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di Guido Candiani “

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Grossi calibri e proiettili esplosivi:Grossi calibri e proiettili esplosivi: i cannoni di nuova invenzione di Sigismondo Alberghetti (1684-1718)* i cannoni di nuova invenzione di Sigismondo Alberghetti (1684-1718)* Grossi calibri e proiettili esplosivi i cannoni di nuova invenzione : di Guido Candiani di Sigismondo Alberghetti (1684-1718)* di Guido Candiani

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di Guido Candiani

Abstract. Tra il 1684 e il 1699, la Repubblica di Venezia e l'Impero Ottomano combatterono la prima guerra di Morea, il sesto dei loro secolari conflitti. Dopo una prima Abstract. Tra il 1684 e il 1699, la Repubblica di Venezia e l'Impero Ottomano comfase, caratterizzata dalla conquista veneziana batterono la prima guerra di Morea, il sesto di tutta la Morea grazie a una serie di riuscite dei loro secolari conflitti. Dopo una prima campagne anfibie condotte dal Capitano Gefase, caratterizzata dalla conquista veneziana nerale Francesco Morosini, il conflitto didi tutta la Morea grazie a una serie di riuscite venne soprattutto navale. Nel tentativo di campagne anfibie condotte dal Capitano Gerompere l'equilibrio determinatosi negli nerale Francesco Morosini, il conflitto discontri tra le due flotte, entrambi gli avversavenne soprattutto navale. Nel tentativo di ri si lanciarono in una corsa all'introduzione rompere l'equilibrio determinatosi negli di cannoni di calibro sempre maggiore. In scontri tra le due flotte, entrambi gli avversaquesto contesto, i veneziani adottarono un ri si lanciarono in una corsa all'introduzione cannone di nuovo tipo, in grado di sparare di cannoni di calibro sempre maggiore. In proiettili esplosivi. Introdotto organicamente questo contesto, i veneziani adottarono un nell'ultima campagna del conflitto, il cannone di n cannone di nuovo tipo, in grado di sparare uova invenzione trovò spazio anche nella seconda guerra di Morea (1714-1718), ma senza proiettili esplosivi. Introdotto organicamente offrire alla flotta veneziana quell’arma risolutiva sperata dal suo ideatore. nell'ultima campagna del conflitto, il cannone di nuova invenzione trovò spazio anche nella seconda guerra di Morea (1714-1718), ma senza offrire alla flotta veneziana quell’arma risolutiva sperata dal suo ideatore.

Nella sua fase finale, la prima guerra di Morea conobbe un intenso periodo di combattimenti navali. Tra il 1695 e il 1698, sia la Repubblica di Venezia, sia l’Impero Ottomano, cercarono di giungere a una vittoriosa Nella sua fase finale, la prima guerra di Morea conobbe un intenso peconclusione del conflitto attraverso il massiccio impiego di flotte da bat-riodo di combattimenti navali. Tra il 1695 e il 1698, sia la Repubblica di taglia di navi di linea. Nell’arco di quattro campagne, le due flotte com-Venezia, sia l’Impero Ottomano, cercarono di giungere a una vittoriosa batterono nove battaglie, trasformando il Mediterraneo Orientale conclusione del conflitto attraverso il massiccio impiego di flotte da battaglia di navi di linea. Nell’arco di quattro campagne, le due flotte combatterono nove battaglie, trasformando il Mediterraneo Orientale

* Una traduzione inglese del presente articolo (priva dell’apparato di note per volontà dell’editore) è stata pubblicata, con il titolo The run to the big calibres during the first war of Morea and Sigismondo Alberghetti's guns of new invention, nel volume Ships & * Una traduzione inglese del presente articolo (priva dell’apparato di note per volontà Guns. The Sea ordnance in Venice and Europe between the 15th and the 17th centuries, a dell’editore) è stata pubblicata, con il titolo The run to the big calibres during the first cura di Carlo Beltrame – Renato Gianni Ridella, Oxford 2011, pp. 23-27. war of Morea and Sigismondo Alberghetti's guns of new invention, nel volume Ships & Guns. The Sea ordnance in Venice and Europe between the 15th and the 17th centuries, a cura di Carlo Beltrame – Renato Gianni Ridella, Oxford 2011, pp. 23-27.

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nell’area di maggiore conflittualità navale del globo.1 Già dopo i primi combattimenti tuttavia, apparve chiaro che nessuna delle due flotte da battaglia era in grado di superare nettamente l’altra, sia per l’intrinseca forza difensiva della linea di fila, sia per la scarsa efficacia delle artiglierie contro i massicci scafi dei vascelli di linea. Ciò spinse prima gli ottomani, e poi i veneziani, a cercare soluzioni nuove per ridare slancio alle proprie artiglierie e modificare a proprio vantaggio l’equilibrio venutosi a creare. Gli ottomani tornarono ai grandi cannoni petrieri, già impiegati con successo tra il XV e il XVI secolo dalle forze del sultano. Grazie al peso specifico inferiore della pietra rispetto al ferro, questi pezzi potevano sparare proiettili di dimensioni molto più grandi a parità di carica impiegata, mantenendo perciò entro limiti accettabili il peso di cannoni pur di notevole calibro. Nel 1697 gli ottomani misero in servizio la loro prima tre-ponti, che oltre a tre massicce batterie di cannoni ordinari da 16, 12 e 7 okka (equivalenti rispettivamente a 45, 34 e 20 pdr), imbarcava anche 4-6 cannoni petrieri da 44 okka, in grado di sparare una palla pesante circa 125 pounds. Anche altre navi di linea ottomane imbarcarono pezzi analoghi.2

La necessità di contrastare i grandi cannoni turchi, spinse i veneziani ad introdurre per la prima volta nella storia un cannone in grado di sparare un proiettile esplosivo con una traiettoria tesa e quindi, a differenza dei mortai, già in uso a terra e che ne impiegavano una accentuatamente parabolica, capace di colpire un bersaglio in movimento quale una nave. Protagonista di questa svolta volta fu Sigismondo Alberghetti, pubblico fonditore nell’Arsenale di Venezia e appartenente a una celebre famiglia di fonditori che lavorava per la Repubblica da circa due secoli.3 Alberghetti assume una posizione preminente e originale all'interno di un filone di ricerche ed esperimenti intrapresi in quegli anni per tentare di ovviare ai limiti sempre più evidenti delle artiglierie imbarcate rispetto alle capacità incassatrici delle strutture via via più robuste dei vascelli, limiti evidenziati dall'esito inconcludente della maggior parte delle battaglie

1 Su queste vicende, cfr. G. Candiani, I vascelli della Serenissima: guerra, politica e costruzioni navali a Venezia in età moderna, 1650-1720, Venezia 2009, pp. 291-405. 2 Candiani, I vascelli della Serenissima, pp. 363-364. 3 Su Sigismondo, e più in generale sulla famiglia Alberghetti, cfr. la voce biografica di Marco Morin in Allgemeines Kunsterlexikon, 1, Leipzig 1983, pp. 779-784.

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navali del periodo. In passato, la distanza estremamente ravvicinata degli scontri aveva privilegiato la tattica degli abbordaggi, consentendo di catturare le unità nemiche o di darle alle fiamme con una certa facilità. L'introduzione della linea di fila aveva drasticamente ridotto queste opportunità, trasformando le battaglie in estenuanti duelli di artiglierie, dove i cannoni imbarcati si dimostravano incapaci di ottenere risultati decisivi. Per ridare forza alle artiglierie imbarcate si erano tentate soluzioni nuove, indirizzandosi soprattutto verso l'impiego di proiettili esplosivi dopo che, a partire dal 1680, l'impiego dei mortai aveva fatto registrare importanti progressi, abilmente sfruttati anche dai veneziani nella conquista della Morea durante la prima fase della guerra. Esperimenti in questo senso erano stati condotti dalla flotta inglese e francese, ma erano stati poi abbandonati per i timori che suscitava l’impiego di proiettili carichi di esplosivo a bordo delle navi.4

Alberghetti aveva affrontato il problema nei primi anni Ottanta del Seicento, nel corso di un soggiorno in Inghilterra, dove si era recato per

4 Nella battaglia di Beachy Head (1690) una bomba inglese aveva distrutto la poppa del vascello francese da 76 cannoni Terrible, lasciandolo «raso come una fregata» e mettendo cento uomini fuori combattimento. [Adrien] Richer, Vie du maréchal de Tourville, Paris 1783, p. 301.

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una importante missione di acquisto di artiglieria di ferro e di acquisizione delle tecnologie necessarie a introdurre nei territori della Serenissima la loro produzione. In una lettera da Londra del luglio 1684 aveva proposto un cannone in ferro del genere veneziano da 120 e in grado di sparare un proiettile esplosivo di quel calibro (equivalente a 212 mm) ma che non avrebbe pesato più di palla piena da 20 (un cannone veneziano da 20 era equivalente a un 15 pdr inglese: al contrario delle altre nazioni, i veneziani misuravano infatti il peso della palla piena di ferro in libbre sottili e non in quelle grosse).5 Il pezzo doveva incorporare un camera sferica, di recente invenzione, che, unita alla relativa leggerezza della palla, avrebbe permesso la costruzione di un pezzo piuttosto corto e poco pesante.

Il fresco bombardamento francese di Genova (maggio 1684) aveva dimostrato la terribile efficacia dei proiettili esplosivi sparati dai mortai imbarcati sulle galiotes a bombes e pungolato Alberghetti a introdurre le bombe anche nei combattimenti navali. Il nuovo pezzo, che doveva essere in grado di colpire a una distanza almeno pari a quella dei 32 pdr in-

5 Archivio di Stato di Venezia (d’ora innanzi ASV), Senato Mar, filza 653, 9.8.1684, all. lett. S. Alberghetti 13.7.1684.

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glesi (i cannoni di maggior calibro normalmente impiegati da quella marina, rispetto ai quali aveva un diametro di quasi un terzo più grande) doveva demolire i fianchi dei vascelli nemici e provocare esplosioni ed incendi all'interno degli scafi. Era il medesimo concetto alla base della rivoluzione che porterà negli anni Trenta dell’Ottocento all'introduzione del canon-obusier del francese Paixhans e che provocherà, in risposta, la nascita della corazzata, segnando il definitivo tramonto della nave da guerra in legno.6

Il proiettile previsto da Alberghetti per il cannone aveva un’innovativa forma «cilindrica», in realtà due semisfere congiunte da un corpo centrale cilindrico. Lo scopo che il fonditore veneziano si prefiggeva era quello di facilitare il lavoro al tornio, in modo da ottenere proiettili accuratamente cesellati e ridurre così notevolmente il "vento" tra proiettile e anima, aumentando la velocità iniziale del proiettile e di conseguenza la forza di penetrazione e la precisione. Il costo di tornire le tradizionali palle rotonde sarebbe stato eccessivo – una palla perfettamente sferica era considerata il «capolavoro» del tornitore – mentre nei proiettili cilindrici solo la parte centrale, curva ma non sferica, andava tornita, rendendo il lavoro non troppo difficile e costoso. La forma cilindrica aveva anche il vantaggio di impedire al proiettile di rovesciarsi al momento dell’inserimento nella volata del pezzo, come accadeva alle bombe sferiche, ed evitare così il rischio di uno scoppio accidentale per il contatto della miccia della bomba con la polvere della carica: la forma cilindrica manteneva invece il proiettile nella posizione sicura in cui veniva inse-

6 Su Paixhans, cfr. Étienne Taillemite, Henry-Joseph Paixhans et sa nouvelle force maritime, in L'évolution de la pensée navale IV, ed. Hervé Coutau-Bégarie, Paris 1994, pp. 105-132.

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rito, con la miccia rivolta verso la bocca del pezzo. 7 Sotto questo punto di vista, le «bombe cilindriche» di Alberghetti erano superiori anche ai proiettili di Paixhans, tradizionali bombe sferiche cui veniva applicato uno sabot (zoccolo) di legno per evitarne il rovesciamento, i quali, oltre ad essere di concezione più complessa, usuravano notevolmente la volata, riducendo la vita del cannone.8 Un altro punto che distingueva Alberghetti da Paixhans, e che ne accentuava la modernità, era la grande distanza alla quale il veneziano riteneva che i suoi cannoni potessero colpire il nemico, vicina ai 3.500 metri, grazie a un nuovo sistema di mira ideato per il pezzo.9

L’innovazione diventava quindi duplice: pezzi di grosso calibro capaci di sparare proiettili esplosivi a gittate molto superiori a quelle ordinarie. Non solo il nemico sarebbe stato martoriato dalle esplosioni, ma ciò sarebbe avvenuto a distanze tali da impedirgli di replicare. Il «To hit first and to hit hard» dell'ammiraglio inglese "Jack" Fisher, ideatore due secoli dopo della rivoluzionaria Dreadnought su analoghi principi, trovava un antecedente nei propositi dell'inventore veneziano.

7 S. Alberghetti, Artiglieria Moderna Veneta di Sigismondo Alberghetti, vantaggiosa ne' colpi, facilissima nell'uso e corrispondente ne i Tiri alla teorica delle sue tavole universali, Venezia 1703, pp. 3-4. 8 Cfr. Henry-Joseph Paixans, Nouvelle Force Marittime, Paris 1822, p. 209 e i disegni annessi. I proiettili di Paixans, oltre ad essere di concezione meno lineare, usuravano notevolmente la volata, riducendo la vita del cannone. 9 Biblioteca Nazionale Marciana, ms. it., cl. VII, 1542 (8889), Obiezioni e risoluzioni sulla nuova artiglieria, n. 7.

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Il Senato veneziano, sempre attento alle novità nel campo delle artiglierie, accettò il progetto di Alberghetti e ordinò la fabbricazione in Inghilterra di due cannoni di ferro da 120. Lunghi solo sei calibri e pesanti 3.500 libbre (meno degli ordinari cannoni di ferro da 20), essi vennero fusi sotto la direzione di Alberghetti nella fonderia di Thomas Western (1624-1707) ad Ashburnham. Provati agli inizi de 1685 nella campagna del Sussex, raggiunsero una gittata di oltre cinque chilometri, confermando le migliori aspettative dell'inventore. Alberghetti pensava di imbarcarne quattro su ciascuno dei vascelli di linea della Serenissima e altrettanti su ogni galeazza, le grandi unità a remi orgoglio, ancora, della Repubblica. Purtroppo per lui, come dovette ammettere egli stesso, Sigismondo mancava di quei «talenti» che un inventore di successo deve avere per convincere gli interlocutori (e i finanziatori) della bontà delle proprie idee. Giunti a Venezia, i cannoni rimasero dimenticati in Arsenale anche perché al suo rientro da Londra, Alberghetti venne coinvolto in una disputa sulla fusione dei mortai con un protégé del Capitano Generale Francesco Morosini (allora in grande spolvero per le sue vittorie in Morea) e ne uscì battuto. Inoltre il dominio navale veneziano nei primi anni della guerra «fece indormentare l'industria e l'arte, con quali si studiava prevalere a nemici nella forza delle armi».10 I «cannoni di nuova invenzione», come verranno successivamente chiamati, furono abbandonati nei depositi, mentre l'attenzione del Senato si spostava sulla produzione di artiglierie in ferro nei territori della Repubblica.

La ripresa navale ottomana determinatasi dopo il 1693, la sconfitta subita dai veneziani nel 1695 a Chio e, soprattutto, l’adozione sui vascelli turchi dei grandi cannoni petrieri, tolsero i cannoni di nuova invenzione dal dimenticatoio. Alla fine del 1696, in seguito anche ai gravi limiti delle galeazze emersi alla recente battaglia di Andro, il comandante di queste ultime chiese di adottare cannone di Sigismondo Alberghetti allo sco-

10 ASV, Senato Mar, filza 657, 24.3.1685, all. lett. S. Alberghetti 2.2.1685; filza 767, 16.9.1702, all. Provveditori alle Artiglierie 26.4.1698. La citata forma cilindrica con due estremità semisferiche ideata da Alberghetti, aveva anche lo scopo di stabilizzare la traiettoria del proiettile pur in assenza di una rigatura della canna. Esperimenti effettuati nei primi decenni dell'Ottocento confermarono che proiettili cilindrici del tipo impiegato da Alberghetti potevano mantenere una traiettoria stabile. Cfr. Howard Douglas, A Treatise on Naval Gunnery, London 1820, p. 304; ed. 1855, pp. 76-77.

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po di contrastare il «furore» delle navi di linea nemiche.11 Nel giugno del 1697 il Senato decise di riprendere in considerazione il progetto, per il quale Alberghetti aveva adesso concepito due modelli. Il primo, destinato alle galeazze, era del genere da 200, pesava 5.000 libbre e aveva un calibro di 265 mm; il secondo, concepito per le navi, era analogo a quello costruito in Inghilterra un decennio prima (genere da 120, peso 3.500 libbre, calibro 212 mm). Entrambi i modelli sarebbero stati costruiti in bronzo in Arsenale, con affusti di vecchio tipo a due sole ruote, forse per facilitare brandeggio e spostamento. Nelle note al disegno allegato al progetto, Sigismondo indicò espressamente che i cannoni erano destinati a contenere i turchi, fattisi «orgogliosi e potenti» anche sul mare.12

Nell’ottobre del 1697, dopo un’altra inconcludente campagna navale, il Senato approvò la costruzione dei nuovi pezzi e già ai primi di novembre un cannone da 120 fu pronto per le prove. Ritardate dal maltempo, queste vennero effettuate il 6 dicembre con grande successo. Le notevoli prestazioni del pezzo in gittata e precisione erano dovute soprattutto al ridotto "vento" tra anima e proiettile. Nei cannoni di nuova invenzione esso era pari solo a un decimo di oncia (2,9 mm), quando un normale cannone inglese del periodo non scendeva sotto i 7,5 mm: le stesse carronade, introdotte alla fine degli anni Settanta del Settecento e caratterizzate da un vento molto ridotto, non sarebbero scese a meno di 3,7 mm. Inoltre il nuovo cannone dimostrò di poter essere puntato da una sola persona grazie ad un congegno di mira sistemato sopra gli orecchioni, molto più semplice della consueta squadra usata dagli artiglieri. Questi risultati spinsero i Provveditori alle Artiglierie a chiedere sei cannoni di nuova invenzione per ciascuna nave di primo rango, unità da 70-80 cannoni. Il Senato decise di imbarcarne per il momento solo quattro e ordinò all'Arsenale quarantotto cannoni per dodici navi di primo rango, le più grandi tra quelle in servizio.13

Alberghetti tuttavia, pur muovendosi adesso con l'appoggio di influenti membri del patriziato, trovò ancora una volta qualcuno pronto a sbarrar-

11 ASV, PTM, filza 1386, disp. Antonio Nani 2.12.1696. 12 ASV, Senato Mar, filza 735, 14.6.1697, all. disegno cannoni di nuova invenzione s.d. 13 ASV, Senato Mar, filza 739, 14.12.1697 e all.ti.; filza 741, 8.3.1698, all. scr. S. Alberghetti 7.3.1698; 24.3.1698, all. Provveditori alle Artiglierie 21.12.1697.

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gli la strada. Paradossalmente, l'opposizione venne da un rappresentante di quella che si andava affermando come la potenza navale più prestigiosa, l’inglese Jacob Richards, da poco nominato Sergente Generale dell'Artiglieria della Repubblica.14 Va comunque ricordato che l'Inghilterra era entrata in un lungo periodo di conservatorismo navale – iniziato dopo la caduta di Giacomo II nel 1689 e destinato a durare fino al 1740 – e questo clima non poteva non influire anche su Richards.15 Le sue perplessità (messe nero su bianco già all'arrivo a Venezia nel giugno 1697 e ribadite in una seconda scrittura presentata nel marzo 1698, quando i primi quarantotto cannoni erano già stati prodotti) evidenziavano innanzi tutto il rischio del maneggio a bordo dei proiettili esplosivi, che avevano messo in grave pericolo il vascello inglese che li aveva a suo tempo sperimentati:16 erano timori che dovevano suscitare particolare apprensione a Venezia, dove negli anni precedenti si erano viste molte delle proprie navi distrutte da improvvise esplosioni. Inoltre l'inglese giudicava i cannoni troppo leggeri e dubitava delle qualità balistiche dei proiettili cilindrici, proponendone in alternativa di sferici, cavi ma riempiti di creta e non di polvere da sparo.17 Il Senato decise di confrontare sia i cannoni che i proiettili. Le prove, svoltesi il 26 marzo e il 12 aprile 1698 anche con proiettili esplosivi, diedero pienamente ragione ad Alberghetti, i cui cannoni e i cui proiettili cilindrici mostrarono maggiore gittata e precisione e una minor usura rispetto a quelli di Richards.18 Sebbene trentatré

14 Candiani, I vascelli della Serenissima, p. 381, n. 129. 15 Cfr. Brian Lavery, The Ship of the Line, I, London 1984, p. 75; II, p. 17; John Ehrman, The Navy in the War of William III, 1689-1697, Cambridge 1953, pp. 14-16. 16 L’unità inglese – che Richards indica come la nave dell'ammiraglio Edward Russel e che potrebbe essere la Britannia, battente l'insegna di Russel alla battaglia di Barfleur (1692) – aveva rischiato di saltare in aria. 17 ASV, Senato Mar, filza 735, 14.6.1697, all. scr. Richards s.d.; filza 741, 8.3.1698 e all.ti. 18 Sul piano della perforazione, i risultati del cannone di nuova invenzione appaiono fuori dal comune. Alla distanza di 700 metri, il proiettile cilindrico era in grado di trapassare quasi un metro e mezzo di legno di quercia, contro una perforazione di meno di un metro a 600 metri di distanza dei più grandi cannoni francesi, i 36 livres. ASV, Senato Mar, filza 741, 16.4.1698 e all. Savio alla Scrittura e Provveditori alle Artiglierie 15.4.1698; filza 767, 16.9.1702, all.ti.; Jean Boudriot, Le vaisseau de 74 canons, IV, Grenoble 1977, p. 137.

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cannoni di nuova invenzione fossero subito inviati in Levante, l'intervento dell'inglese aveva comunque ritardato non solo l'arrivo dei pezzi in Armata, ma anche l'avvio della produzione dei proiettili, con serie ripercussioni sull'impiego bellico della nuova invenzione.

A Nauplia, allora la principale base veneziana in Levante, i cannoni da 120 vennero distribuiti, a due per unità, sul ponte di coperta delle navi di primo rango, mentre un cannone da 200 venne imbarcato sull’ammiraglia delle galeazza. Con i cannoni arrivarono 600 proiettili cilindrici da 120, ma per fare più in fretta, 289 erano stati fatti in pietra (materiale che poteva essere lavorato in Arsenale, al contrario delle bombe in ferro, che dovevano essere fuse nella Terraferma veneziana) e quindi non avevano alcuna capacità esplosiva. Solo in giugno seguirono (con altri cinque cannoni da 120" e uno da 200) 793 proiettili cilindrici in ferro e 1.561 spolette. Nel frattempo, uno dei fratelli di Sigismondo, Carlo Alberghetti, era stato incaricato di addestrare al Lido il personale per i nuovi cannoni

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– una sessantina tra capi e sottocapi dei Bombardieri – e di dirigere in Armata le nuove artiglierie. Grazie all'estrema facilità di puntamento e alla precisione, i risultati superarono ogni aspettativa. Nella prova generale, effettuata al Lido il 24 agosto, quasi tutti i bombardieri conseguirono un «successo [di mira] inaudito con ogn'altra sorte d'artiglieria sin hora visitata». La flotta veneziana sembrava avere trovato l'arma in grado di spostare a proprio vantaggio l'equilibrio della guerra sul mare.19

La prova bellica arrivò con la battaglia di Mitilene, combattuta il 20 settembre 1690, quando venti navi di linea veneziane, dodici delle quali armate con cannoni di nuova invenzione, ne affrontarono venticinque ottomane, appoggiate da una mezza dozzina di unità barbaresche. I nuovi cannoni suscitarono molti giudizi favorevoli, ma il loro impatto non fu quello sperato da Sigismondo Alberghetti. Sull’ammiraglia Rizzo d'Oro il ventottenne fratello Carlo li diresse con tale abilità e coraggio sotto gli occhi del comandante della squadra, Daniele (4°) Dolfin da ricevere un attestato di benemerenza, mentre anche gli altri due ammiragli presenti, Pietro Duodo e Fabio Bonvicini si mostrarono entusiasti dell'invenzione. Tuttavia i tre facevano dei distinguo che in parte ne ridimensionavano l'impatto. Dolfin apprezzò soprattutto la velocità di caricamento, mentre Duodo segnalò che si erano potute sparare solo pochissimi proiettili cilindrici esplosivi, perché da Venezia ne erano arrivati non più di cinquantaquattro: il ritardo accumulato in primavera nelle prove comparative con i pezzi di Richards si era dimostrato particolarmente grave. Duodo, e anche Bonvicini, erano in ogni caso contrari all'impiego dei proiettili esplosivi, temendo che potessero fare più danno alle proprie unità che al nemico – una serie di misteriose esplosioni avvenute in passato sulle navi veneziane non rendeva popolare la presenza a bordo di simili ordigni. Soprattutto, nessuno pensò di usare i cannoni di nuova invenzione a grandi distanze. Grazie al suo nuovo sistema di mira e alla facilità di puntamento dei prezzi, Alberghetti riteneva di poter colpire una nave che navigasse a sei nodi anche ad un distanza di due miglia (quasi 3.500 metri). A quella gittata un cannone normale avrebbe impiegato approssimativamente trenta secondi per far arrivare la palla sul bersaglio, considerando il tem-

19 ASV, Senato Mar, filza 741, 26.4.1698; filza 742, 15.5.1698 e all.ti; filza 743, 21.6.1698, all. nota materiale s.d.; filza 767, 16.9.1702, all. Provveditori alle Artiglierie 26.4.1698; all. lett. Capitano Generale da Mar Giacomo Corner 10.6.1698.

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po necessario al puntatore per allontanarsi a distanza di sicurezza dal pezzo, al suo aiutante per accendere la miccia, al fuoco per discendere la lumiera e innescare la carica, e alla palla per portarsi sul bersaglio. Nel frattempo la nave avrebbe percorso 50 passi (87 metri), sicché se si fosse mirato alla sua prua ed essa fosse stata lunga 24 passi (120 piedi, 42 metri), il colpo sarebbe caduto almeno 26 passi (45 metri) a poppa; e non c'erano punti di riferimento per puntare in deflessione davanti alla prua. Per questo i capi bombardieri sparavano a distanze così ravvicinate che non era quasi necessario puntare i pezzi. Per loro il fattore più importante non era la mira, ma il coraggio e il sangue freddo necessari per trattenere fino all'ultimo il tiro. I cannoni di nuova invenzione potevano invece essere maneggiati e puntati «come moschetti» da tre soli uomini. Mentre il primo puntava stando in linea con il pezzo, il secondo lo brandeggiava seguendo le sue indicazioni e il terzo dava fuoco alla miccia, senza che la mira fosse sospesa, rimanendo tutti al sicuro dal rinculo. In questo modo, il tempo di tiro poteva essere enormemente ridotto: era quasi un'anticipazione del concetto di mira continua, introdotto dall'inglese Percy Scott nel 1898 e che segnerà l'inizio della più importante rivoluzione nelle artiglierie imbarcate dall'arrivo dei cannoni sulle navi nella seconda metà del XV secolo.

I pochissimi proiettili esplosivi a disposizione e la mancanza delle tavole predisposte da Sigismondo per il tiro a lunga distanza fecero invece preferire il tradizionale tiro ravvicinato. Le testimonianze raccolte, anche tra i turchi, parlavano di vascelli ritiratesi con enormi fori nelle sovrastrutture, causati soprattutto dai cannoni di nuova invenzione della Rizzo d'Oro, i cui proiettili cilindrici avevano attraversato entrambe le fiancate; tuttavia la distanza troppo breve aveva impedito che essi arrivassero con un angolo di caduta tale da sfondare non solo l'opera morta della prima fiancata, ma anche quella viva sulla fiancata opposta, uscendo sotto la linea di galleggiamento e affondando con ogni probabilità la nave colpita. La limitata resistenza offerta dall'opera morta aveva anche impedito che i pochi proiettili esplosivi venissero sufficientemente rallentati ed esplodessero all'interno dello scafo, un problema analogo a quello incontrato

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due secoli dopo dai proiettili perforanti contro le navi prive di corazzatura. 20

Mitilene fu l’ultima battaglia del conflitto, terminato agli inizi del 1699. I cannoni di nuova invenzione furono ritirati dalla flotta e nel 1701 andarono a rafforzare le difese a mare di Venezia, in conseguenza delle tensioni create in Adriatico dalla guerra di Successione spagnola (17011714). Poi finirono in magazzino, anche a causa della morte, nel 1702, del loro inventore, che sospese una serie di nuove prove che forse ne avrebbero fatto apprezzare a pieno le caratteristiche.21 I cannoni vennero riscoperti solo con lo scoppio della seconda guerra di Morea (1714-18). Presi alla sprovvista dall’attacco ottomano, i veneziani nel febbraio del 1715 decisero in fretta e furia di imbarcarli nuovamente sulle navi pubbliche, provvedendoli sia di proiettili cilindrici in ferro, esplosivi e vuoti, sia in pietra. Furono effettuati nuovi tiri di prova con un pezzo da 120, che ne confermarono la facilità di caricamento e la precisione, anche a notevoli distanze. Furono anche sparati tre proiettili cilindrici esplosivi, la cui miccia era accesa dalla vampa dello sparo: due esplosero come previsto, il primo attraversando la tavola che simulava il bordo di una nave e incendiando gli affusti di artiglieria posti dietro di essa, il secondo incendiando la tavola che simulava il bordo opposto, e lasciando particolarmente impressionati gli osservatori presenti.22 Le navi ricevettero questa volta anche i cannoni da 200, originariamente pensati solo per le galeazze, e una dotazione di otto cannoni di nuova invenzione (due da 200 e sei da 120) divenne lo standard per le navi di primo rango.

I cannoni trovarono impiego nella prima battaglia navale della nuova guerra, combattuta l’8 luglio nel canale di Corfù, dopo che l’isola era stata attaccata da un corpo di spedizione ottomano appoggiato dalla flotta. Lo scontro fu un successo per la flotta veneziana, che riuscì a ristabilire le comunicazioni con la piazzaforte di Corfù, e molto del merito fu attribuito ai cannoni di nuova invenzione, sebbene nessuno dei proiettili cilindrici fosse stato riempito di esplosivo. Proiettili esplosivi furono im-

20 Sulla battaglia di Mitilene e sull’impiego dei cannoni di nuova invenzione, cfr. Candiani, I vascelli della Serenissima, pp. 398-402. 21 Candiani, I vascelli della Serenissima, pp. 488-489. 22 ASV, Senato Mar, filza 833, 23.2.1715 e all.ti.

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piegati nelle tre battaglie combattute nel 1717 (dove furono sparati un totale di quasi 1.300 proiettili cilindrici, parte in pietra e parte in ferra), ma senza che ci fossero risultati evidenti sulle navi nemiche. Adesso inoltre tutti si trovavano d'accordo che i cannoni fossero troppo corti per il combattimento sottovento, dato che la fiamma dello sparo rischiava d’incendiare le attrezzature della nave che li utilizzava. Essi avevano inoltre denunciato una certa lentezza di tiro, dovuta soprattutto al fatto che la leggerezza del pezzo lo rendeva instabile al momento dello sparo, determinando un tempo più lungo per rimetterlo in batteria. Non è comunque chiaro quanto questi difetti fossero reali e quanto invece fossero dovuti alla poca esperienza degli uomini impiegati ai pezzi, visto che una crisi numerica negli equipaggi delle navi veneziane aveva determinato una frettolosa raccolta di personale inesperto. Queste critiche non impedirono peraltro l’imbarco dei cannoni di nuova invenzione anche sulle nuove navi di linea di secondo rango che stavano per entrare in servizio. Si trattava di unità da 60 cannoni, che avrebbero dovuto essere in grado sia di sostenersi nella linea da battaglia durante la guerra, sia di ricoprire con maggiore facilità delle navi di primi rango i futuri compiti del tempo di pace. Le nuove navi ebbero anzi dieci cannoni di nuova invenzione (quattro da 200 e sei da 120), contro gli otto previsti per le navi di primo rango da 70-80 cannoni.23

I cannoni di nuova invenzione trovarono i loro ultimo impiego operativo nei tre giorni di combattimenti avvenuti al largo di Capo Matapan dal 20 al 22 luglio 1718, ma le fonti non fanno nessun commento sul loro

23 Candiani, I vascelli della Serenissima, pp. 519, 551, 556.

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impiego. La loro importanza agli occhi delle autorità veneziane venne comunque confermata nel dopoguerra da un decreto del Senato del 1725, ispirato alle esperienze del recente conflitto, ed essi figurano sulle liste di armamento delle navi di linea veneziane almeno fino alla metà del secolo.24

Per concludere, si può dire che i cannoni di nuova invenzione diedero alla flotta da battaglia veneziana un’arma potenzialmente rivoluzionaria, ma che, per una forma di prudente conservatorismo tipica delle marine nei decenni a cavallo tra Sei e Settecento, essi non ebbero l’impatto previsto e sperato dal loro inventore. I comandanti veneziani non li impiegarono né con proiettili esplosivi né alle grandi distanze immaginate da Alberghetti. Alle ridotte distanze di tiro dell’epoca, i cannoni si limitarono a sparare grossi proietti inerti, sovente di pietra, capaci di creare forti danni alle unità nemiche, ma incapaci di domare le massicce strutture dei vascelli di linea. In questo campo i turchi, impiegando semplici proiettili di pietra che potevano essere di un calibro ancora maggiore di quello dei cannoni di nuova invenzione, sembrano aver ottenuto risultati migliori. Bisognerà attendere più di un secolo perché i proiettili esplosivi siano adottati in via definitiva dalle marine europee: allora, grazie alla tecnologia fornita dalla prima Rivoluzione industriale, essi troveranno una risposta nell’adozione della corazzata, innescando una lotta tra cannone e corazza che durerà fino al definitivo abbandono della nave da battaglia dopo la Seconda Guerra Mondiale.

24 ASV, Senato Militar, filza 3, 22.11.1725 e all.ti.

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