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Mergi eos in aquam iussit. Divinazione e guerra nell’esperienza romana, di Enrico Silverio “

Mergi eos in aquam iussit

Divinazione e guerra nell’esperienza romana

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di Enrico Silverio 73

Divinazione e predizione del futuro

La divinazione costituisce in origine «un ramo della magia cosiddetta simpatica; la quale si fonda sul principio apparentemente scientifico che da simili cause si producono simili effetti. […], così l’indovino (in lat. divinus onde divinatio, […]) pretende da supposte cause prevedere determinati effetti, o da effetti realmente esistenti arguire la causa rimasta occulta»1. Quando la divinazione passa dal piano della magia a quello della religione2, muta di significato ed assume quello di interpretazione di segni e simboli con i quali la divinità fa conoscere all’uomo il suo volere riguardo gli eventi futuri3. Nella divinazione è infatti centrale il concetto di pax deorum: «controllando la conservazione del patto con gli dei (pax deorum), [l’auspicazione] tende solo a ottenere la sanzione divina ad azioni umane»4. I generi di divinazione possono es-

1 Così Umberto Fracassini in Id., Aldo Neppi Modona, Raffaele Corso, s. v. Divinazione, in enciclopedia italiana, XIII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1932, pp. 59-62 (59). Sulla magia e la divinazione nel mondo greco-romano v. tra gli ultimi contributi: Georg Luck (cur.), arcana Mundi, II, Divinazione, astrologia, alchimia, Mondadori-Valla,

Milano 1999, pp. 5-43; Valerie Flint, Richard Gordon, Georg Luck, Daniel Ogden (Edd.),

Witchcraft and Magic in europe. ancient Greece and rome, The Atlone Press, London 1999; Robin Lorsch Wildfang, Jacob Isager, Divination and Portents in the roman World,

University Press of Southern Denmark, Odense 2000; Eftychia Stavrianopoulou (dir.), ritual and Communication in the Graeco-roman World, Presses Universitaires de Liège,

Liège 2006; Francesco Lucrezi, Magia, stregoneria e divinazione in diritto ebraico e romano, Giappichelli, Torino 2007; Federico Santangelo, Divination, Prediction and the end of the roman republic, Cambridge University Press, Cambridge 2013. Con particolare riguardo al rapporto tra divinazione ed arte della guerra tra mondo greco ed ebraico, v.

Andrea Gramaticopolo, il rapporto tra la divinazione e l’arte della guerra tra il politeismo greco e il monoteismo ebraico, diss., Università Ca’ Foscari di Venezia, a .a. 2012/2013. 2 Sul rapporto tra magia e religione con riguardo alla divinazione v. infra. 3 V. Fracassini, in Id., Neppi Modona, Corso, s. v. Divinatio, cit., p. 59. 4 Così Attilio Degrassi, s. v. auspicio, in enciclopedia italiana, V, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1930, pp. 382-383 (382). L’affermazione è formulata con riguardo di-

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Schema per l’esame del fegato di pecora con iscrizioni etrusche (fegato di Piacenza)

sere vari e qui interessa soprattutto la divinazione ‘reale’ o ‘indiretta’, che si fonda su segni già esistenti, omina od oracula, dei quali intende essere l’esatta interpretazione.

Questo tipo di divinazione può essere naturalis o artificialis: nella prima i segni da interpretare sono casuali, mentre nella seconda vengono cercati o procurati dallo stesso osservatore5. La divinazione naturale si basa su segni celesti, come nel caso dell’astrologia; atmosferici, quali forma e corso di nuvole, uragani, fulmini o tuoni, secondo una disciplina codificata nei libri fulgurales; su azioni e movimenti degli animali, interpretati a Roma dai libri augurales; su nascite mostruose di animali o uomini; su segni speciali delle mani o di parti del corpo; sullo stormire delle foglie; infine sui sogni, sempre bisognosi di essere interpretati per mezzo della oneiromanzia. Quanto alla divinazione artificiale, essa può basarsi sulla

retto all’auspicium ma appare riferibile ad ogni forma di divinazione poiché – v. ibidem –

«Rispecchia l’evoluzione dei metodi divinatorî la parola auspicium che, etimologicamente identica ad avispicium […], passa poi a significare un’interrogazione della volontà divina in qualsiasi maniera formulata, nonché il consenso divino a un’azione umana qualunque sia il modo in cui esso viene concesso». 5 Cic. Div. 1, 6, 11 e 2, 11, 26.

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cleromanzia, che è il sortilegium dei Romani cui si collegano le sortes Vergilianae o le sortes Praenestinae6, sulla lecanomanzia, l’idromanzia, la piromanzia, la capnomanzia, la ieroscopia o extispicio, la necromanzia e, secondo alcuni, l’ordalia7 .

Predizione del futuro e guerra

Con riguardo a circostanze di carattere bellico, la divinazione è stata accostata all’acquisizione di informazioni segrete8. Questa impostazione è molto pericolosa perché – peraltro con palesi contraddizioni9 – proietta in antico categorie moderne e, facendo oltretutto confusione tra divinatio e religio – id est cultus deorum10 – in sostanza inquadra la prima come una forma di acquisizione di informazioni segrete, riducendola insomma ad una ‘fonte’11 .

Per recuperare il significato reale della divinazione anche in ambito militare, occorre invece considerare il concetto centrale di pax deorum, collocato nel quadro di un ‘sistema giuridico-religioso’12 in cui operano uomini e dèi ed in cui è centrale il concetto di fides13. In un contesto in cui

6 Richard Hamilton, «The Fatal Texts. The Sortes Vergilianae», in Classical and Modern literature, XIII, 1993, pp. 309-336; Phyllis Katz, «The Sortes Vergilianae. Fact or Fiction?», in Classical and Modern literature, XIV, 1994, pp. 245-258. Sulle sortes v. in generale Luck (cur.), arcana Mundi, cit., pp. 26-27. 7 Circa le diverse tipologie di divinazione v. Fracassini in Id., Neppi Modona, Corso, s. v.

Divinazione, cit., pp. 59-60. 8 Rose Mary Sheldon, Guerra segreta nell’antica roma (2005), LEG, Gorizia 2008, traduzione italiana di Rossana Macuz Varrocchi, p. 50: «La forma più antica ed elementare di informazione segreta fu la rivelazione religiosa». 9 Cfr. Sheldon, Guerra segreta, cit, pp. 51-54 in cui, nonostante la lapidaria affermazione citata in nota 8, tra i casi riportati e tratti dalle fonti si affaccia prepotente la nozione di pax deorum, il cui mantenimento è alla base delle pratiche divinatorie al di là di ogni loro anacronistica lettura in termini di attività di intelligence. 10 Cic. nat. 2, 8: […] religione, id est cultu deorum, multo superiores. 11 Sheldon, Guerra segreta, cit., p. 54: «Quale che fosse il valore delle ‘informazioni’ fornite dalle ‘fonti’ religiose, […]», con significativo uso del virgolettato. 12 Pierangelo Catalano, linee del sistema sovrannazionale romano, I, Giappichelli, Torino 1965. 13 Vedi, con precedente bibliografia, Giovanni Brizzi, «La ‘cavalleria’ dei Romani. L’etica

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l’uomo romano è posto al centro di una serie di forze non solo terrene ma anche ultraterrene che egli deve propiziarsi pure in guerra14 con un rigido formalismo15, appare più opportuno affermare che attraverso la divinazione il rappresentante del populus romanus tenta di comprendere quale sia il futuro che gli dèi che presiedono all’esistenza ed alla grandezza dell’Urbs desiderino per essa.

In questo senso, e sempre in un rapporto con il divino non assimilabile a nessun aspetto dell’esperienza moderna e contemporanea, è legittimo dire che la divinazione poteva essere presa in considerazione dai decisori romani anche nell’ambito bellico. Quest’ultimo, anzi, si presentava come uno dei momenti in cui maggiormente era necessario indagare il volere degli dèi ma, in tale caso, la divinazione non assumeva un valore neppure accostabile a quello di una ‘fonte’ informativa, configurandosi invece come uno strumento per scrutare il volere degli dèi in funzione del mantenimento della pax con loro in occasione dell’evento bellico, cruciale per l’esistenza stessa del populus romanus.

È in tal senso significativo l’episodio di P. Claudio Pulcro: alla vigilia della battaglia di Drepano il console del 249 a.C. cerca di scrutare il volere

aristocratica fino all’età delle guerre puniche», ora in Id., Metus Punicus. Studi e ricerche su annibale e roma, Imola 2011, pp. 9-33. Contra, ma con argomenti inconsistenti, da ultimo Sheldon, Guerra segreta, cit., pp. 49-50, con bibliografia. 14 La nozione di bellum iustum ne costituisce un esempio evidente. Segnalo solo alcuni studi recenti, sia per gli ampi rinvii che essi contengono che per l’attenzione da essi rivolta anche agli usi contemporanei della nozione: v. Ferdinando Zuccotti, «Bellum iustum o del buon uso del diritto romano», in rivista di Diritto romano, IV, 2004; Antonello Calore, «Bellum iustum tra etica e diritto», in Diritto @ Storia, 5, 2006; Maria Floriana Cursi,

«Bellum iustum tra rito e iustae causae belli», in index, XLII, 2014, pp. 569-585. 15 V. ad esempio Antonello Calore, «Bellum iustum e ordinamento feziale», in Diritto @ Storia, 5, 2006; Giovanni Turelli, audi iuppiter: il collegio dei feziali nell’esperienza giuridica romana, Giuffrè, Milano, 2011.

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degli dèi attraverso gli auspicia pullaria ma, poiché i polli sacri si rifiutano di mangiare – comportamento interpretabile negativamente – egli, venendo meno ad ogni elementare rispetto per gli dèi e sostenendo che se non volevano mangiare allora avrebbero bevuto, mergi eos in aquam iussit ed ingaggiò battaglia con i punici di Aderbale. Proprio alla rottura del buon rapporto con gli dèi, offesi dal comportamento del console, venne imputata la disfatta romana16 .

Divinazione, imperium, magia e superstizione

Se la divinazione è legata all’essenza più intima dell’esperienza religiosa del populus romanus, non stupisce che degli auspicia siano dotati, per eccellenza, proprio i magistrati muniti di imperium e che tali auspicia possano essere distinti tra urbana e militaria, ‘ripartizione’ che in larga parte si sovrappone a quella tra imperium domi ed imperium militiae e che è anch’essa legata alla nozione di pomerium17 . L’imperium del magistrato, in effetti presenta notevoli elementi di carattere sacrale anche in ambito militare, così come nel caso della fides che, specie sino all’età della seconda guerra punica, il magistrato deve possedere ed esercitare al massimo grado anche nei confronti del nemico18. La divinazione, quindi, costituisce parte integrante della vita ‘ufficiale’ del populus romanus tanto in pace

16 V. Cic. nat. 2, 7 e Liv. per. 19. Cfr. Plb. 1, 50-51. Circa i pullarii addetti ai polli per la divinazione: Giuseppina Foti, «Funzioni e caratteri del ‘pullarius’ in età repubblicana e imperiale», in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, 64.2 (2011), pp. 89-121. Per altri esempi di divinazione in ambito bellico v., ex multis, Liv. 5, 17, 3; 5, 46, 11; 6, 5, 6; 6, 41, 5; 10, 40, 9-12 e 22, 1, 5-7. 17 V. ad es. Michael Koortboijan, «Crossing the pomerium. The armed ruler at Rome», in

Björn C. Ewald - Carlos F. Noreña (Edd.), the emperor and rome. Space, representation, and ritual, Cambridge University Press 2010, pp. 247-274. 18 Sull’intima compenetrazione tra sfera politica e sfera sacrale v. Cic. dom. 1, 3. Circa la rilevanza della fides nel comportamento del comandante militare cfr. supra nota 13.

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come in guerra. In quanto elemento cardine della religione romana, essa si inquadra in una nozione di ordine cosmico cui si oppone il disordine rappresentato invece dalle pratiche magiche. In tal senso, nel momento in cui si «stabilisce l’opposizione religione tradizionale = ordine cosmico / magia = disordine cosmico, qualsiasi manipolazione del sacro non conforme al mos maiorum appare, in linea di principio, assimilabile alla magia»19. La divinazione ufficiale si oppone anche a quella legata alla superstitio, intesa come ‘devianza’ dalla religione ‘giusta’ ma che ancora nell’età di Plauto indicava la predizione del futuro20. Tali opposizioni si avvertono in modo particolare proprio per le pratiche divinatorie non comprese nella religione tradizionale romana dal momento che, attesa l’esistenza di un sistema augurale adatto a dominare la realtà ad magnas utilitates rei publicae, ogni altra divinazione si presenta, specie in periodi di guerra, come una pericolosa minaccia sia religiosa che sociale21 .

Ne consegue il divieto di praticare riti stranieri, tra cui evidentemente pratiche divinatorie, non a caso fatto rispettare pure in Roma, almeno negli spazi pubblici, in occasione di gravi crisi anche militari22. È inoltre verosimile che proprio il contrasto a pratiche divinatorie irriducibili alla tradizione romana fosse all’origine dell’espulsione degli indovini dal campo romano decisa, insieme ad altri provvedimenti più volte ricordati, da Scipione Emiliano nel 134 a.C., in pieno bellum Numantinum23 .

19 Ubaldo Lugli, la magia a roma, ECIG, Genova 1989, p. 33. Per una sintesi circa il rapporto tra magia e religione v. Lucrezi, Magia, stregoneria e divinazione, cit., pp. 1-3, con ampia bibliografia a p. 10. Sulla nozione romana di magia come ars di origine orientale creata dall’incontro tra medicina, religione ed astronomia – e quindi strettamente connessa anche alla predizione del futuro – v. ad es. Plin. nat. 30, 1-2. 20 V. ad es. la sintesi in Ewa Wipszycka, Storia della Chiesa nella tarda antichità, Mondadori, Milano 2000, pp. 85-86 e, più ampiamente, Jörg Rüpke, Superstitio. Devianza religiosa nell’impero romano, Carocci, Roma 2014. 21 V. ampiamente Jean Bayet, Histoire politique et psycologique de la religion romaine, Payot, Paris 1957. Per la citazione: Cic. Div. 2, 70. 22 V. ad es. Liv. 4, 30, 11 del 428 a.C. e Liv. 25, 1, 6-12 del 213 a.C. 23 App. Hisp. 85, 367, su cui v. ora, con precedente bibliografia, Santangelo, Divination, Prediction, cit., p. 149 nota 2. L’episodio non è citato da Pol. Strat. 8, 16, 1-2, che pure menziona altri provvedimenti presi da Scipione, mentre è ripreso – evidentemente con nuovo significato nell’impero divenuto cristiano – in Leo tact. 20, 80.

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Guerra, divinazione e mantenimento della pax deorum

Il primo degli esempi accennati sopra si colloca nel 428 a.C., entro un contesto in cui alle minacce militari portate dai Veienti, contro i quali la rappresaglia sarebbe stata rinviata all’anno successivo, si uniscono gravi problemi interni24. La concomitanza di queste situazioni favorisce l’insinuazione in Roma di una congerie di credenze straniere tra cui riti vaticinatorii diversi da quelli tradizionali25. Paradossalmente, questo apparato di riti e divinazioni nasceva proprio con lo scopo di implorare la pax deorum, ma in realtà otteneva l’effetto opposto a causa dell’estraneità dei riti praticati alla tradizione avita26. Infatti, venne dato incarico agli edili della plebe di fare cessare il compimento dei riti stranieri27. Considerato il rilievo che nella narrazione liviana viene dato a quei magistrati della plebe, che già in età così risalente sarebbero stati incaricati di una funzione di fondamentale interesse per l’intero corpo cittadino e non per la sola plebs, il passo è stato ritenuto una sorta di anticipazione storica28. Tuttavia, dal punto di vista della nostra materia,

24 Liv. 4, 30, 5-8: Veientes in agrum romanum excursiones fecerunt. […]. Siccitate eo anno plurimum laboratum est, […]. Defectus alibi aquarum circa torridos fontes rivosque stragem siti pecorum morientum dedit; scabie alia absumpta, volgatique contactu in homines morbi. Cfr. Liv. 4, 30, 12-16 e 4, 31-34. Per un inquadramento del confronto di Roma con

Equi e Volsci, v. Giovanni Brizzi, Storia di roma. 1. Dalle origini ad azio, Pàtron, Bologna 1997, pp. 88-91. 25 Liv. 4, 30, 9: […] animos quoque multiplex religio et pleraque extrena invasit, novos ritus sacrificandi vaticinando inferentibus in domos quibus quaestui sunt capti superstitione animi. Cfr. infra nt. 33. 26 Liv. 4, 30, 10: […] in omnibus vicis sacellisque peregrina atque insolita piacula pacis deum exposcendae. 27 Liv. 4, 30, 11: Datum inde negotium aedilibus, ut animadverterent ne qui nisi romani di neu quo alio more quam patrio colerentur. Circa il significato di questa animadversio nell’economia dei poteri degli edili della plebe, e più in generale dell’edilità, v. Luigi Garofalo, il processo edilizio. Contributo allo studio dei iudicia populi, Cedam, Padova 1989, pp. 137-139. 28 Discussione e riferimenti bibliografici in Garofalo, il processo edilizio, cit., p. 138 nota 200.

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esso testimonia in ogni caso il dato fondamentale per cui certe pratiche non conformi alla tradizione, comprese quelle divinatorie, fossero «considérée comme contraire au droit publique romain» anche e soprattutto in situazioni di grave pericolo militare, in quanto in definitiva avvertite come lesive per la pax deorum in momenti in cui solo i riti aviti avrebbero garantito il buon rapporto con gli dèi29 .

Un altro esempio relativo al ‘fronte interno’ si colloca nel 213 a.C., in piena guerra annibalica, allorché non solo in secreto modo atque intra parietes abolebantur romani ritus, sed in publico etiam ac foro Capitolioque mulierum turba erat nec sacrificantium nec precantium deos patrio more30 . In una condizione di diutinum bellum31 non mancarono i vates, mentre gli edili ed i minores magistratus inviati ad emovere eam multitudinem e foro ac disicere apparatus sacrorum32 vennero quasi malmenati. Fu infine necessario l’intervento di un magistrato cum imperio, il praetor M. Emilio, il quale, tra le altre cose, ordinò quicumque libros vaticinos […] haberet eos libros omnes litterasque ad se ante calendas apriles deferret […]33 .

Il divieto di divinazioni private è ricordato anche in occasione dell’arrivo dell’Emiliano al campo romano nel 134 a.C. durante il difficile assedio di Numanzia34. In quelle condizioni, senza implicare una condanna della previsione del futuro in quanto tale, esso muove dalla stessa ratio sottesa ai divieti ricordati per Roma nel 428 e 213 a.C.

29 Così Georges Humbert s. v. aediles, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines,

I.1, Paris 1877, pp. 95-101 (p. 97 per la citazione). 30 Liv. 25, 1, 7. 31 Liv. 25, 1, 8. 32 Liv. 25, 1, 10. 33 Liv. 25, 1, 12. Circa l’importanza dell’intero episodio per la ricostruzione del funzionamento degli apparati di sicurezza in Roma repubblicana v. Wilfried Nippel, «Policing Rome», in the Journal of roman Studies, LXXIV, 1984, pp. 20-29. Nei fatti del 428 e 213 a.C. si è anche in presenza di religiones externae: v. sul tema Francesco Sini, «Dai ‘peregrina sacra’ alle ‘pravae et externae religiones’ dei Baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano», in Studia et Documenta Historiae et iuris, LX, 1994, pp. 49-73. 34 Cfr. supra nota 23.

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