25 minute read
Condizioni di vita e condizioni di lavoro degli internati militari italiani nell’area di potere tedesca fra il 1943
402
G. HAMMERMANN
Advertisement
l’esclusione dell’assistenza della Croce rossa e, con essa, un radicale peggioramento delle condizioni di vita degli internati militari italiani (IMI). Hitler e il comando supremo dell’esercito tedesco (“Oberkommando der Wehrmacht” - OKW) accettarono e approvarono tali conseguenze, giustificandole con le loro mire di vendetta per il “tradimento”.
Per il trattamento degli internati militari italiani fu di primaria importanza l’intreccio delle intenzioni di ritorsione e di sfruttamento espresse nei loro confronti in ogni settore dell’amministrazione pubblica e privata, ai vertici del Reich, a livello regionale e nelle aziende. Per un verso, sono da individuare i gruppi che volevano vedere espiato il “tradimento” in modo esemplare, attraverso la punizione e la “rieducazione al lavoro” degli IMI. Essi non si curavano, tuttavia, dei criteri di rendimento. Dall’altro lato ebbe un certo peso la posizione di coloro che, mossi dai criteri di aumento della produzione economica e dei guadagni, puntavano al maggiore sfruttamento possibile della manodopera straniera. Queste due prospettive antitetiche ebbero come esito l’impartizione di ordini altrettanto contraddittori relativi al trattamento degli internati militari. Le ripercussioni sulle condizioni di vita e di lavoro di costoro resero la loro situazione di poco migliore rispetto a quella dei prigionieri di guerra sovietici. Soprattutto nei primi mesi di prigionia, sulle considerazioni di carattere pragmatico si imposero le intenzioni di rivalsa, basate sul giudizio morale cui erano soggetti gli internati militari italiani. A ciò si aggiunse che le prime ordinanze e notificazioni vennero fortemente influenzate dalle considerazioni di opportunità in politica estera e interna. Questo uso funzionale degli internati militari italiani ebbe come effetto una stabilizzazione del regime. In politica interna, esso si manifestò nella campagna propagandistica contro il presunto “tradimento”, mentre, rispetto alla politica delle alleanze, giovò il cambiamento di status. L’improvvisazione, con cui vennero prese le decisioni basilari relative a questi prigionieri, influenzò in modo decisivo la qualità della loro alimentazione, del loro trattamento e alloggiamento. Peraltro, essa de-
Condizioni di vita e condizioni di lavoro degli internati militari italiani 403
terminò in gran misura l’atteggiamento diffamatorio nei loro confronti nel periodo a venire.
Come nel caso degli altri prigionieri di guerra, fu lo stesso Hitler a dare pochi ma decisivi impulsi al trattamento degli IMI. Egli ordinò il cambio della loro denominazione in quella “internati militari”,6 scelta operata sulla base di motivi prevalentemente politici. Il suo secondo ordine del febbraio 1944 fu apertamente determinato dal suo desiderio di vendetta. Per quanto le condizioni degli IMI fossero prossime al minimo di sussistenza, egli impose ai distaccamenti di lavoro poco produttivi la punizione collettiva della cosiddetta “alimentazione da rendimento” (“Leistungsernährung”). Mancando l’assistenza della Croce rossa, tale pena dovette peggiorare la situazione di sopravvivenza degli IMI, già assolutamente insostenibile.7 Effetti altrettanto vistosi sulle condizioni di lavoro degli internati militari italiani si ebbero quando Hitler rifiutò per mesi di corrispondere alle proposte di considerare gli internati come “lavoratori civili”, rivoltegli da Mussolini e dalle autorità tedesche del lavoro e dell’economia.8 La punizione esemplare, la rivalsa e “l’educazione” degli internati militari al lavoro furono le soluzioni praticate, destinate a contrastare le correnti pragmatiche del governo del Reich.
L’OKW appoggiò gli intenti di rappresaglia di Hitler nei confronti degli internati militari. Tale tendenza emerge dalle direttive per il loro trattamento, redatte il 5 novembre 1943 e divulgate, quanto meno in forma abbreviata, anche nelle aziende industriali. Nella “nota” si prese atto, su un piano politico, della criticità dell’internamento dei soldati italiani: “Il trattamento degli internati militari italiani è, ancor più di quello dei prigionieri di guerra di altre nazioni, una questione di importanza politica.”9 Da ciò derivò anche la discrepanza espressa dalle direttive per il trattamento: da un lato si affermò la prospettiva educativa e disciplinare, la
6 Schramm, KTB/OKW, III/2, p. 1124, 20.9.1943. 7 BAMA Freiburg, RH 49/101: OKW, Chef Kriegsgef./Allg., an die Wehrkreiskommandos, 28.2.1944. BA Berlin, R 3, 1820, foglio 114: OKW, Chef Kriegsgef./ Allg., 28.2.1944. 8 BA Berlin, R 3, 1509, fogli. 49-51, qui foglio 50: Niederschrift, betr. Arbeitseinsatz in Italien und Frankreich, 27.4.1944. BA Berlin, R 43 II, 651, fogli 158-169, qui foglio 163. BA Berlin, R 43 II, 682 b, fogli 62-63: OKW, Chef Kriegsgef., Allg., betr. Entlassung der im Reichsgebiet befindlichen italienischen Militärinternierten, 12.8.1944. 9 BAMA Freiburg, RW 6, v. 8 OKW/AWA Kriegsgef. Allg./WFSt/Wpr (IV), Merkblatt für die Behandlung der italienischen Militärinternierten, 5.11.1943.
404
G. HAMMERMANN
costrizione ad una “disciplina e ad un ordine tedeschi” (“deutsche Zucht und Ordnung”); dall’altro, restava valido il riguardo per l’alleanza con lo Stato satellite fascista che, anche se in condizioni mutate, continuava ad esistere. Tuttavia, l’OKW si vide costretto ad operare valutazioni di carattere pragmatico, quando le perdite di internati militari minacciarono di raggiungere proporzioni massicce. Così, immediatamente dopo l’ordinanza “dell’alimentazione da rendimento”, fu impartito “l’ordine di rinforzamento” (“Aufpäppelungserlaß”), che prescriveva di destinare all’agricoltura gli internati più debilitati.10 Inoltre, all’inizio di giugno del 1944, l’OKW permise l’applicazione “dell’alimentazione da rendimento” solo per gli internati dalle condizioni di salute stabili, mentre, nell’estate dello stesso anno, la concessione di razioni alimentari aggiuntive pose dei limiti a tale pratica.11
Le spinte e gli ordini del ministro della guerra Speer miravano unicamente ad aumentare l’intensità di sfruttamento della manodopera dei prigionieri di guerra e dei lavoratori stranieri, possibilmente senza incidere sulle capacità finanziarie dell’industria degli armamenti. Pertanto, favorendo una considerevole autonomia delle responsabilità delle industrie (“Selbstverantwortung”), il ministro tentò di ridurre sensibilmente le competenze delle direzioni d’azienda nell’ambito dell’attività lavorativa di stranieri e prigionieri di guerra, nonché di arginare la funzione di controllo della Wehrmacht. Il plenipotenziario per l’impiego di forze lavorative (“Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz” - GBA) Sauckel dimostrò, in un primo momento, poco interesse per la questione del trattamento di prigionieri di guerra e IMI: la sua condotta mutò quando diminuì il numero dei convogli di stranieri, fra l‘altro a causa del ricorso a metodi sempre più terroristici. Fu allora che si rivelò necessario un diverso atteggiamento nei confronti di quella manodopera straniera già impiegata in Germania. Sauckel optò quindi per la linea della conservazione a lungo termine dei lavoratori. Nonostante la sua posizione nel governo del Reich si fosse indebolita per i modesti successi riportati nel reclutamento di operai stranieri, Sauckel riuscì a migliorare la condizione degli internati militari italiani. A seguito di numerosi tenta-
10 Haniel Archiv, 4001482/23: OKW, Kriegsgef., Org. III b, betr. Abgabe nicht arbeitsfähiger ital. Militärinternierter an landwirtschaftliche Unternehmer innerhalb des Reichsgebietes, 16.2.1944. 11 STA Augsburg, Arbeitsamt Kempten, vol. 8, OKW, Chef W. San., betr. Gesundheitliche Überwachung bei italienischen Militärinternierten, 1.6.1944.
Condizioni di vita e condizioni di lavoro degli internati militari italiani 405
tivi, egli riuscì, infatti, ad assegnare la competenza degli internati alle autorità civili.12
Il trattamento degli IMI da parte delle amministrazioni aziendali dipendeva esclusivamente dalla loro effettiva produttività. La politica delle imprese era orientata alla massima del maggior sfruttamento possibile degli stranieri con il minor impiego di altri mezzi. Tuttavia, le condizioni degli internati militari italiani si differenziavano in base al ramo industriale in cui erano impiegati, alla politica adottata dalla direzione e alla grandezza della ditta. La legislazione lacunosa e contraddittoria lasciava spazio a iniziative arbitrarie assai rigide da parte delle imprese. Con l’obiettivo di aumentare le prestazioni degli internati militari italiani, già prima delle ordinanze ufficiali del governo le aziende e le autorità per il lavoro sanzionarono il ricorso a punizioni fisiche disciplinari13 e alla diminuzioni delle razioni alimentari.14 Tali misure erano state adottate precedentemente solo per gli “Ostarbeiter”, i prigionieri di guerra polacchi e sovietici. Comunque, anche se in misura differente di volta in volta, è possibile stabilire una serie di cambiamenti che arrivarono all’applicazione, funzionale e orientata a un maggior rendimento, di incentivi per gli internati militari italiani.15 Al fine di aumentare la scarsa produttività degli IMI,
12 BA Berlin, R 43 II, 651, foglio 57, Protokoll einer am 25.4.1944 im Beisein von Lammers, Sauckel, Ley, Fischböck, Abetz und Speer bei Hitler abgehaltenen Besprechung, 27.4.1944. BA Berlin, R 3, 1509, fogli 49-51, Niederschrift, betr. Arbeitseinsatz in Italien und Frankreich, 27.4.1944. PAAA Bonn, Nr. 9, d. 13, Arbeitsrecht, Italien, Aufzeichnung, 14.6.1944. BA Berlin, R 43 II, 651, fogli 158-159, Chefbesprechung vom 11.7.1944, 12.7.1944. 13 NdsHSTA Hannover, Nds 300/27/71-71, XXI-38, Arbeitsgemeinschaft Blomberg-Melle, Bauunternehmung an den Reichstreuhänder der Arbeit, Arbeitsamt Watenstedt, betr. Leistungen ausländischer Kriegsgefangener, 4.11.1943. NdsHSTA Hannover, Nds 300/27/71-71, XXI-38, Arbeitsamt Goslar, Nebenstelle ClausthalZellerfeld, an das Arbeitsamt Goslar, 5.4.1944. NdsHSTA Hannover, Nds 300/27/7171, XXI-38, Reichstreuhänder der Arbeit, Hannover, an die Gruppe Verwaltung des Kriegsgef. Mannsch. Stammlagers XI B, 31.5.1944. 14 NdsHSTA Hannover, Nds 300/27/71-71, XXI-38, Der Präsident des Arbeitsamtes Watenstedt an den Präsidenten des Gauarbeitsamtes und Reichstreuhänder der Arbeit Südhannover-Braunschweig, 17.11.1943. LA Magdeburg, Rep J, BunaWerke, Nr. 450, foglio 65, Gefolgschaftsabteilung, Mitteilung Nr. 129/43 an die Betriebe und Firmen, 24.11.1943. STA Bremen, NSDAP 7, 1066-271, Gewerksleiter der DAF für Handwerk, Handel und Gewerbe in Bremen an die Deutsche Arbeitsfront, Reichsleitung, 8.12.1943. IfZ, MA 441/9/2761127, Der Chef der Sicherheitspolizei und des SD, Amt III, Berlin, SD-Berichte zu Inlandsfragen, 9.12.1943. 15 BAMA Freiburg, RW 21-14/17, S. 60, S. 71, Kriegstagebuch des Rüstungskommandos Dortmund, 1.1.-31.3.1944. BAMA Freiburg, RW 21-22/19, Kriegstagebuch des Rüstungskommandos Gießen, Anfang 1944. Hoesch Archiv, G/7/C 2,2, 2. Weltkrieg, Ostarbeiter und Kriegsgefangene, Lagerverwaltung Italienerlager, Unnaer Straße, Arbeitskommando 3009 an Hoesch AG. Hoesch Archiv, G/7/C, 2. Welt-
406
G. HAMMERMANN
dall’inizio del 1944 alcune ditte garantirono momenti di tempo libero, organizzarono manifestazioni culturali e migliorarono la qualità degli alloggi.16
Nel complesso, risulta evidente che, negli ultimi due anni di guerra, il trattamento dei lavoratori stranieri fu dettato non solo da visioni razziste, ma sempre più dalla considerazione della loro rispettiva funzione economica nel processo lavorativo. La loro posizione all’interno delle imprese dipendeva dal loro campo di competenza e dalla loro facilità di parola, dal grado di formazione e dalla durata dell’occupazione. Tuttavia, gli internati militari italiani furono interessati solo gradualmente da questo cambiamento. In un primo momento, quanto meno nell’industria pesante e in quella mineraria e edilizia, essi si trovarono a un livello basso della gerarchia delle prestazioni. Proprio in questi settori industriali caratterizzati da grandi fatiche fisiche, i metodi disciplinari degradanti erano all’ordine del giorno.17
La tesi dei maltrattamenti sugli internati, in seguito ad una generale insubordinazione di natura politica, non trova riscontro negli incartamenti processuali o negli atti aziendali. È pur vero che, degli internati militari già rinchiusi nei campi di prigionia, circa l’85 % rifiutò ogni collaborazione militare con la Germania o con la Repubblica sociale italiana.18 Gli episodi di resistenza sul
krieg, Ostarbeiter und Kriegsgefangene, Lager Gemeinschaftsküche Krankenhaus Nord, Gutachten über die Verträglichkeit des im Lager Unnaerstraße an das ital. Arbeitskommando 3009 ausgegebene ”Sämigmark”, 16.9.1944. STA Hamburg, Behörde für Ernährung und Landwirtschaft, A b IV 7 k: Das Gewerbeaufsichtsamt Hamburg an das Landes-und Haupternährungsamt, Abt, B, betr. Lebensmittelzulagen für italienische Militärinternierte, beschäftigt bei der Firma Gutmann AG, Hamburg-Altona, 19.1.1944. STA Hamburg, Behörde für Ernährung und Landwirtschaft, A b VIII, 4a, Die Deutsche Arbeitsfront, Gauwaltung Hamburg, Hauptabteilung Arbeitseinsatz, an alle Kriegsgefangenen-und Ital. Mil. Interniertenlager, 4.5.1944. 16 SächsHSTA Dresden, Autounion 704, Entwicklung der Belegschaft vom 1.11.1943-30.4.1944 bei den Autounion-Werken. IfZ, ED 187/2: Sonderführer (Z) Täuber Landesschützenbataillon 715 Wolfenbüttel, Bericht über Außenarbeit vom 9.-16.1.1944, 17.1.1944. 17 Haniel Archiv, 4001482/1, Über den Einsatz, Leistung, Entlohnung, Unterbringung und Betreuung der Fremdarbeiter während der Jahre 1943/44 bei der GHH Sterkrade. Haniel Archiv, 400100/47, Geschäftsbericht der Oberhausener Hüttenbetriebe 1943/44, 1.7.1944, p. 9. Wolfgang Jonas, Das Leben der MansfeldArbeiter 1924-1945. Eine Dokumentation, Berlin-Ost 1957; p. 396. BayHSTA München, Wi 9135, Bericht des Oberbergamtes München zur wirtschaftlichen Lage des Bergbaus im Oktober 1943 an den RWM, 19.11.1943. STA Münster, Bergamt Dortmund A 4 48, Oberbergamt Dortmund an den Herrn Reichswirtschaftsminister, 19.11.1943. 18 Al contrario, fu sensibilmente piú alto il numero complessivo di chi era disposto all’alleanza; di coloro, cioè, che, dopo il disarmo, si offrirono come volonta-
Condizioni di vita e condizioni di lavoro degli internati militari italiani 407
posto di lavoro furono rari e tuttavia fenomeni individuali e non collettivi.19 Rispetto agli altri gruppi di stranieri, gli internati militari italiani non si distinsero per comportamenti contrari all’ordinamento del lavoro, anche dopo il loro passaggio alle competenze delle autorità civili.20
Le condizioni di lavoro degli internati militari
Al momento in cui gli IMI vennero incorporati nel processo lavorativo, le condizioni occupative si stavano inasprendo a causa dei crescenti orari di lavoro. Oltre agli aumenti di ore settimanali, essi furono costretti a prestazioni straordinarie, come operazioni di carico e scarico, durante i giorni festivi.21 Anche gli attacchi aerei, che si quintuplicarono fra il 1943 e il 1944, influirono negativamente sul tipo di vita degli internati militari, creando nuove sostanziali disparità fra le condizioni nelle piccole città e in campagna e, dall’altro lato, nelle metropoli e nei grandi agglomerati urbani.
Altri peggioramenti si ebbero per la scarsa qualità dell’assistenza. La posizione giuridica degli internati militari non permetteva loro di beneficiare dell’opera della Croce rossa internazionale (CRI), che costituiva fino al 60 % dell‘alimentazione dei prigionieri di guerra.22 Perciò minacciava un circolo vizioso di de-
ri, o di coloro che si dichiararono pronti a combattere ancora al fianco dell’aeronautica tedesca, delle SS e delle nuove milizie della RSI. Schreiber arriva a contare 186.000 volontari, vale a dire il 23% dell’esercito italiano disarmato (Schreiber, Militärinternierte, cit., pp. 336-338). Rispetto al grado di servizio, nei campi di prigionia si riscontra un maggiore consenso fra gli ufficiali, che nella truppa (Schreiber, Militärinternierte, cit., p. 383). 19 G. Hammermann, Militärinternierte, cit., pp. 269-276. Cajani, Die italienischen Militärinternierten im nationalsozialistischen Deutschland, in U. Herbert (a cura di), Europa und der Reichseinsatz. Ausländische Zivilarbeiter, Kriegsgefangene und KZ-Häftlinge in Deutschland 1938-1945, Essen 1991, pp. 295-316; p. 302. 20 STA Münster, Polizeipräsidium Dortmund, Haftbücher: Ausländische Arbeitskräfte, 23. HessHSTA Wiesbaden, Gefangenenbücher, 408/186: Aufnahmebücher des Polizeigefängnisses Wiesbaden, 28.4.1944-23.1.1945. NdsHSTA Hannover, Hann 87, Hann Nr. 259, Acc 43/68: Wöchentliche Meldungen der Geheimen Staatspolizei Hannover an den Herrn Polizeipräsidenten in Hannover, 5.8.1944-28.2.1945. 21 STA Leipzig, Erla-Maschinenwerke GmbH Leipzig, 277, foglio 169 sgg., Kriegsgef.-Mannschaftsstammlager IV F, Gruppe Verwaltung, Hartmannsdorf, Abschrift der Abrechnungsliste für die Zeit vom 1.6.-30.6.1944 über die beschäftigten italienischen Kriegsgefangenen bei der Auxid GmbH in Aue/Saale. BrandLHA Potsdam, Rütgerswerke AG, Werk Erkner, Rep 75, Nr. 12, Aktennotiz des Betriebsführers und Betriebsobmanns, 26.5.1944. 22 L. Cajani, Internati, cit., in N. Labanca, Fra sterminio e sfruttamento, cit., p. 160.
408
G. HAMMERMANN
nutrizione, insufficienti prestazioni e riduzione delle cure. Inoltre, la quantità ufficiale dei rifornimenti, e in particolar modo delle razioni di patate, fu sensibilmente ridotta nell’autunno del 1943 per i prigionieri di guerra, fatto di cui particolarmente gli internati militari e i prigionieri sovietici ebbero molto soffrire.23 Queste stesse razioni alimentari sempre minori non furono del tutto distribuite, a causa delle strette regionali, della scarsa qualità delle derrate e delle malversazioni. Anche l’approvazione di supplementi, dettata da considerazioni sulle prestazioni dei lavoratori, e la pratica “dell’alimentazione da rendimento” furono fra le cause principali di ciò.
L’espressione “alimentazione da rendimento” (“Leistungsernährung”) stava a indicare una riduzione delle consuete razioni alimentari, tesa a costringere gli internati ad aumentare la loro produttività. È documentato che tale misura punitiva fu adottata dalle imprese, in un primo momento, solo per i prigionieri di guerra sovietici. Ciononostante, prima che il governo la ufficializzasse con un’ordinanza rivolta a tutto il mondo imprenditoriale, essa venne allargata da alcune ditte anche agli internati.24 Quando poi le perdite di internati militari italiani indussero le aziende a scelte di segno contrario, l’ordine di Hitler del 29 febbraio 1944, relativo all’alimentazione da rendimento, fu divulgato come un puro strumento punitivo. Esso interpretava lo scarso rendimento come un evidente rifiuto di lavorare, come atto di resistenza. Pertanto, secondo l’impostazione mentale di Hitler, era necessario punirlo. L’applicazione indiscriminata di questo metodo disciplinare mirava a sciogliere i legami di gruppo e i sentimenti di solidarietà all’interno delle unità di lavoro italiane, chiudendo un occhio sul fatto che anche gli individui più cooperativi potessero
23 STA Leizig, Fa. Rudolf Sack, Nr. 384, p. 95: Verpflegungssätze für nichtsowjetische und sowjetische Kriegsgefangene ab dem 31.5.1943. StadtA Rüsselsheim, VIII, 35/17: Verpflegungssätze für nichtsowjetische Kriegsgefangene, 31.5.1943. StadtA Rüsselsheim, VIII 35/16: Der Landrat von Groß-Gerau an die Bürgermeister im Kreis, betr., Erlaß des Reichsernährungsministers vom 20.10.1943, 11.11.1943. Thyssen Archiv, VSt 14: Vereinigte Stahlwerke, Sozialwirtschaftliche Abteilung über den Erlaß des Reichsministers für Ernährung und Landwirtschaft v. 9.12.1943, 17.2.1944. STA Leipzig, Fa. Grahneis & Börner, Zipsendorf, Nr. 264: Die Deutsche Arbeitsfront, Gauwaltung Halle-Merseburg, Rundbrief an die Betriebsführer und Leiter der Werksverpflegung sowie Lagerführer, 22.12.1943. 24 LA Magdeburg, Rep J, Buna-Werke, Nr. 450, foglio 60, Gefolgschaftsabteilung, Mitteilung Nr. 129/43 an alle Firmen, betr., Einsatz von italienischen Militärinternierten und französischen Kriegsgefangenen, 24.11.1943. Buna-Werke, Mitteilung Nr. 32/44 an alle Betriebe und Firmen, 8.3.1944. IfZ, MA 441, 92761124: Der Chef der Sicherheitspolizei und des SD, Amt III, 9.12.1943.
Condizioni di vita e condizioni di lavoro degli internati militari italiani 409
finire nel vortice di denutrizione, riduzione delle prestazioni e punizione.25 Globalmente, si può affermare che, nella primavera del 1944, settori della grande industria e delle rappresentanze degli interessi industriali assunsero, nell’ambito della questione alimentare degli internati militari italiani, una posizione moderata, orientata alla conservazione della manodopera. È peraltro evidente che tale inversione di tendenza poté completarsi solo nell’estate di quell’anno, soprattutto a causa della rigida posizione del ministero dell’alimentazione.
Da un’analisi dei racconti di singole esperienze, risulta che i rapporti fra gli internati militari e i dipendenti delle imprese tedesche sul posto di lavoro furono più differenziati di quanto non lascino presumere i protocolli delle ditte. A giudicare dalle testimonianze, il trattamento da parte dei colleghi tedeschi cambiava in base alla posizione di costoro nella gerarchia aziendale: il rapporto con i capisquadra era spesso molto peggiore di quello con i lavoratori tedeschi meno qualificati.26 Più che da interesse, empatia e solidarietà, le relazioni con il resto del personale erano contraddistinte da una percettibile indifferenza. Evidentemente ebbe buon seguito lo strumento di dominio sostenuto dalla propaganda nazionalsocialista e adottato nelle imprese, vale a dire il metodo della concessione di privilegi ai lavoratori tedeschi accompagnata dal costante controllo e dalla minaccia di punizioni. Inoltre, indipendentemente dalla posizione dei lavoratori tedeschi, sembra sussistere una correlazione fra la loro età e il rapporto che essi instaurarono con gli internati. Più spesso dei giovani, i dipendenti anziani vengono descritti in termini umani. Anche il sesso ebbe a determinare grandi differenze. I diari relativi all’esperienza di internamento evidenziano, infatti, che gli internati militari subirono un trattamento migliore da parte delle donne impiegate nelle imprese. Fondamentalmente, molti testimoni diretti constatarono, nel corso della loro prigionia, un continuo miglioramento dei rapporti sul posto di lavoro e una sempre maggiore integrazione. Tuttavia, questi sviluppi furono collegati in gran parte alle sconfitte dell’esercito e al peggioramento delle condizioni della popolazione tedesca.27
25 BAMA Freiburg, RH 49/101: OKW, Chef Kriegsgef./Allg., an die Wehrkreiskommandos, 28.2.1944. BA Berlin, R 3, 1820, foglio 114, OKW, Chef Kriegsgef./ Allg., 28.2.1944. 26 G. Hammermann, Militärinternierte, cit., p. 295. 27 G. Hammermann, Militärinternierte, cit., pp. 299 ss.
410
G. HAMMERMANN
Il passaggio degli internati militari al sistema dei rapporti civili nell’autunno del 1944
Già a partire dalla fine del 1943, le autorità italiane sostennero il cambiamento dello status eccezionale degli internati militari introdotto per motivi politici.28 Ad opera di Sauckel, contro una prima violenta resistenza di Hitler, poterono imporsi presso i vertici del Reich considerazioni di carattere economico, a favore di un rilascio degli IMI alla condizione di “lavoratori civili”. Speer, il ministro della guerra, appoggiò Sauckel nel dibattito. Le iniziative delle imprese miravano soprattutto ad accrescere i loro diritti di intervento sugli internati militari, ai quali si attribuiva ancora una rilevante capacità produttiva. Dal punto di vista dell’imprenditoria, numerosi fattori avevano impedito un impiego efficiente degli internati. La situazione di mantenimento completamente insufficiente era la prima delle concause alla quale si ascriveva la loro produttività limitata. La seconda era da ricercare in direttive di politica di sicurezza. Il terzo impedimento ad un ricorso redditizio alla manodopera degli internati — dal punto di vista dell‘imprenditoria - era l’impossibilità delle ditte di estendere, anche a loro, il sistema degli incentivi e delle punizioni legati alle prestazioni. Per quanto questa consuetudine venisse da tempo applicata ai lavoratori stranieri, essa non poté essere allargata agli internati militari, perché per costoro era competente l’esercito. Infine, una quarta importante considerazione era quella relativa al sistema del salario a tempo, adottato per lo più per gli internati. Esso infatti non costituiva alcuno stimolo, visto che la retribuzione avveniva in “Lagergeld”, denaro riconosciuto solo negli spacci poveramente riforniti dei campi di prigionia principali e di quelli succursali. Secondo il parere dei rappresentanti degli industriali, incentivi per i prigionieri di guerra e gli internati militari similmente strutturati sarebbero stati di grande utilità, soprattutto in considerazione della situazione assai critica della manodopera.
28 ASMAE, RSI 1943-1945, b. 31, Germania 1/1: Anfuso an Mussolini, 10.12.1943. PAAA Bonn, Büro Staatssekretär, Italien, vol. 19, fogli 422-424: Italienische Botschaft, Leiter der Betreuungsstelle, Vaccari, 21.3.1944. ASMAE, RSI 19431945, b. 203, pos. 1/13, Note sulla situazione economica della Germania, 11.4.1944.
Condizioni di vita e condizioni di lavoro degli internati militari italiani 411
Il 20 luglio 1944, in occasione di una visita di Mussolini, Hitler diede il suo assenso alle proposte di un cambiamento di status degli internati militari. Pochi giorni dopo, il 25 luglio 1944, nell’ambito della dichiarazione di “guerra totale” del Führer, veniva proclamato il loro passaggio allo status di manodopera civile.29 Tale cambiamento non fu comunque un atto isolato. Nel 1943, con l’assegnazione dei prigionieri di guerra francesi al cosiddetto “statuto agevolato” (“erleichtertes Statut”), era infatti iniziato l’abbandono da parte dell’esercito delle competenze per i prigionieri. Ciò avvenne, per un verso, al fine di favorire un loro impiego orientato ai criteri di rendimento, mentre, per l’altro verso, servì a rendere disponibile il maggior numero di militari addetti alla custodia. In questo contesto, due elementi sono degni di nota: il primo è l’assunzione, in principio volontaria, poi spesso accompagnata da misure coercitive, di ufficiali italiani come forze di manodopera; il secondo è l’impossibilità di praticare il cambiamento di status dei prigionieri di guerra sovietici, a partire dall’inizio del 1945, per motivi organizzativi.30
Da parte degli IMI stessi, una certa resistenza fu rivolta contro le formalità di rilascio, iniziate nei campi principali e succursali. Tale reazione nasceva dal timore che i prigionieri potessero essere presi in consegna dalle SS o dall’esercito, oppure che venissero costretti a lavori forzati di lunga durata. Perciò, il passaggio ai “liberi lavoratori” avvenne, in seguito, senza che fossero interpellati gli internati militari.31 La qualità della vita degli ex internati ebbe a migliorarsi, per lo meno a breve termine, verso la fine dell’anno. Alcuni incartamenti delle ditte mostrano chiaramente che gli exIMI ricevettero giornalmente dalle 200 alle 500 calorie in più rispetto al passato.32 Testimonianze dell’epoca tendono a sottolineare gli aspetti positivi del minore controllo e di una maggiore
29 BA Berlin, R 43 II, 664 a, fogli 126-130: Erlaß des Führers über den totalen Kriegseinsatz, 25.7.1944. 30 HessHSTA Wiesbaden, 482, 48 a Beurlaubung von 250 000 franz. Kgf. zum ”Erleichterten Statut”, 17.9.1943. Il cambiamento di status provocò presso i prigionieri francesi un chiaro miglioramento delle prestazioni (IHK MünchenOberbayern, WA K1 (Kammerakten)/XXIII 446 b, Akt 83 Bericht der Firma Klöpfer & König, Sägewerke und Holzhandlung, an GWK, 28.8.1943. BA Berlin, R 3 1820, fogli 367-368, Reichsministerium für Rüstung und Kriegsproduktion, 6.6.1944. 31 H. Mommsen-M. Grieger, Das Volkswagenwerk und seine Arbeiter im Dritten Reich, Düsseldorf 1996, p. 726. 32 ThürHSTA Weimar, Fa. C. & F. Schlothauer GmbH, Ruhla, Nr. 272: Verpflegungssätze für die 68. Zuteilungsperiode. BrandLHA Potsdam, Pr Br Rep 75 C, Lehmanns Gubener Wolle, Nr. 124, Nr. 125.
412
G. HAMMERMANN
libertà di movimento. Tuttavia, il miglioramento dato dal cambio di condizione fu di breve durata, poiché, già dal 1945, la situazione alimentare tornò a peggiorare.33
Conclusioni
Quanto è stato illustrato in queste pagine dimostra che la prigionia degli internati militari italiani e il loro impiego nell’economia bellica tedesca non possono essere ricondotti esclusivamente al concetto di “resistenza senz’armi”. È peraltro fuori luogo un’equiparazione dei campi di prigionia, amministrati dall’esercito, con i campi di concentramento e di sterminio.34 Fu piuttosto la condanna esemplare per il “tradimento” a costituire un motivo forte di discriminazione nei loro confronti. Inoltre, l’appellativo di “internati militari”, destinato ai prigionieri italiani, pregiudicò in modo decisamente negativo il loro trattamento, soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione. Conseguenze di pari portata furono prodotte dalle differenti direttive relative al modo di rapportarsi con gli internati: vendetta, da un lato, e maggior sfruttamento possibile della manodopera, dall’altro. Nell’ultima fase della guerra, le intenzioni di rivalsa, perseguite da Hitler e dall’OKW nei confronti degli internati militari italiani, si rivelarono, dal punto di vista della politica del lavoro, sempre più anacronistiche. Esse si scontravano poi con i principi di uno sfruttamento generale di tipo qualitativo della manodopera straniera. È appurato, tuttavia, che, dalla primavera del 1944, ebbe luogo un’inversione di tendenza orientata ad un impiego razionale degli internati. Con i bisogni della politica del lavoro, si creò così uno stretto legame, il quale presupponeva un miglioramento delle condizioni materiali degli internati. Tale miglioramento fu
33 H. Mommsen-M.Grieger, Volkswagenwerk, cit., p. 726. 34 Il tentativo di paragonare la condizione di vita degli IMI nei campi di prigionia a quella di chi era rinchiuso nei campi di concentramento si scontra con i racconti degli stessi ex internati militari. A riguardo, viene confermato il valore allora attribuito agli internati, trattati, per lo meno all’inizio della prigionia, poco meglio dei soldati sovietici. Per contro, gli internati reagivano terrorizzati alla vista dei reclusi nei campi di concentramento. Di grande impatto emotivo erano il loro fisico provato, l’abbigliamento del tutto insufficiente, la negazione di ogni dignità umana, i continui maltrattamenti e il completo isolamento. Tali fattori erano per gli internati un’eloquente testimonianza di quanto estrema potesse essere la privazione di umanità inflitta ai detenuti (G. Hammermann, Militärinternierte, cit., pp. 437-38).
Condizioni di vita e condizioni di lavoro degli internati militari italiani 413
realizzato, anche se per poco, quando gli IMI vennero assegnati alle autorità civili.
Una stima seppur approssimata dei decessi di internati militari italiani nell’area di potere tedesca risulta assai difficile. In effetti, non è possibile risalire con esattezza al loro numero complessivo, né esistono statistiche precise relative agli arrivi e alle partenze. Le fonti a tutt’oggi accessibili permettono di formulare solo delle ipotesi: pertanto si può affermare che fra i 20.000 e i 25.000 internati militari morirono in stato di prigionia.35 Nel numero, tuttavia, non sono compresi gli internati morti nei campi di concentramento. Per quanto i dati relativi agli altri gruppi di prigionieri non offrano riferimenti sicuri sulla mortalità, si può affermare con relativa sicurezza che la quota dei decessi fra gli internati militari fu più alta di quella relativa ai prigionieri di guerra francesi, inglesi e americani. Solo fra i russi si registrano valori sensibilmente più alti, riconducibili prevalentemente a condizioni di sopravvivenza drammatiche, imposte loro per un periodo assai lungo.36 La situazione generale dei prigionieri di guerra non è peraltro paragonabile a quella dei deportati nei campi di concentramento. Qui, infatti, proprio sul finire della guerra, aumentò in misura massiccia il tasso di mortalità.37
35 Stime tratte da Istituto Centrale di Statistica, Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-1945, Roma 1957, pp. 22-25. BAMA Freiburg, RW 6/v. 451, 452: Bestand an Kriegsgefangenen im OKW-Bereich, 1.10.1943-1.12.1944. PAAA Bonn, R 40840, Notiz, 13.9.1944. ACS, SPD, b. 2, f. 25, sf. 4, p. 5, Ambasciata d‘Italia Berlino, Ispettorato sanitario per i lavoratori ex-Internati in Germania, Relazione sull‘attività assistenziale della CRI, gennaio al 31 marzo 1945. Schreiber, Militärinternierte, cit., p. 507. Lops ritiene che 30.000 siano stati i decessi nell’area di potere tedesca. (“Quaderni del Centro di studi sulla deportazione e l`internamento”, a. II, pp. 63-67). 36 C. Streit, Keine Kameraden. Die Wehrmacht und die sowjetischen Kriegsgefangenen 1941-1945, Stuttgart 1978, pp. 246-247. 37 P. Falk, Häftlinge unter SS-Herrschaft. Widerstand, Selbstbehauptung und Vernichtung im Konzentrationslager, Hamburg 1978 (“Historische Perspektiven“, a. XII), pp. 181-187.
di Bruno Vasari
La testimonianza ha molteplici aspetti che presuppongono la conoscenza di numerose discipline: memoria, storia, psicologia, sociologia, diritto e anche psicoanalisi e si presta al cosiddetto esame “clinico”.
L’ANED nelle iniziative rivolte alla raccolta della testimonianza attinge alle competenze e alle consulenze specifiche.
Gli obiettivi della raccolta della testimonianza da parte dell’ANED sono: tramandare la memoria, combattere il revisionismo, lavorare per la storia. Le iniziative di maggiore rilievo dell’ANED nel campo della raccolta della testimonianza sono: l’estensione della testimonianza per renderla corale, la raccolta delle Storie di vita, la raccolta e la classificazione degli Scritti di memoria.
Testimonianza corale
La raccolta della testimonianza corale è così annunciata da Piero Caleffi, deportato, Presidente ANED, nella prefazione al libro Un mondo fuori dal mondo (La Nuova Italia, 1971): “… convenimmo non essere sufficiente che solo alcuni di noi avessero affidato alla penna le loro memorie individuali, ma che si rendesse necessaria una testimonianza “corale”, da trasmettere soprattutto alle giovani generazioni presenti e future…”.
Nel medesimo libro Pierpaolo Luzzatto Fegiz, eminente statistico, presidente della DOXA, ci dà le coordinate scientifiche: al fine di superare delle limitazioni, “la soluzione prescelta fu dunque quella di utilizzare un questionario ‘semi-direttivo’, tale cioè da coprire un’ampia serie di fatti e di problemi, pur lasciando agli interrogati piena libertà di sviluppare l’argomento delle singole
La deportazione nei Lager nazisti 415
domande. Tale questionario fu usato per un numero rilevante di interviste (esattamente 317)”.
La ricerca DOXA, promossa dalla Presidenza nazionale dell’ANED, ha consentito la compilazione di tavole statistiche e la raccolta di notizie, impressioni, considerazioni di ex deportati liberamente espresse di grande rilevanza per la ricerca e lo studio.
Storie di vita
Verso la fine degli anni ‘70, affacciandosi nel campo degli studi storici il metodo della storia orale, l’ANED riparte con l’appoggio morale e materiale del Consiglio regionale del Piemonte e con la consulenza del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino.
Nulla è improvvisato: viene costituito un comitato scientifico, istituito un corso per istruire i giovani intervistatori (fecero lezione Primo Levi e Andrea Devoto).
Con apposita circolare agli iscritti, l’ANED precisò anche gli scopi seguenti, in precedenza non così espliciti: poter archiviare in ogni comune (sostituito poi da Istituti storici della Resistenza) la storia trascritta del deportato locale, in modo da rendere più efficaci le testimonianze di persone conosciute; dare a ogni famiglia di ex deportato un documento atto a rafforzare la tradizione resistenziale e antifascista.
Per pubblicizzare l’impegno della raccolta delle Storie di vita, saggiare la propria esperienza e attingere il maggior numero possibile di informazioni, l’ANED indice, trovando piena conferma dei metodi adottati, nell’ottobre ‘83 un convegno, significativamente denominato Il dovere di testimoniare, al quale partecipano 28 relatori di cui 10 stranieri. Tra gli intervenuti mi è caro ricordare Leo Valiani. Laura Marchiaro che presiedeva una delle sessioni del convegno rileva l’importanza dell’azione dell’ANED, “perché la minaccia della riduzione, della sottovalutazione e del silenzio, si intreccia alla minaccia della falsificazione sistematica e dello stravolgimento della storia”.
Simon Wiesenthal inviò il seguente messaggio: “Le vostre ricerche rappresentano nel nostro tempo, in cui esistono organizzazioni che negano tutti i crimini dei nazisti e dei fascisti, un importante contributo alla affermazione della verità. Salutiamo il