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CAPITOLO PRIMO LA QUESTIONE ALBANESE
1. Origini della questione albanese.
I territori degli Srati balcanici non sono, geograficamente parlando, definiti in modo netto. Anche il criterio etnico non è sufficiente a fornire un ' indicazione accettabile: il dominio turco si sovrappose a suo tempo alle precedenti invasioni di Slavi e di Bulga ri , che già avevano respinto Greci ed Illirici sulle coste dello Jonio e dell'Egeo e nel complesso montuoso dell'Albania, ed ebbe evidente interesse a mescolare le razze. La zona nella quale popolazioni diveL·se si confusero in modo quasi inestricabile fu la Macedonia . E la Macedonia diventò il costante pomo della discordia fra Serbi, Bulgari e Greci, discordirt tanto più aspra in quanto ai rancori della coabitazione si aggiungevano i motivi religiosi, che in Balcania sono sempre stati fortemente legati a quelli politici: cristiani contro maomettani, ortodossi contro scismatici e cattolici. Come se tutto ciò non bastasse, occorre tener ben presenti tre tendenze di sviluppo nei giovani Stati nazionali sorti nell'ottocento: l'espansione territoriale, lo sbocco al mare ed il fascino di Bisanzio. Tutti sognavano in «grande». I Bulgari sognavano la grande Bulgaria daJ Danubio all'Egeo e dal mar Nero a1 Pindo con Costantinopoli, cioè la grossa fetta centro -orientale della penisola attribuitale dal rrartato di Santo Stefano (1877 ). I Serbi volevano la grandc Serbia degli Slavi del sud, dal Danubio a Salonicco e dall'Adriatico all'Egeo. I Greci, poi, si ritenevano i legittimi eredi di Atene e di Bisanzio: quindi la grru1de Grecia andava da Valona a Costantinopoli e non solo comprendeva il rriangolo meridionale della penisola, ma altresì tutte le coste dell'Anatolia attorno all'Egeo e, ovviamente, le isole egee. La Macedonia faceva parte di tutte queste nspirazioni ed in essa si compendiava buona parte della questione d'oriente, il problema diplomatico per eccellenza dalla metà del sesolo scorso alla I guerra mondiale. Un aspetto supplementare era la questione albanese (schizzo l ).
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L'albanese appare un popolo sempre sottomesso a dominazione straniera: dopo i Romani e l'Impero d'Oriente obbedì con alterne vicende ora ai Normanni ·ed ora ai Serbi, ora ai Veneziani ·ed ora ai Turchi. L'epopea di Giorgio Castriota Skanderbeg fu uno sprazzo di vivida luce, che interruppe solo per breve tempo il ciclo uniforme della tradizionale sottomissione. Tuttavia un. esame più attento della storia dimostra che il dominio straniero non ebbe efficacia di assimilazione nel popolo, il quale conservò una propria impronta perché la signoria esterna non pervenne a consolidarsi oltre alla zona litoranea. La fierezza degli abitanti dell'acrocoro montano obbligò assai presto i conquistatori a limitarsi alla semplice custodia delle vie che dalla costa adriatica, tra Valona e Durazzo, mettono capo all'Egeo, per Elbasan e Monastir. Storicamente, la supremazia straniera non si estese dunque all'intera Albania, che rimase, in massima parte, come una regione isolata nell'ordine politico e nell'ordine sociale. In particolare, poi, il dominio ottomano ebbe molti riguardi per gli Albanesi. Se per le altre genti balcaniche esso rappresentò oppressione e repressione, per gli Albanesi in fondo costituì la fonte di speciali favori - cosa di cui, almeno gli elementi più qualificati, si avvalsero ampiamente -e perfino di vaste autonomie locali. Entro l'Impero della mezzaluna l'Albania non era né grande né ricca, tuttavia il suo popolo, d alla nazionalità relativamente uniforme ma permanentemente suddiviso da discordie intestine, strinse una specie di patto di solidarietà con il Sultano: ostile agli Slavi, si man tenne a lungo fedele alla Sublime Porta purché essa non pretendesse dì imporgli doveri o vincoli particolari .
Carattere, costumi, linguaggio, credenze, culto fiero dell'indipendenza, si presentavano come prerogative della stirpe albanese, immutate e prolungate attraverso secoli ed attraverso dominazioni. Nondimeno, il consolidarsi di nazionalità spiccate e fo rtemen te assimilatrici - l'una in potenza etnografica, la serba, l'altra in influenza incivilitrice, l'ellenica - non poteva rimanere del tutto scevro di conseguenze rispetto allo sviluppo politico e sociale della p rovincia, soggetta al Turco più per dominio formale che e ffettivo. Così, a nord l'orbita serba poté attrarre in qualche misura a sé le genti montanare dei Gheghi, comprendenti essenzialmente le tribù dei Malissorinome generico attribuito ai gruppi etnici delle montagne, in parte stanziati anche nel Montenegro -, dei Mirditi e dei Dibrani; come a sud del fiume Skumbi o Skumbini l'orbita ellenica, con più efficacia e sicurezza di metodo, poté assicurarsi la supremazia sopra talune genti dei T oschi che si stendevano a mezzogiorno giungendo sino al golfo ambracico. derivò divergenza di interessi c tra i due poli di attrazione rimase l'Albania centrale. Essa corrisponde aJ una specie di regione neutra tra le due principali stirpi albanesi, alla zona più accessibile e nel contempo più debole dell ' intero paese, ad una piazza d'armi ben protetta marginalmente da una cintura di ostacoli natura l·i, mercé la quale si padroneggiano le comunicazioni verso l ' esterno. Il Castriota fondò la sua opera politica e guerriera proprio appoggiato a questa area centrale. delimitata dalle posizioni di Kruja , di Elbasan e di Berat, dalla quale tenne a soggezione l ' alta Albania , la Musakia, la Acroceraunia, Tepeleni ed Argirocastro. Senza il possesso dell'Albania centrale non è possibile consistenza di ordinamenti politici efficaci nei loro effetti civili; ma semplice frazionamento feudale, divergenza di scopi c di sforzi, lotte locali.
L'Italia non si era mai molto interessata all'Albania, se non in ragione dell'antagonismo che nutriva nei confronti dell'Austria- Ungheria. Ma bisogna farsi un'idea dell'Albania dei primi del secolo: una regione montagnosa in gran parte, individuata nei suoi rnpporti esterni solo da una breve striscia litoranea , ben diversa, sotto questo riguardo, dalle rimane nti della penisola, percorse in ogni senso dalle emigrazioni e daJl'incivilimento umano. Questo carattere di « segregazione » tracciato dalla natura è stato confermato dalla storia che, pur nel variare delle vicende. non riuscì mai a caratterizzare alcunché oltre la fascia costiera. Ragioni geografiche e storiche privano dunque l'Albania di obiettivi territoriali interni di qualche rilievo, scopo ad operazioni militari. I veri, possibili obiettivi sono fuori dal trapezio albanese appoggiato con le spalle (la base) all ' Adriatico, e per l'appunto in corrispondenza di tale base, da Valana a Durazzo, si apre con un certo respiro un'arca di facilitazione che giunge sino ad Elbasan, nodo delle po\ ere co municazioni dell 'Albania mediana e centro di figura del vasto trapezio. Le comunicazioni sono sempre state, infatti, il tallone di Achille di una terra già di per sé sfortunata. Si riducevano a parecchi sentieri ed a poche carrarecce limitate, per di più, a brevi tratti di percorso, assai impropriamente designate come rotabili. In effetti, si trattava di larghe mulattiere idonee a consentire il passaggio ai carri trainati da buoi, ma non ad un traffico ordinario. La manutenzione aveva carattere unicamente regional e e dipendeva dalle autorità locali. Il loro tracciato era capriccioso , il profilo a scalea , il fondo ineguale, roccioso , le curve assai sentite, esposte a frane lungo il percorso nei terreni alluvionali. I ponti erano in genere precari: quelli in muratura ad una arcata, del tipo romano; quelli in legname difficilmente r iattabili per mancanza di mareriale nelle immediate adiacenze Sui principali corsi d'acqua csiste,•a qualche possibilità di traghetto, ma irregolarmente. Le comunicazioni l ungo le zone alJuvionali litoranee erano soggette alle inondazioni, perciò esistevano due linee distinte di viabilità , e cioè la litoranea estiva, durante la stagione secca, e quella invernale, più interna, durante la stagione piovosa dell'equinozio. I tratti di strada selciata erano rappresentati da vestigia sconnesse delle antiche vie romane che si raccordavano , da Valona e Durazzo , alla via Eguatia, in direzione di Elbasan; c da brevi tratti di carrarecce ottomane (caldermas) specialmente in uso lungo le wne paludose, a piano diseguale di grosse lastre di pietra.
Sotto il profilo politico- amministrativo l'Albania era divis2 in vilayet o provincie, con a capo un valì o governatore; il vilayet si suddivideva in sangiaccati o circoli, con a capo un mutcsari/; il sangiaccato, a sua vo lta , si ripartiva in distretti o kazas ai quali era preposto u n kaimakan. Le tribù ghcg he però si sottraevano a questa gerarchia: esse godevano di una speciale autonomia di carattere feudale; divise in bande armate o bajraks erano esenti dal servizio militare nell'esercito regolare ottomano. I vilayet compresi per intero nel territorio albanese erano quelli di Scutari e di Gianina: il primo abbracciava i sangiaccati di Scutari e di Durazzo; il secondo quelli di Berat, Argirocastro, Gianina e Prevcsa. Poi c'erano i vilayet di Kossovo (I pek e Prizren) e di Monastir (Dibra e Elbasan) che comprendevano anche amp ie aree della Macedonia. Le truppe regolari turche di stanza in Albania appartenevano tutte all'Ordu di Salonkco (II I corpo di armata). Fu per l'appunto nei vilayet di Monastir prima e di Salonicco poi che all'inizio del secolo XX scoppiò, aspra e sanguinosa , la crisi macedone. Nel 1903 i moti rivoltosi ispirati ed organizzati da società segrete bulgare contro il dominio ottomano e l'influenza greca assunsero una tale violenza da indurre le principali Potenze ad interessarsi della crisi ; interessamento chiaramente voluto dai rivoltosi, che aprì nuove speranze alle popolazioni soggette a Costantinopoli. Evidentemente, agli Stati balcanici non sfuggiva che solo l 'intervento di alcune Potenze es tere poteva costringere la Sublime Porta alle riforme richieste, sl da porre fine alle esplosioni di fanatismo musu l mano ed alle azioni terroristiche delle bande di comitagi. Fra le varie soluzioni prospettate da autorevoli correnti politiche e noti organi di stampa c ' era anche quella di un 'azione congiunta di Russia, Austria-Ungheria ed Italia. «Né sono mancate autorevoli riviste - scriveva il Comando del Corpo di Stato Maggiore in un promemoria per il Capo di S.M. -a sostenere, con apparenza ingenua, la proposta di un intervento armato della Russia, dell'Austria e dell'Italia. Queste Potenze dovrebbero occupare temporaneamente, cioè sino a quando la tranquillità non fosse ristabilita ed alle cose degli Stati balcanici non fosse dato un assetto tale da offrire garanzia di ordine e di pace, le provincie insorte . La Russia dovrebbe occupare i Dardanelli e la regione attigua, l'Austria le provincie situate fra la frontiera e Salonìcco, e l'Italia avrebbe l'Albania. Ognuno sa ormai quale sia il significato di una occupazione temporanea. La Bosnia- Erzegovina e, più recentemente ancora, la Manciuria offrono evidente esempio. Quale migliore avviamento di questo all'attuazione del panslavismo e del pangermanismo ? >>.
Di tali avvenimenti lo Stato Maggiore italiano era costantemente e bene informato dai propri addetti militari a Costantinopoli, Belgrado e Sofia. Ma, né in sede politica, né in sede militare affiorò con una certa concretezza l'ipotesi di una spedizione in Albania. A fine febbraio del 1907 l'allora colonnello Porro, poi sottocapo di Stato Maggiore del gen. Cadorna durante l-a I guerra mondi·ale, aveva compilato un appunto per uso di ufficio, nel quale ben appariva con quanta cautela venisse considerato un event uale problema operativo riguardante l'Albania:
OPERAZIONI IN ALBANIA - EPIRO
« Zona delle operazioni: il rerreno che si considera è racchiuso fra il Montenegro al nord, la Macedonia ad est, la Grecia al sud, la costa adriatica, dalle foci della Bojana al golfo di Arta , all'ovest.
«Comprende la regione geografica A1bania-Epiro e corrisponde ai due vilayet di Scutari e di Joannina (]annina) ed alla metà occidentale di quello di Monastir.
«Scopo delle operazioni: può essere limitato all'occupazione della zona littoranea; ma è assai probabile che, conseguita questa, si estenda l'occupazione a tutto o parte del territorio interno.
«Occupazione della zona littoranea. Durazzo e Valona sono per la loro importanza geografica, specialmente terrestre per Durazzo (comunicazioni con la Macedonia) e marittima per Valona (porra dell'Adriatico), i due punti principali della costa.
« L'occupazione limitata a questi soli due ptmti non darebbe però né la completa padronanza della zona littoranea, né permetterebbe di sfruttare tutta la già limitata capacità logistica della rete stradale per procedere aJJ'occupazione dell'interno. Occorre quindi utilizzare anche altri punti adatti per sbarchi : l) Golfo del Drin. La località migliore è San Giovanni di Medua: ottima carrareccia-mulattiera per Scmari ( 8 ore) , buona mulattiera per Tirana -Elbasan; condizioni nautiche della baia mediocri; spiaggia utile 2 km .; costa malarica fino alle alture di Aless io . Lo sbarco a San Giovanni può essere sussidiato, con mare calmo, da altro nell'aperta rada di San Nicolò, a 4 ore da Scutari per buona mulattiera e con possibilità, in buone condizioni di vento, di marea e di stato della corrente, di usufruire della navigazione della Bojana .
2) Durazzo Pumo di partenza dalla costa della migliore linea di penetrazione nell'Albania per la valle dello Skumbi e l'altopiano di Ohrida; carrareccia-mulattiera per Elbasan; condizioni nautiche della baia mediocri ; spiaggia utile 3 km. nelle adiacenze della città.
3) Valona. Ottima baia per stazione della flotta e grosso sbarco. Punto di considerevole importanza marittima a sole 60 miglia dalla costa italiana. Non ha dirette comunicazioni coll'interno; carrarecda -mulattiera-rotabile per Joannina.
4) Canale di Corfù. La baia di Santi Quaranta offre un ottimo punto per grosso sbarco, salvo che con forti venti di ovest; rotabile per Joannina. Lo sbarco può essere sussidiato da altri minori nelle baie di Butrinto, Sagiada e Gomenica, completamente riparate dai venti Da questi punti si raggiunge la rotabile Santi Qua ranta-Joannina per mulattiere non facili e di lungo sviluppo
5 ) P enisola di Prevesa. Il golfo di Arta non è , per fondo, accessibile a grosse navi; l'ingresso è ino.ltre d ifeso da opere turche e greche st1lle rispettive sponde, tutte di mediocre valore Lo sbarco dovrebbe effettuarsi a nord di Prevesa nella baia di Gomaros, aperta ai venti specialmente di ovest e sud ovest. Da Prevesa ad Joannina strada rotabile .
« Lo sbarco su t utti i punti accennati darebbe luogo ad un soverchio sparpagliamento di forze Conviene perciò ridursi ai tre centrali maggton per la Jo ro posizione, le buone condizioni che complessivamente offrono allo sbarco ed i rapporti coll'interno.
« Cosl circoscritta l'operazione dello sbarco, la presa di possesso della zona littoranea non può presentare gravi difficoltà di riuscita per la vicinanza della costa italiana, la mancanza di difese fisse, la difficoltà di far affluire daJl'interno truppe della difesa con artiglierie e la possibilità per le truppe sbarcate di stabilirsi solidamente sulle posizioni costituite dalle alture costiere, donde possono irradiare la propria azione per quel tratto d i paese che è necessario occupare per ass.icurare il possesso deUa cost a l) Priz rend è il punto più importante dell'Albania settentrionale, dal quale si può operare verso Mitrovitza (altopiano di Kossovopolje) e verso Uskub (linea Salonicco-Mitrovitza ) Da Kukes a nord di Priz rend si può anche concorrere, risalendo h1 \'alle del Drin nero (sentiero difficile), all 'occupazione dell'altipiano di Ohrida. La linea di operazione su Prizrend è rappresentata dalla carrareccia-mulattiera rimontante la valle del Drin: da San Giovanni di Medua a Prizrend circa 38 ore; primo importante obiettivo Scutari, a 8 ore da San Giovanni ed a 4 ore da San Nicolò
<< Il corpo d'armata d 'operazione potrà dividersi in tre nuclei, uno per ogni punto di sbarco. Tutti i nuclei dovranno essere dotati anche di artiglieria da montagna e mezzi di someggio per l'occupazione di qualche punto interno, poiché all'i nfuori della rotabile Santi Quaranta - Joannina tutte le altre strade, dopo breve tratto dalla costa da carrareccie si mutano in mulattiere . « Obbiettivi interni. Gli obbiet tivi interni sono Prizren al nord ; Joannina al sud; l'altopiano di Ohrida al centro.
2) Joannina è il centro principale dell'Ep iro. dal quale può concor· rere all"occupazione dell'altipiano di Ohrida per la rotabile di Hani Kalibaki. La linea di opera/ione è costituita dalla rotabile Santi Quaranta·Joannina, ore 24 circa.
3 ì Altipiano di Ohrida, :.mna di passaggio delle più direi te comunicazioni fra Adriatico c Macedonia e verso la quale convergono tutte le comunicazioni dell'Albania. Le operazioni direrte dalla costa su di esso possono valersi della linea di operazione rappresentata d:tlle quat tro mulattiere: Durazzo-Elbasan-O hrida (ore 36); Valona-Berat-Ko t ica (ore 33); Valona-Tepeleni-KJisura-Erseke (ore 31); Santi Quaranta-Delvinaki-Hani Kalibaki-Erseke (ore 31 ) collegate dalla mularticra Elbasan-Ren\t-Kiisura-Delvinaki lungo la si trovano i primi importanti obbietrivi.
<< Dei tre obbienivi su accennati, quello dell'altipiano di Ohrida è il principale, gli altri due possono valere a compl etare l'occupazione del paese e ad assicurare la base costiera ed i fianchi delle colonne operanti verso il centrale.
« Il raggiungimento dei due ohbiettivi laterali potrà essere notevolmente facilitato dalla cooperazione del Montenegro al nord e della Grecia al sud. Delle aspirazioni di questi Stati, rispettivamente all'Albania settentrionale e all'Epiro, dovrà ad ogni modo essere tenuto conto nella condotta delle operazioni. .
«Effettuato pertanto lo sbarco nei quattro punti indicati di San Giovanni . Durazzo, Valona e Santi Quaranta (l) e preso possesso della zona costiera, l'avanzata potrebbe aver luogo col nucleo settentrionale su Scutari (ore 8), con i due cent rali sulla frome Elbasan (ore 18 }-Berat (ore l4l-Klisura (ore 19), col nucleo meridionale su Joannina (ore 2-t). Affermatisi in queste località, il miglior modo di procede re sembra possa essere quello di far avanzare l.e colonne dei due nuclei centrali stùla fronte Ohrida-Korica, mantenendo i due nuclei laterali a protezione dei fianchi c delle spalle, a Sclltari e Joannina. Occupato l'altipiano di Ohrida, il nucleo settentrionale potrebbe avanzare su Prizrend qualora occorresse completare a nord l'occupazione del paese (schizzo 2).
« La zona di operazione presenta nel suo complesso i caratteri delta regione montana aspra e ditficile: poche strade, in massima parte mulattiere e sentieri difficili; frequenti gole, facilmente e con poche t ruppe difendibili; mancanza di spazi per accampamenti; fondi di valle e conche paludose o invase dalle acque straripanti; penuria di sorgenti e mancanza di ogni genere di risorse, salvo il bestiame minuto. Le truppe incontreranno nella loro marcia nell'interno gravi difficoltà tattiche e logistiche; sarà perciò necessario che esse sh1no organizzate in modo da poter far guerra di montagna e che di ess<! fa..:ciano parte reparti specia lmente atei a tal genere di è inoltre necessario che i scr\'h:i siano organizzati in modo di poter far affluire salmerie dalla costa alle colonne operanti, che an1nzano nell'interno della zona t6 Le truppe italiane in Albania (1914 · 20 <' 1939) montana. L'esperienza dell'occupazione della Bosnia·Erzcgovi na per parte dell' Austria può dare utili nonne per le predisposizioni organiche, per i provve<limenti logistici e per la co ndotta tattica ».
(l) Il promemoria del come Porro, presenta a questo riguardo, più che u n;t incoerenza, una manca ta correzione in d ipenden7.a della preceo:dcnte scelta dei tre punti di sbarco centrali (vis ibilmente modificata rispetto alla prima stesura che si limitava ad escludere Prevesa). Si sottolinea che l'appunto, del sono omesse, per brevità, le numerose posrillo: in margine, era semplicemente un documento interno e probabilmente solo per uso pt:rsonale ( Nota Uff. S!orico dello S.M.E.).
In verità, gli eventi balcanici rapidamente si volsero a compl eto beneficio dell'Austria - Ungheria: Francia ed 1nghilter.ra in pratica si limitarono agli aspetti umanitari, anzi assa.i poco umanitari, delle feroci lotte in corso; la Germania si compiacque di assicurare il proprio appoggio politico all'Austria- Ungheria e la Russia dovette cedere , almeno per il momento, l'iniziativa alla dupl ice monarchia perché in estremo oriente si profilava lo scontro col Giappone. Quindi , in definitiv a , l'Austria assunse il tono ed il piglio della maggiore Pot<.:nza disposta a mettere ordine e pace nella turbolenta penisola. Visto però che alle prime raccomandazioni aus triache la Turchia opponeva di non essere in condizioni di applicare alcuna innovazione per timore di suscitare rivolte locali, Austria e Russia vennero ad un accordo segreto (Mi.irzsteg, 1903) - che poi sottoposero all'approvazione delle altre Potenze - in base al quale la Sublime Porta fu perentoriamente invitata ad introdurre riforme nella Vecchia Serbia e soprattutto in Macedonia e ad accettare che il controllo sull'applicazione di tali riforme fosse affidato ad un corpo di gendarmeria internazionale. La Porta dovette accettare, tuttavia ottenne che la gendarmeria non avesse alcuna autorità in territorio albanese. A capo della gendarmeria fu posto un generale italiano (gen. De Giorgis), però l'Italia si rese ben conto che l'intesa di Miirzsteg, realizzatasi a sua insaputa, l'aveva messa in non cale sul tappeto politico balcanico e per giunta lasciava sospettare una spartizione della penisola in zone di influenza dalle quali essa appariva esclusa. Perciò protestò con il governo di Vienna e, dopo un lento lavorio diplomatico , riuscì a stabilire ad Abbazia ( 1904 ) un accordo bilaterale , secondo il q u ale, ove gli eventi politici avessero condotto allo sfasciamento dell'impero ottomano, nessuno dci due Stati avrebbe avuto •la preminenza, sotto qualsiasi aspetto, in Albania: ques ta diventava intangibile per entrambi. La decisione di Abbazia rimase valida sino all'entrata in guerra dell'Italia nel 1915.
L'istituzione di una gendarmeria internazionale dette, è vero, buoni risultati iniziali , ma eviden temente null'a lt ro poteva essere se non un palliativo di fronte all'inefficienza del governo di Costantinopoli, alla violenza degli scontri fra le nazionalità , alle sanguinose repressioni turche. Nessuna meravigli a, dunque , se il continuo ed umiliante intervento straniero aggiuntasi alle condizioni di disfacimento interno dello Stato condusse nel luglio del 1908 alla rivoluzione dei Giovani Turchi, che nel breve vol gere di pochi giorni riuscì a conquistare pacificamente, salvo sporadici fatti di sangue. tutte le classi sociali e perfino la corte. Il governo dei Giovani Turchi accese invero moltissime speranze . Non soltanto le popolazioni dell'impero - che avevano accolto con delirante entusiasmo i primi provvedimenti strappati al sultano, quali la costituzione dell'anno 1876 e la convocazione del parlamento per il successivo l dicembre - pensavano che finalmente iniziava una nuova era di civilrà, ma anche le Potenze considerarono con spiccata simpatia il grande evento. Disgraziatamente il compito che il partiro dei Giovani Turchi si era assunto era immane, data la situazione dell' impero e l'arretratezza di ampia parte del paese. Cercando di eliminare le discordie religiose, il nuovo governo si sforzò di mettere sullo stesso piano musulmani ed «infedeli», andando, cosl, contro la tradizione e la coscienza musulmane; il risultato fu la controrivoluzione - fallita e conclusasi con l'avvento al trono di Maometto V in sostituzione di Abdul Hamid II - dei « Veri Maomettani », in gran parte preti, studenti e soldati della guarnigione di Costantinopoli, fra i quali molti albanesi già facenti parte della guardia del Sultano. Cercando, poi, di conferire ordine politico ed amministrativo alla macchina dello Stato, il Governo, si impegnò a distruggere il vecchio regime ed i privilegi che ne costituivano i puntelli, senonché fra tali privilegi c'erano anche quelli albanesi. In Albania esistevano solo tre « risorse »: forni re la guardia personale del Sultano, ottenere un incarico statale e frui re, di fatto se non di principio , dell 'esenzj.one dalle tasse. Mancate queste risorse, esplose la miseria e con essa l'insurrezione.
D al 1909 al 1912 la rivolta in Albania settentrionale fu allo stadio endemico: interrotta dal gelido inverno, riesplodeva in primavera. All'inizio, contingenti di truppe regolari cercarono di riportare l'ordine con azioni locali, ma ben presto furono costretti a rifugiarsi in poche città, rimanendovi perfino bloccati, talché nel 1911 il governo turco dovette im bastire una vera e propria campagna di guerra con un corpo d'esercito di 16.000 uomini, anche perché i ribelli god evano, com'era da attendersi, di larghe simpatie oltre frontiera, e precisamente da parte montenegrina e serba. H problema albanese superò in quegli anni la portata dì quello macedone. Non si trattava soltanto di un importuno focolaio di ribellione, che poteva, all'occorrenza, venir circoscritto e lasciato estinguere da sé; il peggio si era che all'estero gli emigrati al b anesi costituirono comitati particolarmente attivi.
Se quelli in America si agitavano con aspirazioni più sentimentali che concrete, i gruppi rifugiatisi a Vienna, Cetinje, Sofia, Belgrado e Roma avevano dai governi ospiri un appoggio direttamente proporzionato alla politica di potenza da questi svolta in Albania. Il Montencgro era il vicino più vicino di tutti; aveva molte e serie difficoltà finanziarie; il suo interesse sullo scutarino sapeva assai pÌLJ di rivendicazione che di aspirazione territoriale. Tuttavia, indubbiamente si trovava in una situazione politica poco facile. Già in precedenza aveva dovuto ospitare centinaia di rifugiati con conseguente grave onere economico, e alla vigilia della ribellione dei Malissori ben comprese come la situazione sarebbe eccessivamente peggiorata per il nuovo prevedibile esodo dai territori limitrofi. D'altro canto, c'erano i rapporti con le Potenze, con la Turchia e, soprattutto, con la Scrbia. Ai rappresentanti delle prime a Cetinje era stato consegnato, proprio nell'imminenza della rivolta, un memorandum , in cui in sostanza il Montenegro cercava di giustificare la propria posizione allegando ragioni di ospitalità tradizionale e di fratellanza con gli esuli oppressi e chiedeva l'aiuto degli Stati più forti, ma senza specificare che cosa si attendesse. La Turchia accusava senza molte perifrasi - e senza molti torti - il governo montenegrino non soltanto di aiutare i profughi, il che era il meno, ma essenzialmente di fornire armi, munizioni e vettovaglie ai ribelli, vale a dire, in definitiva, di alimentare l'insurrezione. Con la Serbia i rapporti erano molto più delicati. Alle iniziali proposte di re Nicola di approfittare delle circostanze per occupare, ciascuno per sua parte, taluni territori oltre confine (da definire di comune accordo), Belgrado aveva attribuito un malizioso secondo fine: quello di gettarla in un'avventura in cui avrebbe tutto da perdere, a causa della sua debolezza ed impreparazione militare, e nulla da guadagnare; mentre il Montenegro, nulla avendo, nulla avrebbe avuto da perdere. Conseguentemente, la Scrbia rifiutò di partecipare ad iniziative atte a turbare lo status quo. Fra l'altro, non ignorava il modo di pensare di Cetinje : « la nazione serba, nel senso emico della parol a, non può avere due capi, due fari, per essere guidata verso un porto sicuro dopo così lungo e procelloso viaggio di più secoli. Ed è nelle montagne del Montenegro che fu conservata - dopo Kossovo - la fiaccola dell'ideale della nazione serba. Non è la Serbia imbelle, ma .H Montcnegro glorioso e combattivo il depositario della grande idea nazionale, il faro che deve illuminare tale idea, il braccio che deve sostenerla ». Inutile aggiungere che a Belgrado si pensava in modo diametralmente op- posto. Stando così le cose, il .Montenegro, che si sapeva povero e si sentiva solo, dovette piano piano rinunciare alle sue velleità e preoccuparsi, invece, di non essere trascinato in compromettenti incidenti di frontiera con le truppe turche che tendevano ad evirare lo sconfinamen to dei Malissori.
La rivolta iniziò il 24 marzo 1911 con l'attacco improvviso ai posti di guardia lungo la frontiera albanese a nord del lago di Scutari e si concre tò con la riunione di 4 .000 insorti nel giro di pochissimi giorni, ai quali si aggiunsero rapidamente altre tribù mon[anare per un rotaie di circa 8.000 combattenti (schizzo 3). I MaJissori si affrettarono a far conoscere i motivi del•la loro lotta e le aspirazioni: non avrebbero deposto le armi fino a quando l'Albania etnica non fosse riunita in un solo vilayet, chiedevano l'amnistia per rutt i loro e per gli esuli, intendevano che gli Albanesi in tempo di pace non prestassero servizio militare fuori dal territorio patrio. Per due mesi le truppe turche, logorandosi in una spossante controguerriglia, non fecero che aprire e perdere le poche vie di comunicazioni dell'Albania settentrionale, specialmente verso Podgorica, che per i ribelli rappresentava l'unico canale di rifornimento . Il 15 maggio fu dichiarato lo stato d'assedio in tutto il vilayet di Scu tari dal nuovo Comandante turco, e le operazioni ottomane r-ipresero, e questa volta con maggior organ:icità ed incisivi tà . In tre settimane i Malissori furono quasi completamente accerchiati e ridotti all'ilnpotenza. A questo punto intervennero le grandi P otenze - la Russia a favore del Montenegro e l'Austria a favore degli Albanesi -e la parola passò ai politici.
Una serie di contatti fra il governo di Costantinopoli ed i capi ribelli, restii ad accettare promesse senza una garanzia internazionale, a Podgorica, con la mediazione del Montenegro e della Santa Sede, ma soprattutto per le pressioni dell'Austria, della Russia e dell'Italia, portò infine ad un acco rdo firmato il 3 agosto 1911 fra i Malissori ed .il governo tur co, che cominciava ad essere preoccupato per le ripercussioni che la situazione albanese poteva avere all'interno del paese Si trattava, come avvertirono subito i nostri addetti militari, sempre molto attenti ed informati, semplicemente di una tregua Per tutw l'inverno 1911 -1912, durante la guerra italo - turca, mentre emissari austriaci cercavano di convincere gli esponenti dell'Albania settentrionale a chiedere l'intervento protettore dell'Austria, fra i vari focolai fumiganti maturò un fatto nuovo: gli Albanesi, e non soltanto i Gheghi ma anche i Toschi, cominciarono ad avvertire una coscienza nazionale come mai era accaduto in passato, anche se è doveroso sottolineare come lo stimolo a siffatto stato d'animo fosse dato dai sentimenti antiturchi. La nuova ribellione ebbe ben diverse dimensioni rispetto alle precedenti. Non soltanto le truppe regolari ottomane furono costrette a chiudersi in Scurari, ma nulla più poterono contro una guerriglia instancabile ed una sohlevazione che aveva guadagnato anche Dmazzo. Gli ammutinamenti del giugno 1912 nei reparti turchi dettero il colpo di grazia alle già esigue possibilità di domare gli insorti. Nel luglio, Pristina, nel Kossovo, fu occupata dagli Albanesi in mezzo alle acclamazioni della popolazione, mentre nella Albania centrale le autorità abbandonavano il loro posto ed il movimento si estendeva v erso s ud. Inutili le proteste del nuovo governo di costituire il vilayet della grande Albania comprendente anche i sangiaccati di Uskub e di Monastir; i rivoltosi, non fidandosi più delle promesse, tendevano a realizzare un sogno piuttosto confus o in cui una cosa sola era certa : non intendevano cedere le armi prima di rea l izzare l'autonomia desiderata. Fra i continui sussulti insurrezionali e gli inevitabili nuovi attriti fra i capi del nord e quelli del sud si giunse al 28 novembre 1912 - nel pieno della prima guerra balcanica - quando il Congresso nazionale riunitosi a Valona dichiarò l'indipendenza dell 'Albania
2. Il T r attato d i Londra e il Consiglio deg li Ambasciatori.
La guerra italo - turca aveva messo in aperta evidenza anche il decadimento militare dell'Impero ottomano Era, finalmente, l'occasione desiderata da anni . Fino ad allora il problema macedone aveva sempre costituito remora contro un accordo fra Slavi e Greci, ma qu esta volta troppo chiara appariva la possibilità di fare a pezzi il dominio turco europeo . I quattro Stati balcanici, dunque, si accordarono più o meno segretamente ( 1 ), ed il l o ottobre 1912 proda· marono tutti insieme ia mobilitazione e, quasi contemporaneamente alla firma della pace fra Italia e Turchia, dichiararono guerra alla
( l ) Nel luglio 1912, il Capo di Stato Maggiore dell'esercito bulgaro, gen Tltcheff, attraverso l'addetto militare italiano, ten. col. Ì\·1errone, t-omunicò al tvlinistr.o d'Italia a Sofia che « con novantanove probabilità su cento i paesi balcanici avrebbero fra pochi mesi mosso gaerra alla Turchia-». La comunicazione, naturalmente, era interessata perché i Bulgari desideravano conoscere quanto ancora sarebbe durato il conflitto italo-turco (A De Bosdari, Delle guerre balcanicbe, della grande guerra e di alcuni fatti precedenti ad essa, pag. 52 ).
Le truppe italiane m Albania ( 191.1- 20 e 1939)
Sublime Porta. Fra gli alleati erano intercorsi comatti sulla spartizione territoriale della Macedonia ma, sia perché non pensavano ad una rapida vittoria, sia perché ognuno preferiva celare parte delle aspirazioni col segreto proposito di realizzarle cogliendo qualunque occasione favorevole, anche a danno altrui, le ostilità cominciarono senza che fossero definiti i rispettivi «compensi ». Anzi, a dire il vero, fu proprio per questo che poterono avere inizio. Se la Macedonia rappresentava la preda più ambita, l'Albania non era affatto trascurata. Il Montenegro, infatti, aprl la guerra occupando S. Giovanni di Medua ed Alessio c non facendo alcun mistero delle sue ambizioni su Scutar-i {principale scopo della sua guerra); la Serbia proclamò che il porto di Durazzo le era indispensabile e , senza molti indugi, da Monastir penetrò nell'Albania centrale dirigendosi verso la costa.
Immediatamente, l'Austria - Ungheria intervenne seccamente contro i due Stati, ma soprattutto contro la Serbia, alla quale non poteva in alcun modo consentire di affacciarsi sull'Adriatico minacciando (con una possibile alleanza con l'I tali a) la potenza navale austriaca, e, approfittando della proclamazione d'indipendenza dell'Albania, ne sostenne la validità, appoggiata dall'Italia per l'accordo di Abbazia.
Nel frattempo la Turchia, in piena anarchia per le agitazioni nazionaliste musulmane capeggiate dai Giovani Turchi, fino dai primi di novembre aveva chiesto l'intervento delle grandi Potenze. Di fronte all'ingarbugliarsi della situazione - i Bulgari il 31 ottobre, dopo tredici giorni di combattimenti, avevano battuto i Turchi a Kirk Kilisse ed a Lule Burgas e minacciavano Costantinopoli; repar· ti greci e bulgari erano entrati insieme a Salonicco ed immediatamente erano cominciati gli incidenti fra di 'loro; la Romania stava agitandosi per riprendersi la Dobrugia che a suo rempo era stata costretta a cedere alla Bulgaria - su proposta inglese si riunl a Londra una conferenza permanente degli ambasciatori con lo scopo di regolare i molteplici aspetti dello spinosissimo problema balcanico secondo gli interessi generali europei. Quasi contemporaneamente, la Bulgaria, rendendosi conto che ,Ja conquista di Costantinopoli avrebbe dissanguata il suo valoroso esercito mentre i suoi aUeati scavano facendo man bassa con poca spesa di tutte le provincie ottomane, e che le Potenze non avrebbero mai consentito che la questione degli Stretti (e quindi di Costantinopoli) venisse turbata da nuove prospettive, accolse le proposte della Porta, subito imitata da Serbia e Grecia. Il 3 gennaio 191.3 , concluso l'armistizio, fu deciso dai dele- gati dei cinque Stati di riunirsi a Londra per una « Conferenza della pace >>
Nel gennaio del 1913, perciò, funzionavano a Londra due consessi internazionali distinti: il Gran Consiglio degli ambasci-atori (Austria - Ungheria , F rancia, Germania, Inghilterra, Italia e Russia) (l) e la Conferenza della pace (Turchia, Serbia, Montenegro, Bulgaria, Romania e Grecia). Il primo seguiva i lavori della conferenza affinché le conclusioni che in essa venivano accettate non fossero in contrasto con gli interessi di tutti, pur salvaguardando quelli del1e parti jn causa. In effetti, non si trattava tanto di egoismi o di speculazioni sul vinto, quanto della reale necessità di evitare che decisioni o provvedimenti incauti avessero ripercussioni assai più pericolose ad un livello molto pitl elevato. Inoltre gli ambasciatori potevano esercitare pressioni intese a superare punti morti. Senonché, dopo una settimana di lavori, una nuova rivoluzione dei Giovani Turchi guidata da Enver pascià prese il potere a Costantinopoli e la guerra ricominciò (3 febbraio). Nello stato di marasma in cui si trovava il paese, la resistenza ottomana si era dovuta limitare alla Tracia . L'Albania, o meglio gli Albanesi, allo scoppio della guerra e per tutta la durata delle operazioni, si erano schierati con il governo del Sultano, del quale, tutto sommato, erano disposti a riconoscere l'alta autorità, ma quando la 'Turchia si sfasciò sotto l'urto delle armate bulgare, si trovarono soli e pensarono giunto il momento del dis ta cco. Diciamo subito che la dichiarazione di indipendenza proclamata a Valona il 28 novembre 1912 aveva lasciato piuttosto indifferenti i vicini, che poco curarono di mascherare i loro desiderata. Anzi, se in un primo tempo si erano mossi Serbi e Montenegrini, alla ripresa delle ostilità si mossero anche i Greci, che occuparono Santi Quaranta e Gianina. Dopo ulteriori prese di posizione, discussioni, sos te, scontri armati, il 30 maggio i delegati dei bel.ligeranti alla conferenza della pace firmarono il Trattato di Londra, che pose fine alla prima guerra balcanica Naturalmente tutti firmarono protestando.
Secondo il Trattato , il Sultano cedette agli alleati turti i territori europei dell'Impero « à l'ouest d'une ligne tirée d'Enos sur la mer Egée à .Midia sur la mer Noire, à l'exception de l'Albanie » (art
2) e, unitamente agli alleati, rimetteva a Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, Italia e Russia << le soin de régler la délimitation des ft ·ontières et toutes autres questions concemant l' Albanie ». Stando alla lettera, si poteva anche pensare che l'Albania fosse, sì, conside- rata come un territorio a se stante, ma non necessariamente tolto alla sovranità de.l Sultano. Comunque la Turchia non la rivendicò mai e le grandi Potenze la considerarono come indipendente. Passata la questione alla diretta compe tenza del Gran Consiglio degli ambasciatori, il 29 luglio 1913 ( nel frattempo e ra scoppiata e terminata la seconda guerra balcanica, che però non aveva roccaro l ' Albania) fu deciso che l'Albania diventasse un principato autonomo, sovrano ed ereditario, sotto la protezione delle sei Potenze che ne avrebbero designato il Pri ncipe (art. l); che ogni legame dl dipendenza fra Turchia ed Albania fosse sciolto (art. 2 ); che l'Albania venisse neutralizzata, sottO la protezione delle prederre sei Potenze ( art . 3 ); che una commissione internazionale composta dai delegati delle Potenze e da un rappresentante deH'Albania dovesse provvedere al controllo dell'amministrazione del paese (art. 4) e, entro sei mesi, presentasse un progetto dl organizzazione particolareggiata del nuovo Stato ( arr. 6 ); ed infine che l'ordine nell'interno venisse garantitO da un corpo di gendarme ria internazionale ( am. 8 e 9 ). Però sull'argomento <<confini>> le cose andarono tutt ' altro che semplicemente. Si era formata tacitamente una specie di temporane a suddivisione dei compiti fra Austria ed Italia . La prima pensava essenzialmente a sottrarre Scutari e Durazzo alle aspirazioni slave, la seconda si preoccupava di impedire l'ellenizzazione dell'Albania meridionale e della regione di Korça. Giova anche sottolineare che l'Austria aveva idee molto chiare sull'avvenimento politico dell'Albania settentrionale ( pro domo sua ovviamente), mentre la nostra linea di condotta non andava oltre l'osservanza del Trattato
(.1 l Il Consiglio degli ambasciatOri funzionò da l lì dicembre 1912 al 15 luglio 1914.
Ad Atene, governo ed opinione pubblica, già ostilissimi all'Itaiia a causa delle isole del Dodecanneso ( l ), men che meno potevano digerire la nostra opposizione alle aspirazioni nazionaliste sull'Epiro. La febbre giunse a tal punto che il Ministro degli Esteri , marchese di San Giuliano, ebbe a dichiarare all'incaricato d ' affari greco a Roma che l' Italia era disposta a giungere anche alla gu erra piuttosto che cedere tutta la sponda albanese del canale di Corfù. Il 15 agosto gli ambasciatori presero le prime decisioni per il confine fra Albania e Grecia. Le «prime», perché la loro indeterminatezza provocò più guai che chiarimenti. Nell'Albania meridionale cominciò allora ad assumere consistenza un movimento clandestino - fino ad un certo punto - dì resistenza armata, formalmente ignorato da Venìzelos, destinato ad essere per diversi anni causa prima dei disordini
( l) I giornali greci definivano iJ gcn. Ameglio come un tiranno peggiore dei Turchi (De Bosdari, op. citala, pag. 75 e seg) antiitaliani. Finalmente, dopo passi diplomatici ufficiali ed ufficiosi, a Firenze (17 dicembre 1913) vennero definite le frontiere dell'Albania. Se il Trattato di Berlino era stato generoso con Serbia, Montenegro e Grecia, le decisioni di Firenze venivano ulteriormente incontro alle aspirazioni serbe che non conseguivano Durazzo ma ottenevano Prizren, Ipek, Djakovo e Prilep, ed a queHe greche, che non erano accontentate sino all'allineamento fiumi Semeni - Devoli però vedevano la loro frontiera, una volta all'altezza di Arta e poi portata al fiume Kalamas, spostata ancor più a nord sino a comprendere la Ciamuria (schizzo 4 ).
A dare un'idea della buona grazia con la quale in Grecia vennero accolte le decisioni del Consiglio degli ambasciatori, converrà ricordare che il governatore dell'Epiro, Zographos, inviò (febbraio 1914 ), a nome del « Consiglio panepirota », una circolare alle legazioni delle grandi Potenze in cui annunciava che il popolo epirota (ben s'intende quello che viveva nel territorio da Arta al Semeni- Devoli) avrebbe proclamato la propria indipendenza e difeso con le armi i propri diritti. E, come se non bastasse, mentre il governo greco cercava attraverso le vie diplomatiche di rivedere il protocollo di Firenze, Zographos, date le dimissioni da governatore dell'Epiro, si rivestì dei poteri affidatigli da un convegno di Epiroti in Atene e proclamò l'autonomia dell'Epiro . Di fronte al deciso interven to del ministro De Bosdari, « V enizelos ( ... ) si pose in una rabbia indicibile e mi disse che la politica dell'I t alia l 'ave va messo, davanti all' opinione pubblica, in una situazione che non si potez1a più sostenere » ( 1), però mandò ordini per la graduale evacuazione delle truppe greche dai territori albanesi, ed alla Camera biasimò pubblicamente la rivolta epirota. Il 29 aprile tutta l'Albania meridionale era praticamente sgomberata dalle forze regolari elleniche . Rimasero sul posto, fluttuanti, bande di armati - chiamate dai Greci « Legioni sacre>> e nelle quali erano passati numerosi ufficiali dell'esercito ellenicoche correvano il paese distruggendo e depredando, specialmente le comuni t à musulmane.
Nel contempo, sempre nell'ambito delle decisioni prese dalla conferenza degli ambascia t ori, la Commissione in ternazionale costituita a Valona per il controllo dell ' amministrazione civile e delle finanze dell'Albania approvò il l O aprile lo Statuto del nuovo principato assegnato a Guglielmo di Wied, con capitale a Durazzo. In pratica, a parte il riconoscimento degli altri Stati balcanici, i veri pi- lastri portanti dell'indipendenza albanese erano Austria- Ungheria ed Italia, entrambe tanto interessate a mantenere la tranquillità in quel settore da premunirsi reciprocamente e nei confronti dì terzi, fin dall'anno precedente, con un accordo bilaterale firmato a Roma, il cui art. l precisava:
« Les Haures Parties contractantes sont d'accord que le ferme rétablis· sement du calme en Albanie et d ' une tendence régulière à ttne vie pacifique doivent étre la base principale du système politique de leurs entente ami· cale>>.
Lo ·scoppio della prima guerra mondiale sconvolgeva anche la Balcania ed .il recentissimo principato ebbe vita molto breve. Guglielmo di Wied era sbarcato a Durazzo nel marzo 1914 animato dalle miglioti intenzioni; purtroppo non aveva i requisiti necessari per un incarico del genere e, d'altronde, le condizioni interne dello Stato erano veramente precarie: non soltanto nel sud si agitavano le oonde irregolari greco- epirote, ma un po' dappertutto, con l'arrivo della primavera, erano riprese le soli te rivolte locali Per rimettere ordine, egli cominciò ad emanare una legge sul servizio mi>litare obbligatorio : dopo poco pi ù di un mese migliaia di armati minacciavano Durazzo ed il Principe, che, lì per lì, non trovò di meglio che rifugiarsi su una nave da guerra italiana alla fonda nel porto . I primi di agosto, il Governo era in pratica asserragliato in Durazzo; gli ufficiali olandesi della gendarmeria rientravano in patria; il contingente internazionale di st•anza a Scutari si riduceva a Francesi ed Italiani; la Commissione internazionale di controllo era esautorata e nell'Albania meridionale straripavano le bande epirote Segnalava il console d'Italia a Gianina :
«Numerosi volontari provenienti dalla Grecia e dalle isole arrivano a Janina e proseguono per alto Epiro. Si calcola ne siano partiti in questi giorni circa 2.000, la maggior parte dei quali sembra costituita da soldati regolari. ( ) Se circostanze obbligheranno effettivamente il Principe di Wied a dimettersi si avranno allora forse nuovi avvenimenti in Epiro col probabile movimento di avanzata degli Epiroti al nord e eventuale proclamazione annessione alla Grecia dei territori contestati. ( ... ).
« ( . ) E' da notare che in questi circoli bene informati si ha appunto la persuasione che se la situazione internazionale che verrà creandosi in seguito agli avvenimenti eutopei sarà tale da permetter!o , la Grecia ufficiale o per essa le truppe epi rote si avanzeranno fino allo Skumbi. ( ... ) Questa epoca potrebbe anche coincidere col momento in cui l'Italia fosse trascinata a prendere parte al conflitto europeo a fianco delle sue alleate e non potesse più disporre della flotta. ( ) » O).
(l) Ministero Affari Esteri, I documen/.i diplomatici itali(/ni , V serie, vol. I, n. 141.
Se da più parti, in quel lungo periodo, furono riperuramente compiute incursioni ed occupazioni, con le conseguenze tipiche di queste circostanze, non vi è dubbio che la fonte delle maggiori preoccupazioni fu il me:tzogiorno d'Albania, ove il nazionalismo greco era strettamente legato alle !otre religiose, il che esasperava i contrasti. Gli invasori tutti, sebbene in misura diversa, imperversarono nelle regioni invase , ma in special modo si distinsero sanguinosamente le numerose bande irregola ri greche che letteralmente infierirono col ferro e col fuoco nei confronti delle disgraziate popolazioni non ellenofone e non ellenofile dei distretti confinari. Ne conseguì una fuga disperata verso Valona di circa 25.000 profughi, che rapidamente precipitarono la città ed i dintorni nella miseria e nelle epidemie. Il 13 agosto H ministro Aliotti telegrafava da Durazzo, sulla scorta di notizie pervenutegli da fonte attendibile , che i profughi erano alla fame ed alla disperazione, al punto da non escludere possibili tumulti e violenze per procurarsi cibo; che i Greci stavano eseguendo lavori di fortificazione campale ai confini dell'Epiro autonomo, io modo da poter opporsi al ritorno degli Albanesi; che Korça era in mano greca ed il suo distretto saccheggiato ed in fiamme. Ed aggiungeva che
« ( ) Ormai il Governo non vi paga più alcun funzionario o soldato. Tutte le risorse del Principe si concentrano nel chiamare truppe e trovar fondi per prolungare guanto possibile la sua precaria esistenza personale nella capitale » (l).
Ma c'era di peggio: anche uomini di rilievo del mondo politico albanese erano attirati nel gioco di Atene. Il 20 agosto il console d'Italia a Gianina comunicava:
«Da fonte sicurissima apprendo che Mehemet bey Konitsa recentemente nominato ministro di Albania in Atene ha fatto sapere ai Musulmani di Argirocastro essere opportuno per la salvezza città Argirocastro, Delvino, Premeti e delle rispettivt: popolazioni musulmane richiedere al Governo greco rioccupazione territOri da parte truppe regolari greche. Eglì ha consigliato invio Atene di una deputazione di quatt ro o cinque capi musulman i di Argirocast ro per rivolgere personalmente tale domanda a Venizelos e si è ri· servaco indicare momento opportuno invio tale deputazione esprimendo pur intenzione recarsi egli stesso fra qualche giorno ad Argirocastro , Delvino, Koritza.
« Ho consigliato i Musulmani a temporeggiare per non compromettere la · loro siruazione facend o il gioco del Governo greco che invocherebbe la loro domanda come giustificazione per occupazione. ( ) mi pare quindi che questa circostanza giustifichi supposizione da me fatta nel rapporto 212 circa accordo fra Epiroti e nazionalis t i di Durazzo ( ... ).
«Un ufficiale delle truppe autonome epirote ha dichiarato che tra breve due divisioni esercito greco (probabilmente l'ottava e la nona di stanza in Epiro) occuperanno la zona contesnua ( )>> (1).
A fine mese si concludeva la tormentata avventura del Principe di Wied . Di fronte ad una situazione insostenibile, nell'impossibilità di pagare le scarse truppe d i cui disponeva, davanti alla sfiduci a e d alla irritazione che ormai i diplomatici stranieri non cercavano più di nascondere, il 3 se ttembre, alle 8, egli si imbarcava su di una nave italiana per Venezia , e due giorni dopo due mila armati entravano in Durazzo, condotti dal Muftì di Tirana, ed issavano la bandiera turca sul palazzo del Principe, dichia rando di voler per il momento reggere il paese in attesa di scegliere la più idonea forma di governo. L'incaricato d i .affari scriveva al di San Giuliano (7 se tte mbre) cercan d o di riassumere la situazione de1l'Albania centrosettentrionale :
« Dal primo comano con la massa degli insorti testé entrata in cttta e dalle conversazioni tenute così dai capi come dai gregari, scaturiscono alcune impressioni che credo i nteressa n te riferire all'E. V ..
«Risulta ora sempre più chiaramente che il movimento ha tratto le sue origini: l) dal forre attaccamento della g r ande massa della popolazione alla religione ed alla tradizione islami.ca nonché all'uso della lingua turca che ne è esponente; 2) completa di un vero movimento nazionale albanese, politicamente inteso; 3) dalla tendenza, già a lungo repressa, di farla _finita coi bey, riccbi, potenti e sopraffattori. E siccome questi, per interesse o per opportunismo avevano fatta causa comune col P rincipe, l'odio cont r o i bey si r iversò con t ro il Principe che veniva accusato di appogg iare esclusivamente su di essi il nuovo governo.
<< Si tratta dunque di un movimento complesso , religioso e sociale, e gli errori commessi dal Principe, chiamando a sua d i fesa le popolazioni cattoliche del nord ed usando metodi di violenta, sembrano essere stati calcolati a bella posta per esasperare nei ribelli queste cendenze di rivendicazione religiosa e democratica.
« Sulla base di questa rivolta sincera delle masse e per mezzo di alcuni capi più venali o di agitatori abilmente camuffati da apostoli mussulmani, lavorarono atrivamente le p r opagande serbo-momenegrina e greca, ciascuna per i propri fini. I capi del movimento non lo nascondono e si dichiarano apertamente riconoscenti, soprattutto per gli aiuti loro prestati da parte serba e montenegrina ( ).
<< Meno attiva o per lo tneno più indiretta sembra essere finora la propaganda giovane turca Ma la vittoria della insurrezione offre ora una troppo buona occasione alla Turchia perché essa possa mancare di approfittarne. E ne approfitterà certamente, come vari sintomi fanno già ritenere, intensifi-
Le truppe italiane in Albania (I914-20 e 1939) cando nel paese la propaganda in favore di un principe mussulmano e favorendo le mene austriache contro la Serbia.
<< Per quanto riguarda Essad (l) risulta accer tato che la sua cacciata da Durazzo valse a riacquisrargli nel suo amico feudo di Tirana le simpatie ed aderenze che aveva perdute, tanto che mentre le case di rutti i bey di Tirana, nemici di Essad, vennero bruciate , i beni confiscati e le famiglie arrestate, la casa e i beni di Essad furono rispettati
«Questa popolazione, malgrado il suo odio contro i bcy, sente sempre il bisogno di essere diretta da un capo e riconosce tuttora, nella sua maggio· ranza, in Essad il suo capo naturale, capace di farsi obbedire e temere, se non amare
«Volendo, dal nostro punto di vista, -fare un bilancio sommario di questi ultimi avvenimenti, bisogna riconoscere che esso si chiude in nostro favore. Da Durazzo e da Valona furono cacciati via come per incanto turri i nazionalisti italofobi; tutti i pseudo volontari austro -tedeschi; tutti i bey amici dell'Austria e da essa pagati; mentre il Principe che, per debolezza, per incapacità, per la sua stessa nazionalità, aveva mancato al suo impegno di tenere nel debito conto la nostra influenza, ha dovuto abbandonare il paese odiato e disprezzato da molti, compianto da pochi, rimpianto da nessuno «E' certo d'altra parte che ci minaccia il pericolo di una forte preponderanza giovane turca, la quale, soprattutto in questo momento, l'Austria potrebbe facilmente volgere ad esclusivo in teresse della sua influenza( )» ( 2 ).
Maggior concretezza acquistò la situazione al rientro di Essad pascià in Durazzo. Questi, sostenuto da numerosi partigiani che gli avevano preparato la strada , il potere ( 4 ottobre) come «Presidente del Governo di Albaniil e Comandante jn capo», dichiarando di voler governare a titolo provvisorio sino a che il popolo o le Potenze non avessero scelto un nuovo sovrano, e, per non inimicarsi la corrente preva'Ìente fra i musulmani, si mostrava favorevole all ' eventuale candidatura del principe Buraneddi.n, figlio di Abdul Hamid II, contando però sui sicuri intralci che tale soluzione avrebbe trovato Nel tempo stesso avvicinava il nostro ministro Allori, il quale comunicava a Roma ( 6 ottobre):
« Essad oggi è venuto a spiegarmi confidenzialmente come, secondo il suo parere, qualunque eventuale azione italiana in Albania dovrebbe aver luogo contemporaneamente a Durazzo e Valona . Egli mi ha detto che il fanatismo dei Gheghi è troppo fomentato dai recenti avvenimenti e che occorrerebbe
(li Essad pascià Toptarù era un ricchissimo ed influente norabile albanese. Am· bizioso, asrmo, violento tenace Generale dell'Esercito turco, aveva combattuto neiJ.e guerre balcaniche, difendendo accanitamente Scutari contro i Montenegrini. Ac· colse Guglielmo di Wied al s uo arrivo, trasmettendogli i poreri e ponendosi ai suoi ordini. Fu nominato Ministro della Guerra ma la sua condotta ambigua provocò il suo arresto, anche per istigazione di rivali. Rimesso in libertà per intervento italiano, fu espulso dal principatO. Riparato in Italia, tornò in Albania alla caduta del Principe di Wied per calmarli una dimostrazione di forza abbasranza imponente soprattutro a Durazzo, salvo ritirarla poco dopo di aver impressionato una popolazione che si sottomette sempre innanzi al fatto compiuto ed alla persuasione di aver truppe troppo potenti da fronteggiare. Secondo lui, ove uno sbarco avvenisse soltanto a Valona, i Gheghi potrebbero essere, malgrado autorità dei capi, trascinati attaccare truppe da sbarco se queste non fossero numerose.
( 2) Ministero Affar i Esteri, op. citata , V serie , vol. I , n. 608.
«Da tutto ciò si intende che Essad ha fretta consolidare la sua situazione sapendo bene che le cose non possono durare a lungo come sono, e che Serbia e Grecia oppure Italia debbono ? in Albania.
« Per non essere spinto verso combinazione serbo-greca egli scongiura Italia venire prendere ciò che le spetta e le conviene di prendere a tutela sua politica adriatica. Giova .. ? .. rammentare che possesso di Valona senza regioni che ne fortifichino le spalle sarebbe un peso ed un pericolo per l'Italia. Tal il pensiero di Essad che insiste nella sua affermazione secondo cui dopo presa di possesso di Durazzo si. potrà non solo ridurre a piccolissimo ? nostro presidio ma anche radunare da J 5 a 20 mila combattenti a nostra completa disposizione; egli stesso ne prenderebbe il comando . ( ...) » (1) .
Nel frattempo, a Scutari si era formato un governo locale costituito da notabili cristiani e musulmani; i Mirditi si consideravano indipendenti sotto il loro principe Bib Doba; i Malissori seguivano anch'essi le loro leggi patriarcali in assoluta autonomia. Per completare il quadro, a Valona continuava a funzionare una Commissione municipale tollerata dagli insorti del sud, e quasi tutta
1'Albania meridionale era in mano al « Governo dell'Epiro au tonomo » retto da nazionalisti greci e sostenuto sottobanco dalla Grecia, la quale però non perdeva occasione per prendere ufficialmente le distanze, per non essere coinvolta in complicazioni internazionali. Questa era 11' Albania sul finire del 1914 .
Probabilmente, se le cose non vi avessero preso una piega così drammatica l'Italia non sarebbe stata stimolata a muoversi in quella direzione. Il 3 ottobre, di San Giuliano scriveva all'ambasciatore Imperi:ali ( 2) :
«La situazione in Albania si fa ogni giorno più minacciosa . Le truppe del governo autonomo epirota hanno occupato Berar e si sono spinte a Fieri, a dodici chilometri a nord di Valona che rimane in tal modo circondata ( . )
Il R. Console a Valona ci na informato che rutti i Gheghi che occupavano la città sono partiti )asciandola cosl senza protezione ( ...). Gli affidamenti datici dal Governo greco che gli Epiroti non attaccheranno Valona sono subordinati alla riserva che gli Epiroti non siano attaccati dag li insorti mussulmani ( . .}.
«Dal complesso di questa situazione risulta che Valona è sotto la minaccia imminente di disordini locali, che mettono in pericolo le colonie estere
Le truppe italiane in Albania (I 914- 20 e 1939) e i Consolati, nonché di una occupazione delle truppe o bande epirore. All'una o all'altra eventualità non può restare indifferente il Governo italiano. Un fatw compiuto degli Epiroti a Valona costituirebbe un irreparabile danno agli interessi vitali dell'Italia nell' Adriatico, essendo prevedibile che un giorno o l'altro il Governo di Atene dichiari. l'annessione dei territori occupati dal cosiddetto Governo auwnomo ( ... ).
<< In tale stato di cose parrebbe forse preferibile di eseguire un fatto compiuto italiano a Valona qualora lo esigessero gravi avvenimenti locali . Non si tratterebbe di effettuare una vera e propria presa di possesso, ma di invio di navi con sbarco eventuale di distaccamen t i di marinai a titolo provvisorio per impedi re l'occupazione epirota e per ristabilire quando ne fosse il caso l'ordine pubblico e proteggere gli stranieri. Il governo proclamerebbe che, quale unica Potenza neutrale firmataria delle deliberazioni di Londra, ag isce per mantenere il rispetto delle deliberazioni stesse ( ... } ''·
La risposta di Imperi alì fu chiara (l):
« Grey fattomi testé chiamare mi ha dichiarato che Potenze Triplice Intesa preso nora dei motivi nostm eventuale occupazione Valona e delle condizioni in <.:ui essa avrebbe luogo non vi ravvisano alcuna obiezione ( ...) ».
D'altro canto l'ambasciatore a Vienna, Avarna, precisava (2):
« ( ... ) Pe r ciò che riguarda Valona, l'Austria-Ungheria non avrebbe mai permesso di occuparla prima che scoppiasse la guerra. Ma allo stato di cose attuali non credo che vi si opporrebbe e la vedrebbe anzi con piacere, nella speranza forse di trascinarci contro i suoi nemici ( ... ) ».
Preparato così il terreno 1n campo diplomatico, l'Italia mandò prima una missione sanitaria (26 ottobre) nella città e subito dopo (30 ottobre) occupò l'isolotto di Saseno con una compagnia di marina I nfine, il 27 dicembre 1914, occupò Valona.
Gli avvenimenti albanesi, pur nella bufera scatenata, non potevano essere né trascurati né ignorati dagli Alleati a causa delle loro ripercussioni politiche . D a un lato una situazione di totale dissesto ; da un altro l'intendimento rus so di favorire i due Sta ti s•lavi, Serbia e Montenegro, e quello francese di sostenere la Grecia. I primi passi lungo la strada che condusse al Patto di Londra vanno rinvenuti nella lettera che il di San Giuliano, dopo aver parlato della questione con il Presidente del Consiglio e con il Re, mandò all'ambasciatore Imperiali, l' 11 agosto 1914, lettera le cui istruzioni av-
( l) Affar: Esteri, op. citata, V serie, vol. I, n. 896. venivano l'ambasciatore di compiere un sondaggio presso il Ministro degli Esteri 'inglese, Grey, a titolo personale o, tutt'al ph\ come pensiero del di San Giuliano, sulle condizioni aHe quali l'Italia poteva considerare ]a propria partecipazione alla guerra a fianco dell'Intesa. Fra le varie clausole figuravano le seguenti (l):
(2) Ib!dem, n. 887.
« 3. In caso di vi ttoria finale l ' Italia avrà il Trentino sino ai displuvio principale alpino e Trieste;
« 4. Ottenendo questo l'l t alia non si opporrà a che l'Albania, se Fran· da , Russia ed Inghilterra l o desiderano, venga divisa fra Grecia e Serbia, purché le sue coste da Capo Stylos alla foce della Bojana vengano neutralizzate e Va lona con una proporzionata regione venga non soltanto neutralizzata ma anche dichiarata autonoma ed internazionale a condizioni analoghe a quelle adottate per Tangeri e con partecipazione di tutte le Potenze adriatiche, tra cui l'Italia, alla sua amministrazione ( ) ».
Il di San Giuliano precisava inoltre che l'offerta deHa Dalmazia accennata dal ministro russo Samsonoff tramite l'ambasciatore a Pietroburgo, Carlotti, non lo seduceva molto. La mossa fu un errore diplomatico, perché la risposta di Grey, positiva, del 24 agosto, significava che le tre Potenze dell'Intesa avevarlv accolta la proposta italiana di spartire l'Albania e , conseguentemente, assai difficitle sarebbe stato per Roma modificare il proprio atteggiamento. Il di San Giuliano si rese conto del passo falso, soprattutto perché da parte russa era stata presa subito la palla al balzo per favorire la Serbia ed il Montenegro. Poiché non si poteva «dall'incubo della minaccia austriaca passare all'incubo della minaccia slava », di San Giuliano consultò i d ue ambasciatori <± Bordeaux, Tittoni, ed a Pietroburgo, Carlotti, sulla modifica del10 schema di accordo che intendeva inoltrare a Londra (2):
« ( ) L'Italia non si opporrà alla sparuz10ne dell'Albania fra Montenegro, Serb.ia e Grecia, previa neutralizzazione di quelle coste. Però Valona in piena sovranità all'Italia In caso di difficoltà insormontabili, che non mi paiono prevedibili, internazionalizzazione di Valona con guarnigione italiana. Tale espediente non sarebbe però scevro di pericoli ( ... ) ».
La morte del marchese di San Giuliano impedì di spedire il progetto, ma la mossa in campo internazionale era fatta ed il barone Sonnino, nuovo Ministro degli Esteri, non poté ignorare che l'Italia aveva scelto la politica della spartizione dell'Albania, rifiutando anche l'offerta russa di uno Stato albanese musulmano (nell'Albania centrale) sotto protettorato di una grande Potenza « che poteva es- sere anche l'Italia». I n altre parole, sulla proposta della spartizione non si poteva tornare indietro, t anto più che l'Intesa ormai la considerava come argomento di negoziato con Serbia e Grecia. R i maneva l'appiglio di cercare di sfruttare 1a propensione russa, tuttora valida, a costituire uno staterello musulmano, e Sonnino non se lo lasciò scappare L e ragioni che lo inducevano a giocare la carta di un piccolo srato neutrale nell'Albania centrale erano di vario ordine: generale, per un senso di dovere morale di tutela verso le popolazioni musulmane albanesi, evit·ando il continuo confl.itto con gli elementi cattolici ed ortodossi, come accadeva a nord e a s ud; militare, per avere uno stato cuscinetto fra i l nostro possesso di Valona e la Serbia oppure impedire che Valona diventasse un enclave in territorio greco; economico, per continuare quei rapporti che già esistevano e legavano gli Albanesi aH'Italia .
(l) Ministero Affari Es teri, op citata , V serie. vol. I, n. 201. ( 2) Ibidem, n. 803.
Senza scendere nel particolare delle continue trattative, si ritiene molto importante sottolineare un passo, in certo senso improvviso, fatto da Sonnino allorché, i n cambio della rinuncia alla penisola di Sabbioncello a favore d ell.a Serbra, chiese la rappresentanza diplomatica del futuro piccolo stato musulmano In questa richiesta entrava un elemento nuovo col quale veniva affrontato il problema albanese: il vero e proprio protettorato (basato anche sulla utilizzazione di Essad pasdà) . Giustamente è stato osservato che «dò che Sonnino era riuscito a salvare dell'Albania del 19 13 era solo una porzione, anche se cospicua, ma nell'atto in cuì la salvava, accettava, automaticamente, le ampie mutilazioni previste a favore della Serbia, del Montenegro e della Grecia . Occorre però aggiungere che se le aveva accettate non vi si era rassegnato » (l) .
Il Pat to di Londra (24 aprile 1915 ) delineò una soluzione delio spinoso problema più abbozza ta nelle sue linee generali che precisa; probabilmente anche allo scopo di avere, nella futura conferenza della pace vittor10sa, un margine di manovra per la soluzione che a tempo debito fosse apparsa più opportuna. Tuttavia è indubbio che se non stabiliva il principio della spartizione dell'Albania del 1913 poco ci mancava, invero, visto che in sostanza dava forma concreta a tale indirizzo . Dell'Albania veniva tra ttato agli articoli 5 , 6 e 7 ed era convenuto che:
- sarebbe stato neutralizzato il litorale da sud di Ragusa sino alla Vojussa, assegnando a Serbia e Montenegro, nel basso Adriatico, tutta la costa da capo P lanca sino al fiume Dri n ( cioè sino a
S. Giovanni di Medua), mentre «il porto di Durazzo resterà attribuito allo Stato indipendente mussulmano d'Albania » (art. 5);
- l'Italia avrebbe ricevuto «la piena sovranità su Valona, l'isola di Saseno e un territorio sufficientemente esteso per assicurare la difesa di questi punti (dalla Vojussa a nord e ad est, approssimativamente fìno alla frontiera settentrionale del distretto di Bimara a sud)» {art. 6);
- se l'Italia avesse ricevuto il Tremino e l'Istria, la Da'lmazia e le isole dell'Adriatico e Valona conformemente a quanto previsto agli artt . 4, 5 e 6 « e se la parte centrale dell'Albania è riservata per la cos tituzione di un piccolo Staro autonomo neutralizzato, l'Italia non si opporrà al possibile desiderio della Francia, dell'Inghilterra e della Russia di ripartire i dipartimenti settentrionali e meridionali dell'Albania fra il Monrenegro, la Serbia e la Grecia. La costa, a partire dalla frontiera meridionale del possesso italiano di V alona (vedi art 6) fino al capo Stylos, sarà neutralizzata. L 'Italia sarà incaricata di rappresentare lo Stato d'Albania nelle sue relazioni con l'estero. l'Italia accetta, d'altra parte, di lasciare in ogni caso ad est dell'Albania un territorio sufficiente per assicurare l'esistenza di una frontiera comune alla Grecia ed aUa Serbia ad ovest del lago d'Ohrida >> (art 7).
Questi gli impegni presi. Vedremo in seguito come gli avvenimenti abbiano influito sulla loro realizzazione.