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2. Donne per strada senz’armi, uomini senz’armi a casa
2. Donne per strada senz’armi, uomini senz’armi a casa
Violenza, paura, caldo soffocante, mancanza di generi di prima necessità, poca acqua, poche notizie e confuse, reclusione forzata nelle case, solo donne per le strade: questi i ricordi di coloro che non presero parte direttamente alla battaglia di quell’agosto 1944, tra Firenze e Fiesole.
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Marco Ramat rammenta l’aria immobile e silenziosa dell’estate piena. Chi era a Firenze in quei giorni “aveva l’impressione di essere fuori del mondo e che tutto si fosse fermato”; a parte le cannonate, non una voce:
pareva che il rione fosse rimasto di colpo deserto. Solo, dai giardini confinanti, dai pollai improvvisati, qualche chicchirichì […]. Tutta la città era diventata una solitudine sconfinata, in cui le distanze che in tempi normali si coprivano in cinque minuti apparivano allora sotto diverse latitudini. Poi, riandando ai giorni della battaglia, sapemmo dei tanti morti fra la ferrovia e il Mugnone, tra piazza Cavour e le Cure
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Dall’11 al 18 agosto, Marco e i fratelli restano chiusi in casa “perché, arrestatosi il fronte tedesco alla ferrovia, il rione si era riempito di franchi tiratori”.
Fortunatamente noi non avevamo il problema dell’acqua, perché in giardino c’era una pompa; venivano da noi, anzi, munite di fazzoletti bianchi, tante donne con fiaschi e secchi. La vita per le strade si limitava appunto alle donne che cercavano l’acqua e ad alcuni cortei della Croce Rossa che passavano dall’una parte all’altra, quella liberata, della città […]
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A sessant’anni di distanza da quegli eventi, Bruno Schacherl ripensa alla sua partecipazione alla resistenza, “come del tutto marginale”, vissuta chiuso dentro una casa di viale Volta, a due passi dal fronte: “La liberazione e l’insurrezione le ho viste dall’altra parte, nel senso che, pur condividendo tutto ciò che accadeva allora di duro e di eroico, ho dovuto aspettare la terza tappa della libertà”. La prima era stata la liberazione dell’Oltrarno; la seconda l’insurrezione dell’11 agosto; oltre la ferrovia di Campo di Marte “la liberazione arrivò appena il 18 agosto”.
30 Ramat, Primo codice cit., pp. 171-172; piazza Cavour è l’attuale piazza della Libertà.
Quel giorno uscimmo, io e Adriana, attraversammo la ferrovia sotto i colpi di mortaio che già i tedeschi facevano piovere nella zona di Campo di Marte. Mentre attraversavamo il ponte del Pino, un piccolo reparto partigiano avanzava sulla via di Fiesole e tre o quattro soldati neozelandesi sostavano in osservazione appoggiati alla spalletta del ponte. Eravamo appena passati quando udimmo uno scoppio alle nostre spalle. Ci voltammo: erano spariti i soldati e la spalletta
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Corrado Tumiati accetta di pubblicare solo nel 1954, sulla rivista di cui era uno dei principali redattori, le note “dei piccoli fatti, delle apprensioni, delle privazioni e della confusione che riempivano le ore e la mente di un cittadino, bloccato in un settore particolarmente infelice di Firenze” durante la battaglia dell’agosto 1944. All’epoca aveva quasi sessant’anni. Nel pieno dell’emergenza, stava completando una traduzione: “alterno il lavoro […] con la lettura di Giuseppe e i suoi fratelli di Mann, ma il pensiero devia”. Dei problemi pratici si occupa una donna, sfollata, con cui divide temporaneamente un alloggio di emergenza; è lei che “esce per acqua e provviste”:
Tento di uscire con lei reggendo in mano un fiasco vuoto, ma una passante e B. mi dicono di rientrare subito in casa perché solamente le donne sono tollerate dai tedeschi di guardia al Ponte minato.
Con la spesa, la donna riporta voci e notizie: i ponti “sarebbero saltati tutti, meno il Ponte Vecchio, e neozelandesi tenterebbero già di passare con mezzi di fortuna sulle rovine”. Un’altra donna che ascolta la radio dice che “gli inglesi hanno ripetuto la minaccia di portare la battaglia in città se i tedeschi si ostinano a resistere”.
Dalle finestre il solito vuoto spettrale, interrotto dal passaggio affannato di donne con fiaschi d’acqua e sporte di pane. Dopo un lungo silenzio, ripresa di colpi diretti verso l’Arno. Un aereo ronza sopra di noi e spesso si abbassa. Nessuna reazione contraerea. Un carro armato leggero passa lungo il Mugnone diretto al Ponte, un altro in direzione opposta. Due macchine non mimetizzate sostano in Piazza Cavour e ripartono subito. Donne cantano dentro una casa.
31 Ivi, p. 165. 32 Schacherl, Come se cit., pp. 40-41.
Il 7 agosto, stessa storia: “Per le vie, solo donne”. L’8 agosto esce un “piccolo manifesto” che annuncia il divieto “agli uomini di uscire, pena la fucilazione. Le donne potranno circolare solamente dalle 9 alle 18”. Anche le comunicazioni sono garantite da donne che recapitano a mano le lettere scritte dagli uomini costretti nelle case. Il 20 agosto si può dire che il momento peggiore è passato; Tumiati rientra a casa sua e riprende – a lume di candela – le sue traduzioni:
in questa luce raccolta, nel silenzio della cucina, la prosa di Marivaux o di Renard prende più vita, si fa intendere meglio. Strano contrasto con quanto sta accadendo qui intorno. Quasi un lusso. Ma un lusso che mi ha permesso fino a pochi giorni fa, e che mi permetterà domani, di pagare le innominabili vettovaglie del mio oste: quelle misteriose cartilagini, quelle interiora, quegli uteri, quelle poppe, quei calli… «Un burro», dice lo sciagurato
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Anche il medico Giovanni Favilli, attivo nel Partito d’Azione dopo la fine della battaglia, tiene un diario dei “giorni di Firenze”: comincia il 27 luglio e si interrompe il 4 settembre. Un concerto tenuto dalla banda militare inglese sotto la loggia dell’Orcagna, il primo settembre, diventa il suggello alla battaglia.
Sentivo da Palazzo Vecchio arrivare delle note di musica melodrammatica italiana. La gente accorre in massa a questi spettacoli, assetata come è di distrazioni, e con tanti disoccupati che ci sono; e vi accorrerà sempre di più, ora che la guerra si è un po’ allontanata dalla città. Infatti pare sicuro che Fiesole è stata liberata ieri nonché le cave di Maiano ove i tedeschi si erano annidati; e stamani si diceva che i tedeschi si erano ritirati oltre Pratolino. Così ormai si dovrebbe essere al sicuro, o quasi, dalle cannonate. Queste non sono arrivate sulla città stanotte; e stanotte ho sentito soltanto vari fragorosissimi colpi del solito grosso calibro che deve essere verso il Poggio Imperiale, o subito dietro, ma non il fuoco solito dell’artiglieria. Anche da altri ho saputo che la notte è stata tranquillissima. Gli Alleati hanno spostato in avanti le loro linee, con la consueta precauzione e protetti da un «velo» dei nostri partigiani. Tardi nel pomeriggio, ieri, una lunga colonna di cannoni
33 Per tutto questo, cfr. C. Tumiati, Emergenza al Ponte Rosso, “Il Ponte”, a. X, n. 9, settembre 1954, numero speciale per il decimo anniversario della liberazione di Firenze, pp. 1428-1435.
da campagna, trainata da autocarri, ha attraversato Via Tornabuoni, proveniente dal Ponte S. Trinita e diretta, evidentemente, verso le zone ove si combatte
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Queste tre testimonianze sono state scritte – in fasi diverse delle loro vite – da tre uomini, accomunati dal fatto di non avere partecipato direttamente alla battaglia, con le armi in pugno, di provenire da un ambiente intellettuale, di far parte – direttamente o per scelte famigliari – dell’area azionista. Non raccontano la battaglia, ma l’aspetto delle case e delle strade della città mentre si combatteva la battaglia. L’agosto 1944 a Firenze potrebbe essere raccontato in altri modi e da altre voci
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La resistenza armata fu, nella maggior parte dei casi, faccenda da giovani. Marco Ramat lo era sin troppo, rimpianse sempre di non essere stato partigiano e aver perso così “un’occasione unica nella vita per redimere me stesso”: “l’avevo perduta per una formale questione di pochi anni d’età in più o in meno”
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. Anche a Firenze, i protagonisti delle canzoni partigiane sono dei ventenni. Nelle giornate d’agosto, Corrado Bianchi, “Tarzan” nella divisione “Arno” del comandante Potente, canta sull’aria di Gorizia tu sei maledetta la storia di Beppino, che lascia la città e la sua ragazza per salire sui monti a fare il partigiano:
Lei diceva: “Beppin non partire – con il volto sconvolto dal pianto – là sui monti potresti morire, senza di te pure io morirò” “là sui monti potresti morire, senza di te pure io morirò”
“Perché piangi mio caro amore? – disse Beppe asciugandole gli occhi – a vent’anni, vedrai, non si muore,
34 G. Favilli, Prima linea Firenze, Vangelista, Milano 1975, pp. 95-96. Favilli era cugino di Giaime Pintor – le loro madri erano sorelle –, e dopo la Liberazione ne scrisse un ricordo per la “NdP” (G. Favilli, Ricordo di Giaime Pintor, “NdP”, 24 aprile 1945). 35 Tra gli esempi di un racconto delle vicende militari, per restare in area azionista, cfr. Predieri, La battaglia partigiana cit. e in genere i contributi apparsi su “Il Ponte”, nn. 1 e 5, aprile e agosto 1945, riuniti anche nel volume La liberazione di Firenze. La lotta clandestina. La battaglia partigiana nella città, 8 settembre ‘43-11 agosto ’44, Le Monnier, Firenze 1945. Si vedano ancora le testimonianze contenute nel volume 11 agosto cit.
aspetta amore che ritornerò” “a vent’anni, vedrai, non si muore, aspetta amore che ritornerò”
Beppino ritorna, dietro Potente, per riconquistare la sua città:
Dopo mesi di combattimenti fra la neve, la pioggia e gli stenti superati i rastrellamenti con Potente a Firenze arrivò superati i rastrellamenti con Potente a Firenze arrivò
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Gianfranco Benvenuti, classe 1925, fa parte delle formazioni comuniste; alterna l’attività sui monti intorno a Firenze con quella in città; passa l’Arno l’11 agosto, per la pescaia di Santa Rosa, quella a valle di Ponte Vecchio:
Pantera, irrefrenabile, vuol essere il primo, rimane sotto il tiro lungo dei tedeschi nascosti tra gli alberi delle Cascine; una beffa il corpo di Pantera disteso sul bianco smagliante dei massi, sotto il solleone, vicino l’acqua, calma e memore di ore liete di una infanzia lontana secoli.
Dal lungarno si infilano in via Palazzuolo che “scroscia, straripando da porte e finestre spalancate, un uragano gioioso di voci”. I partigiani, in doppia fila, procedono cantando “Bandiera Rossa”.
Raggiungiamo la via Strozzi, la piazza ora della Repubblica, allora Vittorio Emanuele II, tra gente più rada, sempre plaudente. “Le Giubbe Rosse” ha le tende abbassate, è deserto, adesso che i libri sono chiusi e le discussioni non contano, cultura è impugnare un’arma, spianarla contro il verso sbagliato della storia.
36 Ramat, Primo codice cit., p. 172. 37 La canzone è citata da E. Jona, “Compagni se vi assiste la memoria”. Il canto partigiano in Toscana, in Canzoni e Resistenza, atti del convegno (Biella, 16-17 ottobre 1998), a cura di A. Lovatto, Consiglio Regionale del Piemonte, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, Borgosesia 2001, pp. 49-66, le cit. alle pp. 59-60.
Benvenuti sente che la battaglia – e non solo quella – è finita quando arrivano i reparti regolari dell’esercito alleato, il primo settembre, mentre Fiesole ormai è in vista.
Uomini che non potevano essere felici, resero amara la nostra esistenza. Così, in mezzo a tonnellate di esplosivo e di armi di ogni tipo, tra soldati dai quali sentivamo distinguerci per aspirazioni e metodi, dovemmo lasciare il posto alla guerra ufficiale
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Una settimana dopo tutte le squadre partigiane fiorentine devono riconsegnare le armi. Gli Alleati le ritirano durante una cerimonia ufficiale che si tiene alla Fortezza da Basso
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38 G. Benvenuti, Ghibellina 24. Memorie per un contributo alla storia della Resistenza fiorentina, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Città di Castello 1974, le cit. alle pp. 194-196 e 208. 39 Cfr. per esempio, Predieri, La battaglia partigiana cit., p. 443.