Rivista Maria Ausiliatrice n.5/2013

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settembre-ottobre 2013

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO

Nº 5 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE

settembre-ottobre

Sulle strade

del mondo

pag. 4 A lma Gr andin

pag. 28 G iovanni XXIII il Papa Buono

ci racconta il TG1 online. Il mondo a portata di un click

diventa santo. Gesù è per lui la “bussola” della vita

A

pag. 46 S cuola paritaria

Il Presidente nazionale Agesc Roberto Gontero scrive per noi


Conserva i numeri di Rivista Maria Ausiliatrice nel Raccoglitore 2013

per te a

soli

3,50 Eur

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per richiedere il raccoglitore a solI 3,5o euro entro il 31 gennaio 2014: Chiama il numero 011/52.24.203 oppure invia una email a: diffusione.rivista@ausiliatrice.net o invia un SMS al numero 320.20.43.437* *Invia la richiesta d’ordine con SMS, anteponendo la parola rivista ai tuoi dati anagrafici e una R a fine messaggio per segnalare il Raccoglitore. Esempio: rivista Nome Cognome Indirizzo Numero Civico Località CAP Sigla Prov. R • Il costo del messaggio inviato è pari al normale costo di un SMS • Il raccoglitore verrà inviato solo a pagamento effettuato • Il pagamento è previsto con CCP che invieremo • Per coloro che hanno sottoscritto, nel 2013, un abbonamento sostenitore potranno avere, previa richiesta, il raccoglitore gratuitamente

Uomini e donne di gioia foto di Mario Notario

Colleziona i numeri di Rivista Maria Ausiliatice nel comodo e pratico Raccoglitore 2013. Un oggetto prezioso da custodire nella tua libreria.

Il saluto del Rettore

Cari amici, siamo all’apertura di un nuovo anno di attività e sentiamo nel cuore quel senso di trepidazione caratteristico di ogni ripresa. Molte sono le situazioni incerte e non mancano certo le preoccupazioni per il futuro. Potrebbe insinuarsi allora nel nostro cuore una tendenza al pessimismo. Noi, invece, siamo chiamati a seminare speranza e dare fiducia a questa umanità che sembra ormai rassegnata. San Paolo ci ricorda: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). È terribilmente falsa la presentazione del cristianesimo come «nemico della gioia» (Anatole France) o «maledizione della vita» (Nietzsche). Tutto il nostro essere è fatto per la gioia: «Non si può trovare uno che non voglia essere felice» (sant’Agostino), e Dio ha risposto a questo anelito dell’uomo con l’incarnazione del suo Figlio per amore. Se Dio ci ha creati per la gioia, ci vuole nella gioia. E si vive nella gioia, se si vive nella carità! «“Si è più beati nel dare che nel ricevere!”» (At 20,35). Tutti cercano gioia ma spesso viene confusa con il piacere. La vera gioia è quella che viene dal Signore, che non esclude il piacere e addirittura lo supera in modo infinito. La gioia è la testimonianza più avvincente e dev’essere un fatto quotidiano, perché Dio è la nostra gioia, è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cf Mt 28,20). Lo scrittore Bernanos è provocante: «Dove diamine nascondete la vostra gioia? A vedervi vivere come vivete non si direbbe che a voi e a voi soli è stata promessa la gioia del Signore!». Papa Francesco così si è espresso: «Il cristiano è un uomo e una donna di gioia... Alcune volte i cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncini all’aceto che di gioiosi che hanno una vita bella». La gioia è un fatto interiore, «risiede nel più intimo dell’anima, la si può possedere in un’oscura prigione come in un palazzo sfavillante» (santa Teresa di Lisieux). La costruiamo o la distruggiamo noi. Siamo chiamati a scegliere. Ecco un significativo invito per ri-iniziare il cammino. Guardiamo a Maria come modello esemplare di gioia piena: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). A tutti il nostro saluto e il nostro ricordo in Basilica. Don Franco Lotto, rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net


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Uomini e donne di gioia foto di Mario Notario

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Il saluto del Rettore

Cari amici, siamo all’apertura di un nuovo anno di attività e sentiamo nel cuore quel senso di trepidazione caratteristico di ogni ripresa. Molte sono le situazioni incerte e non mancano certo le preoccupazioni per il futuro. Potrebbe insinuarsi allora nel nostro cuore una tendenza al pessimismo. Noi, invece, siamo chiamati a seminare speranza e dare fiducia a questa umanità che sembra ormai rassegnata. San Paolo ci ricorda: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). È terribilmente falsa la presentazione del cristianesimo come «nemico della gioia» (Anatole France) o «maledizione della vita» (Nietzsche). Tutto il nostro essere è fatto per la gioia: «Non si può trovare uno che non voglia essere felice» (sant’Agostino), e Dio ha risposto a questo anelito dell’uomo con l’incarnazione del suo Figlio per amore. Se Dio ci ha creati per la gioia, ci vuole nella gioia. E si vive nella gioia, se si vive nella carità! «“Si è più beati nel dare che nel ricevere!”» (At 20,35). Tutti cercano gioia ma spesso viene confusa con il piacere. La vera gioia è quella che viene dal Signore, che non esclude il piacere e addirittura lo supera in modo infinito. La gioia è la testimonianza più avvincente e dev’essere un fatto quotidiano, perché Dio è la nostra gioia, è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cf Mt 28,20). Lo scrittore Bernanos è provocante: «Dove diamine nascondete la vostra gioia? A vedervi vivere come vivete non si direbbe che a voi e a voi soli è stata promessa la gioia del Signore!». Papa Francesco così si è espresso: «Il cristiano è un uomo e una donna di gioia... Alcune volte i cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncini all’aceto che di gioiosi che hanno una vita bella». La gioia è un fatto interiore, «risiede nel più intimo dell’anima, la si può possedere in un’oscura prigione come in un palazzo sfavillante» (santa Teresa di Lisieux). La costruiamo o la distruggiamo noi. Siamo chiamati a scegliere. Ecco un significativo invito per ri-iniziare il cammino. Guardiamo a Maria come modello esemplare di gioia piena: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). A tutti il nostro saluto e il nostro ricordo in Basilica. Don Franco Lotto, rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net


Sommario 54 il saluto del rettore 1 uomini e donne di gioia a tutto campo 4 w ww.viraccontoiltg1.rai.it leggiamo i vangeli 8 una risposta che vale la vita in cammino con maria 10 dal fiat al facite

8

amici di dio 14 s anta gertrude la grande , monaca (1256-1302)

vale più di un santo papa 34 Perché san francesco di sales? 36 1988, 1995, 2013... un cammino da testimoni della gioia! 38 don bosco e i salesiani 40 m aria otre della nuova alleanza 42 La polenta concia

h

chiesa viva 22 guerra scaccia guerra 24 il futuro che ci resta

Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980

a

de g a me lor i

e sinergie fra impresa e stakeholder per il welfare! 50 il primo artista di papa francesco 52 la famiglia è in crisi

don bosco oggi 33 quando don bosco

mariologo e amico di don Bosco 18 Pa pa francesco e la devozione a “Maria che scioglie i nodi” 20 Ma donna del popolo di lippo memmi

in

esperienze 43 il doposviluppo è già qui 46 paritaria: scuola pubblica, ma non per tutti... 48 un nuovo patto sociale: scenari

la parola qui e ora 31 e ssere figli di un altro mondo

maria nei secoli 16 g aetano alimonda,

domus mea ic

36

25 i «recuerdos salesianos» di papa francesco 28 giovanni XXIII, il “papa buono” diventa santo 30 l e dita del papa

giovani in cammino 12 no a una religione “sonnifero”

Progetto Grafico: AT studio grafico - Torino Stampa: Higraf - Mappano (TO)

2

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net

Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100

Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino

Foto di copertina: Hongqi Zhang - Deposiphotos

PayPal: abbonamento.rivista@ausiliatrice.net Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani

poster

letterE a suor manu 58 ci vorrebbe un amico... poster diamoci un po’ di luce...

l’avvocato risponde 54 condominio è arrivata la riforma. Ecco che cosa cambia

mamme sulle orme di maria 56 a iutami a rinascere

Foto FOTOLIA: .Christopher Meder (7); imabase (13); Gina Sanders (43); Gudellaphoto (54-55); DEPOSIPHOTOS: .Honored (8); photography33 (10); Danilo Rizzuti (11); Yuri Arcurs (12); Deyan Georgiev (30); Valentyn Volkov (31); marco palazzi (42); pressmaster (46); Monkey Business (52-53); .SergeyNivens (55); PÈter Gudella (56); Hieng Ling Tie (57); Dmitriy Shironosov (58-59); Elena M.Kiryan (60); SYNC-STUDIO: Edoardo Piva (43); Giulio Lapone (45); ALTRI: .w w w.papernew.com (4), www.iltesorodisiena.net (21); Fr Douglas Al Razi (22); LaPresse (24); ANS-ImageBank (26); ANS-ImageBank (36-37); POSTER: Panithan F.

Abbonamento annuo: ................................................ Amico ................................................... Sostenitore .......................................... Europa . . ................................................ Extraeuropei .. ...................................... Un numero .. .........................................

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Sommario 54 il saluto del rettore 1 uomini e donne di gioia a tutto campo 4 w ww.viraccontoiltg1.rai.it leggiamo i vangeli 8 una risposta che vale la vita in cammino con maria 10 dal fiat al facite

8

amici di dio 14 s anta gertrude la grande , monaca (1256-1302)

vale più di un santo papa 34 Perché san francesco di sales? 36 1988, 1995, 2013... un cammino da testimoni della gioia! 38 don bosco e i salesiani 40 m aria otre della nuova alleanza 42 La polenta concia

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chiesa viva 22 guerra scaccia guerra 24 il futuro che ci resta

Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980

a

de g a me lor i

e sinergie fra impresa e stakeholder per il welfare! 50 il primo artista di papa francesco 52 la famiglia è in crisi

don bosco oggi 33 quando don bosco

mariologo e amico di don Bosco 18 Pa pa francesco e la devozione a “Maria che scioglie i nodi” 20 Ma donna del popolo di lippo memmi

in

esperienze 43 il doposviluppo è già qui 46 paritaria: scuola pubblica, ma non per tutti... 48 un nuovo patto sociale: scenari

la parola qui e ora 31 e ssere figli di un altro mondo

maria nei secoli 16 g aetano alimonda,

domus mea ic

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25 i «recuerdos salesianos» di papa francesco 28 giovanni XXIII, il “papa buono” diventa santo 30 l e dita del papa

giovani in cammino 12 no a una religione “sonnifero”

Progetto Grafico: AT studio grafico - Torino Stampa: Higraf - Mappano (TO)

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Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net

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poster

letterE a suor manu 58 ci vorrebbe un amico... poster diamoci un po’ di luce...

l’avvocato risponde 54 condominio è arrivata la riforma. Ecco che cosa cambia

mamme sulle orme di maria 56 a iutami a rinascere

Foto FOTOLIA: .Christopher Meder (7); imabase (13); Gina Sanders (43); Gudellaphoto (54-55); DEPOSIPHOTOS: .Honored (8); photography33 (10); Danilo Rizzuti (11); Yuri Arcurs (12); Deyan Georgiev (30); Valentyn Volkov (31); marco palazzi (42); pressmaster (46); Monkey Business (52-53); .SergeyNivens (55); PÈter Gudella (56); Hieng Ling Tie (57); Dmitriy Shironosov (58-59); Elena M.Kiryan (60); SYNC-STUDIO: Edoardo Piva (43); Giulio Lapone (45); ALTRI: .w w w.papernew.com (4), www.iltesorodisiena.net (21); Fr Douglas Al Razi (22); LaPresse (24); ANS-ImageBank (26); ANS-ImageBank (36-37); POSTER: Panithan F.

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E 13,00 E 20,00 E 50,00 E 15,00 E 18,00 E 3,00

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settembre-ottobre 2013

a tutto campo

www.viraccontoiltg1.rai.it È il titolo del libro di Alma Grandin, giornalista del Tg1 e caposervizio della redazione online della rete ammiraglia del Servizio pubblico. Con lei vediamo come è cambiata l’informazione negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento dei social network. È un dato di fatto che la straordinaria velocità raggiunta dall’informazione sta determinando, o quantomeno accelerando, i cambiamenti nel mondo. Basti pensare all’attentato dell’11 settembre e alla conseguente guerra in Afghanistan, alla primavera araba... Così come la comunicazione ha raggiunto livelli planetari, il Web ha allargato ulteriormente gli orizzonti ed ha costituito quel grande “villaggio globale” nel quale i flussi informativi arrivano ovunque e da chiunque, in tempi incredibilmente brevi. Al centro del sistema rimane sempre il giornalista, che però deve essere identificato non esclusivamente nella figura professionale tradizionale che

conosciamo, e che si è arricchito culturalmente proprio per la necessaria conoscenza dei new media, ma si fa spazio anche lo stesso utente. L’utente della Rete, il fruitore e creatore di flussi informativi, la cui attendibilità rimane sempre da accertare. Un soggetto passivo trasformatosi in attivo. «Il giornalismo del futuro sarà sempre più dipendente dal contributo degli utenti» sosteneva, anni fa, Marco Pratellesi.

Il contributo degli utenti Il Web ha aperto percorsi di comunicazione infiniti e liberi e potremmo parlare di un modo innovativo di fare informazione, se non fossimo di fronte ad una reale rivoluzione, dove il fruitore della notizia comincia a far sentire la propria voce. Il grande dibattito sul valore delle news che vengono dal basso ha trovato terreno fertile nel Web 2.0, che ha abituato gli utenti a considerarsi parte integrante del processo di creazione della notizia.

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I siti dei grandi network, e in parte anche il Tg1online, hanno compreso l’importanza di aprire una finestra di relazione con i lettori, sfruttando le piattaforme di dialogo offerte dal Web 2.0. La rivoluzione digitale ha introdotto un grande cambiamento nel mestiere del giornalista. La “chiamata alla notizia”, la vocazione a raccontare gli eventi, è un’esperienza comune per quanti di noi hanno scelto questa professione. Ma l’avvento del Web ha cambiato radicalmente i termini dell’informazione. E se la Tv esercita ancora la formula della voice of God, oggi la notizia digitale diventa una questione “transazionale”. Il Web è un canale che allo stesso tempo stimola e riempie, azzera la distanza fra offerta e domanda, anche nel campo della notizia. Oggi il Web ci consente di conoscere “individualmente” i destinatari della notizia. Prenderne coscienza significa che il ruolo del giornalista si arricchisce, e dovrebbe puntare non più solo a raccontare, ma anche a coinvolgere. Questo però non porta a negare la ricca eredità del giornalismo che resta una professione da ricalibrare verso un approccio bidirezionale. Il giornalista viene posto al centro di una vera comunità di lettori, che hanno rispetto della sua professionalità, ma hanno anche gli strumenti per esprimere le proprie opinioni. Come per esempio i netizen, acronimo coniato da Michael Hauben, sintesi di internet e citizen. Hanno una missione che fa rima con passione. Con tanta buona volontà informano il proprio territorio, spesso tralasciato dai media generalisti. E tutto questo grazie a Internet. Questa nuova realtà è destinata a crescere grazie anche al contributo del blogger e non tanto per gli scoop di prima pagina, ma perché parla di un nuovo tipo di pubblico, più insofferente verso l’informazione tradizionale e passiva che non offre opportunità di replica. La “generazione internet” chiede che i media possiedano una caratteristica fondamentale: la partecipazione. E i blog contribuiscono in larga parte a diffondere il fenomeno del citizen journalism. Tutti i giornali stanno, infatti, sperimentando aperture al contributo degli utenti. Alcuni blog producono del buon giornalismo, ma nel loro insieme

non sono un giornalismo vero e proprio. Dunque non un mezzo sostitutivo in competizione con i media tradizionali, ma due realtà complementari e interconnesse che seguono regole, logiche e finalità diverse. In Italia il fenomeno è abbastanza diffuso, come in tutto il mondo. L’intuizione che i social network siano da considerare dei media è quindi confermata dai fatti. Ciascun “creatore di contenuto” è esposto al giudizio dei “lettori”.

Un cambiamento radicale In pochissimi anni è avvenuto un cambiamento così radicale che in Rete si possono trovare tanti e tali notizie da essere aggiornati minuto dopo minuto. E il tutto naturalmente gratis, poiché la stragrande maggioranza delle notizie in Rete è free, non è a pagamento. Infatti se fino a pochi anni fa era la televisione a portare il mondo nelle nostre case, oggi l’occhio artificiale è Internet, che spalanca l’universo sul monitor del nostro computer. L’avvento del Web ha avuto, come abbiamo potuto constatare, conseguenze rilevanti nel mondo dell’informazione. Ha rappresentato un poderoso fattore di accelerazione nella circolazione internazionale dei contenuti audio e video. Come spesso accade, le tecnologie e i mezzi di comunicazione cambiano la natura dei messaggi e la “verità” in essi contenuta, grazie al potenziamento delle capacità dei singoli utenti di diventare, in alcuni casi, “editori” dei contenuti. In Rete, anche il valore etimologico della parola “comunicazione” acquista un potere nuovo, se inteso non più come una brezza unidirezionale, ma come un confronto di differenti venti. In Internet non esistono “luoghi” in cui sia proibito entrare, e nella Rete milioni di persone sentono parlare del mondo, prima ancora di averne l’esperienza diretta, e possono immaginare la maggior parte delle cose solo attivando una serie di link e collegandosi nell’agorà digitale. È in questa piazza universale e virtuale che si crea ogni genere di contenuti e dove tutto il mondo è a portata di click.

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settembre-ottobre 2013

a tutto campo

www.viraccontoiltg1.rai.it È il titolo del libro di Alma Grandin, giornalista del Tg1 e caposervizio della redazione online della rete ammiraglia del Servizio pubblico. Con lei vediamo come è cambiata l’informazione negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento dei social network. È un dato di fatto che la straordinaria velocità raggiunta dall’informazione sta determinando, o quantomeno accelerando, i cambiamenti nel mondo. Basti pensare all’attentato dell’11 settembre e alla conseguente guerra in Afghanistan, alla primavera araba... Così come la comunicazione ha raggiunto livelli planetari, il Web ha allargato ulteriormente gli orizzonti ed ha costituito quel grande “villaggio globale” nel quale i flussi informativi arrivano ovunque e da chiunque, in tempi incredibilmente brevi. Al centro del sistema rimane sempre il giornalista, che però deve essere identificato non esclusivamente nella figura professionale tradizionale che

conosciamo, e che si è arricchito culturalmente proprio per la necessaria conoscenza dei new media, ma si fa spazio anche lo stesso utente. L’utente della Rete, il fruitore e creatore di flussi informativi, la cui attendibilità rimane sempre da accertare. Un soggetto passivo trasformatosi in attivo. «Il giornalismo del futuro sarà sempre più dipendente dal contributo degli utenti» sosteneva, anni fa, Marco Pratellesi.

Il contributo degli utenti Il Web ha aperto percorsi di comunicazione infiniti e liberi e potremmo parlare di un modo innovativo di fare informazione, se non fossimo di fronte ad una reale rivoluzione, dove il fruitore della notizia comincia a far sentire la propria voce. Il grande dibattito sul valore delle news che vengono dal basso ha trovato terreno fertile nel Web 2.0, che ha abituato gli utenti a considerarsi parte integrante del processo di creazione della notizia.

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I siti dei grandi network, e in parte anche il Tg1online, hanno compreso l’importanza di aprire una finestra di relazione con i lettori, sfruttando le piattaforme di dialogo offerte dal Web 2.0. La rivoluzione digitale ha introdotto un grande cambiamento nel mestiere del giornalista. La “chiamata alla notizia”, la vocazione a raccontare gli eventi, è un’esperienza comune per quanti di noi hanno scelto questa professione. Ma l’avvento del Web ha cambiato radicalmente i termini dell’informazione. E se la Tv esercita ancora la formula della voice of God, oggi la notizia digitale diventa una questione “transazionale”. Il Web è un canale che allo stesso tempo stimola e riempie, azzera la distanza fra offerta e domanda, anche nel campo della notizia. Oggi il Web ci consente di conoscere “individualmente” i destinatari della notizia. Prenderne coscienza significa che il ruolo del giornalista si arricchisce, e dovrebbe puntare non più solo a raccontare, ma anche a coinvolgere. Questo però non porta a negare la ricca eredità del giornalismo che resta una professione da ricalibrare verso un approccio bidirezionale. Il giornalista viene posto al centro di una vera comunità di lettori, che hanno rispetto della sua professionalità, ma hanno anche gli strumenti per esprimere le proprie opinioni. Come per esempio i netizen, acronimo coniato da Michael Hauben, sintesi di internet e citizen. Hanno una missione che fa rima con passione. Con tanta buona volontà informano il proprio territorio, spesso tralasciato dai media generalisti. E tutto questo grazie a Internet. Questa nuova realtà è destinata a crescere grazie anche al contributo del blogger e non tanto per gli scoop di prima pagina, ma perché parla di un nuovo tipo di pubblico, più insofferente verso l’informazione tradizionale e passiva che non offre opportunità di replica. La “generazione internet” chiede che i media possiedano una caratteristica fondamentale: la partecipazione. E i blog contribuiscono in larga parte a diffondere il fenomeno del citizen journalism. Tutti i giornali stanno, infatti, sperimentando aperture al contributo degli utenti. Alcuni blog producono del buon giornalismo, ma nel loro insieme

non sono un giornalismo vero e proprio. Dunque non un mezzo sostitutivo in competizione con i media tradizionali, ma due realtà complementari e interconnesse che seguono regole, logiche e finalità diverse. In Italia il fenomeno è abbastanza diffuso, come in tutto il mondo. L’intuizione che i social network siano da considerare dei media è quindi confermata dai fatti. Ciascun “creatore di contenuto” è esposto al giudizio dei “lettori”.

Un cambiamento radicale In pochissimi anni è avvenuto un cambiamento così radicale che in Rete si possono trovare tanti e tali notizie da essere aggiornati minuto dopo minuto. E il tutto naturalmente gratis, poiché la stragrande maggioranza delle notizie in Rete è free, non è a pagamento. Infatti se fino a pochi anni fa era la televisione a portare il mondo nelle nostre case, oggi l’occhio artificiale è Internet, che spalanca l’universo sul monitor del nostro computer. L’avvento del Web ha avuto, come abbiamo potuto constatare, conseguenze rilevanti nel mondo dell’informazione. Ha rappresentato un poderoso fattore di accelerazione nella circolazione internazionale dei contenuti audio e video. Come spesso accade, le tecnologie e i mezzi di comunicazione cambiano la natura dei messaggi e la “verità” in essi contenuta, grazie al potenziamento delle capacità dei singoli utenti di diventare, in alcuni casi, “editori” dei contenuti. In Rete, anche il valore etimologico della parola “comunicazione” acquista un potere nuovo, se inteso non più come una brezza unidirezionale, ma come un confronto di differenti venti. In Internet non esistono “luoghi” in cui sia proibito entrare, e nella Rete milioni di persone sentono parlare del mondo, prima ancora di averne l’esperienza diretta, e possono immaginare la maggior parte delle cose solo attivando una serie di link e collegandosi nell’agorà digitale. È in questa piazza universale e virtuale che si crea ogni genere di contenuti e dove tutto il mondo è a portata di click.

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nale o telegior e il prim onta di com di continuare a ndin racc ie Alma Gra l’esigenza reale, graz ia sentito in tempo italiano abb ti i suoi utenti, lla del Tg1 rma ortante que tenere info o canale imp prim ta scel e del Tv a al web. Una e nell’informazion zie: dalla noti zion di continuo dal sito e un’evolu un flusso ne offerta Rai che crea versa. L’informazio grazie alla icato, e vice internet uaggio ded , che dialoga con ha un ling e online tg1.rai.it o redazion diventan e di una ento in cui creazion ri nel mom zia. tato noti a spet dell o il sito i tele tatori-attori” : mette a confront “lettori-spet sfida a Web a poi una nenti dell Il libro port ionale e giori espo naz mag i giornalismo del Tg1 con on 2.0, del io epocale, questo icati agg o alla commun le. Un pass ting televisiv internaziona e: dal broadcas a Rete, zion ti tipici dell dell’informa possibile gli strumen Tg1 e reso attraverso zioni del fruizione tutte le reda vissuto da e curiosità tg1.rai.it. e ite stier tram i: «Me lontani, Enzo Biag a i luoghi Scriveva tant in avventur portato la piccola mi hanno te: così, eventi che, tra la gen ta con gli e sempre o le sorti è intreccia nalista si no cambiat di un gior t’anni, han ultimi tren in questi di questi. ». del mondo che internet sia uno iamo Noi cred

Impressiona, soprattutto, il fatto che questo messaggio parta proprio dalla Milano degli anni ’90, quando la realtà italiana, politica e sociale, non aveva ancora subito la “fascinazione” del mezzo televisivo, com’è avvenuto poi negli ultimi vent’anni. «In questo senso, i media “informano” soprattutto perché danno una certa forma alla realtà, reinterpretandola secondo ben precisi e interessati criteri. L’informazione televisiva non sfugge ai limiti propri dell’informazione a mezzo stampa. Sappiamo che la scelta delle notizie da dare, e il modo di dare tali notizie, corrispondono all’interesse proprio della testata». Una lettera lungimirante, negli appelli e nei contenuti, che rivolgeva lo sguardo al futuro, anche preconizzando l’avvento di nuove tecnologie utilizzate nell’ambito dell’informazione. «I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un’atmosfera, un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di suoni, di immagini, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un pesce nell’acqua. È il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi».

Alma Grandin www.vi raccontoiltg1.rai.it RAI-ERI 2012 pagine 211, euro 12,00

un nuovo modo di essere vivi La rivoluzione dei new media sta ridisegnando il modo in cui il pianeta si tiene aggiornato e il futuro della stampa sta prendendo forma nello spazio cibernetico. Vivere oggi nel mondo occidentale “equivale a trovarsi nel flusso copioso e incessante di immagini e suoni erogati dai media”. In termini di qualità, però, tutte le ricerche sull’informazione concordano sul fatto che i notiziari futuri potrebbero essere meno accurati e più propagandistici. Ecco che anche per comunicare online e trasmettere notizie in Rete, serve fare chiarezza sui linguaggi da utilizzare, e sulle modalità più efficaci, perché i nostri messaggi creino informazione vera. Una preoccupazione che riecheggiava già nella celebre lettera pastorale dell’allora Arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini, che nel 1991 scriveva: «Il termine “informare” vuol dire, alla lettera, dare forma, plasmare una data realtà. È la nostra coscienza che i media “informano”, cioè modificano, segnano, plasmano. Avviene, per la nostra coscienza esposta ai media, come nei giochi dei bambini sulla spiaggia... i mass media possono utilizzare il loro potere fino a far cadere la persona in una sorta di schiavizzante dipendenza dal dominio di chi li gestisce. Si pensi soltanto alle possibili manipolazioni dell’informazione e ai condizionamenti che si possono esercitare sull’opinione pubblica e sulle sue scelte etiche e politiche. Per questo, un ottimismo di fondo verso i mass media suscita e promuove una vigilanza attenta e l’esercizio del discernimento critico». Un ammonimento forte, che sollecita una riflessione di quanti operano nel mondo delicato della comunicazione.

Alma Grandin giornalista Rai Tg1 - Caposervizio Tg1.rai.it

LibreriaTorino Elledici - Valdocco La libreria è lieta di informare la propria clientela che effettua il servizio dei testi scolastici, dalla prenotazione al post vendita. Troverete professionalità, cortesia, disponibilità, per risolvere ogni problematica. Diamo la possibilità di effettuare il servizio Colibrì per foderare i libri al costo di Euro 1,20 a testo. Troverete inoltre tutto per la catechesi con servizio a domicilio gratuito in Torino per richieste importanti di materiale per le parrocchie o catechisti. Troverete tutti gli editori religiosi con rapido approvvigionamento delle richieste. Ampio spazio per l’oggettistica, materiale minimedia, multimedia.

twitter: @AlmaGrandin

Voice of God: voce di Dio. Netizen: una persona che partecipa attivamente alla vita di Internet, contribuendo e credendo fermamente nella libertà di espressione tramite questo mezzo. Citizen journalism: giornalismo partecipativo, che vede la “partecipazione attiva” dei lettori, grazie alla natura interattiva dei nuovi media.

LIBRERIA ELLEDICI Via Maria Ausiliatrice 10/A - TORINO 10152 Tel. 011 52 16 159 - Cell. 335 67 20 802 torino@elledici.org PARCHEGGIO Via Maria Ausiliatrice 36

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nale o telegior e il prim onta di com di continuare a ndin racc ie Alma Gra l’esigenza reale, graz ia sentito in tempo italiano abb ti i suoi utenti, lla del Tg1 rma ortante que tenere info o canale imp prim ta scel e del Tv a al web. Una e nell’informazion zie: dalla noti zion di continuo dal sito e un’evolu un flusso ne offerta Rai che crea versa. L’informazio grazie alla icato, e vice internet uaggio ded , che dialoga con ha un ling e online tg1.rai.it o redazion diventan e di una ento in cui creazion ri nel mom zia. tato noti a spet dell o il sito i tele tatori-attori” : mette a confront “lettori-spet sfida a Web a poi una nenti dell Il libro port ionale e giori espo naz mag i giornalismo del Tg1 con on 2.0, del io epocale, questo icati agg o alla commun le. Un pass ting televisiv internaziona e: dal broadcas a Rete, zion ti tipici dell dell’informa possibile gli strumen Tg1 e reso attraverso zioni del fruizione tutte le reda vissuto da e curiosità tg1.rai.it. e ite stier tram i: «Me lontani, Enzo Biag a i luoghi Scriveva tant in avventur portato la piccola mi hanno te: così, eventi che, tra la gen ta con gli e sempre o le sorti è intreccia nalista si no cambiat di un gior t’anni, han ultimi tren in questi di questi. ». del mondo che internet sia uno iamo Noi cred

Impressiona, soprattutto, il fatto che questo messaggio parta proprio dalla Milano degli anni ’90, quando la realtà italiana, politica e sociale, non aveva ancora subito la “fascinazione” del mezzo televisivo, com’è avvenuto poi negli ultimi vent’anni. «In questo senso, i media “informano” soprattutto perché danno una certa forma alla realtà, reinterpretandola secondo ben precisi e interessati criteri. L’informazione televisiva non sfugge ai limiti propri dell’informazione a mezzo stampa. Sappiamo che la scelta delle notizie da dare, e il modo di dare tali notizie, corrispondono all’interesse proprio della testata». Una lettera lungimirante, negli appelli e nei contenuti, che rivolgeva lo sguardo al futuro, anche preconizzando l’avvento di nuove tecnologie utilizzate nell’ambito dell’informazione. «I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un’atmosfera, un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di suoni, di immagini, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un pesce nell’acqua. È il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi».

Alma Grandin www.vi raccontoiltg1.rai.it RAI-ERI 2012 pagine 211, euro 12,00

un nuovo modo di essere vivi La rivoluzione dei new media sta ridisegnando il modo in cui il pianeta si tiene aggiornato e il futuro della stampa sta prendendo forma nello spazio cibernetico. Vivere oggi nel mondo occidentale “equivale a trovarsi nel flusso copioso e incessante di immagini e suoni erogati dai media”. In termini di qualità, però, tutte le ricerche sull’informazione concordano sul fatto che i notiziari futuri potrebbero essere meno accurati e più propagandistici. Ecco che anche per comunicare online e trasmettere notizie in Rete, serve fare chiarezza sui linguaggi da utilizzare, e sulle modalità più efficaci, perché i nostri messaggi creino informazione vera. Una preoccupazione che riecheggiava già nella celebre lettera pastorale dell’allora Arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini, che nel 1991 scriveva: «Il termine “informare” vuol dire, alla lettera, dare forma, plasmare una data realtà. È la nostra coscienza che i media “informano”, cioè modificano, segnano, plasmano. Avviene, per la nostra coscienza esposta ai media, come nei giochi dei bambini sulla spiaggia... i mass media possono utilizzare il loro potere fino a far cadere la persona in una sorta di schiavizzante dipendenza dal dominio di chi li gestisce. Si pensi soltanto alle possibili manipolazioni dell’informazione e ai condizionamenti che si possono esercitare sull’opinione pubblica e sulle sue scelte etiche e politiche. Per questo, un ottimismo di fondo verso i mass media suscita e promuove una vigilanza attenta e l’esercizio del discernimento critico». Un ammonimento forte, che sollecita una riflessione di quanti operano nel mondo delicato della comunicazione.

Alma Grandin giornalista Rai Tg1 - Caposervizio Tg1.rai.it

LibreriaTorino Elledici - Valdocco La libreria è lieta di informare la propria clientela che effettua il servizio dei testi scolastici, dalla prenotazione al post vendita. Troverete professionalità, cortesia, disponibilità, per risolvere ogni problematica. Diamo la possibilità di effettuare il servizio Colibrì per foderare i libri al costo di Euro 1,20 a testo. Troverete inoltre tutto per la catechesi con servizio a domicilio gratuito in Torino per richieste importanti di materiale per le parrocchie o catechisti. Troverete tutti gli editori religiosi con rapido approvvigionamento delle richieste. Ampio spazio per l’oggettistica, materiale minimedia, multimedia.

twitter: @AlmaGrandin

Voice of God: voce di Dio. Netizen: una persona che partecipa attivamente alla vita di Internet, contribuendo e credendo fermamente nella libertà di espressione tramite questo mezzo. Citizen journalism: giornalismo partecipativo, che vede la “partecipazione attiva” dei lettori, grazie alla natura interattiva dei nuovi media.

LIBRERIA ELLEDICI Via Maria Ausiliatrice 10/A - TORINO 10152 Tel. 011 52 16 159 - Cell. 335 67 20 802 torino@elledici.org PARCHEGGIO Via Maria Ausiliatrice 36

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settembre-ottobre 2013

leggiamo i vangeli

Una risposta che vale la vita

Ascoltare Gesù con cuore e mente liberi per rispondergli ed accoglierlo intimamente come Risurrezione e Vita (Gv 11,1-57). Ecco la posta messa in gioco dall’ultimo, straordinario “segno” compiuto dal Signore. Un comportamento apparentemente contradditorio

più lo trattiene, neppure l’idea di intraprendere un viaggio che sa essere rischioso, perché lo riporterà tra le spire di quei Giudei suoi avversari che stanno cercando occasioni per farlo morire. In effetti questa è nel Vangelo di Giovanni l’ultima salita di Gesù a Gerusalemme: è paradossale, ma il ridare vita al corpo morto di Lazzaro, di fatto decreterà la morte di Cristo!

Forse Gesù non aveva ben capito quando Marta e Maria gli avevano mandato a dire che Lazzaro era ammalato? Perché ad una tale notizia rimane nel luogo in cui si trova e non si mette subito in viaggio, pur volendo bene a quei tre fratelli? No, Gesù non sta temporeggiando, al contrario conosce bene quello che sta facendo: egli è venuto per compiere il progetto di salvezza affidatogli dal Padre e attende unicamente per ragioni legate a quella causa, proprio come era accaduto alle nozze di Cana. Il Signore sa che la malattia e la morte di un suo caro amico, fatto in sé drammatico, saranno occasione per mostrare che la salvezza e la vita e la resurrezione sono lui in persona. Giunto perciò il momento opportuno, egli parte, nulla

sione di quella donna. La informa innanzitutto che Lazzaro risorgerà. Marta non gli lascia però spazio, lo interrompe, conferma di sapere già che vi è una risurrezione dei morti nell’ultimo giorno. Sembra quasi che lei voglia spiegare a Gesù la dottrina giudaica della risurrezione! Gesù non demorde, in qualche modo arresta l’energica iniziativa di Marta e, pur avendo capito che ella non ha compreso le sue parole, nel desiderio però di farla crescere nella fede, le consegna una tra le più grandi rivelazioni da lui mai pronunciate: «Io sono la risurrezione e la vita». Straordinarie queste parole con cui Gesù si descrive; coinvolgenti quelle con cui indica il cammino di fede che ne scaturisce: «chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno». Non basta insomma sapere che Gesù è risurrezione e vita, bisogna aver fede in lui, perché chi ora crede in lui, pur dovendo passare attraverso la morte fisica, vivrà per sempre senza mai conoscere la morte spirituale. Da questa urgenza di fede scaturisce, a bruciapelo, la domanda: «Credi tu questo?». Essa è rivolta a Marta, ma invoca la risposta di ciascuno. È una risposta che mette in gioco la mia vita eterna! Il fatto che Gesù sia risurrezione e vita deve insomma essere rilevante per me: «Credo io questo?».

«Io sono la risurrezione e la vita». Straordinarie queste parole con cui Gesù si descrive!

Ascoltare con cuore e mente liberi Marta torna in scena con una nuova confessione in cui sostiene di aver già maturato in sé una fede in Gesù riconosciuto come Cristo e Figlio di Dio venuto nel mondo. Ma questa donna era giunta realmente ad una fede così profonda in Gesù, oppure sta soltanto utilizzando dei titoli noti alla tradizione giudaica, mostrandosi però radicalmente incapace di ricomprenderli alla luce della novità portata da Cristo? Sembra proprio che la soluzione vada in questo senso. Se infatti Marta avesse creduto veramente in Gesù Cristo e Figlio di Dio, Risurrezione e Vita, perché mai, riluttante, si sarebbe opposta all’ordine da lui dato di rimuovere la pietra tombale? In realtà Marta non ha accolto la nuova rivelazione consegnatale da Gesù perché rinchiusa nelle sue convinzioni, perché incapace di ascoltare autenticamente. L’inganno in cui ella cade consiste nel ritenere di «sapere già», precludendo alla Parola di Gesù la possibilità di radicarsi in lei. Come è diverso, invece, il fare di Maria che con umiltà va incontro a Gesù, parla poco, gli si getta ai piedi, mostrando così il proprio desiderio di ascoltare ed essere condotta a nuova verità, ad inaudita e corroborante speranza. L’azione di Gesù che ridà vita a Lazzaro ancora una volta non è centrale nel racconto: lo è invece la gloria di Dio che quel “segno” rivela affinché i discepoli, Marta, i Giudei credano e Maria sia confermata nella sua fede. La novità più grande non sarà allora quella recata dalla notizia di un morto tornato a vivere, ma quella di persone dalla mente libera e dal cuore in ascolto per accogliere Gesù come propria Risurrezione e Vita.

Interno della cosiddetta tomba di Lazzaro.

La rivelazione e la risposta Gesù arriva a Betania in prossimità dei giorni della Pasqua. Lazzaro è ormai stato deposto nella tomba. Mentre Maria rimane seduta in casa, Marta si affretta ad accoglierlo. Costei saluta Gesù chiamandolo «Signore», si mostra rammaricata del fatto che egli non sia giunto prima, poi confessa la sua fede in lui come in un uomo che fa miracoli perché viene da Dio. Gesù tenta di correggere l’incompren-

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Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

leggiamo i vangeli

Una risposta che vale la vita

Ascoltare Gesù con cuore e mente liberi per rispondergli ed accoglierlo intimamente come Risurrezione e Vita (Gv 11,1-57). Ecco la posta messa in gioco dall’ultimo, straordinario “segno” compiuto dal Signore. Un comportamento apparentemente contradditorio

più lo trattiene, neppure l’idea di intraprendere un viaggio che sa essere rischioso, perché lo riporterà tra le spire di quei Giudei suoi avversari che stanno cercando occasioni per farlo morire. In effetti questa è nel Vangelo di Giovanni l’ultima salita di Gesù a Gerusalemme: è paradossale, ma il ridare vita al corpo morto di Lazzaro, di fatto decreterà la morte di Cristo!

Forse Gesù non aveva ben capito quando Marta e Maria gli avevano mandato a dire che Lazzaro era ammalato? Perché ad una tale notizia rimane nel luogo in cui si trova e non si mette subito in viaggio, pur volendo bene a quei tre fratelli? No, Gesù non sta temporeggiando, al contrario conosce bene quello che sta facendo: egli è venuto per compiere il progetto di salvezza affidatogli dal Padre e attende unicamente per ragioni legate a quella causa, proprio come era accaduto alle nozze di Cana. Il Signore sa che la malattia e la morte di un suo caro amico, fatto in sé drammatico, saranno occasione per mostrare che la salvezza e la vita e la resurrezione sono lui in persona. Giunto perciò il momento opportuno, egli parte, nulla

sione di quella donna. La informa innanzitutto che Lazzaro risorgerà. Marta non gli lascia però spazio, lo interrompe, conferma di sapere già che vi è una risurrezione dei morti nell’ultimo giorno. Sembra quasi che lei voglia spiegare a Gesù la dottrina giudaica della risurrezione! Gesù non demorde, in qualche modo arresta l’energica iniziativa di Marta e, pur avendo capito che ella non ha compreso le sue parole, nel desiderio però di farla crescere nella fede, le consegna una tra le più grandi rivelazioni da lui mai pronunciate: «Io sono la risurrezione e la vita». Straordinarie queste parole con cui Gesù si descrive; coinvolgenti quelle con cui indica il cammino di fede che ne scaturisce: «chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno». Non basta insomma sapere che Gesù è risurrezione e vita, bisogna aver fede in lui, perché chi ora crede in lui, pur dovendo passare attraverso la morte fisica, vivrà per sempre senza mai conoscere la morte spirituale. Da questa urgenza di fede scaturisce, a bruciapelo, la domanda: «Credi tu questo?». Essa è rivolta a Marta, ma invoca la risposta di ciascuno. È una risposta che mette in gioco la mia vita eterna! Il fatto che Gesù sia risurrezione e vita deve insomma essere rilevante per me: «Credo io questo?».

«Io sono la risurrezione e la vita». Straordinarie queste parole con cui Gesù si descrive!

Ascoltare con cuore e mente liberi Marta torna in scena con una nuova confessione in cui sostiene di aver già maturato in sé una fede in Gesù riconosciuto come Cristo e Figlio di Dio venuto nel mondo. Ma questa donna era giunta realmente ad una fede così profonda in Gesù, oppure sta soltanto utilizzando dei titoli noti alla tradizione giudaica, mostrandosi però radicalmente incapace di ricomprenderli alla luce della novità portata da Cristo? Sembra proprio che la soluzione vada in questo senso. Se infatti Marta avesse creduto veramente in Gesù Cristo e Figlio di Dio, Risurrezione e Vita, perché mai, riluttante, si sarebbe opposta all’ordine da lui dato di rimuovere la pietra tombale? In realtà Marta non ha accolto la nuova rivelazione consegnatale da Gesù perché rinchiusa nelle sue convinzioni, perché incapace di ascoltare autenticamente. L’inganno in cui ella cade consiste nel ritenere di «sapere già», precludendo alla Parola di Gesù la possibilità di radicarsi in lei. Come è diverso, invece, il fare di Maria che con umiltà va incontro a Gesù, parla poco, gli si getta ai piedi, mostrando così il proprio desiderio di ascoltare ed essere condotta a nuova verità, ad inaudita e corroborante speranza. L’azione di Gesù che ridà vita a Lazzaro ancora una volta non è centrale nel racconto: lo è invece la gloria di Dio che quel “segno” rivela affinché i discepoli, Marta, i Giudei credano e Maria sia confermata nella sua fede. La novità più grande non sarà allora quella recata dalla notizia di un morto tornato a vivere, ma quella di persone dalla mente libera e dal cuore in ascolto per accogliere Gesù come propria Risurrezione e Vita.

Interno della cosiddetta tomba di Lazzaro.

La rivelazione e la risposta Gesù arriva a Betania in prossimità dei giorni della Pasqua. Lazzaro è ormai stato deposto nella tomba. Mentre Maria rimane seduta in casa, Marta si affretta ad accoglierlo. Costei saluta Gesù chiamandolo «Signore», si mostra rammaricata del fatto che egli non sia giunto prima, poi confessa la sua fede in lui come in un uomo che fa miracoli perché viene da Dio. Gesù tenta di correggere l’incompren-

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Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

IN CAMMINO CON MARIA

Dal fiat al facite Maria è diventata Madre di Dio perché ha «creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45): è l’interpretazione del fiat di Maria fatto da Elisabetta, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. A lei fa eco sant’Agostino quando dice: «Maria, piena di fede, concepì Cristo prima nel cuore che nel grembo» (Sermones 215,4). Alla pienezza di grazia da parte di Dio corrisponde la pienezza di fede da parte di Maria. Abbandonata a Dio completamente, impegnata nell’avanzare costantemente nella «peregrinazione della fede», Maria si è sintonizzata lentamente e profondamente con Dio. Per la sua viva fede ella arriva a una forte intesa con lui, a un acclimatamento di tutto il suo essere con la sfera divina, ad avere un’intuizione del pensiero di Dio, a saper discernere spontaneamente la sua volontà, a sentir palpitare dentro di sé il cuore di Dio. La lettera agli ebrei, elogiando la fede degli antenati di Israele, dice di Mosé, che vive «come se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27). Così Paolo, avendo raggiunto un grado di unione con Cristo, da poter dire «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), afferma senza retorica e senza vanto: «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16). Tutto questo può essere detto di Maria. A Cana di Galilea la troviamo così, semplice, discreta, fiduciosa accanto al suo Figlio, sicura di essere esaudita perché intimamente sintonizzata con lui.

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Maria a Cana riveste un ruolo profetico È «portavoce della volontà di Dio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi» (Redemptoris Mater 12). Il profeta non è colui che sa predire il futuro in forma prodigiosa, ma è piuttosto colui che sente d’essere stato totalmente e radicalmente “sedotto da Dio” (cfr. Ger 20,7); attratto dentro il suo mistero, condivide il suo amore infinito per gli uomini. Appunto perché coinvolto da questa corrente irresistibile d’amore, il profeta partecipa fino in fondo alla sorte dell’umanità, vive profondamente le ansie, le attese, le gioie, le situazioni drammatiche del mondo. Quale “sentinella” in

mezzo agli uomini egli vigila, discerne, legge il presente storico per coglierne le prospettive ultime, scruta i segni del tempo per scoprirvi i passi di Dio, s’impegna con intrepidezza perché la sollecitudine divina venga accolta e corrisposta. Quale uomo «dall’occhio penetrante» (Num 24,3) egli vede in profondità. Le due parole pronunciate da Maria a Cana: «Non hanno vino» (Gv 2,3) e «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5) mettono in risalto il suo ruolo profetico. Maria legge in profondità la storia umana, ne individua i problemi ancora nascosti, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la sofferenza ancora senza nome. Ella scopre il nodo essenziale del guazzabuglio e lo presenta al suo Figlio, l’unico che lo può sciogliere. E intanto prepara i servi all’accoglienza dell’aiuto divino con una indicazione sicura.

Il comandamento di Maria «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» è tra le poche parole pronunciate da Maria nel Vangelo l’unica indirizzata agli uomini, per questo a ragione viene considerata “il comandamento della Vergine”. È anche l’ultima parola sua registrata nel Vangelo, quasi un “testamento spirituale”. Dopo questo Maria non parlerà più; ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68). In questa parola di Maria si percepiscono gli echi della formula dell’alleanza sinaitica. A conclusione dell’alleanza il popo-

lo promette: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (cfr. Es 19,8; 24,3.7; Dt 5,27). Maria non solo personifica Israele obbediente all’alleanza, ma è anche colei che induce all’obbedienza, ormai non più all’alleanza, ma a Gesù, da cui prende inizio una nuova alleanza e un nuovo popolo. Ciò emerge con maggior evidenza se si legge questa parola di Maria in parallelo con le ultime parole di Gesù Risorto nel Vangelo di Matteo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).

Maria insegna a fidarsi della parola di Dio Maria conduce dunque a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità nuova di Gesù, anzi, aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso che Egli stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv 15,14). Il «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» pronunciato da Maria non è un invito teorico, astratto, ma è un’esortazione maturata dall’esperienza personale. La parola va nel cuore e nella vita dell’interlocutore solo se è scaturita dal cuore e dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa, il fiat vissuta in profondità da lei diventa facite convincente rivolto ad altri. Per noi, membri della famiglia

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salesiana, chiamati ad essere tra i giovani segno ed espressione dell’amore preveniente di Dio, l’immagine di Maria profeta, educatrice, mediatrice, ausiliatrice, è particolarmente illuminante. È necessario, come Maria, avere le antenne contemporaneamente tese verso Dio e verso la storia. Solo una profonda intesa con Dio e una saggia comprensione del mondo possono dare efficacia alla nostra azione evangelizzatrice. Il facite rivolto agli altri deve scaturire sempre dal nostro personale fiat in adesione a Dio. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

IN CAMMINO CON MARIA

Dal fiat al facite Maria è diventata Madre di Dio perché ha «creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45): è l’interpretazione del fiat di Maria fatto da Elisabetta, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. A lei fa eco sant’Agostino quando dice: «Maria, piena di fede, concepì Cristo prima nel cuore che nel grembo» (Sermones 215,4). Alla pienezza di grazia da parte di Dio corrisponde la pienezza di fede da parte di Maria. Abbandonata a Dio completamente, impegnata nell’avanzare costantemente nella «peregrinazione della fede», Maria si è sintonizzata lentamente e profondamente con Dio. Per la sua viva fede ella arriva a una forte intesa con lui, a un acclimatamento di tutto il suo essere con la sfera divina, ad avere un’intuizione del pensiero di Dio, a saper discernere spontaneamente la sua volontà, a sentir palpitare dentro di sé il cuore di Dio. La lettera agli ebrei, elogiando la fede degli antenati di Israele, dice di Mosé, che vive «come se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27). Così Paolo, avendo raggiunto un grado di unione con Cristo, da poter dire «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), afferma senza retorica e senza vanto: «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16). Tutto questo può essere detto di Maria. A Cana di Galilea la troviamo così, semplice, discreta, fiduciosa accanto al suo Figlio, sicura di essere esaudita perché intimamente sintonizzata con lui.

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Maria a Cana riveste un ruolo profetico È «portavoce della volontà di Dio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi» (Redemptoris Mater 12). Il profeta non è colui che sa predire il futuro in forma prodigiosa, ma è piuttosto colui che sente d’essere stato totalmente e radicalmente “sedotto da Dio” (cfr. Ger 20,7); attratto dentro il suo mistero, condivide il suo amore infinito per gli uomini. Appunto perché coinvolto da questa corrente irresistibile d’amore, il profeta partecipa fino in fondo alla sorte dell’umanità, vive profondamente le ansie, le attese, le gioie, le situazioni drammatiche del mondo. Quale “sentinella” in

mezzo agli uomini egli vigila, discerne, legge il presente storico per coglierne le prospettive ultime, scruta i segni del tempo per scoprirvi i passi di Dio, s’impegna con intrepidezza perché la sollecitudine divina venga accolta e corrisposta. Quale uomo «dall’occhio penetrante» (Num 24,3) egli vede in profondità. Le due parole pronunciate da Maria a Cana: «Non hanno vino» (Gv 2,3) e «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5) mettono in risalto il suo ruolo profetico. Maria legge in profondità la storia umana, ne individua i problemi ancora nascosti, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la sofferenza ancora senza nome. Ella scopre il nodo essenziale del guazzabuglio e lo presenta al suo Figlio, l’unico che lo può sciogliere. E intanto prepara i servi all’accoglienza dell’aiuto divino con una indicazione sicura.

Il comandamento di Maria «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» è tra le poche parole pronunciate da Maria nel Vangelo l’unica indirizzata agli uomini, per questo a ragione viene considerata “il comandamento della Vergine”. È anche l’ultima parola sua registrata nel Vangelo, quasi un “testamento spirituale”. Dopo questo Maria non parlerà più; ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68). In questa parola di Maria si percepiscono gli echi della formula dell’alleanza sinaitica. A conclusione dell’alleanza il popo-

lo promette: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (cfr. Es 19,8; 24,3.7; Dt 5,27). Maria non solo personifica Israele obbediente all’alleanza, ma è anche colei che induce all’obbedienza, ormai non più all’alleanza, ma a Gesù, da cui prende inizio una nuova alleanza e un nuovo popolo. Ciò emerge con maggior evidenza se si legge questa parola di Maria in parallelo con le ultime parole di Gesù Risorto nel Vangelo di Matteo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).

Maria insegna a fidarsi della parola di Dio Maria conduce dunque a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità nuova di Gesù, anzi, aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso che Egli stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv 15,14). Il «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» pronunciato da Maria non è un invito teorico, astratto, ma è un’esortazione maturata dall’esperienza personale. La parola va nel cuore e nella vita dell’interlocutore solo se è scaturita dal cuore e dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa, il fiat vissuta in profondità da lei diventa facite convincente rivolto ad altri. Per noi, membri della famiglia

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salesiana, chiamati ad essere tra i giovani segno ed espressione dell’amore preveniente di Dio, l’immagine di Maria profeta, educatrice, mediatrice, ausiliatrice, è particolarmente illuminante. È necessario, come Maria, avere le antenne contemporaneamente tese verso Dio e verso la storia. Solo una profonda intesa con Dio e una saggia comprensione del mondo possono dare efficacia alla nostra azione evangelizzatrice. Il facite rivolto agli altri deve scaturire sempre dal nostro personale fiat in adesione a Dio. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

Giovani in cammino

• le guarigione dalle malattie psichiche (gli esorcismi), • le guarigioni dalle malattie morali (il perdono dei peccati).

No a una religione “sonnifero” «Gesù disse loro: “Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”» (Gv 4,34). «Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo» (Mt 13,44). La volontà del Padre è quel tesoro prezioso da comprare vendendo tutto il resto ed è diventato lo stupendo progetto per il quale Gesù ha dato tutto; il suo sogno per la cui realizzazione ha messo in gioco tutte le sue capacità e tutte le sue energie. Nei Vangeli sinottici esso viene identificato come Regno di Dio.

Ma che cos’è? La cultura semitica non ha la preoccupazione delle definizioni. I semiti sono piuttosto legati all’azione ed esprimono il loro pensiero proprio con il loro modo di vivere.

Rileggiamo ciò che Gesù fece per cercare conferma nelle sue azioni e nei discorsi con i quali ne spiegava il senso. L’espressione Regno di Dio non è invenzione di Gesù. Ai suoi tempi aveva due significati: uno presente, uno futuro. Nel primo significava che Dio era già re d’Israele: la sua sovranità era effettiva per chi obbediva alla sua volontà manifestata con la legge di Mosè. Nel secondo designava una sovranità che doveva ancora manifestarsi: un giorno si sarebbe stabilita, oltre che in Israele, in tutto il mondo. Era una speranza futura, la realtà ultima e definitiva, una “realtà escatologica”. Tutto il male del mondo sarebbe stato eliminato, tutte le potenze malvagie sarebbero state sconfitte: una liberazione con l’offerta di una vita pienamente felice in comunione con Lui. Una gioia senza fine!

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La gente comune aspettava in maniera particolare: uomini e donne che vivevano in grande povertà e insicurezza, oppresse dalle congiunture materiali, dalle malattie e dal senso di colpa per aver trasgredito la legge di Dio. Attendevano che Dio venisse a cambiare radicalmente la loro sorte, che Dio stesso venisse a regnare perché ciò avrebbe portato la salvezza e la felicità per loro. Invocazione significativa: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19).

Gesù vuole eliminare dai corpi, dalla psiche e dal cuore degli uomini e delle donne ciò che li rendeva sofferenti e infelici. Questi interventi spiegano cosa significhi per lui la venuta del Regno di Dio. L’espulsione di tutto ciò che non permette agli uomini di vivere una vita normale e sana e la riconduzione ad uno stato di salute e di benessere, ricordando la pagina della Genesi. Facendo questi gesti nei confronti di singoli individui, Gesù poneva dei segni che aprivano il cuore per capire cosa significava il Regno che lui annunciava. Il Regno di Dio si manifestava, almeno in parte e provvisoriamente, con la liberazione dallo stato di malattia corporale o togliendo quelle forze negative che possedevano la

psiche dell’uomo, o ancora scacciando dal cuore umano il peso della colpa di fronte a Dio. Tutte forme di morte da superare per dare spazio alla vita.

Un aspetto sociale Ma Gesù voleva abbattere anche i conflitti della convivenza sociale del suo popolo per creare le strutture portanti del Regno di Dio. I singoli individui non sono delle isole ma vivono e sono condizionati da molteplici rapporti caratterizzanti la convivenza umana. E tutta la loro vita e il loro star bene o meno ha a che fare con tali rapporti. Gesù prende di mira le situazioni sociali, i dolorosi conflitti che attraversavano la società di Israele e che avevano ricadute notevolmente negative in particolare sulla vita dei più deboli e indifesi: • conflitto tra giusti e peccatori, • conflitto tra ricchi e poveri,

Le manifestazioni del Regno

• conflitto tra uomini e donne. Si comporta in modo ben preciso: li vuole superare mettendosi dalla parte di chi ne soffre più pesantemente le conseguenze, per il bene e la gioia di tutti, ma principalmente dei più deboli: i peccatori, i poveri, le donne.

I discorsi sul Regno I suoi discorsi che si svolgevano in modo simbolico e narrativo e non concettuale e argomentativo, in particolare le parabole, si riferiscono in gran parte al Regno di Dio. Comunicano il lieto annuncio che il Regno sta arrivando, pur in mezzo alla debolezza e alle difficoltà, e occorre accoglierlo con cuore aperto e disponibile. Ciò che stava a cuore prima di tutto e sopra di tutto a Gesù era che gli uomini e le donne fossero liberati da ogni forma di morte e avessero la pienezza della vita. A ciò subordinava ogni cosa, anche la legge di Mosè e lo stesso culto. (cfr. Mt 5,23-24). Senza l’impegno per il Regno la religione è e resta un bel sonnifero! Papa Francesco ci sta aiutando ad uscire dai nostri stereotipi culturali con incrostazioni storiche fatiscenti e ammuffite! Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net

L’attività di Gesù aveva come destinatari sia gli individui sia la società. A favore dei singoli spiccano tre tipi di interventi: • le guarigioni dalle malattie corporali,

cfr. Luis A. Gallo www.notedipastoralegiovanile.it

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settembre-ottobre 2013

Giovani in cammino

• le guarigione dalle malattie psichiche (gli esorcismi), • le guarigioni dalle malattie morali (il perdono dei peccati).

No a una religione “sonnifero” «Gesù disse loro: “Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”» (Gv 4,34). «Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo» (Mt 13,44). La volontà del Padre è quel tesoro prezioso da comprare vendendo tutto il resto ed è diventato lo stupendo progetto per il quale Gesù ha dato tutto; il suo sogno per la cui realizzazione ha messo in gioco tutte le sue capacità e tutte le sue energie. Nei Vangeli sinottici esso viene identificato come Regno di Dio.

Ma che cos’è? La cultura semitica non ha la preoccupazione delle definizioni. I semiti sono piuttosto legati all’azione ed esprimono il loro pensiero proprio con il loro modo di vivere.

Rileggiamo ciò che Gesù fece per cercare conferma nelle sue azioni e nei discorsi con i quali ne spiegava il senso. L’espressione Regno di Dio non è invenzione di Gesù. Ai suoi tempi aveva due significati: uno presente, uno futuro. Nel primo significava che Dio era già re d’Israele: la sua sovranità era effettiva per chi obbediva alla sua volontà manifestata con la legge di Mosè. Nel secondo designava una sovranità che doveva ancora manifestarsi: un giorno si sarebbe stabilita, oltre che in Israele, in tutto il mondo. Era una speranza futura, la realtà ultima e definitiva, una “realtà escatologica”. Tutto il male del mondo sarebbe stato eliminato, tutte le potenze malvagie sarebbero state sconfitte: una liberazione con l’offerta di una vita pienamente felice in comunione con Lui. Una gioia senza fine!

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La gente comune aspettava in maniera particolare: uomini e donne che vivevano in grande povertà e insicurezza, oppresse dalle congiunture materiali, dalle malattie e dal senso di colpa per aver trasgredito la legge di Dio. Attendevano che Dio venisse a cambiare radicalmente la loro sorte, che Dio stesso venisse a regnare perché ciò avrebbe portato la salvezza e la felicità per loro. Invocazione significativa: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19).

Gesù vuole eliminare dai corpi, dalla psiche e dal cuore degli uomini e delle donne ciò che li rendeva sofferenti e infelici. Questi interventi spiegano cosa significhi per lui la venuta del Regno di Dio. L’espulsione di tutto ciò che non permette agli uomini di vivere una vita normale e sana e la riconduzione ad uno stato di salute e di benessere, ricordando la pagina della Genesi. Facendo questi gesti nei confronti di singoli individui, Gesù poneva dei segni che aprivano il cuore per capire cosa significava il Regno che lui annunciava. Il Regno di Dio si manifestava, almeno in parte e provvisoriamente, con la liberazione dallo stato di malattia corporale o togliendo quelle forze negative che possedevano la

psiche dell’uomo, o ancora scacciando dal cuore umano il peso della colpa di fronte a Dio. Tutte forme di morte da superare per dare spazio alla vita.

Un aspetto sociale Ma Gesù voleva abbattere anche i conflitti della convivenza sociale del suo popolo per creare le strutture portanti del Regno di Dio. I singoli individui non sono delle isole ma vivono e sono condizionati da molteplici rapporti caratterizzanti la convivenza umana. E tutta la loro vita e il loro star bene o meno ha a che fare con tali rapporti. Gesù prende di mira le situazioni sociali, i dolorosi conflitti che attraversavano la società di Israele e che avevano ricadute notevolmente negative in particolare sulla vita dei più deboli e indifesi: • conflitto tra giusti e peccatori, • conflitto tra ricchi e poveri,

Le manifestazioni del Regno

• conflitto tra uomini e donne. Si comporta in modo ben preciso: li vuole superare mettendosi dalla parte di chi ne soffre più pesantemente le conseguenze, per il bene e la gioia di tutti, ma principalmente dei più deboli: i peccatori, i poveri, le donne.

I discorsi sul Regno I suoi discorsi che si svolgevano in modo simbolico e narrativo e non concettuale e argomentativo, in particolare le parabole, si riferiscono in gran parte al Regno di Dio. Comunicano il lieto annuncio che il Regno sta arrivando, pur in mezzo alla debolezza e alle difficoltà, e occorre accoglierlo con cuore aperto e disponibile. Ciò che stava a cuore prima di tutto e sopra di tutto a Gesù era che gli uomini e le donne fossero liberati da ogni forma di morte e avessero la pienezza della vita. A ciò subordinava ogni cosa, anche la legge di Mosè e lo stesso culto. (cfr. Mt 5,23-24). Senza l’impegno per il Regno la religione è e resta un bel sonnifero! Papa Francesco ci sta aiutando ad uscire dai nostri stereotipi culturali con incrostazioni storiche fatiscenti e ammuffite! Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net

L’attività di Gesù aveva come destinatari sia gli individui sia la società. A favore dei singoli spiccano tre tipi di interventi: • le guarigioni dalle malattie corporali,

cfr. Luis A. Gallo www.notedipastoralegiovanile.it

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settembre-ottobre 2013

AMICI DI DIO

Santa Gertrude la Grande, monaca (1256-1302) Perdutamente innamorata di Cristo.

Unica donna tedesca ad essere chiamata la Grande, fu una monaca straordinaria, autrice di opere di grande valore spirituale e mistico. Cantò anche in poesia il suo travolgente e totale amore a Cristo. Il 7 ottobre 2012 Benedetto XIV promuoveva a dottore della Chiesa santa Ildegarda di Bingen, morta nel 1179. Un grande onore certamente meritato. È stata una grande donna, monaca e mistica tedesca, come lo fu anche la sua connazionale, Gertrude (12561302), conosciuta anche come Gertrude di Hefta, o Gertrude “die Grosse”, cioè la Grande. Titolo che ci dà subito lo spessore di questa splendida figura di donna e di santa. Ha avuto anche altri titoli come “Teresa di Germania”, “Teologa del S. Cuore” perché fu antesignana di questa devozione. E infine le parole di Gesù stesso che le appariva in visione: «In corde Gertrudis invenietis me», cioè «Nel cuore di Gertrude troverete Me». Un super complimento. Meritato.

27 gennaio 1281: la conversione Gertrude nacque ad Eisleben, non lontano da Lipsia e già da bambina entrò nel monastero cistercense di Hefta. Raggiunta l’età giusta chiese e ottenne di rimanervi volontariamente, scegliendo di amare e servire Dio per sempre come

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monaca. Era di intelligenza brillante, dai molti interessi culturali nei campi della filosofia, teologia, canto, e arte della miniatura. Nel monastero c’era uno straordinario clima culturale e spirituale, favorito anche dalla presenza di altre monache di grande valore come Gertrude, badessa e la so-

rella Matilde di Hackeborn (diventerà anche lei badessa) e dal 1270 la beghina Matilde di Magdeburgo. Donne straordinarie spiritualmente. Per vent’anni nulla di eccezionale. Studio e preghiera, preghiera e studio, tutti i santi giorni. La svolta decisiva o “conversione” non venne grazie a questo clima anche se altamente culturale e spirituale che lei respirava nel monastero. C’è stata una “spinta” gentile dall’alto (diversa dalla metodologia poco soft usata da Cristo con Paolo di Tarso sulla via di Damasco). Geltrude pensava con più passione allo studio e alla propria crescita culturale che alle cose religiose e agli impegni spirituali. Questi ultimi li viveva un po’ tiepidamente. Verso la fine del 1280 entrò in crisi: provò l’angosciosa sensazione di sentirsi assolutamente sola, sperduta, inutile e avvilita mentre assisteva al crollo di tutti i suoi ideali umani. Da questo abisso di angoscia e solitudine esistenziale, ella rinacque spiritualmente donandosi a Cristo incondizionatamente e totalmente. Ecco la conversione. Che cosa era avvenuto? Era il 27 gennaio 1281 quando ebbe una prima visione del Cristo Redentore. Scrisse lei stessa: «Io lodo, io adoro, io benedico, io ringrazio come posso la vostra sapiente misericordia e la vostra misericordiosa sapienza, perché voi, mio Creatore e mio Redentore, vi sforzaste di ridurre una testa indomabile sotto il vostro giogo soave». La conversione agì particolarmente su due fronti: ascetico e culturale. Primo: Gertrude ripre-

O Cristo, vita della mia vita O vita della mia vita, possano gli affetti del mio cuore accesi dalla fiamma del tuo amore, unirmi intimamente a Te.

se con vigore l’osservanza della regola religiosa, inasprita liberamente da veglie e digiuni, che culminarono in molte sofferenze e malattie. Secondo: una svolta sui suoi interessi culturali. Tagliò netto con le discipline profane dedicandosi esclusivamente alla Scrittura, alla teologia e ai Padri, privilegiando Agostino, Gregorio Magno, Bernardo e Ugo da San Vittore. Questi furono i suoi “maestri”.

“De-scrittrice” della propria esperienza spirituale Dopo la conversione si preoccupò non solo di studiare per sé ma di fare anche dono agli altri delle scoperte spirituali fatte nelle rivelazioni e nelle riflessioni. Ecco Gertrude scrittrice e de-scrittrice con due opere: La prima chiamata Il Messaggero della divina misericordia. Qui abbiamo le visioni e le rivelazioni che ella ebbe da Gesù Cristo stesso e la straordinaria confidenza che ebbe con Lui. «È la prima volta, nella storia cristiana che una donna scrive una autobiografia spirituale in cui il rapporto con Dio è narrato in termini così espliciti come un rapporto d’amore. È forse un linguaggio poco abituale oggi tra i

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Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici 2011 pagine 936, euro 29,00

cristiani, ma questo cercarsi ed incontrarsi tra uomo e Dio ha usato, spesso, e necessariamente, il linguaggio dell’amore, come nel Cantico dei Cantici. Gertrude è innamorata di Cristo e Cristo di lei!» (C. Leonardi). La seconda opera ha per titolo Exercitia Spiritualia Septem. Per qualche studioso l’opera è un vero gioiello di letteratura ascetica e mistica.

Messaggio spirituale di Gertrude Geltrude è santa e mistica. Il dono della visione del Cristo è stato un regalo divino, pura grazia dall’alto, che certo non la dispensò, anzi la incoraggiò a marciare di nuovo, speditamente e con pazienza sul duro sentiero della preghiera, del lavoro per amore di Dio (ascesi), riconoscendo sempre la propria profonda miseria e rinunciando definitivamente all’auto compiacenza, per avere unico punto di riferimento esistenziale e spirituale Dio e il suo Cristo. Un dono da meritare “portando la propria croce” dietro il Cristo. Come ha fatto Geltrude e tutti i santi. Questo è il loro insegnamento a noi ancora in cammino. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

AMICI DI DIO

Santa Gertrude la Grande, monaca (1256-1302) Perdutamente innamorata di Cristo.

Unica donna tedesca ad essere chiamata la Grande, fu una monaca straordinaria, autrice di opere di grande valore spirituale e mistico. Cantò anche in poesia il suo travolgente e totale amore a Cristo. Il 7 ottobre 2012 Benedetto XIV promuoveva a dottore della Chiesa santa Ildegarda di Bingen, morta nel 1179. Un grande onore certamente meritato. È stata una grande donna, monaca e mistica tedesca, come lo fu anche la sua connazionale, Gertrude (12561302), conosciuta anche come Gertrude di Hefta, o Gertrude “die Grosse”, cioè la Grande. Titolo che ci dà subito lo spessore di questa splendida figura di donna e di santa. Ha avuto anche altri titoli come “Teresa di Germania”, “Teologa del S. Cuore” perché fu antesignana di questa devozione. E infine le parole di Gesù stesso che le appariva in visione: «In corde Gertrudis invenietis me», cioè «Nel cuore di Gertrude troverete Me». Un super complimento. Meritato.

27 gennaio 1281: la conversione Gertrude nacque ad Eisleben, non lontano da Lipsia e già da bambina entrò nel monastero cistercense di Hefta. Raggiunta l’età giusta chiese e ottenne di rimanervi volontariamente, scegliendo di amare e servire Dio per sempre come

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monaca. Era di intelligenza brillante, dai molti interessi culturali nei campi della filosofia, teologia, canto, e arte della miniatura. Nel monastero c’era uno straordinario clima culturale e spirituale, favorito anche dalla presenza di altre monache di grande valore come Gertrude, badessa e la so-

rella Matilde di Hackeborn (diventerà anche lei badessa) e dal 1270 la beghina Matilde di Magdeburgo. Donne straordinarie spiritualmente. Per vent’anni nulla di eccezionale. Studio e preghiera, preghiera e studio, tutti i santi giorni. La svolta decisiva o “conversione” non venne grazie a questo clima anche se altamente culturale e spirituale che lei respirava nel monastero. C’è stata una “spinta” gentile dall’alto (diversa dalla metodologia poco soft usata da Cristo con Paolo di Tarso sulla via di Damasco). Geltrude pensava con più passione allo studio e alla propria crescita culturale che alle cose religiose e agli impegni spirituali. Questi ultimi li viveva un po’ tiepidamente. Verso la fine del 1280 entrò in crisi: provò l’angosciosa sensazione di sentirsi assolutamente sola, sperduta, inutile e avvilita mentre assisteva al crollo di tutti i suoi ideali umani. Da questo abisso di angoscia e solitudine esistenziale, ella rinacque spiritualmente donandosi a Cristo incondizionatamente e totalmente. Ecco la conversione. Che cosa era avvenuto? Era il 27 gennaio 1281 quando ebbe una prima visione del Cristo Redentore. Scrisse lei stessa: «Io lodo, io adoro, io benedico, io ringrazio come posso la vostra sapiente misericordia e la vostra misericordiosa sapienza, perché voi, mio Creatore e mio Redentore, vi sforzaste di ridurre una testa indomabile sotto il vostro giogo soave». La conversione agì particolarmente su due fronti: ascetico e culturale. Primo: Gertrude ripre-

O Cristo, vita della mia vita O vita della mia vita, possano gli affetti del mio cuore accesi dalla fiamma del tuo amore, unirmi intimamente a Te.

se con vigore l’osservanza della regola religiosa, inasprita liberamente da veglie e digiuni, che culminarono in molte sofferenze e malattie. Secondo: una svolta sui suoi interessi culturali. Tagliò netto con le discipline profane dedicandosi esclusivamente alla Scrittura, alla teologia e ai Padri, privilegiando Agostino, Gregorio Magno, Bernardo e Ugo da San Vittore. Questi furono i suoi “maestri”.

“De-scrittrice” della propria esperienza spirituale Dopo la conversione si preoccupò non solo di studiare per sé ma di fare anche dono agli altri delle scoperte spirituali fatte nelle rivelazioni e nelle riflessioni. Ecco Gertrude scrittrice e de-scrittrice con due opere: La prima chiamata Il Messaggero della divina misericordia. Qui abbiamo le visioni e le rivelazioni che ella ebbe da Gesù Cristo stesso e la straordinaria confidenza che ebbe con Lui. «È la prima volta, nella storia cristiana che una donna scrive una autobiografia spirituale in cui il rapporto con Dio è narrato in termini così espliciti come un rapporto d’amore. È forse un linguaggio poco abituale oggi tra i

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Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici 2011 pagine 936, euro 29,00

cristiani, ma questo cercarsi ed incontrarsi tra uomo e Dio ha usato, spesso, e necessariamente, il linguaggio dell’amore, come nel Cantico dei Cantici. Gertrude è innamorata di Cristo e Cristo di lei!» (C. Leonardi). La seconda opera ha per titolo Exercitia Spiritualia Septem. Per qualche studioso l’opera è un vero gioiello di letteratura ascetica e mistica.

Messaggio spirituale di Gertrude Geltrude è santa e mistica. Il dono della visione del Cristo è stato un regalo divino, pura grazia dall’alto, che certo non la dispensò, anzi la incoraggiò a marciare di nuovo, speditamente e con pazienza sul duro sentiero della preghiera, del lavoro per amore di Dio (ascesi), riconoscendo sempre la propria profonda miseria e rinunciando definitivamente all’auto compiacenza, per avere unico punto di riferimento esistenziale e spirituale Dio e il suo Cristo. Un dono da meritare “portando la propria croce” dietro il Cristo. Come ha fatto Geltrude e tutti i santi. Questo è il loro insegnamento a noi ancora in cammino. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

maria nei secoli

Gaetano Alimonda

mariologo e amico di don Bosco Fu Arcivescovo di Torino, grande amico di don Bosco ed un insigne mariologo, devotissimo di Maria. Ha molto parlato e scritto di Lei, presentandola, con argomenti solidi, soprattutto come “tipo della Chiesa”, da amare e imitare. to torinese a lavorare per la riconciliazione tra lo Stato italiano e la Santa Sede dopo i tristi eventi del Risorgimento e dell’occupazione di Roma. L’affinità spirituale tra i due amici si spiega anche per un secondo motivo: entrambi erano devotissimi della Madonna. Il cardinale Alimonda, uomo colto e pastore zelante, amante della pace e della concordia, fu un fecondo scrittore. Uno dei suoi primi libri dati alle stampe fu composto due anni dopo la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, avvenuto nel 1854. In questa verità della fede cattolica, secondo la quale la Madonna è stata esentata dal peccato originale sin dal suo concepimento, egli ravvisa persino «un principio di ristorazione nell’odierna società civile». Quest’affermazione è pienamente comprensibile, se si pensa che nel secolo XIX, come nel nostro, profonde trasformazioni culturali e sociali, avevano reso gli uomini più egoisti e violenti. Solo la Grazia di Dio, che ha operato un capolavoro eccellente nell’Immacolata Concezione di Maria, può cambiare il cuore degli uomini e renderlo più puro, generoso e mite.

Ai lettori di Rivista Maria Ausiliatrice risulterà gradito il nome di Gaetano Alimonda, un grande ammiratore di don Bosco. Arcivescovo di Torino, circondò don Bosco di stima e di affetto. Durante l’ultima malattia di don Bosco, si teneva costantemente informato e più volte si recò a visitarlo. In occasione della Messa di trigesima, tenne un discorso ufficiale per onorare don Bosco che definì «amico, benefattore, padre» e di cui volle tessere l’elogio dimostrando che il nostro Santo aveva divinizzato la pedagogia del secolo XIX.

Entrambi amici e devoti di Maria

Maria e la Chiesa, due Ancelle dell’Altissimo, due Sorelle innamorate, due Consorti di Cristo, due novelle Madri del genere umano (Gaetano Alimonda).

Maria vista come “tipo della Chiesa” Il cardinale Alimonda fu soprattutto un grande oratore e nelle sue prediche e conferenze, seguite sempre con grande attenzione dagli ascoltatori, volentieri parlava dei privilegi di Maria Santissima. In uno dei suoi discorsi, Maria tipo della Chiesa, come un vero ed eccellente teologo, sviluppa un principio formulato da sant’Agostino, secondo il quale «Maria mostrò in sé la figura della santa Chiesa». Gli argomenti che egli propone, desunti dalla Sacra Scrittura e dall’insegnamento dei dottori ecclesiastici, sono molto convincenti: entrambe, Maria e la Chiesa, sono creature di Dio, entrambe sono immacolate, entrambe sono state generate dalla croce, entrambe vergini, entrambe spose, entrambe madri, entrambe mezzi di salvezza per l’umanità. Vale la pena approfondire almeno uno dei punti trattati da questo insigne mariologo: Maria e la Chiesa sono entrambe unite nelle umiliazioni e nei trionfi. Maria è umiliata nella povertà di Betlemme, nella fuga precipitosa in Egitto, nei dolori del Calvario. Eppure, trionfa nella luce splendida che l’avvolse nella notte in cui Gesù nacque,

nell’omaggio reso dai Magi, nella gioia del primo miracolo di Cana, ottenuto per sua intercessione, nel raccogliere la Chiesa nascente attorno a sé nel Cenacolo. Ugualmente, la Chiesa subisce le umiliazioni delle persecuzioni dei suoi avversari, oggi particolarmente virulente, e del peccato dei suoi figli, soprattutto di anime consacrate. Eppure, la Chiesa trionfa nella santità dei suoi membri, quasi tutti nascosti al mondo e ai media, nella purezza della dottrina che insegna, nella vita soprannaturale che comunica con i Sacramenti. Prosegue il suo pellegrinaggio sulla terra in attesa della gloria finale e definitiva del ritorno di Cristo, quando la Chiesa condividerà pienamente con Maria il gaudio del Paradiso, ove Ella è Regina. Dall’enunciazione del principio, Maria tipo della Chiesa, il cardinale Alimonda trae delle applicazioni per la vita dei fedeli. Anzitutto, l’amore per la Chiesa e per Maria: come essere devoti di questa senza sentirsi figli di quella? La seconda applicazione è l’impegno da parte dei singoli fedeli e della Chiesa nel suo insieme di imitare Maria Santissima per diventare ciò che Dio desidera, ossia santi. Infatti, come giustamente annota il nostro autore, Maria e la Chiesa, pur condividendo gli stessi tratti ed in un certo senso, la stessa vocazione, sono in un rapporto asimmetrico: Maria è il modello perfetto, la Chiesa è una copia imperfetta, Maria è la luce, la Chiesa è il riflesso. A conclusione di queste brevi riflessioni, ci pare di ascoltare l’impeto inarrestabile del cardinal Alimonda che così esorta i fedeli di ogni tempo: «Che tenera e eccelsa cosa servire a Maria! Servire a Lei, è inchinarsi alla creatura più bella che Dio abbia spirato mai dalla sua bocca nei rapimenti della carità. Inchinarsi a Lei, è regnare».

Don Bosco era imperturbabile in mezzo al mondo perché si era tutto gettato in braccio a Dio (Gaetano Alimonda).

L’amicizia tra il cardinale Alimonda e don Bosco si spiega per il grande amore che entrambi portavano al Papa e che indusse quell’esimio prela-

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Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net

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maria nei secoli

Gaetano Alimonda

mariologo e amico di don Bosco Fu Arcivescovo di Torino, grande amico di don Bosco ed un insigne mariologo, devotissimo di Maria. Ha molto parlato e scritto di Lei, presentandola, con argomenti solidi, soprattutto come “tipo della Chiesa”, da amare e imitare. to torinese a lavorare per la riconciliazione tra lo Stato italiano e la Santa Sede dopo i tristi eventi del Risorgimento e dell’occupazione di Roma. L’affinità spirituale tra i due amici si spiega anche per un secondo motivo: entrambi erano devotissimi della Madonna. Il cardinale Alimonda, uomo colto e pastore zelante, amante della pace e della concordia, fu un fecondo scrittore. Uno dei suoi primi libri dati alle stampe fu composto due anni dopo la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, avvenuto nel 1854. In questa verità della fede cattolica, secondo la quale la Madonna è stata esentata dal peccato originale sin dal suo concepimento, egli ravvisa persino «un principio di ristorazione nell’odierna società civile». Quest’affermazione è pienamente comprensibile, se si pensa che nel secolo XIX, come nel nostro, profonde trasformazioni culturali e sociali, avevano reso gli uomini più egoisti e violenti. Solo la Grazia di Dio, che ha operato un capolavoro eccellente nell’Immacolata Concezione di Maria, può cambiare il cuore degli uomini e renderlo più puro, generoso e mite.

Ai lettori di Rivista Maria Ausiliatrice risulterà gradito il nome di Gaetano Alimonda, un grande ammiratore di don Bosco. Arcivescovo di Torino, circondò don Bosco di stima e di affetto. Durante l’ultima malattia di don Bosco, si teneva costantemente informato e più volte si recò a visitarlo. In occasione della Messa di trigesima, tenne un discorso ufficiale per onorare don Bosco che definì «amico, benefattore, padre» e di cui volle tessere l’elogio dimostrando che il nostro Santo aveva divinizzato la pedagogia del secolo XIX.

Entrambi amici e devoti di Maria

Maria e la Chiesa, due Ancelle dell’Altissimo, due Sorelle innamorate, due Consorti di Cristo, due novelle Madri del genere umano (Gaetano Alimonda).

Maria vista come “tipo della Chiesa” Il cardinale Alimonda fu soprattutto un grande oratore e nelle sue prediche e conferenze, seguite sempre con grande attenzione dagli ascoltatori, volentieri parlava dei privilegi di Maria Santissima. In uno dei suoi discorsi, Maria tipo della Chiesa, come un vero ed eccellente teologo, sviluppa un principio formulato da sant’Agostino, secondo il quale «Maria mostrò in sé la figura della santa Chiesa». Gli argomenti che egli propone, desunti dalla Sacra Scrittura e dall’insegnamento dei dottori ecclesiastici, sono molto convincenti: entrambe, Maria e la Chiesa, sono creature di Dio, entrambe sono immacolate, entrambe sono state generate dalla croce, entrambe vergini, entrambe spose, entrambe madri, entrambe mezzi di salvezza per l’umanità. Vale la pena approfondire almeno uno dei punti trattati da questo insigne mariologo: Maria e la Chiesa sono entrambe unite nelle umiliazioni e nei trionfi. Maria è umiliata nella povertà di Betlemme, nella fuga precipitosa in Egitto, nei dolori del Calvario. Eppure, trionfa nella luce splendida che l’avvolse nella notte in cui Gesù nacque,

nell’omaggio reso dai Magi, nella gioia del primo miracolo di Cana, ottenuto per sua intercessione, nel raccogliere la Chiesa nascente attorno a sé nel Cenacolo. Ugualmente, la Chiesa subisce le umiliazioni delle persecuzioni dei suoi avversari, oggi particolarmente virulente, e del peccato dei suoi figli, soprattutto di anime consacrate. Eppure, la Chiesa trionfa nella santità dei suoi membri, quasi tutti nascosti al mondo e ai media, nella purezza della dottrina che insegna, nella vita soprannaturale che comunica con i Sacramenti. Prosegue il suo pellegrinaggio sulla terra in attesa della gloria finale e definitiva del ritorno di Cristo, quando la Chiesa condividerà pienamente con Maria il gaudio del Paradiso, ove Ella è Regina. Dall’enunciazione del principio, Maria tipo della Chiesa, il cardinale Alimonda trae delle applicazioni per la vita dei fedeli. Anzitutto, l’amore per la Chiesa e per Maria: come essere devoti di questa senza sentirsi figli di quella? La seconda applicazione è l’impegno da parte dei singoli fedeli e della Chiesa nel suo insieme di imitare Maria Santissima per diventare ciò che Dio desidera, ossia santi. Infatti, come giustamente annota il nostro autore, Maria e la Chiesa, pur condividendo gli stessi tratti ed in un certo senso, la stessa vocazione, sono in un rapporto asimmetrico: Maria è il modello perfetto, la Chiesa è una copia imperfetta, Maria è la luce, la Chiesa è il riflesso. A conclusione di queste brevi riflessioni, ci pare di ascoltare l’impeto inarrestabile del cardinal Alimonda che così esorta i fedeli di ogni tempo: «Che tenera e eccelsa cosa servire a Maria! Servire a Lei, è inchinarsi alla creatura più bella che Dio abbia spirato mai dalla sua bocca nei rapimenti della carità. Inchinarsi a Lei, è regnare».

Don Bosco era imperturbabile in mezzo al mondo perché si era tutto gettato in braccio a Dio (Gaetano Alimonda).

L’amicizia tra il cardinale Alimonda e don Bosco si spiega per il grande amore che entrambi portavano al Papa e che indusse quell’esimio prela-

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Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

maria nei secoli

Papa Francesco e la devozione a“Maria che scioglie i nodi” Nessun groviglio è senza uscita! Papa Francesco, sicuramente, passerà alla storia come il “Papa delle sorprese”. Ha sorpreso la sua veloce elezione, al di là di tutti i pronostici, alla quarta votazione del Conclave; la scelta del nome, nel richiamo di San Francesco di Assisi, umile e povero, ed il «Buonasera», primo saluto dalla Loggia di san Pietro. È stata una grande sorpresa la richiesta della preghiera silenziosa dei fedeli ad invocare la benedizione del Signore su di lui, prima di benedire a sua volta i fedeli. E gradita sorpresa è stata la sua prima visita, la mattina dopo l’elezione, alla Basilica di santa Maria Maggiore, per offrire alla Madonna l’omaggio del “mazzetto di fiori” e porre sotto la sua protezione l’inizio del ministero di Vescovo di Roma. Continua a sorprendere la cordialità con cui incontra la gente, i bambini, gli anziani e tutte le persone umili; l’insistenza nell’annunciare la bontà e la misericordia di Dio «sempre pronto a perdonare le nostre debolezze e ad accoglierci!», nell’esortare ad avere fiducia, a non perdere mai la speranza! Per comprendere pienamente la tenerezza e la misericordia che caratterizzano lo stile di Papa Francesco dobbiamo tener presente anche la sua de-

vozione alla Madre di Dio che egli ama venerare ed invocare con il titolo di Colei che scioglie i nodi. Anche questa sua particolare devozione mariana è una sorpresa! È poco conosciuta qui da noi, ma è molto viva nel sud America, ed in particolare in Argentina, proprio per opera dell’Arcivescovo Bergoglio. Giovane studente in Germania, negli anni ottanta, padre Bergoglio conosce questa devozione alla Madonna, presente nella chiesa di San Peter in Perlach, tenuta dai Gesuiti, nella città di Augsburg, dove è venerata l’immagine di Maria Knotenlöserin (che scioglie i nodi). Tornato in Argentina egli inizia a divulgarne questa devozione che incontra grande simpatia nel popolo. Divenuto poi vescovo ausiliare di Buenos Aires, si adopera perché le venga dedicato un santuario, e l’8 dicembre 1996, nella chiesa Porteña di San José del Talar, Nuestra Señora la que Desata los Nudos, una riproduzione dell’Immagine viene intronizzata alla presenza di migliaia di fedeli.

desco Johann Melchior Schmidtner (1625-1705); rappresenta la Vergine Immacolata che schiaccia la testa del serpente, mentre è intenta a sciogliere, con le sue mani, i nodi di un nastro aggrovigliato che un angelo le porge da un lato, mentre dall’altro lato, un secondo angelo mostra, con sguardo sorridente, il nastro ormai liscio: i nodi sono stati sciolti per intercessione di Maria. L’Immagine ed il gesto di Maria sono ricchi di significati allegorici che rimandano alle parole di Sant’Ireneo, riportate nella Costituzione conciliare sulla Chiesa Lumen Gentium: «Eva con la sua disobbedienza fece il nodo della disgrazia per il genere umano, Maria invece, con la sua obbedienza, lo ha sciolto». Maria è presente in ogni tempo come Colei che scioglie i nodi delle nostre colpe e dei nostri mali. Monsignor Bergoglio ha più volte commentato così il significato dell’Immagine: «Tutti abbiamo nodi nel cuore, abbiamo delle mancanze, e attraversiamo difficoltà. Il nostro Padre buono, che distribuisce la grazia a tutti i suoi figli, vuole che noi

ci fidiamo di Maria, che Le affidiamo i nodi dei nostri mali, i grovigli delle nostre miserie che ci impediscono di unirci a Dio, affinché Lei li sciolga e ci avvicini a suo figlio Gesù». Così recita la preghiera rivolta a Maria che scioglie i nodi diffusa dall’allora Arcivescovo di Buenos Aires: «Il maligno mai fu capace di imbrogliarti con le sue confusioni... Intercedendo insieme a tuo Figlio per le nostre difficoltà, con tutta semplicità e pazienza ci desti un esempio di come dipanare la matassa delle nostre vite». Dobbiamo pregare la Vergine che scioglie i nodi per Papa Francesco affinché lo custodisca, lo illumini nello sciogliere i tanti nodi che incontrerà nel suo ministero, e lo sostenga con la sua materna sollecitudine nel compito che gli è stato affidato. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net

Santa Maria, piena della Presenza di Dio, durante i giorni della tua vita accettasti con tutta umiltà la volontà del Padre, e il Maligno mai fu capace di imbrogliarti con le sue confusioni. Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tu che con cuore materno sciogli i nodi che stringono la nostra vita, liberaci dai legacci e dalle confusioni con cui ci tormenta il nostro nemico. Per tua grazia, liberaci da ogni male e sciogli i nodi che impediscono di unirci a Dio affinché, liberi da ogni confusione ed errore, possiamo incontrarlo in tutte le cose, possiamo tenere riposti in Lui i nostri cuori e possiamo servirlo sempre nei nostri fratelli. Amen. Preghiera a Maria che scioglie i nodi diffusa con l’imprimatur dell’allora Aarcivescovo di Buenos Aires mons. Bergoglio.

L’Immagine L’Immagine risale al 1700 ed è opera del pittore te-

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Papa Francesco e la devozione a“Maria che scioglie i nodi” Nessun groviglio è senza uscita! Papa Francesco, sicuramente, passerà alla storia come il “Papa delle sorprese”. Ha sorpreso la sua veloce elezione, al di là di tutti i pronostici, alla quarta votazione del Conclave; la scelta del nome, nel richiamo di San Francesco di Assisi, umile e povero, ed il «Buonasera», primo saluto dalla Loggia di san Pietro. È stata una grande sorpresa la richiesta della preghiera silenziosa dei fedeli ad invocare la benedizione del Signore su di lui, prima di benedire a sua volta i fedeli. E gradita sorpresa è stata la sua prima visita, la mattina dopo l’elezione, alla Basilica di santa Maria Maggiore, per offrire alla Madonna l’omaggio del “mazzetto di fiori” e porre sotto la sua protezione l’inizio del ministero di Vescovo di Roma. Continua a sorprendere la cordialità con cui incontra la gente, i bambini, gli anziani e tutte le persone umili; l’insistenza nell’annunciare la bontà e la misericordia di Dio «sempre pronto a perdonare le nostre debolezze e ad accoglierci!», nell’esortare ad avere fiducia, a non perdere mai la speranza! Per comprendere pienamente la tenerezza e la misericordia che caratterizzano lo stile di Papa Francesco dobbiamo tener presente anche la sua de-

vozione alla Madre di Dio che egli ama venerare ed invocare con il titolo di Colei che scioglie i nodi. Anche questa sua particolare devozione mariana è una sorpresa! È poco conosciuta qui da noi, ma è molto viva nel sud America, ed in particolare in Argentina, proprio per opera dell’Arcivescovo Bergoglio. Giovane studente in Germania, negli anni ottanta, padre Bergoglio conosce questa devozione alla Madonna, presente nella chiesa di San Peter in Perlach, tenuta dai Gesuiti, nella città di Augsburg, dove è venerata l’immagine di Maria Knotenlöserin (che scioglie i nodi). Tornato in Argentina egli inizia a divulgarne questa devozione che incontra grande simpatia nel popolo. Divenuto poi vescovo ausiliare di Buenos Aires, si adopera perché le venga dedicato un santuario, e l’8 dicembre 1996, nella chiesa Porteña di San José del Talar, Nuestra Señora la que Desata los Nudos, una riproduzione dell’Immagine viene intronizzata alla presenza di migliaia di fedeli.

desco Johann Melchior Schmidtner (1625-1705); rappresenta la Vergine Immacolata che schiaccia la testa del serpente, mentre è intenta a sciogliere, con le sue mani, i nodi di un nastro aggrovigliato che un angelo le porge da un lato, mentre dall’altro lato, un secondo angelo mostra, con sguardo sorridente, il nastro ormai liscio: i nodi sono stati sciolti per intercessione di Maria. L’Immagine ed il gesto di Maria sono ricchi di significati allegorici che rimandano alle parole di Sant’Ireneo, riportate nella Costituzione conciliare sulla Chiesa Lumen Gentium: «Eva con la sua disobbedienza fece il nodo della disgrazia per il genere umano, Maria invece, con la sua obbedienza, lo ha sciolto». Maria è presente in ogni tempo come Colei che scioglie i nodi delle nostre colpe e dei nostri mali. Monsignor Bergoglio ha più volte commentato così il significato dell’Immagine: «Tutti abbiamo nodi nel cuore, abbiamo delle mancanze, e attraversiamo difficoltà. Il nostro Padre buono, che distribuisce la grazia a tutti i suoi figli, vuole che noi

ci fidiamo di Maria, che Le affidiamo i nodi dei nostri mali, i grovigli delle nostre miserie che ci impediscono di unirci a Dio, affinché Lei li sciolga e ci avvicini a suo figlio Gesù». Così recita la preghiera rivolta a Maria che scioglie i nodi diffusa dall’allora Arcivescovo di Buenos Aires: «Il maligno mai fu capace di imbrogliarti con le sue confusioni... Intercedendo insieme a tuo Figlio per le nostre difficoltà, con tutta semplicità e pazienza ci desti un esempio di come dipanare la matassa delle nostre vite». Dobbiamo pregare la Vergine che scioglie i nodi per Papa Francesco affinché lo custodisca, lo illumini nello sciogliere i tanti nodi che incontrerà nel suo ministero, e lo sostenga con la sua materna sollecitudine nel compito che gli è stato affidato. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net

Santa Maria, piena della Presenza di Dio, durante i giorni della tua vita accettasti con tutta umiltà la volontà del Padre, e il Maligno mai fu capace di imbrogliarti con le sue confusioni. Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tu che con cuore materno sciogli i nodi che stringono la nostra vita, liberaci dai legacci e dalle confusioni con cui ci tormenta il nostro nemico. Per tua grazia, liberaci da ogni male e sciogli i nodi che impediscono di unirci a Dio affinché, liberi da ogni confusione ed errore, possiamo incontrarlo in tutte le cose, possiamo tenere riposti in Lui i nostri cuori e possiamo servirlo sempre nei nostri fratelli. Amen. Preghiera a Maria che scioglie i nodi diffusa con l’imprimatur dell’allora Aarcivescovo di Buenos Aires mons. Bergoglio.

L’Immagine L’Immagine risale al 1700 ed è opera del pittore te-

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maria nei secoli

Madonna del popolo di Lippo Memmi A Siena, nella chiesa dei Servi di Maria, è conservata questa splendida tavola fondo oro che è uno dei raggiungimenti formali più alti e raffinati del pittore senese Lippo Memmi. Non è di grandi dimensioni (cm. 78x51), ma è un impareggiabile condensato di tenerezza materna e di finezza esecutiva. Raffigura una classica Madonna con Bambino che nella religiosità senese ha assunto l’appellativo di Madonna del Popolo, ossia la Madonna che viene costantemente in aiuto al popolo senese. Per questo è conservata al centro di un’ampia tela realizzata agli inizi del Cinquecento dal pittore Astolfo Petrazzi che rappresenta la protezione della Vergine durante una pestilenza.

Maria: dolce e vigile La Vergine Maria, posta quasi di tre quarti, con le spalle e il capo coperto da un manto blu, bordato con un ricamo d’oro, dove si legge una scritta desunta della preghiera mariana dell’Ave Maria, però incompleta a causa del ripiegarsi della stoffa. Sulla spalla destra il pittore ha raffigurato una stella d’oro simbolo della verginità di Maria. Dal manto, sul capo e sul collo, emerge una sciarpa candida, e sotto si intravvede il rosso dell’abito che fa la sua compar-

Siena, Chiesa dei Servi di Maria.

sa anche al termine delle maniche. Lo sguardo di Maria è dolce pur essendo vigile e segnato da una leggera nota di malinconica tristezza. Le mani affusolate sorreggono il piccolo Gesù, rivestito da una tunica rossa, impreziosita da ricami d’oro. È seduto frontalmente quasi che le mani della Madre formino un sedile o un trono. Tiene nella mano sinistra un cardellino e con la destra un rotolo, semisvolto con le parole: «Ego sum Via Veritas...», non è visibile l’ultima parte del testo «Et Vita». Il cardellino, nell’iconografia cristiana, è un riferimento alla passione di Gesù, per via di una leggenda che narra di un cardellino che si macchiò il capo del sangue di Gesù mentre cercava di estrarre le spine dalla sua fronte. Il sembiante del piccolo è serio, quasi imbronciato; forse, e il cardellino lo dimostra, è già consapevole della sorte dolorosa che lo attende. La cornice che racchiude l’immagine è originale e il fondo oro offre la possibilità di far emergere, come una preziosa filigrana, le incisioni delle due aureole e il bordo estremo della parte liscia. Questi segni, lasciati con punzoni a stampino, erano tipici di ogni bottega e, sovente, sono risolutivi per l’attribuzione di una tavola a fondo oro.

L’opera, firmata dal pittore (sul bordo inferiore della cornice possiamo leggere «Lippus Memi [me] pinxit»), è stata realizzata tra il 1325-1330 per la chiesa senese di Santa Maria dei Servi. Lippo Memmi era nato a Siena nel nono decennio del Duecento e si formò nella bottega del padre che lavorava per il comune di San Gimignano. La sua prima opera datata (1317) è la Madonna in Maestà per il palazzo pubblico di San Gimignano; il grande affresco (cm. 435 x 875) occupa un’intera parete della sala del Consiglio. L’iconografia si rifà alla Maestà, dipinta pochi anni prima da Simone Martini per il Palazzo Pubblico senese. Lippo semplifica con intelligenza l’opera di Simone troppo complessa e di non facile lettura. Lavorò poi per il duomo di Orvieto dove dipinse una straordinaria Madonna della Misericordia (detta Madonna dei Raccomandati). Nel 1333, con Simone Martini, divenuto suo cognato, dipinse uno dei capolavori assoluti del gotico

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La prima opera del pittore: la Madonna in Maestà

internazionale: l’Annunciazione, conservata nella Galleria fiorentina degli Uffizi. Di recente sono state attribuite a lui e alla sua bottega, le storie del Nuovo Testamento, affrescate sulla parete della navata destra della Collegiata di San Gimignano. Un tempo questo importante testo pittorico era assegnato ad un fantomatico pittore senese, un certo Barna, sulla scorta di affermazioni di Lorenzo Ghiberti e di Giorgio Vasari. Lippo, con il fratello Federico, seguì ad Avignone il cognato Simone Martini. La città era allora sede del papato e non potevano certo mancare commissioni prestigiose oltre che lucrose. Si ricorda un’opera sua nella chiesa dei francescani di quella città, databile al 1347. Non si conosce il periodo di permanenza del pittore in quella città papale, ma nel novembre del 1347 è già ricordato a Siena. Eseguì in patria diverse altre opere, fino alla morte avvenuta nel 1356. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net


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maria nei secoli

Madonna del popolo di Lippo Memmi A Siena, nella chiesa dei Servi di Maria, è conservata questa splendida tavola fondo oro che è uno dei raggiungimenti formali più alti e raffinati del pittore senese Lippo Memmi. Non è di grandi dimensioni (cm. 78x51), ma è un impareggiabile condensato di tenerezza materna e di finezza esecutiva. Raffigura una classica Madonna con Bambino che nella religiosità senese ha assunto l’appellativo di Madonna del Popolo, ossia la Madonna che viene costantemente in aiuto al popolo senese. Per questo è conservata al centro di un’ampia tela realizzata agli inizi del Cinquecento dal pittore Astolfo Petrazzi che rappresenta la protezione della Vergine durante una pestilenza.

Maria: dolce e vigile La Vergine Maria, posta quasi di tre quarti, con le spalle e il capo coperto da un manto blu, bordato con un ricamo d’oro, dove si legge una scritta desunta della preghiera mariana dell’Ave Maria, però incompleta a causa del ripiegarsi della stoffa. Sulla spalla destra il pittore ha raffigurato una stella d’oro simbolo della verginità di Maria. Dal manto, sul capo e sul collo, emerge una sciarpa candida, e sotto si intravvede il rosso dell’abito che fa la sua compar-

Siena, Chiesa dei Servi di Maria.

sa anche al termine delle maniche. Lo sguardo di Maria è dolce pur essendo vigile e segnato da una leggera nota di malinconica tristezza. Le mani affusolate sorreggono il piccolo Gesù, rivestito da una tunica rossa, impreziosita da ricami d’oro. È seduto frontalmente quasi che le mani della Madre formino un sedile o un trono. Tiene nella mano sinistra un cardellino e con la destra un rotolo, semisvolto con le parole: «Ego sum Via Veritas...», non è visibile l’ultima parte del testo «Et Vita». Il cardellino, nell’iconografia cristiana, è un riferimento alla passione di Gesù, per via di una leggenda che narra di un cardellino che si macchiò il capo del sangue di Gesù mentre cercava di estrarre le spine dalla sua fronte. Il sembiante del piccolo è serio, quasi imbronciato; forse, e il cardellino lo dimostra, è già consapevole della sorte dolorosa che lo attende. La cornice che racchiude l’immagine è originale e il fondo oro offre la possibilità di far emergere, come una preziosa filigrana, le incisioni delle due aureole e il bordo estremo della parte liscia. Questi segni, lasciati con punzoni a stampino, erano tipici di ogni bottega e, sovente, sono risolutivi per l’attribuzione di una tavola a fondo oro.

L’opera, firmata dal pittore (sul bordo inferiore della cornice possiamo leggere «Lippus Memi [me] pinxit»), è stata realizzata tra il 1325-1330 per la chiesa senese di Santa Maria dei Servi. Lippo Memmi era nato a Siena nel nono decennio del Duecento e si formò nella bottega del padre che lavorava per il comune di San Gimignano. La sua prima opera datata (1317) è la Madonna in Maestà per il palazzo pubblico di San Gimignano; il grande affresco (cm. 435 x 875) occupa un’intera parete della sala del Consiglio. L’iconografia si rifà alla Maestà, dipinta pochi anni prima da Simone Martini per il Palazzo Pubblico senese. Lippo semplifica con intelligenza l’opera di Simone troppo complessa e di non facile lettura. Lavorò poi per il duomo di Orvieto dove dipinse una straordinaria Madonna della Misericordia (detta Madonna dei Raccomandati). Nel 1333, con Simone Martini, divenuto suo cognato, dipinse uno dei capolavori assoluti del gotico

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La prima opera del pittore: la Madonna in Maestà

internazionale: l’Annunciazione, conservata nella Galleria fiorentina degli Uffizi. Di recente sono state attribuite a lui e alla sua bottega, le storie del Nuovo Testamento, affrescate sulla parete della navata destra della Collegiata di San Gimignano. Un tempo questo importante testo pittorico era assegnato ad un fantomatico pittore senese, un certo Barna, sulla scorta di affermazioni di Lorenzo Ghiberti e di Giorgio Vasari. Lippo, con il fratello Federico, seguì ad Avignone il cognato Simone Martini. La città era allora sede del papato e non potevano certo mancare commissioni prestigiose oltre che lucrose. Si ricorda un’opera sua nella chiesa dei francescani di quella città, databile al 1347. Non si conosce il periodo di permanenza del pittore in quella città papale, ma nel novembre del 1347 è già ricordato a Siena. Eseguì in patria diverse altre opere, fino alla morte avvenuta nel 1356. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

CHIESA VIVA

Guerra scaccia guerra Un po’ più di dieci anni fa nomi come Bassora, Ramadi o Baghdad erano noti al mondo intero che, incollato agli schermi, passava le notti a guardare le immagini di quelle città illuminate a giorno dalle bombe che per magia avrebbero dovuto portare la democrazia in Iraq. Ora, forse, quel mondo a stento sa citare Baghdad come capitale di quel paese. Niente di strano, succede sempre così. Ad una guerra ne succede un’altra, e un’altra ancora. E ci si convince, ci si vuole convincere, che se la Tv non ne parla è perché quella guerra è finita, quel paese è in pace. Baghdad come Ginevra. Non è così. In Iraq la guerra non è mai finita e forse non finirà mai, perché non si intravede soluzione pacifica al conflitto tra gli sciiti che ai tempi di Saddam Hussein soffrirono pene indicibili e che ora, forti della maggioranza numerica, governano il paese, i sunniti che reclamano il potere perso con la caduta del regime, ed i curdi che vorrebbero l’autonomia ma che vivono su territori troppo ricchi di petrolio perché il governo centrale gliela conceda. Sono queste le tre tessere giganti del puzzle iracheno che non hanno lati in comune che le facciano combaciare. Ed accanto ce ne sono altre, più piccole, ma anch’esse parte dell’immagine generale. Sono le minoranze religiose non musulmane che rischiano di scomparire giorno dopo giorno, silenziosamente: sono Yazidi, Mandei e Cristiani.

cristiani cui non sarebbe mai concesso di detenerlo in terra islamica. Perché, allora? Perché in uno stato senza controllo i cristiani sono l’anello debole della catena: pochi, disarmati, privi di struttura tribale di protezione, percepiti come alleati naturali dei nemici occidentali cristiani e nei casi peggiori come infedeli da scacciare. In questo clima in cui si sentono sempre più “stranieri in patria” gli iracheni cristiani hanno scelto la fuga, anelata, con poche eccezioni, anche da coloro che vivono nella relativa sicurezza nel nord curdo.

I cristiani fuggono, la Chiesa li vuole fermare

Cristiani antichi, non di importazione Il cristianesimo in Iraq non è arrivato al seguito delle truppe di questa o quell’armata che nei secoli lo hanno invaso perché fu proprio nell’antica Mesopotamia che san Tommaso Apostolo con i suoi discepoli Addai e Mari predicò la Parola di Cristo convertendo le genti. Da allora i cristiani, se non per brevi periodi e malgrado abbiano contribuito allo sviluppo dell’Iraq soprattutto dal punto di vista culturale, hanno vissuto, pregato e sofferto in quel territorio difendendo la loro fede e chiamandosi martiri. Mai come ora però la loro sopravvivenza nella terra ancestrale è stata a rischio. Malgrado manchino stime ufficiali si dice che del milione e mezzo

Prima comunione nella chiesa caldea di Mar Eliya a Baghdad e bimbi con vestiti tradizionali

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Il Patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, ha più volte dichiarato come in Iraq siano rimasti solo i cristiani poveri che non hanno avuto la possibilità di fuggire, ammettendo in questo modo una scomoda verità per la Chiesa: i fedeli, per quanto profondamente religiosi ed attaccati alle proprie radici non vedono più nell’Iraq un paese in cui far vivere i propri figli perché sanno che non solo subiranno discriminazioni ma saranno sempre a rischio. Un contesto, questo, che oppone quindi i laici che vorrebbero fuggire in nome della sicurezza, e la Chiesa che vorrebbe trattenerli in nome della tradizione; chi pensa che il futuro val bene una diaspora, e chi ricorda loro la tradizione del martirio della chiesa mesopotamica. C’è una soluzione? Se il tempo o una diversa situazione politica faranno dell’Iraq quel paese normale che noi pensiamo già sia sì. Gli iracheni cristiani che adesso qui risiedono vi rimarranno, qualcun altro vi tornerà, e le radici della nostra fede saranno salve laddove fiorirono molto, molto tempo fa. Per adesso ciò che noi possiamo fare è non dimenticarli. Non consegnare all’oblio le loro sofferenze. Sono vittime innocenti che noi, da cristiani, chiamiamo fratelli. Ed i fratelli, anche se lontani, si ricordano.

di cristiani che vivevano in Iraq nel 2003 ne siano rimasti solo 300.000: il 20%. Sono cattolici, ortodossi, anglicani o appartenenti a chiese autocefale locali che il mondo, al pari delle bombe anti-Saddam, ha dimenticato. Cosa ricordiamo degli anni in cui in Iraq i cristiani, compresi sacerdoti e vescovi, venivano sequestrati ed uccisi? E delle famiglie costrette alla fuga verso l’estero o verso il Kurdistan autonomo dalle minacce di morte quotidiane? E della strage all’ora della Messa nella cattedrale di Baghdad che ha causato nell’ottobre del 2010 decine di morti? Quasi nulla. Le violenze che i cristiani hanno subito negli ultimi 10 anni non sono obbiettivamente peggiori di quelle subite dai musulmani, ma sono diverse. Se i musulmani lottano per il potere non è così per i

Luigia Storti redazione.rivista@ausiliatrice.net

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CHIESA VIVA

Guerra scaccia guerra Un po’ più di dieci anni fa nomi come Bassora, Ramadi o Baghdad erano noti al mondo intero che, incollato agli schermi, passava le notti a guardare le immagini di quelle città illuminate a giorno dalle bombe che per magia avrebbero dovuto portare la democrazia in Iraq. Ora, forse, quel mondo a stento sa citare Baghdad come capitale di quel paese. Niente di strano, succede sempre così. Ad una guerra ne succede un’altra, e un’altra ancora. E ci si convince, ci si vuole convincere, che se la Tv non ne parla è perché quella guerra è finita, quel paese è in pace. Baghdad come Ginevra. Non è così. In Iraq la guerra non è mai finita e forse non finirà mai, perché non si intravede soluzione pacifica al conflitto tra gli sciiti che ai tempi di Saddam Hussein soffrirono pene indicibili e che ora, forti della maggioranza numerica, governano il paese, i sunniti che reclamano il potere perso con la caduta del regime, ed i curdi che vorrebbero l’autonomia ma che vivono su territori troppo ricchi di petrolio perché il governo centrale gliela conceda. Sono queste le tre tessere giganti del puzzle iracheno che non hanno lati in comune che le facciano combaciare. Ed accanto ce ne sono altre, più piccole, ma anch’esse parte dell’immagine generale. Sono le minoranze religiose non musulmane che rischiano di scomparire giorno dopo giorno, silenziosamente: sono Yazidi, Mandei e Cristiani.

cristiani cui non sarebbe mai concesso di detenerlo in terra islamica. Perché, allora? Perché in uno stato senza controllo i cristiani sono l’anello debole della catena: pochi, disarmati, privi di struttura tribale di protezione, percepiti come alleati naturali dei nemici occidentali cristiani e nei casi peggiori come infedeli da scacciare. In questo clima in cui si sentono sempre più “stranieri in patria” gli iracheni cristiani hanno scelto la fuga, anelata, con poche eccezioni, anche da coloro che vivono nella relativa sicurezza nel nord curdo.

I cristiani fuggono, la Chiesa li vuole fermare

Cristiani antichi, non di importazione Il cristianesimo in Iraq non è arrivato al seguito delle truppe di questa o quell’armata che nei secoli lo hanno invaso perché fu proprio nell’antica Mesopotamia che san Tommaso Apostolo con i suoi discepoli Addai e Mari predicò la Parola di Cristo convertendo le genti. Da allora i cristiani, se non per brevi periodi e malgrado abbiano contribuito allo sviluppo dell’Iraq soprattutto dal punto di vista culturale, hanno vissuto, pregato e sofferto in quel territorio difendendo la loro fede e chiamandosi martiri. Mai come ora però la loro sopravvivenza nella terra ancestrale è stata a rischio. Malgrado manchino stime ufficiali si dice che del milione e mezzo

Prima comunione nella chiesa caldea di Mar Eliya a Baghdad e bimbi con vestiti tradizionali

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Il Patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, ha più volte dichiarato come in Iraq siano rimasti solo i cristiani poveri che non hanno avuto la possibilità di fuggire, ammettendo in questo modo una scomoda verità per la Chiesa: i fedeli, per quanto profondamente religiosi ed attaccati alle proprie radici non vedono più nell’Iraq un paese in cui far vivere i propri figli perché sanno che non solo subiranno discriminazioni ma saranno sempre a rischio. Un contesto, questo, che oppone quindi i laici che vorrebbero fuggire in nome della sicurezza, e la Chiesa che vorrebbe trattenerli in nome della tradizione; chi pensa che il futuro val bene una diaspora, e chi ricorda loro la tradizione del martirio della chiesa mesopotamica. C’è una soluzione? Se il tempo o una diversa situazione politica faranno dell’Iraq quel paese normale che noi pensiamo già sia sì. Gli iracheni cristiani che adesso qui risiedono vi rimarranno, qualcun altro vi tornerà, e le radici della nostra fede saranno salve laddove fiorirono molto, molto tempo fa. Per adesso ciò che noi possiamo fare è non dimenticarli. Non consegnare all’oblio le loro sofferenze. Sono vittime innocenti che noi, da cristiani, chiamiamo fratelli. Ed i fratelli, anche se lontani, si ricordano.

di cristiani che vivevano in Iraq nel 2003 ne siano rimasti solo 300.000: il 20%. Sono cattolici, ortodossi, anglicani o appartenenti a chiese autocefale locali che il mondo, al pari delle bombe anti-Saddam, ha dimenticato. Cosa ricordiamo degli anni in cui in Iraq i cristiani, compresi sacerdoti e vescovi, venivano sequestrati ed uccisi? E delle famiglie costrette alla fuga verso l’estero o verso il Kurdistan autonomo dalle minacce di morte quotidiane? E della strage all’ora della Messa nella cattedrale di Baghdad che ha causato nell’ottobre del 2010 decine di morti? Quasi nulla. Le violenze che i cristiani hanno subito negli ultimi 10 anni non sono obbiettivamente peggiori di quelle subite dai musulmani, ma sono diverse. Se i musulmani lottano per il potere non è così per i

Luigia Storti redazione.rivista@ausiliatrice.net

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CHIESA VIVA

Il futuro che ci resta È con preoccupazione che dovremmo guardare ai gesti umili e profetici di Francesco. Perché, se bisogna che sia il Papa a ricordare al mondo – ma soprattutto all’Europa – le realtà fondamentali della nostra vita sociale e del nostro “progresso civile”, i suoi richiami suonano come un avvertimento sinistro. Aver perso completamente di vista il significato della vita, non considerare l’accoglienza come un valore e una risorsa ci obbliga a un’altra domanda: qual è il futuro che ci resta? È davvero questo il punto in cui l’Occidente ha lasciato portare il proprio benessere? Il divenire sordi e ciechi per una “vecchiaia sociale” che non solo non sappiamo combattere ma neppure riconoscere? Sordi e ciechi non è solo un modo di dire, un espediente retorico. È una realtà sotto un du-

plice profilo, economico-politico, e mediatico.

Lampedusa come Berlino Economico e politico perché la provocazione di Francesco va a toccare un nodo che è al centro stesso dell’esistenza dell’Europa: il benessere, il progresso, la democrazia, le libertà individuali, la scuola e la sanità hanno un risvolto oscuro, un “prezzo” sociale che da Lampedusa si vede benissimo ma che facciamo finta di considerare lontano e marginale, per niente legato alle “libertà” e ai “diritti” che qualcun altro ha conquistato per noi. Ma questo collegamento c’è, l’Europa è la stessa a Lampedusa e a Berlino, a Roma o – adesso – a Zagabria. Quell’Unione che rappresenta la realizzazione di un sogno di portata

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davvero storica, una costruzione politica mai vista nel passato, se vuole essere autentica – e durare – deve essere all’altezza dei valori che predica. Scrive John Le Carré: «A volte penso che la cosa più volgare della Guerra fredda sia stato il modo in cui imparammo a trangugiare la nostra propaganda (...) Nascondevamo le cose che ci mettevano dalla parte della ragione. Il nostro rispetto per l’individuo, il nostro amore per la diversità delle opinioni e per la discussione, la nostra convinzione che si può governare in maniera equa solo con il consenso dei governati, la nostra capacità di tener conto dell’altrui parere – soprattutto nei Paesi che sfruttavamo, sin quasi alla morte, per i nostri fini. Nella nostra presunta rettitudine ideologica, sacrificammo la nostra

compassione al gran dio dell’indifferenza. Proteggemmo i forti contro i deboli e perfezionammo l’arte della menzogna pubblica. Ci facemmo nemici riformatori rispettabili e amici i sovrani più disgustosi. Ed era raro che ci soffermassimo a domandarci per quanto tempo ancora avremmo potuto difendere la nostra società con questi mezzi, restando una società degna di essere difesa» (Il visitatore segreto).

Direzione - Redazione - Amministrazione Corso Matteotti 11, 10121 Torino Tel. 011.5621873/545768 Fax 011.549113 giornale@vdp.torino.it

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Rischio indifferenza Sordità politica, e cecità mediatica. Le dirette Tv da Lampedusa sembravano voler continuare a raccontare la “visita papale” con gli stessi criteri collaudati di questi ultimi decenni: appunto come se la Gmg, una beatificazione, la festa in una parrocchia romana, il discorso alle Nazioni Unite siano soltanto variazioni dello stesso immutabile e inesorabile copione. Un canovaccio in cui quasi non serve neanche stare a sentire le parole del Papa ma basta documentare efficacemente le emozioni che egli provoca. Francesco, come i suoi predecessori, è certo consapevole di questa difficoltà, e della necessità di affrontarla per cogliere comunque l’occasione di lanciare un messaggio preciso e forte. Gli altri vescovi nel mondo affrontano, in scala, lo stesso problema e le stesse situazioni. La visita di mons. Nosiglia ai rifugiati che hanno occupato le palazzine Moi a Torino, programmata da tempo e caduta negli stessi giorni del viaggio del papa a Lampedu-

sul tuo iPhone, iPad o Android

Scarica le Applicazioni gratuite

sa, deve confrontarsi con la stessa realtà: quella di una “attenzione della cronaca” che rischia di non restituire il senso pieno dei gesti e delle parole, se sprofonda nell’indifferenza del “troppo di notizie” in cui ormai siamo immersi. Il grande sviluppo delle tecnologie ci mette in condizione di vivere perennemente “connessi”: ma non ci dice nulla sui contenuti che si mettono in circolo. Rischiamo tutti di essere inchiodati nella battuta di Altan: «Boom della comunicazione. Tutti a comunicare che stiamo comunicando»...

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Lampedusa, invece, dice altro e di più. Soprattutto fa suonare un campanello, un segnale di pericolo: non a causa dei “barbari” che ci invaderebbero dal mare ma per noi che siamo qui se non siamo in grado di ritrovare significati più autentici per il nostro vivere civile. Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it


settembre-ottobre 2013

CHIESA VIVA

Il futuro che ci resta È con preoccupazione che dovremmo guardare ai gesti umili e profetici di Francesco. Perché, se bisogna che sia il Papa a ricordare al mondo – ma soprattutto all’Europa – le realtà fondamentali della nostra vita sociale e del nostro “progresso civile”, i suoi richiami suonano come un avvertimento sinistro. Aver perso completamente di vista il significato della vita, non considerare l’accoglienza come un valore e una risorsa ci obbliga a un’altra domanda: qual è il futuro che ci resta? È davvero questo il punto in cui l’Occidente ha lasciato portare il proprio benessere? Il divenire sordi e ciechi per una “vecchiaia sociale” che non solo non sappiamo combattere ma neppure riconoscere? Sordi e ciechi non è solo un modo di dire, un espediente retorico. È una realtà sotto un du-

plice profilo, economico-politico, e mediatico.

Lampedusa come Berlino Economico e politico perché la provocazione di Francesco va a toccare un nodo che è al centro stesso dell’esistenza dell’Europa: il benessere, il progresso, la democrazia, le libertà individuali, la scuola e la sanità hanno un risvolto oscuro, un “prezzo” sociale che da Lampedusa si vede benissimo ma che facciamo finta di considerare lontano e marginale, per niente legato alle “libertà” e ai “diritti” che qualcun altro ha conquistato per noi. Ma questo collegamento c’è, l’Europa è la stessa a Lampedusa e a Berlino, a Roma o – adesso – a Zagabria. Quell’Unione che rappresenta la realizzazione di un sogno di portata

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davvero storica, una costruzione politica mai vista nel passato, se vuole essere autentica – e durare – deve essere all’altezza dei valori che predica. Scrive John Le Carré: «A volte penso che la cosa più volgare della Guerra fredda sia stato il modo in cui imparammo a trangugiare la nostra propaganda (...) Nascondevamo le cose che ci mettevano dalla parte della ragione. Il nostro rispetto per l’individuo, il nostro amore per la diversità delle opinioni e per la discussione, la nostra convinzione che si può governare in maniera equa solo con il consenso dei governati, la nostra capacità di tener conto dell’altrui parere – soprattutto nei Paesi che sfruttavamo, sin quasi alla morte, per i nostri fini. Nella nostra presunta rettitudine ideologica, sacrificammo la nostra

compassione al gran dio dell’indifferenza. Proteggemmo i forti contro i deboli e perfezionammo l’arte della menzogna pubblica. Ci facemmo nemici riformatori rispettabili e amici i sovrani più disgustosi. Ed era raro che ci soffermassimo a domandarci per quanto tempo ancora avremmo potuto difendere la nostra società con questi mezzi, restando una società degna di essere difesa» (Il visitatore segreto).

Direzione - Redazione - Amministrazione Corso Matteotti 11, 10121 Torino Tel. 011.5621873/545768 Fax 011.549113 giornale@vdp.torino.it

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Rischio indifferenza Sordità politica, e cecità mediatica. Le dirette Tv da Lampedusa sembravano voler continuare a raccontare la “visita papale” con gli stessi criteri collaudati di questi ultimi decenni: appunto come se la Gmg, una beatificazione, la festa in una parrocchia romana, il discorso alle Nazioni Unite siano soltanto variazioni dello stesso immutabile e inesorabile copione. Un canovaccio in cui quasi non serve neanche stare a sentire le parole del Papa ma basta documentare efficacemente le emozioni che egli provoca. Francesco, come i suoi predecessori, è certo consapevole di questa difficoltà, e della necessità di affrontarla per cogliere comunque l’occasione di lanciare un messaggio preciso e forte. Gli altri vescovi nel mondo affrontano, in scala, lo stesso problema e le stesse situazioni. La visita di mons. Nosiglia ai rifugiati che hanno occupato le palazzine Moi a Torino, programmata da tempo e caduta negli stessi giorni del viaggio del papa a Lampedu-

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sa, deve confrontarsi con la stessa realtà: quella di una “attenzione della cronaca” che rischia di non restituire il senso pieno dei gesti e delle parole, se sprofonda nell’indifferenza del “troppo di notizie” in cui ormai siamo immersi. Il grande sviluppo delle tecnologie ci mette in condizione di vivere perennemente “connessi”: ma non ci dice nulla sui contenuti che si mettono in circolo. Rischiamo tutti di essere inchiodati nella battuta di Altan: «Boom della comunicazione. Tutti a comunicare che stiamo comunicando»...

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Lampedusa, invece, dice altro e di più. Soprattutto fa suonare un campanello, un segnale di pericolo: non a causa dei “barbari” che ci invaderebbero dal mare ma per noi che siamo qui se non siamo in grado di ritrovare significati più autentici per il nostro vivere civile. Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it


settembre-ottobre 2013

CHIESA VIVA

I «recuerdos salesianos» di Papa Francesco In una lunga lettera scritta nel 1990, l’allora padre Jorge Mario Bergoglio S.J. ha raccontato alcuni suoi “ricordi salesiani”. Rivelando vari aspetti inediti – che merita conoscere – della sua affascinante personalità.

1949 - Jorge Mario Bergoglio nella classe 6 B del collegio salesiano “Wilfrid Barón” di Ramos Mejía. a

Come sintesi finale si potrebbe anticipare: “Il nuovo Papa era un ragazzo d’oratorio”. O addirittura, come in questi giorni ha titolato una rivista latino-americana di spiritualità: «Un Papa con cuore salesiano». Quella pubblicazione – Revista de formación permanente, Quito, Enero-marzo 2013, pag. 41-48 – ha proposto ai lettori una lunga lettera scritta nel 1990 dall’allora padre Jorge Mario Bergoglio S.J.. Gliela aveva cortesemente sollecitata lo storico della Congregazione salesiana in Argentina, Cayetano Bruno. Con quella lettera il futuro Papa manteneva la promessa fattagli di raccontare i suoi “ricordi salesiani”: «Mi siedo davanti alla macchina da scrivere e, senza cancellare o correggere, scrivo di getto quanto mi viene in mente». Questi ricordi sono una sorpresa per i salesiani, e più ancora per i tanti che oggi scrivendo sul Papa si limitano a citare la solita frase: «I miei genitori si erano conosciuti a messa, nel 1934, all’oratorio salesiano». C’è molto di più.

li Bergoglio vivevano a Portacomaro, Asti, in una casa agricola sulla collina Bricco Marmorito. Nel 1922 tre di loro emigrano nel nord dell’Argentina, a Paraná, e fanno fortuna. Il quarto fratello nel gennaio 1929 li raggiunge, con moglie e figlio: sono Giovanni il nonno, Rosa la nonna, e Mario il papà del futuro Papa. I ricordi salesiani tracciano il loro profilo. Si soffermano su nonna Rosa, figura eccezionale. Milita nell’Azione Cattolica femminile: «Teneva conferenze da tutte le parti». Sono gli anni del braccio di ferro con i fascisti, una volta «le fecero trovare chiuso il salone dove doveva parlare, e allora tenne la conferenza in strada, salita sopra un tavolo». In Argentina educherà il nipotino, tra l’altro insegnandogli il piemontese. «È la donna che più ha influito sulla mia vita». Soprattutto i ricordi raccontano di papà Mario, giovane ragioniere, contabile. «Papà lavorava alla Banca d’Italia a Torino e ad Asti... Aveva vissuto a Torino la maggior parte del suo tempo, in via Garibaldi e in corso Valdocco. La vicinanza con la Chiesa Salesiana fece sì che egli frequentasse quei padri, di modo che quando venne (in Argentina) era già della famiglia salesiana».

Papà Mario «era già della Famiglia Salesiana» È noto: all’inizio del secolo scorso i quattro fratel-

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A Buenos Aires, quell’oratorio di periferia

parrocchia, risulta che accompagna «padre Carlos Scandroglio nel suo ministero a servizio dei moribondi». Mario nel 1934 conosce Regina Sívori, «a messa nell’oratorio salesiano». È argentina, ma con ascendenze italiane. L’anno dopo padre Pozzoli li unisce in matrimonio, e l’anno successivo gli portano il primo figlio da battezzare. Porteranno poi anche gli altri quattro, ma questo è speciale e viene battezzato il giorno di Natale 1936: si chiama Jorge Mario Bergoglio, ora Papa Francesco.

Proseguono i ricordi: «Papà giunse dall’Italia il 25 gennaio 1929». Mentre è in arrivo anche la disastrosa crisi economica. Con suo padre è a Paraná dove i fratelli Bergoglio hanno costruito un palazzo di quattro piani, uno per ciascun fratello. Ma il momento era sbagliato: la crisi riduce tutti sul lastrico. «Dovettero vendere ogni cosa, perfino la tomba di famiglia». Allora nonno Giovanni scende con i suoi a Buenos Aires, in periferia, e capita nel Barrio Flores, che confina col Barrio Almagro, dove guarda caso c’è quell’oratorio salesiano. Che ci fa un oratorio di don Bosco da quelle parti? C’è da mezzo secolo. Il Santo nel 1875 inviava in Argentina i suoi primi missionari, coltivando bei sogni variopinti: la conversione dei Pellirosse sudamericani. Ma sceglie - per l’ambientazione nel nuovo mondo - di fare i primi passi tra gli emigrati italiani, che a Buenos Aires abbondano. Due anni dopo l’arrivo essi aprono nel Barrio Almagro l’oratorio, la parrocchia, le scuole di arti e mestieri. Poi nell’oratorio nasce una squadra di calcio che andrà per la maggiore, e a tutt’oggi ha già vinto 14 scudetti del campionato argentino. Poi i missionari costruiscono la monumentale basilica dedicata a Maria Ausiliatrice, che sarà la Madonna del futuro Papa. I ricordi raccontano che Mario già nel ’29 prende a frequentare quell’oratorio, e subito stringe amicizia col don. Salesiano ruspante dei cortili, padre Enrique Pozzoli è pronto a dare l’anima per i suoi ragazzi. E prende l’iniziativa che salva i Bergoglio: «Li presentò a una persona che facilitò un prestito di 2.000 pesos, con i quali i miei nonni comprarono un negozio nel Barrio Flores». E «papà - che era stato ragioniere della Banca d’Italia – con una cesta sotto il braccio si mise a fare la distribuzione delle merci a domicilio». Come un garzone. Ma ora, in fondo al tunnel intravedono la luce. Dai ricordi Mario risulta un tipo sportivo, gioca a pallacanestro, e tra qualche anno a vedere le sue partite ci saranno i suoi primi figli. È impegnato in

Ma hanno il cuore all’oratorio I Bergoglio risultano di fede granitica. Nonna Rosa, quella dell’Azione Cattolica, ogni giorno quando Jorge Mario è piccolo lo porta in casa sua e gli insegna, oltre alla lingua di Gianduja, la propria fede. I Bergoglio frequentano anche la parrocchia del loro quartiere, Barrio Flores, ma hanno il cuore all’oratorio di Almagro. Già per via del pallone: fanno il tifo per la squadra nata nell’oratorio, che ha i colori rosso e azzurro presi a prestito dal vestito dell’Ausiliatrice, e porta il nome del don di allora, padre Lorenzo Massa. Nome scelto dai giocatori: la squadra si chiama San Lorenzo de Almagro anche oggi. Le sue origini sono da favola (ma non c’è spazio per raccontarla). Quanto a Jorge Mario, ne è perdutamente tifoso, da ragazzo e non meno da prete. Da vescovo e Cardinale qualche domenica se può va allo stadio. Nel 2008 la squadra festeggia i cento anni di vita, e sua Eminenza riceve la tessera di socio del centenario. Poi questo tifoso eccezionale diventerà Papa, e la domenica successiva la squadra scende in campo con una maglia speciale che reca in stampa il suo volto. E vince in trasferta... (continua nel prossimo numero) Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net

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CHIESA VIVA

I «recuerdos salesianos» di Papa Francesco In una lunga lettera scritta nel 1990, l’allora padre Jorge Mario Bergoglio S.J. ha raccontato alcuni suoi “ricordi salesiani”. Rivelando vari aspetti inediti – che merita conoscere – della sua affascinante personalità.

1949 - Jorge Mario Bergoglio nella classe 6 B del collegio salesiano “Wilfrid Barón” di Ramos Mejía. a

Come sintesi finale si potrebbe anticipare: “Il nuovo Papa era un ragazzo d’oratorio”. O addirittura, come in questi giorni ha titolato una rivista latino-americana di spiritualità: «Un Papa con cuore salesiano». Quella pubblicazione – Revista de formación permanente, Quito, Enero-marzo 2013, pag. 41-48 – ha proposto ai lettori una lunga lettera scritta nel 1990 dall’allora padre Jorge Mario Bergoglio S.J.. Gliela aveva cortesemente sollecitata lo storico della Congregazione salesiana in Argentina, Cayetano Bruno. Con quella lettera il futuro Papa manteneva la promessa fattagli di raccontare i suoi “ricordi salesiani”: «Mi siedo davanti alla macchina da scrivere e, senza cancellare o correggere, scrivo di getto quanto mi viene in mente». Questi ricordi sono una sorpresa per i salesiani, e più ancora per i tanti che oggi scrivendo sul Papa si limitano a citare la solita frase: «I miei genitori si erano conosciuti a messa, nel 1934, all’oratorio salesiano». C’è molto di più.

li Bergoglio vivevano a Portacomaro, Asti, in una casa agricola sulla collina Bricco Marmorito. Nel 1922 tre di loro emigrano nel nord dell’Argentina, a Paraná, e fanno fortuna. Il quarto fratello nel gennaio 1929 li raggiunge, con moglie e figlio: sono Giovanni il nonno, Rosa la nonna, e Mario il papà del futuro Papa. I ricordi salesiani tracciano il loro profilo. Si soffermano su nonna Rosa, figura eccezionale. Milita nell’Azione Cattolica femminile: «Teneva conferenze da tutte le parti». Sono gli anni del braccio di ferro con i fascisti, una volta «le fecero trovare chiuso il salone dove doveva parlare, e allora tenne la conferenza in strada, salita sopra un tavolo». In Argentina educherà il nipotino, tra l’altro insegnandogli il piemontese. «È la donna che più ha influito sulla mia vita». Soprattutto i ricordi raccontano di papà Mario, giovane ragioniere, contabile. «Papà lavorava alla Banca d’Italia a Torino e ad Asti... Aveva vissuto a Torino la maggior parte del suo tempo, in via Garibaldi e in corso Valdocco. La vicinanza con la Chiesa Salesiana fece sì che egli frequentasse quei padri, di modo che quando venne (in Argentina) era già della famiglia salesiana».

Papà Mario «era già della Famiglia Salesiana» È noto: all’inizio del secolo scorso i quattro fratel-

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A Buenos Aires, quell’oratorio di periferia

parrocchia, risulta che accompagna «padre Carlos Scandroglio nel suo ministero a servizio dei moribondi». Mario nel 1934 conosce Regina Sívori, «a messa nell’oratorio salesiano». È argentina, ma con ascendenze italiane. L’anno dopo padre Pozzoli li unisce in matrimonio, e l’anno successivo gli portano il primo figlio da battezzare. Porteranno poi anche gli altri quattro, ma questo è speciale e viene battezzato il giorno di Natale 1936: si chiama Jorge Mario Bergoglio, ora Papa Francesco.

Proseguono i ricordi: «Papà giunse dall’Italia il 25 gennaio 1929». Mentre è in arrivo anche la disastrosa crisi economica. Con suo padre è a Paraná dove i fratelli Bergoglio hanno costruito un palazzo di quattro piani, uno per ciascun fratello. Ma il momento era sbagliato: la crisi riduce tutti sul lastrico. «Dovettero vendere ogni cosa, perfino la tomba di famiglia». Allora nonno Giovanni scende con i suoi a Buenos Aires, in periferia, e capita nel Barrio Flores, che confina col Barrio Almagro, dove guarda caso c’è quell’oratorio salesiano. Che ci fa un oratorio di don Bosco da quelle parti? C’è da mezzo secolo. Il Santo nel 1875 inviava in Argentina i suoi primi missionari, coltivando bei sogni variopinti: la conversione dei Pellirosse sudamericani. Ma sceglie - per l’ambientazione nel nuovo mondo - di fare i primi passi tra gli emigrati italiani, che a Buenos Aires abbondano. Due anni dopo l’arrivo essi aprono nel Barrio Almagro l’oratorio, la parrocchia, le scuole di arti e mestieri. Poi nell’oratorio nasce una squadra di calcio che andrà per la maggiore, e a tutt’oggi ha già vinto 14 scudetti del campionato argentino. Poi i missionari costruiscono la monumentale basilica dedicata a Maria Ausiliatrice, che sarà la Madonna del futuro Papa. I ricordi raccontano che Mario già nel ’29 prende a frequentare quell’oratorio, e subito stringe amicizia col don. Salesiano ruspante dei cortili, padre Enrique Pozzoli è pronto a dare l’anima per i suoi ragazzi. E prende l’iniziativa che salva i Bergoglio: «Li presentò a una persona che facilitò un prestito di 2.000 pesos, con i quali i miei nonni comprarono un negozio nel Barrio Flores». E «papà - che era stato ragioniere della Banca d’Italia – con una cesta sotto il braccio si mise a fare la distribuzione delle merci a domicilio». Come un garzone. Ma ora, in fondo al tunnel intravedono la luce. Dai ricordi Mario risulta un tipo sportivo, gioca a pallacanestro, e tra qualche anno a vedere le sue partite ci saranno i suoi primi figli. È impegnato in

Ma hanno il cuore all’oratorio I Bergoglio risultano di fede granitica. Nonna Rosa, quella dell’Azione Cattolica, ogni giorno quando Jorge Mario è piccolo lo porta in casa sua e gli insegna, oltre alla lingua di Gianduja, la propria fede. I Bergoglio frequentano anche la parrocchia del loro quartiere, Barrio Flores, ma hanno il cuore all’oratorio di Almagro. Già per via del pallone: fanno il tifo per la squadra nata nell’oratorio, che ha i colori rosso e azzurro presi a prestito dal vestito dell’Ausiliatrice, e porta il nome del don di allora, padre Lorenzo Massa. Nome scelto dai giocatori: la squadra si chiama San Lorenzo de Almagro anche oggi. Le sue origini sono da favola (ma non c’è spazio per raccontarla). Quanto a Jorge Mario, ne è perdutamente tifoso, da ragazzo e non meno da prete. Da vescovo e Cardinale qualche domenica se può va allo stadio. Nel 2008 la squadra festeggia i cento anni di vita, e sua Eminenza riceve la tessera di socio del centenario. Poi questo tifoso eccezionale diventerà Papa, e la domenica successiva la squadra scende in campo con una maglia speciale che reca in stampa il suo volto. E vince in trasferta... (continua nel prossimo numero) Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

CHIESA VIVA

Giovanni XXIII, il “Papa buono” diventa santo La biografia di Domenico Agasso Senior e Junior, in stile semplice, chiaro e avvincente, racconta l’itinerario di un gigante della fede a cinquant’anni dalla scomparsa. Un nonno e un nipote, giornalisti e scrittori, apprezzati autori di opere sulla storia della Chiesa cattolica, su Santi e Beati, su momenti cruciali della millenaria storia del cristianesimo, hanno realizzato la – efficace - biografia del beato e prossimo santo Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII. Essa racchiude, in centosessanta pagine, quel tesoro di spiritualità, umanità e fedeltà a Dio che è stata la parabola umana di Roncalli. Cinquant’anni fa Giovanni XXXIII si spegneva nella pace di Dio, e a distanza di tanti anni la sua figura emerge ancora non solo nella devozione popolare ma come luce per comprendere il messaggio cristiano. Dopo Giovanni XXIII, sulla Cattedra di san Pietro si sono succeduti Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: tutti “uomini suoi”, potremmo dire. Erano difatti già intorno a lui, con funzioni differenti, nel giorno in cui si aprì il Concilio Vaticano

II; e nel mondo ferito dalla violenza hanno poi divulgato – ciascuno con il proprio accento – il grido della sua enciclica Pacem in Terris, per una pace che non sia solamente cessazione dei combattimenti, ma che sorregga e salvi, in tutto il mondo, l’essere umano. Nei loro appelli il mondo percepisce l’eco della sua voce. E scopre l’attualità e la necessità di quei suoi ammonimenti anche nei pericoli e nelle insidie di oggi. La questione di fondo è sempre, come ha detto lui, «salvare l’essere umano».

Domenico Agasso Sr e Domenico Agasso Jr Papa Giovanni XXIII San Paolo 2013 pagine 160, euro 9,90

la formazione ed educazione nell’ambiente di fine Ottocento e poi la scelta vocazionale: il farsi prete per Dio e per gli uomini. Don Angelo Roncalli non era un ingenuo e neppure solo una persona coraggiosa, sapeva affrontare le sfide anche difficili per un uomo che ha attraversato, nella sua esistenza, le tragedie del Novecento: dalle guerre mondiali alla nascita e affermazione dei totalitarismi. Tutti i passaggi fondamentali della sua vita sono descritti dagli autori, in modo semplice, un modo bello e concreto per fare avvicinare le generazioni di oggi, che di don Roncalli divenuto Giovanni XXIII hanno sentito parlare i nonni, oppure hanno letto qualche scarna nota sui manuali scolastici di storia. Leggendo il volume degli Agasso il lettore si immerge invece in una vita bella, di una persona che nelle mille difficoltà si è affidata a Dio, a Gesù come bussola per orientarsi sulle strade del mondo, con lo spirito tipico del pellegrino e del montanaro, seguendo la Stella Polare. Dall’esperienza della guerra, come sergente, alla vita presbiterale e poi di vescovo e in particolare le esperienze diplomatiche come nunzio in tre realtà simbolo del dialogo: la Turchia con l’Islam, la Bulgaria con il mondo ortodosso e la Francia, nel rapporto con la modernità e il pensiero laico, spesso molto lontana da ogni idea di Dio. Quando la sua missione di cristiano autentico

sembrava volgere a una serena testimonianza episcopale, nel magistero patriarcale di Venezia, ecco che nell’autunno del 1958, i pochi cardinali, 55, ispirati dallo Spirito Santo, l’hanno portato a essere eletto vescovo di Roma, pontefice successore di Pio XII.

Cento giorni da Papa: annuncio del nuovo Concilio La sua elezione fu salutata benevolmente, si pensava a un papato di transizione, guidato dall’anziano e saggio Roncalli, malato e non in grado di sopportare un peso così grande per molto tempo. Ma cento giorni dopo la sua elezione, Giovanni XXIII stupì il mondo ad intra e ad extra della Chiesa, annunciando il Concilio ecumenico Vaticano II. Forse solo oggi la Chiesa, il popolo di Dio, l’intera umanità comprende cosa abbia rappresentato il Concilio nella sua dimensione pastorale. Salvaguardando la tradizione, Roncalli aveva inziato a ricucire quella lacerazione che negli ultimi due secoli aveva consumato il rapporto tra la Chiesa e il mondo, la fede e la scienza, la modernità e la dottrina. Di questi complessi passaggi Domenico Agasso Senior e Junior parlano, e lo fanno in modo chiaro, completo e avvincente. Un’ulteriore prova di capacità divulgativa e di profondità di messaggio. Bellissima è la conclusione del saggio che riporta integralmente il famoso Discorso alla luna, pronunciato la sera dell’11 ottobre 1962, al termine della prima giornata del Concilio Vaticano II, che completa un’opera da leggere e rileggere, in famiglia, in parrocchia, nelle comunità cristiane, da nonno a nipote.

Nelle difficoltà si è sempre affidato a Dio Papa Giovanni continua a parlare, lo possiamo tutti ascoltare anche oggi. La semplicità e la profondità del sacerdote bergamasco sono delineate attraverso i gesti, i pensieri, le preghiere e le azioni dell’autore del Giornale dell’Anima: la sua famiglia,

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Luca Rolandi redattore di Vatican Insider-La Stampa twitter: @Rollen66

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CHIESA VIVA

Giovanni XXIII, il “Papa buono” diventa santo La biografia di Domenico Agasso Senior e Junior, in stile semplice, chiaro e avvincente, racconta l’itinerario di un gigante della fede a cinquant’anni dalla scomparsa. Un nonno e un nipote, giornalisti e scrittori, apprezzati autori di opere sulla storia della Chiesa cattolica, su Santi e Beati, su momenti cruciali della millenaria storia del cristianesimo, hanno realizzato la – efficace - biografia del beato e prossimo santo Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII. Essa racchiude, in centosessanta pagine, quel tesoro di spiritualità, umanità e fedeltà a Dio che è stata la parabola umana di Roncalli. Cinquant’anni fa Giovanni XXXIII si spegneva nella pace di Dio, e a distanza di tanti anni la sua figura emerge ancora non solo nella devozione popolare ma come luce per comprendere il messaggio cristiano. Dopo Giovanni XXIII, sulla Cattedra di san Pietro si sono succeduti Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: tutti “uomini suoi”, potremmo dire. Erano difatti già intorno a lui, con funzioni differenti, nel giorno in cui si aprì il Concilio Vaticano

II; e nel mondo ferito dalla violenza hanno poi divulgato – ciascuno con il proprio accento – il grido della sua enciclica Pacem in Terris, per una pace che non sia solamente cessazione dei combattimenti, ma che sorregga e salvi, in tutto il mondo, l’essere umano. Nei loro appelli il mondo percepisce l’eco della sua voce. E scopre l’attualità e la necessità di quei suoi ammonimenti anche nei pericoli e nelle insidie di oggi. La questione di fondo è sempre, come ha detto lui, «salvare l’essere umano».

Domenico Agasso Sr e Domenico Agasso Jr Papa Giovanni XXIII San Paolo 2013 pagine 160, euro 9,90

la formazione ed educazione nell’ambiente di fine Ottocento e poi la scelta vocazionale: il farsi prete per Dio e per gli uomini. Don Angelo Roncalli non era un ingenuo e neppure solo una persona coraggiosa, sapeva affrontare le sfide anche difficili per un uomo che ha attraversato, nella sua esistenza, le tragedie del Novecento: dalle guerre mondiali alla nascita e affermazione dei totalitarismi. Tutti i passaggi fondamentali della sua vita sono descritti dagli autori, in modo semplice, un modo bello e concreto per fare avvicinare le generazioni di oggi, che di don Roncalli divenuto Giovanni XXIII hanno sentito parlare i nonni, oppure hanno letto qualche scarna nota sui manuali scolastici di storia. Leggendo il volume degli Agasso il lettore si immerge invece in una vita bella, di una persona che nelle mille difficoltà si è affidata a Dio, a Gesù come bussola per orientarsi sulle strade del mondo, con lo spirito tipico del pellegrino e del montanaro, seguendo la Stella Polare. Dall’esperienza della guerra, come sergente, alla vita presbiterale e poi di vescovo e in particolare le esperienze diplomatiche come nunzio in tre realtà simbolo del dialogo: la Turchia con l’Islam, la Bulgaria con il mondo ortodosso e la Francia, nel rapporto con la modernità e il pensiero laico, spesso molto lontana da ogni idea di Dio. Quando la sua missione di cristiano autentico

sembrava volgere a una serena testimonianza episcopale, nel magistero patriarcale di Venezia, ecco che nell’autunno del 1958, i pochi cardinali, 55, ispirati dallo Spirito Santo, l’hanno portato a essere eletto vescovo di Roma, pontefice successore di Pio XII.

Cento giorni da Papa: annuncio del nuovo Concilio La sua elezione fu salutata benevolmente, si pensava a un papato di transizione, guidato dall’anziano e saggio Roncalli, malato e non in grado di sopportare un peso così grande per molto tempo. Ma cento giorni dopo la sua elezione, Giovanni XXIII stupì il mondo ad intra e ad extra della Chiesa, annunciando il Concilio ecumenico Vaticano II. Forse solo oggi la Chiesa, il popolo di Dio, l’intera umanità comprende cosa abbia rappresentato il Concilio nella sua dimensione pastorale. Salvaguardando la tradizione, Roncalli aveva inziato a ricucire quella lacerazione che negli ultimi due secoli aveva consumato il rapporto tra la Chiesa e il mondo, la fede e la scienza, la modernità e la dottrina. Di questi complessi passaggi Domenico Agasso Senior e Junior parlano, e lo fanno in modo chiaro, completo e avvincente. Un’ulteriore prova di capacità divulgativa e di profondità di messaggio. Bellissima è la conclusione del saggio che riporta integralmente il famoso Discorso alla luna, pronunciato la sera dell’11 ottobre 1962, al termine della prima giornata del Concilio Vaticano II, che completa un’opera da leggere e rileggere, in famiglia, in parrocchia, nelle comunità cristiane, da nonno a nipote.

Nelle difficoltà si è sempre affidato a Dio Papa Giovanni continua a parlare, lo possiamo tutti ascoltare anche oggi. La semplicità e la profondità del sacerdote bergamasco sono delineate attraverso i gesti, i pensieri, le preghiere e le azioni dell’autore del Giornale dell’Anima: la sua famiglia,

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CHIESA VIVA

Diamoci un po’ di luce

Le dita del Papa La preghiera ha forme e contenuti diversi. Ma ciò che conta è l’azione dello Spirito. «Mia nonna, domenica, ha acceso tardi la Tv, – brontola Stefano, arrivato in ritardo – e non ha potuto sentire la preghiera del Papa sulle dita della mano. Vuole che me la insegni tu; poi io gliela spiego». I compagni sono tutti informati sull’argomento perché la preghiera, lanciata da Papa Francesco, è diventata subito molto popolare, rimbalzando anche sul Web. «La prima preghiera, sul pollice, interviene Matteo, si dice per le persone più vicine e care, quelle della famiglia». «La seconda, spiega Monica, sull’indice, è per chi si cura di noi e insegna». Procediamo spediti: la terza preghiera, dito medio, è per i nostri governanti. La quarta, riferita all’anulare, è per le persone più deboli, sofferenti e bisognose di aiuto: gli ammalati, i disabili, i diversi. La quinta e ultima, riferita al dito mignolo, è per noi stessi. Facile, no? È breve e intensa, la possiamo recitare tutti ogni giorno.

«Sì, ma quale preghiera dobbiamo recitare?» riprende Stefano. «Una preghiera che conoscete bene: il Padre Nostro, l’Ave Maria, o una semplice formula di vostra invenzione, come: Signore, benedici i miei genitori ...il mio medico... le mie maestre». «Così mi piace!» esclama Matteo. «Allora possiamo anche pregare perché le maestre siano un po’ meno severe... E, per esempio, gli arbitri delle partite di calcio, in quale gruppo di persone si possono mettere?» Proprio non lo so! Forse tra i governanti, o tra le persone bisognose di aiuto... «E si può pregare perché siano più attenti e meno venduti?». «Basta! – sbotta Monica spazientita – dobbiamo soltanto pregare. Intanto Dio sa di che cosa hanno bisogno tutte queste persone». Conclusione perfettamente evangelica. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Sorprende la fiducia di Gesù nei suoi discepoli quando afferma: «Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14). Non è un po’ esagerato? Non è una responsabilizzazione eccessiva per le nostre spiritualmente deboli spalle? Per Gesù non è così. Naturalmente il discepolo di Cristo non deve dimenticare l’altra grande affermazione: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12). È interessante notare che il Cristo non dice «Voi siete l’oro del mondo», cioè il metallo più prezioso e più cercato, per il quale si muovono gli eserciti e l’egoismo dell’uomo sembra non avere confini. Egli sceglie elementi quotidiani, immagini facili da capire, due cose veramente essenziali per la vita dell’uomo. Si può vivere senza oro, ma non senza la luce. I nostri cibi li condiamo con polvere di sale non di oro. In un messaggio ai giovani (2002), commentando queste parole di Cristo, Giovanni Paolo II scrisse: «Oggi egli investe di questo onore e di questa responsabilità anche tutti i discepoli. Ovviamente Gesù non si riferisce ad una nostra luce che potremmo manifestare, ma, come la luna riceve luce dal sole e la riflette sulla terra, così deve essere il credente che non ha luce propria, ma la riceve da Cristo Gesù. I credenti possono essere luce solo perché, uniti a Cristo, potranno risplendere della Sua luce». È proprio qui la sfida spirituale ed esistenziale, da rinnovare ogni giorno: prendere noi della sua Luce, per poter illuminare gli altri. Accogliere noi la sua Parola che dà luce e senso al nostro cammino quotidiano. Perché mostrando noi la strada e illuminando noi il senso di vita agli altri che ci avvicinano o per i quali dobbiamo lavorare siamo suoi discepoli. Noi illuminati da Cristo possiamo illuminare, come Paolo diceva ai Cristiani di Corinto «Io posso consolarvi perché anch’io sono consolato da Dio» (cf 2Cor 1,4). Oggi, ma non solo oggi, è di moda criticare e la-

mentarsi. Parafrasando la famosa frase di Giovanni della Croce: «Dove non c’è amore, semina amore e raccoglierai amore», possiamo dire: dove vediamo tenebre portiamo noi un po’ di luce, dove scorgiamo scoraggiamento e sfiducia nella vita, portiamo la gioia e l’ottimismo della nostra fede in Cristo, dove è più percepibile la presenza del male, portiamo noi e testimoniamo noi il bene. Facendo così illumineremo il nostro cammino e faremo luce alla strada degli altri, rendendo migliore la vita del mondo. Saranno piccole luci e piccole gocce di bene e di bontà, ma perché rinunciarci? Il mare non è forse fatto di tante gocce? Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. (Mt 5,13-16)


CHIESA VIVA

Diamoci un po’ di luce

Le dita del Papa La preghiera ha forme e contenuti diversi. Ma ciò che conta è l’azione dello Spirito. «Mia nonna, domenica, ha acceso tardi la Tv, – brontola Stefano, arrivato in ritardo – e non ha potuto sentire la preghiera del Papa sulle dita della mano. Vuole che me la insegni tu; poi io gliela spiego». I compagni sono tutti informati sull’argomento perché la preghiera, lanciata da Papa Francesco, è diventata subito molto popolare, rimbalzando anche sul Web. «La prima preghiera, sul pollice, interviene Matteo, si dice per le persone più vicine e care, quelle della famiglia». «La seconda, spiega Monica, sull’indice, è per chi si cura di noi e insegna». Procediamo spediti: la terza preghiera, dito medio, è per i nostri governanti. La quarta, riferita all’anulare, è per le persone più deboli, sofferenti e bisognose di aiuto: gli ammalati, i disabili, i diversi. La quinta e ultima, riferita al dito mignolo, è per noi stessi. Facile, no? È breve e intensa, la possiamo recitare tutti ogni giorno.

«Sì, ma quale preghiera dobbiamo recitare?» riprende Stefano. «Una preghiera che conoscete bene: il Padre Nostro, l’Ave Maria, o una semplice formula di vostra invenzione, come: Signore, benedici i miei genitori ...il mio medico... le mie maestre». «Così mi piace!» esclama Matteo. «Allora possiamo anche pregare perché le maestre siano un po’ meno severe... E, per esempio, gli arbitri delle partite di calcio, in quale gruppo di persone si possono mettere?» Proprio non lo so! Forse tra i governanti, o tra le persone bisognose di aiuto... «E si può pregare perché siano più attenti e meno venduti?». «Basta! – sbotta Monica spazientita – dobbiamo soltanto pregare. Intanto Dio sa di che cosa hanno bisogno tutte queste persone». Conclusione perfettamente evangelica. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Sorprende la fiducia di Gesù nei suoi discepoli quando afferma: «Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14). Non è un po’ esagerato? Non è una responsabilizzazione eccessiva per le nostre spiritualmente deboli spalle? Per Gesù non è così. Naturalmente il discepolo di Cristo non deve dimenticare l’altra grande affermazione: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12). È interessante notare che il Cristo non dice «Voi siete l’oro del mondo», cioè il metallo più prezioso e più cercato, per il quale si muovono gli eserciti e l’egoismo dell’uomo sembra non avere confini. Egli sceglie elementi quotidiani, immagini facili da capire, due cose veramente essenziali per la vita dell’uomo. Si può vivere senza oro, ma non senza la luce. I nostri cibi li condiamo con polvere di sale non di oro. In un messaggio ai giovani (2002), commentando queste parole di Cristo, Giovanni Paolo II scrisse: «Oggi egli investe di questo onore e di questa responsabilità anche tutti i discepoli. Ovviamente Gesù non si riferisce ad una nostra luce che potremmo manifestare, ma, come la luna riceve luce dal sole e la riflette sulla terra, così deve essere il credente che non ha luce propria, ma la riceve da Cristo Gesù. I credenti possono essere luce solo perché, uniti a Cristo, potranno risplendere della Sua luce». È proprio qui la sfida spirituale ed esistenziale, da rinnovare ogni giorno: prendere noi della sua Luce, per poter illuminare gli altri. Accogliere noi la sua Parola che dà luce e senso al nostro cammino quotidiano. Perché mostrando noi la strada e illuminando noi il senso di vita agli altri che ci avvicinano o per i quali dobbiamo lavorare siamo suoi discepoli. Noi illuminati da Cristo possiamo illuminare, come Paolo diceva ai Cristiani di Corinto «Io posso consolarvi perché anch’io sono consolato da Dio» (cf 2Cor 1,4). Oggi, ma non solo oggi, è di moda criticare e la-

mentarsi. Parafrasando la famosa frase di Giovanni della Croce: «Dove non c’è amore, semina amore e raccoglierai amore», possiamo dire: dove vediamo tenebre portiamo noi un po’ di luce, dove scorgiamo scoraggiamento e sfiducia nella vita, portiamo la gioia e l’ottimismo della nostra fede in Cristo, dove è più percepibile la presenza del male, portiamo noi e testimoniamo noi il bene. Facendo così illumineremo il nostro cammino e faremo luce alla strada degli altri, rendendo migliore la vita del mondo. Saranno piccole luci e piccole gocce di bene e di bontà, ma perché rinunciarci? Il mare non è forse fatto di tante gocce? Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. (Mt 5,13-16)


Voi siete la luce del mondo

settembre-ottobre 2013


Voi siete la luce del mondo

settembre-ottobre 2013


settembre-ottobre 2013

la parola qui e ora

Poster n. 5-2013

Dio, formatore della luce Benedetto sei tu, Signore nostro Dio, re del mondo, che formi la luce e crei la notte, che fai la pace e crei ogni cosa, tutti ti lodano e tutti ti celebrano... Tu che illumini la terra E i suoi abitanti con misericordia, e che nella tua bontà rinnovi sempre ogni giorno l’opera della tua creazione... Dio eterno, nella tua grande misericordia abbi compassione di noi, Signore della nostra forza, roccia del nostro rifugio, scudo della nostra salvezza, nostra sola difesa. Benedetto sei tu Signore, che crei la luce. (Dalla Liturgia ebraica)

IV

Essere figli di un altro mondo La differenza non è nel giudicare i comportamenti umani e le regole del mondo, ma nel voler essere profondamente, totalmente, «figli della luce».

di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Gesù diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli

(Lc 16,1-13) Altro che attualità, qui sembra di leggere le pagine di cronaca economica di un quotidiano. Chi sono questi amministratori, se non certi mana-

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la parola qui e ora

Poster n. 5-2013

Dio, formatore della luce Benedetto sei tu, Signore nostro Dio, re del mondo, che formi la luce e crei la notte, che fai la pace e crei ogni cosa, tutti ti lodano e tutti ti celebrano... Tu che illumini la terra E i suoi abitanti con misericordia, e che nella tua bontà rinnovi sempre ogni giorno l’opera della tua creazione... Dio eterno, nella tua grande misericordia abbi compassione di noi, Signore della nostra forza, roccia del nostro rifugio, scudo della nostra salvezza, nostra sola difesa. Benedetto sei tu Signore, che crei la luce. (Dalla Liturgia ebraica)

IV

Essere figli di un altro mondo La differenza non è nel giudicare i comportamenti umani e le regole del mondo, ma nel voler essere profondamente, totalmente, «figli della luce».

di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Gesù diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli

(Lc 16,1-13) Altro che attualità, qui sembra di leggere le pagine di cronaca economica di un quotidiano. Chi sono questi amministratori, se non certi mana-

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DON BOSCO OGGI

Quando Don Bosco vale più di un santo papa

ger di oggi, che inventano la “leva finanziaria” per dare valore alla carta senza nessun corrispettivo di ricchezza reale? Chi sono, se non i banchieri americani che fanno accendere mutui anche a chi non potrà mai ripagarli? Eccetera. Solo che poi il consiglio del Signore è sconcertante: «Fatevi degli amici con la disonesta ricchezza». Cioè: non esitate a servirvi della concussione e della corruzione, cercate di evitare i processi e i giudizi con ogni mezzo? Sì, purché vi accontentiate di essere figli di questo mondo e non figli della luce.

Tutti a dare (dubbie) lezioni di moralità La vera differenza non è nel giudicare i comportamenti umani e le regole del mondo, ma nel voler essere profondamente, totalmente, «figli della luce». A usare la religione per dare ordine alla vita sociale son capaci tutti, ieri come oggi. Ieri, quando Roma aveva l’Inquisizione, e alcune Chiese della Riforma misero a capo della città il “consiglio pastorale”, per essere sicuri di avere una copertura di moralità... Oggi, quando tutti si sentono in dovere di dare lezioni di moralità a chiunque altro, in nome di “valori universali”. Come se la salvezza promessa dal Signore e pagata con la sua vita dovesse, per essere ritenuta buona, passare attraverso il filtro dei benpensanti, degli illuministi – o degli amministratori di condominio.

Enzo Bianco Quel ragazzo d’oratorio diventato Papa Francesco Elledici - 2013 pagine 88, euro 5,00

La contraddizione dei “due padroni” Agli occhi del Signore la vita sociale, quella governata dai «figli di questo mondo» interessa relativamente: la “moralità” è una condizione essenziale, non c’è neppure da discutere. Ma per diventare «figli della luce» serve altro: bisogna far esplodere la contraddizione dei «due padroni» e scegliere con estrema chiarezza, dentro e fuori di noi stessi. Martin Buber ha raccolto i detti dei Chassidim, gli Ebrei osservanti e mistici dell’Europea orientale (che non hanno nulla da spartire con certi “osservanti” nell’Israele di oggi): «La via in questo mondo è come la lama di un coltello. Da una parte è il mondo dei morti e dall’altra parte il mondo dei morti. E la via della vita è in mezzo».

Il “nostro” don Bosco vale di più di san Pio X. Papa Giovanni Paolo I è più “raro” di Paolo VI. Benito Mussolini è molto più “cercato” del Card. Pietro Gasparri, con il quale firmò i Patti Lateranensi. Invece il Card. Anastasio A. Ballestrero, già arcivescovo di Torino, e don Primo Mazzolari, famoso parroco di Bozzolo, sono entrambi “comuni”. Sono alcune delle molte informazioni che si hanno consultando il recente Autografi italiani dal 1800 ad oggi. Il volume quota gli autografi di quasi tremila italiani, protagonisti della storia, della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, elencati in ordine alfabetico. Per ognuno, sono indicati la professione e il luogo e l’anno di nascita e di morte. Poi, di oltre la metà è riprodotta la firma, e a 90 di loro è dedicata una pagina intera con biografia, riproduzioni di loro scritti e quotazioni per periodo e per documento (firma, lettera manoscritta, dedica, attestato, ecc.). Ad esempio, la firma di Garibaldi

vale più di quelle di Cavour e di Vittorio Emanuele II, perché di questi esistono molti più documenti. Collezionare autografi è una passione che nasce dal desiderio di possedere manoscritti di questi personaggi e ovviamente dall’interesse storico o da un legame personale. In tante famiglie, infatti, c’è un libro con dedica dell’autore, oppure una o più foto firmate da attori o da campioni dello sport, o ancora il decreto per una onorificenza. Il volume Autografi fa conoscere, appunto, il valore di ogni autografo e risponde alle esigenze sia dei collezionisti (che evitano di strapagare un “pezzo”), sia degli studiosi e responsabili di archivi. Il volume (512 pagine, 34 euro) è venduto nei negozi di filatelia e numismatica, si può richiedere alla CIF-Unificato (la maggiore editrice italiana per il collezionismo), via Santa Maria Valle 5, 20123 Milano o visitando il sito www.unificato.it Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net

P PASERO Tancredi

Torino 1893 - Milano 1983 CANTANTE

Autografi A-B_2013:Layout 1 19/03/2013 10:17 Pagina 2

Autografi P_2013:Layout 1 19/03/2013 11:19 Pagina 350

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PERTINI SANDRO

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ADAMI Giuseppe

POLITICO

LIBRETTISTA

Verona 1878 - Milano 1946

Stella S.Giovanni 1896 - Roma 1990

1896: Alessandro Pertini detto Sandro nasce il 25 settembre a San Giovanni di Stella, in provincia di Savona, da Alberto e da Maria Muzio, una famiglia benestante.

PASINI Alberto

Busseto 1826 - Cavoretto 1899 PITTORE

PASOLINI Giuseppe

Ravenna 1815 - Ravenna 1876 POLITICO

PASOLINI Pier Paolo

Bologna 1922 - Roma 1975 SCRITTORE

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AGAZZI Rosa

1915: partecipa alla Prima Guerra Mondiale ed ottiene una medaglia al Valor Militare.

Volongo 1866 - Volongo 1951 PEDAGOGISTA

1946: direttore dell'Avanti e Deputato dell’Assemblea Costituente.

AGELLO Francesco

1968: è nominato Presidente della Camera dei Deputati.

AVIATORE

Casalpusterlengo 1902 - Bresso 1942

AGLIETTI Francesco Brescia 1757 - Venezia 1836 MEDICO

1985: al termine del mandato presidenziale, è senatore a vita. Rimini 1938 - Monza 1973 MOTOCICLISTA

PASQUALI Giorgio

Roma 1885 - Belluno 1952 FILOLOGO

PASQUARIELLO Gennaro

Goso Diego Quattro chiacchiere con Dio. Lo sapevate che Dio si fuma dei sigari grossi così? San Paolo Edizioni 2013 118 pagine, Euro 10,00

Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it

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Napoli 1869 - Napoli 1958 CANTANTE

PASSERINI Giuseppe Lando Firenze 1858 - Firenze 1932 SCRITTORE

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1990: Sandro Pertini muore a Roma il 24 febbraio.

AGNELLI Giovanni

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1929: viene condannato prima al carcere e poi al confino per la sua energica opposizione al fascismo.

1978: eletto Presidente della Repubblica Italiana.

PASOLINI Renzo

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PERTINI Sandro

Villar Perosa 1866 - Torino 1945 INDUSTRIALE

AGNELLI Giovanni detto Gianni Torino 1921 - Torino 2003 INDUSTRIALE

AGNETTI Vincenzo

Milano 1926 - Milano 1981 PITTORE PERIODO

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AGNOLETTI Fernando

Firenze 1875 - Firenze 1933 SCRITTORE

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DON BOSCO OGGI

Quando Don Bosco vale più di un santo papa

ger di oggi, che inventano la “leva finanziaria” per dare valore alla carta senza nessun corrispettivo di ricchezza reale? Chi sono, se non i banchieri americani che fanno accendere mutui anche a chi non potrà mai ripagarli? Eccetera. Solo che poi il consiglio del Signore è sconcertante: «Fatevi degli amici con la disonesta ricchezza». Cioè: non esitate a servirvi della concussione e della corruzione, cercate di evitare i processi e i giudizi con ogni mezzo? Sì, purché vi accontentiate di essere figli di questo mondo e non figli della luce.

Tutti a dare (dubbie) lezioni di moralità La vera differenza non è nel giudicare i comportamenti umani e le regole del mondo, ma nel voler essere profondamente, totalmente, «figli della luce». A usare la religione per dare ordine alla vita sociale son capaci tutti, ieri come oggi. Ieri, quando Roma aveva l’Inquisizione, e alcune Chiese della Riforma misero a capo della città il “consiglio pastorale”, per essere sicuri di avere una copertura di moralità... Oggi, quando tutti si sentono in dovere di dare lezioni di moralità a chiunque altro, in nome di “valori universali”. Come se la salvezza promessa dal Signore e pagata con la sua vita dovesse, per essere ritenuta buona, passare attraverso il filtro dei benpensanti, degli illuministi – o degli amministratori di condominio.

Enzo Bianco Quel ragazzo d’oratorio diventato Papa Francesco Elledici - 2013 pagine 88, euro 5,00

La contraddizione dei “due padroni” Agli occhi del Signore la vita sociale, quella governata dai «figli di questo mondo» interessa relativamente: la “moralità” è una condizione essenziale, non c’è neppure da discutere. Ma per diventare «figli della luce» serve altro: bisogna far esplodere la contraddizione dei «due padroni» e scegliere con estrema chiarezza, dentro e fuori di noi stessi. Martin Buber ha raccolto i detti dei Chassidim, gli Ebrei osservanti e mistici dell’Europea orientale (che non hanno nulla da spartire con certi “osservanti” nell’Israele di oggi): «La via in questo mondo è come la lama di un coltello. Da una parte è il mondo dei morti e dall’altra parte il mondo dei morti. E la via della vita è in mezzo».

Il “nostro” don Bosco vale di più di san Pio X. Papa Giovanni Paolo I è più “raro” di Paolo VI. Benito Mussolini è molto più “cercato” del Card. Pietro Gasparri, con il quale firmò i Patti Lateranensi. Invece il Card. Anastasio A. Ballestrero, già arcivescovo di Torino, e don Primo Mazzolari, famoso parroco di Bozzolo, sono entrambi “comuni”. Sono alcune delle molte informazioni che si hanno consultando il recente Autografi italiani dal 1800 ad oggi. Il volume quota gli autografi di quasi tremila italiani, protagonisti della storia, della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, elencati in ordine alfabetico. Per ognuno, sono indicati la professione e il luogo e l’anno di nascita e di morte. Poi, di oltre la metà è riprodotta la firma, e a 90 di loro è dedicata una pagina intera con biografia, riproduzioni di loro scritti e quotazioni per periodo e per documento (firma, lettera manoscritta, dedica, attestato, ecc.). Ad esempio, la firma di Garibaldi

vale più di quelle di Cavour e di Vittorio Emanuele II, perché di questi esistono molti più documenti. Collezionare autografi è una passione che nasce dal desiderio di possedere manoscritti di questi personaggi e ovviamente dall’interesse storico o da un legame personale. In tante famiglie, infatti, c’è un libro con dedica dell’autore, oppure una o più foto firmate da attori o da campioni dello sport, o ancora il decreto per una onorificenza. Il volume Autografi fa conoscere, appunto, il valore di ogni autografo e risponde alle esigenze sia dei collezionisti (che evitano di strapagare un “pezzo”), sia degli studiosi e responsabili di archivi. Il volume (512 pagine, 34 euro) è venduto nei negozi di filatelia e numismatica, si può richiedere alla CIF-Unificato (la maggiore editrice italiana per il collezionismo), via Santa Maria Valle 5, 20123 Milano o visitando il sito www.unificato.it Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net

P PASERO Tancredi

Torino 1893 - Milano 1983 CANTANTE

Autografi A-B_2013:Layout 1 19/03/2013 10:17 Pagina 2

Autografi P_2013:Layout 1 19/03/2013 11:19 Pagina 350

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Verona 1878 - Milano 1946

Stella S.Giovanni 1896 - Roma 1990

1896: Alessandro Pertini detto Sandro nasce il 25 settembre a San Giovanni di Stella, in provincia di Savona, da Alberto e da Maria Muzio, una famiglia benestante.

PASINI Alberto

Busseto 1826 - Cavoretto 1899 PITTORE

PASOLINI Giuseppe

Ravenna 1815 - Ravenna 1876 POLITICO

PASOLINI Pier Paolo

Bologna 1922 - Roma 1975 SCRITTORE

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1915: partecipa alla Prima Guerra Mondiale ed ottiene una medaglia al Valor Militare.

Volongo 1866 - Volongo 1951 PEDAGOGISTA

1946: direttore dell'Avanti e Deputato dell’Assemblea Costituente.

AGELLO Francesco

1968: è nominato Presidente della Camera dei Deputati.

AVIATORE

Casalpusterlengo 1902 - Bresso 1942

AGLIETTI Francesco Brescia 1757 - Venezia 1836 MEDICO

1985: al termine del mandato presidenziale, è senatore a vita. Rimini 1938 - Monza 1973 MOTOCICLISTA

PASQUALI Giorgio

Roma 1885 - Belluno 1952 FILOLOGO

PASQUARIELLO Gennaro

Goso Diego Quattro chiacchiere con Dio. Lo sapevate che Dio si fuma dei sigari grossi così? San Paolo Edizioni 2013 118 pagine, Euro 10,00

Marco Bonatti direttore@lavocedelpopolo.torino.it

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Napoli 1869 - Napoli 1958 CANTANTE

PASSERINI Giuseppe Lando Firenze 1858 - Firenze 1932 SCRITTORE

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1990: Sandro Pertini muore a Roma il 24 febbraio.

AGNELLI Giovanni

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1929: viene condannato prima al carcere e poi al confino per la sua energica opposizione al fascismo.

1978: eletto Presidente della Repubblica Italiana.

PASOLINI Renzo

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PERTINI Sandro

Villar Perosa 1866 - Torino 1945 INDUSTRIALE

AGNELLI Giovanni detto Gianni Torino 1921 - Torino 2003 INDUSTRIALE

AGNETTI Vincenzo

Milano 1926 - Milano 1981 PITTORE PERIODO

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ATTESTATO

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1878-85

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C. MEDIO

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AGNOLETTI Fernando

Firenze 1875 - Firenze 1933 SCRITTORE

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settembre-ottobre 2013

DON BOSCO OGGI

Perché san Francesco di Sales? vescovo era anzitutto di insegnare ad amare. E quanto bisogno di amore hanno i nostri giovani! Negli oratori l’educazione affettiva è una delle poche cose che li interessa davvero... quando parliamo di quelle cose... andrebbero avanti a discutere per delle ore... Ma ogni relazione è cosa di affetto e di cuore. Il vescovo di Ginevra scriveva che: «L’amore è la vita dell’anima come l’anima è la vita del corpo». Imparare a vivere nell’amore e insegnare agli altri ad amare è la sintesi di ogni vocazione consacrata, di ogni ministero ecclesiale, di ogni vita cristiana autentica. DG Apro una parentesi, perché sono davvero curioso di sapere cosa ne pensa don Bosco... Sembra che nella chiesa si abbia paura dell’amore... Il Santo batte una mano sul tavolo: DB Certo. Ed è il peccato più grave che possiamo commettere. Perché è negare la stessa essenza di Dio. Amare il Divino senza sporcarsi le mani con il prossimo è solo pia devozione. L’amore fraterno ti coinvolge, ti obbliga a lasciarti sconvolgere, impegna tutto di noi stessi. Il rapporto tra il Vescovo di Ginevra e la Chantal... DG Ehm - sussurro - attento don Bosco, questo è un argomento delicato... non vorrei che là sotto... DB E cosa vuoi che mi facciano? Che mi abbassino la luminosità dell’aureola? DG Questa non so proprio se scriverla, ma lui continua e fissa con gli occhi socchiusi la penna che si è fermata, per cui riporto tutto, come promesso all’inizio: DB Quei due si amano davvero. E la gente bigotta si scandalizza se due anime provano amore solo perché un voto le lega a Dio... come se non si potessero vivere tutte e due le cose. Solo il cuore chiuso di certi cristiani riesce a separare ciò che Dio ha unito, l’uomo e Dio in Gesù, tutta l’umanità in una grande famiglia, in Cristo. E questo perchè si è ridotto tutto solo alla sessualità... DG don Bosco... scusa... ma qui mi censurano... DB In San Pietro, sopra la statua del Principe degli

Continua dal numero scorso. DG

Il santo prete raccoglie le idee per un momento. Poi alza la mano con il dito indice e il medio aperti, come a fare il segno della vittoria: - due motivi - mi dice. Mi sistemo sulla sedia. È di legno ma sembra soffice come un poltrona. Qui in paradiso si vede che sono le cose più semplici quelle che fanno stare meglio. DB Il primo motivo - attacca don Bosco - è che ammiravo la sua passione educativa per le persone. DG Non mi pare che abbia scritto opere di pedagogia... - interrompo con un poco di impudenza. DB È vero, è vero - concorda il Santo - ma tutta la sua vita dimostra quando avesse a cuore l’educazione della persona. Sapeva che il compito di un

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Apostoli, quella a cui tutti accarezzano un piede... quale statua c’è? DG Ehm... - sussurro balbettando - la... la... tua!!! DB Appunto. Stai tranquillo quindi, ho ottimi contatti... nessuno ci censura. Anzi. Vedrai che apprezzeranno sentirmi parlare di amore umano. È proprio per questa sua capacità e insistenza che ho scelto San Francesco di Sales come patrono delle nostre congregazioni. Anche Madre Mazzarello condivideva lo stesso pensiero infatti: insegnare l’amore è tutto. DG Ok, lo scrivo. E il secondo motivo? Il santo prete risponde subito: la libertà. Umm... puntata davvero piccante questa... DB Don Bosco sorride divertito: - già. Vedi, era una sua fissa che si doveva fare ogni cosa per Dio e i fratelli solo per amore e non per obbligo. E questo è uno dei pilastri di una vera pratica educativa. Prendi la messa ad esempio... DG Ok, la messa. La Messa? DB Sì. Se un giovane ci va solo perchè obbligato, appena saranno sciolte le redini che lo costringono non lo vedrai più in Chiesa nemmeno sotto tortura... al massimo ci torna per il matrimonio, se è uno di quei pochi che ancora lo fanno. Se invece ne scoprirà la ricchezza allora non dovrai nemmeno ricordargli di doverci andare: sarà lui a sorprenderti andandola a ricercare. Pensa che bello che quando qualche giovane dell’oratorio te lo vedi sbucare ad una messa feriale. DG Sì, e’ una delle gioie più belle... DB Appunto, perchè capisci che lo sta facendo per una scelta dichiarata di cuore e volontà propria e non perchè è obbligato. Di questo Francesco di Sales ha scritto davvero tanto: «In tutto deve regnare la santa libertà e la franchezza, e non dobbiamo avere altra legge o altra costrizione che quella dell’amore. Penso che, se mi intendete bene, vedrete che dico la verità e che combatto per una buona causa quando difendo la santa e amabile libertà dello spirito che onoro in un modo del tutto

particolare, a condizione che sia vera e libera dalla dissipazione e dal libertinaggio, che non sono altro che una maschera di libertà». DG Amore e libertà quindi. DB Certo, sono la base del mio metodo preventivo. Quando un giovane si sa amato e sceglie di fare il bene di sua spontanea e decisa volontà allora il progetto uomo, l’idea di persona che ne esce fuori è proprio Cristo stesso. DG Ne viene fuori un bel ritratto anche dell’educatore... DB Certo. Salesiani con il muso non ci devono essere... viviamo per l’amore di Dio e dei nostri giovani e facciamo con libertà assoluta da ogni altra distrazione quello che più ci piace fare, che il Signore ci ha chiamato a vivere e a cui abbiamo risposto con ferma volontà. DG Questo però non toglie la fatica di mettere da parte il nostro io... DB Quando ami, il primo che calpesta il suo io sei proprio tu... Pensa a cosa è disposto a fare un giovane per una ragazza che ama... cambia look (si dice così in inglese moderno, vero? - ammicca don Bosco con il suo accento piemontese)... cambia abitudini... si mette anche a dieta se serve... Se non ami invece tutto diventa faticoso. DG Vero. Grandioso. Tu e anche San Francesco di Sales. Se non chiedo troppo... posso incontrarlo? don Bosco alza gli occhi e scuote la testa. DB No. È a Ginevra in questo momento. DG A Ginevra? DB Non ci è potuto andare da vivo... come vescovo... non la molla più, adesso che è santo... ama davvero la sua gente e quassù lo lasciano libero... vedi? Amore e libertà. DG Ripeto: grandioso. Avrei ancora tre domande, hai tempo? DB Tutta l’eternità, figlio mio... (continua...) Diego Goso dondiegogoso@icloud.com

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settembre-ottobre 2013

DON BOSCO OGGI

Perché san Francesco di Sales? vescovo era anzitutto di insegnare ad amare. E quanto bisogno di amore hanno i nostri giovani! Negli oratori l’educazione affettiva è una delle poche cose che li interessa davvero... quando parliamo di quelle cose... andrebbero avanti a discutere per delle ore... Ma ogni relazione è cosa di affetto e di cuore. Il vescovo di Ginevra scriveva che: «L’amore è la vita dell’anima come l’anima è la vita del corpo». Imparare a vivere nell’amore e insegnare agli altri ad amare è la sintesi di ogni vocazione consacrata, di ogni ministero ecclesiale, di ogni vita cristiana autentica. DG Apro una parentesi, perché sono davvero curioso di sapere cosa ne pensa don Bosco... Sembra che nella chiesa si abbia paura dell’amore... Il Santo batte una mano sul tavolo: DB Certo. Ed è il peccato più grave che possiamo commettere. Perché è negare la stessa essenza di Dio. Amare il Divino senza sporcarsi le mani con il prossimo è solo pia devozione. L’amore fraterno ti coinvolge, ti obbliga a lasciarti sconvolgere, impegna tutto di noi stessi. Il rapporto tra il Vescovo di Ginevra e la Chantal... DG Ehm - sussurro - attento don Bosco, questo è un argomento delicato... non vorrei che là sotto... DB E cosa vuoi che mi facciano? Che mi abbassino la luminosità dell’aureola? DG Questa non so proprio se scriverla, ma lui continua e fissa con gli occhi socchiusi la penna che si è fermata, per cui riporto tutto, come promesso all’inizio: DB Quei due si amano davvero. E la gente bigotta si scandalizza se due anime provano amore solo perché un voto le lega a Dio... come se non si potessero vivere tutte e due le cose. Solo il cuore chiuso di certi cristiani riesce a separare ciò che Dio ha unito, l’uomo e Dio in Gesù, tutta l’umanità in una grande famiglia, in Cristo. E questo perchè si è ridotto tutto solo alla sessualità... DG don Bosco... scusa... ma qui mi censurano... DB In San Pietro, sopra la statua del Principe degli

Continua dal numero scorso. DG

Il santo prete raccoglie le idee per un momento. Poi alza la mano con il dito indice e il medio aperti, come a fare il segno della vittoria: - due motivi - mi dice. Mi sistemo sulla sedia. È di legno ma sembra soffice come un poltrona. Qui in paradiso si vede che sono le cose più semplici quelle che fanno stare meglio. DB Il primo motivo - attacca don Bosco - è che ammiravo la sua passione educativa per le persone. DG Non mi pare che abbia scritto opere di pedagogia... - interrompo con un poco di impudenza. DB È vero, è vero - concorda il Santo - ma tutta la sua vita dimostra quando avesse a cuore l’educazione della persona. Sapeva che il compito di un

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Apostoli, quella a cui tutti accarezzano un piede... quale statua c’è? DG Ehm... - sussurro balbettando - la... la... tua!!! DB Appunto. Stai tranquillo quindi, ho ottimi contatti... nessuno ci censura. Anzi. Vedrai che apprezzeranno sentirmi parlare di amore umano. È proprio per questa sua capacità e insistenza che ho scelto San Francesco di Sales come patrono delle nostre congregazioni. Anche Madre Mazzarello condivideva lo stesso pensiero infatti: insegnare l’amore è tutto. DG Ok, lo scrivo. E il secondo motivo? Il santo prete risponde subito: la libertà. Umm... puntata davvero piccante questa... DB Don Bosco sorride divertito: - già. Vedi, era una sua fissa che si doveva fare ogni cosa per Dio e i fratelli solo per amore e non per obbligo. E questo è uno dei pilastri di una vera pratica educativa. Prendi la messa ad esempio... DG Ok, la messa. La Messa? DB Sì. Se un giovane ci va solo perchè obbligato, appena saranno sciolte le redini che lo costringono non lo vedrai più in Chiesa nemmeno sotto tortura... al massimo ci torna per il matrimonio, se è uno di quei pochi che ancora lo fanno. Se invece ne scoprirà la ricchezza allora non dovrai nemmeno ricordargli di doverci andare: sarà lui a sorprenderti andandola a ricercare. Pensa che bello che quando qualche giovane dell’oratorio te lo vedi sbucare ad una messa feriale. DG Sì, e’ una delle gioie più belle... DB Appunto, perchè capisci che lo sta facendo per una scelta dichiarata di cuore e volontà propria e non perchè è obbligato. Di questo Francesco di Sales ha scritto davvero tanto: «In tutto deve regnare la santa libertà e la franchezza, e non dobbiamo avere altra legge o altra costrizione che quella dell’amore. Penso che, se mi intendete bene, vedrete che dico la verità e che combatto per una buona causa quando difendo la santa e amabile libertà dello spirito che onoro in un modo del tutto

particolare, a condizione che sia vera e libera dalla dissipazione e dal libertinaggio, che non sono altro che una maschera di libertà». DG Amore e libertà quindi. DB Certo, sono la base del mio metodo preventivo. Quando un giovane si sa amato e sceglie di fare il bene di sua spontanea e decisa volontà allora il progetto uomo, l’idea di persona che ne esce fuori è proprio Cristo stesso. DG Ne viene fuori un bel ritratto anche dell’educatore... DB Certo. Salesiani con il muso non ci devono essere... viviamo per l’amore di Dio e dei nostri giovani e facciamo con libertà assoluta da ogni altra distrazione quello che più ci piace fare, che il Signore ci ha chiamato a vivere e a cui abbiamo risposto con ferma volontà. DG Questo però non toglie la fatica di mettere da parte il nostro io... DB Quando ami, il primo che calpesta il suo io sei proprio tu... Pensa a cosa è disposto a fare un giovane per una ragazza che ama... cambia look (si dice così in inglese moderno, vero? - ammicca don Bosco con il suo accento piemontese)... cambia abitudini... si mette anche a dieta se serve... Se non ami invece tutto diventa faticoso. DG Vero. Grandioso. Tu e anche San Francesco di Sales. Se non chiedo troppo... posso incontrarlo? don Bosco alza gli occhi e scuote la testa. DB No. È a Ginevra in questo momento. DG A Ginevra? DB Non ci è potuto andare da vivo... come vescovo... non la molla più, adesso che è santo... ama davvero la sua gente e quassù lo lasciano libero... vedi? Amore e libertà. DG Ripeto: grandioso. Avrei ancora tre domande, hai tempo? DB Tutta l’eternità, figlio mio... (continua...) Diego Goso dondiegogoso@icloud.com

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settembre-ottobre 2013

DON BOSCO OGGI

Dall’evento al processo

1988, 1995, 2013... un cammino da testimoni della gioia! Un po’ di storia La prima volta che Torino ospitò un Confronto Italiano era il 1988, fu la prima grande convocazione di questo tipo e fu lì che nacque ufficialmente il Movimento Giovanile Salesiano (MGS). Poi un secondo Confronto Italiano nel 1995 ed ora, a 25 anni dall’indimenticabile Don Bosco ’88, il terzo Confronto MGS Italia. Il MGS è il movimento di tutti quei giovani che vivono la spiritualità giovanile salesiana nella loro quotidianità di animatori, studenti

e lavoratori e si impegnano nella società come buoni cristiani e onesti cittadini. Il cammino è scandito dall’ordinarietà della vita delle opere salesiane presenti su tutto il territorio delle sei Ispettorie italiane e dalla straordinarietà di eventi, come il Confronto 2013. La prima a sostegno e in preparazione dei secondi; ma anche momenti eccezionali che consentono di prendere decisioni importanti per l’agire quotidiano, consapevoli che l’oggi è il tempo in cui farsi santi!

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Il Rettor Maggiore, il 19 agosto 2011, incontrando i giovani del MGS Italia presenti in quei giorni a Madrid per la XXVI GMG, indicò l’Italia come custode e testimone dello Spirito di don Bosco e i giovani del MGS responsabili di costituire il nucleo storico del MGS, a cui il mondo guarda. In quei giorni, ai 1500 giovani radunati a Madrid, fu proposto di trovare occasioni di incontro per far crescere il Movimento in consapevolezza, unità e, sintetizzando con una parola, italianità.

La Consulta Nazionale del MGS Italia già a fine 2011 aveva messo in cantiere l’ipotesi di un grande evento nazionale. È dunque iniziato un cammino di avvicinamento fatto di formazione, riflessione e incontri significativi che hanno trasformato, come era nelle intenzioni, la semplice organizzazione di un evento in un processo condiviso, dove più importante ancora del risultato finale è il modo in cui ci si arriva: insieme. Il Confronto MGS Italia è dunque iniziato molto tempo prima del 10 agosto 2013. Momento fondamentale di questo processo è stato il Workshop MGS Italia organizzato a Torino dal 23 al 25 novembre 2012. In quei giorni, di studio e azione, circa 100 animatori di tutte le Ispettorie italiane hanno interagito sul tema della gioia, con una provocazione presa direttamente dalle parole del Rettor Maggiore: «la gioia è una cosa seria». Hanno iniziato a prendere forma i contenuti che avrebbero animato il Confronto di agosto 2013. Il modo della santità salesiana è proprio l’allegria, manifestazione

di una gioia che ci è stata donata per sempre da Dio; un’allegria che vive di Sacramenti, che nasce da una vita di virtù concrete e accessibili; che si spende nel servizio e nell’apostolato; che si fonda sulla tensione vocazionale, al fine di garantire una solidità del cammino spirituale di ogni uomo e di ogni donna. In quei giorni si sono anche costituite le 7 équipe operative, a cui sono state affidate l’organizzazione dei contenuti, delle attività, della liturgia, della musica e dell’animazione del Confronto.

Agosto... il confronto Dal 10 al 16 agosto si è svolto il Confronto MGS Italia, di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo numero. 1200 giovani da tutta Italia riuniti sui luoghi salesiani come pellegrini e Testimoni della gioia. La parola “confronto” indica un esame comparato di due o più entità. Il Confronto MGS è, allora, un tempo di riflessione personale, di condivisione con altri, di conversione e riforma della propria vita. C’è la consapevolezza di andare contro corrente nel testimoniare la gioia della fede in Dio nonostante il potere delle mafie, la tratta delle persone, il disastro ambientale, il pensiero rivolto ai fratelli del Medio Oriente oppressi dalla guerra. Tutti i segni di questa crisi che ci avvolge, una crisi che è etica prima che economica. Tuttavia ci sentiamo, una volta di

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più, chiamati ad essere “sempre lieti nel Signore”. L’intero Confronto ha mosso i suoi passi da queste parole di San Paolo «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4). Un lungo pellegrinaggio attraverso Torino, Valdocco, Mornese, Chieri e Colle don Bosco; catechesi, lavori di gruppo, giochi, veglie di preghiere, Sante Messe, vita di comunità; l’incontro tra il Rettor Maggiore, la Madre Generale, superiore e superiori della Famiglia Salesiana, Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, esponenti della società civile e le migliaia di giovani presenti; la riflessione e la preghiera: elementi indispensabili e complementari di una settimana di grazia. A quasi duecento anni dalla nascita di don Bosco, il Confronto è un tempo prezioso, vissuto in luoghi santi in cui ciascuno può maturare la ferma volontà di vivere ogni giorno la spiritualità giovanile salesiana, per fare del MGS in Italia un vasto movimento di giovani testimoni della gioia. Più di mille giovani sono tornati alle loro case con un mandato preciso da vivere ogni giorno: «Donate gesti di amore e sarete generatori di vita. Siate testimoni di Gesù e seminerete gioia vera e duratura nella vostra esistenza e in quella di tanti giovani». (Suor Yvonne Reungoat Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice). Marco Lardino Segr. Naz. MGS redazione.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

DON BOSCO OGGI

Dall’evento al processo

1988, 1995, 2013... un cammino da testimoni della gioia! Un po’ di storia La prima volta che Torino ospitò un Confronto Italiano era il 1988, fu la prima grande convocazione di questo tipo e fu lì che nacque ufficialmente il Movimento Giovanile Salesiano (MGS). Poi un secondo Confronto Italiano nel 1995 ed ora, a 25 anni dall’indimenticabile Don Bosco ’88, il terzo Confronto MGS Italia. Il MGS è il movimento di tutti quei giovani che vivono la spiritualità giovanile salesiana nella loro quotidianità di animatori, studenti

e lavoratori e si impegnano nella società come buoni cristiani e onesti cittadini. Il cammino è scandito dall’ordinarietà della vita delle opere salesiane presenti su tutto il territorio delle sei Ispettorie italiane e dalla straordinarietà di eventi, come il Confronto 2013. La prima a sostegno e in preparazione dei secondi; ma anche momenti eccezionali che consentono di prendere decisioni importanti per l’agire quotidiano, consapevoli che l’oggi è il tempo in cui farsi santi!

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Il Rettor Maggiore, il 19 agosto 2011, incontrando i giovani del MGS Italia presenti in quei giorni a Madrid per la XXVI GMG, indicò l’Italia come custode e testimone dello Spirito di don Bosco e i giovani del MGS responsabili di costituire il nucleo storico del MGS, a cui il mondo guarda. In quei giorni, ai 1500 giovani radunati a Madrid, fu proposto di trovare occasioni di incontro per far crescere il Movimento in consapevolezza, unità e, sintetizzando con una parola, italianità.

La Consulta Nazionale del MGS Italia già a fine 2011 aveva messo in cantiere l’ipotesi di un grande evento nazionale. È dunque iniziato un cammino di avvicinamento fatto di formazione, riflessione e incontri significativi che hanno trasformato, come era nelle intenzioni, la semplice organizzazione di un evento in un processo condiviso, dove più importante ancora del risultato finale è il modo in cui ci si arriva: insieme. Il Confronto MGS Italia è dunque iniziato molto tempo prima del 10 agosto 2013. Momento fondamentale di questo processo è stato il Workshop MGS Italia organizzato a Torino dal 23 al 25 novembre 2012. In quei giorni, di studio e azione, circa 100 animatori di tutte le Ispettorie italiane hanno interagito sul tema della gioia, con una provocazione presa direttamente dalle parole del Rettor Maggiore: «la gioia è una cosa seria». Hanno iniziato a prendere forma i contenuti che avrebbero animato il Confronto di agosto 2013. Il modo della santità salesiana è proprio l’allegria, manifestazione

di una gioia che ci è stata donata per sempre da Dio; un’allegria che vive di Sacramenti, che nasce da una vita di virtù concrete e accessibili; che si spende nel servizio e nell’apostolato; che si fonda sulla tensione vocazionale, al fine di garantire una solidità del cammino spirituale di ogni uomo e di ogni donna. In quei giorni si sono anche costituite le 7 équipe operative, a cui sono state affidate l’organizzazione dei contenuti, delle attività, della liturgia, della musica e dell’animazione del Confronto.

Agosto... il confronto Dal 10 al 16 agosto si è svolto il Confronto MGS Italia, di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo numero. 1200 giovani da tutta Italia riuniti sui luoghi salesiani come pellegrini e Testimoni della gioia. La parola “confronto” indica un esame comparato di due o più entità. Il Confronto MGS è, allora, un tempo di riflessione personale, di condivisione con altri, di conversione e riforma della propria vita. C’è la consapevolezza di andare contro corrente nel testimoniare la gioia della fede in Dio nonostante il potere delle mafie, la tratta delle persone, il disastro ambientale, il pensiero rivolto ai fratelli del Medio Oriente oppressi dalla guerra. Tutti i segni di questa crisi che ci avvolge, una crisi che è etica prima che economica. Tuttavia ci sentiamo, una volta di

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più, chiamati ad essere “sempre lieti nel Signore”. L’intero Confronto ha mosso i suoi passi da queste parole di San Paolo «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4). Un lungo pellegrinaggio attraverso Torino, Valdocco, Mornese, Chieri e Colle don Bosco; catechesi, lavori di gruppo, giochi, veglie di preghiere, Sante Messe, vita di comunità; l’incontro tra il Rettor Maggiore, la Madre Generale, superiore e superiori della Famiglia Salesiana, Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, esponenti della società civile e le migliaia di giovani presenti; la riflessione e la preghiera: elementi indispensabili e complementari di una settimana di grazia. A quasi duecento anni dalla nascita di don Bosco, il Confronto è un tempo prezioso, vissuto in luoghi santi in cui ciascuno può maturare la ferma volontà di vivere ogni giorno la spiritualità giovanile salesiana, per fare del MGS in Italia un vasto movimento di giovani testimoni della gioia. Più di mille giovani sono tornati alle loro case con un mandato preciso da vivere ogni giorno: «Donate gesti di amore e sarete generatori di vita. Siate testimoni di Gesù e seminerete gioia vera e duratura nella vostra esistenza e in quella di tanti giovani». (Suor Yvonne Reungoat Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice). Marco Lardino Segr. Naz. MGS redazione.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

DON BOSCO OGGI

Don Bosco e i salesiani Per don Bosco i salesiani devono essere persone innamorate di Dio, a servizio dei giovani “in maniche di camicia”, nel pieno possesso dei loro diritti e liberi da qualsiasi “manomorta” civile o religiosa. In occasione del bicentenario della nascita del fondatore della Società di San Francesco di Sales, e cofondatore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sarebbe auspicabile riprendere a studiare a fondo la prima ed autentica intuizione che don Bosco elabora della vita religiosa. Trovatosi a vivere durante un periodo storico profondamente condizionato da un feroce anticlericalismo a sfondo liberale, il giovane prete piemontese viene spinto ad elaborare un concetto di consacrazione religiosa che suona originale, inedito e rivoluzionario sotto molti punti di vista.

la semplice promessa con i voti riconosciuti dalla Chiesa. Don Bosco, a modo suo, segue l’indicazione pontificia cercando di salvare una certa fluidità e labilità dei voti. I suoi salesiani si impegnano con semplici voti temporanei e possono essere affiliati come esterni rimanendo salesiani “nel secolo” e promettendo semplicemente di impegnarsi a favore delle opere salesiane in proporzione alle proprie possibilità. Nel settembre 1863 così precisa la sua idea al vicario capitolare di Torino: «Mio scopo è di stabilire una società che mentre in faccia alle autorità governative conserva tutti i diritti civili nei suoi individui, in faccia alla Chiesa costituisca un vero corpo morale». Nel 1869 ottiene il decreto di approvazione pontificia ed alla richiesta di chiarimenti, da parte del procuratore del Re, nel mese di giugno dello stesso 1869 scrive: «I membri della Società Salesiana se vogliono possono stare alle case loro e prestare l’opera loro per togliere dalle strade e dalle piazze i poveri ragazzi, a fine di avviarli alla moralità, a qualche arte o mestiere». Questo è lo spirito che anima il 18 dicembre 1859 alcuni chierici ed il sacerdote don Alasonatti a dare vita, sotto la guida di don Bosco, alla Società di San Francesco di Sales. L’approvazione della Società è del 1° marzo 1869. Quella delle Costituzioni risale al 3 aprile 1874, ma per ottenerla don Bosco è costretto ad accettare alcuni compromessi che non fanno parte del suo primo progetto di vita salesiana.

La figura di Urbano Rattazzi © Nino Musio

Nel concepire questo progetto riceve degli utili inputs da un abile e fine politico di allora, Urbano Rattazzi. Si tratta di un arrabbiato anticlericale, dotato di fine intuito, che vede in don Bosco non solo un prete, ma anche un uomo completamente dedito alla missione di educare la gioventù senza alcuna ombra di quel pesante ed asfissiante clericalismo che impregna la vita di quel tempo. È lui a suggerirgli le giuste dritte per sfuggire a tutte le tagliole delle leggi del Regno Sabaudo. Fondare una nuova congregazione rivestita del crisma della tradizione è pura follia. Che fare? Le relazioni tra Stato Pontificio e Regno d’Italia sono tesissime e sfociano nel non expedit di Pio IX nel 1874 che vieta qualsiasi partecipazione dei cattolici alla vita politica. Il 7 luglio 1866 una legge sopprime tutte le corporazioni religiose. Don Bosco si ritrova con molte opere intestate a suo nome e con pochi collaboratori di cui fidarsi. Nel recente passato è stato abbandonato da ottimi aiutanti quali il teo-

logo Rossi, il teologo Roberto Murialdo, il teologo Chiatellino che pensano di dedicarsi ad altre attività pastorali. In un primo momento, attorno agli anni 1860, per sfuggire alle leggi anticlericali ed assicurarsi dei collaboratori, il santo educatore pensa ad una specie di società segreta e laicale «onde non possono certi malvagi appellarla, nel loro gergo di modo, un ritrovato pretesco della bottega» (Memorie Biografiche IV, 172). Privato e segreto è il primo piccolo gruppo di salesiani nel 1854: l’adesione è libera con semplice promessa privata e senza obbligo di coabitazione. Ma come giustificare questo di fronte all’autorità civile e religiosa? Mentre si dibatte

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tra questi interrogativi, provvidenziale arriva nel 1857 il suggerimento di Rattazzi: no a una nuova Congregazione religiosa, sì ad una Società in cui ogni membro conservi in pienezza i propri diritti civili, si assoggetti alle leggi dello Stato, paghi le imposte... Si tratta di dare vita ad una Società che agli occhi sospettosi dello Stato risulti essere una libera associazione di liberi cittadini che collaborano a scopo di beneficenza, legati tra loro da una semplice promessa.

La proposta di Pio IX Nel 1858 Pio IX, a proposito di questo progetto, lo accoglie benevolmente e suggerisce di sostituire

Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

DON BOSCO OGGI

Don Bosco e i salesiani Per don Bosco i salesiani devono essere persone innamorate di Dio, a servizio dei giovani “in maniche di camicia”, nel pieno possesso dei loro diritti e liberi da qualsiasi “manomorta” civile o religiosa. In occasione del bicentenario della nascita del fondatore della Società di San Francesco di Sales, e cofondatore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sarebbe auspicabile riprendere a studiare a fondo la prima ed autentica intuizione che don Bosco elabora della vita religiosa. Trovatosi a vivere durante un periodo storico profondamente condizionato da un feroce anticlericalismo a sfondo liberale, il giovane prete piemontese viene spinto ad elaborare un concetto di consacrazione religiosa che suona originale, inedito e rivoluzionario sotto molti punti di vista.

la semplice promessa con i voti riconosciuti dalla Chiesa. Don Bosco, a modo suo, segue l’indicazione pontificia cercando di salvare una certa fluidità e labilità dei voti. I suoi salesiani si impegnano con semplici voti temporanei e possono essere affiliati come esterni rimanendo salesiani “nel secolo” e promettendo semplicemente di impegnarsi a favore delle opere salesiane in proporzione alle proprie possibilità. Nel settembre 1863 così precisa la sua idea al vicario capitolare di Torino: «Mio scopo è di stabilire una società che mentre in faccia alle autorità governative conserva tutti i diritti civili nei suoi individui, in faccia alla Chiesa costituisca un vero corpo morale». Nel 1869 ottiene il decreto di approvazione pontificia ed alla richiesta di chiarimenti, da parte del procuratore del Re, nel mese di giugno dello stesso 1869 scrive: «I membri della Società Salesiana se vogliono possono stare alle case loro e prestare l’opera loro per togliere dalle strade e dalle piazze i poveri ragazzi, a fine di avviarli alla moralità, a qualche arte o mestiere». Questo è lo spirito che anima il 18 dicembre 1859 alcuni chierici ed il sacerdote don Alasonatti a dare vita, sotto la guida di don Bosco, alla Società di San Francesco di Sales. L’approvazione della Società è del 1° marzo 1869. Quella delle Costituzioni risale al 3 aprile 1874, ma per ottenerla don Bosco è costretto ad accettare alcuni compromessi che non fanno parte del suo primo progetto di vita salesiana.

La figura di Urbano Rattazzi © Nino Musio

Nel concepire questo progetto riceve degli utili inputs da un abile e fine politico di allora, Urbano Rattazzi. Si tratta di un arrabbiato anticlericale, dotato di fine intuito, che vede in don Bosco non solo un prete, ma anche un uomo completamente dedito alla missione di educare la gioventù senza alcuna ombra di quel pesante ed asfissiante clericalismo che impregna la vita di quel tempo. È lui a suggerirgli le giuste dritte per sfuggire a tutte le tagliole delle leggi del Regno Sabaudo. Fondare una nuova congregazione rivestita del crisma della tradizione è pura follia. Che fare? Le relazioni tra Stato Pontificio e Regno d’Italia sono tesissime e sfociano nel non expedit di Pio IX nel 1874 che vieta qualsiasi partecipazione dei cattolici alla vita politica. Il 7 luglio 1866 una legge sopprime tutte le corporazioni religiose. Don Bosco si ritrova con molte opere intestate a suo nome e con pochi collaboratori di cui fidarsi. Nel recente passato è stato abbandonato da ottimi aiutanti quali il teo-

logo Rossi, il teologo Roberto Murialdo, il teologo Chiatellino che pensano di dedicarsi ad altre attività pastorali. In un primo momento, attorno agli anni 1860, per sfuggire alle leggi anticlericali ed assicurarsi dei collaboratori, il santo educatore pensa ad una specie di società segreta e laicale «onde non possono certi malvagi appellarla, nel loro gergo di modo, un ritrovato pretesco della bottega» (Memorie Biografiche IV, 172). Privato e segreto è il primo piccolo gruppo di salesiani nel 1854: l’adesione è libera con semplice promessa privata e senza obbligo di coabitazione. Ma come giustificare questo di fronte all’autorità civile e religiosa? Mentre si dibatte

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tra questi interrogativi, provvidenziale arriva nel 1857 il suggerimento di Rattazzi: no a una nuova Congregazione religiosa, sì ad una Società in cui ogni membro conservi in pienezza i propri diritti civili, si assoggetti alle leggi dello Stato, paghi le imposte... Si tratta di dare vita ad una Società che agli occhi sospettosi dello Stato risulti essere una libera associazione di liberi cittadini che collaborano a scopo di beneficenza, legati tra loro da una semplice promessa.

La proposta di Pio IX Nel 1858 Pio IX, a proposito di questo progetto, lo accoglie benevolmente e suggerisce di sostituire

Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

DON BOSCO OGGI

Maria

otre della Nuova Alleanza Maria ci esorta ad avvicinarci al suo Cuore Immacolato perché possiamo accogliere la grazia di Cristo suo Figlio. Maria è “l’otre” che custodisce il vino della Nuova Alleanza e ci invita a partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello. Maria ci introduce nella novità del vangelo e nell’amore sorprendente di Dio. Dio è libero, è generoso, e noi dobbiamo accettare questa generosità stupenda e sconcertante, che si diverte, per così dire, a fare ciò che nessuno si aspetta. Veramente «ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote»: chi pensava di aver diritto alla grazia divina non l’ha ricevuta, mentre essa si è riversata su chi non accampava diritto alcuno. Dobbiamo proprio abbandonare le nostre categorie mentali di meriti, di diritti, per aprirci in semplicità e umiltà alla novità della grazia. E un lavoro sempre da ricominciare, perché sempre ricadiamo nella piccola logica della nostra mente: siamo fedeli, quindi meritiamo la grazia, Dio deve darci qualche cosa. Dio invece non si lascia imprigionare nella logica umana. Il dramma che viviamo è che spesso vaghiamo senza meta, che non sappiamo dare vere ragioni

di vita e di futuro alle nuove generazioni, che preferiamo restare legati alle nostre piccole sicurezze, e soprattutto che non ci decidiamo per Dio e per il suo Regno, vivendo un’esistenza all’insegna della mediocrità e della tiepidezza. Da soli ci perdiamo, da soli tutto si disperde, da soli tutto si strappa e va in rovina. Maria ci aiuta a custodire e a maturare il dono di Dio che è in noi. Attraverso il suo cuore di Madre l’opera della redenzione trova piena accoglienza, ci liberiamo da ogni compromesso col peccato e ci rendiamo disponibili al disegno del Padre. Saremo così apostoli gioiosi dell’Amore di Dio che è Padre, che vuole la salvezza di tutti i suoi figli e che sempre ci sorprende con il suo amore misericordioso. Ritornano alla memoria le parole di san Domenico Savio con le quali l’8 dicembre 1854, giorno della solenne proclamazione del dogma dell’Immacolata, si affidò a Maria: «Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà, fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere anche un solo peccato». Pierluigi Cameroni SDB Animatore Spirituale pcameroni@sdb.org

cronaca ADMA Spagna - VIII Congresso Nazionale di Maria Ausiliatrice Dal 31 maggio al 2 giugno a Saragozza si è svolto, con la partecipazione di circa 500 membri della Famiglia Salesiana, l’VIII Congresso Nazionale di Maria Ausiliatrice della Spagna dal mot-

Da sinistra. Sr. Maria Dolores Ruiz, Relatrice (a destra). Sr Maria Luisa Miranda, Relatrice (a destra). Mons. Manuel Ureña Pastor, Arcivescovo di Saragozza, saluta la rappresentanza dell’ADMA Primaria.

estra della fede per i discepoli di oggi e di ieri: «Dobbiamo vivere e comunicare la fede come Maria». Antonio Maria Calero, SDB, membro della Pontificia Accademia Mariana Internazionale e della Società Mariologica Spagnola, con il tema Maria pellegrina della fede alla luce del Concilio Vaticano II, ha presentato Maria alla luce della teologia nata dall’evento conciliare, mostrando l’attualità del titolo di “Ausiliatrice”, secondo una prospettiva aperta e missionaria.

Maria Luisa Miranda, FMA, Consigliera Generale per l’ambito della Famiglia Salesiana, con il tema Maria Maestra e educatrice della nostra fede, una stella nella notte del deserto ha presentato i tratti fondamentali della pedagogia e della spiritualità salesiane alla luce della Nuova Evangelizzazione, invitando a uscire da noi stessi per andare all’incontro con gli altri. Pierluigi Cameroni, SDB, Animatore spirituale mondiale dell’ADMA, ha proposto una rilettura della

La Virgen del Pilar

L’Assemblea dei convegnisti

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

www.admadonbosco.org

to: “Maria Maestra della fede. Con Lei evangelizziamo educando”. Durante il Congresso si è riflettuto sulla presenza e il contributo di Maria all’educazione della fede, per attualizzare, con fedeltà creativa, il compito di evangelizzazione del mondo di oggi, a 50 anni dalla conclusione del Con-

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Carta d’identità carismatica della Famiglia Salesiana per i soci e i gruppi ADMA. Il Congresso si è concluso domenica 2 giugno, festa del Corpus Domini, con la celebrazione eucaristica nella Basilica Santuario di Nostra Signora del Pilar, luogo di grazia che ricorda come Maria fin dagli inizi è presente nella Chiesa a sostenere e rinnovare l’impegno dell’evangelizzazione, aiutando a vincere ogni tristezza e delusione. Lei Virgen del Pilar è per noi “Luz hermosa, claro día”.

cilio Vaticano II. Il tema è stato affrontato da diverse prospettive. Maria Dolores Ruiz, FMA, Dottore in Teologia biblica ha presentato Maria maestra della fede secondo la Sacra Scrittura: Maria donna di fede, ebrea e prima cristiana, educatrice attenta, sotto il cui sguardo crebbe Gesù. Ma-

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Maria

otre della Nuova Alleanza Maria ci esorta ad avvicinarci al suo Cuore Immacolato perché possiamo accogliere la grazia di Cristo suo Figlio. Maria è “l’otre” che custodisce il vino della Nuova Alleanza e ci invita a partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello. Maria ci introduce nella novità del vangelo e nell’amore sorprendente di Dio. Dio è libero, è generoso, e noi dobbiamo accettare questa generosità stupenda e sconcertante, che si diverte, per così dire, a fare ciò che nessuno si aspetta. Veramente «ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote»: chi pensava di aver diritto alla grazia divina non l’ha ricevuta, mentre essa si è riversata su chi non accampava diritto alcuno. Dobbiamo proprio abbandonare le nostre categorie mentali di meriti, di diritti, per aprirci in semplicità e umiltà alla novità della grazia. E un lavoro sempre da ricominciare, perché sempre ricadiamo nella piccola logica della nostra mente: siamo fedeli, quindi meritiamo la grazia, Dio deve darci qualche cosa. Dio invece non si lascia imprigionare nella logica umana. Il dramma che viviamo è che spesso vaghiamo senza meta, che non sappiamo dare vere ragioni

di vita e di futuro alle nuove generazioni, che preferiamo restare legati alle nostre piccole sicurezze, e soprattutto che non ci decidiamo per Dio e per il suo Regno, vivendo un’esistenza all’insegna della mediocrità e della tiepidezza. Da soli ci perdiamo, da soli tutto si disperde, da soli tutto si strappa e va in rovina. Maria ci aiuta a custodire e a maturare il dono di Dio che è in noi. Attraverso il suo cuore di Madre l’opera della redenzione trova piena accoglienza, ci liberiamo da ogni compromesso col peccato e ci rendiamo disponibili al disegno del Padre. Saremo così apostoli gioiosi dell’Amore di Dio che è Padre, che vuole la salvezza di tutti i suoi figli e che sempre ci sorprende con il suo amore misericordioso. Ritornano alla memoria le parole di san Domenico Savio con le quali l’8 dicembre 1854, giorno della solenne proclamazione del dogma dell’Immacolata, si affidò a Maria: «Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà, fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere anche un solo peccato». Pierluigi Cameroni SDB Animatore Spirituale pcameroni@sdb.org

cronaca ADMA Spagna - VIII Congresso Nazionale di Maria Ausiliatrice Dal 31 maggio al 2 giugno a Saragozza si è svolto, con la partecipazione di circa 500 membri della Famiglia Salesiana, l’VIII Congresso Nazionale di Maria Ausiliatrice della Spagna dal mot-

Da sinistra. Sr. Maria Dolores Ruiz, Relatrice (a destra). Sr Maria Luisa Miranda, Relatrice (a destra). Mons. Manuel Ureña Pastor, Arcivescovo di Saragozza, saluta la rappresentanza dell’ADMA Primaria.

estra della fede per i discepoli di oggi e di ieri: «Dobbiamo vivere e comunicare la fede come Maria». Antonio Maria Calero, SDB, membro della Pontificia Accademia Mariana Internazionale e della Società Mariologica Spagnola, con il tema Maria pellegrina della fede alla luce del Concilio Vaticano II, ha presentato Maria alla luce della teologia nata dall’evento conciliare, mostrando l’attualità del titolo di “Ausiliatrice”, secondo una prospettiva aperta e missionaria.

Maria Luisa Miranda, FMA, Consigliera Generale per l’ambito della Famiglia Salesiana, con il tema Maria Maestra e educatrice della nostra fede, una stella nella notte del deserto ha presentato i tratti fondamentali della pedagogia e della spiritualità salesiane alla luce della Nuova Evangelizzazione, invitando a uscire da noi stessi per andare all’incontro con gli altri. Pierluigi Cameroni, SDB, Animatore spirituale mondiale dell’ADMA, ha proposto una rilettura della

La Virgen del Pilar

L’Assemblea dei convegnisti

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

www.admadonbosco.org

to: “Maria Maestra della fede. Con Lei evangelizziamo educando”. Durante il Congresso si è riflettuto sulla presenza e il contributo di Maria all’educazione della fede, per attualizzare, con fedeltà creativa, il compito di evangelizzazione del mondo di oggi, a 50 anni dalla conclusione del Con-

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Carta d’identità carismatica della Famiglia Salesiana per i soci e i gruppi ADMA. Il Congresso si è concluso domenica 2 giugno, festa del Corpus Domini, con la celebrazione eucaristica nella Basilica Santuario di Nostra Signora del Pilar, luogo di grazia che ricorda come Maria fin dagli inizi è presente nella Chiesa a sostenere e rinnovare l’impegno dell’evangelizzazione, aiutando a vincere ogni tristezza e delusione. Lei Virgen del Pilar è per noi “Luz hermosa, claro día”.

cilio Vaticano II. Il tema è stato affrontato da diverse prospettive. Maria Dolores Ruiz, FMA, Dottore in Teologia biblica ha presentato Maria maestra della fede secondo la Sacra Scrittura: Maria donna di fede, ebrea e prima cristiana, educatrice attenta, sotto il cui sguardo crebbe Gesù. Ma-

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DON BOSCO OGGI

esperienze

La polenta concia di Oropa Un piatto caldo e...unico dei pascoli alpini Situato ai piedi del Mucrone, in epoca preromana luogo di culto della dea Epa o Epona, cui dovrebbe il nome, il sacro monte di Oropa è il luogo di culto mariano più famoso dell’arco alpino. Celebre la sua Madonna Nera, secondo la tradizione trasportata in Italia da sant’Eusebio, nel IV secolo, e collocata in un’umile cappella, poi inglobata in una chiesetta costruita nel XIII secolo. L’effigie, divenuta oggetto di devozione popolare per le sue proprietà taumaturgiche, ebbe il merito di salvare il Biellese dalle tre epidemie di peste che tra il XIV e il XVII secolo rischiarono di decimare la popolazione alpina. Grati alla Vergine Nera, i valligiani vollero edificarle un grandioso santuario. Sorse così la Basilica Antica, la cui costruzione, iniziata dopo il 1620, nei secoli successivi fu ampliata e abbellita rispetto al progetto originario. Nel secondo Ottocento, grazie al generoso intervento dei Savoia, fu progettata la chiesa nuova, la cui costruzione si protrasse con alterne vicende per circa un secolo, e fu definitivamente completata nel 1960. Accanto al santuario sorse e fu ampliato nel tempo un grandioso complesso destinato ad ospitare i pellegrini, capace di offrire trecento posti letto. Alla seconda metà del secolo XVII risale anche il progetto di costruzione del Sacro monte, che oggi conta 19 cappelle, dodici delle quali rappresentano episodi di vita della Vergine. Considerata il “catino” delle Alpi Pennine per le frequenti e abbondanti piogge, Oropa ha elaborato per i pellegrini ricette altamente caloriche come quella della polenta concia. Eccola: 500 g di farina di mais (o una confezione di polenta precotta), 2 litri di acqua, 100 g di fontina, 100 g di toma di Oropa, 100 g di gorgonzola, 50 g di burro, 50 g di parmigiano grattugiato.

Il doposviluppo è già qui Non c’è cosa peggiore di una società della crescita senza crescita.

Marco Revelli, storico e sociologo

Cuocere in acqua salata la polenta precotta o la farina di mais. A metà cottura aggiungere, mescolando, i formaggi affettati, il burro e il parmigiano. N.B: Attenti al colesterolo!!! Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

• 500 g di farina di mais • 2 litri di acqua • 100 gr di fontina • 100 gr di burro • 50 g di parmigiano grattuggiato

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«A proposito di crisi: crescere o decrescere?». Questo il dilemma su cui il 5 giugno scorso, alla Fabbrica delle E - Gruppo Abele a Torino, si sono confrontati Serge Latouche, economista e filosofo di fama internazionale, Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana e volto di Rai3, e Marco Revelli, storico e sociologo all’Università del Piemonte Orientale. Tra i padri fondatori del Movimento per la decrescita, Latouche mette al centro della sua analisi la critica radicale della nozione di sviluppo economico e, di conseguenza, si oppone al capitalismo

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e alla globalizzazione, «che non è altro che il trionfo planetario del mercato. L’economia dev’essere rimessa al suo posto, come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo». A dire il vero qualcuno ha tentato di scongiurare gli effetti negativi dello sviluppo economico fine a se stesso affiancandogli l’idea della “sostenibilità”, pensando di aggiungere un risvolto sociale o ecologico alla crescita economica, «ma è solo un modo di cambiare le parole anziché le cose: rappresenta un tentativo estremo di far sopravvivere lo sviluppo illimitato, facendo credere che da esso


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La polenta concia di Oropa Un piatto caldo e...unico dei pascoli alpini Situato ai piedi del Mucrone, in epoca preromana luogo di culto della dea Epa o Epona, cui dovrebbe il nome, il sacro monte di Oropa è il luogo di culto mariano più famoso dell’arco alpino. Celebre la sua Madonna Nera, secondo la tradizione trasportata in Italia da sant’Eusebio, nel IV secolo, e collocata in un’umile cappella, poi inglobata in una chiesetta costruita nel XIII secolo. L’effigie, divenuta oggetto di devozione popolare per le sue proprietà taumaturgiche, ebbe il merito di salvare il Biellese dalle tre epidemie di peste che tra il XIV e il XVII secolo rischiarono di decimare la popolazione alpina. Grati alla Vergine Nera, i valligiani vollero edificarle un grandioso santuario. Sorse così la Basilica Antica, la cui costruzione, iniziata dopo il 1620, nei secoli successivi fu ampliata e abbellita rispetto al progetto originario. Nel secondo Ottocento, grazie al generoso intervento dei Savoia, fu progettata la chiesa nuova, la cui costruzione si protrasse con alterne vicende per circa un secolo, e fu definitivamente completata nel 1960. Accanto al santuario sorse e fu ampliato nel tempo un grandioso complesso destinato ad ospitare i pellegrini, capace di offrire trecento posti letto. Alla seconda metà del secolo XVII risale anche il progetto di costruzione del Sacro monte, che oggi conta 19 cappelle, dodici delle quali rappresentano episodi di vita della Vergine. Considerata il “catino” delle Alpi Pennine per le frequenti e abbondanti piogge, Oropa ha elaborato per i pellegrini ricette altamente caloriche come quella della polenta concia. Eccola: 500 g di farina di mais (o una confezione di polenta precotta), 2 litri di acqua, 100 g di fontina, 100 g di toma di Oropa, 100 g di gorgonzola, 50 g di burro, 50 g di parmigiano grattugiato.

Il doposviluppo è già qui Non c’è cosa peggiore di una società della crescita senza crescita.

Marco Revelli, storico e sociologo

Cuocere in acqua salata la polenta precotta o la farina di mais. A metà cottura aggiungere, mescolando, i formaggi affettati, il burro e il parmigiano. N.B: Attenti al colesterolo!!! Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

• 500 g di farina di mais • 2 litri di acqua • 100 gr di fontina • 100 gr di burro • 50 g di parmigiano grattuggiato

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«A proposito di crisi: crescere o decrescere?». Questo il dilemma su cui il 5 giugno scorso, alla Fabbrica delle E - Gruppo Abele a Torino, si sono confrontati Serge Latouche, economista e filosofo di fama internazionale, Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana e volto di Rai3, e Marco Revelli, storico e sociologo all’Università del Piemonte Orientale. Tra i padri fondatori del Movimento per la decrescita, Latouche mette al centro della sua analisi la critica radicale della nozione di sviluppo economico e, di conseguenza, si oppone al capitalismo

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e alla globalizzazione, «che non è altro che il trionfo planetario del mercato. L’economia dev’essere rimessa al suo posto, come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo». A dire il vero qualcuno ha tentato di scongiurare gli effetti negativi dello sviluppo economico fine a se stesso affiancandogli l’idea della “sostenibilità”, pensando di aggiungere un risvolto sociale o ecologico alla crescita economica, «ma è solo un modo di cambiare le parole anziché le cose: rappresenta un tentativo estremo di far sopravvivere lo sviluppo illimitato, facendo credere che da esso


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esperienze

Serge Latouche, economista e filosofo

tà nel disordine, con riferimento alla disoccupazione e all’abbandono del welfare state. Allo stesso modo non c’è cosa peggiore di una società della crescita senza crescita». La decrescita, puntualizza, «è comunque solo una proposta: nessuno ha la certezza del risultato ma, dato il fallimento del paradigma opposto, vale la pena tentare».

Fermi agli anni Settanta dipenda il benessere dei popoli». I numerosi studi di Latouche evidenziano, invece, che i principali problemi ambientali e sociali del nostro tempo sono dovuti alla crescita e ai suoi effetti collaterali. Di qui l’urgenza di una strategia di decrescita, incentrata sulla sobrietà.

I dati relativi alle nazioni occidentali dimostrano che la crescita si è fermata già negli anni Settanta: «Vediamo i primi effetti oggi», spiega Latouche, «ma è un po’ come per le stelle, che si

Sottosviluppo e crisi «Parlare di doposviluppo», aggiunge Latouche, «non è soltanto lasciar correre l’immaginazione su ciò che potrebbe accadere in caso di implosione del sistema. È parlare della situazione di coloro che attualmente, al Nord come al Sud, sono esclusi o sono in procinto di diventarlo, di tutti coloro, dunque, per i quali il progresso è un’ingiuria e un’ingiustizia, e che sono indubbiamente i più numerosi sulla faccia della Terra. Il doposviluppo si delinea già tra noi». Si sa, ammette Latouche, che «il semplice rallentamento della crescita sprofonda le nostre socie-

sono spente milioni di anni fa e noi, però, continuiamo a vederle». Così non c’è da stupirsi se il governatore della Banca d’Italia dichiara pubblicamente che l’Italia non è stata capace «di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni» (Il Sole 24 Ore, 31 maggio), aggiungendo che «il Pil del 2012 è inferiore del 7% rispetto al 2007; mentre negli stessi anni il reddito disponibile delle famiglie è calato di oltre il 9% e la produzione industriale del 25%». Dati raccapriccianti, se si sommano al fatto che quasi quattro giovani attivi su dieci non hanno un lavoro. Banchieri e imprenditori puntano

il dito contro la politica, perché finora ha dato risposte inadeguate: a destra come a sinistra. Secondo Latouche «il massimo dell’aberrazione si ha in Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, «che ha coniato addirittura un nuovo termine: “rilance”, un misto di rigueur e relance. Ma il rigore è un’impostura masochista e il rilancio è idiota, perché il pianeta non regge più».

L’alternativa vera Per Revelli «oggi l’alternativa vera non è tra chi vuole lo sviluppo economico e chi sostiene la decrescita, ma tra la decrescita subita e la decrescita pilotata. La “macchina” attuale non ha futu-

ro e chi la guida lo sa bene. Una prova? All’indomani delle ultime elezioni politiche in Italia, i mercati hanno reagito malissimo per scarsa fiducia nel risultato elettorale. Il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, è riuscito a contenere i danni dichiarando pubblicamente che il processo italiano delle riforme continua perché è stato inserito “il pilota automatico”. Come dire: il risultato elettorale conta poco, perché il sistema è manovrato da oligarchie invisibili». A questo punto chi legge si domanderà: ma questi sono tutti fanatici o solo allarmisti esagerati? «A chi mi dà del catastrofista», risponde Mercalli, «in genere ribatto che l’amico che ti avverte di un buco nel quale stai per cadere viene ringraziato. Il problema è che qui il buco ancora non si vede, grazie alla lentezza evolutiva del sistema Terra, ma una volta raggiunto, impareremo tutti, senza conferenze». Peraltro la propaganda degli “interessi costituiti” è violenta e subdola: secondo Mercalli il Corriere della Sera del 5 giugno, Giornata mondiale della Terra, ha offerto un esempio lampante. «Il clima cambia, niente panico», si legge nell’articolo: «le soluzioni migliori per l’ambiente stanno nella crescita economica».

Scienziati frustrati «Davanti a simili affermazioni il mondo scientifico si sente frustrato», commenta il meteorologo. «E a poco valgono appelli

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come quello pubblicato dal prof. James H. Brown Barnosky dell’Università di Berkeley il 31 maggio scorso e sottoscritto da centinaia di colleghi in tutto il mondo: il documento lancia l’allarme affinché i politici intraprendano strade nuove». Purtroppo, chiosa Revelli, «la storia insegna che l’umanità ha compreso la lezione solo dopo catastrofi e orrori inimmaginabili, come Auschwitz o Hiroshima». Le immagini che scorrono ogni giorno nei nostri Tg confermano che dall’Egitto alla Svezia, dal Brasile alla Turchia i governi non sanno più come tenere in piedi un sistema ormai a «fine corsa». Il punto allora è: dobbiamo rassegnarci alla “pedagogia delle catastrofi” o c’è ancora modo di precederla? Lara Reale redazione.rivista@ausiliatrice.net

Luca Mercalli, meteorologo


settembre-ottobre 2013

esperienze

Serge Latouche, economista e filosofo

tà nel disordine, con riferimento alla disoccupazione e all’abbandono del welfare state. Allo stesso modo non c’è cosa peggiore di una società della crescita senza crescita». La decrescita, puntualizza, «è comunque solo una proposta: nessuno ha la certezza del risultato ma, dato il fallimento del paradigma opposto, vale la pena tentare».

Fermi agli anni Settanta dipenda il benessere dei popoli». I numerosi studi di Latouche evidenziano, invece, che i principali problemi ambientali e sociali del nostro tempo sono dovuti alla crescita e ai suoi effetti collaterali. Di qui l’urgenza di una strategia di decrescita, incentrata sulla sobrietà.

I dati relativi alle nazioni occidentali dimostrano che la crescita si è fermata già negli anni Settanta: «Vediamo i primi effetti oggi», spiega Latouche, «ma è un po’ come per le stelle, che si

Sottosviluppo e crisi «Parlare di doposviluppo», aggiunge Latouche, «non è soltanto lasciar correre l’immaginazione su ciò che potrebbe accadere in caso di implosione del sistema. È parlare della situazione di coloro che attualmente, al Nord come al Sud, sono esclusi o sono in procinto di diventarlo, di tutti coloro, dunque, per i quali il progresso è un’ingiuria e un’ingiustizia, e che sono indubbiamente i più numerosi sulla faccia della Terra. Il doposviluppo si delinea già tra noi». Si sa, ammette Latouche, che «il semplice rallentamento della crescita sprofonda le nostre socie-

sono spente milioni di anni fa e noi, però, continuiamo a vederle». Così non c’è da stupirsi se il governatore della Banca d’Italia dichiara pubblicamente che l’Italia non è stata capace «di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni» (Il Sole 24 Ore, 31 maggio), aggiungendo che «il Pil del 2012 è inferiore del 7% rispetto al 2007; mentre negli stessi anni il reddito disponibile delle famiglie è calato di oltre il 9% e la produzione industriale del 25%». Dati raccapriccianti, se si sommano al fatto che quasi quattro giovani attivi su dieci non hanno un lavoro. Banchieri e imprenditori puntano

il dito contro la politica, perché finora ha dato risposte inadeguate: a destra come a sinistra. Secondo Latouche «il massimo dell’aberrazione si ha in Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, «che ha coniato addirittura un nuovo termine: “rilance”, un misto di rigueur e relance. Ma il rigore è un’impostura masochista e il rilancio è idiota, perché il pianeta non regge più».

L’alternativa vera Per Revelli «oggi l’alternativa vera non è tra chi vuole lo sviluppo economico e chi sostiene la decrescita, ma tra la decrescita subita e la decrescita pilotata. La “macchina” attuale non ha futu-

ro e chi la guida lo sa bene. Una prova? All’indomani delle ultime elezioni politiche in Italia, i mercati hanno reagito malissimo per scarsa fiducia nel risultato elettorale. Il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, è riuscito a contenere i danni dichiarando pubblicamente che il processo italiano delle riforme continua perché è stato inserito “il pilota automatico”. Come dire: il risultato elettorale conta poco, perché il sistema è manovrato da oligarchie invisibili». A questo punto chi legge si domanderà: ma questi sono tutti fanatici o solo allarmisti esagerati? «A chi mi dà del catastrofista», risponde Mercalli, «in genere ribatto che l’amico che ti avverte di un buco nel quale stai per cadere viene ringraziato. Il problema è che qui il buco ancora non si vede, grazie alla lentezza evolutiva del sistema Terra, ma una volta raggiunto, impareremo tutti, senza conferenze». Peraltro la propaganda degli “interessi costituiti” è violenta e subdola: secondo Mercalli il Corriere della Sera del 5 giugno, Giornata mondiale della Terra, ha offerto un esempio lampante. «Il clima cambia, niente panico», si legge nell’articolo: «le soluzioni migliori per l’ambiente stanno nella crescita economica».

Scienziati frustrati «Davanti a simili affermazioni il mondo scientifico si sente frustrato», commenta il meteorologo. «E a poco valgono appelli

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come quello pubblicato dal prof. James H. Brown Barnosky dell’Università di Berkeley il 31 maggio scorso e sottoscritto da centinaia di colleghi in tutto il mondo: il documento lancia l’allarme affinché i politici intraprendano strade nuove». Purtroppo, chiosa Revelli, «la storia insegna che l’umanità ha compreso la lezione solo dopo catastrofi e orrori inimmaginabili, come Auschwitz o Hiroshima». Le immagini che scorrono ogni giorno nei nostri Tg confermano che dall’Egitto alla Svezia, dal Brasile alla Turchia i governi non sanno più come tenere in piedi un sistema ormai a «fine corsa». Il punto allora è: dobbiamo rassegnarci alla “pedagogia delle catastrofi” o c’è ancora modo di precederla? Lara Reale redazione.rivista@ausiliatrice.net

Luca Mercalli, meteorologo


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esperienze

Paritaria: scuola pubblica, ma non per tutti...

È proprio così. Nonostante la Costituzione Italiana (che afferma che «è diritto dello studente ad un trattamento equipollente indipendentemente dalla scuola frequentata») e la legge 62/2000, che ha sancito l’appartenenza delle scuole a gestione non statale al sistema integrato pubblico d’Istruzione, qualcosa o qualcuno le rende ancora “poco pubbliche”. Passano gli anni ma la questione “scuola paritaria” rimane irrisolta... tutto rimane immobile, a differenza di quanto succede nel resto d’Europa, ove il sistema scolastico pluralistico è realtà concreta ormai da decenni.

te spesso presentano notevoli differenze, ma permette di affermare che quanto chiedono i genitori in Italia, la concreta libertà di scelta scolastica, non si discosta dai diritti di cui le famiglie tranquillamente godono in altre parti del vecchio continente. Oggi, purtroppo, in Italia, questa libertà di accesso alla scuola paritaria è riservata solo più a due categorie di genitori: a chi possiede un reddito certo e medio-alto e a chi ritiene opportuno dover sacrificare altre spese (ferie, macchina nuova, ecc.) meno importanti per poter garantire l’istruzione più consona ai figli secondo i propri principi educativi. Ma sono sempre meno. La crisi economica, gli stipendi sempre più insufficienti, l’aumento delle tasse sulle famiglie, i costi intrinsechi alla scuola stanno scoraggiando anche i più convinti assertori che l’«Istruzione dei figli viene prima di tutto».

Accade in Europa... Francia, Germania, Austria, Olanda, Belgio, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania... Gran parte dei paesi Ocse finanzia il sistema scolastico non statale coprendo fra il 50 e l’80%, in Svezia si arriva al 93% (dati Ocse, rapporto Education at a Glance 2011). Analizzando il quadro europeo, quello che emerge non è un quadro omogeneo, le forme di sostegno economico adottate per sostenere finanziariamen-

Scelta solo economica? Ma è giusto che una nazione discrimini la scelta della scuola per i propri figli in base alle entrate famigliari? È giusto che i genitori italiani, stranieri, emigranti, debbano trovarsi di fronte al bivio della scelta e debbano rinunciare solo perché «se vuoi

46

scegliere devi pagare?» Che scelta è questa? E in che democrazia viviamo? Secondo un Dossier preparato nel 2006 e riaggiornato nel 2012, con dati forniti dal Ministero delle Finanze, la nostra Associazione di Genitori delle Scuole Cattoliche (tutte paritarie dall’anno 2000) ha dimostrato che la scelta delle famiglie per i propri figli (sono poco più di 1 milione e rappresentano il 12% della popolazione scolastica) fa risparmiare allo Stato italiano ogni anno 6 miliardi e 334 milioni. Con circa il 12% degli studenti, le scuole paritarie ricevono un finanziamento che è di 501 milioni di euro, inferiore all’1% del totale. Impressionante, poi, la differenza di spesa per allievo che lo Stato Italiano compie, per esempio, nella Scuola secondaria di 2° grado. La spesa annuale per allievo della statale è di 6.888 euro mentre per quello della non statale è di 44 euro... Queste cifre dimostrano alcune semplici verità: che l’impegno dello Stato nell’attuare i principi costituzionali della parità scolastica e dell’equipollenza di trattamento fra tutti gli studenti è inadeguato ed esiguo; che i tagli in questi anni hanno riguardato in misura forte anche la scuola non statale; che le campagne di disinformazione pubblica (vedi l’esempio del referendum di Bologna del maggio di quest’anno) sui finanziamenti alle scuole “private” a scapito della scuola statale sono assolutamente false; che gli istituti paritari, che svolgono un qualificato servizio pubblico, riescono a gestire le scarse risorse a disposizione con estrema efficienza, visto che le rette pagate dai genitori non raggiungono certo le cifre che lo Stato spende per ogni suo studente. Se oltre alla cifre fin qui esposte si aggiunge il fatto che gli alunni disabili nelle nostre scuole sono aumentati del 7% all’anno fra il 2004 ed il 2009 e che gli alunni stranieri sono cresciuti del 49%, appare evidente che il taglio delle risorse subìto dal sistema non profit paritario è ancora più pesante e che il suo mantenimento grava sempre di più sulle tasche delle famiglie e delle scuole.

L’AGESC ha incontrato papa Francesco il 18 maggio 2013. È stata l’occasione per chiedersi «quali passi si stanno facendo perché la fede orienti tutta l’esistenza. Non si è cristiani a tempo … si è cristiani in ogni momento».

Una ricerca svolta dall’Università di Genova unitamente al Politecnico di Milano (a cura della prof. Luisa Ribolzi e del prof. Tommaso Agasisti) ha dimostrato che un limitato incremento del finanziamento porterebbe lo Stato a risparmiare e a garantire maggior libertà di insegnamento e maggior libertà di scelta educativa. Pregiudizi ideologici a parte, un maggior pluralismo scolastico in Italia, come citato nel documento finale delle Settimane Sociali di Reggio Calabria 2009 dal prof. Luca Diotallevi, porterebbe ad un miglioramento complessivo del sistema di Istruzione e Formazione professionale nel nostro Paese. Siamo a tredici anni dall’approvazione della legge 62/2000 e il diritto alla libertà di educazione, nei fatti, non è ancora riconosciuto. Ho due figlie all’Università ed uno nella scuola secondaria, due nipoti alla scuola dell’infanzia... per questo ed altri motivi, non ultimo quello del bene comune, il tema della libertà di scelta educativa è sempre fra quelli che più hanno la capacità di mobilitarmi. Troppo grande è stato il dono ricevuto di una scuola che mi ha formato, ha accolto e istruito i miei figli amando il loro destino. E questo dono, pagato al prezzo di numerosi sacrifici, mi spinge ancora oggi ad impegnarmi perché alle famiglie italiane sia riconosciuto il diritto costituzionale alla libera scelta educativa.

Che cosa fare?

Roberto Gontero Presidente nazionale Agesc – Associazione genitori scuole cattoliche

Cosa fare per invertire questo stato di cose che sta costringendo alla rinuncia della scelta moltissime famiglie ed alla chiusura le scuole?

redazione.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

esperienze

Paritaria: scuola pubblica, ma non per tutti...

È proprio così. Nonostante la Costituzione Italiana (che afferma che «è diritto dello studente ad un trattamento equipollente indipendentemente dalla scuola frequentata») e la legge 62/2000, che ha sancito l’appartenenza delle scuole a gestione non statale al sistema integrato pubblico d’Istruzione, qualcosa o qualcuno le rende ancora “poco pubbliche”. Passano gli anni ma la questione “scuola paritaria” rimane irrisolta... tutto rimane immobile, a differenza di quanto succede nel resto d’Europa, ove il sistema scolastico pluralistico è realtà concreta ormai da decenni.

te spesso presentano notevoli differenze, ma permette di affermare che quanto chiedono i genitori in Italia, la concreta libertà di scelta scolastica, non si discosta dai diritti di cui le famiglie tranquillamente godono in altre parti del vecchio continente. Oggi, purtroppo, in Italia, questa libertà di accesso alla scuola paritaria è riservata solo più a due categorie di genitori: a chi possiede un reddito certo e medio-alto e a chi ritiene opportuno dover sacrificare altre spese (ferie, macchina nuova, ecc.) meno importanti per poter garantire l’istruzione più consona ai figli secondo i propri principi educativi. Ma sono sempre meno. La crisi economica, gli stipendi sempre più insufficienti, l’aumento delle tasse sulle famiglie, i costi intrinsechi alla scuola stanno scoraggiando anche i più convinti assertori che l’«Istruzione dei figli viene prima di tutto».

Accade in Europa... Francia, Germania, Austria, Olanda, Belgio, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania... Gran parte dei paesi Ocse finanzia il sistema scolastico non statale coprendo fra il 50 e l’80%, in Svezia si arriva al 93% (dati Ocse, rapporto Education at a Glance 2011). Analizzando il quadro europeo, quello che emerge non è un quadro omogeneo, le forme di sostegno economico adottate per sostenere finanziariamen-

Scelta solo economica? Ma è giusto che una nazione discrimini la scelta della scuola per i propri figli in base alle entrate famigliari? È giusto che i genitori italiani, stranieri, emigranti, debbano trovarsi di fronte al bivio della scelta e debbano rinunciare solo perché «se vuoi

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scegliere devi pagare?» Che scelta è questa? E in che democrazia viviamo? Secondo un Dossier preparato nel 2006 e riaggiornato nel 2012, con dati forniti dal Ministero delle Finanze, la nostra Associazione di Genitori delle Scuole Cattoliche (tutte paritarie dall’anno 2000) ha dimostrato che la scelta delle famiglie per i propri figli (sono poco più di 1 milione e rappresentano il 12% della popolazione scolastica) fa risparmiare allo Stato italiano ogni anno 6 miliardi e 334 milioni. Con circa il 12% degli studenti, le scuole paritarie ricevono un finanziamento che è di 501 milioni di euro, inferiore all’1% del totale. Impressionante, poi, la differenza di spesa per allievo che lo Stato Italiano compie, per esempio, nella Scuola secondaria di 2° grado. La spesa annuale per allievo della statale è di 6.888 euro mentre per quello della non statale è di 44 euro... Queste cifre dimostrano alcune semplici verità: che l’impegno dello Stato nell’attuare i principi costituzionali della parità scolastica e dell’equipollenza di trattamento fra tutti gli studenti è inadeguato ed esiguo; che i tagli in questi anni hanno riguardato in misura forte anche la scuola non statale; che le campagne di disinformazione pubblica (vedi l’esempio del referendum di Bologna del maggio di quest’anno) sui finanziamenti alle scuole “private” a scapito della scuola statale sono assolutamente false; che gli istituti paritari, che svolgono un qualificato servizio pubblico, riescono a gestire le scarse risorse a disposizione con estrema efficienza, visto che le rette pagate dai genitori non raggiungono certo le cifre che lo Stato spende per ogni suo studente. Se oltre alla cifre fin qui esposte si aggiunge il fatto che gli alunni disabili nelle nostre scuole sono aumentati del 7% all’anno fra il 2004 ed il 2009 e che gli alunni stranieri sono cresciuti del 49%, appare evidente che il taglio delle risorse subìto dal sistema non profit paritario è ancora più pesante e che il suo mantenimento grava sempre di più sulle tasche delle famiglie e delle scuole.

L’AGESC ha incontrato papa Francesco il 18 maggio 2013. È stata l’occasione per chiedersi «quali passi si stanno facendo perché la fede orienti tutta l’esistenza. Non si è cristiani a tempo … si è cristiani in ogni momento».

Una ricerca svolta dall’Università di Genova unitamente al Politecnico di Milano (a cura della prof. Luisa Ribolzi e del prof. Tommaso Agasisti) ha dimostrato che un limitato incremento del finanziamento porterebbe lo Stato a risparmiare e a garantire maggior libertà di insegnamento e maggior libertà di scelta educativa. Pregiudizi ideologici a parte, un maggior pluralismo scolastico in Italia, come citato nel documento finale delle Settimane Sociali di Reggio Calabria 2009 dal prof. Luca Diotallevi, porterebbe ad un miglioramento complessivo del sistema di Istruzione e Formazione professionale nel nostro Paese. Siamo a tredici anni dall’approvazione della legge 62/2000 e il diritto alla libertà di educazione, nei fatti, non è ancora riconosciuto. Ho due figlie all’Università ed uno nella scuola secondaria, due nipoti alla scuola dell’infanzia... per questo ed altri motivi, non ultimo quello del bene comune, il tema della libertà di scelta educativa è sempre fra quelli che più hanno la capacità di mobilitarmi. Troppo grande è stato il dono ricevuto di una scuola che mi ha formato, ha accolto e istruito i miei figli amando il loro destino. E questo dono, pagato al prezzo di numerosi sacrifici, mi spinge ancora oggi ad impegnarmi perché alle famiglie italiane sia riconosciuto il diritto costituzionale alla libera scelta educativa.

Che cosa fare?

Roberto Gontero Presidente nazionale Agesc – Associazione genitori scuole cattoliche

Cosa fare per invertire questo stato di cose che sta costringendo alla rinuncia della scelta moltissime famiglie ed alla chiusura le scuole?

redazione.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

esperienze

Un nuovo patto sociale scenari e sinergie fra impresa e stakeholder per il welfare

Un gruppo di esperti economici e sociali, invitati da UCID Torino, Università e Forum delle Associazioni Familiari Piemonte, si sono trovati per prepararsi alla 47ma settimana sociale dei cattolici che si terrà dal 12 al 15 settembre. UCID, Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti Torino, il Dipartimento di Sociologia dell’Università degli Studi di Torino e il Forum delle Associazioni Familiari Piemonte, hanno presentato lo scorso 29 giugno nell’Aula Magna del Rettorato i risultati di un’indagine svolta su un campione di aziende del territorio e della provincia su quanto sia importante il ruolo della società nel lavoro dipendente.

In apertura dei lavori il vescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, ha rilanciato l’idea di «un’agorà sociale per mettere in rete idee, progetti e risorse. Per trovare nuove strade è necessario un patto tra società, impresa e famiglie». Torino quindi si conferma una città-laboratorio capace di pensare progetti di innovazione sociale: di fronte alla più grande crisi economica e di valori dal do-

48

poguerra, il convegno ha voluto stimolare una presa di coscienza delle istituzioni, della società civile e della Chiesa sulle cause che hanno messo in ginocchio il “sistema Italia” e in particolare il nostro welfare, per riuscire a lavorare insieme alla ricerca di una soluzione comune, nell’interesse di tutti. Soprattutto delle famiglie e dei giovani.

Alzare lo sguardo oltre il buio Parlare di welfare aziendale in tempo di crisi quando è tutto uno stillicidio di imprese che chiudono, delocalizzano o scelgono la carta della cassa integrazione, richiede sensibilità sul presente e

molta fiducia nel futuro. Due requisiti che non mancano a UCID Torino, il cui Presidente Riccardo Ghidella, fatta una lucida analisi dei dati ricavati dagli studi Ocse e di Confindustria su recessione e disoccupazione, ha proposto di provare «ad alzare lo sguardo oltre il buio» per uscire dal tunnel, partendo dalla conoscenza e valorizzazione di quanto già esiste nel nostro territorio. Di qui la decisione di chiedere la collaborazione ai professori Guido Lazzarini e Anna Cugno, del Dipartimento di Sociologia dell’Università, per preparare insieme alla loro équipe un questionario da sottoporre alle aziende manifatturiere facenti capo all’Unione Industriale e all’API, Associazione Piccole Imprese. L’indagine ha coinvolto un campione di aziende manifatturiere con una popolazione dipendente pari al 20% del totale. «Lo studio – sostengono i Professori Cugno e Lazzarini - mette in evidenza che il welfare è il motore in grado di generare fiducia e mettere in contatto le prerogative aziendali e quelle umane dei lavoratori. È il mezzo col quale creare una rete di relazioni virtuose tra tutti i soggetti sociali, aziende, stakeholders interni ed esterni, territorio. Il benessere individuale è il risultato di un ambiente sociale favorevole contemporaneamente allo sviluppo umano e aziendale. Si riscontra nel management, in particolare delle medie/grandi aziende, la consapevolezza che esiste una correlazione diretta tra necessità di interventi di welfare mirati a conciliare le regole del lavoro e la vita quotidiana/familia-

re del lavoratore/lavoratrice, con i suoi problemi e la realizzazione di un clima di cooperazione, collaborazione, creatività». Ha sottolineato Ghidella: «La disoccupazione, il calo di reddito, la pressione fiscale, l’aumento del peso assistenziale e sanitario finiscono per colpire il primo anello della catena sociale: la famiglia. Non solo impoverendola, ma impedendole di svolgere quel ruolo naturale sussidiario, che ha sempre erogato come primo welfare sociale, che deve quindi essere integrato da un welfare di secondo livello (enti locali, aziende, assicurazioni, fondazioni, volontariato) con una strategia sociale economica e fiscale concreta e con un’attenzione particolare: la tutela del ruolo strategico centrale e sussidiario della famiglia. È da lì che può rinascere la società e l’economia di un Paese».

Cosa significa famiglia oggi? Anche mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, si è detto convinto che la «buona salute della famiglia è uguale a una buona salute del Paese, ma dobbiamo intenderci su cosa significa famiglia oggi. Se da una parte si insiste che la famiglia è il cuore della società dall’altra però si allarga il ventaglio delle famiglie, includendo anche quelle omosessuali». Mons Paglia ha provocato la platea chiedendo se «la crisi del Paese è per caso legata alla crisi della famiglia, alla caduta verticale delle nascite, all’aumento delle famiglie single. La crisi del matrimonio è

49

forse sganciata dalla crisi del patrimonio? La caduta a picco delle imprese va di pari passo con la caduta della famiglia e della natalità?» Un ragionamento che porta a una sola conclusione: se la società non riscopre il valore del NOI, al posto di idolatrare l’IO, è destinata a disintegrarsi.

Il “patto per lo sviluppo” Mauro Ceccon, Unindustria Treviso, ha infine illustrato il “patto per lo sviluppo” che nel 2011 è stato siglato tra le rappresentanze sindacali e le piccole imprese; partendo da una comune volontà di spostare le relazioni industriali da un mero piano di contrapposizione di posizioni e interessi, ad un piano di condivisione costruttiva fra imprese e lavoratori, è stato definito uno schema di accordo aziendale, un’opportunità non un obbligo, per poter definire obiettivi di maggiore competitività ai quali collegare quote di retribuzione variabile da tradursi in integrazioni al welfare, erogabili solo se vengono raggiunti gli obiettivi. Liliana Ocmin, segretario confederale CISL, ha sottolineato che «il sindacato ha deciso di investire sulla contrattazione di secondo livello e la bilateralità, due strumenti forti che consentono di entrare nel merito delle dinamiche aziendali e territoriali e di trovare soluzioni adeguate alle specifiche situazioni e contesti». Mary Brayda-Bruno redazione.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

esperienze

Un nuovo patto sociale scenari e sinergie fra impresa e stakeholder per il welfare

Un gruppo di esperti economici e sociali, invitati da UCID Torino, Università e Forum delle Associazioni Familiari Piemonte, si sono trovati per prepararsi alla 47ma settimana sociale dei cattolici che si terrà dal 12 al 15 settembre. UCID, Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti Torino, il Dipartimento di Sociologia dell’Università degli Studi di Torino e il Forum delle Associazioni Familiari Piemonte, hanno presentato lo scorso 29 giugno nell’Aula Magna del Rettorato i risultati di un’indagine svolta su un campione di aziende del territorio e della provincia su quanto sia importante il ruolo della società nel lavoro dipendente.

In apertura dei lavori il vescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, ha rilanciato l’idea di «un’agorà sociale per mettere in rete idee, progetti e risorse. Per trovare nuove strade è necessario un patto tra società, impresa e famiglie». Torino quindi si conferma una città-laboratorio capace di pensare progetti di innovazione sociale: di fronte alla più grande crisi economica e di valori dal do-

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poguerra, il convegno ha voluto stimolare una presa di coscienza delle istituzioni, della società civile e della Chiesa sulle cause che hanno messo in ginocchio il “sistema Italia” e in particolare il nostro welfare, per riuscire a lavorare insieme alla ricerca di una soluzione comune, nell’interesse di tutti. Soprattutto delle famiglie e dei giovani.

Alzare lo sguardo oltre il buio Parlare di welfare aziendale in tempo di crisi quando è tutto uno stillicidio di imprese che chiudono, delocalizzano o scelgono la carta della cassa integrazione, richiede sensibilità sul presente e

molta fiducia nel futuro. Due requisiti che non mancano a UCID Torino, il cui Presidente Riccardo Ghidella, fatta una lucida analisi dei dati ricavati dagli studi Ocse e di Confindustria su recessione e disoccupazione, ha proposto di provare «ad alzare lo sguardo oltre il buio» per uscire dal tunnel, partendo dalla conoscenza e valorizzazione di quanto già esiste nel nostro territorio. Di qui la decisione di chiedere la collaborazione ai professori Guido Lazzarini e Anna Cugno, del Dipartimento di Sociologia dell’Università, per preparare insieme alla loro équipe un questionario da sottoporre alle aziende manifatturiere facenti capo all’Unione Industriale e all’API, Associazione Piccole Imprese. L’indagine ha coinvolto un campione di aziende manifatturiere con una popolazione dipendente pari al 20% del totale. «Lo studio – sostengono i Professori Cugno e Lazzarini - mette in evidenza che il welfare è il motore in grado di generare fiducia e mettere in contatto le prerogative aziendali e quelle umane dei lavoratori. È il mezzo col quale creare una rete di relazioni virtuose tra tutti i soggetti sociali, aziende, stakeholders interni ed esterni, territorio. Il benessere individuale è il risultato di un ambiente sociale favorevole contemporaneamente allo sviluppo umano e aziendale. Si riscontra nel management, in particolare delle medie/grandi aziende, la consapevolezza che esiste una correlazione diretta tra necessità di interventi di welfare mirati a conciliare le regole del lavoro e la vita quotidiana/familia-

re del lavoratore/lavoratrice, con i suoi problemi e la realizzazione di un clima di cooperazione, collaborazione, creatività». Ha sottolineato Ghidella: «La disoccupazione, il calo di reddito, la pressione fiscale, l’aumento del peso assistenziale e sanitario finiscono per colpire il primo anello della catena sociale: la famiglia. Non solo impoverendola, ma impedendole di svolgere quel ruolo naturale sussidiario, che ha sempre erogato come primo welfare sociale, che deve quindi essere integrato da un welfare di secondo livello (enti locali, aziende, assicurazioni, fondazioni, volontariato) con una strategia sociale economica e fiscale concreta e con un’attenzione particolare: la tutela del ruolo strategico centrale e sussidiario della famiglia. È da lì che può rinascere la società e l’economia di un Paese».

Cosa significa famiglia oggi? Anche mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, si è detto convinto che la «buona salute della famiglia è uguale a una buona salute del Paese, ma dobbiamo intenderci su cosa significa famiglia oggi. Se da una parte si insiste che la famiglia è il cuore della società dall’altra però si allarga il ventaglio delle famiglie, includendo anche quelle omosessuali». Mons Paglia ha provocato la platea chiedendo se «la crisi del Paese è per caso legata alla crisi della famiglia, alla caduta verticale delle nascite, all’aumento delle famiglie single. La crisi del matrimonio è

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forse sganciata dalla crisi del patrimonio? La caduta a picco delle imprese va di pari passo con la caduta della famiglia e della natalità?» Un ragionamento che porta a una sola conclusione: se la società non riscopre il valore del NOI, al posto di idolatrare l’IO, è destinata a disintegrarsi.

Il “patto per lo sviluppo” Mauro Ceccon, Unindustria Treviso, ha infine illustrato il “patto per lo sviluppo” che nel 2011 è stato siglato tra le rappresentanze sindacali e le piccole imprese; partendo da una comune volontà di spostare le relazioni industriali da un mero piano di contrapposizione di posizioni e interessi, ad un piano di condivisione costruttiva fra imprese e lavoratori, è stato definito uno schema di accordo aziendale, un’opportunità non un obbligo, per poter definire obiettivi di maggiore competitività ai quali collegare quote di retribuzione variabile da tradursi in integrazioni al welfare, erogabili solo se vengono raggiunti gli obiettivi. Liliana Ocmin, segretario confederale CISL, ha sottolineato che «il sindacato ha deciso di investire sulla contrattazione di secondo livello e la bilateralità, due strumenti forti che consentono di entrare nel merito delle dinamiche aziendali e territoriali e di trovare soluzioni adeguate alle specifiche situazioni e contesti». Mary Brayda-Bruno redazione.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

esperienze

Il primo artista di papa Francesco

«“E t’ses ad Turin, alora?” Mi ha detto così e mi ha sorriso illuminandomi con lo sguardo». Così papa Francesco ha preso dalle mani il quadro che gli era stato promesso da Gianni Sesia della Merla e ha saltato tutti i convenevoli, parlando il dialetto dei suoi parenti piemontesi. «È bellissimo, sei davvero bravo», gli ha detto accarezzandogli il viso. Da quella sera di marzo in cui il mondo aveva gli occhi incollati su piazza San Pietro e lui in meno di quaranta minuti fece il ritratto di Francesco che scendeva dal cielo su un foglio di carta, poi in due ore sulla tela, Giovanni non ha fatto altro che lavorare al suo sogno. «Un’udienza generale, l’occasione per regalargli il ritratto». Così da riuscire a strappare anche cinque minuti per condividere qualche ricordo e parlare di quel cugino pittore, Franco Martinengo, che Francesco conosceva bene. «Quando ha preso tra le mani il mio quadro gli ha fatto la radiografia. È uno che se ne intende» racconta Gianni, che paragona i pochi momenti trascorsi con Francesco all'«incontro con un padre sconosciuto».

Ha avuto la dolcezza di un padre con il figlio «Mi ha accarezzato la guancia quando mi sono scusato per avergli dipinto le scarpe nere ed è stata una situazione che non capita di vivere tutti i giorni, quella era la carezza di un padre ad un figlio». Di storie da raccontare al Papa, Giovanni in quel momento «indimenticabile» ne avrebbe molte, ma mentre mons. Georg Gänswein evidenzia ad entrambi che è lui «il primo artista che consegna una propria opera a Sua Santità», Francesco non gli concede di perdere un istante di quel momento prezioso. Il Papa gli prende dalle mani anche un biglietto da visita. C’è il numero di Giovanni, il suo indirizzo e scritto a penna anche il numero della cugina Pina. «Lo ha preso come si fa con una cosa preziosa, ci teneva» racconta Giovanni, che oltre al quadro gli ha donato anche una fotografia scattata insieme al cugino Martinengo. «C’eravamo io, suo cugino Martinengo, appunto, con Michele Baretta, in quella fotografia. Papa Francesco, quando l’ha

50

vista, era raggiante e ha sgranato gli occhi prima di ringraziarmi ancora».

Un incontro sognato da mesi «L’ho visto scendere dal cielo, non comparire dal balcone di piazza San Pietro». Gianni Sesia della Merla non ha bisogno di un’iperbole per raccontare l’emozione vissuta davanti alla prima inquadratura televisiva di papa Francesco, perché lo ha fatto immortalandolo con una pittura ad olio. La testimonianza concreta di qualcosa di più della semplice emozione, come spiega lui stesso. Francesco è riconoscibile, su sfondo blu elettrico, scende dal cielo accanto ad una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Un ritratto che ha ispirato in Gianni il sogno di incontrare il Papa, realizzato «come un miracolo» nel volgere di pochi mesi, alla fine della primavera. La notizia dell’incontro e della possibilità di donare il quadro direttamente al successore di san Pietro era arrivata come un fulmine a ciel sereno, inaspettata. Non era uno scherzo, ma proveniva da una fonte più che attendibile come l’Arcivescovo emerito di Torino e Cardinale Severino Poletto. «Lo avevo incontrato alla cresima di mia nipote e gli ho posto la mia questione, nel giro di pochi giorni mi ha ricontattato per darmi questo grande annuncio» racconta Gianni Sesia della Merla. «Sono partito con il mio amico don Domenico Osella, un sacerdote che è stato anche mio allievo alla tavolozza».

che annunciava il ritratto di «un angelo che scendeva dal cielo». Il destino di quel quadro era segnato. «Vorrei regalarlo a Francesco, chiaramente, perché non è il ritratto di un Papa, ma l’immagine di un angelo, di qualcosa di straordinario. Sarebbe un sogno che si realizza» confessava il pittore nel suo studio, pochi giorni dopo averlo dipinto. Gianni è un uomo pragmatico, un artista concreto, che non si perde in chiacchiere da accademia e assicura che ce la farà. «C’è qualcosa che mi attira in lui, il suo carisma, credo sia l’uomo giusto per la Chiesa al giorno d’oggi. Sognavo di vedere ancora un pontefice capace di emozionarmi e colpirmi nel profondo come accadde con papa Luciani». Classe 1934, Sesia della Merla era il «cit» del maestro torinese Martinengo, cugino del Papa. «La somiglianza è impressionante, sarà anche questo ad avermi suggestionato, ma c’è qualcosa di profondamente spirituale che mi ha fatto alzare da tavola e prendere un foglio per tirar giù la prima bozza del dipinto». Quella tela oggi non campeggia più al centro del suo studio di corso Orbassano. Quella tela oggi è in Vaticano.

Ho fatto il ritratto di un angelo La notizia di un pittore torinese che voleva regalare un quadro a papa Francesco era arrivata alle redazioni dei quotidiani locali con un comunicato

Enrico Romanetto redazione.rivista@ausiliatrice.net

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settembre-ottobre 2013

esperienze

Il primo artista di papa Francesco

«“E t’ses ad Turin, alora?” Mi ha detto così e mi ha sorriso illuminandomi con lo sguardo». Così papa Francesco ha preso dalle mani il quadro che gli era stato promesso da Gianni Sesia della Merla e ha saltato tutti i convenevoli, parlando il dialetto dei suoi parenti piemontesi. «È bellissimo, sei davvero bravo», gli ha detto accarezzandogli il viso. Da quella sera di marzo in cui il mondo aveva gli occhi incollati su piazza San Pietro e lui in meno di quaranta minuti fece il ritratto di Francesco che scendeva dal cielo su un foglio di carta, poi in due ore sulla tela, Giovanni non ha fatto altro che lavorare al suo sogno. «Un’udienza generale, l’occasione per regalargli il ritratto». Così da riuscire a strappare anche cinque minuti per condividere qualche ricordo e parlare di quel cugino pittore, Franco Martinengo, che Francesco conosceva bene. «Quando ha preso tra le mani il mio quadro gli ha fatto la radiografia. È uno che se ne intende» racconta Gianni, che paragona i pochi momenti trascorsi con Francesco all'«incontro con un padre sconosciuto».

Ha avuto la dolcezza di un padre con il figlio «Mi ha accarezzato la guancia quando mi sono scusato per avergli dipinto le scarpe nere ed è stata una situazione che non capita di vivere tutti i giorni, quella era la carezza di un padre ad un figlio». Di storie da raccontare al Papa, Giovanni in quel momento «indimenticabile» ne avrebbe molte, ma mentre mons. Georg Gänswein evidenzia ad entrambi che è lui «il primo artista che consegna una propria opera a Sua Santità», Francesco non gli concede di perdere un istante di quel momento prezioso. Il Papa gli prende dalle mani anche un biglietto da visita. C’è il numero di Giovanni, il suo indirizzo e scritto a penna anche il numero della cugina Pina. «Lo ha preso come si fa con una cosa preziosa, ci teneva» racconta Giovanni, che oltre al quadro gli ha donato anche una fotografia scattata insieme al cugino Martinengo. «C’eravamo io, suo cugino Martinengo, appunto, con Michele Baretta, in quella fotografia. Papa Francesco, quando l’ha

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vista, era raggiante e ha sgranato gli occhi prima di ringraziarmi ancora».

Un incontro sognato da mesi «L’ho visto scendere dal cielo, non comparire dal balcone di piazza San Pietro». Gianni Sesia della Merla non ha bisogno di un’iperbole per raccontare l’emozione vissuta davanti alla prima inquadratura televisiva di papa Francesco, perché lo ha fatto immortalandolo con una pittura ad olio. La testimonianza concreta di qualcosa di più della semplice emozione, come spiega lui stesso. Francesco è riconoscibile, su sfondo blu elettrico, scende dal cielo accanto ad una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Un ritratto che ha ispirato in Gianni il sogno di incontrare il Papa, realizzato «come un miracolo» nel volgere di pochi mesi, alla fine della primavera. La notizia dell’incontro e della possibilità di donare il quadro direttamente al successore di san Pietro era arrivata come un fulmine a ciel sereno, inaspettata. Non era uno scherzo, ma proveniva da una fonte più che attendibile come l’Arcivescovo emerito di Torino e Cardinale Severino Poletto. «Lo avevo incontrato alla cresima di mia nipote e gli ho posto la mia questione, nel giro di pochi giorni mi ha ricontattato per darmi questo grande annuncio» racconta Gianni Sesia della Merla. «Sono partito con il mio amico don Domenico Osella, un sacerdote che è stato anche mio allievo alla tavolozza».

che annunciava il ritratto di «un angelo che scendeva dal cielo». Il destino di quel quadro era segnato. «Vorrei regalarlo a Francesco, chiaramente, perché non è il ritratto di un Papa, ma l’immagine di un angelo, di qualcosa di straordinario. Sarebbe un sogno che si realizza» confessava il pittore nel suo studio, pochi giorni dopo averlo dipinto. Gianni è un uomo pragmatico, un artista concreto, che non si perde in chiacchiere da accademia e assicura che ce la farà. «C’è qualcosa che mi attira in lui, il suo carisma, credo sia l’uomo giusto per la Chiesa al giorno d’oggi. Sognavo di vedere ancora un pontefice capace di emozionarmi e colpirmi nel profondo come accadde con papa Luciani». Classe 1934, Sesia della Merla era il «cit» del maestro torinese Martinengo, cugino del Papa. «La somiglianza è impressionante, sarà anche questo ad avermi suggestionato, ma c’è qualcosa di profondamente spirituale che mi ha fatto alzare da tavola e prendere un foglio per tirar giù la prima bozza del dipinto». Quella tela oggi non campeggia più al centro del suo studio di corso Orbassano. Quella tela oggi è in Vaticano.

Ho fatto il ritratto di un angelo La notizia di un pittore torinese che voleva regalare un quadro a papa Francesco era arrivata alle redazioni dei quotidiani locali con un comunicato

Enrico Romanetto redazione.rivista@ausiliatrice.net

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esperienze

La famiglia è in crisi Da isola felice a oscuro abisso. L’idea classica del matrimonio è caduta sotto la scure di modernità e crisi. Ma è davvero tutto perduto?

L’enciclica Gaudium et Spes insegna che dove tutto crolla la famiglia resiste, perché ha radici profonde.

meglio il ruolo della famiglia per la società», conclude Lombardi.

Dalla Settimana Sociale la famiglia possibile

C’era una volta Famiglia, isola felice? Se qualcuno fosse ancora così ingenuo dal pensarlo, potrà ricredersi alla luce dei dati: negli ultimi quindici anni il numero dei matrimoni è dimezzato (da 400.000 a 205.000), quello delle divisioni è raddoppiato (15,8% separazioni e 8% divorzi nel 1995; 30,7% separazioni e 18,2% divorzi nel 2010. Fonte ISTAT). Per contro, le convivenze si attestano attorno al 6% del panorama totale delle coppie in Italia, soprattutto nel Nord Est. La pioggia di numeri potrebbe continuare, insieme alle nuove forme in cui si decide di affrontare insieme la vita: nuclei monoparentali, unioni di fatto, famiglie ricostituite o “allargate”. È ancora l’ISTAT a calcolare che questa pluralità di soluzioni riguardi 12 milioni di persone, pari al 20% della popolazione italiana. In Francia e negli USA (per ultimo, con la sentenza della Corte federale dello scorso giugno) si affaccia il riconoscimento dei matrimoni tra omosessuali. Dietro a tutte queste cifre e formule quale idea di famiglia si legge? Domanda difficile per una società sempre più refrattaria alle definizioni. L’aggiungersi dei problemi della crisi finanziaria (dai rilievi statistici emerge che oltre l’11% delle famiglie è più povero e il 5,2% vive sotto la soglia della sussisten-

za), rende la situazione desolante, per quanto riguarda il sostegno economico ma anche per quanto riguarda il suo significato.

Cos’è che non funziona? «È in crisi un modo di intendere la famiglia come luogo privato degli affetti, un posto fatato che lascia le brutture del mondo fuori dalla porta», spiega Luigi Lombardi, del Forum delle associazioni familiari del Piemonte. Prosegue: «Non bisogna però pensare che sia una disgrazia. Può rappresentare una grande occasione per fare emergere la vera famiglia, che vive il suo essere come una mission e allarga il suo orizzonte agli altri in un’ottica di comunità». Esiste o no, oggi, un modello di riferimento? «Quando la Costituzione riconosce all’articolo 29 la “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, accetta un dato di fatto: e cioè che a fare la differenza non è la capacità di amare, bensì la potenzialità di generare figli. È un fatto fisico e innegabile». Il confine è sottile, ma la

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posta in gioco è alta. «In ballo c’è la società che vogliamo prospettare ai nostri figli – dice Lombardi – Pensiamoci: se neanche il proprio corpo è più un dato oggettivo ma diventa un fattore culturale, allora ai bambini non si potrà più parlare di “maschile” e “femminile”. Non ci saranno più “papà” e “mamma” ma “genitore A” e “genitore B”. Se le differenze sono belle, allora perché si vuole conformare tutto? Ci dev’essere un’altra via da proporre tra la discriminazione e l’omologazione, almeno per le nuove generazioni». La storia recente, insomma, non fa che confermare il fallimento del matrimonio tradizionale... «Non proprio. A fallire è un modo vecchio di pensare. L’enciclica Gaudium et Spes insegna che dove tutto crolla la famiglia resiste, perché ha radici profonde. Ciò che importa è avere una bella esperienza da raccontare: con le mille difficoltà da affrontare quotidianamente (per esempio, quando il bene di mio figlio non coincide con i suoi desideri...) ma anche con l’amore vissuto come un dono. È la testimonianza, soprattutto, che aiuta a capire

53

Quanto sia importante la questione lo si capisce dal suo ruolo nella 47a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), dedicata a La famiglia, speranza e futuro per la società italiana. La coppia aperta alla vita diventa così la chiave di volta per affrontare temi come il futuro possibile, lo studio, il lavoro, la fiscalità (con il famoso “fattore famiglia”, che tiene conto della composizione), l’ambiente, la salute. A proposito di sanità, una recente indagine statistica mostra che i quattro quinti dei genitori di bambini e adolescenti (più di otto milioni di persone) hanno ridotto le cure ai propri figli allo stretto indispensabile, per le crescenti difficoltà economiche. Un segnale che fa riflettere, considerato che finora è stata proprio la famiglia il maggior ammortizzatore sociale, in grado di assorbire gli shock di spending review, disoccupazione e super tasse. «Il problema – spiega il comitato scientificoorganizzatore della Settimana Sociale – non è tanto chiedere maggiori risorse per la famiglia (che pure sono assolutamente necessarie), quanto piuttosto pretendere una diversa prospettiva non assistenziale ma promozionale», in cui le risorse messe a disposizione dalle istituzioni «entrino in sinergia con le capacità e le potenzialità delle famiglie destinatarie degli interventi». Da fruitore passivo a costruttore “in rete” del futuro. Così la famiglia può ritrovare la propria identità. Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

esperienze

La famiglia è in crisi Da isola felice a oscuro abisso. L’idea classica del matrimonio è caduta sotto la scure di modernità e crisi. Ma è davvero tutto perduto?

L’enciclica Gaudium et Spes insegna che dove tutto crolla la famiglia resiste, perché ha radici profonde.

meglio il ruolo della famiglia per la società», conclude Lombardi.

Dalla Settimana Sociale la famiglia possibile

C’era una volta Famiglia, isola felice? Se qualcuno fosse ancora così ingenuo dal pensarlo, potrà ricredersi alla luce dei dati: negli ultimi quindici anni il numero dei matrimoni è dimezzato (da 400.000 a 205.000), quello delle divisioni è raddoppiato (15,8% separazioni e 8% divorzi nel 1995; 30,7% separazioni e 18,2% divorzi nel 2010. Fonte ISTAT). Per contro, le convivenze si attestano attorno al 6% del panorama totale delle coppie in Italia, soprattutto nel Nord Est. La pioggia di numeri potrebbe continuare, insieme alle nuove forme in cui si decide di affrontare insieme la vita: nuclei monoparentali, unioni di fatto, famiglie ricostituite o “allargate”. È ancora l’ISTAT a calcolare che questa pluralità di soluzioni riguardi 12 milioni di persone, pari al 20% della popolazione italiana. In Francia e negli USA (per ultimo, con la sentenza della Corte federale dello scorso giugno) si affaccia il riconoscimento dei matrimoni tra omosessuali. Dietro a tutte queste cifre e formule quale idea di famiglia si legge? Domanda difficile per una società sempre più refrattaria alle definizioni. L’aggiungersi dei problemi della crisi finanziaria (dai rilievi statistici emerge che oltre l’11% delle famiglie è più povero e il 5,2% vive sotto la soglia della sussisten-

za), rende la situazione desolante, per quanto riguarda il sostegno economico ma anche per quanto riguarda il suo significato.

Cos’è che non funziona? «È in crisi un modo di intendere la famiglia come luogo privato degli affetti, un posto fatato che lascia le brutture del mondo fuori dalla porta», spiega Luigi Lombardi, del Forum delle associazioni familiari del Piemonte. Prosegue: «Non bisogna però pensare che sia una disgrazia. Può rappresentare una grande occasione per fare emergere la vera famiglia, che vive il suo essere come una mission e allarga il suo orizzonte agli altri in un’ottica di comunità». Esiste o no, oggi, un modello di riferimento? «Quando la Costituzione riconosce all’articolo 29 la “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, accetta un dato di fatto: e cioè che a fare la differenza non è la capacità di amare, bensì la potenzialità di generare figli. È un fatto fisico e innegabile». Il confine è sottile, ma la

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posta in gioco è alta. «In ballo c’è la società che vogliamo prospettare ai nostri figli – dice Lombardi – Pensiamoci: se neanche il proprio corpo è più un dato oggettivo ma diventa un fattore culturale, allora ai bambini non si potrà più parlare di “maschile” e “femminile”. Non ci saranno più “papà” e “mamma” ma “genitore A” e “genitore B”. Se le differenze sono belle, allora perché si vuole conformare tutto? Ci dev’essere un’altra via da proporre tra la discriminazione e l’omologazione, almeno per le nuove generazioni». La storia recente, insomma, non fa che confermare il fallimento del matrimonio tradizionale... «Non proprio. A fallire è un modo vecchio di pensare. L’enciclica Gaudium et Spes insegna che dove tutto crolla la famiglia resiste, perché ha radici profonde. Ciò che importa è avere una bella esperienza da raccontare: con le mille difficoltà da affrontare quotidianamente (per esempio, quando il bene di mio figlio non coincide con i suoi desideri...) ma anche con l’amore vissuto come un dono. È la testimonianza, soprattutto, che aiuta a capire

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Quanto sia importante la questione lo si capisce dal suo ruolo nella 47a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), dedicata a La famiglia, speranza e futuro per la società italiana. La coppia aperta alla vita diventa così la chiave di volta per affrontare temi come il futuro possibile, lo studio, il lavoro, la fiscalità (con il famoso “fattore famiglia”, che tiene conto della composizione), l’ambiente, la salute. A proposito di sanità, una recente indagine statistica mostra che i quattro quinti dei genitori di bambini e adolescenti (più di otto milioni di persone) hanno ridotto le cure ai propri figli allo stretto indispensabile, per le crescenti difficoltà economiche. Un segnale che fa riflettere, considerato che finora è stata proprio la famiglia il maggior ammortizzatore sociale, in grado di assorbire gli shock di spending review, disoccupazione e super tasse. «Il problema – spiega il comitato scientificoorganizzatore della Settimana Sociale – non è tanto chiedere maggiori risorse per la famiglia (che pure sono assolutamente necessarie), quanto piuttosto pretendere una diversa prospettiva non assistenziale ma promozionale», in cui le risorse messe a disposizione dalle istituzioni «entrino in sinergia con le capacità e le potenzialità delle famiglie destinatarie degli interventi». Da fruitore passivo a costruttore “in rete” del futuro. Così la famiglia può ritrovare la propria identità. Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net


settembre-ottobre 2013

L’AVVOCATO RISPONDE

Condominio è arrivata

Chi desiderasse porre domande all’avvocato Marco Castellarin del Foro di Torino può segnalarlo a: redazione.rivista@ausiliatrice.net specificando nell’oggetto della e-mail: per L’Avvocato risponde.

la riforma. Ecco che cosa cambia La legge n. 220/2012, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2012 ed entrata in vigore lo scorso 18 giugno 2013, ha introdotto alcune modifiche alle norme in materia di condominio prescritte dal Codice Civile. Con il nostro avvocato Marco Castellarin vediamo brevemente alcuni aspetti essenziali di una riforma che ci riguarda tutti da vicino.

Parti comuni e amministratore

cambiari, nel possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado, nella frequenza di un corso di formazione iniziale e svolgano attività di formazione periodica in materia condominiale. In caso di condominio con meno di 8 proprietari, invece, potrà essere uno degli stessi condòmini ad assumere l’incarico di amministratore. L’amministratore dovrà occuparsi anche dell’apertura di uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio in quanto è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su detto conto corrente. L’assemblea può anche subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione di una polizza di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti dall’amministratore nell’esercizio del suo mandato. L’amministratore deve ora, altresì, curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o

Parti comuni (art. 1117 c.c.) - Ora nell’elenco di presunzione delle parti comuni del condominio compaiono nuovi elementi tra i quali: le facciate, le aree destinate a parcheggio e i sottotetti quando destinatati, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune. L’amministratore - In caso di condominio con più di otto proprietari deve essere nominato un amministratore, che ora deve ricoprire una figura “professionale” (diploma di scuola superiore di secondo grado e specifico corso di formazione). Il nuovo art. 71 bis disp. att. c.c. stabilisce, infatti, una serie di requisiti soggettivi per poter svolgere l’attività di amministratore: godimento dei diritti civili, assenza in capo all’interessato di condanne per delitti contro la Pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo a 2 anni e nel massimo a 5 anni, nell’assenza di interdizione o inabilitazione, nella non inclusione nell’elenco dei protesti

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altro condòmino) oggi non può rappresentare più di un quinto dei condòmini ovvero più di un quinto del valore proporzionale (ossia 200 millesimi) ed, inoltre, l’amministratore non può rivestire il ruolo di delegato. Sono cambiate, inoltre, le maggioranze per l’approvazione delle delibere assembleari.

domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza.

Regolamento di condominio, tutela e sanzioni La Riforma ha in qualche modo rafforzato la tutela delle destinazioni d’uso delle parti comuni contro attività contrarie. La tutela la può chiedere l’amministratore e il singolo condòmino. È sempre salvo, altresì, il ricorso all’Autorità Giudiziaria contro l’inerzia dell’amministratore. Di non ultima importanza, inoltre, il nuovo testo dell’art. 70 disp. att. c.c., sancisce che per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma dovrà in tal caso essere devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie.

Animali domestici La Riforma ha stabilito che gli animali domestici non possono essere vietati dal regolamento condominiale. Tuttavia - è bene farlo presente - rimangono sempre in vigore le norme in materia di molestie e disturbo nonché il divieto di immissioni, rumori, scuotimenti e propagazioni che superano la normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.. I proprietari e coloro che hanno la custodia di animali dovranno, pertanto, continuare a prestare attenzione affinché gli amici a quattro zampe non rechino disturbo e molestia ai vicini. a cura di Marco Castellarin avvocato del Foro di Torino

Assemblea e maggioranze

redazione.rivista@ausiliatrice.net

Se i condòmini di uno stabile sono più di 20, il delegato (che presenzia in nome e per conto di un

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L’AVVOCATO RISPONDE

Condominio è arrivata

Chi desiderasse porre domande all’avvocato Marco Castellarin del Foro di Torino può segnalarlo a: redazione.rivista@ausiliatrice.net specificando nell’oggetto della e-mail: per L’Avvocato risponde.

la riforma. Ecco che cosa cambia La legge n. 220/2012, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2012 ed entrata in vigore lo scorso 18 giugno 2013, ha introdotto alcune modifiche alle norme in materia di condominio prescritte dal Codice Civile. Con il nostro avvocato Marco Castellarin vediamo brevemente alcuni aspetti essenziali di una riforma che ci riguarda tutti da vicino.

Parti comuni e amministratore

cambiari, nel possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado, nella frequenza di un corso di formazione iniziale e svolgano attività di formazione periodica in materia condominiale. In caso di condominio con meno di 8 proprietari, invece, potrà essere uno degli stessi condòmini ad assumere l’incarico di amministratore. L’amministratore dovrà occuparsi anche dell’apertura di uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio in quanto è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su detto conto corrente. L’assemblea può anche subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione di una polizza di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti dall’amministratore nell’esercizio del suo mandato. L’amministratore deve ora, altresì, curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o

Parti comuni (art. 1117 c.c.) - Ora nell’elenco di presunzione delle parti comuni del condominio compaiono nuovi elementi tra i quali: le facciate, le aree destinate a parcheggio e i sottotetti quando destinatati, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune. L’amministratore - In caso di condominio con più di otto proprietari deve essere nominato un amministratore, che ora deve ricoprire una figura “professionale” (diploma di scuola superiore di secondo grado e specifico corso di formazione). Il nuovo art. 71 bis disp. att. c.c. stabilisce, infatti, una serie di requisiti soggettivi per poter svolgere l’attività di amministratore: godimento dei diritti civili, assenza in capo all’interessato di condanne per delitti contro la Pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo a 2 anni e nel massimo a 5 anni, nell’assenza di interdizione o inabilitazione, nella non inclusione nell’elenco dei protesti

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altro condòmino) oggi non può rappresentare più di un quinto dei condòmini ovvero più di un quinto del valore proporzionale (ossia 200 millesimi) ed, inoltre, l’amministratore non può rivestire il ruolo di delegato. Sono cambiate, inoltre, le maggioranze per l’approvazione delle delibere assembleari.

domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza.

Regolamento di condominio, tutela e sanzioni La Riforma ha in qualche modo rafforzato la tutela delle destinazioni d’uso delle parti comuni contro attività contrarie. La tutela la può chiedere l’amministratore e il singolo condòmino. È sempre salvo, altresì, il ricorso all’Autorità Giudiziaria contro l’inerzia dell’amministratore. Di non ultima importanza, inoltre, il nuovo testo dell’art. 70 disp. att. c.c., sancisce che per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma dovrà in tal caso essere devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie.

Animali domestici La Riforma ha stabilito che gli animali domestici non possono essere vietati dal regolamento condominiale. Tuttavia - è bene farlo presente - rimangono sempre in vigore le norme in materia di molestie e disturbo nonché il divieto di immissioni, rumori, scuotimenti e propagazioni che superano la normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.. I proprietari e coloro che hanno la custodia di animali dovranno, pertanto, continuare a prestare attenzione affinché gli amici a quattro zampe non rechino disturbo e molestia ai vicini. a cura di Marco Castellarin avvocato del Foro di Torino

Assemblea e maggioranze

redazione.rivista@ausiliatrice.net

Se i condòmini di uno stabile sono più di 20, il delegato (che presenzia in nome e per conto di un

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settembre-ottobre 2013

mamme sulle orme di maria

Aiutami a rinascere Dar la vita ad un figlio è un grande gesto di amore, aiutarlo a rinascere è un atto di fiducia e di speranza: questa è la storia di Emilia.

«Per me un figlio è il sogno che diventa vita... Un raggio di sole che riempie e scalda il cuore, un battito che sarà anche il tuo… potrei continuare all’infinito, ma una sola parola può dire cos’è un figlio per me... È solo AMORE!».

La nascita della nipotina le diede una forza inaspettata perché ella sperava che proprio attraverso questa creatura, sua figlia avrebbe ripreso in mano la sua vita e sarebbe finalmente cresciuta. Non fu così, anzi le cose peggiorarono ancora. Anna finì nel terribile giro della droga, si dimenticò di tutto e di tutti, anche della sua bambina che fu legalmente affidata alla nonna, una nonna che per la quarta volta diventava madre. Emilia però non dimenticò sua figlia e neanche per un attimo prestò attenzione a chi la consigliava di chiudere la porta a questa ragazza irresponsabile che creava tante sofferenze. Aveva ben chiaro il modello a cui ispirarsi, quello di Maria: come la Madre Celeste ama tutti i suoi figli, non li abbandona e non nega mai il suo aiuto, così Emilia aveva deciso che, nonostante tutti e tutto, avrebbe sempre fatto sentire a sua figlia che lei ci sarebbe stata e che non l’avrebbe mai abbandonata.

(Antonella72)

no la loro bambina su una panchina con un panino per poi andarsene in giro a procurarsi la droga. «Come vorrei che tu mi potessi far rinascere, mamma!» furono le parole con cui si concluse la telefonata. Rinascere non è una cosa facile, vuol dire buttarsi alle spalle la vita passata e guardare con nuovi occhi quella futura ma Emilia si prefisse di realizzare con ogni mezzo il desiderio della figlia, come quando neonata era riuscita con le sue preghiere a strapparla alla morte. Anna ritornò a casa, trovò la porta ed il cuore di sua madre aperti per accoglierla e la sua bambina. Lei però non era ancora pronta. Sostituì la droga prima con l’alcool e poi con gli psicofarmaci, fu seguita da specialisti ed entrò in una comunità sempre seguita da Emilia.

Un’inaspettata telefonata Lo specchio incrinato

Per una donna la nascita di un figlio è un momento fondamentale e indimenticabile nella propria esistenza, una data così importante da essere utilizzata per un personale conto degli anni, simile all’ante e post Christum natum del calendario cristiano, il sistema di datazione nel cui centro viene posta la nascita di Gesù. Emilia ha avuto tre maternità, ma sicuramente è stata la nascita della sua secondogenita, Anna, la pietra miliare della sua vita. Una grave malattia contratta nei primi mesi e poi superata, portò Emilia a seguire con particolare attenzione ed apprensione la crescita della bimba: allora non sapeva che col tempo, questo sarebbe stato il comportamento abituale della sua relazione con Anna! L’infanzia e l’adolescenza di Anna sono trascorse serenamente in una famiglia unita ed allegra, gli studi scolastici davano ottimi risultati e tutto sembrava normale. Quanto c’è però di vero nella normalità e quanto invece è solo apparenza?

Spesso Emilia mi ha parlato del momento in cui la sua normalità si incrinò e, come una frattura su uno specchio, gradatamente si allargò sino a dilatarsi su tutta la superficie segnandola indelebilmente... Un giorno Anna interruppe il suo corso di studi ed iniziò una vita disordinata ed irregolare: stava molto fuori casa, tornava tardi la sera, poi iniziò ad assentarsi per giorni interi. Emilia cercò in tutti i modi di parlarle, di capire da cosa fosse causato questo cambiamento. Si mostrò ora comprensiva ora severa, senza però ottenere nulla, dolorosamente cosciente che Anna le stava sfuggendo di mano come quando, piccolissima, era stata sul punto di morire. Durante quel disastrato periodo, poiché, come dice il proverbio «Le disgrazie non vengono mai sole» il marito di Emilia iniziò ad avere seri problemi di cuore che nel giro di pochi mesi lo portarono alla morte ed Anna rimase incinta!

56

Da sporadiche notizie era riuscita a sapere che sua figlia si trovava ad Amsterdam e da lì un giorno ricevette una telefonata. Anna aveva sentito l’esigenza di ringraziarla perché si occupava di sua figlia, in seguito ad una scena che aveva visto e che l’aveva colpita molto: una coppia di ragazzi sbandati come lei che sistemava-

Una donna nuova Sono passati molti anni da allora: Anna si è ripresa e lavora, pur con le sue insicurezze e fragilità. Sua figlia è diventata una bella ragazza con la quale ha un rapporto conflittuale poiché entrambe non hanno mai sperimentato in concreto il rapporto madre-figlia: tutte due hanno un’unica madre, Emilia. Quello che mi colpisce quando parlo con questa splendida mamma è il sentire come, nonostante sia passato tanto tempo, si ponga ancora delle domande su che cosa lei abbia sbagliato nell’educare sua figlia e se davvero abbia fatto tutto il possibile per lei. La rassicuro dicendole che può essere molto orgogliosa della rinascita di Anna, proprio come se l’avesse “partorita due volte”. Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net

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mamme sulle orme di maria

Aiutami a rinascere Dar la vita ad un figlio è un grande gesto di amore, aiutarlo a rinascere è un atto di fiducia e di speranza: questa è la storia di Emilia.

«Per me un figlio è il sogno che diventa vita... Un raggio di sole che riempie e scalda il cuore, un battito che sarà anche il tuo… potrei continuare all’infinito, ma una sola parola può dire cos’è un figlio per me... È solo AMORE!».

La nascita della nipotina le diede una forza inaspettata perché ella sperava che proprio attraverso questa creatura, sua figlia avrebbe ripreso in mano la sua vita e sarebbe finalmente cresciuta. Non fu così, anzi le cose peggiorarono ancora. Anna finì nel terribile giro della droga, si dimenticò di tutto e di tutti, anche della sua bambina che fu legalmente affidata alla nonna, una nonna che per la quarta volta diventava madre. Emilia però non dimenticò sua figlia e neanche per un attimo prestò attenzione a chi la consigliava di chiudere la porta a questa ragazza irresponsabile che creava tante sofferenze. Aveva ben chiaro il modello a cui ispirarsi, quello di Maria: come la Madre Celeste ama tutti i suoi figli, non li abbandona e non nega mai il suo aiuto, così Emilia aveva deciso che, nonostante tutti e tutto, avrebbe sempre fatto sentire a sua figlia che lei ci sarebbe stata e che non l’avrebbe mai abbandonata.

(Antonella72)

no la loro bambina su una panchina con un panino per poi andarsene in giro a procurarsi la droga. «Come vorrei che tu mi potessi far rinascere, mamma!» furono le parole con cui si concluse la telefonata. Rinascere non è una cosa facile, vuol dire buttarsi alle spalle la vita passata e guardare con nuovi occhi quella futura ma Emilia si prefisse di realizzare con ogni mezzo il desiderio della figlia, come quando neonata era riuscita con le sue preghiere a strapparla alla morte. Anna ritornò a casa, trovò la porta ed il cuore di sua madre aperti per accoglierla e la sua bambina. Lei però non era ancora pronta. Sostituì la droga prima con l’alcool e poi con gli psicofarmaci, fu seguita da specialisti ed entrò in una comunità sempre seguita da Emilia.

Un’inaspettata telefonata Lo specchio incrinato

Per una donna la nascita di un figlio è un momento fondamentale e indimenticabile nella propria esistenza, una data così importante da essere utilizzata per un personale conto degli anni, simile all’ante e post Christum natum del calendario cristiano, il sistema di datazione nel cui centro viene posta la nascita di Gesù. Emilia ha avuto tre maternità, ma sicuramente è stata la nascita della sua secondogenita, Anna, la pietra miliare della sua vita. Una grave malattia contratta nei primi mesi e poi superata, portò Emilia a seguire con particolare attenzione ed apprensione la crescita della bimba: allora non sapeva che col tempo, questo sarebbe stato il comportamento abituale della sua relazione con Anna! L’infanzia e l’adolescenza di Anna sono trascorse serenamente in una famiglia unita ed allegra, gli studi scolastici davano ottimi risultati e tutto sembrava normale. Quanto c’è però di vero nella normalità e quanto invece è solo apparenza?

Spesso Emilia mi ha parlato del momento in cui la sua normalità si incrinò e, come una frattura su uno specchio, gradatamente si allargò sino a dilatarsi su tutta la superficie segnandola indelebilmente... Un giorno Anna interruppe il suo corso di studi ed iniziò una vita disordinata ed irregolare: stava molto fuori casa, tornava tardi la sera, poi iniziò ad assentarsi per giorni interi. Emilia cercò in tutti i modi di parlarle, di capire da cosa fosse causato questo cambiamento. Si mostrò ora comprensiva ora severa, senza però ottenere nulla, dolorosamente cosciente che Anna le stava sfuggendo di mano come quando, piccolissima, era stata sul punto di morire. Durante quel disastrato periodo, poiché, come dice il proverbio «Le disgrazie non vengono mai sole» il marito di Emilia iniziò ad avere seri problemi di cuore che nel giro di pochi mesi lo portarono alla morte ed Anna rimase incinta!

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Da sporadiche notizie era riuscita a sapere che sua figlia si trovava ad Amsterdam e da lì un giorno ricevette una telefonata. Anna aveva sentito l’esigenza di ringraziarla perché si occupava di sua figlia, in seguito ad una scena che aveva visto e che l’aveva colpita molto: una coppia di ragazzi sbandati come lei che sistemava-

Una donna nuova Sono passati molti anni da allora: Anna si è ripresa e lavora, pur con le sue insicurezze e fragilità. Sua figlia è diventata una bella ragazza con la quale ha un rapporto conflittuale poiché entrambe non hanno mai sperimentato in concreto il rapporto madre-figlia: tutte due hanno un’unica madre, Emilia. Quello che mi colpisce quando parlo con questa splendida mamma è il sentire come, nonostante sia passato tanto tempo, si ponga ancora delle domande su che cosa lei abbia sbagliato nell’educare sua figlia e se davvero abbia fatto tutto il possibile per lei. La rassicuro dicendole che può essere molto orgogliosa della rinascita di Anna, proprio come se l’avesse “partorita due volte”. Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net

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LETTERE A SUOR MANU

Ci vorrebbe un amico... Mia figlia di 11 anni è stata invitata da una compagna di scuola per il compleanno. Non voleva andarci perché, aveva detto, «Non ci va nessuno!». «A maggior ragione – ho detto io – che almeno ci vada tu!». Arrivate a casa della ragazzina il suo volto si è letteralmente illuminato e la sua mamma mi ha ringraziato perché se non fosse andato nessuno non avrebbe saputo come consolare sua figlia. Mi sono chiesta perché non sia venuto in mente anche a qualche altra mamma di convincere la figlia a farsi sentire amica. Non pensavo fosse necessario educare all’amicizia, una dimensione così naturale, così bella e anche così necessaria. Invece forse è proprio così. Allora da dove iniziare? Nicoletta Da dove iniziare? Da gesti piccoli ma importanti come quello che ha fatto lei convincendo sua figlia. L’amicizia è un bisogno fondamentale di ciascuno. Il primo modo in cui educare all’amicizia è testimoniare la propria capacità di amicizia... Che i nostri figli e i nostri allievi vedano in noi persone capaci di amicizia, che credono nell’amicizia. La letteratura sull’amicizia è ricca e molto bella. Uno dei racconti che amo di più è il seguente:

passeggiate, giocava con lui perché non sentisse la malinconia del suo handicap, lo faceva ridere raccontandogli le storie buffe. All’istituto venivano spesso le coppie che facevano conoscenza con i bambini e li portavano fuori a mangiare in vista di una possibile adozione. Nessuno, però, si interessava a Giovanni e Tommaso e tutti inventavano sempre una scusa. Lo aveva fatto solo due volte il dottor Arturo e sua moglie Anna. Una domenica, il dottor Arturo chiamò Tommaso e lo guardò negli occhi: «Sei un bambino veramente in gamba! Ti piacerebbe venire a vivere con noi? Saresti in affidamento per un po’, ma noi ti vorremmo adottare. Come un vero figlio. Che ne dici?». Tom-

Il piccolo Giovanni (detto Giò lo zoppo) e Tommaso erano arrivati all’istituto per bambini senza famiglia lo stesso giorno, pochi mesi dopo la nascita. Le volontarie erano molto buone con loro, un po’ meno i bambini della scuola che frequentavano. Erano crudeli spesso con il timido Giovanni, ma Tommaso sapeva metterli a posto, perché era un bambino robusto e intelligente: il più bravo a scuola e il più svelto in cortile. Era Tommaso che aiutava Giovanni, gli stava sempre vicino. Lo consolava quando aveva paura, lo aspettava durante le

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Uno dei doni più belli che possiamo fare ai bambini è quello di aiutarli ad essere dei veri amici, aiutarli ad apprezzare l’amicizia, a riconoscerla, a fare il primo passo verso di essa, ad essere fedeli, a non trascurarla, e nello stesso tempo a rispettare nell’amicizia la libertà.

maso rimase senza parole. Avere una mamma e un papà, come tutti! «Oh, oh s-s-sì, signore!», mormorò. Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Tommaso se ne andava, chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Giovanni? «lo... vi ringrazio tanto, signore» disse. «Ma non posso venire, signore!». E prima che il dottore scorgesse le sue lacrime, corse via. Poco dopo, il dottore lo venne a cercare con una delle volontarie. Tommaso stava aiutando Giovanni a infilarsi la scarpa speciale. Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Tommaso: «È per lui che non hai voluto venire a stare con noi, figliolo?». «Beh, si...» disse sottovoce Tommaso, «io... io sono tutto quello che lui ha...» rispose il bambino.

Un ragazzo passeggiava sulla spiaggia insieme alla madre. Ad un tratto le chiese: «Mamma, come si fa a conservare un amico quando finalmente si è riuscito a trovarlo?». La madre meditò qualche secondo, poi si chinò e prese due manciate di sabbia. Tenendo le palme rivolte verso l’alto, strinse forte una mano: la sabbia le sfuggì tra le dita, e quanto più stringeva il pugno, tanto più la sabbia sfuggiva. Tenne inve-

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settembre-ottobre 2013

LETTERE A SUOR MANU

Ci vorrebbe un amico... Mia figlia di 11 anni è stata invitata da una compagna di scuola per il compleanno. Non voleva andarci perché, aveva detto, «Non ci va nessuno!». «A maggior ragione – ho detto io – che almeno ci vada tu!». Arrivate a casa della ragazzina il suo volto si è letteralmente illuminato e la sua mamma mi ha ringraziato perché se non fosse andato nessuno non avrebbe saputo come consolare sua figlia. Mi sono chiesta perché non sia venuto in mente anche a qualche altra mamma di convincere la figlia a farsi sentire amica. Non pensavo fosse necessario educare all’amicizia, una dimensione così naturale, così bella e anche così necessaria. Invece forse è proprio così. Allora da dove iniziare? Nicoletta Da dove iniziare? Da gesti piccoli ma importanti come quello che ha fatto lei convincendo sua figlia. L’amicizia è un bisogno fondamentale di ciascuno. Il primo modo in cui educare all’amicizia è testimoniare la propria capacità di amicizia... Che i nostri figli e i nostri allievi vedano in noi persone capaci di amicizia, che credono nell’amicizia. La letteratura sull’amicizia è ricca e molto bella. Uno dei racconti che amo di più è il seguente:

passeggiate, giocava con lui perché non sentisse la malinconia del suo handicap, lo faceva ridere raccontandogli le storie buffe. All’istituto venivano spesso le coppie che facevano conoscenza con i bambini e li portavano fuori a mangiare in vista di una possibile adozione. Nessuno, però, si interessava a Giovanni e Tommaso e tutti inventavano sempre una scusa. Lo aveva fatto solo due volte il dottor Arturo e sua moglie Anna. Una domenica, il dottor Arturo chiamò Tommaso e lo guardò negli occhi: «Sei un bambino veramente in gamba! Ti piacerebbe venire a vivere con noi? Saresti in affidamento per un po’, ma noi ti vorremmo adottare. Come un vero figlio. Che ne dici?». Tom-

Il piccolo Giovanni (detto Giò lo zoppo) e Tommaso erano arrivati all’istituto per bambini senza famiglia lo stesso giorno, pochi mesi dopo la nascita. Le volontarie erano molto buone con loro, un po’ meno i bambini della scuola che frequentavano. Erano crudeli spesso con il timido Giovanni, ma Tommaso sapeva metterli a posto, perché era un bambino robusto e intelligente: il più bravo a scuola e il più svelto in cortile. Era Tommaso che aiutava Giovanni, gli stava sempre vicino. Lo consolava quando aveva paura, lo aspettava durante le

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Uno dei doni più belli che possiamo fare ai bambini è quello di aiutarli ad essere dei veri amici, aiutarli ad apprezzare l’amicizia, a riconoscerla, a fare il primo passo verso di essa, ad essere fedeli, a non trascurarla, e nello stesso tempo a rispettare nell’amicizia la libertà.

maso rimase senza parole. Avere una mamma e un papà, come tutti! «Oh, oh s-s-sì, signore!», mormorò. Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Tommaso se ne andava, chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Giovanni? «lo... vi ringrazio tanto, signore» disse. «Ma non posso venire, signore!». E prima che il dottore scorgesse le sue lacrime, corse via. Poco dopo, il dottore lo venne a cercare con una delle volontarie. Tommaso stava aiutando Giovanni a infilarsi la scarpa speciale. Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Tommaso: «È per lui che non hai voluto venire a stare con noi, figliolo?». «Beh, si...» disse sottovoce Tommaso, «io... io sono tutto quello che lui ha...» rispose il bambino.

Un ragazzo passeggiava sulla spiaggia insieme alla madre. Ad un tratto le chiese: «Mamma, come si fa a conservare un amico quando finalmente si è riuscito a trovarlo?». La madre meditò qualche secondo, poi si chinò e prese due manciate di sabbia. Tenendo le palme rivolte verso l’alto, strinse forte una mano: la sabbia le sfuggì tra le dita, e quanto più stringeva il pugno, tanto più la sabbia sfuggiva. Tenne inve-

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settembre-ottobre 2013

Quale idea hanno i nostri figli, i nostri ragazzi del nostro modo di vivere l’amicizia? Signore, aiutami ad essere per tutti un amico, che attende senza stancarsi, che accoglie con bontà, che dà con amore, che ascolta senza fatica, che ti ringrazia con gioia, un amico che si è sempre certi di trovare quando se ne ha bisogno. Aiutami ad essere una presenza sicura, a cui ci si può rivolgere quando lo si desidera, ad offrire un’amicizia riposante, ad irradiare una pace gioiosa, la tua pace, o Signore. Fa’ che sia disponibile e accogliente soprattutto verso i più deboli e indifesi. Così senza compiere opere straordinarie, io potrò aiutare gli altri a sentirti più vicino, Signore della tenerezza.

ce ben aperta l’altra mano: la sabbia vi restò tutta. Il ragazzo osservò stupito, poi esclamò: «Capisco». Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei... se i bambini vivono con adulti che danno importanza all’amicizia sapranno essere dei veri amici, ma se l’amicizia non è tra i valori degli adulti, non lo sarà neppure per i piccoli. Niente è più triste di un adulto che considera debolezza aver bisogno di un amico! Il miglior esempio da seguire è quello di Gesù stesso che non si è vergognato di piangere alla notizia della morte del suo amico e nella parabola del buon samaritano ha sottolineato la bellezza del “farsi prossimo”, che parafrasando si può dire anche “farsi amico”, “diventare amico”.

Mandateci le vostre foto con la rivista in mano! foto.rivista@ausiliatrice.net

Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net

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Quale idea hanno i nostri figli, i nostri ragazzi del nostro modo di vivere l’amicizia? Signore, aiutami ad essere per tutti un amico, che attende senza stancarsi, che accoglie con bontà, che dà con amore, che ascolta senza fatica, che ti ringrazia con gioia, un amico che si è sempre certi di trovare quando se ne ha bisogno. Aiutami ad essere una presenza sicura, a cui ci si può rivolgere quando lo si desidera, ad offrire un’amicizia riposante, ad irradiare una pace gioiosa, la tua pace, o Signore. Fa’ che sia disponibile e accogliente soprattutto verso i più deboli e indifesi. Così senza compiere opere straordinarie, io potrò aiutare gli altri a sentirti più vicino, Signore della tenerezza.

ce ben aperta l’altra mano: la sabbia vi restò tutta. Il ragazzo osservò stupito, poi esclamò: «Capisco». Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei... se i bambini vivono con adulti che danno importanza all’amicizia sapranno essere dei veri amici, ma se l’amicizia non è tra i valori degli adulti, non lo sarà neppure per i piccoli. Niente è più triste di un adulto che considera debolezza aver bisogno di un amico! Il miglior esempio da seguire è quello di Gesù stesso che non si è vergognato di piangere alla notizia della morte del suo amico e nella parabola del buon samaritano ha sottolineato la bellezza del “farsi prossimo”, che parafrasando si può dire anche “farsi amico”, “diventare amico”.

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Santuario Basilica di Maria Ausiliatrice Tel. 011 52 24 253 - Fax 011 52 24 262 - m.ausiliatrice@tiscali.it

Orario Sante Messe in Basilica Altre Celebrazioni in Basilica Giorni Feriali: 6.30 - 7.00 - 7.30 - 8.00 Giorni Feriali: 16.30 Rosario, Santa Messa 8.30 - 9.00 - 10.00 - 11.00 • 17.00 - 18.30 Sabato e Vigilia feste Prefestiva:18.00 16.30 Rosario - Adorazione Eucaristica 18.55 Primi Vespri Giorni Festivi: 7.00 - 8.00 - 9.00 - 10.00 11.00 - 12.00 • 17.30 - 18.30 • 21.00 Giorni Festivi: 16.30 Vespri, Adorazione Eucaristica Luglio e Agosto: soppressa la Messa delle ore 8.30 - ad Agosto anche quella delle 17.00 Confessioni in Basilica Giorni Feriali: 6.30/12.00 • 14.30/19.00  Giorni Festivi: 7.00/12.30 • 14.30/19.00 • 20.30/21.30

SETTEMBRE-OTTOBRE 2013

Nº 5 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE

settembre-ottobre

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del mondo

pag. 4 Alma Gr andin

pag. 28 Giovanni XXIII il Papa Buono

ci racconta il TG1 online. Il mondo a portata di un click

diventa santo. Gesù è per lui la “bussola” della vita

A

pag. 46 Scuola paritaria

Il Presidente nazionale Agesc Roberto Gontero scrive per noi

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