14 minute read

di Virgilio Ilari “

Noi credevamo 199

A Occidente dell’Estrema Sinistra

Advertisement

L’uso politico delle Lettere Slave nelle crisi balcaniche del 1877 e 1911 e contro il Patto di Monaco

di Virgilio Ilari

«Il mondo non può essere governato che da principij, e dietro ad essi la carta d’Europa va rifatta»1

La russofobia, prima ancora che l’anti-zarismo, di Mazzini, rifletteva il pregiudizio dell’Europa illuminata, rivoluzionaria e liberaldemocratica verso i ricorrenti tentativi dell’élite russa che parlava francese di essere «promossa europea», malgrado i bizzarri e pelosi entusiasmi volterriani per la Grande Caterina. Pregiudizio che già alla fine dell’Antico Regime e poi durante la Rivoluzione, il Consolato e l’Impero aveva frenato la cooperazione geopolitica franco-russa contro l’Inghilterra2. Pregiudizio che nella sinistra si era mutato in russofobia non solo per il ruolo di «gendarme della reazione» assunto dalla Russia zarista, ma perché l’asse russo-tedesco fu in definitiva, dal 1813 al 1913 (quello che potremmo definire «il secolo di Tauroggen»3), il katechon schmittiano che frenava la rivoluzione, tanto ad Est quanto ad Ovest. Fino al 1917, la russofobia predispose le sinistre europee a schierarsi sempre, in ogni collisione tra l’imperialismo zarista e quello britannico, dalla parte di quest’ultimo. L’approccio mazziniano, incentrato sulla liberazione delle nazionalità oppresse e sulla disintegrazione dei tre grandi imperi multietnici – zarista, asburgico e ottomano – smussava le divergenze, rinviandole a un indefinito futuro. Quello marxista, incentrato sulla liberazione del proletariato, le denunciava, ma, cogliendo giustamente il carattere ideologico della sovrastruttura geopolitica, non offriva linee d’azione alternative. Nel 1831 Marx aveva aspramente critica-

1 Prefazione alla riedizione 1877 delle Lettere slave di Mazzini in forma di opuscolo. 2 Andrej Aleksandrovič Mitrofanov, «Russko frantsuzskiye otnosheniya v zerkale bonapartistskoy propagandy», Frantsuzskiy yezhegodnik, M., 2006. Anna Gichkina, «Evolution de l’image de la Russie en France», revuemethode org, mai-juin 2017. 3 V. qui il mio articolo su Tauroggen.

200

Italy on the RImland

to la cieca fiducia che l’ala moderata dell’emigrazione polacca riponeva nei gabinetti di Londra e Parigi, beffata con la celebre frase «l’ordine regna a Varsavia»4 . Con la guerra di Crimea, appoggiata dai mazziniani5, la pregiudiziale antiliberale si era attenuata: Friedrich Engels scrisse, sul New York Daily Tribune del 12 aprile 1853, che «in que[l] caso gli interessi della democrazia rivoluzionaria e dell’Inghilterra si da[va]no la mano». Marx giudicò poi la guerra una sceneggiata, convinto che tra Russia e Inghilterra altro che grande gioco, esistesse un patto segreto risalente addirittura a Pietro il Grande e che l’odiato Palmerston – notoriamente russofobo – fosse a libro paga dello zar6. Contraddittoriamente, Marx ed Engels confidarono nell’effetto dirompente dell’insurrezione polacca, lituana e bielorussa del 1863, politicamente guidata dalla borghesia liberale e ispirata al progetto di smembrare la Russia e Marx si indignò con Garibaldi che durante la sua trionfale visita a Londra non aveva ottemperato all’impegno di prendere posizione contro la Russia7. Senza dimenticare il rapporto col nazional-bolscevismo8, la russofobia marxista fu sfruttata anche a Berlino. Antonio Gramsci fu colpito, leggendo in carcere una recensione delle memorie del principe di Bülow, dalla confidenza fattagli dal cancelliere Bethmann Hollweg, di aver deciso di iniziare dalla Russia le dichiarazioni di guerra del 1914 «per aver subito dalla sua i socialdemocratici»9 .

4 Kevin B. Anderson, Marx at the Margins: On Nationalism, Ethnicity and Non-Western

Societies, University of Chicago Press, 2016, pp. 42-78 («Russia and Poland: The Relationship of National Emancipation to Revolution»). Paul W. Blackstock and Bert F. Hoselitz, The Russian Menace: a collection of speeches, articles, letters and news dispatches by Karl Marx and Friedrich Engels, George Allen and Unwin, 1953. 5 V. qui il mio articolo sulla Legione Italo-Britannica. 6 Come sosteneva David Urquhart (1805-1877). Karl Marx, Secret Diplomatic History of the Eighteenth Century and the Story of the Life of Lord Palmerston, edited by Lester Hutchinson, International Publishers, New York, 1969. Jack Fairey, The Great Powers and Orthodox Christendom: The Crisis over the Eastern Church in the Era of the Crimean

War, Palgrave Macmillan, 2015. 7 «Che miserabile – scriveva ad Engels – è questo Garibaldi (intendo dire donkeyhaft) che è mezzo killed dall’abbraccio di John Bull […] Nel segreto congresso di Bruxelles (settembre 1863) – con Garibaldi nominalmente chief – venne deciso che egli dovesse venir a Londra, ma in incognito, cogliendo così di sorpresa la città. Quindi egli avrebbe dovuto come out per la Polonia in the strongest possible way. Invece di far questo, il nostro uomo fraternizza con Pam!» Riportato in Luciano Canfora, Augusto figlio di Dio, Laterza, 2015, pp. 53-54 (dove donkeyhaft è reso «somariforme»). V. Ilari, «L’ordine regna a Varsavia»,

Limes, dicembre 2017, pp. 99-106. 8 Michail Agursky, The third Rome: national Bolshevism in the USSR, 1987. 9 «Il principe di Bülow racconta nelle sue Memorie di essersi trovato da Bethmann-Hollweg subito dopo la dichiarazione di guerra della Germania alla Russia nell’agosto 1914. Bethmann interrogato perché avesse cominciato dal dichiarare la guerra alla Russia, rispose: “Per aver subito dalla mia parte i socialdemocratici”. Bülow fa a questo proposito alcune

Noi credevamo 201

La pubblicazione pamphlettistica delle Lettere Slave di Mazzini avvenuta alla vigilia della guerra russo-turca (1877) e delle guerre balcaniche (1909, 1911), apre spiragli interessanti sulla difficoltà incontrata dalla sinistra italiana nel prendere posizione tra gli opposti imperialismi dove etica e ideologia offrivano giudizi, ma non criteri d’azione. L’opuscolo del 1877 – estratto dal IX volume [il primo non controllato dall’Autore] della prima opera omnia10 – uscì, col titolo La Questione d’Oriente, «per cura della Commissione per la pubblicazione delle opere di Giuseppe Mazzini» e finanziato dalla «Lega per la Liberazione e l’affratellamento dei popoli della Penisola Slavo-Ellenica» fondata a Milano dal veneziano Marco Antonio Canini (1822-91)11 e come tutte presieduta da Garibaldi. Lo scopo dichiarato era di sostenere la Serbia e il Montenegro contro la Turchia, «indicando all’Italia, ribattezzata appena nella Indipendenza e nell’Unità, i nuovi dettami d’una gloriosa ed universalmente benefica Politica Internazionale». La Nuova Italia doveva continuare nella sua missione storica di madre di tutti i risorgimenti, di grande sovvertitrice degli equilibri fondati sull’asse russo-tedesco, che Bismarck avrebbe consolidato con la Conferenza di Berlino e il Patto dei Tre Imperatori, accettato poi dall’Italia con l’adesione alla Triplice.

La Sinistra parlamentare era appena andata al governo, con Depretis, sulla base del principio di nazionalità, ma era vincolata dalla garanzia che i vincitori della guerra di Crimea avevano dato all’Impero Ottomano proprio per impedire alla Russia, in veste di liberatrice dei popoli slavi (quelli del Sud), di conquistare i Dardanelli riunendo la Seconda e la Terza Roma e sfrecciare da Suez e Gibilterra. E mentre una četa di mangiapreti italiani combatteva in Serbia fianco a fianco dei dobrovol’tsy cristiani12 e agli ordini del generale Michail Grigor’evič Černjaev

osservazioni sulla psicologia di Bethmann-Hollweg, ma ciò che importa dal punto di vista di questa rubrica è la sicurezza del Cancelliere di poter avere dalla sua parte la socialdemocrazia contro lo zarismo russo; il Cancelliere sfruttava abilmente la tradizione del ’48, del ‘gendarme d’Europa’». [Gramsci, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno, Einaudi, Torino, 1955, p. 169]. 10 V. annuncio e sommario ad es. in La donna. Periodico d’educazione, Venezia, IX, II, N. 289, 15 marzo 1877. 11 Angelo Tamborra, «Canini, Marco Antonio», DBI, 18, 1975. Francesco Guida, «Marco Antonio Canini e la Grecia. Un mazziniano suo malgrado», Balkan Studies, 20, 1979, pp. 344-392. Id., «Marco Antonio Canini corrispondente dal fronte di guerra russo-turco nel 1877», Archivio Storico Italiano, Vol. 137, No. 3 (501) (1979), pp. 335-424. Walter Maturi, «Le avventure balcaniche di Marco Antonio Canini nel 1862», Studi in onore di G.

Volpe, Firenze, 1957, vol. II, pp. 557-643. Canini fu anche corrispondente in Crimea per l’Opinione di Torino e osservatore della Comune di Parigi. 12 A. H. Khvostov, Russkie i serby v vojnu 1876 goda za nezavisimost’ khristian, SP, 1877. A. V. Okorokov, Russkie dobrovol’tsy, Avuar konsulting, 2004. Yurij Aseyev, Inna Kravčenko, Natal’ja Kants, Slavjanskij soyuz: neobkhodimost’ i vozmozhnost’, 2017.

202

Italy on the RImland

(1828-98), l’eroe di Inkerman e Malakov e il conquistatore di Taškent salutato dal Secolo del 16-17 luglio 1876 come il «Garibaldi Russo»; e mentre il Garibaldi italiano benediva la neonata Associazione dell’Italia irredenta e sosteneva l’allargamento alla Dalmazia dell’insurrezione in Erzegovina provocando i primi scontri interetnici tra contadini croati e proletari immigrati italiani13 – il governo Depretis cercava di barattare l’avallo all’espansione austro-ungarica nei Balcani con Trento e Trieste, mentre Crispi, presidente della Camera, correva da Bismarck per ottenerne l’appoggio14 .

Ma la subalternità del movimento risorgimentale alla geopolitica britannica emerse nel 1877 quando Garibaldi dovette prendere atto che cacciare la Turchia dai Balcani significava consegnarli alla Russia. E così di nuovo, come vent’anni prima in Crimea, anche l’Estrema si trovò al fianco dei jingoisti. Il termine – che indicava la sindrome «visceral-imperialista» orripilata da un vero liberale come il grandissimo John Atkinson Hobson (1858-1940) 15 – nacque appunto nel 1877, da una canzone plebea (By Jingo We Do! Perdinci che la facciamo!, la guerra) in cui si invocava un intervento inglese nell’undicesima (e per ora penultima) guerra russo-turca. La nuova Crimea fu evitata, ma l’Inghilterra bilanciò l’indipendenza della Bulgaria (ingrata poi alla «osvoboditel’ narodov») occupando l’Afghanistan, mentre la Russia fu investita da un’ondata terroristica culminata nell’assassinio dello zar riformista16 .

Un secondo tirage à part delle Lettere Slave fu pubblicato dalla casa editrice

13 Marcella Deambrosis, «La partecipazione dei garibaldini e degli internazionalisti italiani all’insurrezione di Bosnia ed Erzegovina del 1875-76 e alla guerra di Serbia», in Renato Giusti (cur.), Studi garibaldini e altri saggi, Mantova, 1967, pp. 33-82; Ead., «Garibaldini e militari italiani nelle guerre ed insurrezioni balcaniche (1875-77)», in R. Giusti (cur.), Giuseppe Garibaldi e le origini del movimento operaio italiano (1860-82), Mantova, 1984, pp. 29-51. Eric Robert Terzuolo, «The Garibaldini in the Balkans», The International History Review, Vol. 4, No. 1 (Feb. 1982), pp. 111-126. Luciano Monzali, Italiani di

Dalmazia, dal Risorgimento alla grande guerra, Le Lettere, 2004. Celso Ceretti, garibaldino mirandolese, Fiorini, 2007. Eva Cecchinato, Camicie rosse. I garibaldini dall’Unità alla grande guerra, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 234-250. In generale v. Dorothy Anderson, The Balkan Volunteers, Hutchinson, 1968. 14 Angelo Ara e Arianna Arisi Rota, «La questione della Bosnia Erzegovina e l’Italia (187577)», Il Politico, Vol. 55, N. 4 (156), ott.-nov. 1990, 691-702 (Ara) e 703-714 (Arisi). Armando Pitassio, «L’Estrema sinistra e il movimento garibaldino di fronte alla crisi d’Oriente del 1875-78», Europa Orientalis, 2, 1983, pp. 107-121. 15 Attualissimo impasto di «credulity, brutality, christianity [democracy, human rights] in khaki, vainglory and shortsight, the eclipse of humour, the “inevitable” in politics, the abuse of the press, platform and pulpit» (v. John Atkinson Hobson, The Psychology of Jingoism, Grant Richards, London, 1901). 16 Roman Klyučnyk, Terrorističeskaja vojna v Rossii 1878-1881, e Vtoraja terrorističeskaja vojna v Rossii 1901-1906, 2917 e 2018,

Noi credevamo 203

Nerbini di Firenze nel 1909 come guida alla «politica internazionale» dell’Italia di fronte agli eventi balcanici (annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina, prima insurrezione albanese) e ristampato nel 1911, l’anno della guerra italo-turca e della prima guerra balcanica, col sottotitolo «nell’ora che l’Albania insorge a civiltà»17: alquanto paradossale se si pensa che le insurrezioni albanesi del 190912 erano dirette proprio contro le riforme modernizzatrici dei Giovani Turchi18 . La pubblicazione era promossa dal Comitato mazziniano Pro-Albania, formato ad Ancona dal napoletano Oddo Marinelli (1888-1972), dal marchigiano Lamberto Duranti (1890-1915) e dall’arbëresh Terenzio Tocci (1880-1945)19 e soste-

17 Politica internazionale. Lettere slave. Quale politica internazionale convegna alla dignità, alla prosperità e alla grandezza d’Italia, Firenze, Casa Editrice Nerbini, 1909; Lettere Slave. Questione d’oriente e politica internazionale, 1911. Ripubblicato online il 6 dicembre 2011 nel Progetto Manuzio (liberliber) a cura di Alessio Sfienti, Associazione Nazionale

Mazziniana. 18 James Tallon, The Failure of Ottomanism; Albanian Rebellions of 1909-1912, University of Chicago, 2012. 19 Includeva pure Felice Figliolia, Giuseppe Chiostergi di Senigallia e Alina Albani Tondi (responsabile di Fede Nuova, giornale femminile mazziniano). Massimo Coltrinari, Le

Marche e la prima guerra mondiale: il 1014, Edizioni Nuova Cultura, 2014, p. 74; per

204

Italy on the RImland

nuto da Ricciotti Garibaldi (1847-1924), che già nell’aprile 1900 aveva perorato su Italia Nuova l’autodeterminazione albanese, e da un Comitato parlamentare pro Albania con 60 deputati capeggiati dal repubblicano Ettore Sighieri. Nell’agosto 1911 Duranti e altri tentarono di raggiungere l’Albania, ma furono respinti dalla Regia Marina, per non complicare i rapporti con l’alleata Austria.

La premessa all’edizione 1877 delle Lettere Slave denunciava i «tenebrosi raggiri delle vecchie diplomazie» e i «maneggi diplomatici aggirantisi entro un circolo vizioso». E in questi meandri cadde la legione garibaldina di Ricciotti intervenuta nel novembre-dicembre 1912 a sostegno dell’offensiva greca contro Giannina, distinguendosi in uno scontro nel settore di Driskos20. Appoggiata con entusiasmo dai cattolici e con rassegnazione dai giolittiani per bilanciare l’occupazione francese del Marocco, la guerra di Libia fu avversata risolutamente solo dall’Estrema: sindacalisti rivoluzionari, giovani socialisti, una parte dei repubblicani, molti dei quali divenuti poi interventisti: e tra loro, oltre a Nenni e Mussolini, quell’Alceste De Ambris (1874-1934) che nel 1914 arringava gli scioperanti a «vendere le biciclette e comprare le rivoltelle» per ammazzare borghesi e carabinieri21 e nel 1920 avrebbe raggiunto D’Annunzio a Fiume contribuendo a liberare la minoranza italiana a spese della maggioranza croata.

Intento politico del tutto opposto ebbe invece la terza edizione in estratto delle Lettere Slave, pubblicata da Laterza nel febbraio 1939, due mesi prima della sciagurata occupazione italiana dell’Albania, con una abilissima prefazione (pp. 5-21) del ventiseienne Fabrizio Canfora; il padre del grande storico Luciano, professore di storia della filosofia al prestigioso Liceo Flacco di Bari, maestro di due generazioni di intellettuali. La prefazione è datata «settembre 1938» - proprio mentre la casa editrice, già sottoposta alla Bonifica Libraria con la confisca di 22 titoli, riceveva l’intimazione del ministro della cultura Alfieri di fornire l’elenco

conto del Comitato mazziniano Pro-Albania Francesco Fabbricatore, «Terenzio Tocci. Un calabro-arbëresh per il Risorgimento nazionale albanese 1900-1911», Rivista Calabrese di

Storia del ‘900, 1, 2012, pp. 55-64. Ercole Sori, Ancona 1900-1922. Storia narrativa della città, 20 E. R. Hooton, Prelude to the First World War: The Balkan Wars, 1912-1913, Sulla legione di Ricciotti Garibaldi (1847-1924) in Albania, che si distinse a Drisko presso Giannina v. Stathis Birtachas, « In defence of the liberty and the rights of Great Mother Greece’. The Italian Garibaldini volunteers in Epirus: the decline of a long tradition in Greece. Evaluation of an old story and new research perspectives», Mediterranean Chronicle, 6, 2016, pp. 161-182. Cfr. Aldo Spallicci (medico dell’ambulanza garibaldina), La spedizione garibaldina in Grecia: le giornate di Drisko, Coop. Tip. Forlivese, Forlì, 1913; Agostino Barbetti, La legione garibaldina italo-greca, nov.-dic. 1912. Drisko, la Mentana ellenica, Roma, Tip. Italia, 1913. 21 Leopoldo Tondelli, «La rivoluzione in bicicletta», Storiadelmondo periodico telematico, n. 84, 15 giugno 2017.

Noi credevamo 205

dei componenti e collaboratori di razza ebraica22 .

E la prefazione esprime – sotto gli stessi ingenui cripticismi usati da Gramsci nei Quaderni – il dissenso del cenacolo antifascista verso la Conferenza di Monaco, svoltasi appunto il 29 e 30 settembre. La tesi di Canfora era che «la distruzione simultanea» dei due imperi giudicati da Mazzini «anacronistici», aveva posto «finalmente le condizioni favorevoli allo sviluppo e alla realizzazione dell’idea mazziniana» di sostituire la «Santa Alleanza dei prìncipi» con la «Santa Alleanza dei Popoli», incarnata nell’«istituto ginevrino della Lega» [per non dire «SdN»], ma che questa distruzione era stata «ritardata» (dalla «politica turcofila dei tory»), con l’effetto di protrarre sino al presente «una crisi che non si chiuse con la grande guerra, ma solo entrò nella sua fase più acuta». Quindi il «principio di autodeterminazione», «preso a prestito dai bolscevichi e caldeggiato dagli alleati del presidente Wilson», aveva «urtato contro grandi difficoltà» laddove mancavano «frontiere naturali», ossia in «quelle tormentate regioni d’Europa che, come vaste zone, separano i paesi centrali dalla Russia» [l’Intermarium]. Canfora sottolineava la sintonia tra Mazzini, Marx e Gladstone (insorto contro David Urquhart) nel considerare i popoli slavi, e non la Turchia, il vero antemurale contro l’espansionismo russo.

E, senza direttamente nominarlo, citava un ampio stralcio di un discorso parlamentare del «nostro ministro degli esteri» del 1921. Il colto lettore del 1938 (e probabilmente pure l’OVRA) capiva che Canfora stava citando Carlo Sforza, ministro nel governo Giolitti (15 giugno 1920-4 luglio 1921): e che il suo primo atto non appena insediato era stato di denunciare l’accordo Tittoni-Venizelos, basato sullo scambio tra l’appoggio italiano all’annessione greca di Epiro, Macedonia e Tracia meridionale e l’appoggio greco ad un «mandato» italiano sull’Albania.

22 Albertina Vittoria, «Laterza, Giovanni», DBI, 63, 2004.

206

Italy on the RImland

Rifiutando un protettorato in contrasto col principio di nazionalità, Sforza ottenne dal governo albanese (20 agosto 1920) il riconoscimento della sovranità italiana sull’isola di Saseno, davanti alla baia di Valona, che veniva incontro alle esigenze strategiche sostenute dalla R. Marina, criterio poi posto alla base del trattato di Rapallo (12 novembre) che definiva il confine italo-jugoslavo erigendo Fiume in Città Stato [in condizione analoga a Danzica, essendo entrambe necessarie ai disegni anglo-francesi di sostegno militare a Praga e Varsavia] e rinunciando alla Dalmazia in cambio di Zara e di alcune isole. Sforza non viene però citato – o piuttosto evocato – da Canfora in rapporto all’Albania, la cui occupazione fu decisa improvvisamente dopo la pubblicazione del saggio, bensì in rapporto al principio (mazziniano o meno) di nazionalità e al vero interesse nazionale di un’Italia «salvata dal veleno degli irredentismi».

This article is from: