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Tremila doughboys contro tremila italiani. Il Raggruppamento Cp Ausiliarie A, di Piero Crociani “
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Tremila doughboys contro tremila manovali
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Il Raggruppamento Compagnie Ausiliarie A
di Piero Crociani
Over there! E va’ bene, ma «Over there» dove? Gli «Yankees», come dice la canzone, verranno pure «from everywhere», da tutte le parti, ma in Italia se ne vedono assai pochi, almeno per quanto riguarda l’esercito. Da noi si istruiscono, e poi combattono, i piloti, ci sono i servizi sanitari e c’è l’Y.M.C.A:, ai cui rappresentanti i nostri attribuiscono generosamente la qualifica di ufficiali, ma della fanteria, dei «doughboys», c’è solo il 332° Reggimento. Lo si fa sfilare in parata appena possibile per far vedere che gli Stati Uniti sono con noi, ma è solo un reggimento. Il contatto e la conoscenza tra i soldati americani ed i nostri sono, di conseguenza, assai limitati, si deve far ricorso, in pratica, alle corrispondenze dei giornalisti.
Ci sono maggiori occasioni di incontri in Francia, nelle retrovie, e qui ci soccorrono le più smaliziate annotazioni del Sottotenente Kurt Suckert, l’arciitaliano, nonostante il nome, Curzio Malaparte, del 52° Fanteria, brigata Alpi, in Francia con il II Corpo d’Armata del Generale Albricci. «I giornali erano pieni del generale Pershing e dei suoi reggimenti di autentici nipoti dello Zio Sam. Nessuno li aveva visti, almeno in quel settore, ma tutti ne parlavano come di un invincibile esercito di gente fresca e allegra, di giovani atleti dalle mascelle indurite dal “chewing-gum”, dalle gambe e dalle braccia gonfie di muscoli elastici, dai capelli biondi, dagli occhi azzurri, tutti lucidi di cuoio nuovo e scrocchiante, di metalli forbiti, di bottoni e di fibbie d’acciaio nichelato […] migliaia e migliaia di navi rovesciavano sui moli torrenti di giovani in uniforme kaki, dal largo cappello alla cow-boy, tutti rasati di fresco e profumati di tabacco alla melassa. La terra di Francia risuonava sotto il passo cadenzato di quei battaglioni di giocatori di rugby e di foot-ball, che marciavano in parata su una musica di fox-trott»1 .
E così dovevano immaginarli i nostri soldati in Francia, molti dei quali, specie i meridionali, avevano un parente in America, salvo a provare, almeno i
1 Curzio Malaparte, Fughe in prigione, Firenze, 1936.
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fanti di Malaparte, una grossa disillusione imbattendosi a Fère-Champenoise, in un’unità americana, sì, ma «coloured», visto che nell’AEF vigeva ancora la segregazione razziale. Probabilmente si trattava del 369th, reclutato ad Harlem e distaccato presso la IV Armata francese2. Ma a parte questa temporanea disillusione, quando negli ultimi giorni di guerra è possibile un contatto diretto, l’immaginario collettivo del soldato americano si riaffaccia potente «Gli Americani….avevano cominciato a farsi vivi anche dalle nostre parti, e girellavano tra i fanti con la morbosa curiosità e la petulanza di un esercito di turisti. Si udiva prima un gran rombo di motori lontani, poi avvicinarsi a poco a poco un vociare confuso, e a un tratto i yankees irrompevano alle nostre spalle al canto del loro “Over there! Over there!”, su autocarri dipinti di giallo e imbandierati di stelle e strisce. Ci salutavano festosi, e subito si buttavano a comprare stellette, mostrine, fregi, braccialetti di rame e ogni altro genere di “ricordi di guerra”, come li chiamavano loro, e pagavano quella strana mercanzia in contanti, con sacchetti di tabacco biondo, pacchetti di Camel e di Lucky Strike, cartine per sigarette, barattoli di tè, gomma da masticare, scatole di lardo, di marmellata, di biscotti, con tutto il ben di Dio, insomma, che Wilson, lo Zio Sam e l’Y.M.C.A: spedivano in Francia su piroscafi carichi fino ai boccaporti. I nostri fanti andavano matti per le sigarette oppiate: ma fra tutte le varietà di tabacco americano preferivano il tè, che a fumarlo nella pipa aveva il gusto, a sentir loro, delle Macedonia di prima della guerra.»
Come si vede, un immaginario collettivo del soldato americano che si riproporrà, in gran parte, in Italia venticinque anni dopo. Eppure ci sono stati dei soldati italiani che, in Francia, hanno convissuto per sei mesi, sia pure nelle retrovie, con i nipoti dello Zio Sam . Si è trattato di una formazione, il Raggruppamento Compagnie Ausiliarie “A” (A come America), i cui componenti, purtroppo, non pare abbiano lasciato memorie di questa loro esperienza.
L’origine va rintracciata nella necessità di accrescere la mano d’opera a disposizione dell’AEF. Con General Orders N. 5 del 4 marzo 1918, «Service of the Rear», il General Purchasing Agent dell’AEF «was charged with the procurement of civilian manual labor in Europe, other than labor procurable locally through the French regional commanders, and he thereupon organized the Labor Bureau [organized in the following divisions:] Procurement and transportation, medical, administrative labor companies and labor depots, contract and foreign relations accounts and records, women’s, and medical»3
2 Emmett Scott, Official History of The American Negro in the World War, 1919, pp. 198 ss. 3 U. S. Army General Staff, War Plans Division - Historical Branch, organisation
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Il Labour Office reclutò in tutto 82.700 lavoratori ma alla data dell’11 novembre ne restavano la metà (41.804) inclusi 3.207 italiani, reclutati senza difficoltà tra i numerosi immigrati in Francia e concentrati a Toulouse4 . In aggiunta a questi lavoratori civili, l’Italia ne fornì altrettanti militarizzati. Nel quadro dell’accordo di unificazione delle retrovie alleate (Military Board of Allied Supply, con QG a Coubert) firmato a Parigi il 9 maggio 1918 tra BEF, AEF, TAIF e forze francesi5, il 25 maggio il generale Nicola Vacchelli (18701932), capo della Divisione S. M. del ministero della Guerra, e il segretario generale dell’ARC Franklin Warner M. Cutcheon (1864-1936) – un avvocato di New York6 – siglarono un accordo per l’invio in Francia di lavoratori militari da mettere a disposizione dell’AEF, analogo a quello del 13 gennaio firmato a Roma da Vacchelli e dal Commissario francese, on. Planche, circa l’invio di 60.000 lavoratori militarizNicola Vacchelli zati italiani, inquadrati come «Truppe Ausiliarie Italiane in Francia» (T.A.I.F.) sotto l’ispettorato del generale torinese Giuseppe Tarditi (1865-1942)7. Le TAIF erano ordinate su un Ispettorato (a Nangis) e 4 Raggruppamenti (1° a Châlons sur Marne, 2° a Ligny en Barrois, 3° a Epinal e 4° a Villers en Carbonnel) articolati in Nuclei e Centurie.
Il Raggruppamento “A” era però autonomo e con caratteristiche particolari8 .
of the service of supply. american expeditionary Force, Washington, 1921, p. 40.
«Report of American Member of the Military Board of Allied Supply» to C. G., A.
E. F., March 27, 1919. 4 «Italy had a large number of refugees and the flow of this personnel was constant». Gli altri erano 17.104 uomini e 11.004 donne francesi, 899 spagnoli, 245 portoghesi, 7.476 cinesi, 461 annamiti, 683 marocchini, 286 algerini, 350 tunisini. Op. cit. supra, pp. 43 e 40. 5 Op. cit. supra nt. 4, p. 32. 6 Charles Gates Daves, a Journal of the Great War, 1921, edited by Johnny Thompson,
Evanston History Center, 2016, p. 159, nt. 60. 7 Colonnello Mario Caracciolo, le truppe italiane in Francia (il ii° Corpo d’armata – le t. a. i. F.), Milano, Mondadori, 1929, pp. 235 ss. Hubert Heyriès, les travailleurs militaires italiens en France pendant la Grande Guerre, Montpellier, 2014, Id., «Le
Truppe ausiliarie italiane in Francia (1918). Lettere dei soldati», italia contemporanea, N. 245, giugno 2004. 8 Archivio Ufficio Storico SME, Fondo E 3 buste 195, 206, 208; Fondo F 3 busta 97; Fondo M 7 busta 11. Ministero della Difesa, l’esercito italiano nella Grande
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Nasceva coi superstiti di un naufragio – quello del piroscafo Verona, silurato fuori dal porto di Messina l’11 maggio 1918 – che aveva a bordo il 2° Reggimento Speciale di Istruzione diretto in Libia. Curiosa denominazione e destinazione insolita in un momento in cui ogni uomo era necessario sul Piave. C’è però una spiegazione: il reggimento era stato formato con soldati di cattivi precedenti militari o politici sbandati e recuperati dopo Caporetto, sottoposti ad un regime disciplinare rigido e destinati, per non creare imbarazzi, alle guarnigioni libiche. Riuniti i superstiti del naufragio il reggimento veniva temporaneamente ricostituito a Barcellona Pozzo di Gotto per essere subito dopo disciolto e trasformato (Circolare 10.900 Div. Stato Maggiore del 1° giugno) nel Raggruppamento Compagnie Ausiliarie A, destinato al servizio delle retrovie dell’esercito americano in Francia. Si trattava di 56 ufficiali e 1.662 sottufficiali e truppa oltre a 2 ufficiali e 67 carabinieri, visto il particolare tipo del reparto, organizzati momentaneamente su due gruppi di 4 compagnie ciascuno. I due nuclei, con un settimana di viaggio, raggiungevano Camp Hunt, a La Teste le Courneau, nella zona di Arcachon il 12 ed il 13 giugno.
Il campo aveva ospitato in precedenza truppe coloniali francesi e poi unità russe, con disponibilità e standard senz’altro inferiori a quelli necessari per dei reparti americani. Così sin dal 15 giugno i due nuclei si misero all’opera, impiegati in lavori di sistemazione stradale, opere di drenaggio, costruzione di passerelle e nello scarico dei materiali che giungevano in continuazione al locale scalo ferroviario. La permanenza a La Teste-le-Courneau si protrasse per meno di un mese, mentre si intrecciavano cordiali rapporti tra i nostri ed i soldati dell’AEF, facilitati dalla presenza tra loro di emigrati ed italo-americani di prima generazione che, se non l’italiano, parlavano almeno il dialetto dei paesi di origine.
Il 10 luglio il I nucleo, con 36 carabinieri, era trasferito a Sernoise-sur-Loire, presso Nevers, dov’era in costruzione un altro campo, e qui era raggiunto, una settimana dopo, dal Comando del Raggruppamento, mentre il II nucleo era spostato a Montierchaume per lo stesso compito. I due nuclei vennero impiegati in tutte le opere necessarie per la costruzione dei campi, in vista del sempre più elevato numero di soldati in arrivo, fu quindi necessario ricorrere anche al lavoro notturno.
Per ottemperare in pieno agli accordi sottoscritti il 25 maggio, il Raggruppamento venne rinforzato, a metà agosto, da 11 ufficiali, 58 sottufficiali e 1304 soldati, provenienti per circa due terzi dal Deposito Speciale di Istruzione di
Guerra (1915-1918), Vol. VII, Roma, 1954.
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Padula (e ne possiamo immaginare facilmente i precedenti ed il perché dell’invio) mentre il rimanente era dato da prigionieri di guerra restituiti dagli austriaci, che erano stati originariamente destinati a formare, a Firenze, 4 compagnie del 46° Fanteria. Arrivarono, inoltre, altri 30 carabinieri. Era così completato il Raggruppamento (3297 uomini secondo fonti americane), su un comando e due nuclei, ciascuno di sei compagnie di 250 elementi. Nonostante i rinforzi i lavori per il completamento dei campi, a causa del continuo afflusso di nuovo reparti americani, proseguiva a ritmo accelerato e solo a fine ottobre cessarono i turni di lavoro notturno, quando il campo di Montierchaume era ancora, a detta degli americani, ancora incompleto per il 50%. Al profilarsi della vittoria si resero necessari degli spostamenti ed il 7 novembre era disposto che il comando del raggruppamento si trasferisse a Bourges ed il 1° nucleo ad Etais, nella Yonne, con distaccamenti minori in altre località, come due plotoni a Chateau Thierry.
Con l’armistizio dell’11 novembre veniva meno la necessità di nuovi accantonamenti per le truppe americane e subito venivano presi accordi per il rimpatrio, il cui ordine pervenne il 10 dicembre ed entro il 31 dello stesso mese, in tre scaglioni, i reparti raggiunsero Savona.
Poco sappiamo della vita quotidiana del Raggruppamento, comandato dal Colonnello Nevalli. Sappiamo che i suoi uomini erano alloggiati in baracche di legno, che erano curati, in casi di malattie leggere, negli ospedali americani, con qualche problema d’incomprensione linguistica, e nei casi più gravi presso quelli italiani. Il vitto era quello americano, forse non confacente al nostro gusto, ma abbondante , tanto che ci furono accuse di “camorra” sulle razioni a favore degli ufficiali. Lavoro duro, si è detto, ma, tutto considerato, in un ambiente non ostile. Dal controllo della corrispondenza risulta come i nostri frequentassero le «case del soldato» americane e come queste fossero, nei loro confronti, più accoglienti di quelle francesi. Dagli stessi controlli risulta anche che le relazioni con i “doughboys” erano ottime. Un lettera dice: «Siamo tra gli americani che ci amano, visto che tra loro c’è un buon numero di veri italiani. In queste truppe solo il 20% è formato da nazionali, il resto da italiani, polacchi, tedeschi e qualche francese»
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Data la composizione del Raggruppamento (secondo quanto scriveva il 14 agosto l’Avvocato Militare, si trattava di «disertori per i quali era stato sospeso il giudizio»), nonostante la presenza di un carabiniere ogni 30 soldati, non mancarono le denunce di reati al Tribunale di Guerra istituito per le T.A.I.F:, la cui competenza era stata estesa al Raggruppamento già dal 7 giugno. Ma, anche per il ritardo nell’effettiva costituzione del tribunale e nell’istruzione dei processi, quando il 20 febbraio 1919 il tribunale cessò dalle sue funzioni erano stati emessi solo pochi giudizi, come, ad esempio, la condanna ad 11 anni di reclusione per diserzione inflitta ad un soldato recidivo, che già era disertato durante il trasferimento in Francia.
Se c’era chi disertava c’era pure chi desiderava tornare ad essere operativo. Il II Corpo d’Armata, dopo Bligny, aveva bisogno di reintegrare i suoi ranghi e lo si fece con elementi delle T.A.I.F. giudicati in grado di sopportare di nuovo le fatiche di guerra. In quest’occasione anche 300 uomini del Raggruppamento – di migliore condotta – si offrirono volontari ed anche se il loro invio ai nuovi reparti avvenne a guerra finita si volle ugualmente dar loro la soddisfazione di terminare il servizio militare inquadrati in unità combattenti. Furono così congedati poi con le rispettive classi, mentre gli altri componenti del Raggruppa-
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mento, una volta rientrati in Italia, dovettero prestare servizio come lavoratori, in Veneto, anche nella seconda metà del 1919.
Sulle orme del Raggruppamento “A”, 25 anni dopo, altri italiani avrebbero prestato servizio in Francia come ausiliari dell’esercito americano. Quasi 30.000 uomini delle compagnie I.S.U. (Italian Service Unit), formate da prigionieri di guerra che avevano accettato di collaborare, provenienti dal Nord Africa, seguirono la VII Armata americana dalla Provenza alla Germania, raggiunti poi da altre compagnie provenienti dagli Stati Uniti, al seguito della VIII Armata fino in Belgio ed Olanda. Questi reparti vennero disarmati allo sbarco, per le pressioni francesi, e soltanto successivamente vennero riarmate le compagnie di Polizia Militare, destinate alla custodia dei prigionieri tedeschi, e quelle dei trasporti impiegate a ridosso delle prime linee.
Fonti: Archivio dell’Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito: Fondo E 3 Buste 195, 206 e 208. Fondo F 3 Busta 97. Fondo M 7 Busta 11 Bibliografia: Historical Branch–War Plans Division–General Staff: “organization of the service of supply- american expeditionary Force”, Washington, 1921 Malaparte Curzio, “Fughe in prigione”, Firenze, 1936 Ministero della Difesa: “l’esercito nella Grande Guerra (1915-1918)” Vol. VII Tomo 2, Roma, 1954
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Agnes von Kurowsky con Ernest Hemingway Su un terrazzo dell’Ospedale Militare di Milano