II I MIEI STUDI E LE MIE BATTAGLIE A VIENNA
A Vienna ricchezze strabilianti e povertà degradante erano mescolati l’uno all’altro in un violento contrasto. Nelle zone centrali della città si sentiva il polso dell’Impero con i suoi cinquantadue milioni, con tutto il pericoloso fascino di quello Stato con molte nazionalità. L’abbagliante splendore della Corte attraeva il benessere e l’intelligenza del resto dell’Impero come un magnete, cosa a cui va aggiunta la politica di forte centralizzazione della Monarchia degli Asburgo. Questo offriva l’unica possibilità di mantenere unito insieme tutto quel pasticcio di nazioni. Il risultato fu una concentrazione straordinaria di tutta l’autorità nella capitale. Inoltre, Vienna non era soltanto il centro politico ed intellettuale della vecchia Monarchia del Danubio, ma era anche il centro amministrativo. Oltre ad ospitare alti ufficiali, Ufficiali di Stato, artisti e professori, c’era una quantità anche più elevata di lavoratori ed esisteva un’estrema povertà fianco a fianco al benessere dell’aristocrazia e della classe commerciante. Migliaia di disoccupati vagavano tra i palazzi della Ringstrasse, e sotto tale via triumphalis le persone che non avevano una casa si affollavano nello squallore e nella sporcizia dei canali. Difficilmente si potevano studiare meglio i problemi sociali in un’altra città Tedesca meglio che a Vienna. Ma non commettiamo errori. Questo studio non può essere fatto partendo dall’alto. Nessuno che sia imprigionato nelle spire di questo velenoso serpente può giungere a conoscere i suoi denti velenosi; le persone esterne sono o diverse, o non mostrano altro che chiacchiere superficiali e falsi sentimentalismi. Non so cosa sia più desolante: l’ignoranza dei bisogni sociali da parte di quelli che sono stati fortunati e quelli che sono sorti grazie ai loro stessi sforzi oppure l’altezzosa, indiscreta e senza tatto, anche se sempre gentile, condiscendenza di alcune signore alla moda con abiti da sera e pantaloni attillati, che sono lontane dal simpatizzare con la gente. Queste ultime di certo sbagliano maggiormente per mancanza di istinto di quanto possano esse stesse comprendere. Per questo sono stupite di vedere che i risultati della loro prontezza di impegno sociale sono sempre nulli e spesso producono un violento antagonismo; questo è prova dell’ingratitudine delle persone. Tali menti rifiutano di capire che il lavoro sociale non ha nulla a che fare con questo, e soprattutto che non devono cercare la gratitudine, perché non è questione di distribuire favori, ma di restaurare dei diritti. Ho percepito anche allora che in questo caso l’unico metodo di migliorare le cose era un metodo duplice, vale a dire, un profondo sentimento di responsabilità sociale per creare migliori principi per il nostro sviluppo, combinato con spietata determinazione per distruggere le escrescenze a cui non si poteva porre rimedio. Proprio come la natura si concentra non su mantenere ciò che esiste, ma sul coltivare nuova crescita in modo da portare avanti le specie, così nella vita umana non possiamo esaltare il male esistente che, data la natura dell’uomo, è impossibile in novantanove casi su cento, ma piuttosto assicurare dei metodi migliori per lo sviluppo futuro sin dall’inizio. 12