dar vita all’oratorio di Valdocco, superando difficoltà e contrattempi di ogni genere, che tipo di persona è: un santo fin dal seno di sua madre?; un furbacchione che riesce a catturare l’attenzione su di sé?; è un prete un po’ matto ed originale?; è veramente un uomo solo di Dio? A leggere, attentamente e criticamente, i suoi scritti giovanili, si ha la vaga impressione che la sua
“santità”, indiscutibile, sia ancora un po’ acerba e venata da alcune scorie di “umanità”.
Un santo fiero della sua umiltà Dalle Memorie dell’Oratorio balza agli occhi una certa sua predisposizione alla autoreferenzialità. Pone la sua persona al centro di tutto. Non parla dei suoi tanti e validi collaboratori che pure hanno avuto un ruolo importante ed insostituibile nella
38
Dalla lettura delle Letture Cattoliche e da Il Bollettino Salesiano, pubblicato a partire dall’agosto 1877, si colgono gli aspetti più originali e moderni della sua santità. Don Bosco si dimostra un autentico genio nell’ambito della comunicazione e della pubblicità. Il dissolvimento dello Stato Pontificio crea in tutta Europa un diffuso e radicato senso di solidarietà nei riguardi del Papa sfrattato dal Quirinale e relegato, quasi in prigionia, in Vaticano. Questa profonda empatia si traduce in una concreta solidarietà che alimenta un vasto flusso di denaro con destinazione Roma papalina. Il giovane prete piemontese capta questa insperata predisposizione alla liberalità verso le strutture ecclesiastiche e riesce ad attirare su di sé l’attenzione di numerosi e munifici benefattori. Nello stesso periodo l’Opera della Propagazione della Fede, con sedi principali a Lione e Parigi, genera un vasto movimento di sensibilizzazione nei riguardi delle missioni. Il battesimo dei cinesini, la scoperta dell’Africa sel-
tessore.rivista@ausiliatrice.net
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luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
Don Bosco santo o furbacchione? La santità di don Bosco è il risultato di un grande lavorio esercitato su un carattere non facile e su una personalità complessa. Non ha nulla della mielosità con cui è stata avvolta per un periodo fin troppo lungo. © Nino Musio
fondazione di Valdocco. I fari della luce della ribalta sono fissi su di lui. Tutti gli altri sono relegati al ruolo di comprimari avvolti dalla penombra e dal silenzio, nonostante che si siano spesi, con generosità e fatica, nell’assecondarlo nelle sue prime esperienze educative. Un’altra sua caratteristica è quella di sopravvalutare i risultati oggettivamente realizzati. Dalle sue parole si ricava l’impressione che gran parte dei giovani della Torino di allora si raduni nei suoi oratori. Le statistiche demografiche, invece, ci dicono che fra gli anni 1846-1856 la frequenza oscilla fra i 600-1200 giovani. Questi numeri rimangono costanti anche negli anni 18801890 nonostante che la popolazione della capitale sabauda passi dai 136.000 ai 230.000 abitanti. In termini percentuali solo l’1,3% della gioventù frequenta gli ambienti salesiani. In Torino ci sono molte altre agenzie che si occupano dell’educazione giovanile, ma non vengono mai menzionate.
Don Bosco scriveva personalmente un gran numero di lettere era anche questo un modo per creare intorno a sè e alla sua opera una fitta rete di persone sensibili ai bisogni materiali che la congregazione doveva affrontare.
vaggia ed in gran parte sconosciuta da parte di audaci evangelizzatori, la costruzione di ospedali e strutture educative a favore di popolazioni lontane riaccendono sopiti sentimenti di carità solidale. Don Bosco coglie la palla la balzo e dà vita alle spedizioni missionarie che aprono alla giovane congregazione gli sconfinati orizzonti della Patagonia e dell’America del sud. Il Bollettino Salesiano si trasforma in un gratuito strumento di propaganda che mette a disposizione di don Bosco, tramite molti cooperatori e benefattori, le ingenti somme di denaro richieste dalle nuove fondazioni missionarie. Altro aspetto molto curato è quello dello scrivere, personalmente, un gran numero di lettere autografe. Questo gli permette di tessere una vasta rete di persone sensibili ai bisogni materiali che la nascente congregazione deve affrontare. Si tratta di un lavoro snervante, faticoso, intriso di furbizia e di saggezza che mette a dura prova il suo organismo spremendolo oltre ogni regola di prudenza. Tutto questo solo sotto lo stimolo insopprimibile del da mihi animas. Sotto questo aspetto la santità di don Bosco brilla trasparente ed indiscutibile. A duecento anni dalla sua nascita è con questa santità che dobbiamo noi tutti misurarci non solo a livello di buone parole e di mielose intenzioni, ma di condotta e comportamenti concreti e verificabili nella vita reale di tutti i giorni. Ermete Tessore
Un santo geniale nel farsi conoscere e nel farsi aiutare economicamente
Il giovane prete piemontese che con tenacia ed intelligenza riesce a dar vita all’oratorio di Valdocco, superando difficoltà e contrattempi di ogni genere, che tipo di persona è: un santo fin dal seno di sua madre?; un furbacchione che riesce a catturare l’attenzione su di sé?; è un prete un po’ matto ed originale?; è veramente un uomo solo di Dio? A leggere, attentamente e criticamente, i suoi scritti giovanili, si ha la vaga impressione che la sua
“santità”, indiscutibile, sia ancora un po’ acerba e venata da alcune scorie di “umanità”.
Un santo fiero della sua umiltà Dalle Memorie dell’Oratorio balza agli occhi una certa sua predisposizione alla autoreferenzialità. Pone la sua persona al centro di tutto. Non parla dei suoi tanti e validi collaboratori che pure hanno avuto un ruolo importante ed insostituibile nella
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Dalla lettura delle Letture Cattoliche e da Il Bollettino Salesiano, pubblicato a partire dall’agosto 1877, si colgono gli aspetti più originali e moderni della sua santità. Don Bosco si dimostra un autentico genio nell’ambito della comunicazione e della pubblicità. Il dissolvimento dello Stato Pontificio crea in tutta Europa un diffuso e radicato senso di solidarietà nei riguardi del Papa sfrattato dal Quirinale e relegato, quasi in prigionia, in Vaticano. Questa profonda empatia si traduce in una concreta solidarietà che alimenta un vasto flusso di denaro con destinazione Roma papalina. Il giovane prete piemontese capta questa insperata predisposizione alla liberalità verso le strutture ecclesiastiche e riesce ad attirare su di sé l’attenzione di numerosi e munifici benefattori. Nello stesso periodo l’Opera della Propagazione della Fede, con sedi principali a Lione e Parigi, genera un vasto movimento di sensibilizzazione nei riguardi delle missioni. Il battesimo dei cinesini, la scoperta dell’Africa sel-
tessore.rivista@ausiliatrice.net
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DON BOSCO OGGI
Con “don Patagonia”ai confini del mondo
svolse un intenso lavoro tra le popolazioni indigene Ona, Alakauf e Yamana, sterminate dai “conquistatori” europei alla ricerca d’oro e di terre ove allevare greggi, o costrette a vivere in zone sempre più marginali.
soprattutto, scrive le proprie esperienze, fotografa i luoghi, filma le esplorazioni per divulgarle e farle conoscere. Un impegno che non conosce tregua, cui si dedica fino al giorno della morte, avvenuta a Valdocco il giorno di Natale del 1960. Per ricordarlo, il Governo cileno gli ha intitolato tra l’altro - un Parco nazionale che copre una superficie di circa 15.000 chilometri quadrati a sud dello stretto di Magellano, un fiordo lungo 35 chilometri, la Facoltà di Geografia dell’Università Cattolica Silva Henriquez di Santiago e un quartiere della città di Punta Arenas. Carlo Tagliani
Amore per la missione e per la cultura
Nel centotrentesimo anniversario della nascita di Padre Alberto Maria De Agostini un volume, edito dal Museo nazionale della Montagna, ne ricostruisce la sterminata bibliografia. tendo risuonare nel proprio cuore l’invito di Gesù a percorrere le strade del mondo per far conoscere il Vangelo a tutte le nazioni, diventa missionario per diffondere la Buona Notizia tra i popoli dell’America australe. La presenza dei Salesiani nell’America del Sud aveva avuto inizio trentaquattro anni prima - nel 1875 - quando dieci missionari, “capitanati” da Don Giovanni Battista Cagliero, raggiunsero Buenos Aires per prestare la propria opera pastorale nella chiesa Mater Misericordiae, punto di riferimento di un gran numero d’italiani emigrati in Argentina in cerca di fortuna, e per aprire una scuola per sarti, falegnami e legatori a San Nicolàs de los Arroyos. Undici anni dopo - nel 1886 - il seme dei Salesiani aveva cominciato a germogliare anche in Cile grazie all’opera di Don Giuseppe Fagnano, che
«Un uomo e un Salesiano che ha fatto molto nel Cile e per il Cile, al punto di guadagnarsi l’appellativo affettuoso di “don Patagonia”». Con queste parole, colme di riconoscenza, il direttore degli Affari culturali del Ministero degli Esteri cileno Germàn Guerrero ha definito Padre Alberto Maria De Agostini nel corso della presentazione - all’ultimo Salone del Libro di Torino - del volume Scritti d’America australe, che ne ricostruisce la sterminata bibliografia.
Condividere la vita con i poveri L’attrazione per i poveri, le terre lontane e le meraviglie della natura è il leitmotiv dell’intera vita di De Agostini. Nasce a Pollone, in provincia di Biella, il 2 novembre 1883. Entra in seminario giovanissimo e nel 1909 viene ordinato sacerdote Salesiano. Sen-
40
Quando, nel 1910, De Agostini approda nello stretto di Magellano la tragedia degli indios si è in gran parte consumata. Lo scenario in cui si trova a operare è in rapida trasformazione, tra atroci conflitti e prospettive sconfinate. Consapevole di non poter far nulla per salvare il declino degli indios, decide di raccoglierne e tramandarne almeno le tradizioni e la memoria. E, fondendo l’amore per Dio con quello per gli uomini e per la natura, mette al loro servizio fede e scienza, missione e cultura. Con slancio ed entusiasmo stringe un accordo con Don Fagnano, diventato nel frattempo Prefetto apostolico della Terra del Fuoco: alternare l’attività d’insegnante con quella di esploratore senza perdere mai di vista l’impegno pastorale, nella consapevolezza di essere - sempre e prima di tutto - prete. I canali dell’arcipelago dello stretto di Magellano, il massiccio del Paine, i monti Balmaceda, Fitz Roy e San Lorenzo, i ghiacciai Hielo Continental e Perito Moreno sono solo alcune delle sue mete. Instancabile, percorre valli, scala vette mai raggiunte, naviga mari tempestosi, s’insinua in fiordi sconosciuti. E,
redazione.rivista@ausiliatrice.net
Edito dal Museo nazionale della Montagna «Duca degli Abruzzi» in collaborazione con il Consiglio regionale del Piemonte e l’Associazione Missioni Don Bosco, Scritti d’America australe - Bibliografia di Alberto Maria De Agostini è curato da Denis Chevallay e Cinzia Granero. In 168 pagine, corredate da numerose foto a colori, i due ricercatori hanno raccolto e schedato - tra Cile, Argentina e Italia - circa 30.000 documenti inediti del sacerdote-esploratore che in 45 anni di attività editoriale ha dato alle stampe 140 pubblicazioni, 78 articoli divulgativi e realizzato circa 40.000 fotografie e numerosi documentari. Alla presentazione del volume, domenica 19 maggio al Salone del Libro di Torino, sono intervenuti lo storico Roberto Mantovani, la curatrice Cinzia Granero, il direttore del Museo della Montagna Aldo Audisio, il direttore degli Affari culturali del Ministero degli Esteri cileno Germàn Guerrero e il console onorario del Cile a Torino Vivien Jones (da sinistra a destra nella foto).
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DON BOSCO OGGI
Con “don Patagonia”ai confini del mondo
svolse un intenso lavoro tra le popolazioni indigene Ona, Alakauf e Yamana, sterminate dai “conquistatori” europei alla ricerca d’oro e di terre ove allevare greggi, o costrette a vivere in zone sempre più marginali.
soprattutto, scrive le proprie esperienze, fotografa i luoghi, filma le esplorazioni per divulgarle e farle conoscere. Un impegno che non conosce tregua, cui si dedica fino al giorno della morte, avvenuta a Valdocco il giorno di Natale del 1960. Per ricordarlo, il Governo cileno gli ha intitolato tra l’altro - un Parco nazionale che copre una superficie di circa 15.000 chilometri quadrati a sud dello stretto di Magellano, un fiordo lungo 35 chilometri, la Facoltà di Geografia dell’Università Cattolica Silva Henriquez di Santiago e un quartiere della città di Punta Arenas. Carlo Tagliani
Amore per la missione e per la cultura
Nel centotrentesimo anniversario della nascita di Padre Alberto Maria De Agostini un volume, edito dal Museo nazionale della Montagna, ne ricostruisce la sterminata bibliografia. tendo risuonare nel proprio cuore l’invito di Gesù a percorrere le strade del mondo per far conoscere il Vangelo a tutte le nazioni, diventa missionario per diffondere la Buona Notizia tra i popoli dell’America australe. La presenza dei Salesiani nell’America del Sud aveva avuto inizio trentaquattro anni prima - nel 1875 - quando dieci missionari, “capitanati” da Don Giovanni Battista Cagliero, raggiunsero Buenos Aires per prestare la propria opera pastorale nella chiesa Mater Misericordiae, punto di riferimento di un gran numero d’italiani emigrati in Argentina in cerca di fortuna, e per aprire una scuola per sarti, falegnami e legatori a San Nicolàs de los Arroyos. Undici anni dopo - nel 1886 - il seme dei Salesiani aveva cominciato a germogliare anche in Cile grazie all’opera di Don Giuseppe Fagnano, che
«Un uomo e un Salesiano che ha fatto molto nel Cile e per il Cile, al punto di guadagnarsi l’appellativo affettuoso di “don Patagonia”». Con queste parole, colme di riconoscenza, il direttore degli Affari culturali del Ministero degli Esteri cileno Germàn Guerrero ha definito Padre Alberto Maria De Agostini nel corso della presentazione - all’ultimo Salone del Libro di Torino - del volume Scritti d’America australe, che ne ricostruisce la sterminata bibliografia.
Condividere la vita con i poveri L’attrazione per i poveri, le terre lontane e le meraviglie della natura è il leitmotiv dell’intera vita di De Agostini. Nasce a Pollone, in provincia di Biella, il 2 novembre 1883. Entra in seminario giovanissimo e nel 1909 viene ordinato sacerdote Salesiano. Sen-
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Quando, nel 1910, De Agostini approda nello stretto di Magellano la tragedia degli indios si è in gran parte consumata. Lo scenario in cui si trova a operare è in rapida trasformazione, tra atroci conflitti e prospettive sconfinate. Consapevole di non poter far nulla per salvare il declino degli indios, decide di raccoglierne e tramandarne almeno le tradizioni e la memoria. E, fondendo l’amore per Dio con quello per gli uomini e per la natura, mette al loro servizio fede e scienza, missione e cultura. Con slancio ed entusiasmo stringe un accordo con Don Fagnano, diventato nel frattempo Prefetto apostolico della Terra del Fuoco: alternare l’attività d’insegnante con quella di esploratore senza perdere mai di vista l’impegno pastorale, nella consapevolezza di essere - sempre e prima di tutto - prete. I canali dell’arcipelago dello stretto di Magellano, il massiccio del Paine, i monti Balmaceda, Fitz Roy e San Lorenzo, i ghiacciai Hielo Continental e Perito Moreno sono solo alcune delle sue mete. Instancabile, percorre valli, scala vette mai raggiunte, naviga mari tempestosi, s’insinua in fiordi sconosciuti. E,
redazione.rivista@ausiliatrice.net
Edito dal Museo nazionale della Montagna «Duca degli Abruzzi» in collaborazione con il Consiglio regionale del Piemonte e l’Associazione Missioni Don Bosco, Scritti d’America australe - Bibliografia di Alberto Maria De Agostini è curato da Denis Chevallay e Cinzia Granero. In 168 pagine, corredate da numerose foto a colori, i due ricercatori hanno raccolto e schedato - tra Cile, Argentina e Italia - circa 30.000 documenti inediti del sacerdote-esploratore che in 45 anni di attività editoriale ha dato alle stampe 140 pubblicazioni, 78 articoli divulgativi e realizzato circa 40.000 fotografie e numerosi documentari. Alla presentazione del volume, domenica 19 maggio al Salone del Libro di Torino, sono intervenuti lo storico Roberto Mantovani, la curatrice Cinzia Granero, il direttore del Museo della Montagna Aldo Audisio, il direttore degli Affari culturali del Ministero degli Esteri cileno Germàn Guerrero e il console onorario del Cile a Torino Vivien Jones (da sinistra a destra nella foto).
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luglio-agosto 2013
DON BOSCO OGGI
Maria custodisce la nostra salute
Papa Francesco, in occasione della recita del S. Rosario nella Basilica di S. Maria Maggiore, sabato 4 maggio 2013, ha presentato Maria in un’ottica tipicamente salesiana ed educativa. Parlando di Maria che cura la nostra salute ha tratteggiato il ruolo materno di Maria nell’ordine della fede e della salvezza di ciascuno di noi. Maria ci aiuta a crescere: «La Madonna fa proprio questo in noi, ci aiuta a crescere umanamente e nella fede, ad essere forti e non cedere alla tentazione dell’essere uomini e cristiani in modo superficiale, ma a vivere con responsabilità, a tendere sempre più in alto». Sembrava di riascoltare le parole della Madonna a Giovannino Bosco nel sogno dei nove anni: «Renditi umile, forte e robusto». Maria ci aiuta ad affrontare la
vita: «Non si educa, non si cura la salute evitando i problemi, come se la vita fosse un’autostrada senza ostacoli. La mamma aiuta i figli a guardare con realismo i problemi della vita e a non perdersi in essi, ma ad affrontarli con coraggio, a non essere deboli, e a saperli superare, in un sano equilibrio che una madre “sente” tra gli ambiti di sicurezza e le zone di rischio. E questo una mamma sa farlo!». Maria ci è stata data come Madre ai piedi della croce, per ricordarci che Ella ci è sempre Madre, ma soprattutto nell’ora della prova, della lotta e della fatica. L’aver tolto ogni sforzo e sofferenza ai figli che crescono è stato uno dei più grandi tradimenti educativi del nostro tempo. Maria ci aiuta ad essere liberi: «Maria da buona madre ci educa ad essere, come Lei, capaci
vita di famiglia
di fare scelte definitive in questo momento in cui regna, per così dire, la filosofia del provvisorio. È tanto difficile impegnarsi nella vita definitivamente. E lei ci aiuta a fare scelte definitive con quella libertà piena con cui ha risposto “sì” al piano di Dio sulla sua vita (cfr Lc 1,38)». La vera opera educativa, l’autentico compito dei genitori e degli educatori è aiutare i figli e i ragazzi a fare delle scelte definitive con libertà e responsabilità, per sconfiggere il relativismo morale e la precarietà esistenziale che mina come un cancro l’esistenza delle nuove generazioni. Il tempo che viviamo è di emergenza educativa, ma con la guida e l’aiuto di Maria può diventare tempo di grazia e di salvezza. A cura di Pier Luigi Cameroni pcameroni@sdb.org
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
www.admadonbosco.org
ADMA-Famiglie Come ADMA ci stiamo rinnovando attraverso la cura e l’accompagnamento delle coppie e famiglie giovani per frantumare la solitudine e tornare, con modalità originali, all’impegno educativo e di evangelizzazione. Come ADMA dedichiamo priorità alla famiglia e alla formazione delle giovani generazioni al matrimonio per testimoniare con più forza il senso dell’alleanza sponsale e della vita come dono di Dio. Per questo lavoriamo perché la famiglia diventi una chiesa domestica, dove si prega insieme, in particolare il S. Rosario, e dove si nutre la fede con la lettura della Bibbia.
42
ADMA-Africa Diamo il nostro contributo al rinnovamento della Chiesa con la nostra santificazione personale. La Chiesa si rinnova nei cuori che si aprono a Dio e al suo amore. Facciamo risplendere Gesù Cristo nella nostra vita perché il mondo creda e si converta. È bello costatare come questo si sta attuando nei gruppi ADMA dell’Africa che vanno aumentando di numero e qualità di vita.
ADMA Giovanile Ascoltiamo ancora qualche bella testimonianza: «Per me l’ADMA giovanile è un dono! Tutte le esperienze vissute, i momenti da ricordare: gioie, difficoltà, risate, canti, preghiere... tutto un dono! E come tutti i doni, si accetta e si ringrazia, perché è stato fatto dal Signore per noi, poi si vive, perché nessun dono viene dato per essere lasciato in un cassetto! Ma cosa c’è di più bello al mondo se non donare? Quindi è per me un dono ricevuto, ma anche da regalare, affinché, come noi, altri giovani possano accoglierne uno così speciale!» (Federica). «L’ADMA è la possibilità di fermarsi, riflettere, condividere ed agire. Pit stop in una corsa che ha per destinazione il paradiso. Meta ambiziosa, certo! Ma cosa sarebbe la vita senza dei punti di riferimento alti, che non riteniamo impossibili? Con il sorriso di un amico, con la certezza di essere gruppo e anche con la preghiera viva, io credo che si possa raggiungere un tale obiettivo. Un sogno irrealizzabile potrebbe dirmi il mondo, anzi me lo sussurra tutti i giorni nei momenti più difficili, ma con gioia grazie a questo cammino posso rispondergli in faccia: io (ci) credo!» (Elena).
ADMA Africa. Gruppo di Bobo (Burkina Faso
ADMA Africa. Gruppo di Korhogo (Costa d’Avorio)
«Che cosè l’ADMA per me?” una grande opportunità di cui devo molto ringraziare. È come per i raggi di un sole: più sono vicini fra di loro, più sono vicini al centro. E il centro, lo sappiamo, lo vediamo, è Lui» (Anna).
ADMA Giovani Rodeo del medio (Argentina)
ADMA Famiglie. Gela (Sicilia)
ADMA Giovani ADMA Famiglie in preghiera
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DON BOSCO OGGI
Maria custodisce la nostra salute
Papa Francesco, in occasione della recita del S. Rosario nella Basilica di S. Maria Maggiore, sabato 4 maggio 2013, ha presentato Maria in un’ottica tipicamente salesiana ed educativa. Parlando di Maria che cura la nostra salute ha tratteggiato il ruolo materno di Maria nell’ordine della fede e della salvezza di ciascuno di noi. Maria ci aiuta a crescere: «La Madonna fa proprio questo in noi, ci aiuta a crescere umanamente e nella fede, ad essere forti e non cedere alla tentazione dell’essere uomini e cristiani in modo superficiale, ma a vivere con responsabilità, a tendere sempre più in alto». Sembrava di riascoltare le parole della Madonna a Giovannino Bosco nel sogno dei nove anni: «Renditi umile, forte e robusto». Maria ci aiuta ad affrontare la
vita: «Non si educa, non si cura la salute evitando i problemi, come se la vita fosse un’autostrada senza ostacoli. La mamma aiuta i figli a guardare con realismo i problemi della vita e a non perdersi in essi, ma ad affrontarli con coraggio, a non essere deboli, e a saperli superare, in un sano equilibrio che una madre “sente” tra gli ambiti di sicurezza e le zone di rischio. E questo una mamma sa farlo!». Maria ci è stata data come Madre ai piedi della croce, per ricordarci che Ella ci è sempre Madre, ma soprattutto nell’ora della prova, della lotta e della fatica. L’aver tolto ogni sforzo e sofferenza ai figli che crescono è stato uno dei più grandi tradimenti educativi del nostro tempo. Maria ci aiuta ad essere liberi: «Maria da buona madre ci educa ad essere, come Lei, capaci
vita di famiglia
di fare scelte definitive in questo momento in cui regna, per così dire, la filosofia del provvisorio. È tanto difficile impegnarsi nella vita definitivamente. E lei ci aiuta a fare scelte definitive con quella libertà piena con cui ha risposto “sì” al piano di Dio sulla sua vita (cfr Lc 1,38)». La vera opera educativa, l’autentico compito dei genitori e degli educatori è aiutare i figli e i ragazzi a fare delle scelte definitive con libertà e responsabilità, per sconfiggere il relativismo morale e la precarietà esistenziale che mina come un cancro l’esistenza delle nuove generazioni. Il tempo che viviamo è di emergenza educativa, ma con la guida e l’aiuto di Maria può diventare tempo di grazia e di salvezza. A cura di Pier Luigi Cameroni pcameroni@sdb.org
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
www.admadonbosco.org
ADMA-Famiglie Come ADMA ci stiamo rinnovando attraverso la cura e l’accompagnamento delle coppie e famiglie giovani per frantumare la solitudine e tornare, con modalità originali, all’impegno educativo e di evangelizzazione. Come ADMA dedichiamo priorità alla famiglia e alla formazione delle giovani generazioni al matrimonio per testimoniare con più forza il senso dell’alleanza sponsale e della vita come dono di Dio. Per questo lavoriamo perché la famiglia diventi una chiesa domestica, dove si prega insieme, in particolare il S. Rosario, e dove si nutre la fede con la lettura della Bibbia.
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ADMA-Africa Diamo il nostro contributo al rinnovamento della Chiesa con la nostra santificazione personale. La Chiesa si rinnova nei cuori che si aprono a Dio e al suo amore. Facciamo risplendere Gesù Cristo nella nostra vita perché il mondo creda e si converta. È bello costatare come questo si sta attuando nei gruppi ADMA dell’Africa che vanno aumentando di numero e qualità di vita.
ADMA Giovanile Ascoltiamo ancora qualche bella testimonianza: «Per me l’ADMA giovanile è un dono! Tutte le esperienze vissute, i momenti da ricordare: gioie, difficoltà, risate, canti, preghiere... tutto un dono! E come tutti i doni, si accetta e si ringrazia, perché è stato fatto dal Signore per noi, poi si vive, perché nessun dono viene dato per essere lasciato in un cassetto! Ma cosa c’è di più bello al mondo se non donare? Quindi è per me un dono ricevuto, ma anche da regalare, affinché, come noi, altri giovani possano accoglierne uno così speciale!» (Federica). «L’ADMA è la possibilità di fermarsi, riflettere, condividere ed agire. Pit stop in una corsa che ha per destinazione il paradiso. Meta ambiziosa, certo! Ma cosa sarebbe la vita senza dei punti di riferimento alti, che non riteniamo impossibili? Con il sorriso di un amico, con la certezza di essere gruppo e anche con la preghiera viva, io credo che si possa raggiungere un tale obiettivo. Un sogno irrealizzabile potrebbe dirmi il mondo, anzi me lo sussurra tutti i giorni nei momenti più difficili, ma con gioia grazie a questo cammino posso rispondergli in faccia: io (ci) credo!» (Elena).
ADMA Africa. Gruppo di Bobo (Burkina Faso
ADMA Africa. Gruppo di Korhogo (Costa d’Avorio)
«Che cosè l’ADMA per me?” una grande opportunità di cui devo molto ringraziare. È come per i raggi di un sole: più sono vicini fra di loro, più sono vicini al centro. E il centro, lo sappiamo, lo vediamo, è Lui» (Anna).
ADMA Giovani Rodeo del medio (Argentina)
ADMA Famiglie. Gela (Sicilia)
ADMA Giovani ADMA Famiglie in preghiera
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L’AVVOCATO RISPONDE
Altro che bungalow a 5 stelle, abbiamo dormito in una topaia...
È tempo di vacanze, anche se la crisi economica non permette lunghi periodi di relax, qualche giorno per tirare il fiato e stare in famiglia senza vicoli di orari è un toccasana. Ma se la vacanza tanto attesa e decantata in agenzia di viaggi ci riserva brutte sorprese? Che fare per essere risarciti? Ogni individuo ha il sacro diritto di difendere uno dei propri fondamentali diritti: il riposo e la vacanza, occasione per trascorrere in serenità un periodo con la propria famiglia e per rigenerare lo spirito in modo da tornare alla vita quotidiana con nuove motivazioni. Come difendere dunque questo nostro diritto? Lo chiediamo al nostro avvocato di fiducia. «Il riposo attiene al benessere psico-fisico dell’uomo e, dunque, in stretta correlazione con il diritto alla salute - precisa l’avvocato Marco Castellarin - quando questo diritto viene leso a causa di una condotta irresponsabile del venditore (agenzia di viaggi) o del Tour operator (organizzatore del viaggio) o
del datore di lavoro laddove non permette un congruo periodo di riposo al lavoratore, nell’ordinamento giuridico troverà applicazione una serie di norme a tutela di questo diritto fondamentale». In questa puntata della nostra rubrica trattiamo il tema di compravendita di pacchetti turistici e del danno da vacanza rovinata. Supponiamo che abbia prenotato per me e la mia famiglia un pacchetto turistico ma il soggiorno di vacanza si è rivelato ben diverso rispetto a quanto garantito in sede di vendita, tanto da aver compromesso lo scopo di piacere. Come posso tutelarmi? «Nel caso di difformità quantita-
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tiva e/o qualitativa delle prestazioni oggetto del pacchetto turistico, il consumatore, grazie alle norme in sua tutela, oggi confluite nel Codice del Consumo (d.lgs 206/2005) può vedere riconosciuto il proprio diritto di usufruire e godere della vacanza tanto attesa come occasione di svago e riposo agendo per il risarcimento del ‘danno da vacanza rovinata’ – risponde l’avvocato - Questo danno è da annoverarsi in quel pregiudizio che si sostanzia nel disagio e nell’afflizione subiti dal turista - viaggiatore per non aver potuto godere pienamente della vacanza come occasione di relax». Intanto è bene chiarirci sui termini: cosa si intende per pacchetto turistico?
«Il pacchetto turistico, per intendersi, è definito dall’art. 84 del citato Codice del Consumo, quale i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso connotati dalla compresenza di almeno due elementi: per esempio trasporto e alloggio. Sotto il profilo funzionale il contratto di vendita del pacchetto turistico è caratterizzato dalla finalità turistica, ossia quell’interesse del consumatore generalmente di natura non patrimoniale. L’art. 93 Cod. del Consumo sancisce che in caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l’organizzatore (tour operator) ed il venditore (agenzia viaggi) sono tenuti al risarcimento del danno secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile». Questo significa che nel caso la vacanza si riveli inadatta o inadeguata o ancora del tutto diversa da quanto pattuito nel momento dell’acquisto, l’agenzia viaggi ed il tour operator dovranno risarcire il cosiddetto «danno da vacanza rovinata» secondo le rispettive responsabilità, sempre che i problemi intercorsi non siano stati dovuti a cause di forza maggiore o caso fortuito? «Nel caso di disagi e/o disguidi derivanti a causa di ausiliari e/o terzi fornitori di cui si è avvalso
Chi desiderasse porre domande all’avvocato Marco Castellarin del Foro di Torino può segnalarlo a: redazione.rivista@ausiliatrice.net specificando nell’oggetto della e-mail: per L’Avvocato risponde
il tour operator (trasporto aereo, marittimo, etc) ad essere chiamato a risponderne sarà l’organizzatore stesso anche nel caso in cui provi di essere stato diligente nella scelta del vettore o nel controllo degli ausiliari scelti. (Cass. Civ. 16090/2003)». Ma a chi richiedere il risarcimento dei danni? «La responsabilità del venditore è, nella prassi, essenzialmente dipendente dalla violazione degli obblighi di chiara informazione, ovvero responsabile per culpa in eligendo nella scelta dell’organizzatore di viaggi o del singolo servizio, con il quale ha direttamente concluso il contratto in nome e per conto del turista, mentre quella del tour operator è dipendente dalla violazione di tutti quegli obblighi di organizzazione e assistenza al turista che costituiscono parte significativa del pacchetto turistico». Avvocato, dopo aver individuato i responsabili cosa posso fare in concreto per chiedere i danni e con quali tempistiche? «È importante che ogni consumatore sappia che i tempi per sporgere reclamo sono stretti, pena l’impossibilità di ottenere il risarcimento del danno da vacanza rovinata. Secondo l’art. 98, comma II, Codice del Consumo, il
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consumatore può sporgere - nel caso non sia già stato contestato in loco - reclamo mediante l’invio di una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno all’organizzatore o al venditore entro e non oltre dieci giorni lavorativi dalla data del rientro nel luogo di partenza. Dopo aver sporto reclamo tenete presente che l’azione per ottenere il risarcimento del danno si prescrive, salvo alcuni casi particolari, in un anno dal rientro del viaggiatore nel luogo della partenza». A cura di Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
L’AVVOCATO RISPONDE
Altro che bungalow a 5 stelle, abbiamo dormito in una topaia...
È tempo di vacanze, anche se la crisi economica non permette lunghi periodi di relax, qualche giorno per tirare il fiato e stare in famiglia senza vicoli di orari è un toccasana. Ma se la vacanza tanto attesa e decantata in agenzia di viaggi ci riserva brutte sorprese? Che fare per essere risarciti? Ogni individuo ha il sacro diritto di difendere uno dei propri fondamentali diritti: il riposo e la vacanza, occasione per trascorrere in serenità un periodo con la propria famiglia e per rigenerare lo spirito in modo da tornare alla vita quotidiana con nuove motivazioni. Come difendere dunque questo nostro diritto? Lo chiediamo al nostro avvocato di fiducia. «Il riposo attiene al benessere psico-fisico dell’uomo e, dunque, in stretta correlazione con il diritto alla salute - precisa l’avvocato Marco Castellarin - quando questo diritto viene leso a causa di una condotta irresponsabile del venditore (agenzia di viaggi) o del Tour operator (organizzatore del viaggio) o
del datore di lavoro laddove non permette un congruo periodo di riposo al lavoratore, nell’ordinamento giuridico troverà applicazione una serie di norme a tutela di questo diritto fondamentale». In questa puntata della nostra rubrica trattiamo il tema di compravendita di pacchetti turistici e del danno da vacanza rovinata. Supponiamo che abbia prenotato per me e la mia famiglia un pacchetto turistico ma il soggiorno di vacanza si è rivelato ben diverso rispetto a quanto garantito in sede di vendita, tanto da aver compromesso lo scopo di piacere. Come posso tutelarmi? «Nel caso di difformità quantita-
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tiva e/o qualitativa delle prestazioni oggetto del pacchetto turistico, il consumatore, grazie alle norme in sua tutela, oggi confluite nel Codice del Consumo (d.lgs 206/2005) può vedere riconosciuto il proprio diritto di usufruire e godere della vacanza tanto attesa come occasione di svago e riposo agendo per il risarcimento del ‘danno da vacanza rovinata’ – risponde l’avvocato - Questo danno è da annoverarsi in quel pregiudizio che si sostanzia nel disagio e nell’afflizione subiti dal turista - viaggiatore per non aver potuto godere pienamente della vacanza come occasione di relax». Intanto è bene chiarirci sui termini: cosa si intende per pacchetto turistico?
«Il pacchetto turistico, per intendersi, è definito dall’art. 84 del citato Codice del Consumo, quale i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso connotati dalla compresenza di almeno due elementi: per esempio trasporto e alloggio. Sotto il profilo funzionale il contratto di vendita del pacchetto turistico è caratterizzato dalla finalità turistica, ossia quell’interesse del consumatore generalmente di natura non patrimoniale. L’art. 93 Cod. del Consumo sancisce che in caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l’organizzatore (tour operator) ed il venditore (agenzia viaggi) sono tenuti al risarcimento del danno secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile». Questo significa che nel caso la vacanza si riveli inadatta o inadeguata o ancora del tutto diversa da quanto pattuito nel momento dell’acquisto, l’agenzia viaggi ed il tour operator dovranno risarcire il cosiddetto «danno da vacanza rovinata» secondo le rispettive responsabilità, sempre che i problemi intercorsi non siano stati dovuti a cause di forza maggiore o caso fortuito? «Nel caso di disagi e/o disguidi derivanti a causa di ausiliari e/o terzi fornitori di cui si è avvalso
Chi desiderasse porre domande all’avvocato Marco Castellarin del Foro di Torino può segnalarlo a: redazione.rivista@ausiliatrice.net specificando nell’oggetto della e-mail: per L’Avvocato risponde
il tour operator (trasporto aereo, marittimo, etc) ad essere chiamato a risponderne sarà l’organizzatore stesso anche nel caso in cui provi di essere stato diligente nella scelta del vettore o nel controllo degli ausiliari scelti. (Cass. Civ. 16090/2003)». Ma a chi richiedere il risarcimento dei danni? «La responsabilità del venditore è, nella prassi, essenzialmente dipendente dalla violazione degli obblighi di chiara informazione, ovvero responsabile per culpa in eligendo nella scelta dell’organizzatore di viaggi o del singolo servizio, con il quale ha direttamente concluso il contratto in nome e per conto del turista, mentre quella del tour operator è dipendente dalla violazione di tutti quegli obblighi di organizzazione e assistenza al turista che costituiscono parte significativa del pacchetto turistico». Avvocato, dopo aver individuato i responsabili cosa posso fare in concreto per chiedere i danni e con quali tempistiche? «È importante che ogni consumatore sappia che i tempi per sporgere reclamo sono stretti, pena l’impossibilità di ottenere il risarcimento del danno da vacanza rovinata. Secondo l’art. 98, comma II, Codice del Consumo, il
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consumatore può sporgere - nel caso non sia già stato contestato in loco - reclamo mediante l’invio di una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno all’organizzatore o al venditore entro e non oltre dieci giorni lavorativi dalla data del rientro nel luogo di partenza. Dopo aver sporto reclamo tenete presente che l’azione per ottenere il risarcimento del danno si prescrive, salvo alcuni casi particolari, in un anno dal rientro del viaggiatore nel luogo della partenza». A cura di Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
sfide educative
Dritto al cuore dei giovani I ragazzi sono liberi dai pregiudizi che si costruiscono con l’età. Questa loro condizione li avvicina alla Verità. Il discorso spirituale di don Bosco diventa così molto più facile da “catturare” e da capire. Gli insegnamenti di san Giovanni Bosco sono più che attuali. A Rivarolo Canavese, Eleonora, 15 anni, ne è entusiasta. È folgorata quando lo scopre un tutt’uno con il soprannaturale. Con lei tanti giovani, che hanno partecipato con domande e spedito molte email incuriosite alle prime presentazioni del libro Don Bosco mistico. Una vita tra cielo e terra (La Fontana di Siloe). «Per loro parlano gli occhi: svegli e gioiosi. Hanno sete della realtà spirituale e soprannaturale. Se gliela proponiamo noi adulti con cognizione di causa, non come nozioni imparate in modo asettico, allora non hanno più dubbi. Credere oggi non è più difficile di ieri», commenta l’autrice, la scrittrice Cristina Siccardi. Com’è possibile attirare l’attenzione delle nuove generazioni, parlando di spiritualità?
«Nonostante oggi vi sia una cultura opprimente e preconfezionata rispetto a un tempo, i ragazzi restano comunque più pronti degli adulti a “catturare la Verità”. Sono molto più liberi dalle sovrastrutture e pregiudizi che si costruiscono con l’età. Don Bosco parla loro cuore a cuore, con messaggi diretti ed esempi pratici».
Miracoli, segni di Dio Parlando di miracoli e di esperienze mistiche, non si rischia di sconfinare nella spettacolarizzazione? «È dall’ordinarietà del miracolo, che il sacro irrompe nel quotidiano. Non c’è rischio nei miracoli, perché sono segni di Dio: per chi crede non è possibile confonderli con il magico. Lo stesso don Bosco, del resto, era prudente e, ad esempio, parlava delle sue visioni solo nella veste di “sogni”. Ri-
usciva a contenere la sua esuberanza nel trascendente, non per se stesso ma per proteggere gli altri dall’eventualità di confondere questi segni con il clamore che inevitabilmente suscitano». Quali sono le domande più frequenti suscitate dal Don Bosco mistico? «Le questioni emerse alla fine di ogni incontro sono molte e interessanti. Per esempio, come ci poniamo oggi di fronte ai problemi in cui siamo immersi? Sotto il profilo profetico, hanno chiesto chiarimenti e analogie con il terzo segreto di Fatima e gli altri santi mistici, ma anche sulla crisi della fede nella Chiesa. In tanti sono rimasti affascinati dal Grigio, il grosso cane misterioso che soccorre il santo di Castelnuovo nei momenti di maggior pericolo. La richiesta più frequente in assoluto è stata però di proseguire nel
racconto della vita di don Bosco. In diverse occasioni, anzi, quando a fine conferenza mi sono messa a disposizione per rispondere ai dubbi, dalla sala si è sentito un univoco “No, vada avanti!”».
Sete di testimonianza Come spiega questa “sete” di conoscere pensieri e aneddoti della vita di san Giovanni Bosco? «Oggi, a volte, la fede viene proposta in un senso sociologico o filosofico. Cibo per lo stomaco o per la mente, ma non per l’anima e il cuore. Il suo segreto è invece di parlare proprio all’anima. Il suo messaggio è semplice e trasparente: la risoluzione a tutti i problemi è di aggrapparsi all’Eucarestia e a Maria, corredentrice con Cristo suo figlio». Sembra facile. La società di oggi, però, è diversa da quella dell’Ottocento. Ci sono più difficoltà da affrontare... «Non è così. La storia insegna che anche nel Risorgimento i detrattori della fede non sono mancati. Al contrario. Basti pensare all’operazione portata avanti dalla massoneria e dai difensori del laicismo per costringere in gabbia
la sensibilità religiosa. Ma anche alle lezioni di Ferrante Aporti, fondatore dell’asilo a Cremona, coevo di don Bosco. Aporti viene a Torino per formare gli insegnanti, secondo una pedagogia dove le verità di fede sono scambiate con meri sentimenti e non come ragione di vita. Don Bosco è colpito in negativo da questa metodologia. Si confronta con l’Arcivescovo, che proibisce ai sacerdoti di frequentare ancora quei corsi. La seduzione di Aporti, considerato un must per le persone di cultura dell’epoca, mira a distruggere la Chiesa dal di dentro. Don Bosco se ne accorge e va per la sua strada, a costo di procedere controcorrente. Così fa ogni volta, anche a rischio di viaggiare da solo. Ma da solo non lo è mai: in realtà, Dio e Maria lo accompagnano sempre e lo sostengono». Quali solo le insofferenze delle nuove generazioni? «Lo spirito di ribellione è da sempre una caratteristica dei ragazzi. Hanno il bisogno di manifestare la propria irrequietezza e di trovare qualcuno che doni loro amore con l’esempio, per essere a loro
Siccardi Cristina Don Bosco mistico. Una vita tra cielo e terra La Fontana di Siloe 2013, 400 pagine, € 24,50
volta testimoni. È un aspetto che è emerso anche nel corso degli incontri sul Don Bosco mistico, quando una adolescente mi ha chiesto: “Che strumenti abbiamo per difendere il nostro credo da chi ci prende in giro?”». Qual è la risposta? «La risposta migliore l’ha data Giulia, una bimba di 5 anni, che a un incontro alla biblioteca civica di Orbassano mi ha consegnato un foglio scritto di suo pugno e a memoria ha recitato ciò che vi era scritto, ovvero un bel passo di don Bosco, e in particolare queste frasi: “Ho promesso a Dio, che fino all’ultimo respiro, della mia vita, sarà per voi, cari giovani. [...] Mi raccomando siate santi, non è difficile, questo è il segreto: allegria, studio e preghiera. La santità consiste nello stare molto allegri, cari giovani vi aspetto tutti in Paradiso!”». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Dritto al cuore dei giovani I ragazzi sono liberi dai pregiudizi che si costruiscono con l’età. Questa loro condizione li avvicina alla Verità. Il discorso spirituale di don Bosco diventa così molto più facile da “catturare” e da capire. Gli insegnamenti di san Giovanni Bosco sono più che attuali. A Rivarolo Canavese, Eleonora, 15 anni, ne è entusiasta. È folgorata quando lo scopre un tutt’uno con il soprannaturale. Con lei tanti giovani, che hanno partecipato con domande e spedito molte email incuriosite alle prime presentazioni del libro Don Bosco mistico. Una vita tra cielo e terra (La Fontana di Siloe). «Per loro parlano gli occhi: svegli e gioiosi. Hanno sete della realtà spirituale e soprannaturale. Se gliela proponiamo noi adulti con cognizione di causa, non come nozioni imparate in modo asettico, allora non hanno più dubbi. Credere oggi non è più difficile di ieri», commenta l’autrice, la scrittrice Cristina Siccardi. Com’è possibile attirare l’attenzione delle nuove generazioni, parlando di spiritualità?
«Nonostante oggi vi sia una cultura opprimente e preconfezionata rispetto a un tempo, i ragazzi restano comunque più pronti degli adulti a “catturare la Verità”. Sono molto più liberi dalle sovrastrutture e pregiudizi che si costruiscono con l’età. Don Bosco parla loro cuore a cuore, con messaggi diretti ed esempi pratici».
Miracoli, segni di Dio Parlando di miracoli e di esperienze mistiche, non si rischia di sconfinare nella spettacolarizzazione? «È dall’ordinarietà del miracolo, che il sacro irrompe nel quotidiano. Non c’è rischio nei miracoli, perché sono segni di Dio: per chi crede non è possibile confonderli con il magico. Lo stesso don Bosco, del resto, era prudente e, ad esempio, parlava delle sue visioni solo nella veste di “sogni”. Ri-
usciva a contenere la sua esuberanza nel trascendente, non per se stesso ma per proteggere gli altri dall’eventualità di confondere questi segni con il clamore che inevitabilmente suscitano». Quali sono le domande più frequenti suscitate dal Don Bosco mistico? «Le questioni emerse alla fine di ogni incontro sono molte e interessanti. Per esempio, come ci poniamo oggi di fronte ai problemi in cui siamo immersi? Sotto il profilo profetico, hanno chiesto chiarimenti e analogie con il terzo segreto di Fatima e gli altri santi mistici, ma anche sulla crisi della fede nella Chiesa. In tanti sono rimasti affascinati dal Grigio, il grosso cane misterioso che soccorre il santo di Castelnuovo nei momenti di maggior pericolo. La richiesta più frequente in assoluto è stata però di proseguire nel
racconto della vita di don Bosco. In diverse occasioni, anzi, quando a fine conferenza mi sono messa a disposizione per rispondere ai dubbi, dalla sala si è sentito un univoco “No, vada avanti!”».
Sete di testimonianza Come spiega questa “sete” di conoscere pensieri e aneddoti della vita di san Giovanni Bosco? «Oggi, a volte, la fede viene proposta in un senso sociologico o filosofico. Cibo per lo stomaco o per la mente, ma non per l’anima e il cuore. Il suo segreto è invece di parlare proprio all’anima. Il suo messaggio è semplice e trasparente: la risoluzione a tutti i problemi è di aggrapparsi all’Eucarestia e a Maria, corredentrice con Cristo suo figlio». Sembra facile. La società di oggi, però, è diversa da quella dell’Ottocento. Ci sono più difficoltà da affrontare... «Non è così. La storia insegna che anche nel Risorgimento i detrattori della fede non sono mancati. Al contrario. Basti pensare all’operazione portata avanti dalla massoneria e dai difensori del laicismo per costringere in gabbia
la sensibilità religiosa. Ma anche alle lezioni di Ferrante Aporti, fondatore dell’asilo a Cremona, coevo di don Bosco. Aporti viene a Torino per formare gli insegnanti, secondo una pedagogia dove le verità di fede sono scambiate con meri sentimenti e non come ragione di vita. Don Bosco è colpito in negativo da questa metodologia. Si confronta con l’Arcivescovo, che proibisce ai sacerdoti di frequentare ancora quei corsi. La seduzione di Aporti, considerato un must per le persone di cultura dell’epoca, mira a distruggere la Chiesa dal di dentro. Don Bosco se ne accorge e va per la sua strada, a costo di procedere controcorrente. Così fa ogni volta, anche a rischio di viaggiare da solo. Ma da solo non lo è mai: in realtà, Dio e Maria lo accompagnano sempre e lo sostengono». Quali solo le insofferenze delle nuove generazioni? «Lo spirito di ribellione è da sempre una caratteristica dei ragazzi. Hanno il bisogno di manifestare la propria irrequietezza e di trovare qualcuno che doni loro amore con l’esempio, per essere a loro
Siccardi Cristina Don Bosco mistico. Una vita tra cielo e terra La Fontana di Siloe 2013, 400 pagine, € 24,50
volta testimoni. È un aspetto che è emerso anche nel corso degli incontri sul Don Bosco mistico, quando una adolescente mi ha chiesto: “Che strumenti abbiamo per difendere il nostro credo da chi ci prende in giro?”». Qual è la risposta? «La risposta migliore l’ha data Giulia, una bimba di 5 anni, che a un incontro alla biblioteca civica di Orbassano mi ha consegnato un foglio scritto di suo pugno e a memoria ha recitato ciò che vi era scritto, ovvero un bel passo di don Bosco, e in particolare queste frasi: “Ho promesso a Dio, che fino all’ultimo respiro, della mia vita, sarà per voi, cari giovani. [...] Mi raccomando siate santi, non è difficile, questo è il segreto: allegria, studio e preghiera. La santità consiste nello stare molto allegri, cari giovani vi aspetto tutti in Paradiso!”». Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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sfide educative
Valore e missione degli Oratori
Gli oratori devono essere rilanciati come «ponti tra la Chiesa e la strada», diceva Giovanni Paolo II. La sfida è farli diventare sempre più spazi di accoglienza e dialogo, ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e l’incontro con Lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il tempo della spensieratezza e quello della responsabilità. Uno scopo alto che l’episcopato fissa a Il laboratorio dei talenti con la nota pastorale su Valore e missione degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo, frutto del lavoro congiunto delle Commissioni CEI (Conferenza Episcopale Italiana) per la Famiglia e la vita e per la Cultura e le comunicazioni sociali. Gli oratori stanno molto a cuore ai vescovi. Tuttavia è singola-
La loro importanza «nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo» ribadita in una recente nota delle Commissioni CEI per la Famiglia e la vita e per la Cultura e le comunicazioni sociali. re che, nonostante un’esperienza di quasi mezzo millennio, questo sia il primo organico documento dedicato all’oratorio in cinquant’anni di storia ufficiale (dal 1964) della CEI. Già negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo si affermava: «La necessità di rispondere alle esigenze dei giovani porta a superare i confini parrocchiali e ad allacciare alleanze con le altre agenzie
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educative. L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni ed esprime il volto e la passione educativa della comunità». Il tutto attraverso l’aggregazione e lo sport, la musica e il teatro, il gioco e lo studio.
Tre grandi filoni Storicamente il termine indica un luogo adibito alla preghiera, un genere musicale, uno stile educativo. Nell’ultimo significato, l’ora-
torio deriva da un intreccio di intuizioni, esperienze, attività e opere, frutto dello Spirito Santo, del genio creativo di non pochi santi e delle scelte pastorali. Senza pretesa di completezza il documento individua tre grandi filoni: la tradizione filippina con san Filippo Neri (1515-1595); la tradizione ambrosiana-lombarda dei grandi arcivescovi di Milano, da san Carlo Borromeo (1538-1584) a Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI (1897-1978); la tradizione piemontese con san Giovanni Bosco (1815-1888), santa Maria Domenica Mazzarello (18371881) e san Leonardo Murialdo (1828-1900) e tanti altri educatori piemontesi. Nelle diocesi del Triveneto l’oratorio è conosciuto anche come patronato. Nel Centro-Sud numerose Congregazioni religiose, educatori ed educatrici, consacrati e laici fanno varie esperienze. Prezioso il contributo dell’Azione Cattolica, con un forte radicamento in tutta Italia. Elementi comuni a queste esperienze sono l’autorevolezza dell’educatore, la centralità della relazione personale, l’educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento e orizzonte alla ricerca di senso, la
formazione integrale della persona, la costruzione del bene comune. Gli oratori - osserva la nota - «non nascono come progetti “a tavolino” ma dalla capacità di lasciarsi mettere in discussione dalle urgenze e dai bisogni».
Un riferimento ecclesiale e sociale Un ampio capitolo è dedicato all’emarginazione dei giovani. Gli oratori non si sono limitati al recupero, all’istruzione, all’assistenza: hanno promosso musica, teatro, letteratura, gioco, sport, festa, prevenzione sociale, accompagnamento familiare, avviamento al lavoro; hanno puntato sulla formazione complessiva, umana, culturale, spirituale; hanno inquadrato necessità e povertà dei giovani. «In modo particolare don Bosco, con la sua sensibilità per l’abbandono in cui versavano masse di ragazzi, si fece carico della loro formazione e istruzione, non solo religiosa: la nascita di scuole e collegi manifestò come il Vangelo non potesse limitarsi al catechismo. Oggi molti oratori faticano a perseverare per la complessità delle sfide. In altre realtà l’oratorio resta l’unico punto di riferimento ecclesiale e
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sociale, capace di denuncia delle ingiustizie e del degrado. Gli oratori non sono nati per il contrasto al disagio sociale ma possono fare molto per la prevenzione e il sostegno. Per questo gli oratori sappiano “stare sulla strada” per cercare e accogliere i soggetti più feriti e bisognosi». Quest’opera si sviluppa da solide radici. Concludono i vescovi: «Nella cultura filippina l’oratorio indicava proprio l’incontro nel quale si alternavano letture spirituali, sermoni o “ragionamenti sul libro” in un clima festoso e allietato da musica e canto. Strettamente legati alle scuole della Dottrina cristiana, nate su iniziativa di Castellino da Castello (1480-1566) per un’istruzione e una catechesi di massa, gli oratori milanesi e lombardi si strutturarono come vere e proprie scuole parrocchiali. Don Bosco l’8 dicembre 1841 propose al giovane immigrato analfabeta Bartolomeo Garelli un “catechismo a parte”. Oggi l’impegno educativo nella nuova cultura mediatica dovrà costituire un ambito privilegiato per la missione della Chiesa». Pier Giuseppe Accornero redazione.rivista@ausiliatrice.net
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sfide educative
Valore e missione degli Oratori
Gli oratori devono essere rilanciati come «ponti tra la Chiesa e la strada», diceva Giovanni Paolo II. La sfida è farli diventare sempre più spazi di accoglienza e dialogo, ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e l’incontro con Lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il tempo della spensieratezza e quello della responsabilità. Uno scopo alto che l’episcopato fissa a Il laboratorio dei talenti con la nota pastorale su Valore e missione degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo, frutto del lavoro congiunto delle Commissioni CEI (Conferenza Episcopale Italiana) per la Famiglia e la vita e per la Cultura e le comunicazioni sociali. Gli oratori stanno molto a cuore ai vescovi. Tuttavia è singola-
La loro importanza «nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo» ribadita in una recente nota delle Commissioni CEI per la Famiglia e la vita e per la Cultura e le comunicazioni sociali. re che, nonostante un’esperienza di quasi mezzo millennio, questo sia il primo organico documento dedicato all’oratorio in cinquant’anni di storia ufficiale (dal 1964) della CEI. Già negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo si affermava: «La necessità di rispondere alle esigenze dei giovani porta a superare i confini parrocchiali e ad allacciare alleanze con le altre agenzie
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educative. L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni ed esprime il volto e la passione educativa della comunità». Il tutto attraverso l’aggregazione e lo sport, la musica e il teatro, il gioco e lo studio.
Tre grandi filoni Storicamente il termine indica un luogo adibito alla preghiera, un genere musicale, uno stile educativo. Nell’ultimo significato, l’ora-
torio deriva da un intreccio di intuizioni, esperienze, attività e opere, frutto dello Spirito Santo, del genio creativo di non pochi santi e delle scelte pastorali. Senza pretesa di completezza il documento individua tre grandi filoni: la tradizione filippina con san Filippo Neri (1515-1595); la tradizione ambrosiana-lombarda dei grandi arcivescovi di Milano, da san Carlo Borromeo (1538-1584) a Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI (1897-1978); la tradizione piemontese con san Giovanni Bosco (1815-1888), santa Maria Domenica Mazzarello (18371881) e san Leonardo Murialdo (1828-1900) e tanti altri educatori piemontesi. Nelle diocesi del Triveneto l’oratorio è conosciuto anche come patronato. Nel Centro-Sud numerose Congregazioni religiose, educatori ed educatrici, consacrati e laici fanno varie esperienze. Prezioso il contributo dell’Azione Cattolica, con un forte radicamento in tutta Italia. Elementi comuni a queste esperienze sono l’autorevolezza dell’educatore, la centralità della relazione personale, l’educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento e orizzonte alla ricerca di senso, la
formazione integrale della persona, la costruzione del bene comune. Gli oratori - osserva la nota - «non nascono come progetti “a tavolino” ma dalla capacità di lasciarsi mettere in discussione dalle urgenze e dai bisogni».
Un riferimento ecclesiale e sociale Un ampio capitolo è dedicato all’emarginazione dei giovani. Gli oratori non si sono limitati al recupero, all’istruzione, all’assistenza: hanno promosso musica, teatro, letteratura, gioco, sport, festa, prevenzione sociale, accompagnamento familiare, avviamento al lavoro; hanno puntato sulla formazione complessiva, umana, culturale, spirituale; hanno inquadrato necessità e povertà dei giovani. «In modo particolare don Bosco, con la sua sensibilità per l’abbandono in cui versavano masse di ragazzi, si fece carico della loro formazione e istruzione, non solo religiosa: la nascita di scuole e collegi manifestò come il Vangelo non potesse limitarsi al catechismo. Oggi molti oratori faticano a perseverare per la complessità delle sfide. In altre realtà l’oratorio resta l’unico punto di riferimento ecclesiale e
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sociale, capace di denuncia delle ingiustizie e del degrado. Gli oratori non sono nati per il contrasto al disagio sociale ma possono fare molto per la prevenzione e il sostegno. Per questo gli oratori sappiano “stare sulla strada” per cercare e accogliere i soggetti più feriti e bisognosi». Quest’opera si sviluppa da solide radici. Concludono i vescovi: «Nella cultura filippina l’oratorio indicava proprio l’incontro nel quale si alternavano letture spirituali, sermoni o “ragionamenti sul libro” in un clima festoso e allietato da musica e canto. Strettamente legati alle scuole della Dottrina cristiana, nate su iniziativa di Castellino da Castello (1480-1566) per un’istruzione e una catechesi di massa, gli oratori milanesi e lombardi si strutturarono come vere e proprie scuole parrocchiali. Don Bosco l’8 dicembre 1841 propose al giovane immigrato analfabeta Bartolomeo Garelli un “catechismo a parte”. Oggi l’impegno educativo nella nuova cultura mediatica dovrà costituire un ambito privilegiato per la missione della Chiesa». Pier Giuseppe Accornero redazione.rivista@ausiliatrice.net
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sfide educative
Giovani e religione
Mentre la scienza moderna sostiene che siamo nati per credere i giovani si allontanano sempre più da qualsiasi esperienza di fede vissuta.
La moderna psicologia, supportata dalle più recenti scoperte dei neuro scienziati, non esita ad affermare che gli esseri umani sono nati con una innata predisposizione naturale a credere. Il cervello sembra essere stato plasmato dall’evoluzione ad aprirsi ai problemi che vanno aldilà del semplice aspetto biologico. I medici, da parte loro, sostengono che una fede autentica, vissuta nella coerenza e nella libertà, è di grande aiuto e supporto nelle svariate terapie di contenimento e di recupero da gravissime malattie. I sociologi della religione sostengono che una pletora di credenze hanno sempre affollato la storia dell’umanità in modo così pervasivo e diffuso da condizionare pesantemente, in bene o in male, ogni persona generando relazioni empatiche intrise di valori positivi, ma anche scatenando delle autentiche tempeste di aggressività gravide di odio e di violenza distruttiva. Nessun essere umano si è mai sottratto completamente all’influsso di
un qualche credo religioso. Tutto vero. Ma è altrettanto vero che in molte nazioni occidentali ad economia evoluta il credere sembra essere molto affievolito tra gli adolescenti moderni.
di sms, di tweet, di comunicazioni immediate, di bulimia, di contatti in rete, di emozioni bruciate all’ombra dell’attimo fuggente. La rete distribuisce informazioni, notizie, non sentimenti o valori. I giovani navigatori informatici non hanno tempo per confrontarsi con il loro vero io. Sono continuamente catapultati nel mondo del virtuale dove tutto viene esaltato, ampliato, esasperato fino a fare perdere il contatto con il mondo reale. Presi da un consumismo tecnologico dai forti connotati nevrotici ed alienanti, cadono vittime dei loro sogni e delle loro fantasie. Lentamente questo nirvana del web costruisce attorno ai ragazzi un muro inconscio di cemento armato che li isola ed allontana da tutte le tradizionali istituzioni civili e religiose. Loro non respingono nulla a priori, semplicemente tutto quanto sa di tradizione, di istituzione, di religione o di politica non li interessa e, quindi, non se ne occupano.
chiviato nel ricordare un momento bello del passato ma che non ha la forza di incidere sul modo di comportarsi. Ai giovani è difficile creare attorno a sé quel clima indispensabile di silenzio che solo può cambiare le emozioni superficiali in sentimenti profondi che determinano cambi di condotta ed aprono nuovi orizzonti di vita. Se a tutto questo si aggiunge la tiepidezza e la contro testimonianza di troppi, presunti, credenti e la sporcizia e mediocrità di molte persone ecclesiastiche allora possiamo intuire, anche se difficilmente siamo disposti ad ammettere, perché i nostri giovani siano i grandi assenti nelle nostre chiese e le loro vite corrano sempre più su binari paralleli ai nostri lasciandoci preoccupati ma senza risposte o soluzioni per riportarli in mezzo a noi.
Alcune cause Si professano affascinati da Gesù come comunicatore di un messaggio avvincente, ma rifiutano in blocco tutto quanto sa di culto, di partecipazione,di aggregazione. La loro fede è fatta di emozioni vissute in un breve arco di tempo con entusiasmo travolgente. Le varie Giornate Mondiali della Gioventù lo testimoniano. Presto però tutto viene ar-
Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
I grandi assenti Essi, infatti, sono i grandi assenti durante le celebrazioni religiose tenute nei templi, nelle chiese, nelle sinagoghe o nelle moschee situate in paesi a maggioranza non musulmana dove la pressione sociale si fa meno sentire. A nessuno sfugge un dato di fatto che colpisce: le cerimonie religiose, i luoghi di culto, le svariate ricorrenze aggreganti attorno ad una fede lasciano completamente indifferenti la gran maggioranza dei giovani. Descritti come fragili, contradditori, disorientati, senza speranze per il futuro si dimostrano poi molto determinati ed uniti nel rifiutare qualsiasi approccio con quanto sa di religione. Il loro mondo è fatto
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luglio-agosto 2013
sfide educative
Giovani e religione
Mentre la scienza moderna sostiene che siamo nati per credere i giovani si allontanano sempre più da qualsiasi esperienza di fede vissuta.
La moderna psicologia, supportata dalle più recenti scoperte dei neuro scienziati, non esita ad affermare che gli esseri umani sono nati con una innata predisposizione naturale a credere. Il cervello sembra essere stato plasmato dall’evoluzione ad aprirsi ai problemi che vanno aldilà del semplice aspetto biologico. I medici, da parte loro, sostengono che una fede autentica, vissuta nella coerenza e nella libertà, è di grande aiuto e supporto nelle svariate terapie di contenimento e di recupero da gravissime malattie. I sociologi della religione sostengono che una pletora di credenze hanno sempre affollato la storia dell’umanità in modo così pervasivo e diffuso da condizionare pesantemente, in bene o in male, ogni persona generando relazioni empatiche intrise di valori positivi, ma anche scatenando delle autentiche tempeste di aggressività gravide di odio e di violenza distruttiva. Nessun essere umano si è mai sottratto completamente all’influsso di
un qualche credo religioso. Tutto vero. Ma è altrettanto vero che in molte nazioni occidentali ad economia evoluta il credere sembra essere molto affievolito tra gli adolescenti moderni.
di sms, di tweet, di comunicazioni immediate, di bulimia, di contatti in rete, di emozioni bruciate all’ombra dell’attimo fuggente. La rete distribuisce informazioni, notizie, non sentimenti o valori. I giovani navigatori informatici non hanno tempo per confrontarsi con il loro vero io. Sono continuamente catapultati nel mondo del virtuale dove tutto viene esaltato, ampliato, esasperato fino a fare perdere il contatto con il mondo reale. Presi da un consumismo tecnologico dai forti connotati nevrotici ed alienanti, cadono vittime dei loro sogni e delle loro fantasie. Lentamente questo nirvana del web costruisce attorno ai ragazzi un muro inconscio di cemento armato che li isola ed allontana da tutte le tradizionali istituzioni civili e religiose. Loro non respingono nulla a priori, semplicemente tutto quanto sa di tradizione, di istituzione, di religione o di politica non li interessa e, quindi, non se ne occupano.
chiviato nel ricordare un momento bello del passato ma che non ha la forza di incidere sul modo di comportarsi. Ai giovani è difficile creare attorno a sé quel clima indispensabile di silenzio che solo può cambiare le emozioni superficiali in sentimenti profondi che determinano cambi di condotta ed aprono nuovi orizzonti di vita. Se a tutto questo si aggiunge la tiepidezza e la contro testimonianza di troppi, presunti, credenti e la sporcizia e mediocrità di molte persone ecclesiastiche allora possiamo intuire, anche se difficilmente siamo disposti ad ammettere, perché i nostri giovani siano i grandi assenti nelle nostre chiese e le loro vite corrano sempre più su binari paralleli ai nostri lasciandoci preoccupati ma senza risposte o soluzioni per riportarli in mezzo a noi.
Alcune cause Si professano affascinati da Gesù come comunicatore di un messaggio avvincente, ma rifiutano in blocco tutto quanto sa di culto, di partecipazione,di aggregazione. La loro fede è fatta di emozioni vissute in un breve arco di tempo con entusiasmo travolgente. Le varie Giornate Mondiali della Gioventù lo testimoniano. Presto però tutto viene ar-
Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
I grandi assenti Essi, infatti, sono i grandi assenti durante le celebrazioni religiose tenute nei templi, nelle chiese, nelle sinagoghe o nelle moschee situate in paesi a maggioranza non musulmana dove la pressione sociale si fa meno sentire. A nessuno sfugge un dato di fatto che colpisce: le cerimonie religiose, i luoghi di culto, le svariate ricorrenze aggreganti attorno ad una fede lasciano completamente indifferenti la gran maggioranza dei giovani. Descritti come fragili, contradditori, disorientati, senza speranze per il futuro si dimostrano poi molto determinati ed uniti nel rifiutare qualsiasi approccio con quanto sa di religione. Il loro mondo è fatto
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luglio-agosto 2013
CHIESA VIVA
A Papa Francesco sono bastate le parole e i gesti delle prime 24 ore per conquistare simpatia e affetto, anche dei non cristiani. Ha inaugurato un nuovo modo di essere papa, una pronta risposta al desiderio di cambiamento che molti avvertono nella Chiesa.
Quel «buonasera!» a Roma e al mondo Roma, piazza San Pietro, 13 marzo 2013. Nell’attesa della fumata, le decine di telecamere puntano su un gabbiano che serio e impettito si è appollaiato sul comignolo più famoso del mondo, quello della Cappella Sistina. Alle 19:05 il comignolo comincia a sbuffare, il gabbiano se ne va contrariato, ma la fumata è finalmente bianca e la piazza a poco a poco si riempie di gente in festa. Ore 20:15, negli appartamenti del Papa si accendono le luci. Poi si spalanca il balcone, il cardinale decano annuncia: «Habemus Papam!». E informa che ha scelto l’insolito nome di Francesco. Poi il Papa appare tutto bianco, e la gente curiosa guarda com’è fatto. Ed ecco il suo primo discorso: «Fratelli e sorelle, buonasera!». Par-
la alla buona, sembra improvvisare a braccio, su due piedi, come farebbe il Curato d’Ars. Invece gli esperti di cose vaticane intuiscono che quel discorso è pieno di sottintesi, che le parole dette e quelle taciute, i gesti compiuti e quelli tralasciati, nascondono – e rivelano – un nuovo stile, un nuovo modo di essere Papa. Francesco sta toccando il cuore di tutti, offre confidenza e amicizia fin dal primo momento.
Le parole e i gesti del nuovo stile Subito gli esperti si esercitano a elencare le sue parole e i gesti significativi. A cominciare dal nome Francesco, nuovo, inatteso. Estraneo alla più che millenaria consuetudine dei
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suoi predecessori (l’ultimo nome nuovo era stato scelto nell’anno 913 da un oggi dimenticato Papa Landone). Ma soprattutto Francesco - diversamente dai consueti Pio, Benedetto, Celestino, Clemente ecc. – appare nome fortemente impegnativo. Rimanda a «povertà, semplicità, cantico dei cantici». Ma soprattutto a coraggio: Francesco d’Assisi è il santo che ha affrontato e ammansito il feroce lupo di Gubbio, ha abbracciato il lebbroso, ha osato andar a predicare la fede al sultano dei mussulmani.
con una semplice talare bianca, senza il rosso ornato d’ermellino, con la vecchia croce pettorale di ferro che usa da quando è vescovo, e le scarpe nere di tutti i giorni. Una delusione per quanti si aspettavano i sontuosi simboli del potere pontificio. Poi tanti altri particolari a sorpresa. La famigliarità di quei buonasera, buonanotte e buon riposo. Il ricordo affettuoso per il papa emerito Benedetto XVI. L’invito a pregare per sé, seguito da un lungo momento di preghiera. L’uso gergale del modo indicativo invece del congiuntivo (ormai frequente oggi, ma causa di sgomento nei grammatici). La presenza al suo fianco – da lui voluta - del Cardinale vicario di Roma. L’invito a fare una «preghiera di popolo» chiedendo a Dio «la benedizione per il vescovo»: quasi richiesta di un’investitura dal basso. Il bonario appuntamento finale per i suoi nuovi diocesani: «Ci vediamo presto»... Di più. La parola papa mai pronunciata, e sostituita con vescovo di Roma, espressione antica (risalente a sant’Ignazio d’Antiochia,
primo secolo d.C.) di sicuro gradita dai fratelli separati. Il fatto poi che i cardinali sono andati a pescare il nuovo papa «quasi alla fine del mondo» è stato interpretato da un vaticanista come necessità – d’ora innanzi di «guardare al mondo con un’ottica meno concentrata sul proprio ombelico». Dunque un discorso all’apparenza semplice, ma in realtà un pezzo di bravura. Abilità di un comunicatore esperto e navigato? No: immediatezza di un uomo spontaneo. Papa Francesco si è presentato come l’uomo della strada si presenta agli amici. Era così già prima, e risulta così anche dopo.
Poi i segni delle prime 24 ore Non basta: i cronisti si sono impegnati a registrare anche le variazioni e trasgressioni al protocollo che il Papa ha compiuto nelle prime ore di pontificato. A sera il Papa ritorna su un pulmino con i cardinali, conversando con loro, mentre l’auto a lui riservata, targata “SCV1” (Stato Città del Vaticano numero 1) rientra mestamente vuota, e inutile. Poi
Poi l’abito bianco del Papa: semplice, senza orpelli e svolazzi. Avevano preparato con cura i paramenti di circostanza: la mantellina rossa bordata di ermellino, la croce pettorale d’oro, le scarpe color rosso fiammante. Lui si presenta
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durante la cena rimprovera con una strizzatina d’occhio i cardinali: «Che Dio vi perdoni quello che avete fatto». Il mattino seguente lasciando la Casa del Clero dove ha soggiornato durante il conclave, paga di persona il conto d’albergo. Poi va in Santa Maria Maggiore a ringraziare la Madonna, e le porta un mazzolino di fiori. Quindi riceve l’omaggio dei cardinali prescritto dal cerimoniale: essi sfilano uno dopo l’altro, ma lui non è solennemente assiso sul trono pontificio, bensì famigliarmente in piedi. La gente lo ha subito sentito amico, è entrata subito in confidenza. Un parroco italiano «si è ritrovato» nel suo modo di fare, lo ha definito parroco del mondo. È quanto basta per ipotizzare l’inizio di uno stile nuovo, segno del cambiamento in profondità atteso nella Chiesa. Il resto lo dirà la storia. Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
CHIESA VIVA
A Papa Francesco sono bastate le parole e i gesti delle prime 24 ore per conquistare simpatia e affetto, anche dei non cristiani. Ha inaugurato un nuovo modo di essere papa, una pronta risposta al desiderio di cambiamento che molti avvertono nella Chiesa.
Quel «buonasera!» a Roma e al mondo Roma, piazza San Pietro, 13 marzo 2013. Nell’attesa della fumata, le decine di telecamere puntano su un gabbiano che serio e impettito si è appollaiato sul comignolo più famoso del mondo, quello della Cappella Sistina. Alle 19:05 il comignolo comincia a sbuffare, il gabbiano se ne va contrariato, ma la fumata è finalmente bianca e la piazza a poco a poco si riempie di gente in festa. Ore 20:15, negli appartamenti del Papa si accendono le luci. Poi si spalanca il balcone, il cardinale decano annuncia: «Habemus Papam!». E informa che ha scelto l’insolito nome di Francesco. Poi il Papa appare tutto bianco, e la gente curiosa guarda com’è fatto. Ed ecco il suo primo discorso: «Fratelli e sorelle, buonasera!». Par-
la alla buona, sembra improvvisare a braccio, su due piedi, come farebbe il Curato d’Ars. Invece gli esperti di cose vaticane intuiscono che quel discorso è pieno di sottintesi, che le parole dette e quelle taciute, i gesti compiuti e quelli tralasciati, nascondono – e rivelano – un nuovo stile, un nuovo modo di essere Papa. Francesco sta toccando il cuore di tutti, offre confidenza e amicizia fin dal primo momento.
Le parole e i gesti del nuovo stile Subito gli esperti si esercitano a elencare le sue parole e i gesti significativi. A cominciare dal nome Francesco, nuovo, inatteso. Estraneo alla più che millenaria consuetudine dei
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suoi predecessori (l’ultimo nome nuovo era stato scelto nell’anno 913 da un oggi dimenticato Papa Landone). Ma soprattutto Francesco - diversamente dai consueti Pio, Benedetto, Celestino, Clemente ecc. – appare nome fortemente impegnativo. Rimanda a «povertà, semplicità, cantico dei cantici». Ma soprattutto a coraggio: Francesco d’Assisi è il santo che ha affrontato e ammansito il feroce lupo di Gubbio, ha abbracciato il lebbroso, ha osato andar a predicare la fede al sultano dei mussulmani.
con una semplice talare bianca, senza il rosso ornato d’ermellino, con la vecchia croce pettorale di ferro che usa da quando è vescovo, e le scarpe nere di tutti i giorni. Una delusione per quanti si aspettavano i sontuosi simboli del potere pontificio. Poi tanti altri particolari a sorpresa. La famigliarità di quei buonasera, buonanotte e buon riposo. Il ricordo affettuoso per il papa emerito Benedetto XVI. L’invito a pregare per sé, seguito da un lungo momento di preghiera. L’uso gergale del modo indicativo invece del congiuntivo (ormai frequente oggi, ma causa di sgomento nei grammatici). La presenza al suo fianco – da lui voluta - del Cardinale vicario di Roma. L’invito a fare una «preghiera di popolo» chiedendo a Dio «la benedizione per il vescovo»: quasi richiesta di un’investitura dal basso. Il bonario appuntamento finale per i suoi nuovi diocesani: «Ci vediamo presto»... Di più. La parola papa mai pronunciata, e sostituita con vescovo di Roma, espressione antica (risalente a sant’Ignazio d’Antiochia,
primo secolo d.C.) di sicuro gradita dai fratelli separati. Il fatto poi che i cardinali sono andati a pescare il nuovo papa «quasi alla fine del mondo» è stato interpretato da un vaticanista come necessità – d’ora innanzi di «guardare al mondo con un’ottica meno concentrata sul proprio ombelico». Dunque un discorso all’apparenza semplice, ma in realtà un pezzo di bravura. Abilità di un comunicatore esperto e navigato? No: immediatezza di un uomo spontaneo. Papa Francesco si è presentato come l’uomo della strada si presenta agli amici. Era così già prima, e risulta così anche dopo.
Poi i segni delle prime 24 ore Non basta: i cronisti si sono impegnati a registrare anche le variazioni e trasgressioni al protocollo che il Papa ha compiuto nelle prime ore di pontificato. A sera il Papa ritorna su un pulmino con i cardinali, conversando con loro, mentre l’auto a lui riservata, targata “SCV1” (Stato Città del Vaticano numero 1) rientra mestamente vuota, e inutile. Poi
Poi l’abito bianco del Papa: semplice, senza orpelli e svolazzi. Avevano preparato con cura i paramenti di circostanza: la mantellina rossa bordata di ermellino, la croce pettorale d’oro, le scarpe color rosso fiammante. Lui si presenta
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durante la cena rimprovera con una strizzatina d’occhio i cardinali: «Che Dio vi perdoni quello che avete fatto». Il mattino seguente lasciando la Casa del Clero dove ha soggiornato durante il conclave, paga di persona il conto d’albergo. Poi va in Santa Maria Maggiore a ringraziare la Madonna, e le porta un mazzolino di fiori. Quindi riceve l’omaggio dei cardinali prescritto dal cerimoniale: essi sfilano uno dopo l’altro, ma lui non è solennemente assiso sul trono pontificio, bensì famigliarmente in piedi. La gente lo ha subito sentito amico, è entrata subito in confidenza. Un parroco italiano «si è ritrovato» nel suo modo di fare, lo ha definito parroco del mondo. È quanto basta per ipotizzare l’inizio di uno stile nuovo, segno del cambiamento in profondità atteso nella Chiesa. Il resto lo dirà la storia. Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net
luglio-agosto 2013
CHIESA VIVA
CHIESA VIVA
I primi “dentelli” di papa Francesco
Giovedì 2 maggio le Poste del Vaticano hanno emesso i primi quattro francobolli di papa Francesco. Riproducono altrettante fotografie del nuovo Vescovo di Roma e il loro valore facciale è diverso in base alla destinazione di un “primo porto ordinario”, cioè di una busta sino a 20 grammi: 0,70 euro per l’Italia; 0,85 euro per i Paesi dell’Europa e Mediterraneo; 2,00 euro per Africa, America ed Asia; 2,50 euro per l’Oceania. In totale, 6,05 euro. La serie è stampata in 250 mila esemplari ed è congiunta, cioè ha gli stessi soggetti, con l’Argentina per tutti e quattro i francobolli (il valore è, ovviamente, in
peso) e con l’Italia soltanto per quello da 0,70 euro. L’Ufficio Filatelico e Numismatico del Vaticano ha messo in vendita, inoltre, una “stamp&coin card” (cioè un francobollo e una moneta riuniti in un blister, venduto a 3,90 euro) e un folder contenente due buste con il timbro del primo giorno di emissione dei francobolli ed una cartolina postale che riproduce la prima pagina dell’edizione straordinaria de “L’Osservatore Romano” del 13 marzo 2013, quella con l’“habemus papam” (prezzo: 15 euro). Quasi certamente questi oggetti saranno molto richiesti anche dai turisti e pellegrini, come ricordo del 266° papa, «scelto quasi alla fine del mondo». Jorge Mario Bergoglio, infatti, è nato il 17 dicembre 1936, a Buenos Aires, da emigranti piemontesi; è ordinato sacerdote nel 1969 e nel 1973 emette la professione perpetua nei Gesuiti; papa Giovanni Paolo II lo nomina prima vescovo ausiliare di Buenos Aires, poi arcivescovo e primate di Argentina e infine cardinale. Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net
I francobolli, la “stamp&coin card” e il folder sono in vendita presso l’Ufficio Pellegrini e Turisti, in piazza San Pietro, oppure rivolgendosi all’Ufficio Filatelico e Numismatico, Governatorato, 00120 Città del Vaticano; mail: ufn@scv.va
54
La torre e l’albero Perché è crollata la torre di Siloe? E il fico sterile è stato tagliato?
Oggi dobbiamo commentare e colorare la scheda sul Vangelo di Luca 13,1-10 e ricavare dal testo due messaggi non facili: l’invito di Gesù a non interpretare la sofferenza come castigo divino e ad avere la pazienza dell’attesa. I bambini tentano sempre di deviare la riflessione in direzioni non volute. «Che cosa facevano quelle diciotto persone nella torre di Siloe? Perché è crollata? Ma soprattutto: il fico sterile è stato tagliato dal padrone, dopo un anno, o ha prodotto frutti?» Troviamo insieme, con facilità, la risposta alla prima domanda. Il crollo della torre di Siloe è uno dei più antichi incidenti sul lavoro. Le diciotto persone morte erano gli operai che costruivano la torre. Sulla sorte del fico invece non so che cosa rispondere. Wikipedia non lo dice, e, purtroppo, non lo dice neanche il Vangelo. «Ma tu devi saperlo!» ordina perentoriamente Matteo «se no, che catechista sei?». Cerco di convincerlo che non ha molta importanza la storia dell’albero. Gesù ha voluto insegnare, con quell’esempio, che dobbiamo avere pazienza nel prenderci cura degli altri, soprattutto di chi è un po’ in ritardo, in difficoltà, di chi ha
bisogno di aiuto, senza aspettarci risultati rapidi e senza pretendere ringraziamenti. «Ma questi fichi li ha poi mangiati qualcuno, alla fine?». Nell’ottica del Vangelo, un atteggiamento di amore, di cura, di interessamento costante, prima o poi dovrebbe essere capito e ricambiato, quindi penso proprio di sì, che l’albero, bene innaffiato e concimato, abbia prodotto i frutti. Tutti contenti. E scusa, Signore, se ho dovuto inventare... Ma Tu perché hai lasciato in sospeso certi racconti? Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
Attesa, fiducia e amore vicendevole: le “regole” evangeliche per portare frutto e contribuire alla costruzione del Regno secondo il progetto di Dio
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CHIESA VIVA
CHIESA VIVA
I primi “dentelli” di papa Francesco
Giovedì 2 maggio le Poste del Vaticano hanno emesso i primi quattro francobolli di papa Francesco. Riproducono altrettante fotografie del nuovo Vescovo di Roma e il loro valore facciale è diverso in base alla destinazione di un “primo porto ordinario”, cioè di una busta sino a 20 grammi: 0,70 euro per l’Italia; 0,85 euro per i Paesi dell’Europa e Mediterraneo; 2,00 euro per Africa, America ed Asia; 2,50 euro per l’Oceania. In totale, 6,05 euro. La serie è stampata in 250 mila esemplari ed è congiunta, cioè ha gli stessi soggetti, con l’Argentina per tutti e quattro i francobolli (il valore è, ovviamente, in
peso) e con l’Italia soltanto per quello da 0,70 euro. L’Ufficio Filatelico e Numismatico del Vaticano ha messo in vendita, inoltre, una “stamp&coin card” (cioè un francobollo e una moneta riuniti in un blister, venduto a 3,90 euro) e un folder contenente due buste con il timbro del primo giorno di emissione dei francobolli ed una cartolina postale che riproduce la prima pagina dell’edizione straordinaria de “L’Osservatore Romano” del 13 marzo 2013, quella con l’“habemus papam” (prezzo: 15 euro). Quasi certamente questi oggetti saranno molto richiesti anche dai turisti e pellegrini, come ricordo del 266° papa, «scelto quasi alla fine del mondo». Jorge Mario Bergoglio, infatti, è nato il 17 dicembre 1936, a Buenos Aires, da emigranti piemontesi; è ordinato sacerdote nel 1969 e nel 1973 emette la professione perpetua nei Gesuiti; papa Giovanni Paolo II lo nomina prima vescovo ausiliare di Buenos Aires, poi arcivescovo e primate di Argentina e infine cardinale. Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net
I francobolli, la “stamp&coin card” e il folder sono in vendita presso l’Ufficio Pellegrini e Turisti, in piazza San Pietro, oppure rivolgendosi all’Ufficio Filatelico e Numismatico, Governatorato, 00120 Città del Vaticano; mail: ufn@scv.va
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La torre e l’albero Perché è crollata la torre di Siloe? E il fico sterile è stato tagliato?
Oggi dobbiamo commentare e colorare la scheda sul Vangelo di Luca 13,1-10 e ricavare dal testo due messaggi non facili: l’invito di Gesù a non interpretare la sofferenza come castigo divino e ad avere la pazienza dell’attesa. I bambini tentano sempre di deviare la riflessione in direzioni non volute. «Che cosa facevano quelle diciotto persone nella torre di Siloe? Perché è crollata? Ma soprattutto: il fico sterile è stato tagliato dal padrone, dopo un anno, o ha prodotto frutti?» Troviamo insieme, con facilità, la risposta alla prima domanda. Il crollo della torre di Siloe è uno dei più antichi incidenti sul lavoro. Le diciotto persone morte erano gli operai che costruivano la torre. Sulla sorte del fico invece non so che cosa rispondere. Wikipedia non lo dice, e, purtroppo, non lo dice neanche il Vangelo. «Ma tu devi saperlo!» ordina perentoriamente Matteo «se no, che catechista sei?». Cerco di convincerlo che non ha molta importanza la storia dell’albero. Gesù ha voluto insegnare, con quell’esempio, che dobbiamo avere pazienza nel prenderci cura degli altri, soprattutto di chi è un po’ in ritardo, in difficoltà, di chi ha
bisogno di aiuto, senza aspettarci risultati rapidi e senza pretendere ringraziamenti. «Ma questi fichi li ha poi mangiati qualcuno, alla fine?». Nell’ottica del Vangelo, un atteggiamento di amore, di cura, di interessamento costante, prima o poi dovrebbe essere capito e ricambiato, quindi penso proprio di sì, che l’albero, bene innaffiato e concimato, abbia prodotto i frutti. Tutti contenti. E scusa, Signore, se ho dovuto inventare... Ma Tu perché hai lasciato in sospeso certi racconti? Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
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luglio-agosto 2013
Maria ausiliatrice, ti invoco madre tenera e provvida, conforta il mio cuore affranto e tribolato! Io so che tu mi puoi davvero esaudire! MARIA AUX.CHRIST.!
#FESTA
#INCONTRI Torino Chieri
Colle Don Bosco
#DONBOSCO Mornese
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Nel pieno della preparazione al bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco, che sarĂ nel 2015, il Movimento Giovanile Salesiano convoca il grande Confronto MGS Italia!
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Santuario Basilica di Maria Ausiliatrice Tel. 011 52 24 253 - Fax 011 52 24 262 - m.ausiliatrice@tiscali.it
Orario Sante Messe in Basilica Altre Celebrazioni in Basilica Giorni Feriali: 6.30 - 7.00 - 7.30 - 8.00 Giorni Feriali: 16.30 Rosario, Santa Messa 8.30 - 9.00 - 10.00 - 11.00 • 17.00 - 18.30 Sabato e Vigilia feste Prefestiva:18.00 16.30 Rosario - Adorazione Eucaristica 18.55 Primi Vespri Giorni Festivi: 7.00 - 8.00 - 9.00 - 10.00 11.00 - 12.00 • 17.30 - 18.30 • 21.00 Giorni Festivi: 16.30 Vespri, Adorazione Eucaristica Luglio e Agosto: soppressa la Messa delle ore 8.30 - ad Agosto anche quella delle 17.00 Confessioni in Basilica Giorni Feriali: 6.30/12.00 • 14.30/19.00 Giorni Festivi: 7.00/12.30 • 14.30/19.00 • 20.30/21.30
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