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Dopo l'Anno Mille avanti Cristo

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I documenti

I documenti

mento di sangue dei nemici, dei ladri e dei correi avrebbe giovato una ritrovata unità tra i discordi poteri, forse cresciuti di numero nelle varie regioni, dello stato.

Dopo l'Anno Mille avanti Cristo

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La Sicilia multietnica e non ancora grecizzata lungo le coste da nobiltà in fuga continua per altri secoli la sua vita di commerci di prodotti agricoli e minerari con il mondo conosciuto; la gente vive di agricoltura e pastorizia e, considerando la ricchezza offerta dalle doti naturali del suolo siciliano, la assenza di notizie di guerre a lungo decorso, la popolazione dovette accrescersi e prosperare.

Un altro periodo sul quale le fonti nulla riportano viene citato grazie alle indicazioni degli archeologi: sul Monte Iato, in odierna triste zona, sorge in tempi remoti la città di Iaitas, ma altre notizie e dati è lecito attendersi dalla ricerca archeologica estesa anche in terreni non siciliani. I ricchi commerci di cui si ha traccia almeno dal secolo XVII consentono ai prìncipi dei vari centri sicani e siculi di sostenere – come visto – le produzioni artistiche di cui si ha pallido riscontro nei prodotti culturali detti di Thapsos e Milazzo. Li precedono le culture di Castelluccio, di Rodì-Tindari-Vallelunga, di Capo Graziano, Lipari, e Capo Milazzese alle Eolie. Quest'ultima eredità di Panarea subisce come visto la forte influenza culturale o conquista militare da parte di Sicani non

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estranei alla facies di Thapsos del XV-XIII secolo a.C.

La figura di re Iblone è collocabile dopo il Mille avanti Cristo, e il ricordo della sua potenza e dei suoi predecessori vive nella regione che porta ancora oggi il suo nome: è caratterizzata dalla presenza dei Monti Iblei e dalla ricchezza di numerosi corsi d'acqua. Il nome della città di Ibla Maggiore lascia intuire una presenza urbana rilevante e un potere politico che ha consentito la edificazione di almeno altre due città (Ibla Geleatide e Ibla Erea).

Pantalica (Sortino) pare zona sacra correlata alle attività solo commerciali costiere di Tapsos o Megara. Ricordiamo che la necropoli offre quel che rimane di insediamenti Sicani e posteriori ad essi, dal 1000 all'850 a.C. come nei ritrovamenti delle sottostanti tombe di Filoporto e Cavetta, ad occaso e ad oriente.

Re Iblone ai greci esuli di Megara concede, oltre la usuale frequentazione del mercato, anche un territorio ove far sorgere una loro città. Similmente a quanto avviene in Egitto il re prende nome dalla deità adorata probabilmente in tutta la Sichelia: la dea Hyblaia. Il culto viene nei secoli a seguire sempre praticato: i nomi Gelone e Gerone, usati anche dai due tiranni di Gela, ci correla alla dea orientale ed ad un gruppo di sacerdoti indovini ricordati per il prestigio che li accompagna anche da Cicerone. Legga il nostro lettore anche il lavoro di Emanuele Ciaceri, anche per le note sul dio sicano Adranos.

Megara Ibla, col suo sottosuolo, ci fornisce interes-

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santi reperti che stimolano pensieri e discussioni: oltre al materiale in ceramica attribuito per lo stile alle produzioni corinzia, argiva, cicladica, rodia, chiota, ionica, attica, laconica calcidese ed etrusca, c'è quello di produzione locale. Quello fittile di origine corinzia (plasmato dai fondatori di Siracusa) pare presente a Megara prima che i Corinti invadano Ortigia (nucleo portuale commerciale siculo) e inizino ad annettersi la prospiciente terraferma.

Le tre datazioni indicate per la invasione corinzia di Ortigia e la fondazione (ktisis) di Siracusa – e che permangono ognuna per suo conto attendibili – sono perciò come già visto: 756 733 (con Megara fondata nel 728), 710 a.C.

Strabone poi ed Eforo prima indicano la nascita di Megara Iblea per il tramite di una cooperazione siculocalcidese nel 750 a.C.: abbiamo qui un legame tra le due stirpi sicula e dorica. Talmente grande è il patrio astio tra Corinzi e Calcidesi che si giunge ad un tentativo di adulterare la stesura storica dei fatti, falsando le date di approdo in Sichelia, da parte di Eforo, poi riecheggiato da Strabone. Se le idee avanzate dai ricercatori Vallet e Villard pescano il vero (ceramica corinzia portata a Megara Ibla dai Megaresi), la falsità l'avrebbe architettata Antioco Siracusano, incolpevolmente sostenuto poi da Tucidide. L'esempio lasciato dagli scribi ed incisori di Ramesse II è così ben presto baldamente perpetuato, come da Giulio Cesare nel De bello gallico, ed è medesimo delitto di molta nostra cronaca.

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