Rivista Maria Ausiliatrice n.4/2012

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Nº 4- 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE

luglio-agosto

L’anima mia

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO

magnifica

il Signore

pag. 2 NPG

L a rivista “Note di Pastorale Giovanile”: il “metodo preventivo” per gli educatori

pag. 20 SGS

pag. 23 L o sport per tutti

tipografia voluta da Don Bosco, festeggia i primi 150 anni

Tiziana Nasi, presidente della Fisip


hic domus mea

inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Per Bonifici: BancoPosta n. 21059100 IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100 PayPal: abbonamento.rivista@ausiliatrice.net Collaboratori: Franco Assom Federica Bello Lorenzo Bortolin Marina Lomunno Lara Reale Foto di copertina: Archivio RMA

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II  LUGLIO-AGOSTO 2012

E 13,00 E 20,00 E 50,00 E 15,00 E 18,00 E 3,00

Nel prossimo numero l'intervista a Suor Caterina CangiĂ , sceneggiatrice e produttrice del nuovo film su Madre Mazzarello.


Il saluto del Rettore

Vacanze: periodo di ricarica umana e spirituale Carissimi amici, il periodo estivo che si apre è un periodo segnato, almeno per un certo tempo, dalle vacanze, dalla pausa dal lavoro. Certo il momento presente non permette a molti vacanze e ferie vissute come prima, anzi non mancano preoccupazioni e timori; tuttavia resta sempre un tempo di sosta, di pausa, di ricarica. Il papa Benedetto XVI propone per questo tempo di mettere il Vangelo nella valigia, per diventare, alla luce della Parola, padroni di questo tempo, saperlo valorizzare e scoprire in esso i valori che racchiude. Un primo valore è il riposo. Le vacanze sono un periodo utile per riprendere le forze fisiche, psichiche e spirituali. Un secondo aspetto è la possibilità di riflettere: abbiamo bisogno di cercare spazio e tempo per pensare a noi, uscendo dal rumore della vita ordinaria. È un tempo per vivere un po’ di serenità interiore, che deriva dal fatto di avere possibilità di mettere ordine “dentro”; è un periodo privilegiato per una sosta ai “box” e riprendere serenamente la corsa della vita. Questo tempo permette una maggior presenza in famiglia: in una società in cui il lavoro e gli impegni occupano molto spazio, il periodo delle vacanze è favorevole per rafforzare i legami familiari, aumentare il dialogo, stare insieme e aiutare quelli che ne hanno più bisogno. È un tempo per coltivare le amicizie, riallacciare rapporti, farsi vicini a chi ha bisogno, condividere esperienze. È un tempo propizio per la lettura di qualche buon libro che aiuti ad aprire la mente e il cuore; è un tempo per riscoprire le bellezze della natura spesso guardata distrattamente e con fretta, tempo per riscoprire le bellezze della propria città, del proprio paese, del proprio territorio, spesso sconosciute. Per noi uomini e donne di fede è soprattutto un tempo per riscoprire la preghiera, il silenzio, la meditazione, alla luce dell’esperienza di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Don Bosco ci ripeterebbe con forza: «Vivi questo tempo, vivi tutto il tempo alla presenza di Dio, perché il tempo è di Dio e lui te lo affida perché tu ne faccia un tempo di lode e di amore a lui e di attenzione e di amore ai fratelli». A tutti il nostro saluto più cordiale e l’assicurazione del nostro costante ricordo in Basilica. Don Franco Lotto, Rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net

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foto di Mario Notario


A tutto campo

Una “sinfonia” di vita per i giovani la rivista “Note di pastorale giovanile”

Un viaggio attorno all’unica rivista italiana per la pastorale giovanile. Essa ripropone il Sistema Preventivo alla luce della teologia e scienze umane di oggi. Nata nel 1967, si apre ora alla multimedialità.

I

l logo è fresco e accattivante. Nell’intenzione dell’autrice Catia Camillini il gioco dei cerchi colorati rappresenta gli elementi fondamentali del Sistema Preventivo di Don Bosco, ed evoca gli “abbracci” dei giovani che circondano Don Bosco fino a far risaltare la radice di tutto: la croce, richiamo dell’amore totale e gratuito di Gesù per l’uomo… e per i giovani in modo speciale. È l’ultimo (e per un certo verso forse “definitivo”) logo grafico di NPG, rivista salesiana per l’educazione ed evangelizzazione dei ragazzi e dei giovani. Dal 1967 al 2012: 46 anni di riflessioni, di proposte, di esperienze, di sussidi pratici, di dialogo con i lettori, per un aiuto alla correttezza delle analisi, alla progettazione seria, alla praticabilità dei percorsi educativi. Per dire che i giovani ci sono, che aspettano di essere chiamati personalmente in causa e di scoprire la bellezza del Vangelo, della vita nella Chiesa e dell’impegno per il Regno. Questo può essere più facilmente realizzato se degli educatori stanno con loro, credono in loro, vivono per loro.

Un po’ di storia Per questo brevissimo viaggio intorno a Note di Pastorale Giovanile ci serviamo di un rimando musicale, come evocato dal titolo dell’articolo.

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Il nuovo logo (vedi al termine dell’articolo) è “costruito” sulla tradizionale immagine di Don Bosco che “abbraccia” i giovani. I “cerchi a croce” ne prolungano l’effetto.

“Note”: ovviamente come brevi appunti, cose utili ma essenziali, senza pretesa di sistematicità o compiutezza. Non si lavora con i giovani “deducendo” dai libri ma “inventando”, costruendo insieme. Ma il richiamo ovvio è anche a “notazioni musicali”… come a dire che nel lavoro pastorale con i giovani - e con l’aiuto della Grazia - si possono comporre “sinfonie”… dei veri capolavori. Don Bosco ci credeva, e Domenico Savio pure, come mostra l’immagine della stoffa e del sarto. Le note sono indicate internazionalmente da lettere (a, b, c, ecc.) e con alcune di queste lettere-note musicali vorremmo richiamare la carta di identità della rivista, così che nell’insieme esse costruiscano la sinfonia della vita del giovane cristiano (e del suo educatore). Partiamo dalla lettera S (il si, la “sensibile” nella scala di do), con un po’ di storia. Il tempo è quello dell’entusiasmo del “dopo Vaticano II”, la contestazione giovanile e la messa in discussione di metodi e pratiche educative tradizionali, la voglia di novità: lo stesso Capitolo Generale dei Salesiani che “inventa” un centro di pastorale giovanile per produrre nuove idee e studiare nuove iniziative nel campo dell’educazione dei giovani. Spuntano qui i nomi che faranno la storia della rivista: d. Elio Scotti, d. Riccardo


che esplicitano il perché e il che cosa della proposta. Il resto, tutto il resto è solo il come condurre a questo incontro. E così il progetto educativo, gli itinerari o cammini di fede, il gruppo, l’animazione, le strutture... possiamo – nella nostra metafora musicale – considerarli come le altre “note” della composizione.

Tonelli, d. Luigi Negri, e via via altri che si aggiungeranno (preti e laici), studiosi e operatori (G. Gozzelino, G. Piana, M. Pollo, D. Sigalini…). La rivista cresce di credito fino a diventare, nelle parole di d. J. Vecchi - compianto Rettor Maggiore -, «il fiore all’occhiello» della Congregazione Salesiana in termini di riflessione e proposta pastorale. Le idee e proposte, nate come aiuto a una nuova prassi salesiana, vengono accolte anche in altri ambienti, ecclesiali e laici: riferimento sicuro per gli operatori pastorali.

I giovani e Gesù, che altro? Velocemente altre “note”: la G (il sol, o dominante nella scala di do). E abbiamo i due grandi riferimenti, i pilastri del progetto: giovani e Gesù. I giovani come destinatari e soggetti protagonisti della loro crescita personale e cristiana, come sguardo privilegiato sul mondo, persone di cui l’educatore vuole essere compagno e guida, amico e padre lungo il cammino della vita. E Gesù, la fonte e radice dell’impegno dell’educatore, Colui verso il quale incontro esistenziale (e all’interno della comunità-Chiesa e dunque nella Parola e liturgia si vuole accompagnare i giovani. Tutta NPG sta in questi due riferimenti

Note di Pastorale Giovanile via Marsala 42 - 00185 Roma Telefono: 06 49 40 442 Fax: 06 44 63 614 www.notedipastoralegiovanile.it facebook.com/notedi.pastoralegiovanile twitter.com/#!/NotediPG

Abbonamento ccp n. 32701104 intestato a: Note di pastorale giovanile - Editrice Elledici, 10093 Leumann TO. Elledici ufficio abbonamenti tel. 011.95.52.164/165; fax 011.95.74.048 abbonamenti@elledici.org www.elledici.org/periodici/servizi/ ps100800.php

(abbonamento on-line con carta di credito)

Chiudiamo il cerchio con un’altra S, che si appoggia alla naturale conclusione sinfonica: social (NPG). È il modo di oggi per avvicinare una cultura dell’immagine e della comunicazione 2.0. Per NPG questo significa un ricco e frequentatissimo sito (www.notedipastoralegiovanile.it); una newsletter mensile; la connessione a facebook, twitter per brevi lanci di info, youtube (per le videolezioni), una colonna sonora (una canzone sui giovani e la loro vita, della giovane e brava Margherita Pirri vincitrice di recenti concorsi nazionali e una tra le più ascoltate cantanti di Radio Demo RAI), un blog. Tutto come desiderio e impegno ad incontrare i giovani, dovunque e comunque; e di creare con loro - attraverso la riflessione e la proposta - una melodia o una sinfonia della vita. Come è nello slogan del sito: «Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiana, che vi possa nel tempo stesso rendere allegri e contenti, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri» (Don Bosco). Giancarlo De Nicolò redazione.rivista@ausiliatrice.net

Il nuovo logo della rivista: i “semicerchi” rappresentano i giovani attorno alla figura centrale di don Bosco, e disegnano la croce, simbolo della donazione totale di Gesù.

a tutto campo

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Leggiamo i vangeli

Non sono ammesse scorciatoie! Cosa significa camminare dietro a Gesù che sceglie di percorrere la via della debolezza per darci la salvezza? Un dialogo serrato tra lui e Pietro ci rivela che il cammino del discepolo deve essere di totale condivisione con la scelta del Maestro. Gesù è il Cristo Quanta strada gli Apostoli avevano fatto per capire chi fosse Gesù. Pietro a nome di tutti a Cesarea di Filippo lo aveva professato «il Cristo», il Messia. Da quel giorno Gesù iniziò la sua discesa verso Gerusalemme, cioè verso la sua Pasqua. Quanta strada avrebbero però ancora dovuto percorrere i Dodici per comprendere che tipo di messia egli fosse! Per un Giudeo – e gli Apostoli lo erano – una cosa era chiara: il messia atteso da Israele era una figura potente, che con il vigore concessogli dal Signore avrebbe restituito al popolo eletto libertà dai regni stranieri. Era dunque loro ferma convinzione che il messia non potesse che essere forte, glorioso; che fosse debole non era contemplato in alcun modo. Per altre due volte Gesù sentì la necessità di ripetere l’insegnamento sul suo essere Messia rivestito di debolezza (Mc 9,3032; 10,32-34), ma per altrettante volte i Dodici non capirono. Solo al culmine del cammino, illuminati dalla presenza del Risorto che li mandava a proclamare il Vangelo, i loro occhi si aprirono veramente per comprendere il significato ed il valore del cammino di debolezza e della croce percorso dal loro Maestro e Signore.

L’insegnamento nuovo Chiunque abbia letto con attenzione il Vangelo di Marco, resterà sorpreso che

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L’insegnamento di Gesù rivolto ai discepoli è oggi un messaggio per ciascuno di noi, un invito ad una sequela consapevole e fiduciosa.

© Nino Musio

egli, giunto alla metà del suo racconto, scriva: Gesù «incominciò ad insegnare loro». Forse che prima d’ora Gesù non aveva mai offerto insegnamenti ai Dodici? Certo che ne aveva dati! L’Evangelista vuol piuttosto farci capire che questo insegnamento è da ritenersi tanto importante da segnare un punto di svolta nella storia della sequela e da dover essere considerato come un secondo inizio del suo Vangelo. Qual è dunque il motivo di tanta importanza e novità? Gesù sente il dovere di insegnare che il Cristo che egli realmente è «deve» soffrire, essere


riprovato, essere ucciso e risorgere. La sua non è insomma da subito la via della grandezza, ma deve essere quella della debolezza e della sofferenza fino alla morte: solo così egli perverrà alla gloria che Dio gli darà. La decisività di questo insegnamento viene ancora segnalata da Marco quando scrive che Gesù pronunciò quelle parole «apertamente», in modo chiaro, ossia senza mezzi termini né addolcimento alcuno. La lezione di Gesù sul suo destino di morte e di gloria è proprio il cuore di tutto il suo Vangelo.

Non si può rifiutare l’insegnamento nuovo Il discepolo che non condivide ed accoglie le parole del Maestro sulla sua sorte, rifiuta il Vangelo stesso. La posta in gioco è alta! Pietro però per il momento non riesce né ad accogliere né a condividere quanto Gesù ha appena detto. Marco scrive infatti che l’Apostolo, dopo aver preso in disparte Gesù, lo rimprovera per quello che aveva detto, ma non ne riporta le parole pronunciate; lo fa Matteo. Leggiamole: «Dio non lo voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22). È questo il tono con cui Pietro richiama Gesù: lo fa perché lui sa che il messia di Israele non può essere un debole; lo fa anche perché teme per se stesso: sa bene infatti che la sorte del discepolo è quella del Maestro! Con ardore Pietro si oppone a Gesù, ma con altrettanto impeto costui lo riprende. A differenza dell’Apostolo, il Signore parla ora davanti a tutti. Anzi, l’Evangelista per farci capire che Gesù non intende solo rimproverare Pietro, ma anche gli altri Apostoli che in fondo la pensavano come lui, scrive che Gesù «voltatosi e guardando i suoi discepoli» parla.

Nessuna scorciatoia per chi segue il Signore Ci saremmo aspettati parole di biasimo, un «Volete andarvene anche voi?» insomma! Gesù però non si comporta così. È vero rimprovera gli Apostoli e Pietro: «Va’

La strada del discepolo è quella già percorsa da Gesù, è lasciarsi morire come il chicco di grano per diventare il pane dell’umanità.

dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Espressioni dure, ma volte ad un unico scopo: nessuno deve perdersi di quelli che lui aveva chiamato a seguirlo. Nessuno, tantomeno Pietro cui egli aveva affidato una dignità ed un compito davvero unici. Gesù deve però compiere il progetto che il Padre gli ha affidato: pertanto se Pietro glielo impedisce diventa per lui un ostacolo, un vero tentatore che cerca in ogni modo di stornare la sua volontà e decisione di salvare tutti passando però per la debolezza, la sofferenza e la morte! Tutto questo in ossequio alla volontà del Padre. Gesù non può in alcun modo permettere a Pietro di mettere al posto del progetto di Dio un altro progetto più comodo, una scorciatoia. Per questo gli dice: «Rimani con me, ma riprendi il tuo esatto posto nella sequela, quello che ti avevo assegnato quando sulle rive del mare di Galilea ti chiamai e ti dissi “Su! dietro di me”». Per essere discepoli autentici bisogna totalmente lasciarsi coinvolgere nel progetto della salvezza che Cristo Gesù ha vissuto fino in fondo, bisogna entrare in una situazione di totale condivisione con la sua sorte: come il Maestro possiamo dirci disponibili a passare per il crogiolo della sofferenza, a preferire la via della debolezza? A darci la gloria ci penserà poi il buon Dio. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net LEGGIAMO I VANGELI

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In cammino con Maria

Cana e Tabor Maria e il Padre Per i pellegrini che visitano la Galilea, il monte Tabor e il piccolo paese di Cana sono tra le tappe immancabili. Oltre alla vicinanza geografica, che legame c’è tra di loro?

G

iovanni presenta il miracolo del cambiamento dell’acqua in vino avvenuto a Cana come il primo “segno” operato da Gesù (Gv 2,1-11). È una parola densa di significato. Un detto sapienziale cinese dice così: «Quando ti addito la luna, è alla luna che devi guardare e non al mio dito». Il segno non è fine a sé, ma rinvia al di là di sé, indica e significa una realtà che lo trascende. L’evento a Cana è un dito che punta su Gesù, sulla sua divinità e sulla novità del Vangelo che è venuto a portare. Non soltanto il fatto nella sua totalità, ma anche i singoli elementi: il terzo giorno, le nozze, l’acqua, il vino, le sei giare, sono tutti segni sovraccarichi di significato. E i personaggi intorno a Gesù: i discepoli che giungono alla fede attraverso il segno; i servi che, con la loro obbedienza, sono

diventati collaboratori e testimoni del segno; il maestro di tavola il cui malinteso ha accentuato la grandezza del prodigio; tutti appaiono come segni o paradigmi, hanno in sé un’eccedenza di significato, rinviano al di là di sé per rappresentare molte altre persone simili a sé. Che dire poi di Maria? Le sue parole concise, il suo atteggiamento discreto e premuroso non assomigliano al dito puntato sulla luna? Mentre il miracolo a Cana è posto all’inizio della missione pubblica di Gesù, la trasfigurazione sul Tabor avviene quando Gesù si avvia verso la croce (Mt 17,15; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36). Il monte, lo splendore, la veste candida, la nube luminosa, Mosè e Elia: tutto addita la gloria del Figlio di Dio e allude al suo mistero pasquale. Pietro, abbagliato dalla luce ed estasiato dalla bellezza, vorrebbe che il tempo si fermasse, che la gloria permanga. Egli crede ingenuamente di ottenere questo costruendo tre tende, ma ormai la gloria di Dio non abita nelle tende fatte da mano d’uomo. Egli si arresta al dito, ma Gesù lo spinge verso l’oltre.

Una voce Sul Tabor, accanto alla visione, si ode una voce dal cielo. È il Padre che parla: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). Gesù è il Figlio prediletto, amato dal Padre. La relazione tra Padre e

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L’amore ha bisogno di segni, gli sposi ritrovano nell’altro il segno dell’amore di Dio, il volto amorevole del Padre e al tempo stesso sono segno testimoniando l’amore di Dio per la sua Chiesa. L’uomo però non deve correre il rischio di ridurre la sua fede solo a una ricerca di segni spettacolari e miracolosi, ma aprirsi ogni momento all’orizzonte più grande dell’Amore di Dio cui i segni rimandano.


Il monte Tabor, luogo della Trasfigurazione, luogo della contemplazione di un Dio che si fa voce nel cuore dell’uomo e che si manifesta nella bellezza e grandezza del creato e nella gioia del cuore.

Figlio è caratterizzata dall’amore. Il Padre ha voluto rendere pubblico il suo amore per il Figlio in due momenti importanti della sua vita: al battesimo sulla sponda del fiume Giordano (Mt 3,13-17; Mc 1,911; Lc 3,21-22) e ora sul Tabor. Da questa rivelazione dovremmo percepire non soltanto quanto il Padre ama il Figlio, ma anche quanto Egli ama l’umanità, per il fatto che ha donato a noi questo Figlio amato. La parola del Padre richiama le bellissime riflessioni di Giovanni: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16); «In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio» (1Gv 4,9). Gesù è il dono d’amore dal Padre all’umanità. La voce dal cielo in realtà è un’epifania di Dio come amore: amore verso il Figlio nello Spirito e amore verso l’umanità e verso tutte le sue creature. All’affermazione segue un imperativo: «Ascoltatelo!». Tutti gli uomini e le donne, se ascoltano il Figlio, sono coinvolti nell’amore reciproco e nella comunione vitale tra Padre e Figlio e diventano essi stessi figli e figlie amati dal Padre. La voce del Padre sul Tabor richiama la voce della Madre a Cana. Tra le poche parole di

Maria riportate nel Vangelo, c’è soltanto una indirizzata direttamente agli uomini, è la parola rivolta ai servi nelle nozze di Cana: «Qualsiasi cosa vi dica fatela» (Gv 2,5). A ragione questa parola è considerata “il comandamento mariano”. È anche l’ultima parola pronunciata da lei, quasi un “testamento spirituale” consegnato ai suoi figli. Come il Padre ritorna nel silenzio dopo aver manifestato il suo amore per Gesù e invitato tutti ad ascoltarlo, così Maria non parlerà più: ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68). Ad Jesum per Mariam. Maria conduce a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità nuova di Gesù, anzi aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso che Egli stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando» (Gv 15,14). «Questi è il Figlio mio l’amato: ascoltatelo!», «Qualsiasi cosa vi dica fatela»: sono parole proclamate con amore e sono parole che uniscono l’umanità a Gesù, l’unico Salvatore. La voce del Padre sul monte Tabor risuona solenne e misteriosa. La voce della Madre a Cana, semplice, discreta, soave, permeata dalla tenerezza materna e dalla sapienza femminile, è altrettanto potente ed efficace. Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net IN CAMMINO CON MARIA

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In cammino con Maria

La devozione alla Madonna Tutta la natura, le piante, i fiori e gli animali rendono omaggio a Maria! «Animali tutti, selvaggi e domestici, benedite la Madre del Signore». La Madonna degli animali Nel Museo dell’Albertina a Vienna un magnifico disegno a penna, parzialmente acquerellato, di Albrecht Dürer, ritrae un momento di serenità della Santa Famiglia di Nazareth. Al centro della scena la Madonna, seduta con il Bambino in grembo, chiude il libro che sta leggendo, distratta forse dal piccolo Gesù che indica San Giuseppe che si avvicina sulla destra. Numerosi animali si muovono nel piacevole paesaggio che si perde in lontananza, con la scena dell’annuncio ai pastori ed il corteo dei re Magi che giunge sulla sinistra. L’artista ha voluto certamente rappresentare la condizione di vita del paradiso terrestre nel quale il male, simboleggiato dalla volpe, è tenuto a bada da una corda che lo imprigiona ad un ceppo. Tra gli animali si riconoscono un leone, Santa Famiglia di Nazareth di Albrecht Dürer.

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Madonna della Stalla a Porzano di Leno.

un pappagallino, un picchio, un gufo, una civetta, una libellula, un grillo, fringuelli, cigni, un airone, un gregge di pecore con il cane e un ariete: tutti lodano il Creatore e fanno corona a Maria. Anche i fiori, il giglio e le rose, sulla sinistra, celebrano la verginità e l’amore della Madonna e del Bambino Gesù.

Alcune altre raffigurazioni che esprimono devozioni mariane caratteristiche

Madonna delle Galline di Pagani.

Molti sono gli artisti che si sono dilettati nel ritrarre la Madonna con il Bambino Gesù in mezzo ad alcuni animali, personificazione di particolari virtù. La Divina Pastora ritrae Maria attorniata da pecore e da agnelli. Come la figura di Gesù buon pastore ci richiama la sua amorevolezza per noi peccatori, così quella della Divina Pastora ci ricorda la delicatezza materna di Maria. La Madonna delle galline di Pagani, Salerno. Sono alcune galline che, razzolando, ritrovano una tavoletta di legno su cui è raffigurata la Madonna del Carmine. La guarigione di uno storpio ed altri numerosi miracoli ne accrescono la devozione e nel 1610 le è dedicata una magnifica Chiesa. Nell’Abbazia di Chiaravalle presso Milano, il bel quadro del Prof. Adriano Ambrosioni raffigura la Madonna delle uova: su uno sfondo di gigli, Maria tiene in grembo il Bambino Gesù che stringe tra le manine un uovo di gallina; sulla destra un cestello con altre sei uova. Da sempre nel mondo cristiano l’uovo, simbolo di fertilità, sta a raffigurare la nuova vita, la Risurrezione.


e il mondo degli animali

Madonna di Monte Nero a Livorno.

Madonna della rondine ad Avigliana.

La Madonna della stalla a Porzano di Leno, Brescia: nel 1490 la Madonna appare ad una fanciulla cieca, sola in una stalla, tra gli animali, e le dona la vista.

Gli uccellini nella simbologia mariana La Madonna del cardellino è raffigurata da Raffaello seduta, in un sereno paesaggio umbro, con un libro in mano. Accanto a Lei il piccolo Giovannino e Gesù Bambino giocano con un cardellino, simbolo della Passione di Gesù. La Madonna di Montenero, Livorno. Il volto della Madonna è inclinato verso il Bambino Gesù che le siede in grembo aggrappato con le manine alla veste, mentre tiene un filo che lega delicatamente l’uccellino, sul braccio di Maria, quasi ad indicare che la fede è come un filo che porta al cristiano la salvezza di Gesù, attraverso la devozione della Madonna. La Madonna della rondine in Avigliana, Torino. Su un Pilone campestre, la devozione popolare raffigura la Madonna in atteggia-

Abbazia di Chiaravalle via Sant’Arialdo 102 20139 Milano Tel: 0257403404 s.m.chiaravalle@libero.it Parrocchia di S. Martino Vescovo Piazza Chiesa 6 25024 Porzano di Leno (Bs) Tel: 0309067376 parrocchiaporzano@popolis.it Santuario Madonna di Montenero Piazza di Montenero 9 57128 Livorno Tel: 0586.57.96.27 info@santuariomontenero.org Santuario Madonna dei laghi Corso Laghi 278 10051 Avigliana (To) Tel: 011.932.88.27 direttore.avigliana@ salesianipiemonte.it

Divina Pastora di Pesaro.

mento materno, seduta, con in braccio il Bambino Gesù che tiene tra le manine, trastullo innocente, una rondine, simbolo di speranza e di nuova vita. Le mamme, passando lungo il sentiero, con i loro bambini al collo, hanno un pensiero di saluto ed una preghiera a Maria e si sentono rincuorate. Tra le tante grazie ottenute per intercessione della Madonna della rondine, forse la più insigne, è quella ricevuta dalla contessa di Savoia, Bona di Borbone, sposa di Amedeo VI, tanto desiderosa di poter stringere anche lei al proprio seno un bambino ed erede. La Madonna accoglie il suo desiderio di mamma ed il 24 febbraio 1360 nasce Amedeo VII, il Conte Rosso. La riconoscenza verso Maria, di Bona di Borbone, di tante altre mamme felici e di tutte le persone beneficate, fu grande e continua: il Pilone si è trasformato in piccola Cappella e quindi in Santuario con annesso il Convento per i Padri Cappuccini, ed ora per i Figli di Don Bosco. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net IN CAMMINO CON MARIA

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Maria nei secoli

“La Vergine del sorriso” e S. Teresa di Lisieux Molti, affettuosamente, la chiamano S. Teresina, ma è una grande santa. Ha scritto “Storia di un’anima”, opera che ha portato alla conversione molti e le ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa.

U

n uragano di gloria. Un maremoto popolare universale. Un fenomeno unico nella storia della Chiesa. Soltanto così potremmo definire quello che è avvenuto dalla sera del 30 settembre 1897, quando, dopo dodici settimane di agonia e sussurrando «Io non muoio, entro nella vita», si spegne una ragazza di ventiquattro anni, nell’infermeria del Carmelo di Lisieux, una cittadina di 19 mila abitanti, nella Francia settentrionale. La ragazza si chiama Thérèse Martin. Dal giorno della sua vestizione, il 10 gennaio 1889, ha assunto il nome religioso di Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto. E così tutto il mondo l’ha conosciuta e la conosce. Dio che confonde i sapienti di questo mondo con la sua Sapienza, ha

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La basilica di Lisieux, la cittadina della Francia settentrionale dove la giovane Thérèse Martin divenne monaca e compì il suo cammino verso la santità.

fatto di questa ragazza, vissuta nell’intimità della famiglia e le mura del monastero carmelitano, il più grande teologo del secolo XIX, eccellenza riconosciuta anche da papa Giovanni Paolo II che nel 1997 la dichiarò Dottore della Chiesa. Tutti i Papi l’hanno sempre tenuta in grande considerazione: da Pio XI, che la beatificò, la canonizzò e la dichiarò anche Patrona universale delle missioni, a Giovanni Paolo I che le ha scritto una lettera: «Avevo 17 anni quando lessi la tua autobiografia. Mi fece l’effetto di un fulmine a ciel sereno».

“La Vergine Santa mi ha sorriso” Quando sua sorella maggiore Pauline, cui lei era affezionatissima, entrò al Carmelo, la piccola Thérèse, orfana della mamma già a quattro anni, si ammalò. Guarì soltanto quando la Madonna le apparve e le sorrise “al mattino della vita”. Si tratta di un episodio che segna profondamente la sua vita. Lei stessa lo ricorderà con queste parole: «Non trovando soccorso sulla terra, la povera Teresa si era rivolta anche lei alla Madre del Cielo, la pregava con tutto il cuore perché avesse pietà di lei. Ad un tratto la Vergine Santa mi apparve bella, tanto bella, che non avevo visto mai cosa bella a tal segno, il suo viso ispirava bontà e tenerezza ineffabili, ma quello che mi penetrò tutta l’anima fu il sorriso stupendo della Madonna. Allora


tutte le mie sofferenze svanirono, delle grosse lacrime mi bagnarono le guance, ma erano lacrime di una gioia senza ombre. Ah, pensai, la Vergine Santa mi ha sorriso, come sono felice!». E la Madonna continuò a sorriderle, come nel giorno della sua prima comunione, quando si consacrò a Lei. Ecco le sue parole: «Fui io a pronunciare l’atto di consacrazione alla Madonna. Ci misi tutto il mio animo a parlarle, a consacrarmi a lei, come una bambina che si getta tra le braccia di sua madre e le chiede di vegliare su di lei. Mi sembra che la Madonna dovette guardare il suo fiorellino e sorridergli». E la Madonna le ottenne la grazia dell’amore sponsale intensissimo per Gesù conducendola al Carmelo: «Non è stata forse Lei a deporre nel calice del suo fiorellino il suo Gesù, il fiore dei campi, il Giglio della valle?». La sua autobiografia, composta per richiesta della sua Superiora, è diventato un bestseller: è intitolato Storia di un’anima. Moltissime persone, leggendola, sono passate dalla tiepidezza al fervore. Forse, il segreto di questo successo intramontabile è legato alla benedizione di Maria. La stessa Teresa racconta che, prima di redigere il suo diario, si inginocchiò dinanzi alla statua di Maria supplicandola di guidarle la mano. E la Madonna l’ha ascoltata. Persino un criminale francese, poi condannato all’esecuzione capitale, si convertì in carcere leggendo la Storia di un’anima. Il suo nome è Jacques Fesch e di lui è in corso il processo di beatificazione.

Perché ti amo, o Maria La Santa di Lisieux parla frequentemente di Maria, nei suoi scritti. Nella sua semplicità formula un principio teologico di grandissimo valore. Afferma che quando si parla di Maria, non bisogna mai dimenticare di proporla come un esempio da seguire e che le sue eccellenti prerogative non eliminano l’ordinaria quotidianità della sua vita terrena e, soprattutto, che

Quanto avrei desiderato essere sacerdote per predicare sulla Santa Vergine! Mi sarebbe bastata una sola volta per dirle tutto ciò che penso a questo proposito: la Santa Vergine è regina del cielo e della terra, ma è più madre che regina (S. Teresa di Lisieux).

anche la Madonna esercitò la virtù della fede. Ecco le parole della “petite Thérèse”: «Bisognerebbe mostrarla imitabile, far risaltare le sue virtù, dire che viveva di fede come noi, darne le prove con il vangelo dove leggiamo a proposito dei suoi genitori: “Non capirono ciò che diceva loro”». Teresa è stata una poetessa fine e delicata. Alla Vergine ha dedicato il suo ultimo suggestivo poemetto, dal titolo Pourquoi je t’aime, o Marie (Perché ti amo, o Maria), composto quattro mesi prima di morire. Sono venticinque strofe dove la lode per la Madre di Dio si accompagna a un’intensa meditazione degli avvenimenti del Vangelo che parlano di Lei. In esse sono contenuti autentici gioielli di teologia e spiritualità mariana, come i versi con cui Teresa spiega il motivo fondamentale della grandezza di Maria, l’umiltà, che la rende onnipotente per grazia: «T’amo, Maria, quando ti chiami serva del Dio che tu conquisti con l’umiltà. Per tal virtù nascosta sei onnipotente nel tuo cuore attiri la Trinità». Ed ecco perché ogni persona devota di Maria impara anche da Santa Teresina a rivolgersi alla Madre con illimitata fiducia ed in ogni circostanza della vita: «Se sopraggiunge una preoccupazione - scrive Teresa - una difficoltà, subito mi rivolgo a lei e sempre, come la più tenera delle madri, prende a cura i miei interessi». Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net

Fra i capitoli più originali della scienza spirituale [di Santa Teresa di Lisieux] è da ricordare la sapiente esplorazione che Teresa ha sviluppato del mistero e del cammino della Vergine Maria, giungendo a risultati molto vicini alla dottrina del Concilio Vaticano II e a quanto io stesso ho proposto nella mia Enciclica Redemptoris Mater (Beato Giovanni Paolo II).

MARIA NELL’ARTE

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Maria nei secoli

La Madonna di Fiesole La splendida terracotta degli inizi del Quattrocento è stata scoperta nel vescovado di Fiesole (Firenze) ed è stata attribuita a Filippo Brunelleschi, il grande architetto. Il committente era importante: forse apparteneva alla famiglia de’ Medici.

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ono stati alcuni restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, uno dei laboratori di restauro di opere d’arte più prestigioso d’Italia, a scoprire nel vescovado di Fiesole (Firenze) questa splendida terracotta degli inizi del Quattrocento. Ancor più singolare è che per l’attribuzione si è chiamato in causa Filippo Brunelleschi, il grande architetto che ha costruito la cupola della cattedrale di Firenze e il portico dell’Ospedale degli Innocenti, su piazza dell’Annunziata. Se Brunelleschi è conosciuto come uno dei più grandi architetti di tutti i tempi, pochi sanno che da giovane fu anche valente scultore, al punto di rivaleggiare con Donatello. Famosa è la formella con il “Sacrificio di Isacco”, preparata nel 1401 per il concorso di una porta del battistero di Firenze e un Crocifisso per la chiesa domenicana di Santa Maria Novella. Filippo era nato nel 1377 e svolse il suo apprendistato nella bottega di un orafo. In quel contesto approntò alcuni particolari dell’altare di Sant’Jacopo per la cattedrale di Pistoia. Nel 1418, dopo importanti prove come scultore, cambiò indirizzo e si dedicò all’architettura. Il suo primo rilevante impegno fu la costruzione della cupola della cattedrale fiorentina, Santa Maria del Fiore, e singolare è il fatto che realizzò l’imponente opera senza l’aiuto di ponteggi.

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In cerca di sicurezza tra le braccia della Mamma Successivamente, tra il 1421 e il 1424, progettò la Loggia per l’Ospedale degli Innocenti, esempio innovativo di chiarezza e linearità e, a seguire, nel 1423, la chiesa di San Lorenzo con la sacrestia. Alcuni anni dopo, tra il 1430 e il 1444, Brunelleschi realizzò per la famiglia Pazzi la cappella aperta sul chiostro di Santa Croce. Grazie a queste importanti realizzazioni, la sua attività di scultore rimase sempre in ombra. Ora, per merito di questa splendida opera, che misura cm 60x17x88,5 e che è stata denominata Madonna di Fiesole dal luogo dove è stata ritrovata, la sua maestria è ancor più riconosciuta. Gli storici dell’arte la datano ai primissimi anni del Quattrocento: Brunelleschi aveva circa venticinque anni e dopo aver realizzato la formella del “Sacrificio di Isacco”, eccolo creare questo miracolo di arte e di umanità. L’opera rappresenta una giovanissima Madonna, con lo sguardo fisso, forse un po’ perso nel vuoto, ma che lascia intendere la tristezza dei pensieri che si affollano nella sua mente. È tradizione nell’iconografia cristiana che Maria assuma atteggiamenti che preludono la morte tragica del Bambino che stringe tra le braccia. Il Piccolo Gesù cerca sicurezza


tra le braccia della mamma e si stringe a lei, facendo quasi tutt’uno con il corpo di Maria.

“o mater dei memento mei”, invocava il ricco committente Le mani della Vergine sorreggono con delicatezza il piccolo corpo e con un bellissimo gioco pieno di umanità, gli trattengono le gambe, l’una tesa e l’altra piegata a mostrare il piede. Umanità e tenerezza raggiungono i vertici della loro espressione in questo capolavoro della scultura del primo Rinascimento. Il gruppo poggia su una base rettangolare, decorata con archetti intrecciati di gusto gotico, con la scritta “O mater Dei memento mei”, Madre di Dio ricordati di me. Che fosse una scultura destinata ad un committente importante - forse un membro della potente famiglia fiorentina de’ Medici - lo dichiara non soltanto la decorazione raffinata dei panni, ma soprattutto l’uso di materiali preziosi come l’oro per il manto e i capelli sia della Vergine, sia del piccolo Gesù, e poi l’azzurrite e la lacca rossa nella veste. Il corpo del Piccolo è in parte avvolto dallo scialle della mamma, ma il suo abitino è prezioso, decorato con bolli d’oro punzonati. Maria aveva in testa una corona che ha perso le punte, forse a causa della loro fragilità. Gli angoli della base un tempo avevano degli stemmi, certo per rendere esplicita la committenza, ma sono scomparsi, forse cancellati di proposito al momento della caduta in disgrazia del loro nobile referente. I restauri hanno appurato che la Madonna di Fiesole è un prototipo originale, modellato direttamente in creta, da cui è stata tratta una matrice per realizzare numerose repliche in terracotta e in stucco, repliche che attualmente si conservano nei più prestigiosi musei del mondo. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net MARIA NEI SECOLI

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La parola qui e ora

Il rischio della incredulità e dell’idolatria [Gesù] partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. (Mc 6, 1-6)

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llora non è vero che Gesù “ci azzecca” sempre! A Nazareth non riesce a compiere nessun prodigio perché la gente non crede in Lui. I suoi compaesani conoscono il falegname, “il figlio di Maria” (ed è probabilmente un dispregiativo, perché gli Ebrei richiamavano il nome del padre, anche dopo la morte); ma non vogliono sapere nulla del profeta che compie miracoli. L’evangelista Luca (4,29) testimonia come venne cacciato dalla sinagoga. Questo brano di Vangelo affronta, senza nessuna paura, il problema che per noi oggi è a volte assillante: quello del confine sottile tra fede e credulità. Se Gesù fosse un ciarlatano qualsiasi, le parole di Marco si adatterebbero ugualmente bene: i prodigi non riescono perché la gente non ci crede abbastanza. Qualcosa di simile avviene in continuazione anche oggi: in televisione passano centinaia di maghi, astrologi, cartomanti, illusionisti; il “fatturato” di questa gente (ammesso che qualcuno di loro paghi le tasse) è di decine di miliardi all’anno; e la baracca funziona proprio perché la gente ci crede, anzi si tratta di un fenomeno in

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continua espansione. Tempo fa a Torino si è svolto un convegno nazionale di coloro che analizzano le affermazioni di chi si occupa del “paranormale”: gli studiosi convenuti al Politecnico hanno denunciato i “venditori di illusioni”, svelando trucchi e malafede dei presunti “maghi”. Ma in molti di quegli scienziati c’era la convinzione, più o meno espressa, che anche la religione si alimentasse alla stessa fonte: perché per loro soltanto quel che è spiegabile con la scienza esiste, ed il resto è truffa. Non siamo più, e non solo in questo senso, nella Cacania che lo scrittore Robert Musil rimpiange con ironia: «Il paese era amministrato ‑ con oculatezza, discrezione e abilità a smussare cautamente ogni punta ‑ dalla migliore burocrazia d’Europa, alla quale si poteva rimproverare un solo difetto: per essa, genio e spirito d’iniziativa nelle persone non autorizzate a ciò da alti natali o da incarico governativo erano impertinenza e presunzione. A nessuno del resto piace farsi dettar legge da chi non vi è autorizzato! E poi in Cacania un genio era sempre scambiato per un babbeo, mai però, come succe-

© Paolo Siccardi / sync

Nella sinagoga di Nazareth Gesù si rivela e viene cacciato, ma nessuno, neanche gli increduli possono opporsi al suo messaggio salvifico che raggiunge tutti e lascia alla libertà di ciascuno la volontà di fidarsi.


© Paolo Siccardi / sync

Maghi e fattucchiere facendo leva sulle debolezze umane inducono a credere in prodigi e poteri fasulli, fanno leva sulle apparenze, ben lontani dalla logica di un Dio che guarda e ascolta il cuore dell’uomo.

deva altrove, un babbeo per un genio» (L’uomo senza qualità). Gesù si ritrova più o meno nella stessa posizione: la sua possibilità di compiere prodigi è “ridotta” in ragione del fatto che la gente, i suoi compaesani, non credono in Lui, non lo accettano in nessun modo come figlio di Dio. Ma il problema dei miracoli di Gesù è completamente diverso: quel che manca ai compaesani non è la credulità, ma la fede. Il brano di Marco rivela indirettamente la vera differenza: per i compaesani di Gesù Egli è solo come il falegname e non sono disposti a “cambiare idea” sul suo conto. Mentre la fede è propriamente un “cambiare idea” (e molto di più: cambiare cuore) sul conto di Dio. In molti altri passaggi del Vangelo Gesù congeda le persone con la frase «la tua fede ti ha salvato»: perché chi ha ricevuto un miracolo ha riconosciuto non tanto il prodigio materiale compiuto, ma appunto la potenza del Signore che lo ha reso possibile. Noi, come gli abitanti di Nazareth, siamo continuamente esposti al duplice rischio della incredulità e dell’idolatria. Siamo in genere molto sospettosi nei confronti di

chi parla in nome del Signore e chiede fede, penitenza e conversione; ma siamo molto più pronti a dare credito a chi promette miracoli facili - il successo, il denaro, l’amore, il potere… Mettiamo queste promesse al posto di Dio; e a Dio riserviamo quella diffidenza che riteniamo sano raziocinio critico, legittimo dubbio. In questo la scienza positiva, così come è cresciuta in Europa negli ultimi secoli, non ci aiuta per nulla. Gli abitanti di Nazareth, ciechi e sordi di fronte a Gesù, ci mettono di fronte ad un altro rischio: quello di non “riconoscere” il Signore nei fratelli. Attenti alle apparenze, affezionati solo alle nostre conoscenze e al nostro modo di capire il mondo, anche noi valutiamo soprattutto l’aspetto esterno delle persone, lasciamo che siano i vestiti o il successo a determinare la nostra stima e la nostra capacità di porsi al servizio degli altri. Un atteggiamento molto mondano che ci rende sicuri di una sola realtà: che non saremo in grado di riconoscere i “prodigi”, quelli veri, che il Signore opera nel cuore delle persone. Marco Bonatti marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it

LA PAROLA QUI E ORA

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Amici di Dio

Benedetto, Patrono d’Europa Fu un grande europeo. La sua personalità e la Regola che ci ha lasciato hanno avuto un influsso enorme su tutto il nostro Continente, aiutandolo a superare le asprezze dell’antichità e ad abbozzare una certa unione europea, nel nome dei valori cristiani.

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tiamo celebrando il decimo anniversario dell’Euro, nato il 1 gennaio 2002, dopo un lunga e sofferta gestazione. Non è più un bambino quindi, ma un “ragazzo” sopravvissuto a tsunami monetari, a bolle speculative, al credit crunch, a firewall inefficaci e a ricorrenti nostalgie del passato. Eppure ha aiutato l’unificazione europea, monetaria adesso, ma in prospettiva politica. Un grande contributo a questo processo l’ha dato anche San Benedetto. Per questo Paolo VI lo ha proclamato, nel 1964, Patrono d’Europa. Qualcuno pensa che sia eccessivo. Infatti, se leggiamo i libri di storia, troviamo innumerevoli guerre e secolari inimicizie fra gli stati, pur cristiani, del Continente. Altro che unificazione. E il contributo di Benedetto? Ha scritto lo storico J. Le Goff: «Quando si pensa a tutta la violenza che ancora si scatenerà durante questo Medioevo selvaggio, può sembrare che la lezione di Benedetto non sia stata compresa. Ma dovremmo piuttosto domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se all’inizio di quei secoli non si fosse levata questa grande e dolce voce». E gli Europei ancora stanno imparando la sua lezione.

Alla ricerca della propria vocazione Benedetto è nato a Norcia, in Umbria, nel 480, da famiglia nobile. Fu mandato a Roma per gli studi, e, particolare im-

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Dalla Regola, capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano: «L’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio».

portante, in compagnia della fedele nutrice. Insomma, i genitori non volevano che, nella grande città, il loro rampollo si arricchisse intellettualmente e si perdesse moralmente (pericolo sempre presente). Al ragazzo, già sveglio e riflessivo, lo spettacolo romano, fatto di continue lotte degli abitanti contro il re Teodorico, di intrighi e invidie del mondo ecclesiastico, non piacque per niente. Prima decisione: via da Roma, sempre con la nutrice, verso Subiaco. Ma non per molto tempo. Un giorno all’insaputa di lei (si sentiva già maturo per stare da solo?) si ritirò in una grotta, in mezzo ai boschi. Come Cristo prima della missione si preparò con l’esperienza del deserto, così Benedetto. Furono tre anni di solitudine, riempita di preghiera, di meditazione, di penitenza volontaria (e involontaria, perché la grotta non era proprio a cinque stelle!). Un’esperienza non facile anche per le immancabili “visite” del diavolo. Ci fu anche un gruppo di (pseudo) monaci che lo vollero per guida spirituale. La loro vera intenzione era però di darsi una patina di legalità davanti


all’autorità. Ma quando Benedetto cominciò a parlare di disciplina, penitenza ecc. questi, come risposta poco evangelica, tentarono di avvelenarlo. E lui fuggì di corsa tornando a Subiaco. Qui trovò altri giovani volenterosi di diventare “veri” monaci, e camminare verso la santità. Si mise al loro servizio, organizzandoli e guidandoli spiritualmente. Superati altri ostacoli, finalmente arrivò a Monte Cassino. Correva l’anno 529.

nedetto. Il suo monachesimo non fugge il mondo. Serve Dio ed il mondo, nella preghiera e nel lavoro» (D. Agasso).

L’abate sarà discreto, rispettoso e dolce con tutti

Tratto in forma ridotta da:

Padre del monachesimo occidentale Qui fondò l’Abbazia che diventerà la madre di tutte le Abbazie in Europa, che avranno in lui il punto di riferimento carismatico. Il capolavoro di Benedetto però rimane la Regola, per molti aspetti originale, anche se debitrice di apporti provenienti da Basilio, Agostino, Cassiano e dall’autore italiano (sconosciuto) della Regula Magistri. Egli ha delineato un nuovo modo di essere monaci, basato su tre pilastri su cui poggerà la vita delle Abbazie. Primo: la “stabilità del luogo”. Benedetto cioè mise al bando i “monaci vaganti” che spesso erano poco monaci e molto vaganti (vagabondi). Chi entrava in monastero, secondo lui, doveva avere intenzione di viverci stabilmente. Il cenobio diventava la sua famiglia per sempre, nella “buona e… nella cattiva sorte”. Secondo: il tempo del monaco, fortemente strutturato da un orario, egli lo rivaluta come dono di Dio da non perdere: viene quindi organizzato, con scadenze per la preghiera, il lavoro manuale, la lettura della Bibbia e il riposo. Infine il principio di uguaglianza. Tutti i monaci uguali, nei diritti e nei doveri. Una vera rivoluzione insomma. «Qui si comincia a rinnovare il mondo: qui diventano uguali e fratelli “latini” e “barbari”, ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi ed ex padroni di schiavi. Ora tutti sono una cosa sola, stessa legge, stessi diritti, stesso rispetto. Qui finisce l’antichità, proprio per mano di Be-

Un scorcio della foresteria di Subiaco, luogo che richiama l’importanza del silenzio e della semplicità per accostarsi a Dio, per progredire in quel cammino di santità che riguarda ogni cristiano: monaco, sacerdote, genitore...

Con Benedetto finiva il concetto di monachesimo-rifugio e incominciava quello di monachesimo-azione: cioè si doveva vivere per Dio nella contemplazione e nell’azione: “Ora, lege et labora”. Un altro elemento qualifica il suo monachesimo: il principio di autorità, rappresentato dall’Abate. Ci deve essere, perché il monastero e i monaci non possono vivere in anarchia, anche se santa. Questa autorità però deve essere condita di fraternità e dolcezza, virtù che renderanno l’obbedienza più leggera. La qualità che dovrà distinguerlo sarà la discrezione: non voler subito farli santi o eroi. Morto Benedetto, il “suo” monachesimo andò avanti. La Regola sarà esportata dall’Italia in tutta Europa. Era così geniale infatti che si adattava a tutti. Furono inoltre numerosi i nuovi Ordini Religiosi, maschili e femminili, che si ispirarono ad essa. E così le sue intuizioni poterono plasmare migliaia di monaci e monache, il cui influsso, culturale e spirituale, sul popolo e sul clero fu enorme. Per questo è stato proclamato Patrono d’Europa. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

AMICI DI DIO

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Giovani in cammino

Non possiamo permetterci il lusso di essere tristi La Messa domenicale ci offre l’opportunità di far esplodere con gioia la nostra fede: il Dio che ci è stato accanto sempre, ci invita a casa sua e offre tutto lui. Altro che anonimato e musi lunghi.

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ogliamo chiamare le cose per nome? E allora diamo un nome a certe celebrazioni eucaristiche domenicali dove i fedeli arrivano quando vogliono, tanti dopo la prima lettura, dove ci si mette uno qua e uno là in un anonimato pazzesco, dove se si canta è solo grazie al piccolo coretto di fanciullette della prima comunione, dove la predica è sopportata e piena di sbadigli, dove tanti non fanno la comunione… Esagerato? Prova a registrare la fila durante la comunione. Ti sembra di vederne uno contento? Tra un po’ potrà mangiare il suo Dio, pensa! e come mai si trascina sui piedi con tutte le rughe tese e non c’è un’ombra di felicità per quello che sta compiendo? Esagerato? Al bingo, alle gru, allo stadio e ai concerti tira tutta un’altra aria!

Un popolo triste e annoiato Una religione subìta non desta gioia. Ma lo stesso linguaggio che ancora si adopera sa di commerciale: ho fatto il precetto, ho preso Messa, oggi non ho preso l’ostia. Si può essere invitati a pranzo e non mangiare e starsene in piedi, dietro la colonna, quasi per essere pronti a guadagnar l’uscita allo sprint finale? Ovviamente tutto questo è colpa della formazione ricevuta e, diciamola tutta, è colpa dei preti, questi noiosi! Ma adesso che abbiamo trovato il capro espiatorio, vogliamo guardare avanti e chiederci se la cosa deve continuare così, tirando alla meno peggio, oppure si può por mano

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L’incontro con Gesù Eucaristia, la prospettiva della Risurrezione non cancellano le fatiche quotidiane, ma offrono alle nostre sofferenze un orizzonte di speranza e pace.

alla radice e alzare il livello del nostro modo di manifestare la fede in maniera che corrisponda a quello che diciamo di credere? Certo portare la croce è dura e non invita a manifestare gioia. Ma la croce è in vista della risurrezione. E questa può radunare un popolo di tristi e musoni? Siamo come quel figlio che non si sente parte della festa che il Padre organizza per il ritorno del fratello: che razza di Dio è questo che fa festa per chi se ne è scappato di casa e ha la faccia tosta di tornare per sbafarsi il vitello? No, non ci piace. Preferiamo un Dio serio. Non ci piace un Dio che frequenta le taverne o addirittura mangia con i peccatori, come faceva quel galileo famoso. A noi va bene un Dio che si fa rispettare e che quando ci riceve in casa sua alla domenica non vuole essere disturbato dalla nostra gioia. Meglio un Dio-oppio. Esagerato?

Un’esplosione di vita Finalmente alla domenica ci si offre l’opportunità di esplodere con gioia indicibile quella fede che durante la settimana non abbiamo potuto manifestare perché presi dal ritmo incalzante della vita: quel Dio che ci è stato accanto sempre, ora ci invita a casa sua e offre tutto lui. Offre la sua Parola che ci illumina, ci chiarisce le idee, ci scalda il cuore stanco dell’andare quotidiano della vita. Offre e spezza per noi il Pane, quel Pane che è lui stesso fatto carne per noi perché chi ne man-


gia avrà la vita e non morirà in eterno. E lui vuole che tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Che Dio mitico e figo! Come non stupirci e commuoverci mentre ci parla, ci cura le ferite del cuore, versa olio sulla nostra stanchezza, ci sazia del suo Pane e ci abbraccia come il migliore dei Padri? La santa Messa è il concerto della vita. Lui è il cantautore che stuzzica la nostra voglia di bellezza, di bontà, di amore, di misericordia. Ci invita a cantare con lui come compagni di viaggio perché lui non ci lascerà orfani e sarà con noi sino alla fine dei tempi. È un preludio di quella risurrezione che ci vedrà tutti insieme al banchetto finale, dove quelli che lo hanno saputo riconoscere in chi aveva fame e sete, o in carcere e malato, o nudo e straniero, o diverso e indifeso, o piccolo e più debole… si sentiranno dire «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25).

Dimmi chi è il tuo Dio e ti dirò come preghi Faccio fatica a capire come sia possibile, dopo la confessione, dare come penitenza la preghiera. Se la preghiera è una penitenza, è chiaro che non la si fa volentieri. Ma la preghiera nelle sue varie forme di celebrazione e nei diversi formulari è dialogare con Dio. Mi chiedo se possa essere un obbligo o un dovere. Ma che cosa c’è di più bello che poter parlare e dialogare e cantare con il nostro Dio? Ma c’è piacere più grande? Se Dio è colui che ci ama di più e non smette mai di amarci e se noi amiamo lui con tutto il cuore, l’anima e le forze, cosa c’è di più bello e desiderabile dell’incontrarlo in momenti di intimità? Il fidanzato non vede l’ora di incontrare la sua amata e il tempo che sta con lei passa velocissimo perché vissuto in ogni singolo attimo e goduto in ogni frazione di secondo. E noi ci annoiamo quando siamo con il nostro Dio? Ci distraiamo?

La gioia del cristiano è anche la gioia di condividere un cammino. Non un percorso solitario, ma una condivisione di preghiere, fatiche e impegno che sono la forza della Chiesa.

È nella Messa che si esprime la gioia di una comunità che incontra il suo Dio ed è la Messa, cuore del tempo libero domenicale, che dà senso a tutto il tempo.

Ci dimentichiamo di pregare? Non abbiamo tempo alla domenica? Se è così, noi crediamo, ma non abbiamo fede. Allora, benvenuta tristezza! Come evitare il rischio di diventare dei bigotti che non hanno mai incontrato Dio e lo confondono con l’esattore delle tasse al quale ogni tanto debbono, purtroppo e con tristezza, l’obolo o una visita frettolosa e distratta? E poi ci stupiamo che nelle nostre assemblee mancano completamente certe fasce di età? Esagerato? «È ormai tempo di svegliar(vi)ci dal sonno» (Rm 13,11). Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net

GIOVANI IN CAMMINO

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Chiesa viva

Abolite l’omissione! Alcune domande dei ragazzi sembrano impertinenti, ma fanno riflettere gli adulti. Che talora dimenticano l’importanza delle “omissioni”

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el ripassare i riti iniziali della Messa, Gian Luca propone di abolire il termine omissioni dalla preghiera del Confesso. Lui non conosce il significato del vocabolo, quindi non si sente responsabile di questo peccato e non deve chiederne il perdono. Mi affanno a spiegare quante occasioni di bene perdiamo nella nostra vita, cominciando dall’omissione di soccorso, che si configura come reato, e continuando con l’indifferenza di fronte alle situazioni di disagio e di dolore, di cui ogni giorno siamo testimoni. Il discorso non è facile e mi viene in aiuto la saggia Monica, che apostrofa il compagno con un pizzico di aggressività: «Io ho capito benissimo e ti spiego subito che cos’è l’omissione. È, per esempio, quando TU dimentichi libri e quaderni di catechismo e IO, invece di mettermi vicino a te per aiutarti a stare attento, mi siedo vicino alle mie amiche! È quando non invitiamo Ahmed alle nostre feste di classe, perché

Alcune domande dei ragazzi sembrano impertinenti, ma fanno riflettere gli adulti. Che talora dimenticano l’importanza delle “omissioni”.

non parla bene l’italiano e perché temiamo che ci rovini i giocattoli. È quando i nostri genitori chiedono di togliere quel marocchino dalla classe perché disturba e fa perdere tempo!». Nel silenzio glaciale che cala sull’intervento, cerco il sostegno in alcuni versetti del Vangelo di Matteo (25,42-43) per illustrare le omissioni che Gesù leggerà tra le pagine della nostra vita: «Avevo fame e non mi avete dato da mangiare… ero straniero, (ero Ahmed), e non mi avete accolto». Gesù dice che ogni volta che faremo un po’ di bene a un fratello piccolo o bisognoso, lo faremo a Lui. Anche se questo fratello sarà un pochino scomodo e romperà i giocattoli! Adesso Gian Luca è convinto che nella preghiera del Confesso quella parola si possa proprio lasciare. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Segni & Valori

Lo sport secondo Tiziana Nasi e Andrea Valenti. Entrambi hanno una grande passione per le discipline invernali: lei presiede la Federazione Italiana Sport Invernali Paralimpici, lui ha 14 anni e scia da sei. Li abbiamo incontrati e ci siamo fatti raccontare quali valori veicola e quali emozioni suscita lo sport.

fotografie di Renzo Bussio

Lo sport per tutti Tiziana Nasi, una donna a capo di una federazione in Italia. Cosa significa essere la presidente di una realtà così importante come la Federazione Italiana Sport Invernali Paralimpici? E quali passi in avanti sono stati fatti negli ultimi anni? «Importante. Mi piace questo aggettivo per descrivere una federazione davvero molto importante nata al Comitato italiano paralimpico (Cip). Fino al 2002 è esistita una Federazione italiana sport disabili (Fisd) che faceva parte del Coni, poi si è passati al Cip: un ente pari al Coni seppur più piccolo. Negli ultimi due anni, 18 tra gli sport praticati da atleti con disabilità, tra cui per esempio tiro con l’arco, ciclismo tennis, scherma... - sono convogliati nelle federazioni per i normodotati. Mentre sono state create alcune federazioni specifiche all’interno del comitato paralimpico (federazione

Dico sempre che sono atleti normali, ma del tutto normali poi non lo sono. Reagire in maniera positiva a problemi gravi non è cosa da tutti ma alla fine lo sport aiuta moltissimo.

SEGNI & VALORI

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Segni & valori sport disabilità intellettiva, atletica leggera e sport promozionali, sport specifici per atleti ciechi e ipovedenti, nuoto, basket in carrozzina e sport invernali paralimpici). Ad oggi, solo la Fisip conta circa 600 atleti tesserati con una trentina di società situate tra l’arco alpino e Appennini fino alla Sicilia». Quando è nata l’idea e quindi l’occasione di occuparsi degli sport per disabili? «Io nasco con la passione per la montagna: mio padre Giovanni fu presidente della Federazione invernale normodotati per quattro anni, era la fine degli anni ‘40. Personalmente, dopo l’esperienza a inizio anni ‘90 quando ho organizzato a Sestriere i campionati italiani sci alpino disabili, un altro anno importante è stato il 1997. Il comitato paralimpico regionale, allora Fisd, era commissariato: diciamo sempre che i nostri atleti sono come gli altri e vale lo stesso, ahimè, se pur raramente per fortuna, anche per i nostri dirigenti. A quell’epoca Paola Magliola, una signora di Biella mi aveva individuato come persona adatta a prendere in mano la sezione piemontese. Dal 1997 fino ad anno e mezzo fa, Tiziana Nasi è stata presidente del comitato regionale del Cip (ex Fisd); dal 1982 fino al 2006, si è occupata della Sestriere Spa (società che gestisce gli impianti di risalita e le piste) e dello Sporting club Sestriere (organizzazione eventi sportivi), infine è stata presidente del comitato organizzatore dei Giochi paralimpici di Torino 2006. Come si conoscono e come si combattono i muri basati su ignoranza e stereotipi? «Purtroppo ci sono ancora persone che non sanno che i disabili possono fare sport. Quando è nato il comitato, consideravano le paralimpiadi come “quell’altro evento comunque da fare”, i “brutti anatroccoli”, poi - a partire dal Toroc hanno imparato a conoscerci e ad amar-

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ci. La frase classica nel primo approccio con l’atleta disabile è “che coraggio” poi si rimane stupiti dai risultati e il muro scompare. Anzi, i muri sono addirittura meno, molti atleti normodotati se la tirano molto di più». Tutte le signore per bene di Torino mi dicono “che brava che sei”, io dico semplicemente che è una cosa bellissima e molto allegra: vorremmo che la disabilità non esistesse, ma dato che è inevitabile ...tanto vale vederla dal punto di vista positivo.

Lo staff della Federaziona Italiana Sport Invernali Paralimpici (Fisip).

Quali sono i valori e le competenze necessarie nello sport disabili? «È la stessa cosa: gare, allenamenti, corsi è tutto uguale. Anzi. I preparatori devono dimostrare professionalità e concretezza; direi che gli accorgimenti, soprattutto per il settore degli sport praticati da seduti (sitting) sono maggiori nelle nostre discipline. Posso dire che in Italia, dopo il 2006, sono cambiate le cose. In meglio». Uno sport per i giovani! Un ultimo messaggio da lanciare a chi si vuole avvicinare allo sport? «L’età media degli atleti, anche tra i normodotati si sta alzando: è molto più lunga rispetto ad una volta, e vale ancora di più per noi; nel 50-60% dei casi, i nostri atleti si avvicinano alle discipline in seguito a un incidente; dopo il trauma è necessaria una riabilitazione fisica e psicologica. Il messaggio che voglio lanciare è che se ne parli di più. In questo può far molto l’esempio degli atleti che ammettono di fare sport perché piace, diverte: un approccio positivo che contagia».


Poster

Giorni di stupore e di lode I

l profeta Baruc ci regala due versetti bellissimi: «Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito; egli le ha chiamate ed hanno risposto: “Eccoci!”, e hanno brillato di gioia per colui che le ha create». (Bar 3,34). Senso di stupore e di meraviglia del profeta davanti all’immenso e stupefacente spettacolo di un cielo stellato, che lo fa cadere in ginocchio davanti a tanta eccedenza, grandezza e bellezza dell’Universo e del suo Creatore. Tutto canta la gloria di Dio, il firmamento poi (dopo l’uomo) è il suo capolavoro. Anche le stelle del cielo sono un invito a gioire e lodare il Creatore di tutto. Siamo quindi esortati anche noi, specialmente nei giorni di vacanze, a lasciarci di nuovo incantare da tutte queste meraviglie del Creato, da quei miracoli quotidiani che accadono e ai quali non ci badiamo più. Bisogna attuare quello che gli psicologi chiamano il “processo di de automatizzazione”. Che significa? «Da adulti diventiamo automatizzati davanti alla bellezza delle forme, dei colori e dei profumi attorno a noi (in genere non succede ai bambini) e perdiamo il senso del piacere e della preziosità della vita» (Matthew Fox, 2011). Nella nostra fretta e nel nostro attivismo quotidiano diamo sempre tutto per scontato e non ci badiamo. Troppe distrazioni, troppo rumore circonda l’uomo moderno, ciascuno di noi, anche in vacanza. E così diventa difficile la contemplazione e la lode a Dio. È saggio quindi recuperare un maggior autocontrollo ed una visione profonda delle cose. Ne abbiamo estremo bisogno per dare più consistenza e serietà alla nostra vita quotidiana e per trovare così un supplemento di “salvezza”. Ha scritto A. J. Heschel: «Questa dunque è la salvezza: che ci stupiamo di fronte alla bellezza del

creato e lodiamo il suo bellissimo Creatore». Fare lo sforzo di vedere il tutto con gli occhi di Francesco d’Assisi, dal cui cuore sgorgò il Cantico delle Creature: per lui ogni singola creatura poteva e doveva lodare Dio: «Frate sole, sora Luna e le stelle, frate Vento, sora Aqua, la quale è multo utile…». Egli percepiva la presenza di Dio in tutto. Guardare con gli occhi di Francesco, non con quelli di Cartesio per il quale la natura era un semplice meccanismo, un ‘oggetto’ del pensiero, non interessante come l’io pensante. L’acqua non è solo H20, ma può essere vista e contemplata come una creatura buona e bella, attraverso cui lodare il suo buonissimo Creatore. Nelle vacanze sviluppiamo quindi il senso della lode e della gratitudine per tanta meraviglia e bellezza donataci dal «Padre che è in cielo, che nutre gli uccelli che vivono in libertà e veste i fiori dei campi» (Mt 6,26). Facendo così daremo al nostro rapporto con Dio, cioè alla nostra spiritualità, un autentico respiro cristologico e cosmico insieme. Stupore, lode e ringraziamento a Lui in Cristo Gesù che «è prima di tutte le cose e tiene insieme tutto l’universo» (Col 1,17). Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

«Io benedico Dio nel mio cuore e continuamente per ogni cosa terrena. Nella nobiltà delle creature e nella loro utilità io amerò Dio e non me stessa» (S. Matilde di Magdeburgo).

«La bellezza è tutt’attorno a noi, ma quanti sono ciechi. La gente non gioisce delle cose semplici, silenziose e naturali della vita» (Pablo Casals, musico).


A te, Signore,

apri gli

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE N. 4-2012


innalzerò il mio pensiero: occhi miei allo splendore del bene


O Grande Spirito

Lodatelo cieli, sole e luna

Tua è la voce che odo nel vento Tuo è il soffio che dà vita a tutto il mondo. Io sono piccolo e debole: la tua forza e saggezza mi sostengono. Fammi camminare nel bello E i miei occhi vedano il tramonto color porpora. Fa’ che le mie mani rispettino le cose che hai creato. Fa’ le mie orecchie acute per sentire la tua voce. Dammi la sapienza per comprendere i tuoi insegnamenti. Fammi conoscere i segreti che tu hai nascosto nell’erba e nella roccia. Dammi forza per non superare il mio fratello ma per combattere il mio peggior nemico: me stesso. Fammi sempre pronto a venire da te con le mani pure e gli occhi giusti. Così quando la mia vita sfumerà come il sole al tramonto, il mio spirito potrà giungere a te senza vergogna.

Grande è il nostro Dio e grande la sua potenza E la sua sapienza infinita. Lodatelo cieli, sole luna e pianeti con la lingua che vi è data per lodare il vostro Creatore. E anche tu, anima mia, canta l’onore del Signore! Da lui, per lui e in lui sono tutte le cose: quelle ancora ignote e quelle già note. A lui lode, onore e gloria di eternità in eternità. Ti rendo grazie, Creatore e Signore, di avermi dato la gioia di contemplare la tua creazione, di ammirare l’opera delle tue mani. Cercherò di annunciare agli uomini Lo splendore delle tue opere nella misura in cui lo spirito finito può cogliere l’infinito.

(Preghiera dei Pellerossa Chippewa)

Giovanni Keplero (astronomo tedesco, 1571-1630)

Tuo è il giorno, o Dio La tua parola, o Signore, sia in noi, come stilla di rugiada sull’erba. Sorgiamo col sole alla tua benedizione, o Dio; nel nascere della luce adoriamo con l’anima lieta. Tuo è il giorno, o Dio, tua è la notte. Tu hai creato l’aurora ed il sole, l’estate e l’inverno. Ti lodano il cielo e la terra, il mare e tutti i viventi che sono in essi. A te, Signore, innalzerò il mio pensiero: apri gli occhi miei allo splendore del bene. (Niccolò Tommaseo, poeta e scrittore italiano 1802-1874)


Segni & Valori doardo Agnelli e adesso frequento il Liceo Madre Mazzarello: un’ottima scuola. Da quest’anno vado in palestra due volte a settimana e mi alleno nei fine settimana. I periodi più impegnativi sono in vista di una gara quando devo partire anche 2-3 giorni prima e a volte lo studio diventa difficile. Quest’anno ho cominciato a fare le prime gare fuori, ad esempio in Svizzera, Francia, il Gigante, lo Slalom…». Cosa provi quando scii e quali obiettivi ti poni per la prossima stagione?

Andrea Valenti, sei un promettente atleta di 14 anni, quando è nata la tua passione per lo sci? «Ho iniziato a sciare molto presto con la Freewhite di Gianfranco Martin di Sestriere. La passione per lo sci è di famiglia: con mamma e papà sono sempre andato in montagna per divertirmi, poi sono iniziate le gare, e il divertimento è aumentato. Inizialmente non pensavo che questo sport diventasse così importante nella mia vita». E invece... Quanti allenamenti fai e come riesci a conciliare studio e sport? «Nei primi tempi mi allenavo principalmente il sabato e la domenica, ultimamente l’impegno è aumentato e ho dovuto anche fare qualche assenza da scuola. Tra i professori qualcuno non ha approvato subito, poi, parlando e spiegando l’importanza che lo sport ha per me le cose sono migliorate e hanno iniziato ad aiutarmi. Ho frequentato le medie all’E-

«Provo una grande soddisfazione; prima di fare sport credevo di non poter fare niente con la mia disabilità poi grazie a Tiziana, Mariangela e Giorgio mi sono lanciato, provando sensazioni mai provate prima. La prima discesa è stata la più emozionante e da lì in avanti non ho mai voluto smettere. Senza sci a volte non saprei proprio cosa fare… Nella prossima stagione sono previste molte gare e durante l’anno è indispensabile tenersi in forma andando in palestra e sciando anche d’estate sul ghiacciaio...». Qual è il tuo sogno nel cassetto, se ce lo vuoi dire?

Senza sci non so cosa fare, sto meglio nel periodo invernale ma per fortuna da un paio di anni riesco a sciare anche d’estate con i ritiri dello Sci alpino Italiano, ad esempio allo Stelvio.

«Il sogno? Senza dubbio i Giochi Paralimpici di Sochi nel 2014». Emanuele Franzoso redazione.rivista@ausiliatrice.net

Andrea Valenti (in alto) e Tiziana Nasi, con la fiaccola dei Giochi Paralimpici di Torino 2006 (a fianco). Segni & valori

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Chiesa viva

L’autunno caldo della fede Un ottobre 2012 bollente attende i cristiani: in quei giorni la Chiesa ricorda il 50° del Vaticano II e i 20 anni del Nuovo Catechismo, celebra il Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione e dà inizio all’Anno della fede 2012-2013. Tutti siamo chiamati dal Papa a fare memoria, al rinnovamento interiore e a una testimonianza sempre più credibile.

A

lcune date della Chiesa hanno una forte eloquenza: sono come pietre miliari che segnano il cammino della fede nel mondo. Nel caso nostro, si tratta del giorno 11 ottobre, in cui cadono sia avvenimenti passati da ricordare che appuntamenti da non mancare. Ci prepariamo già da oggi.

Dal 7 al 28 ottobre 2012 si svolgerà a Roma il Sinodo dei vescovi, sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Evento da seguire con attenzione, perché ne scaturiranno gli orientamenti per la futura presenza della Chiesa nel mondo.

L’11 ottobre, è accaduto e accadrà 11 ottobre 1962: cinquant’anni fa Giovanni XXIII apriva il Concilio Ecumenico Vaticano II. I testi lasciati a noi in eredità dai padri conciliari conservano oggi tutto il loro valore, ma si tratta di riscoprirli, e di assimilarne tutta la ricchezza. 11 ottobre 1992: Giovanni Paolo II promulgava il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica. Come si sa, «Il catechismo è un libro mirabile, che contiene le più grandi risposte alle più grandi domande» (Pio XI). Ha «lo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede». L’attuale è «uno dei frutti più importanti del Vaticano II», e risulta anche oggi «un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani». 11 ottobre 2011: papa Benedetto XVI con il Motu proprio Porta fidei ha indetto l’Anno della fede. Questo «anno di grazia», tutto da vivere, avrà inizio a cinquant’anni esatti dall’apertura del Concilio, e terminerà il 24 novembre 2013, solennità di Cristo re dell’universo.

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Dal Sinodo dei Vescovi del prossimo ottobre gli orientamenti che segneranno il cammino della Chiesa nei prossimi anni. Tra i primi obiettivi l’anno della fede.

11 ottobre 2012: Benedetto XVI aprirà l’Anno della fede, da lui pensato come importante «momento di grazia e di impegno» per tutti i cristiani. E ha già indicato gli obiettivi su cui puntare, e il modo di impegnarsi per realizzarli.

Gli obiettivi su cui puntare Ai cristiani che intendono impegnarsi a vivere in profondità l’anno della fede, papa Benedetto ha indicato tre obiettivi, © Canção Nova / Flickr


che risultano in progressione e complementari tra loro. Essi sono: «impegno per una più piena conversione a Dio, per rafforzare la fede in Cristo, e per annunciarlo con gioia all’uomo del nostro tempo». A prima vista questi obiettivi proposti dal Papa al cristiano possono sembrare da sempre, ma ora andranno riconsiderati e perseguiti secondo modalità nuove, perché l’umanità sta vivendo un momento di profondi cambiamenti. Una situazione nuova, ricorda il Papa. «Nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti dalla fede e ai suoi valori…». Invece «oggi non sembra più così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone».

sce la lettura e approfondimento dei testi del Concilio: «Se leggiamo e recepiamo il Concilio guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa».

L’icona della Trinità di Rublev, un richiamo alla centralità dell’amore che lega Gesù, il Padre e lo Spirito e che si effonde sulla Chiesa e anima la testimonianza cristiana.

In concreto, che fare? Il Papa ha avanzato proposte precise. Il punto di partenza per lui resta ancora e sempre «un’autentica conversione al Signore», dal momento che «la Chiesa comprende nel suo seno peccatori, ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione». Il cristiano è un uomo che deve convertirsi ogni giorno. Come suggerimento centrale il Papa raccomanda di «intensificare la celebrazione della fede nell’Eucaristia». E spiega: «perché nell’Eucaristia - mistero della fede, sorgente della nuova evangelizzazione - la fede della Chiesa viene proclamata, celebrata e fortificata». In sostanza, «dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e nutrirci del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli».

Nell’Eucaristia il cuore e la forza dell’annuncio. Nel Pane la sorgente a cui attingere per essere testimoni autentici e credibili.

Infine Benedetto XVI invita a «rafforzare la testimonianza dell’amore cristiano», dato che «fede e carità si esigono a vicenda». Perciò insiste sul valore della «testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza i cristiani sono chiamati a far risplendere nel mondo la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato». Di fatto non basta essere credenti, bisogna anche essere credibili. Il Papa si aspetta che «tutti i i membri della Chiesa siano testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto, capaci di indicare alle tante persone in ricerca, la porta della fede». Perciò il prossimo autunno, sarà autunno caldo. Quale volto avrà la nuova fase di vita, che si apre per i cristiani dallo storico ottobre 2012? Dipenderà da loro. È stato detto: «È vero che il futuro noi uomini non lo possiamo leggere, però lo possiamo scrivere». Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net

© Canção Nova / Flickr

Santa Teresa di Lisieux, che aveva capito, diceva con garbato umorismo: «Se la gente conoscesse il valore dell’Eucaristia, l’accesso alle chiese dovrebbe essere regolato dalla forza pubblica»… Agli operatori pastorali il Papa suggeriCHIESA VIVA

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Don Bosco oggi

«Ho un sogno: dieci tipografie» Dal primo volume cucito da mamma Margheria alla stampa digitale: da 150 anni la tipografia salesiana ha cavalcato con sussesso i cambiamenti di un settore in continua evoluzione.

C

he Don Bosco fosse un grande comunicatore e che fosse preoccupato soprattutto di farsi capire dal “popolo”, dalla gente semplice, è risaputo. Già solo il fatto che leggesse le sue omelie a mamma Margherita prima di pronunciarle - e se sua madre gli faceva intendere di non seguire il filo del discorso, le riscriveva - la dice lunga su come ritenesse fondamentale che il messaggio evangelico fosse ben compreso specialmente dalla povera gente. Da questa sua intuizione, dalla premura che le buone letture, ovvero la “buona stampa” - come si diceva all’epoca di Don Bosco - sia religiosa che di intrattenimento culturale - si diffondessero tra la gente comune perché facessero “opinione” in un tempo di feroce anticlericalismo è nata l’idea di mettere in piedi la celeberrima tipografia salesiana di cui nei mesi scorsi si sono celebrati a Torino i 150 anni di vita. Ma c’era un altro scopo che spinse Don Bosco a “intestardirsi” sulla tipografia, pur non disponendo dei mezzi economici per lanciarsi in una simile impresa: quello di avviare i giovani ad un mestiere, quello di tipografo e legatore, con cui guadagnarsi onestamente da vivere.

Per Don Bosco, la tipografia era (e continua ad essere) un’opportunità per insegnare ai giovani un mestiere, con cui guadagnarsi onestamente da vivere. Nella foto: il reparto legatoria nell’anno 1930.

Supporter, Cafasso e Rosmini Quello che oggi - a fianco della Basilica di Maria Ausiliatrice - è un centro editoriale all’avanguardia e attrezzato con le ultime tecnologie digitali per la stampa è la rea-

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© Archivio SGS

lizzazione di uno dei sogni di Don Bosco: del suo desiderio di creare «l’impianto di laboratori e di una stamperia» ne parlò al suo concittadino e confessore don Giuseppe Cafasso nel 1851. Anche a don Antonio Rosmini il nostro Santo chiese aiuto per poter dare vita al suo progetto. Il filosofo roveretano lo incoraggiò, promettendogli anche un sostegno economico ma la morte lo colse nel 1855 prima di poter mantenere la sua promessa. Intanto Don Bosco, sebbene privo di mezzi, metteva le fondamenta per la tipografia. Come si legge nelle “Memorie biografiche” (Volume 5, pagg. 34-35) era il 1854 quando un giorno portò ai suoi alunni alcuni fogli stampati di un libro intitolato gli Angeli Custodi. Si sedette al tavolo con loro e iniziò a piegarli, poi chiese a sua mamma di cucirli: così nacque il primo laboratorio di legatoria e prese il via l’avventura di quella che oggi è la Scuola Grafica Salesiana in via Maria Ausiliatrice 36. Finalmente il 31 dicembre 1861 il nostro ottenne dal Prefetto di Torino la licenza di aprire la tipografia dell’Oratorio San Francesco di Sales, con direttore il cav. Oreglia di Santo Stefano ed editore il sac. Bosco Giovanni, come si legge nei documenti originali esposti nella mostra allestita lo scorso aprile per rievocare i 150 della tipografia.


Vedrete, saremo famosi! «Di lì in poi non ci siamo più fermati spiega l’attuale direttore della tipografia Luigi Bacchin, salesiano coadiutore, memoria storica della tipografia in cui lavora da 57 anni - all’inizio, in uno stanzone ricavato al pianterreno sotto le finestre della sua camera, Don Bosco collocò due macchine per la stampa a ruota e un torchio. E ai suoi giovani preoccupati per la precarietà di quelle attrezzature prometteva «Avremo una, due tipografie, dieci tipografie. Vedrete!». E così avvenne, tanto che la tipografia salesiana col passare degli anni impensierì alcuni tipografi privati tanto da presentare al Governo nel 1872 una petizione per far abolire tutte le tipografie «aventi scopo e carattere di beneficenza». Ma Don Bosco non si fece intimidire e andò avanti per la sua strada ingrandendo i locali (con la fonderia dei caratteri, la stereotipia e la calcografia) e acquistando nuovi macchinari (4 torchi, 12 macchine per la stampa prima a vapore e poi ad elettricità) man mano che la fama della tipografia si diffondeva così da competere con quelle più conosciute di Torino. Nell’esposizione nazionale del 1884 in una lunga galleria dedicata a “Don Bosco: fabbrica di carta, tipografia, fonderia, legatoria e libreria salesiana” i visitatori potevano seguire in tempo reale tutto il processo del libro a cura degli allievi della Scuola Grafica: dalla fabbricazione della carta alla composizione delle pagine con i caratteri mobili, dalla stampa alla piegatura e alla rilegatura del volume. E su impulso dei premi e dei riconoscimenti che la tipografia di Don Bosco ricevette da tutt’Europa, nacquero tipografie in tante altre Opere Salesiane.

La sfida del digitale Oggi, a 150 anni dall’inaugurazione, la Comunità Salesiana San Francesco di Sales di Torino Valdocco, che gestisce l’azienda grafica e il Centro di Formazione Professionale grafico, proprio per tener

© Archivio SGS

Un’immagine del reparto stampa negli anni Cinquanta. Da decenni, torchi e linotype sono stati sostituiti da computer e stampanti laser.

150 anni della TiPOG SaleSiana RaFia

fondata da San Giovanni Bosc 1862-2012 o

Oratorio Sales iano San Franc esco di Sales Scuola Grafica Salesiana - Torin o

Scuola Grafica Salesiana - torino via Maria Ausiliatrice 36 10152 Torino tel. 0115224373 essegiesse@valdocco.it

fede a ciò che di sé diceva il fondatore «In queste cose Don Bosco vuole essere all’avanguardia del progresso» ricorda il passato glorioso di quest’opera guardando al futuro con il coraggio e l’ardire del nostro Santo. «Ho iniziato a lavorare a 19 anni come legatore alla tipografia di Colle Don Bosco - prosegue Luigi Bacchin - e in questi anni ho visto molti cambiamenti e generazioni di giovani passare in questi stanzoni, gli stessi calpestati da Don Bosco. La rivoluzione nel settore editoriale che stiamo vivendo è paragonabile al passaggio dei libri copiati dagli amanuensi alla stampa di Gutenberg. Assistiamo a una crisi globale del prodotto stampato, la lettura sui libri viene soppiantata da quella nei vari supporti digitali. Penso spesso a Don Bosco e a tutte le difficoltà che ha avuto per realizzare il sogno della tipografia e a noi tocca inventare nuove strade per non tradire i due obiettivi del fondatore: diffondere le buone letture e insegnare un mestiere ai giovani». E allora come fronteggiare questa nuova crisi? «Intanto continuando a rimanere aggiornati per fare al meglio il nostro lavoro che deve essere di qualità - conclude il direttore -. E poi affidandoci alla Provvidenza. Mi capita spesso, soprattutto quando le commesse scarseggiano di andare all’urna di Don Bosco e di pregare perché ci ispiri qualcuna delle sue idee illuminanti…». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net DON BOSCO OGGI

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Don Bosco oggi

Don Bosco: i difficili inizi dell’Oratorio Dalle prime stanze messe a disposizione dalla marchesa Barolo, alla ricerca di una sede adatta ai suoi ragazzi, sino alla tettoia di casa Pinardi, la “terra promessa”.

N

egli anni 1844-1846 Don Bosco getta le fondamenta del suo oratorio. Si stacca definitivamente dagli ambienti del Convitto e, affrontando difficoltà di ogni genere, comincia ad operare in modo autonomo nel campo educativo giovanile. Le due stanze ed il prato annesso all’Ospedaletto, messi a sua disposizione dalla marchesa Barolo, segnano il punto di partenza per la realizzazione del sogno dei nove anni. Per la prima volta il giovane sacerdote non deve dipendere da altri. Nelle due stanze ci si raduna, si prega, ci si confessa, ci si incontra, si fa catechesi e scuola. Lì, l’8 dicembre 1844, per la prima volta, l’oratorio acquista il nome di “Oratorio di San Francesco di Sales”. Il motivo? Lo racconta Don Bosco stesso: «Perché la marchesa Barolo aveva fatto eseguire il dipinto di questo Santo nell’entrata del locale. E perché questo nostro ministero esigeva grande calma e dolcezza: ci eravamo messi sotto la protezione di San Francesco di Sales, perché ci ottenesse la sua straordinaria mansuetudine».

Prime difficoltà La calma e la mansuetudine, però, non sono sufficienti per rispondere alle necessità dei ragazzi. Esse permeano la relazione educativa salesiana, ma devono essere supportate dalla ricerca di strumenti e di sostegni materiali per aiutare la loro crescita umana e cristiana. Per far fronte alle esigenze dei giovani bisogna dare loro affetto, ma anche libri, abiti,

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© foto archivio RMA

Fu Pancrazio Soave a mostrare a Don Bosco la tettoia Pinardi, quello spazio tanto desiderato per dare ai giovani un oratorio.

strumenti di gioco. Ci vogliono soldi, che non ci sono. Don Bosco ne soffre. La sua natura riservata lo blocca. Si vergogna di dover chiedere l’elemosina. Per fortuna, l’amico don Borel interviene con decisione: «Se vuoi bene sul serio ai tuoi ragazzi, devi anche fare questo sacrificio vincendo tutte le tue ritrosie». Così, facendosi violenza, pieno di vergogna, Don Bosco per la prima volta bussa alla porta della casa signorile del signor Gonella ottenendo le prime 300 lire per i suoi ragazzi. Da quel momento la ricerca di aiuti diventerà un impegno quotidiano. L’attività di Don Bosco decolla. I ragazzi aumentano di numero. Sono giovani, esuberanti e, qualche volta, un po’ discoli. Questo, con il passare dei giorni, innervosisce la Marchesa, le cui suore sono sempre più preoccupate per l’eccessiva “contiguità” tra i giovani e le ragazze di cui si prendono cura.

Inizia l’esodo Don Bosco capisce. Comincia a cercare una nuova sistemazione. Ma non è facile. I ragazzi arrivano da ogni dove. Molti sono dei giovanotti di 18-20 anni. Sono


pieni di voglia di vivere e suggestionabili dalla magmatica situazione politica, che presto sfocerà nei moti del 1848. Il clero guarda con invidia e sospetto al successo di Don Bosco. Anche le autorità civili sono preoccupate. È difficile trovare luoghi e persone adatte ad ospitare ed aiutare il nascente oratorio. Comincia un esodo che durerà mesi. Le tappe sono: San Pietro in Vincoli, i Molassi, casa Moretta con il prato Filippi. Finalmente, il 5 aprile 1846 scopre la tettoia di casa Pinardi. È la Terra Promessa. Durante il periodo del suo esodo Don Bosco non soltanto fa esperienza di invidie, incomprensioni e falsità, ma anche incontra e conosce persone che non lo abbandoneranno più. Le peggiori sofferenze gliele procurano i confratelli preti. Si sa che la gelosia e l’invidia clericale hanno sempre effetti devastanti, ingenerando dubbi sulla salute mentale, sulla correttezza, sull’ortodossia delle persone prese a bersaglio. Per fortuna questi preti, relativamente pochi, non riescono a scalfire la fiducia dell’Arcivescovo nei confronti della nascente attività pastorale. Durante la tappa dell’oratorio ai Molassi Don Bosco incontra un ragazzino che diventerà il suo principale collaboratore, nonché primo successore: Michele Rua. Pur nella precarietà della situazione logistica Don Bosco, sin dall’inizio, riesce a modellare in modo originale la sua nascente creatura educativa. Non inventa nulla. Si ispira all’opera degli oratori milanesi, alla originale esperienza di San Filippo Neri a Roma e alla testimonianza data in Torino da don Cocchi. Non si limita a riproporre, ma con la sua prorompente personalità rende la sua passione educativa unica ed originale. Per lui l’oratorio è autonomo dalle parrocchie, anzi, per dirla con le parole dell’arcivescovo Franzoni, è «la parrocchia dei giovani senza parrocchia». La sua presenza in mezzo a loro non è “seriosa” e “compassata”, secondo le abitudini del clero del tempo. Cerca la rela-

L’affresco nella attuale cappella Pinardi che richiama le origini dell’opera di Don Bosco, di quell’affidamento alla Provvidenza che si servì di una semplice tettoia...

zione personale. Non si limita ad attendere i giovani, li va a cercare, li coinvolge in un rapporto di vita ricco di gioia, di allegria, di divertimento, di proposte religiose ed umane. Il suo stare con loro non è di tipo autoritario, ma sono loro a cercarlo. Nessuno si sente escluso o discriminato. Non richiede attestati di buona condotta, ma privilegia, con una attenzione tutta particolare, coloro che sono più “abbandonati e pericolanti”. Non si limita a fare semplice catechismo. Partendo da una seria educazione alla fede, li accompagna nella realizzazione concreta di un solido progetto di crescita umana. I giovani capiscono e, nella stragrande maggioranza, lo seguono, rendendo possibile la realizzazione del sogno dei nove anni che, proprio a partire da Valdocco, muove i primi passi di quel lungo cammino che arriva fino a noi. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

© foto Mario Notario

DON BOSCO OGGI

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Don Bosco oggi

Maria rinnova le famiglie L

a partecipazione al VII Incontro mondiale delle famiglie ci ha visti presenti come ADMA sia al congresso, sia con uno stand espositivo, sia alla “festa delle testimonianze” che alla Messa solenne con il Papa, volendo così concretizzare il nostro impegno di rinnovamento dell’ADMA attraverso l’attenzione e l’accompagnamento delle famiglie nel loro cammino umano e cristiano. L’Incontro Mondiale delle Famiglie ha costituito un’occasione privilegiata per ripensare il lavoro e la festa nella prospettiva di una famiglia unita e aperta alla vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla qualità delle relazioni oltre che all’economia dello stesso nucleo familiare. In un contesto di emergenza educativa e di apostasia dalla fede è strategica una particolare attenzione alla situazione attuale della famiglia, soggetto originario dell’educazione e primo luogo dell’evangelizzazione. Tutta la Chiesa ha preso coscienza delle gravi difficoltà nelle quali essa si trova e avverte la necessità di offrire aiuti straordinari per la sua formazione, il suo sviluppo e l’esercizio responsabile del suo compito educativo. Per questo anche noi dell’ADMA, guidati da Maria Ausiliatrice, ci impegniamo a rinnovare la nostra Associazione con un’attenzione speciale alla pastorale familiare.

© Marco Vergnano - Lightime Studio

Pierluigi Cameroni, Animatore Spirituale pcameroni@sdb.org

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Rakovnik-Ljubljana 1 (Slovenia) - 110 anni ADMA. Il 12 febbraio 1902 i salesiani avevano già costituito il primo gruppo dell’ ADMA della Slovenia, aggregato all’ADMA Primaria con il numero di registro n. 52. Nel 1945, con l’avvento del comunismo, il gruppo finì, per rinascere nel 1994. Oggi la Slovenia conta 5 gruppi ADMA con 238 soci e una decina di aspiranti.

ADMA Torino 2 Esercizi spirituali Dal 14 al 16 marzo 2012 a Mornese, luogo natale di S. Maria Domenica Mazzarello, si sono svolti gli esercizi spirituali con una trentina di soci dell’ADMA Primaria e di Torino. Contemplando Don Bosco nella luce del Buon Pastore ci siamo sentiti rinnovati nel nostro cammino di fede in Dio e nell’impegno ad essere attenti all’educazione dei giovani.

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Corato (BA) 3 Secondo Convegno dei gruppi ADMA della Puglia e della Basilicata Presso il bellissimo Santuario della Madonna delle Grazie di Corato il 15 Aprile 2012 si è svolto il secondo Convegno dell’ADMA della Puglia e della Basilicata, con la presenza di duecento associati in rappresentanza delle ADMA di Bari, Brindisi, Cerignola, Lecce, Manduria, Martina Franca, Molfetta e Potenza. Il tema della giornata, “incamminati nel Triennio di preparazione al Bicentenario della nascita di Don Bosco riviviamo il VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice a Cze˛stochowa”, è stato presentato da Tullio Lucca, Presidente dell’ADMA Primaria di Torino Valdocco, dalla moglie Simonetta Rossi e da Francesca Fida dell’ADMA Giovanile di Torino-Valdocco.

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ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

Bombay India 4 primo incontro nazionale rappresentanti ADMA

Milano 5 Giornata di preparazione al VII Incontro mondiale delle famiglie

Il 24 e 25 marzo si è svolto il primo incontro nazionale dei delegati dell’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) dell’India. Durante le giornate i vari rappresentanti della Famiglia Salesiana, coordinati da don Maddhichetty Noel, Delegato nazionale della Famiglia Salesiana, hanno preso in considerazione il Regolamento, la formazione dei membri e la missione dell’ADMA. L’assemblea ha proposto delle linee di azione per la promozione dell’ADMA nella regione dell’Asia Sud.

Domenica 29 aprile 2012 diversi gruppi di famiglie dell’ADMA del Piemonte e della Lombardia si sono ritrovate per condividere una giornata di spiritualità e di amicizia in preparazione al grande evento ecclesiale del VII Incontro mondiale delle famiglie. Don Roberto Carelli ha riletto la realtà della famiglia alla luce dell’icona biblica del buon Pastore. Significativa la presentazione del Servo di Dio Attilio Giordani (1913-1972), marito e padre, salesiano cooperatore e animatore dell’oratorio, offerta dal figlio Piergiorgio.

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INFO web

www.admadonbosco.org

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Don Bosco oggi

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Don Bosco oggi

Sorelle nel cammino dell’integrazione Una presenza missionaria nel cuore della Torino multietnica, in linea con il carisma educativo di Don Bosco e l’intraprendenza solidale di Madre Mazzarello.

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ivono e lavorano portando avanti la loro missione in quello che oggi è il crocevia di popoli nel centro di Torino, a Porta Palazzo, che circa cento cinquant’anni fa è stato il punto di partenza dell’anima e dello spirito salesiano. Oggi sono cambiati i volti, ma non quel seme fecondo di solidarietà e fratellanza. Più che di fratellanza sarebbe forse il caso di parlare di “sorellanza” con le donne del mondo, che una piccola comunità dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, porta tenacemente avanti, abitando in un appartamento di condominio. Nel 2006 parte l’idea di coniugare l’impegno che animò la giovane Maria Domenica Mazzarello nell’insegnare il mestiere di sarta alle giovani del paese in un laboratorio di manualità e valori, con il carisma di donne consacrate che vivono con semplicità lo stare in mezzo alla gente. La loro casa è significativamente intitolata a Suor Angela Vallese, la pioniera della prima spedizione missionaria delle FMA, in un’ottica di “restituzione” di suore dal mondo al continente europeo, e di nuova evangelizzazione. Dove trae origine la vostra iniziativa? È nata come emanazione del Capitolo Generale XXI del 2002 (assemblea generale di una rappresentanza di suore nel mondo) e la riflessione sull’essere missionarie oggi, individuando i bisogni delle grandi metropoli dove si concentrano i rischi del degrado e delle nuove povertà

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collegate al fenomeno delle migrazioni. Con la nostra, ne sono nate altre quattro nel mondo, ma la nostra è l’unica con questa identità presente in Italia. Siamo arrivate senza un progetto. Un anno di rodaggio senza aver realizzato qualcosa di visibile, se non il fatto di girare e conoscere la gente del quartiere e di metterci in contatto con le presenze già attive sul territorio per capire cosa si potesse fare rispetto al già esistente. L’idea del “gazebo itinerante” è stata efficace per avvicinare le donne e intervistarle al mercato con questionari multilingua. Un progetto che si è venuto delineando dal bisogno delle destinatarie! Come funziona? È una sorta di sportello ambulante Aperta-mente Cittadine è il nome del progetto - sulla possibilità di avere luoghi e tempi di incontro e di laboratorio in cui trovarsi, insieme ad un gruppo di volontarie: quattro laboratori rivolti a giovani italiane e straniere (alfabetizzazione, taglio e cucito, ricamo e attività manuali varie di maglia e uncinetto; periodicamente anche laboratorio artistico). La finalità è quella di “stare” in mezzo alla gente, come sportello d’ascolto informale e presenza alternativa d’opinione e di offrire alle donne luoghi di incontro e spazi di integrazione, in vista di una dignitosa cittadinanza nell’ottica della prevenzione cara a noi Salesiani.


Le “ricadute” sociali e familiari Il progetto “Aperta-mente cittadine”, coordinato dalle FMA, offre a donne immigrate luoghi e tempi di incontro dove trovarsi tutte insieme con volontarie per laboratori, momenti di formazione, svago, crescita culturale, dialogo, confronto interreligioso.

copy Associazione 2PR

Quindi svolgete una educazione utile e spendibile per chi arriva qui, magari disorientata dalla lontananza con il Paese d’origine? Imparano l’italiano con i nostri laboratori linguistici, socializzano con le altre donne, imparano cose immediatamente utili per l’economia domestica delle loro famiglie. Qualcuna si è lanciata in qualche attività in proprio, facendone una fonte di reddito. Per chi frequenta da ottobre a giugno, rilasciamo un attestato che certifica la raggiunta conoscenza dell’italiano, e questo è comunque gradito dai datori di lavoro. Inoltre, chi vuole può venir inserito nelle classi di adulti per il conseguimento della licenza media. La nostra Associazione, la “2PR” (Prevenzione e Promozione), che non è assistenzialista ma dà autonomia, è segnalata con il passaparola nelle loro comunità. Quante donne avete assistito sinora? Negli anni abbiamo accompagnato circa 500 donne ed attualmente ne stiamo seguendo un centinaio di 12 nazionalità,

con l’aiuto di insegnanti artigiane volontarie. Ci sono anche momenti di svago e crescita culturale. Vi siete anche imbattute in storie difficili? Purtroppo le storie di povertà non mancano e siamo venute in contatto anche con donne vittime della tratta o della prostituzione. All’inizio sono state loro ad aprirsi e a confidarsi con noi, e sono entrate subito nei programmi di recupero delle istituzioni preposte e dei servizi sociali. L’etnia maggiormente presente qui è di fede musulmana. Come hanno reagito gli uomini? Ci hanno viste con cordialità e simpatia perché si sono sentiti accolti con le loro famiglie. Non hanno mai temuto un’ingerenza nei loro costumi e nella loro fede e, anzi, si è aperta un’occasione di confronto interreligioso e di dialogo.

Altri progetti e cose utili Quali altre iniziative curate? Abbiamo un progetto che portiamo avanti con le scuole di primo e secondo grado. Abbiamo coinvolto una media di Chieri e un liceo di Torino. I ragazzi possono conoscere e apprezzare le diversità di una umanità colorata verso cui c’è diffidenza spesso ingiustificata, contribuendo a “sfatare” il mito di Porta Palazzo come luogo pericoloso. Operiamo inoltre in sinergia con varie istituzioni cittadine, con il Sermig , l’ASAI, l’Associazione Iroko, Tampep e siamo inserite nei programmi dell’Ufficio Pastorale Migranti. Inoltre una nostra consorella che è stata missionaria in Tunisia e conosce l’arabo, fa da mediatrice e coordinatrice nei corsi d’italiano presso l’UPM e segue alcuni casi accolti al Centro di accoglienza per immigrati senza permesso di soggiorno. Anna Rita Messe redazione.rivista@ausiliatrice.net DON BOSCO OGGI

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Don Bosco oggi

Un piatto antico: la “Panada”

Anche suor Maria Troncatti, prima cuoca poi «medico della selva» nelle missioni salesiane di Macas e Sucua (Ecuador), come mamma Margherita sapeva recuperare sapientemente i cibi avanzati: dal pane raffermo ecco la gustosa “panada”.

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e aveva percorsa di strada la giovane Maria Troncatti, nel 1900, da Corteno (Brescia) a Rosignano Monferrato (Alessandria), per consacrarsi a Dio come Figlia di Maria Ausiliatrice. Iniziata la professione religiosa come cuoca, poi trasferita a Varazze (Savona), avrebbe imparato la pratica infermieristica, grazie alla quale nel 1922 sarebbe diventata il “medico della selva” nelle missioni salesiane di Macas e Sucua (Ecuador). Nella foresta equatoriale avrebbe trascorso il resto della vita (quasi mezzo secolo), contrastando, con la preghiera e la professione di infermiera, la magia nera degli stregoni e convertendo al cristianesimo

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la popolazione indigena shuar. A ridosso dell’Equatore imparò a cavalcare, a guadare fiumi, ad affrontare le mille insidie della selva impenetrabile. Come accadde il giorno in cui fu assalita da un serpente che le si avvinghiò alle gambe, paralizzandone i movimenti. Contro la stretta mortale, la suora sfoderò la sua unica arma: il rosario. Dopo tante Ave Maria, il rettile si srotolò dal suo corpo, sparendo nell’intrico della selva. Il 25 agosto 1969, a ottantasei anni, suor Maria si concesse il lusso di un viaggio aereo per raggiungere Quito, capitale dell’Ecuador, dove avrebbe partecipato a un turno di Esercizi Spirituali, sua unica vacanza annuale. Partito dal piccolo aeroporto di Macas, una pista nella foresta, l’aereo su cui volava si schiantò, poco dopo il decollo. La popolazione shuar, accorsa in massa ai funerali della “Madrecita”, la pianse come si piange una mamma e come di una mamma ne venera il ricordo, in attesa della sua beatificazione. Come tutte le salesiane degli inizi, nella sua attività di cuoca suor Maria aveva imparato l’arte di utilizzare tutti gli avanzi di cibo, cosa che sicuramente aveva fatto anche Mamma Margherita, che possiamo immaginare esperta nel riciclare gli avanzi di pane, per il piatto contadino della Panada. Ecco la ricetta: abbrustolire 200 g di pane raffermo a pezzi, soffregarli con l’aglio e coprirli con 2 litri di brodo (o acqua). Portare a ebollizione e cuocere, rimestando, sino a che il pane sarà ridotto in poltiglia. Condire con un filo d’olio e, volendo, prezzemolo tritato. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net


Esperienze

Non giudicate dalle apparenze Anche a Valdocco, come in altre sedi salesiane, incontriamo sempre più spesso persone in difficoltà economica: cassa integrazione, licenziamenti e disoccupazione, soprattutto giovanile, hanno pesanti ripercussioni individuali e familiari. Tra le confidenze ricevute, pubblichiamo questa di “una giovane mamma”.

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on giudicate dalle apparenze. Sono disoccupata. Ho due figli piccoli. Mio marito ha partita Iva e il commercialista ride quando vede il totale annuo delle sue fatture. Siamo una famiglia in difficoltà. Come tante. Forse troppe, in questo periodo. I nostri amici e anche molti nostri famigliari non sanno quanto siamo in difficoltà, a livello economico. È una cosa che non hai voglia di raccontare: riservatezza, pudore, vergogna… Conosciamo altre famiglie che vivono il nostro stesso disagio. Lasciate che vi spieghi la situazione di noi, nuove famiglie sulla soglia della povertà. Perdere il lavoro oggi, non significa che tutto ciò che fino a ieri abbiamo potuto comprare e “permetterci” sparisce. Per esempio, la mia auto rimane quella che, fortunatamente, avevo finito di pagare prima di rimanere senza lavoro. È grande, perché oltre alla mia famiglia deve ospitare i nonni anziani che non se la sentono più di guidare. Qualcuno può ritenerla uno status symbol: forse lo era più di 10 anni fa, quando l’ho acquistata, ma ora è soltanto un mezzo comodo a quattro ruote! Una conoscente mi passa gli abiti dismessi del nipotino che frequenta la “Torino-

Gesù ha detto: «Non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7,1). È come se avesse detto: «Giudica noi, come noi giudichiamo gli altri».

bene” e ha 8 anni più di mio figlio. Così, il mio bimbo ha abiti firmati di almeno otto “stagioni” fa... Mi sto facendo crescere i capelli, perché non posso più andare tutti i mesi dalla pettinatrice. Nel mio carrello della spesa non c’è il cibo “firmato”, ma soltanto prodotti a marchio del supermercato, soprattutto se in offerta. Quando gli amici ci invitano a mangiare la pizza con la famiglia, invento mille scuse. In estate sono in vacanza con i bambini tutti e tre i mesi: nelle case dei nonni, dove non pago nulla di più di quanto spenderei rimanendo a casa. A forza di togliere e tagliare dal “superfluo” si finisce con l’arrivare al “necessario”: il dentista è rimandato per mesi, gli occhiali non sono cambiati… E pur di lasciare il più possibile ai figli (nuoto, gita scolastica…), tu finisci col rinunciare a talmente tanto che alla fine ti senti (e sei) imbruttito di fuori, perché ti curi meno, ed arido dentro, perché costa troppo andare al cinema, uscire con gli amici o fare il campo famiglia con la parrocchia. Eppure curare hobby, svago e cultura è ciò che ti rende meno animalesco-robot e più persona, consapevole della tua dignità. Allora, cercate di conoscere. E provate a non giudicare. Soprattutto dalle apparenze. esperienze

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Esperienze

Quando l’Etica entra nel po Non è vero che la crisi economica ha colpito tutti gli istituti di credito. Ci sono realtà che non sono state toccate dal terremoto dello spread e dei “titoli spazzatura”. Un esempio è la Banca Popolare Etica.

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o scorso marzo, in Canada, si sono incontrate le 14 banche aderenti alla Global Alliance for Banking on Values (Gabv), un network indipendente del risparmio gestito, che opera in 24 Paesi del mondo, contando un patrimonio complessivo di 26 miliardi di dollari. Il messaggio, positivo, è che i loro bilanci godono di ottima salute. In altri termini, lo tsunami della crisi economica planetaria non li ha nemmeno sfiorati. Com’è possibile? Il fatto si spiega con l’elemento che accomuna i membri del Gabv: il rispetto dei princìpi della finanza etica. Tra i protagonisti, c’è la Banca Popolare Etica, rappresentata dal presidente Ugo Biggeri, che lo scorso 8 marzo ha compiuto 13 anni. Forte di un capitale sociale di 35.607.000 euro (il 14% in più del 2010) e di oltre 36mila soci (di cui circa 31mila singoli cittadini), sin dall’inizio della crisi, nel 2008, la Banca Etica è riuscita a far crescere costantemente l’erogazione di credito a favore delle imprese sociali e delle famiglie, come spiega Alberto Hoch, responsabile culturale per l’Area Nord Ovest: «Il 2011 si è chiuso registrando nei volumi una crescita a due cifre, per il terzo anno consecutivo. La raccolta di risparmio ha raggiunto i 717 milioni di euro, l’11,7% in più rispetto al 2010, mentre i crediti erogati sono pari a 540,8 milioni (+ 23,9% sul 2010)». Il trucco c’è. Banca Etica si pone, infatti, come alternativa alla finanza drogata da speculazioni e prodotti derivati, che punta al massimo profitto nel brevissimo

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periodo. «Il nostro fine - spiega ancora Hoch - è gestire il risparmio di famiglie, singoli e organizzazioni investendolo per finanziare esclusivamente iniziative economiche che perseguono finalità sociali e che operano nel pieno rispetto della dignità umana e dell’ambiente. Lo facciamo in modo innovativo, orientando l’attività sia operativa sia culturale ai principi della finanza etica: trasparenza, diritto di accesso al credito, efficienza e attenzione alle conseguenze non economiche delle azioni economiche».

Tanti pregi, un difetto Unica pecca, il numero di filiali presenti sul territorio italiano: appena 16, nelle città più importanti, tra cui Torino (la “casa madre” è a Padova), e coadiuvate da una rete capillare di promotori finanziari, ribattezzati “banchieri ambulanti”, oltre che da 70 Gruppi di Iniziativa Territoriale (Git), con il compito di diffondere i valori della finanza etica e di facilitare le interazioni tra soci, banca e territorio. Anche in questo caso c’è una spiegazione: il sistema è stato costituito inizialmente per sostenere le realtà non profit del Terzo Settore. Un impegno, per così dire, di “nicchia”, il cui successo ha fatto spuntare ovunque richieste. Con il risultato che oggi la Banca Etica si dedica al finanziamento dell’economia civile in senso lato, ma sempre negli àmbiti della cooperazione sociale, di quella internazionale e degli aiuti allo sviluppo, del commercio equo e solidale, degli interventi per migliorare la qualità della vita,


ortafoglio della tutela ambientale, del social housing, dell’agricoltura biologica. «Ogni finanziamento - dice Hoch - è erogato sulla base di un’istruttoria economica a cui si affianca una dettagliata valutazione socioambientale, che permette di selezionare i progetti più validi nel rispetto degli interessi della collettività».

Le proposte Banca Etica sta sperimentando forme innovative di sostegno alle imprese e all’occupazione. Un esempio sono le operazioni di “workers buyout”, finanziate dalla Banca in collaborazione con Legacoop: piccole e medie imprese fallite o sull’orlo del fallimento sono rilevate dai dipendenti che si costituiscono in cooperativa, investono gli ammortizzatori sociali (Tfr, cassa integrazione) e con il finanziamento di Banca Etica si impegnano a salvare l’azienda, il loro posto di lavoro e la loro professionalità. Reti e alleanze tra cittadini e tra lavoratori sono al centro di altre operazioni innovative che spesso coinvolgono le pubbliche amministrazioni. Il mondo non è fatto però soltanto di cifre. Serve una nuova cultura dell’economia e del risparmio gestito, più consapevolezza delle vie che portano una società a crescere. «Banca Etica si sta impegnando anche per il lancio di una campagna di educazione finanziaria nella convinzione che un reale cambiamento si potrà avere solo con un’azione simultanea: dall’alto con nuove regole internazionali - contrasto ai paradisi fiscali; tassa sulle transazioni finanziarie; trasparenza reale - e dal basso con cittadini più responsabili e consapevoli dei meccanismi della finanza», afferma Hoch. Il riferimento è

all’iniziativa “Non Con I Miei Soldi”, volta a fornire tramite incontri e forum un utile vademecum, anche solo per la semplice apertura di un conto. «La finanza casinò è alimentata con i risparmi di tutti i cittadini e di tutte le organizzazioni - conclude Hoch -. Ma si può dire basta, così com’è avvenuto con le campagne che negli scorsi decenni hanno imposto anche alle grandi imprese strumenti di monitoraggio della responsabilità sociale e ambientale».

Banca Etica investe nell’economia reale della cooperazione sociale, degli aiuti allo sviluppo e del commercio equo e solidale. Così facendo, nel 2011 ha registrato una crescita a due cifre.

Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net

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ESPERIENZE

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Sfide educative

Giovani lolite aumentano Perché molti giovani “mercificano” il loro corpo? Quali gli esempi e i comportamenti di educatori e di genitori? Non basta la (sterile) indignazione: non si può restare indifferenti, apatici o assenti.

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hi quotidianamente frequenta il mondo della scuola, dalle medie all’università, non può chiudere gli occhi su una realtà inquietante: la fragilità di molti adolescenti nella gestione della propria affettività e sessualità. È di ieri la notizia di due adolescenti quattordicenni sorpresi nei bagni della scuola mentre avevano un rapporto intimo. Pochi giorni prima i giornali sparavano, a caratteri cubitali, che in una classe di seconda media lo sport preferito dagli alunni era quello di scambiarsi sui cellulari foto che li ritraevano in pose hard. Arriva dall’Inghilterra la notizia che un gruppo di viziosi pedofili pachistani, negli ultimi tre anni, hanno circuito e stuprato oltre seicento giovani ragazze inglesi. Insomma, chi più ne ha, più ne metta. Tutto questo non può limitarsi a suscitare una sterile indignazione da parte chi si onora di far parte della Famiglia Salesiana sgorgata dal cuore di Don Bosco che all’educazione dei giovani ha consacrato tutta la sua esistenza. Un vero salesiano e anche un vero educatore e un vero genitore non possono restare indifferenti, apatici ed assenti.

Un film da vedere Un film, uscito di recente, offre ad ognuno di noi la possibilità di riflettere, senza pudibondi moralismi, su un aspetto della condizione giovanile ben mimetizzato tra le pieghe, all’apparenza ineccepibili, del nostro vivere quotidiano. I giovani, a volte, escono completamente disorientati e frastornati dalla loro quotidiana frequentazione con l’irrazionalità di alcuni modi di vivere, col no sense del mondo,

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con l’esperienza della notte dei valori, col deserto morale ed etico del cosiddetto mondo adulto. Il film è intitolato Elles, è diretto dalla regista polacca Halgoska Szumovska ed interpretato magistralmente da Juliette Binoche. Il tema trattato è scabroso, ma amaramente attuale: la prostituzione femminile nel mondo giovanile. La visione del film fa male perché costringe lo spettatore non solo a prendere atto di una sottotaciuta realtà, ma anche a schierarsi in prima persona di fronte ad un dato di fatto denunciato da statistiche ufficiali che quantificano in parecchie decine di migliaia il numero di giovani donne che praticano la professione più vecchia dell’umanità nella sola Europa. L’attrice interpreta il ruolo di una giornalista che intende fare un reportage fra le giovani studentesse francesi. Costatando la realtà del fatto che non poche si vendoDal film “Elles” un invito a riflettere sul fenomeno sempre più diffuso della prostituzione giovanile.


no per “arrotondare” la loro disponibilità di denaro, Anna rivolge a Lola una domanda fatale: «Perché lo fai?». La risposta che riceve la impietrisce: «Perché è come fumare. Il difficile è smettere». È evidente il cinismo insito in tale affermazione. Con una semplice battuta viene annullato ogni tentativo di comprendere gli oscuri motivi che spingono la ragazza a fare certe esperienze.

La realtà di non pochi adolescenti Il dato che non pochi adolescenti non esitino a “mercificare” il proprio corpo, direttamente nella prostituzione o indirettamente dietro una webcam, non può non preoccupare chi si impegna nel campo dell’educazione a tutti i livelli. Ricercare i “perché” è indispensabile per attivare i rimedi. Il motivo principale deriva dal fatto che per troppe persone il massimo valore sono i soldi. Ognuno deve fissare un prezzo al proprio modo di essere. Il sesso gode della massima considerazione e valutazione. È uno dei mezzi più facili e sicuri a disposizione per arricchirsi. “Fare soldi il più possibile” è il mantra che i ragazzi sentono fin dalla più tenera età nell’ambito stesso della famiglia. Se tutto questo viene integrato dalla constatazione della frequentazione nevrotica

Spesso internet veicola tra gli studenti la mercificazione del corpo e favorisce gli incontri a sfondo sessuale.

di siti porno da parte di molti che dovrebbero essere educatori, o dalle infedeltà di troppi genitori, o dalle miserie morali di troppi religiosi, inevitabilmente i giovani sprofondano nella noia del vivere, nella desertificazione dell’etica e della morale, nella oggettivazione dei sentimenti e della sessualità. Qual è la differenza tra sessualità e genitalità? Che cosa vuol dire essere uomo o donna e non semplicemente maschio o femmina? Amare è un punto di arrivo di un progetto o qualcosa da bruciare nella passione di un istante? Sono interrogativi che ogni appassionato del Sistema Preventivo di Don Bosco deve porre a se stesso prima di “smucinare” risposte scontate e a vanvera. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

Le domande di suor Simona La società spesso banalizza i sentimenti dei giovani che invece ancora sono capaci di riconoscere e valorizzare l’amore che sperimentano. I giovani non hanno perso la voglia di credere e impegnarsi in relazioni forti basate sul rispetto e sul desiderio di una felicità duratura e profonda.

Quale sentimento nasce in noi di fronte a questi fatti? Rabbia, giudizio, sorpresa, impotenza, indifferenza, compassione? Se ascoltiamo queste notizie come adulti che guardano “dall’alto al basso” e pronunciano sentenze, sarà difficile incrociare il cuore inquieto di giovani che gridano, come possono, il desiderio di un oltre e di relazioni umane che colmino il bisogno di trovare “un posto” in questo mondo. La nostra attenzione non può fissarsi sullo scandalo, ma sull’appello di ciò che non si vede e dal grido soffocato nell’uso del corpo. Ci facciamo compagni di viaggio delle loro domande di questi giovani? Riusciamo a far vedere, con il nostro corpo, la bellezza di un corpo fatto per la relazione? La sfida educativa deve passare dalla nostra carne e dalle nostre scelte! Suor Simona Corrado pedagogista e mediatrice familiare

SFIDE EDUCATIVE

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Sfide educative

Buoni cristiani e onesti cittadini In un tempo di smarrimento personale e sociale si avverte l’urgenza di formazione delle coscienze per essere non solo dei buoni cristiani, ma anche degli onesti cittadini. Oltre lo spread una crisi di civiltà? Siamo in piena crisi economico-finanziaria. Ma, al di là dei numeri che non tornano, si intravvede una crisi ben più profonda. Siamo nel bel mezzo di una crisi di civiltà: manca una bussola credibile per il nostro futuro. L’idea di un bene comune è quanto mai sbiadita. Viviamo immersi in un individualismo senza futuro pieno di solitudini, senza progetti e valori. Non vediamo più ragioni sufficienti per legare la nostra vita a quella degli altri con i quali con-viviamo. Una società ripiegata su se stessa e dominata dal denaro non riesce più a motivare impegno e responsabilità sociale. Come attivare nei cristiani una cittadinanza attiva, consapevole, responsabile nella società, nella professione, nel lavoro, nella politica, nell’economia, ecc., senza una formazione sociale adeguata? Questo libro vuole offrire un piccolo aiuto alla formazione. Buoni cristiani e onesti cittadini è la sintesi di tutta la formazione cristiana grazie alla conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, come si legge nel sottotitolo.

La “dottrina sociale della Chiesa”: se ne parla ma non la si conosce! Purtroppo ben pochi sanno cos’è. La Chiesa sempre si è fatta carico delle situazioni di povertà sociale e personale.

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Basta pensare a tutte le iniziative di carità messe in atto in duemila anni di storia. Nel secolo XIX capita una vera rivoluzione: quella industriale con tanti nuovi poveri, drammi umani e sociali. Il Papa di allora, Leone XIII, prende carta e penna, come si dice, e, illuminato dal Vangelo, scrive la Rerum novarum per denunciare il degrado umano e sociale a cui sono sottoposti gli operai nelle manifatture del tempo. Orari impossibili, paghe da fame, situazioni abitative disumane. In positivo, l’enciclica prospetta le vie morali e giuridiche per una vita personale, sociale e produttiva degna dell’uomo. Dopo Leone XIII, altre encicliche sociali sono state scritte dai Papi per denunciare gli abusi e le minacce contro la dignità della persona e dei popoli e, al tempo stesso, per prospettare soluzioni che rispondano al bene comune. Il percorso storico che il libro propone dalla Rerum novarum alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, fa vedere una Chiesa sempre attenta ai molti e profondi cambiamenti che avvengono nelle società e nel mondo intero. Si passa via via, dalla questione locale degli operai del tempo di Leone XIII, alla questione mondiale della pace e dello sviluppo dei popoli. In questa apertua mondiale il concilio Vaticano II pone l’attenzione sulla centralità della persona e del suo pieno sviluppo non solo economico, ma anche culturale, relazionale, spirituale e religioso.

È nella Dottrina Sociale della Chiesa che si possono ritrovare i giusti orientamenti per formare una retta coscienza, attenta al bene comune e consapevole dei veri valori.


T

utti avverti carenza di amo in questi tem pi un formazione za a una sociale ch a grande cit sabile. Pe tadinanza consap e dia sostanri ev nanza co cristiani l’educazio ole e responnsapevole ne e responsa alla “cittadioptional. La bil con-vivere fede senza le op e” non è un er in la coscien società non può e è morta! Il za no scelto come cristiana. Per qu n provocare esto titolo «Buo tadini». ni cristian motivo ho i e onesti cit-

Tutte le encicliche sociali dopo il concilio mettono a fuoco la dignità della persona. Più recentemente, la tecnica e la scienza hanno dato il via a manipolazioni sulla vita estremamente minacciose per la Sabino Fr iga dignità dell’uomo. La questione dottrina soc to, sdb, è sociale docente di ial tificia Sales e della Chiesa presso teologia morale e iana - Sezio l’Università ha pubblic ne di Torin Ponè diventata una vera questione antropoato: I lavora o. e politica, tori cattolic Con la Elledici 19 i cazione mo 88; In risposta a Cr tra testimonianza isto. Piste rale e politi l’uomo logica, vale a dire difesare modi tutto per l’educa, 19 rale. Sagg io di teolog 91; Vita in Cristo e 1994. Con agiia morale l’e fondame Dottrina soc ditrice Effatà: La dif ficile demoa ntale, e di tutti gli uomini. Profeta indiscusso ial crazia. La (1878-1958 e della Chiesa da Leone XIII ), 2007. E a Pio XII nel 2010 an Vizi capitali cora con la . Co Elledici: favore della vita è statoedGiovanni Paolo ucativo mo me parlarne , oggi? Pe II. rale. r un itin

SABINO FR

IGATO

La forza

educativa

della dottr

ina social

e della Ch

iesa

erario

I quattro pilastri della dottrina sociale della Chiesa € 7,00

Il valore della persona non deve mai essere sopraffatto dalle logiche del profitto e da modelli individualistici di sviluppo.

ISBN 978 -88-01-0

5124-7

Chi prende in mano le encicliche sociali si accorge che, pur cambiando di tempo in tempo il tema – la condizione operaia, l’economia, il lavoro, la pace, la politica, lo sviluppo dei popoli, ecc. – il ragionamento che viene fatto si basa su quattro fondamentali pilastri. Prima di tutto la dignità della persona considerata soggetto, fondamento e fine di tutto. La persona, poi, non è un cittadino chiuso in se stesso, ma in relazione con gli altri in un rapporto di reciproca solidarietà. Non solo, ma in quanto libero e responsabile, il cittadino è capace di realizzare determinati beni sociali collegandosi e associandosi con altri concittadini senza dipendere dall’intervento superiore dello Stato. Anzi esso deve favorire l’autonomia dei gruppi sociali. Questo si chiama sussidiarietà. Una società è tanto più democratica e partecipata quanto più è sussidiaria, nel senso che valorizza la responsabilità dei cittadini. Il quarto pilastro è il bene comune a cui tutto deve o dovrebbe tendere. Non si tratta solo della ricchezza prodotta in un Paese, ma anche di come viene redistribuita a vantaggio di tutti. Non solo, ma il bene comune riguarda tutti quegli aspetti necessari per una vita buona, dignitosa per tutti e per ciascuno. Nella prospettiva del bene comune il perseguimento dei diritti deve accompagnarsi sempre ai doveri con la consapevolezza che favorire il benessere della società è lavorare per il proprio bene.

A questa nostra società smarrita, la dottrina sociale della Chiesa è una provvidenziale bussola che orienta su un futuro sempre più a misura di uomo. Essa non offre soluzioni tecniche per i problemi che ci affliggono, ma indica a tutti, cristiani e non, le ragioni e le vie etiche per cercare e trovare le soluzioni più adeguate alla dignità degli uomini e dei popoli.

SFIDE EDUCATIVE

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Sfide educative

L’innamoramento, “campio A tu per tu con don Ezio Risatti per cominciare a esplorare le dinamiche che possono contribuire a edificare una storia d’amore. “Bello e impossibile” come lo immagina Gianna Nannini o “dolcissimo” come lo invoca Irene Grandi. “Disperato” come lo racconta Nada o “di plastica” come lo teme Carmen Consoli... L’amore ha davvero troppe sfaccettature e sfumature per essere rinchiuso in una canzone. A volte più idealizzato che vissuto, non si nutre di gesti plateali e difficilmente si lascia incontrare negli studi televisivi popolati di “tronisti”, di “pupe” e di “secchioni” che sembrano più interessati alla piega dei capelli che ad ascoltare i richiami del cuore. Per provare a capirne di più ci siamo rivolti a don Ezio Risatti, preside del corso di laurea in Psicologia della comunicazione, che ha sede nella Scuola superiore di formazione “Rebaudengo” di Torino.

I più giovani, non di rado, fanno fatica a distinguere infatuazione e innamoramento.

Le apparenze dell’amore

«Gli psicologi, che a volte usano termini difficili, la chiamano “compensazione di ferita d’origine traumatica” e, di solito, ha inizio nell’infanzia. Il bambino che non si sente protetto o valorizzato a sufficienza può diventare un adulto che, quando incontra chi lo ama, ha la sensazione di poter colmare i propri bisogni inconsci non soddisfatti e - come in un pozzo senza fondo - tenta di compensare il trauma senza mai esaurirlo. Anche in questo caso non si può parlare d’amore ma di soddisfazione di un bisogno».

Perché l’amore, a qualunque età, è così importante? «Perché, pur essendo un sentimento umano, riguarda direttamente Dio, che l’evangelista Giovanni definisce “Amore”. L’uomo, creato a immagine di Dio, gli somiglia perché è in grado di amare». Talvolta, però, si rischia di confonderlo con sentimenti che non sono l’amore... «Succede che lo stimolo a formare una coppia possa essere scambiato per amore. Che ragazzi e ragazze desiderino vivere insieme più per conformarsi a tradizioni e a pressioni sociali che per condividere un progetto di vita. È una situazione che, se sottovalutata, è destinata a creare problemi, fatiche e sofferenze».

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«L’infatuazione è un meccanismo inconscio che può scattare all’inizio dell’innamoramento e che va tenuto sotto controllo. Proiettare su una persona le caratteristiche che più mi affascinano, infatti, non mi permette di vivere un rapporto reale con essa ma con i caratteri che io le attribuisco. Quando ho la sensazione che il partner sia perfetto sotto ogni punto di vista è il momento giusto per domandarmi se sono caduto vittima dell’infatuazione». E non manca chi s’innamora per lenire le ferite interiori e il male di vivere… L’amore è vedere i limiti del partner e sentire che, al di là di tutto, egli vale e merita di essere amato.

A complicare il quadro è in agguato anche la gelosia… «La gelosia, al contrario di quanto si crede, non è dimostrazione d’amore ma pretesa inconscia che il partner si dedichi totalmente a me. Oltre che nei confronti della persona amata, la gelosia vie-


ne gratuito” d’amore ne spesso indirizzata anche verso amici, colleghi e famigliari. Dal punto di vista psicologico, oltre che cristiano, ha ragione San Paolo quando, nella prima lettera ai Corinzi, afferma che “l’amore non è geloso”».

Un amore senza confini Ma allora, che cos’è l’amore? «Spiegarlo è impossibile, come tentare di descrivere il sapore della menta o del mango, e lo comprende solo chi vive l’esperienza dell’innamoramento, un “campione gratuito” d’amore, una bufera psicofisica che sconvolge l’esistenza, al punto che molti adolescenti - convinti di essere i primi a beneficiarne nella storia dell’umanità - pensano: “Se anche gli altri uomini sapessero che cos’è l’amore il mondo sarebbe diverso e non esisterebbero gli orrori che riempiono le cronache dei giornali”».

temporaneamente, del nostro essere un tesoro prezioso è alla base della decisione di Gesù di donare la propria vita per salvare l’umanità. Lo esprime con precisione San Paolo quando, nella lettera ai Romani, afferma che “Cristo ci ha amati e ha dato la vita per noi prima che fossimo redenti e salvati”. Infatti eravamo ancora immersi nel peccato quando Gesù ha accettato di offrire la propria vita per noi, e lo ha fatto perché vedeva nel medesimo tempo in ogni uomo sia l’essere peccatore sia l’essere immagine bella e preziosa di Dio». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net

Che cosa capita, dal punto di vista psicologico, quando due persone si innamorano? «Innanzi tutto, cade la barriera dell’incomunicabilità: sono consapevoli di essere sintonizzati sulle “frequenze” del partner, del fatto che si comprendono reciprocamente senza bisogno di spiegarsi. Poi si percepisce il valore dell’altra persona al di là dei propri limiti: a differenza di chi è infatuato, l’innamorato vede le povertà e gli sbagli del partner ma sente che egli vale e che merita di essere amato. Infine, si è disposti ad affrontare dolori e fatiche: sperimentato che l’amore è un bene prezioso, non si intende rinunciarvi neppure quando amare significa soffrire». Una sequenza di dinamiche che sembrano avere molto in comune con la vita di Gesù... «La percezione dei nostri limiti e, conSFIDE EDUCATIVE

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Lettere a Suor Manu

Se il “bullo” è mio figlio Mio figlio è bullo. Non volevo crederci, ma è così. L’ho constatato di persona, con l’aiuto di insegnanti di fiducia. Purtroppo io sono sola e lavoro dal mattino alla sera, e ogni 15 giorni mio figlio deve stare con il mio ex marito. Ho iniziato un percorso con una psicologa, perché ho capito che il problema non è solo di mio figlio, anzi, è mio. Sento il bisogno di condividere la mia storia, perché molti ragazzi si trovano nella condizione di mio figlio. Nessuno vorrebbe avere un figlio bullo. Soprattutto se ci si rende conto di quanto sia triste e solo un ragazzo bullo. Non ho mai incontrato una mamma con tanto coraggio: grazie. Mi auguro che le sue parole possano aiutare tanti genitori a guardare i figli con umiltà e verità, anche se ciò portasse a riconoscere di avere buona parte della responsabilità. C’era una volta un sovrano potente. Un giorno disse al figlio: «Io non regnerò più per molto tempo e ignoro ciò che accadrà dopo la mia morte. Ci sono molti nemici intorno al trono. Ho tanta paura per l’impero che ho costruito e anche per te. Morirei tranquillo se sapessi che hai un rifugio sicuro che ti protegga in caso di pericolo. Per questo ti consiglio di andare per il regno e di costruire fortezze in tutti gli angoli possibili». Obbediente, il giovane si mise in cammino. Percorse tutto il Paese e dove trovava il posto conveniente, faceva costruire fortezze solide e imponenti, nelle profondità delle foreste, nelle valli più nascoste, sulla sommità delle colline, nei deserti, in riva ai fiumi e sui fianchi delle montagne. Stanco, dimagrito, ma soddisfatto d’aver portato a termine il compito, corse a presentarsi dal padre. «Padre, in tutto il paese si innalzano fortezze imprendibili!». «Non è questo, figlio mio, che avevo in mente io. Devi tornare indietro e ricominciare», disse. «Le fortezze che tu hai costruito non ti proteggeranno assolutamente in caso di pericolo: tu sarai solo e non per quei muri e quelle pietre potrai sfuggire alle imboscate e alle trappole dei

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Spesso i ragazzi considerati più “difficili”, sono quelli che portano le sofferenze più pesanti e che per questo, hanno più bisogno d’affetto.

tuoi nemici. Tu devi costruirti i rifugi nel cuore delle persone oneste e buone. Devi cercare queste persone, e guadagnarti la loro amicizia: soltanto allora saprai dove rifugiarti nei momenti difficili. Là dove un uomo ha un amico sincero, là trova un tetto sotto cui ripararsi». Il principe si rimise in cammino per andare verso la gente e costruire dei rifugi come immaginava suo padre. Quando il vecchio sovrano si spense e lasciò questo mondo, il principe non aveva più nessun nemico da temere! Tanti ragazzi costruiscono fortezze di mattoni e non permettono a nessuno di avvicinarsi. Ho constatato che i ragazzi più aggressivi, “difficili”, talora violenti, sono quelli che portano le sofferenze e i dispiaceri più pesanti. I bulli sono quelli che hanno più bisogno di sentirsi amati. Prima che siano costretti ad alzare fortezze impenetrabili, facciamo in modo che trovino in noi la fortezza di cui hanno bisogno. Questo sarà il segreto della loro serenità. E anche della nostra. Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net

LETTERE A SUOR MANU


Mosaico realizzato per la parrocchia di Pedemente (VR) dal prof. Marcellino Campara, devoto di Maria e appassionato mosaicista d’arte sacra, raffigurante Maria Ausiliatrice. (www.mosaiciartistici.net)

Da Bacau (Romania) giovani lettori crescono con l’aiuto di don Sergio.

Mandateci le vostre foto con la rivista in mano! foto.rivista@ausiliatrice.net

Mandateci i vostri sms! Basta inviare un messaggio, anteponendo alla vostra richiesta di preghiera la parola rivista al numero 320.2043437. Pubblicheremo gli sms piĂš significativi e a tutti assicuriamo il ricordo in Basilica

SMS i chiamo Roberto sono invalido M e ho perso il lavoro. Sono emarginato e umiliato pregate per me grazie. hiedo un ricordo nella preghiera C per Margherita. Grazie che ci donate speranza.


In questo numero il saluto del rettore 1 vacanze: periodo di ricarica umana e spirituale

segni e valori 21 Lo sport per tutti

leggiamo i vangeli 4 non sono ammesse scorciatoie!

Don Bosco oggi 26 “ho un sogno: 10 tipografie” 28 don bosco: i difficili inizi dell’oratorio 30 maria rinnova le famiglie 32 sorelle nel cammino dell’integrazione 34 un piatto antico: la “panada”

in cammino con maria 6 Cana e tabor. maria e il padre 8 la devozione alla madonna

esperenze 35 non giudicate dalle apparenze 36 quando l’etica entra nel portafogli

maria nei secoli 10 “la vergine del sorriso” e s. teresa di lisieux 12 la madonna di fiesole

sfide educative 38 giovani lolite aumentano 40 buoni cristiani e onesti cittadini 42 l’innamoramento, “campione gratuito”

a tutto campo 2 una “sinfonia” di vita per i giovani:

la rivista “note di pastorale giovanile”

e il mondo degli animali

la parola qui e ora 14 il rischio della incredulità e dell’idolatria amici di dio 16 benedetto patrono d’europa giovani in cammino 18 non possiamo permetterci il lusso di essere tristi

d’amore

Lettere a suor manu 44 se il “bullo” è mio figlio poster giorni di stupore e di lode

chiesa viva 20 abolire l’omissione! 24 l’autunno caldo della fede

Nº 4- 2012 ANNO XXXIII BIMESTRALE

luglio-agosto

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magnifica

il Signore

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La rivista “Note di pastorale giovanile”: il “metodo preventivo” per gli educatori

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