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di Marco Gemignani “
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La creazione della Marina Stefaniana La creazione della Marina Stefaniana di Marco Gemignani
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di Marco Gemignani
Capitale culturale del Rinascimento italiano, Firenze fu tuttavia pure l’epicentro delle otto “horrende guerre d’Italia” (1494-1559). In particolare durante la sesta (1536-38) e la settima (1542-146) Firenze fu dilaniata dalla lotta tra la fazione repubblicana, sostenuta da Francesco I di Francia, e dalla fazione medicea, sostenuta da Carlo V. Nonostante l’assassinio (1537) del duca Alessandro, genero dell’imperatore, i Medici trovarono un successore nel giovanissimo Cosimo I (1519-1574), figlio di Giovanni delle Bande Nere, il cui dominio fu definitivamente consolidato dalla sconfitta dei fuoriusciti a Serravalle (4 giugno 1544).
Per rafforzare i collegamenti con la Spagna, il duca rilanciò il ruolo del Porto Pisano, e rimise in funzione il vecchio arsenale sulla destra dell’Arno, nel comprensorio della Cittadella Vecchia. Costruita in un anno, la prima galera fu varata il 13 ottobre 1547 col nome di Pisana, in onore dell’antica repubblica marinara1 .
Nel gennaio 1548 il duca decise di costruire un grande arsenale, più vicino all’Arno rispetto ai cantieri repubblicani. A tale scopo l’Orto botanico fu spostato altrove e altri lotti furono acquistati dalle monache di San Vito: col tempo l’arsenale raggiunse un’estensione di oltre 3 ettari e mez-
1 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASFi), Mediceo del Principato 376, c. 53r; ivi 383, c. 352r.
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zo. 2 Minori arsenali esistevano a Livorno e Portoferraio (Elba) e nel 1553, quando la Toscana fu di nuovo attaccata dai francesi, Cosimo disponeva già di una piccola marina, benché poco addestrata. Col trattato del 3 luglio 1557 il duca ottenne da Filippo II di Spagna la città e il contado di Siena, realizzando così la secolare aspirazione di Firenze3 .
2 Ivi, Miscellanea Medicea 21, ins. 36, cc. 136r-139v. F. Redi, La Tersana di Pisa da arsenale della Repubblica a fortezza fiorentina, in Pisa e il Mediterraneo, a cura di M. Tangheroni, Skira, Milano 2003, pp. 156-161. 3 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Codice G. Capponi 125, ins. 21, cc. 302r305v. Filippo II creò con una parte dei territori già appartenenti alla Repubblica di Siena (Monte Argentario, Orbetello, Port’Ercole, Porto Santo Stefano e Talamone) lo Stato dei Presidi, che gli permise di disporre di un punto strategico da cui controllare la parte centrale della penisola italiana e il Tirreno. Egli inoltre nel trattato del 3 luglio 1557, fra le varie clausole, fece includere anche quelle relative all’azzeramento dei debiti che egli, il padre Carlo V e il signore di Piombino avevano nei confronti dei Medici e all’obbligo di Cosimo I di fornire agli spagnoli truppe, munizioni, vettovaglie e galere ad ogni loro richiesta.
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La crescita geopolitica esigeva tuttavia un potenziamento militare, come il duca scriveva (in epoca imprecisata) in una specie di testamento politico per il suo successore4
“A dua cose principali debbon pe(n)sar li princi[pi] p(er) lo aume(n)to e ma(n)tenime(n)to delli Stati loro: l’uno alle cose concerne(n)te la religione e l’onor di Dio, l’altro alle cose delle arme, se(n)za le quali dua cose no(n) si può aume(n)tar né ma(n)tener li Stati”.5
Il documento prevedeva tre misure di carattere militare. In primo luogo la creazione di un ordine equestre:;
“[…] addunq(u)e c(he) ogni volta c(he) si può co(n)giunger l’arme e la religione no(n) può esser cosa più sa(n)ta. P(rim)o il crear un Ordine di cavalieri quale co(m)batta p(er) la fede di Cristo è cosa santa, utile, e onorevole. Proccurisi addunq(u)e di far un Ordine in quel modo c(he) parrà più espedie(n)te per ma(n)tenime(n)to di esso, vegge(n)do tutti li altri Ordini già creati, e di formar li cap(ito)li, li quali sieno in più p(er)fectio(n) delli altri di ge(n)tilomini. Sopra tutto il gra(n)maestro del Ordine sia se(m)pre il seco(n)dogenito del principe; no(n) vi se(n)do, el principe lo elegga della casa[ta] quel che li parrà più atto, il quale governi l’Ordine. Giurin li caval[i]eri servir p(er) la fede di Cristo, e in caso di bisogno dello Stato servir a(n)cor p(er) lo Stato ogni volta c(he) sia da inimici molestato. […] E p(er)c(hé) a tre cose si debbe provveder nel crear l’Ordine: alla provisio(n) della casa de cavalieri, alla e(n)trata del m(aestr)o e al ma(n)tenime(n)to di 2 galere ordinarie”.6
In secondo luogo la creazione di una milizia a cavallo di 150/200 uomini d’arme e 300 cavalleggeri e infine il mantenimento di una marina adeguata alle necessità dello Stato:
4 Mwmoria di 3 cose da eseguirsi p(er) noi el duca di Fiore(n)za e no(n) posse(n)do da lasciarla p(er) ricordo a chi ci succederà se(n)do l’onor e la gra(n)dezza el comodo delli Stati pe(n)sato molto te(m)po fars” (ASFi, Mediceo del Principato 327, c. 7r;). Per un’analisi del documento vedi F. Angiolini, Politica, società e organizzazione militare nel Principato mediceo: a proposito di una “Memoria” di Cosimo I, estratto di “Società e storia”, IX (1986), 31, pp. 1-51. Riguardo la trascrizione delle parti di documenti riportati sia nel testo che nelle note si informa che ne è stata modificata la grafia sciogliendo tra parentesi tonde le abbreviazioni, impiegando le maiuscole e la punteggiatura secondo l’uso moderno e infine eventuali lettere o parole aggiunte per facilitarne la comprensione sono state inserite tra parentesi quadre. 5 ASFi, Mediceo del Principato 327, c. 7r. 6 Ibidem.
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“Ci resta ora a parlare delle cose del mare, le quali no(n) sono di ma(n)co reputation e utili alli Stati c(he) quelle di terra, e co(n) poca spesa el modo è q(uest)o. P(er) l’ordinario il duca di Fiore(n)za [h]a tener, sì come noi habbiamo stabilito, 4 galere; la Religion [cioè l’Ordine cavalleresco] da crearsi va tener altre 2, c(he) saranno unite semp(re) co(n) q(uest)e, c(he) sono 6, ancor c(he) la Religion co(n) il tempo potrà, co(n) li modi c(he) si daranno, tenerne più. Debb[e] il duca di Fiore(n)za ire facie(n)do tanti corpi di galere co(n) sua comodità c(he) faccino il numero di 30, né q(uest)a è molta spesa, facie(n)dola co(n) comodità, e andar facie(n)do li sua armame(n)ti, p(er)c(hé) la maggior spesa si sono l’artillerie. Q(uest)e ci sono, in maggior parte delle piccole. In poi legniami ci so(n) tagliati e messi in aqqua. P(er) tutto il numero ci è crobami [ovvero le ossature]. Fasciami già ce n’è una partita e q(uest)o anno si taglieranno li altri. Ferrame(n)ti li stiavi co(n) la ferriera li andranno facie(n)do. Alberi, antenne e remi si posso(n) co(n) facilità co(n)durre. Ma(n)ca sartia e velame, p(er)c(hé) barile se faranno qua(n)te vorremo. Con ire provedendo q(uest)e cose, co(n) comodità veggiamo in un bisognio potersi armar co(n) le di sopra dette il numero di galere 30, le quali, p(er) la descrittion delli huomini c(he) troviamo nelli Stati n(ost)ri, a tor uno homo solo ogni 20 case, si può armar p(er) il co(n)to fatto da noi 30 galere. Ma a farla più facile piglieremo solo 24, e co(n) le 4 e 2 della Religione si fa tal numero di 30 galere in li bisogni c(he) corressino”.7
Come si vede l’istituzione dell’Ordine era strettamente finalizzata al mantenimento della marina, allora diretta dal commissario delle galere, Piero Machiavelli (1514-1564) figlio del celebre Niccolò. Il consenso pontificio alla creazione dell’Ordine fu una delle contropartite per l’appoggio toscano alla candidatura del milanese Giovan Angelo Medici, eletto papa Pio IV il 25 dicembre 1559 grazie al denaro del duca e alle accorte manovre di Bartolomeo Concini, uno dei suoi più efficienti segretari. La richiesta fu formalizzata nel gennaio 15608, e le trattative proseguirono nei mesi successivi, il che permise di rivedere e modificare le norme indicate nella citata Memoria, in particolare riservando la carica di gran maestro direttamente al duca e non al suo secondogenito.
7 Ivi, c. 8r e v. 8 Le altre istanze avanzate da Concini a Pio IV riguardavano la nomina a cardinale di Giovanni de’ Medici, uno dei figli di Cosimo I, l’invio di un nunzio apostolico a Firenze, la sistemazione dei vescovati esistenti nel territorio della città gigliata e di Siena e infine l’organizzazione di una visita del duca al pontefice, vedi ivi 616, ins. 27, cc.n.nn.; ivi, Carte Strozziane, I serie 36, cc. 71r-72v.
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L’autorizzazione fu infine concessa il 1° ottobre 1561 con breve Dilecte Fili. L’Ordine fu intitolato a Santo Stefano papa e martire in ricordo delle vittorie medicee di Montemurlo (1537) e Scannagallo (1554) contro i fuoriusciti e i senesi, avvenute entrambe il 2 agosto, giorno eponimo del Santo.9 Gli Statuti della Milizia, ispirati a quelli degli Ordini di San Iacopo della Spada, di Cristo, di Alcantara, di Calatrava e specialmente di San Giovanni gerosolimitano, furono redatti da Lelio Torelli, Benedetto Varchi e Francesco Vinta10. Previe minime modifiche suggerite specialmente da Giovanni Battista Cicada, cardinale di San Clemente, gli Statuti furono approvati il 1° febbraio 1562 con bolla His quae, e il 15 marzo, domenica di Passione, nel Duomo di Pisa il nuovo nunzio apostolico, monsignor Giorgio Cornaro, vescovo di Treviso, rivestì il duca dell’abito di gran maestro dell’Ordine stefaniano11. Tre giorni dopo, l’istituzione
9 Ivi, Mediceo del Principato 3472, c. 18r e v. Cosimo I, che fino ad allora aveva tenuto segrete le trattative per creare l’Ordine, avendo ormai ottenuto il consenso del papa, decise di informare dell’accaduto Filippo II scrivendogli una missiva il 12 dicembre 1561. In essa il duca forniva notizie sulla nuova Milizia minimizzando l’importanza dell’avvenimento di cui comunque aveva desiderato far partecipe il re di Spagna. La lettera fu inviata insieme ad un’altra indirizzata a Bernardino Minerbetti, l’ambasciatore fiorentino presso la corte di Filippo II, nella quale Cosimo I, oltre a mettere al corrente il proprio rappresentante della fondazione dell’Ordine, lo invitava a recapitare personalmente la missiva al sovrano e a spedire al più presto a Firenze un dettagliato resoconto di come il re di Spagna aveva accolto tale notizia. L’ambasciatore, seguendo le disposizioni del duca, informò a voce Filippo II dell’avvenuta costituzione della Milizia, consegnandogli la lettera scritta da Cosimo II ma, a parte le solite frasi formali di compiacimento, Minerbetti si accorse chiaramente che il re di Spagna non gradì la novità, sia per la mutazione della sua espressione e sia perché, contrariamente alle abitudini, Filippo II evitò di leggere immediatamente la missiva del duca di Firenze e Siena, vedi ivi 54, cc. 58r, 59r; ivi 4894, c. 662r e v; ivi 5040, c. 199r. 10 Ivi 213, c. 111r; ivi 490a, c. 1033r. Sul ruolo militare dei Cavalieri di San Giovanni v. M. Gemignani, Alcuni aspetti della storia della Marina dell’Ordine di Malta, in L’Ordine di Malta e il mare. Attualità di una antica tradizione. Atti rielaborati ed integrati della giornata di studio e formazione organizzata dalla Delegazione di Pisa del Sovrano Militare Ordine di Malta, tenutasi in Viareggio in data 19 giugno 2010, Roma, Tipografia Medaglie d’Oro, 2011, pp. 12-29. 11 Archivio di Stato di Pisa (d’ora in poi ASPi), Diplomatico, S. Stefano, 1561 febbraio 1; ASFi, Mediceo del Principato 491, c. 648r. Una copia manoscritta su pergamena di questi Statuti si trova in ASPi, Ordine dei Cavalieri di S. Stefano 1, cc. 1r-66r. Si fa pre-
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della Milizia, che aveva come insegna una croce ottagona rossa in campo bianco, fu pubblicata con bando per “tutte le città et terre del dominio fiorentino et del senese”12 .
Come previsto nella citata Memoria, il Convento della Milizia fu stabilito a Pisa, abbandonando l’idea di una residenza secondaria a Portoferraio. Valorizzando così la tradizione marinara dell’antica rivale di Firenze annessa nel 1406, Cosimo ribadiva al tempo stesso la sudditanza dei pisani nei confronti di Casa Medici. Come sede del Convento, detto Palazzo della Carovana, fu scelto il vecchio Palazzo degli Anziani della Repubblica, nella centrale Piazza delle Sette Vie, che nei documenti ufficiali dell’epoca era ancora indicata come “forum”13. La Chiesa di San Sebastiano alle Fabbriche Maggiori, i Palazzi del Potestà e dei Capitani del Popolo e un edificio medievale furono assegnati alla Chiesa conven-
sente che per la citazione dei pezzi archivistici di questo fondo si è utilizzata la numerazione adottata dopo il suo recente riordino. 12 Il testo del documento con il quale fu resa nota la creazione dell’Ordine, “Bando per la notitia dell’Ordine de’ Cavalieri di Santo Stephano eretto et dotato dall’illustriss(imo) et eccell(entissimo) signore il sig(nor) duca di Fiorenza et Siena, con molti privilegi del dì 18 marzo 1561 ab Incarnatione” è riportato in L. Cantini, Legislazione toscana, vol. IV, Firenze, Albizzini, 1802, p. 303. 13 M. Salmi-F. Arnaldi, Il Palazzo dei Cavalieri e la Scuola Normale Superiore di Pisa, Bologna, Zanichelli, 1932, pp. 1-20.
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tuale, alla Canonica del cavalieri sacerdoti, all’Infermeria e al Consiglio dei Dodici. Tutti ristrutturati dal celebre Giorgio Vasari, con l’assistenza di Vincenzo Ferrini, provveditore dell’Arsenale di Pisa14. Solennemente inaugurato nel 1564, il Palazzo della Carovana era destinato al tirocinio triennale dei novizi: i cavalieri “carovanisti” studiavano infatti matematica, geometria, cosmografia, storia, geografia, nautica, tattica terrestre e navale. Il corso prevedeva pure esercizi militari (ginnastica, lotta, nuoto, scherma, tiro con armi da fuoco portatili, balestra e arco)15, un semestre di “professione” religiosa e uno di esercitazioni pratiche (nautiche e militari).
La gerarchia della Milizia prevedeva sette “gran croci”, e le ultime tre erano il commendatore maggiore, il gran contestabile e l’ammiraglio, eletti all’epoca ogni tre anni dal Capitolo Generale col consenso del gran maestro16. In particolare il gran contestabile aveva il comando delle truppe assegnate dal gran maestro, con l’obbligo di risiedere nel Convento17 , ma la carica fu quasi da subito considerata un mero titolo onorifico. La squadra, di base a Livorno, dipendeva invece dall’ammiraglio, al quale era consentito risiedere ordinariamente fuori dal Convento18. Erano alle
14 E. Karwacka Codini, Edifici dell’Ordine di Santo Stefano a Pisa: aspetti architettonici e artistici, in “Quaderni Stefaniani”, XI (1992), pp. 133-165. 15 ASPi, Ordine dei Cavalieri di S. Stefano 1, cc. 48v-49r; R. Bernardini, Istruzione e obblighi militari dei cavalieri carovanisti da Cosimo I a Pietro Leopoldo I, in L’Istituto della Carovana nell’Ordine di Santo Stefano. Atti del Convegno, Pisa 10 maggio 1996, Pisa, ETS, 1996, pp. 230-231. 16 Oltre al gran contestabile e all’ammiraglio, le altre cinque gran croci capitolari erano il gran cancelliere, che controllava l’esecuzione dei decreti e il rispetto degli Statuti, il tesoriere generale, incaricato di verificare la contabilità tenuta dai vari funzionari dell’Ordine, il conservatore generale, che aveva il compito di curare i possedimenti immobiliari, il gran priore del Convento, il quale doveva mantenere la disciplina e vigilare sul comportamento dei cavalieri quando erano ospitati in tale struttura e inoltre controllare periodicamente le spese sostenute per la sua gestione; infine la gran croce capitolare più importante era il commendatore maggiore, che nella gerarchia stefaniana veniva immediatamente dopo il gran maestro ed era scelto da quest’ultimo per rappresentarlo in tutte le occasioni come suo sostituto. 17 ASPi, Ordine dei Cavalieri di S. Stefano 2933, c. 11r. 18 Ivi 1, c. 44r e v; ivi 2933, cc. 6r, 12r.
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sue dirette dipendenze i comandanti delle galere rossocrociate, eletti dal Consiglio dei Dodici, e i 25 cavalieri assegnati a ciascuna unità19 .
A seguito delle intensificate scorrerie barbaresche nel Tirreno, nel marzo 1562 il duca propose una crociera comune ai genovesi, che tuttavia non accettarono, non avendo in quel periodo navi disponibili per tale genere di missione20. Cosimo volle allora unirsi alla spedizione spagnola di soccorso ad Orano assediata dagli ottomani e a tal fine incaricò il commissario e luogotenente delle galere Piero Machiavelli e il nuovo ammiraglio Giulio de’ Medici (1527/32-1600), figlio di Alessandro, di
19 Ivi 1, cc. 44v-45r. In realtà sarebbe accaduto assai di rado che su ogni legno rossocrociato si imbarcassero venticinque cavalieri, i quali solitamente venivano ripartiti in modo abbastanza equo fra tutte le unità dell’Ordine e della Marina ducale e poi granducale che prendevano parte ad una stessa navigazione. 20 Minuta della lettera scritta dal doge e dai governatori della Superba a Cosimo I da Genova il 26 marzo 1563, vedi ASGe, Archivio Segreto 2828, ins. “Lettere ai Prencipi. 1555 in 1590. Minuta delle lettere della Repub(blic)a di Genova al Gran Duca di Toscana”, c.n.n.
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allestire a Livorno le 4 galere toscane21. Due di queste, Lupa e Fiorenza, furono trasferite alla Milizia stefaniana, rispettivamente come Capitana e Padrona22, al comando di ai cavalieri fiorentini Francesco Rustici e Gian Filippo Marucelli.23: la cerimonia avvenne a Livorno il 30 maggio 1563 e Cosimo passò in rassegna pure i 38 cavalieri comandati a bordo24. Le altre due galere ducali (Capitana e Regina) erano comandate dal capitano di origine greca Costantino Amoroso e dal cavaliere gerosolimitano Francesco Rucellai.
21 ASFi, Manoscritti 128, c. 257r; ivi, Mediceo del Principato 219, cc. 109v-110r. 22 ASFi, Carte Strozziane, I serie 144, cc. 11r-12r; ASPi, Ordine dei Cavalieri di S. Stefano 2876, c. 1v. La Lupa era stata varata a Pisa nel 1558 e l’anno successivo era stata protagonista di una vicenda che avrebbe condizionato pesantemente i rapporti fra Firenze e Venezia. Essa infatti nell’estate del 1559 era stata inviata da Cosimo I a compiere una crociera in Levante dove, dopo aver catturato alcuni bastimenti islamici, il 28 luglio si era imbattuta nelle galere veneziane della Guardia di Cipro, che ordinariamente vigilavano la grande isola per impedire, fra l’altro, che nelle sue acque avvenissero scontri fra navi cristiane e musulmane, al fine di non fornire una giustificazione al sultano per iniziare una guerra contro la Serenissima. Il comandante della Guardia di Cipro, accortosi di avere a che fare con una nave cristiana che deteneva a bordo prigionieri islamici, le intimò l’alt e la rimorchiò a Famagosta, dove liberò i musulmani e mise ai ferri gli uomini del duca di Firenze e Siena. Solo dopo lunghe trattative Cosimo I riuscì a far riottenere la libertà ai marinai della Lupa e a farsi restituire anche la galera, che fu consegnata ad un suo emissario a Corfù il 9 gennaio 1561 dietro la promessa che le navi da guerra dipendenti dal duca di Firenze e Siena in futuro non avrebbero incrociato nelle acque prossime ai possedimenti veneziani in Levante. Per maggiori notizie su tale vicenda vedi M. Gemignani, Rappresaglia veneziana per atti di pirateria in Levante (1559-1561), in “Rivista Storica”, IX (1996), 2, pp. 38-44. La Fiorenza era stata anch’essa costruita a Pisa e le era stato assegnato il nome di una galera ducale che, insieme ad un’altra unità della squadra, era naufragata in Corsica nell’ottobre del 1560 nel tentativo di evitare di essere catturate da una superiore formazione navale avversaria, vedi Archivio di Stato di Genova (d’ora in poi ASGe), Archivio Segreto 2795, ins. “1541-1565. Lettere di Cosimo I° de Medici, detto il Grande, primo Gran Duca di Toscana alla Repubblica di Genova”, c. 111r. 23 ASFi, Manoscritti 128, cc. 257v-258r; ASPi, Ordine dei Cavalieri di S. Stefano 740, c. 18r; ivi 1407, c. 76r e v. 24 Ivi, Manoscritti 128, cc. 257v-258r; ASPi, Ordine dei Cavalieri di S. Stefano 740, c. 18r; ivi 1407, c. 76r e v;
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Salpata il 1° giugno25, ed eseguiti scali tecnici a Portovenere, Genova, Savona, Nizza e Marsiglia, la squadra giunse il 26 a Barcellona, dove trovò la notizia della liberazione di Orano, soccorsa da una flotta comandata da Gian Andrea Doria, nipote del famoso Andrea Doria26. Giulio de Medici chiese allora istruzioni al principe Francesco, primogenito di Cosimo ed erede al trono, che da quasi un anno si trovava a Madrid presso la corte di Filippo II.27 Volendo tornare a casa, il principe ordinò alla squadra di recarsi a Cartagena ad imbarcare i suoi bagagli e poi di tornare a prenderlo a Barcellona28 . La squadra salpò dunque il 23 luglio, ma l’indomani la Lupa dovette rientrare per avarie a Barcellona29. Compiute le riparazioni a Tortosa, e ripreso il mare il 29, avvistò due galeotte algerine. Ritenendo di non poter affrontare in quelle condizioni i legni nemici, il comandante Rustici cercò di sottrarsi tenendosi sotto costa, ma con l’unico effetto di incoraggiare i corsari all’inseguimento (ricordiamo che le galere erano indifese di poppa, avendo le artiglierie principali sistemate in caccia sotto la rembata a prora). Vedendo scemare la velocità per la stanchezza dei rematori e accorciare la distanza dal nemico, il comito suggerì di andarsi a incagliare per salvare l’equipaggio oppure di invertire la rotta per combattere. Dopo lunga esitazione Rustici scelse la seconda alternativa, ma era ormai troppo tardi: prima di completare l’accostata la Capitana stefaniana fu speronata e arrembata. Rustici fu ucciso nel tentativo d resistere, e i pochi che lo avevano imitato si arresero. Al disastro aveva contribuito pure il comito, il quale, temendo rappresa-
25 ASFi, Manoscritti 128, c. 257r; ivi, Mediceo del Principato 2077, c. 270v. 26 Ivi 500, cc. 85r, 163r-164r, 343r e v. 27 Ivi 2077, c. 271r. 28 Ivi 500, c. 757r. 29 Ivi, c. 847r; ASPi, Ordine dei Cavalieri di S. Stefano 902, c. 19r.
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glie dei forzati per la crudeltà con cui li aveva trattati, non aveva voluto sferrarli e armarli, e aveva gettato in mare una delle ancore per fermare la galera e salvarsi a nuoto, imitato dalla maggior parte dei marinai, molti dei quali furono però ripescati dagli algerini. Scamparono alla cattura solo una sessantina di cristiani, mentre circa centoventi, tra cui i cavalieri Ridolfi e Gianfigliazzi30, furono condotti ad Algeri, dove giunsero il 5 agosto.
L’ammiraglio toscano apprese della cattura il 4 agosto ad Alicante, mentre tornava da Cartagena, e il 5 ne fece rapporto.al principe31, al quale chiese inoltre di poter prolungare la permanenza ad Alicante per timore di incappare in qualche crociera barbaresca32. Due giorni dopo, analoga lettera scrisse al principe Piero Machiavelli, aggiungendo che probabilmente gli algerini avevano appreso dai prigionieri della Lupa gli ordini della squadra e avrebbero potuto attaccarla lungo la rotta verso Barcellona 33. Il principe rispose di lasciare Alicante solo insieme ad altre navi cristiane34. Il 16 agosto Giulio de’ Medici fece un tentativo di dirigersi a Genova navigando di conserva con una galera dell’armatore ligure Bandinello Sauli, ma il mare cattivo lo costrinse a rientrare in porto35. Infine la situazione si sbloccò il 25 agosto con l’arrivo ad Alicante delle cinque galere maltesi (fra’ Vincenzo Gonzaga), che re Filippo aveva appositamente richiamata da Malaga36. Contando la genovese di Sauli le galere erano adesso 9 e tutte insieme giunsero a Barcellona in 4 giorni senza imbattersi in alcuna nave barbaresca.37
30 Dei nove membri dell’Ordine imbarcati, tre morirono durante lo scontro (e fra questi vi era, come già ricordato, il capitano Rustici comandante della galera) e un altro alcuni giorni dopo per le lesioni riportate e cinque, dei quali due feriti, furono presi prigionieri, vedi ASFi, Mediceo del Principato 501, c. 119r e v. 31 In esso vi era riportato erroneamente che la “Capitana” era stata attaccata da tre galeotte avversarie, vedi ivi, c. 60r e v. 32Ibidem. 33 Ivi, c. 59r e v. 34 Ivi, c. 60r e v. 35 Ivi, cc. 284r-287v. 36 Ivi, cc. 360r-361v. 37 Ivi 2077, c. 272r.
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Imbarcati il principe e il suo seguito, le nove galere salparono il 1° settembre, toccando il 14 Genova (dove rimase Sauli) e il 17 Livorno38 .
Nonostante questo cattivo esordio, la squadra toscana fu riorganizzata e addestrata, e già nel luglio 1564 potè di nuovo concorrere alle operazioni spagnole per la presa del Peñon de Vélez (il commissario Machiavelli morì a bordo il 20 ottobre 1564, al largo delle isole di Hyères). In seguito la squadra stefaniana assorbì quella granducale, e guadagnò molto prestigio, specialmente nel primo ventennio del XVII secolo quando fu comandata dal cavalier Iacopo Inghirami (1565-1624), operando nell’intero Mediterraneo con vittoriose crociere offensive e difensive e ardite operazioni anfibie.39
38 Ibidem. 39 Per maggiori dettagli sull’attività svolta da questo membro della Milizia stefaniana vedi M. Gemignani, Il cavaliere Iacopo Inghirami al servizio dei granduchi di Toscana, Pisa, ETS, 1996.