12 minute read

Premessa, di Giovanna Procacci e Lorenzo Bertucelli

Premessa 9

— pagata con terribili sofferenze fisiche e morali, non costituisse analogo fattore di merito patriottico ed antifascista.

Advertisement

Gli orrori della deportazione e dello sterminio razziale e politico, lo sfruttamento del lavoro coatto dei civili e dei militari fino all’esaurimento e talora alla morte, la degradazione morale alla quale i nazisti e i fascisti costrinsero deportati e internati: sono gli aspetti, drammatici e tragici, della storia della prigionia che emergono dalle interviste, e dei quali si è voluto che restasse una concreta documentazione. Purtroppo questa raccolta di testimonianze rappresenta solo un’esigua espressione del fenomeno dell’internamento militare, della deportazione e del rastrellamento dei civili nella provincia4: essa deve essere interpretata come un contributo al ricordo, e soprattutto come un doveroso omaggio a un’esperienza il cui valore storico e morale è oggi così poco riconosciuto dal nostro presente.

Il tempo della memoria, come quello dell’assunzione delle responsabilità storiche dei fatti, non trascorre mai. E ciò appare tanto più vero in una fase, come quella che da alcuni anni stiamo vivendo, di volontaria rimozione degli eventi del passato, in nome di un tanto generico quanto ambiguo appello alla cosiddetta “pacificazione nazionale”. Contro operazioni politico-culturali di tale fatta — non casualmente accompagnate da mistificanti ricostruzioni storiografiche che indicano nell’8 settembre la “morte della patria” — si pone questo nostro lavoro di ricostruzione della memoria storica che, come potrà essere facilmente dedotto dalla lettura delle interviste, smentisce tali interpretazioni e impone una riflessione sui modi nei quali, a distanza di cinquanta e più anni, sia possibile, e forse necessario, attuare un confronto che, pur non seguitando a produrre insanabili divisioni, non dimentichi le responsabilità del passato.

Il volume si articola in due parti distinte: la prima comprende le interviste degli internati e dei deportati o rastrellati, la seconda

4 La selezione attuata dal tempo e dallo stesso sterminio all'interno dei campi, la resistenza di alcuni protagonisti a ripercorrere quelle terribili esperienze sono state alcune delle cause che hanno impedito di allargare le interviste a un maggior numero di persone. Ha inciso sugli esiti anche l’entità dei finanziamenti, alla quale solo in parte ha potuto supplire l'opera di quasi volontariato dei ricercatori, e il lavoro dei laureandi. Il lavoro ha infatti potuto usufruire dei seguenti finanziamenti per la realizzazione della ricerca, del convegno e della pubblicazione: dall'Università di Modena e Reggio Emilia, 18 milioni (di cui 5 come contributo agli atti); sei milioni dall'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea di Modena; cinque milioni dalla Lega cooperative di Modena; cinque milioni dal Comune di Modena; un milione dalla Provincia di Modena; tre milioni dalla Banca popolare dell'Emilia Romagna; nove milioni (per la realizzazione del convegno) dal Comune di Carpi.

10

G. PROCACCI, L. BERTUCELLI

riproduce le comunicazioni effettuate nelle giornate di studio. Si sono voluti così unire i due aspetti complementari e inscindibili di un lavoro di ricostruzione storica basato sulla memoria: quello soggettivo, costituito dalle interviste, e quello oggettivo, della riflessione storiografica. Abbiamo scelto di collocare in apertura al volume proprio le interviste degli internati militari e dei deportati perché è stato su questo versante che si è profuso l’impegno maggiore di quanti hanno lavorato, nel corso degli ultimi tre anni, alla ricostruzione di vicende così poco conosciute nell’ambito locale modenese e alla formazione di un inedito patrimonio di memoria.

L’aver inserito nello stesso volume le storie dei deportati, dei civili costretti al lavoro coatto e degli internati militari risponde a una precisa scelta dei curatori. Pur nella diversità delle condizioni, le vicende di coloro che furono prigionieri dei lager appartengono tutte a una stessa realtà: che è quella legata al concetto di dominio della Germania nazista, al razzismo, alla visione della guerra come fine e come mezzo di sfruttamento. Come è stato scritto: “Il sistema dei Lager nasce nella Germania nazista come conseguenza logica e prevedibile di un’ideologia intollerante, che porta alle estreme conseguenze la rozza pratica fascista della violenza contro gli oppositori [...]. La storia dei Lager deve essere considerata non come un’esplosione di violenza bestiale, ma come la traduzione pragmatica di una concezione del mondo”5 .

Apparirà immediatamente evidente la sproporzione tra l’entità delle interviste degli IMI e quella dei deportati e dei rastrellati: conseguenza inevitabile del fatto che per i primi esiste il supporto delle associazioni rappresentative, mentre non esiste nessuna organizzazione che rappresenti i civili rastrellati, i cui nominativi sono stati pertanto di difficile reperimento. Per quanto riguarda i deportati, pesa, d’altra parte, la tragica vicenda del genocidio (quello razziale fu fortunatamente ridotto, grazie alla tempestiva fuga e al salvataggio in Svizzera di molti degli ebrei del Modenese).

Si noterà per altri versi una sproporzione negli interventi al convegno, essendo assai più numerosi in questo caso quelli sulla deportazione6. Ciò consegue al fatto che da tempo presso la fondazione ex campo di Fossoli è stata impostata una ricerca su que-

5 V. E. Giuntella, Il nazismo e i lager, Roma, 1979, p. 10. 6 È mancata purtroppo per la pubblicazione degli atti la relazione di Luigi Cajani, che forniva un inquadramento generale delle vicende degli IMI.

Premessa 11

sto tema, alla quale lavora un gruppo di ricercatori, dei cui contributi si sono potute giovare le giornate di studio7 .

Le interviste presenti nel volume costituiscono l’insieme di tutte quelle realizzate, con l’eccezione di alcune i cui autori hanno espressamente negato il consenso alla pubblicazione8. Al fine di conservare il carattere originario delle testimonianze, si è preferito mantenere le interviste nella loro interezza, e non raggrupparle secondo le varie tematiche (8 settembre, rastrellamenti, lavoro e sofferenze nei campi, ecc.). Per ragioni di spazio, non è stato possibile inserire le testimonianze nella loro integrità; i curatori (Lorenzo Bertucelli per la sezione riguardante i deportati e i civili rastrellati, Giovanna Procacci per quella riguardante gli IMI) hanno cercato di evitare che i tagli effettuati riguardassero argomenti essenziali e modificassero il senso del racconto.

Riguardo agli atti delle giornate di studio, le comunicazioni hanno avuto per oggetto sia aspetti interpretativi e di ricostruzione generale, sia vicende che hanno interessato più da vicino il territorio modenese e reggiano. Dopo una messa a punto dei temi (Rochat), l’attenzione è stata rivolta alle diverse tipologie della deportazione e al ruolo ricoperto dal sistema concentrazionario fascista nella deportazione stessa (Mantelli). Le condizioni alle quali furono costretti gli internati militari italiani nei campi di prigionia, e l’influenza che ebbe su di esse il presunto “tradimento” dell’8 settembre, sono state analizzate da Hammermann, mentre il problema della memoria e della rimozione del ricordo è stato affrontato, per i deportati, da Cavaglion, e per gli internati militari da Labanca, che ha analizzato anche le difficili tappe percorse da costoro al ritorno in patria. L’attenzione si è soffermata poi sulle attività svolte nel dopoguerra da alcune associazione per i deportati (Vasari, egli stesso ex deportato), e sulla drammatica espe-

7 La ricerca attuata presso la Fondazione ex campo di Fossoli è diretta dagli storici del Comitato scientifico: Enzo Collotti, Luciano Casali, Fausto Ciuffi, Liliana Picciotto Fargion e Frediano Sessi. Fossoli funzionò dal 1942 dapprima come luogo di concentramento e di smistamento di prigionieri di guerra, poi come campo di transito verso i principali lager nazisti; dal febbraio-marzo del 1944 divenne centro di raccolta di deportandi politici e di ebrei. 8 Nel caso in cui il consenso — a tutti debitamente richiesto — non sia giunto al momento della pubblicazione del volume, sono state indicate solo le iniziali del nome e del cognome. Riguardo ai luoghi nominati dagli intervistati, non sempre è stato possibile rintracciare l'esatta denominazione, trattandosi spesso di centri molto piccoli, talora limitati a una fabbrica o a un cascinale, di cui avevamo solo la dizione orale. Si è allora riportato il nome come ricordato dall’intervistato, seguito da un [sic].

12

G. PROCACCI, L. BERTUCELLI

rienza di militari appartenenti alla divisione Acqui, passati per i campi tedeschi e poi per quelli russi (Sommaruga, ex internato militare). Gli interventi riservati a studi della realtà locale affrontano i temi della deportazione e del salvataggio degli ebrei modenesi (Voigt), dei rastrellamenti nella montagna reggiana (Caroli), dei caratteri della occupazione nazista e della resistenza nel modenese e nel reggiano (Silingardi - Storchi). Infine, una serie di relazioni hanno messo a punto il lavoro svolto per la ricostruzione delle vicende legate al campo di concentramento di Fossoli (Salvarani, assessore alla cultura del comune di Carpi, Duranti, Ferri Caselli).

I limiti della ricerca sono sicuramente molti, e di alcuni di essi i curatori sono pienamente consapevoli. Il numero esiguo delle interviste di deportati e di rastrellati, e la difficoltà di attuare una estesa campionatura anche per gli IMI, hanno ristretto la tipologia delle esperienze. Per altro verso tuttavia, riguardo agli IMI, è stato possibile raccogliere numerose testimonianze di soldati, abbastanza rare nelle raccolte già altrove pubblicate.

Un altro limite è costituito dalle differenze di trascrizione delle interviste — più letterali alcune, più stringate altre —, derivanti dai diversi modi di attuazione delle sbobinature usati dai ricercatori e dai laureandi. Il fatto che le interviste siano state realizzate da non professionisti, ragazzi della stessa età dei protagonisti al momento della cattura e della prigionia, ha tuttavia in alcuni casi facilitato il colloquio, creando un’atmosfera di minore imbarazzo e di maggiore confidenza. Il lavoro di individuazione dei protagonisti e di raccolta di fonti ha permesso di recuperare una serie di memorie, conservate insieme alle interviste integrali (in nastro e in trascrizione) presso la Biblioteca della Facoltà di Economia e presso la Biblioteca dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea di Modena. Esse potranno costituire un fondo di consultazione per gli studi futuri. La speranza dei curatori della ricerca è che il lavoro di raccolta possa ottenere i mezzi necessari per poter essere ancora esteso, per comprendere, oltre ad altri internati militari e rastrellati (i deportati sono stati quasi tutti già avvicinati), anche i prigionieri delle potenze alleate, trattenuti nei campi inglesi, francesi, americani e russi.

Settembre 2000

Parte prima

INTERVISTE

GLI INTERNATI MILITARI ITALIANI LE TESTIMONIANZE DEGLI IMI DELLA PROVINCIA DI MODENA

di Giovanna Procacci

Quanti furono i militari della provincia di Modena internati in Germania e nei territori occupati dai nazisti? Probabilmente circa quasi 17.000: ma la cifra è incerta.1 Nessuna fonte ufficiale ha fornito dati sicuri, né a livello nazionale, né, tantomeno, a quello locale.2

1 La cifra è riportata da C. Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena 1940-1945, Milano 1998, p. 681. 2 Per i dati nazionali cfr. G. Schreiber, I militari internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945. Traditi disprezzati dimenticati, Roma 1992, pp. 230-38, 307-11, 331, 370-409, 577-79, 582, 692-94; v. anche Id., Gli internati militari italiani ed i tedeschi (1943-1945), in N. Labanca (a cura di), Fra sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1939-1945), Firenze 1992, pp. 41 ss., 58; Id., Gli internati militari italiani nelle fonti della Wehrmacht e del Ministero degli affari esteri, in Una storia di tutti. Prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale, Milano 1989, pp. 137-141 (discussione sui dati, con indicazione delle fonti); C. Sommaruga, Alcuni aspetti amministrativi della gestioni degli IMI nei lager e fuori dei lager, in Fra sterminio, cit., p. 260; Id., Quanti eravamo?, in C. Sommaruga (a cura di), Dopo il Lager. La memoria della prigionia e dell'internamento nei reduci e negli "altri", Napoli 1995, pp. 119-20 (alle pp. 103-04 l'A. accenna alla molteplicità delle figure dei catturati e alla difficoltà di definirli numericamente); G. Rochat, Memorialistica e storiografia sull'internamento, in N. Della Santa (a cura di), I militari italiani internati dai tedeschi dopo l'8 settembre, Firenze 1986, pp. 24 e 55 ss. Secondo Schreiber, in Italia settentrionale e centrale furono catturati 416.000 militari, a Roma e nel Sud 102.000, nella Francia meridionale 59.000, nei Balcani e nelle isole del Mediterraneo 430.000. Furono internati in Germania circa 650.000, e di essi morirono nei lager nazisti circa 45.000. Le percentuali della mortalità furono del 7,4%, per l'Italia, del 3,5% per la Gran Bretagna e di ben il 57,5% per la Russia (che contò quasi 6 milioni di militari prigionieri: C. Streit, La sorte dei prigionieri di guerra sovietici 1941-1945, in Fra sterminio, cit., pp. 9395); il totale dei prigionieri di guerra e dei lavoratori coatti in Germania viene valutato in circa 14 milioni (D. Eichholtz, La deportazione di manodopera in Germania 19391945, in Spostamenti di popolazione e deportazioni in Europa 1939-1945, Bologna 1987, p. 56). La "galassia concentrazionaria" esistente in Germania è ben descritta in C. Sommaruga, L'"internamento": memoria e rimozione, in Dopo il Lager, cit., pp. 63-68. Questo autore, ex internato nel campo di punizione di Colonia, ha recentemente rielaborato le cifre riguardanti il numero degli internati, dei caduti, degli "optanti", degli smilitarizzati: si rinvia in particolare, oltre ai saggi già citati, a C. Sommaruga, Dati quantitativi sull'internamento in Germania, "Rassegna della a.n.r.p.", 1997, ottobre-

16

G. PROCACCI

Una singolare disattenzione ha infatti contraddistinto l’atteggiamento delle autorità competenti nei confronti delle vicende dei prigionieri italiani rinchiusi nei campi tedeschi, sia nella prima che nella seconda guerra mondiale. Se nel 1915-1918 il disinteresse dei vertici militari era accompagnato dal sospetto che la maggior parte dei prigionieri fosse rea di diserzione o di resa — sospetto che non era ancora probabilmente cessato nel 1940, come sembrerebbe risultare da indagini svolte nei confronti di ufficiali fatti prigionieri quasi venticinque anni prima3 —, dopo la fine della seconda guerra mondiale la complessa situazione delle “diverse prigionie”, l’incertezza sul comportamento dei militari catturati — se collaboranti con i nazisti, se “optanti” per Salò, se aderenti alle richieste successive —, e, non ultima, la stessa complessa situazione politica del dopoguerra ebbero come effetto la marginalizzazione, presto trasformatasi in oblio, del problema dei prigionieri.4

Di pari passo con la perdita della memoria pubblica delle vicende, si verificò anche quella della memoria storica. Come è stato più volte sottolineato, mentre le lotte partigiane erano al centro dell’attenzione politica, e mentre l’orrore prodotto dalla conoscenza del genocidio perpetrato dai nazisti induceva a riflettere e a ripercorrere le terribili tappe della deportazione, l’esperienza degli internati militari — una delle pagine più belle della Resistenza italiana5 — restava sconosciuta ai più.

novembre, p. 25; Id., Tempi e ragioni del no, ibid., luglio 1998, p. 18 ("Cifre dell'internamento"). 3 Nel 1941-42 vennero richiesti ai vari distretti militari, da parte dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, i fascicoli personali di tutti gli ufficiali di complemento o della milizia territoriale fatti prigionieri "prima, durante e dopo Caporetto", contenenti il rapporto della Commissione interrogatrice dei prigionieri rimpatriati circa le modalità e le circostanze della loro cattura da parte del nemico: cfr. Archivio dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Carteggio sussidiario Prima guerra mondiale, repertorio F3, r. 360, cc. 1, 4; 361, c. 3; 362, c. 2. 4 Cfr. G. Rochat, I prigionieri di guerra: un problema rimosso, in Una storia di tutti, cit.; Id., Le diverse prigionie dei militari italiani nella seconda guerra mondiale, in L. Tomassini (a cura di), Le diverse prigionie dei militari italiani nella seconda guerra mondiale, Firenze 1995, pp. 11-20; Id., Memorialistica, cit., p. 25; Id., La società dei lager. Elementi generali della prigionia di guerra e peculiarità delle vicende italiane nella seconda guerra mondiale, in Fra sterminio, cit., p. 132. Sul misconoscimento della drammaticità dell'esperienza insistono gli scritti autobiografici, per un aggiornato elenco dei quali si rinvia a C. Sommaruga, Per non dimenticare. Bibliografia ragionata dell'internamento e deportazione dei militari italiani nel Terzo Reich (1943-1945), Milano 1997. 5 Come la definisce G. Rochat, Prigionia di guerra e internamento nell'esperienza dei soldati italiani, in Spostamenti di popolazione, cit., p. 314.

This article is from: