251 minute read

Gli assassini sono • tra noi

Next Article
CAPITOLO XXIII

CAPITOLO XXIII

Traduzione dall'inglese di Giorgio Brunacci

Prima edizione: febbraio 1967

Advertisement

Seconda edizione : maggio t 967

Titolo originale dell'opera: e The murderers among us > © 1967 by Opera Mundi

Ogni riproduzione, traduzione e adattamento sotto qualsiasi forma anche parziale vietati in tutti i Paesi

Proprietà letteraria riservata Printed in Italy

di Joseph Wechsberg

Ero da poco tempo a Vienna, dove ho vissuto per alcuni anni, quando sentii parlare di Simon Wiesenthal. Nel I 960, sulle prime pagine dei giornali di Vienna, e di tutto il mondo, Wiesenthal venne definito der Eichmann-Jiiger - « il cacciatore di Eichmann »per l'aiuto che aveva dato al governo di Israele nella cattura di Adolf Eichmann, il maggior esperto logistico di Hitler per la « Soluzione finale del problema ebraico ». Nel I 963, Wiesenthal tornò agli onori della cronaca quando comunicò agli imbarazzati funzionari della polizia viennese che l'ex agente della Gestapo che aveva arrestato Anna Frank ad Amsterdam nel 1944 occupava in quel momento una buona posizione nella polizia di Vienna. Sapevo che altri famigerati nazisti erano stati arrestati, in Germania e in Austria, grazie alle tenaci ricerche di Wiesenthal. Mi venne 1a curiosità di conoscere meglio quell'uomo e il suo strano ufficio investigativo. Appresi che i nazisti avevano fatto passare Wiesenthal per più di una decina di campi di concentramento, nella natia Polonia e in Austria, e che egli era sopravvissuto grazie a una serie di circostanze quasi miracolose. Sua madre e la maggior parte dei suoi parenti erano stati sterminati. Nel 1945, tornato libero, si era ·Offerto di collaborare con l'esercito degli Stati Uniti nella caccia ai criminali di guerra in Austria; successivamente aveva lavorato per l'Office of Strategie Services e per il Counter-lntelligence Corps statunitensi.1 Nel 1947, con pochi volontari, aveva creato a Linz, in Austria, un piccolo Centro di Documentazione, dove aiutava i suoi correligionari a rintracciare i parenti scomparsi e dove cominciò le prime indagini su alcuni dei mille e mille nazisti che circolavano ancora liberamente. Nel 1954 sembrò che la denazificazione in Germania e in Austria fosre giunta momentaneamente a un punto morto; Wiesenthal chiuse il Centro di Documentazione e si occupò dei profughi. Nel 1961, dopo la cattura e il ,processo di Eichmann, l'opinione pubblica r Servizi di informazione nei paesi che avevano conosciuto l'occupazione nazista cambiò di nuovo, quasi miracolosamente, e Wiesenthal decise di riaprire il suo Centro di Documentazione, questa volta a Vienna, e di dedicarsi definitivamen t e alla cattura di coloro che di lì a poco, ed egli lo sapeva bene, avrebbero potuto eludere la giustizia grazie alla scadenza dei termini di prescrizione.1 tito per. .teÌefono; amichevole cordiale; non sembrava certo il tipo di uomo ' la cui occupazione normale· è quella <li acchiappare gli assassini, sebbene sia di corporatu~ robusta e alto circa un metro e ott anta•. Disse che quando era uscito dal campo di concentramento alla fine della guerra pesava quarantatrè chili e sembrava« uno scheletro con un po' di pelle sulle ossa ». Ora pesa due volte tanto. Ha U!}a testa grande, tendente alla calvizie, e il viso lungo con la fronte alta. Ha occhi pensosi che possono diventare penetranti. Con i suoi baffetti e la sua tendenza alla pinguedine, potrebbe essere un agiato commerciante, come era suo padre, .o un architetto ben quotato, proprio quello che era lui prima della seconda guerra mondiale.

Avendo ricevuto l'incarico di collaborare con Wiesenthal in questo libro, un giorno, nell'estate del 1965, gli telefonai chiedendogli un appuntamento nel suo ufficio perchè intendevo raccogliere alcune delle più inter~ti fra le sue innumerevoli storie. La voce che udii al telefono era dolce, calda, amichevole. Wiesenthal rise un paio di volte. Nel suo tedesco, notai anche l'accento di quelle estreme regioni del vecchio Impero austre>-ungarico dove anch'io, come Wiesenthal, avevo passato la fanciullezza. Non vedevo l'ora di conoscere questo « vendicatore » fuori del comune.

La Rudolfsplatz, dove Wiesenthal ha il suo ufficio, è una piazza appartata, circondata da edifici anonimi, che si trova nel Primo Distretto di Vienna. La casa contr~ata dal n. 7 era più nuova di quelle vicine. Doveva ~re stata costruita dopo l'ultima guerra, forse piuttosto in fretta, perchè mostrava i segni di una fabbricazione abbastanza recente e al tempo stesso di un decadimento recente, e c'era odore di calcina umida per le scale. Al quarto piano, su una porta bianca, c'era una targhetta sulla quale si leggeva: OOKUMENTATIONSZENTRUM, e sotto le lettere BJVN, che, come scoprii in seguito, significavano Bund Judischer V erfolgter des N azir egimes: Federazione isr:aelita dei perseguitati del regime nazista. Suonai il campanello e sentii dei passi pesanti. Ci fu il rumore di una catena all'interno e la porta fu socchiusa. Un uomo bruno, fermo sulla soglia, mi diede un'attenta e rapida occhiata scrutatrice, come il sorvegliante di un impianto segretissimo. L'atmosfera mi ricordò il tempo di guerra, quando ero agente dell'OSS. Dissi il mio nome. L'u<>mo, senza dubbio un aiutante di Wiesenthal, fece un lieve cenno di assenso e mi invitò ad entrare. Vidi due stanze con pochi mobili, nudi pavimenti di cemento, niente tappeti e solo l'attrezzatura indispensabile per un uffi cio: schedari, scrivanie, alcune sedie. Dalle finestre si scorgevano i muri posteriori di altri edifici. Era un posto buio e triste. Uno stretto corridoio bianco portava in un piccolo ufficio sul retro, e là conobbi Simon Wiesenthal.

Il suo aspetto era perfettamente intonato alla voce che avevo sen1 V. Appendice: I stituto della prescrizione.

Wiesenthal dà l'impressione di essere un uomo calmissimo, fino ·a che non si scopre che quella calma nasconde una tensione controllata e una sensibilità repressa. C'è in lui una irrequietezza interiore che contagia chiunque lo veda. Cammina con passo oscillante, come un marinaio su una nave. Sembra che porti un grosso peso sulle spalle. È un ascoltatore attento e silenzioso, ma quando comincia a parlare e si appassiona all'argomento - cosa che capita quasi sempre - sottolinea le frasi con ampi movimenti delle lunghe braccia e sembra di veder balenare nei suoi occhi una forza ipnotica. Criminali di guerra e procuratori distrettuali, ministri e studiosi hanno imparato che non è facile discutere con Wiesenthal. Egli ha una grande forza di persuasione, un profondo senso della logica, e lo spirito talmudico dei suoi antenati: un insieme di doti che molti hanno trovato irresistibile. Una volta, mi ha detto Wiesenthal, un eminente magistrato tedesco gli disse: « Lei. mi ha portato in giro per molto tempo, Wiesenthal, con quella sua aria innocua. >> Wiesenthal rise, spiegando che il suo aspetto innocuo gli era stato molto utile nelle sue indagini su tanti pericolosi delinquenti.

L'atm06fera spartana che avevo già notato entrando, la ritrovai nell'ufficio di Wiesenthal: u111a gr.ainde scrivania con molte cartè, un paio di sedie, un vecchio divano senza pretese. La parete di fondo della stanza era tappezzata da scaffali di libri. WiesenthaA -possiede una delle migliori biblioteche sulla storia, l'organizzazione e le attività delle SS di Heinrich Himmler. Create in origine come reparti speciali per la protezione di Adolf Hitler, di Himmler e degli altri capi nazisti (SS signifioa Schutz-Staffel o Guardia di sicurezza), le SS in ~niforme e stivali neri divennero il corpo sc elto nazista, dopo la sanguinosa purga, ordinata da Hitler nel 1934, delle SA o SturmAbteilungen (Truppe d'assalto) in camicia bruna, di Ernst Roehm. 1

Le SS furono un simbolo di terrore, uno Stato entro lo Stato nazista, una élite dotata clii tremendi poteri. Le SS crearono la Gestapo (Geheime Staatspolizei, o Polizia segreta di Stato), e in seguito controllarono i campi di concentramento. Alle SS spettava il compito di eseguire le ,condanne a morte. Tutte le guardie dei campi di co~tramento erano SS; l'aimministrazione di ciascun campo dipendeva dalla Sezione Economica delle SS; in ogni parte dell'Europa di Hitler c'era un generale delle SS che aveva la responsabilità dci campi di concentramento. Raramente Wiesenthal s'inter~ di crimini commessi da uomini dell'esercito regolare o da membri del partito. Quasi tutti i suoi «clienti», come egli chiama i criminali nazisti, sono SS. Questa diabolica organizzazione è responsabile della morte di almeno undici milioni di persone, per la maggior parte innocenti, fra civili, donne e bambini: sei milioni di ebrei, e cinque milioni di jugoslavi, rus.5i, , polacchi, cechi, olandesi, francesi e altri.

Wiesenthal ci tiene a distinguere fra « crimini di guerra» e « crimini nazisti (o dclle SS) ». In tempo di guerra gli uomini fanno cose che in tempi normali non farebbero mai. Ma la guerra non può giustificare la deliberata uccisione di milioni di civili innocenti. Wiesenthal non si int eressa dei crimini di guerra « comuni». Egli fa rilevare che molti crimini nazisti furono commessi fra il 1933 e il 1939, cioè prima che iniziasse la seconda guerra mondiale.

La maggior parte dei documenti sui quali Wiesenthal lavora oggi e quasi tutti quelli dei suoi schedari e delle sue pratiche riguardano tragedie che molta gente sarebbe lieta di dimenticare. Il diuturno contatto con questi orrori non ha tolto a W iesen thal nè la fiducia nè la sensibilità. .È questa la sua forza, e forse anche la sua debolezza: n elle sue pratiche egli non vede solo dci « casi » ma deg li esseri umani. Non è diventato un burocrate. Spesso soffre con le sue vittime. Una lettera o una testimonianza pos.5ono improvvisamente richiamargli alla memoria qual cuno che non esiste più o qualche sua esperienza personale, e possono farlo piangere. In questi momenti, egli rivive la sua tiragedia. Uno dci più angosciosi problemi di Wiesenthal è che molte sue esperienze personali e molte circostanze dei casi di cui si occupa sembrano una sfida alla credulità della gente. Egli deve rendere credibile l'incredibile per i funzionari, i procuratori di Stato e i giudici fornendo pazientemente fatti e dati.

Mi trovavo da pochi minuti nell'ufficio di Wiesenthal, quando suonò il telefono. Alzò il ricevitore, ascoltò e mi disse: « New York>, e immediatamente dimenticò la mia presenza. La voce all'altro capo del filo sembrava profondamente turbata. Due volte Wiesenthal aspi- rò profondamente, come se stesse per interrompere il suo interlocutore, ma poi scosse la testa e continuò ad ascoltare.

« No, no, no! » disse alla fine. « Anche se trovassimo l'uomo, avremmo bisognò di documenti o almeno della testimonianza di due persone, in grado di ricordare esattamente ciò che accadde più di wnt'anni fa ... Si, date e nomi e descrizioni esatte. Prove.» Ascoltò un momento e sospirò. « Voi non avete fatto assolutamente niente per venti anni, e adesso volete che io faccia miracoli. » Dopo qualche minuto Wiesenthal dep<l6C il ricevitore; era esausto. Rimase per un momento immobile, coprendosi il viso con le mani.

« Quest'uomo e suo fratello videro ' uccidere il loro padre ad Auschwitz, nel 1943. E-.ssi sopravvissero; emigrarono negli Stati Uniti, cercarono di non pensare al passato. Hanno lavorato sodo e hanno avuto fortuna. Ora, dopo tanti anni, i ricordi tornano a tormentarlo. Vede il padre nei suoi incubi, e si sveglia di soprassalto nel cuore della notte. :t perseguitato da un senso di colpa. Ha fatto veramente tutto ciò che poteva? O forse ha pensato troppo a se stesso e troppo poco al vecchio? Col passare del tempo, i ricordi sono diventati più forti, più dolorosi. Ha consultato un medico, che non ha potuto farci niente. Poi ha letto della mia attività, e adesso mi telefona da New York per chiedermi di trovare l'uomo che ha ucciso suo padre. Tutto quello che sa è il nome di battesimo della SS - Hans -e il suo aspetto. Solo lui e il fratello videro commettere il delitto. Da allora sono p~ti ventitrè anni. Gli ho spiegato eh.e ad Auschwitz hanno lavorato almeno seimila SS fra guardie, personale tecnico addetto alle camere a gas e ai crematori, medici e impiegati. Solo di novecento di costoro si conosce il nome. Naturalmente, le guardie non avevano la cortese abitudine di presentarsi alle loro vittime. Un terzo dei novecento individui conosciuti sono stati consegnati alle autorità polacche. Per i restanti seicento, di ciroa la metà conosciamo il nome e l'indirizzo. I nomi e gli indirizzi sono nei miei archivi. Ma anche supponendo che riuscissimo a trovare l'uomo, ci vor,rebbe molto più che la testimonianza dei due fratelli per imbastire una solida accusa. Molti criminali nazisti sono stati assolti, e i procuratori di Stato, in Germania e in Austria, sono restii a chiedere. un rinvio a giudizio, a meno che non capiscano di avere prove sufficienti a convincere una giuria che non è improbabile simpatizzi con l'imputato nazista.»

Chiesi a Wiesenthal che cosa lo avesse indotto a dare la caccia ai criminali nazisti.

Sospirò, si alzò dalla scrivania e si mise a camminare su e giù, fissando il pavimento. « Molta gente mi ha fatto questa domanda, » disse. « I miei amici dicono: < Perchè ti torturi con queste c05C? > Quelli che non mi sono amici dicono senza tante ambagi : <Che bisogno ha di frugare nel passato, di accumulare nuov9 odio su quello vecchio?> Porchè non torno a costruire case come facevo prima della guerra? Avrei potuto andare in America, condurre una vita normale e far quattrini. » Scrollò le spalle. « t inutile. Lo faccio perchè devo farlo. Non sono spinto da un sentimento di vendetta. Forse lo fui por breve tempo, proprio all'inizio. Alla fine della guerra, quando venni liberato dopo aver passato quattro anni in più di dodici campi di concentramento, mi era rimasta ben poca forza fisica, ma avevo un gran desiderio di vendetta. Avevo perso tutta la famiglia. Mia madre era stata portata via sotto i miei occhi. Credevo che mia moglie fosse morta. Non avevo nessuno per cui vivere.

« Molte persone liberate dai campi di concentramento reagirono in maniera diversa. Avevano bisogno di dimenticare per poter tornare a vivere. Perciò si chiusero in una corazza protettiva, cercando con tutte le loro forze di non pensare a ciò che era sucresoo.

« Prima ancora che avessi il tempo di riflettere a fondo, mi resi con to che non dobbiamo dimenticare. Se tutti dimentichiamo, la stessa cosa potrà ripetersi fra venti, cinquanta o cento anni. Mi dicono che in Germania e in Austria la gente non vuol sentire parlare di <queste cose>. Giusto. Ma le inchieste sull'opinione pubblica dimostrano che fra la condanna dei crimini nazisti e i fenomeni di neonazismo esiste un rapporto inversamente proporzionale. Quanti più processi si celebrano, tanto più trascurabile è la rinascita del nazismo. Il processo di Adolf Eichmann a Gerusalemme, nel 1961, segnò una grave battuta d'arresto per il movimento neonazista in Germania e in Austria. Milioni di persone che non conoscevano, o non volevano conoscere, la verità, per la prima volta dovettero ascoltare i fatti. Oggi, qui nessuno può più dire che non conosceva <queste cose>. E se ancora simpatizza con i criminali, si mette inequivocabilmente dalla parte del male. E non sono molti quelli che desiderano farlo. »

Alla fine della guerra, il mondo appariva a Wiesenthal popolato sol o da due spe cie di personé : le candide vittime e i neri assassini. Ma la fase del bianco e del nero fu di breve durata. Wiesenthal fu avvicinato da diversi gruppi che volevano creare delle bande per catturare e uccidere gli ex aguzzini. Wicsenthal si opp05C energicamente a una simile idea. Disse a quella gente che gli ebrei non dovevano combattere i nazisti con i metodi criminali dei nazisti. I na- zisti avevano avuto in passato i lor'? tribunali segreti dediti à.IIa violenza e alla vehdetta: Gli' ebrei, ammonì, non dovevano scendere tanto in basso.

Egli sapeva che ~rebbe stato impossibile « vendicare >> i crimini nazisti. Non sarebbero bastati mille anni per questo. Anche se tutti i criminali nazisti impuniti fossero stati assicurati alla giustizia, il che era improbabile, ciò non avrebbe nemmeno in minima parte compensato l'enormità dei loro crimini. Undici milioni di morti... fra i quali un milione di bambini. Come potrà mai riuscire la giustizia terrena a far scontare l'assassinio di un milione di bambini?

Qualcosa, però, si poteva fare: e questo pensiero si fece strada a poco a poco nelle notti insonni di Wiesenthal. Egli poteva almeno cercare di erigere un monumento simbolico ai morti e forse dare un esempio ammonitore contro eventuali eccessi futuri. Naturalmente, era impossibile punire i delitti in base a una responsabilità rigorosamente controllata. Che importanza aveva se un nazista che aveva ucciso migliaia di persone andava in galera per due anni ... venti minuti per ogni assassinio? La cosa importante era impedire che in futuro ci fossero altri eccidi.

Nei primi mesi dopo la fine della guerra, Wiesenthal sperò ancora che molte persone fossero scampate all'inferno. Forse erano fuggite, si nascondevano nelle foreste, avevano cambiato nome, erano scomparse in Russia. Ma a poco a poco si sentì schiacciato. dalla enormità di quella apocalisse. Divenne spaventosamente chiaro che quella che i nazisti avevano chiamato « la soluzione finale del problema ebraico » si era conclusa con lo sterminio non di decine di migliaia, o di centinaia di migliaia, ma di milioni <li creature innocenti. Ma quando conobbe tutta la verità, l'odio era già scomparso dal suo cuore. AU'inizio del 1946, un SS-Obersturmfilhrer di nome Beck (Wiesenthal non sa il suo nome di battesimo) era trattenuto dagli americani a Dachau. Wiesenthal venne a sapere che Beck era stato la rara avis, una SS umana che si era rifiutata di torturare e di uccidere i suoi prigionieri. Per questo i suoi superiori delle SS lo avevano punito chiudendolo in cella di rigore. Wiesenthal raccolse tre testimoni ebrei e andò con loro a Dachau, dove i tre testimoniarono che la SS non aveva mai commesso atti delittuosi, e Beck fu rilasciato. Più tardi, Wiesenthal scoprì che un altro ex nazista, un certo Werner Schmidt di I-falle, aveva perso il postò quando si era scoperto che era stato iscritto al Partito. Schmi<lt aveva aiutato Wiesenthal nel ghetto di Lvov, in Polonia, dove Wiesenthal viveva al momento dell'occupazione tedesca nel 1 942. Schmidt gli portava da mangiare e lo avver- tiva quando c'era in vista un rastrellamento ddla Gestapo. Wiesenthal telefonò a Halle, discolpò Schmidt, e lo aiutò a riavere il posto.

« Gli uomini come Beck e Schmidt furono per me delle prove viventi che era possibile torna.Te dalla guerra con la coscienza pulita, se si voleva, » disse. « Disgraziatamente, per ogni uomo con la coscienza pulita ce n'erano molti che non furono costretti a commettere dei crimini, ma che si offrirono volontariamente di uccidere e torturare. Lentamente, imparai che fra il bianco e il nero c'erano molte sfumat ure di grigio: grigio acciaio, grigio perla, grigio tortora. E c'erano molte sfumature di bianco. Nemmeno le vittime erano sempre innocenti. Una volta parlai con un ebreo che era stato Kapò in un campo di concentramento, dove si era salvato la vita uccidendo un compagno ebreo. Una dannata SS gli disse che sarebbe toccata a lui o all'altro. Il Kapò adduceva a sua difesa che, se non lo avesse fatto lui, qualcun altro avrebbe sparato all'ebreo; e anche lui sarebbe morto. Non accetto questa tesi: un omicidio è sempre un omicidio, chiunque lo commetta. Ogni nazione ha i suoi collaboraz;onisti. Anche npi ebrei li abbiamo avuti, forse meno di altri popoli, ma non siamo tutti angeli. Era stata una trovata diabolica tipica delle SS costringere gli ebrei ad uccidere gente della loro stes-53. razza. »

Wiesenthal ricorda spesso la prima volta che uscì, ormai uomo Libero, nel mondo esterno, dopo essere vissuto per quattro anni dietro le siepi di filo spinato. Fu circa dieci giorni dopo la sua liberazione dal campo di concentramento di Mauthausen, nell'Austria Superiore, in una calda giornata primaverile del maggio 1 945 . Ancora debole e un po' stordito dall'esercizio fisico, cui non era più abituato, si diresse verso il vicino villaggio. I contadini lavoravano nei campi, i bambini giocavano, gli uccelli cantavano. A poco più di un chilometro dagli orrori delle camere a gas, la campagna aveva un aspetto padfico, bucolico. La gente che mcontrava dava una rapida occhiata al suo volto emaciato, al vestito cascante. Nessuno mostrava traccia di curiosità o di comprensione. D'un tratto Wiesenthal si sentì terribilmente stanco. Si fermò in una cascina e chiese un bicchier d'acqua. Una contadina austriaca robusta e beai pasciuta gli portò un bicchiere di succo d'uva.

« È stata dura laggiù? » chiese accennando in direzione degli edifici bassi e grigi al di là dei campi.

« Per sua fortuna non ha visto il campo dal di dentro, » disse Wiesenthal.

« Perchè avrei dovuto vederlo io? » fece la donna. « Io non sono ebrea.»

I.2

Wiescnthal pensò a questo colloquio per molto tempo. Anni cli addottrinamento avevano convinto la donna che sulla terra esistevano due specie di persone: quelle come lei, che stavano al mondo per vivere, e le razze « inferiori », che ci stavano per morire. Wiesenthal scoprì presto che molta gente che non aveva fatto niente di male era infettata dalle teorie naziste. Andava molto in collera quando qualcuno gli diceva, senza es.seme richiesto, che « non sapeva niente di queste cose », o quando qualcun altro lo informava spontaneamente di aver _ « salvato qualche ebreo ».

« Se fosrero stati salvati tutti gli ebrei di cui mi fu parlato in quei mesi, ci sarebbero stati più ebrei vivi alla fine della guerra di quanti ce n'erano prima che cominciasse. Dopo un po' non credetti più a quelli che cercavano di convincermi che loro non avevano saputo assolutamente nulla. Forse non avevano conosciuto tutta la verità su ciò che accadeva nei campi di sterminio. Ma quasi tutti avevano notato qualcosa dopo che Hitler aveva invaso l' Austria, l' 11 marzo 1938. Non potevano fare a meno di vedere i vicini ebrei che venivano portati via dagli uomini wn le uniformi nere delle SS. I loro figli, quando tornavano a casa da scuola, raccontavano che i loro compagn i ebrei erano stati cacciati via. Vedevano le svastiche sulle vetrine infrante dei negozi ebrei saccheggiati. Non potevano ignorare le macerie delle sinagoghe incendiate nella notte del 9 novembre 1938. 1 La gente sapeva quello che stava succedendo, sebbene molti avessero paura e pref~ guardare altrove per non vedere troppo. Soldati e ufficiali in licenza dal fronte orientale parlavano spesso dei massacri degli ebrei che avvenivano colà. La gente sapeva molto più di quanto volesse ammettere, ed è per questo che oggi molti provano un acuto senso di colpa. »

La carriera di Wiesenthal come cacciatore di nazisti cominciò poco dopo la sua liberazione, nel 1945, quando la sezione Crimini di Guerra dell'esercito statunitense in Austria gli affidò il compito di collaborare alla cattura delle SS che avevano seviziato lui e migliaia di altre persone. Man mano che gli tornavano le forze, Wiesenthal si rendeva conto che gli riusciva possibile ascoltare i racconti delle atrocità naziste senza provare sentimenti di odio.

« La ferita nell'animo di Wiesenthal n on si cicatrizzerà mai completamente, ma almeno non sanguinerà più, » ha detto recentemente un suo amico, un noto psicologo viennese. Ciò sembra trovare conferma nell'atteggiamento di Wiesenthal di fronte al problema della responsabilità collettiva, che oggi è molto discusro in Germania.

« Un ebreo che crede in Dio e nel suo popolo non crede nel principio della responsabilità collettiva, » egli dice. « Noi ebrei non abbiamo forse sofferto per migliaia di anni perchè si diceva che eravamo collettivamente colpevoli - tutti noi, compresi i bambini non ancora nati - della crocifissione di Cristo, delle epidemie del Medioevo, del comunismo, del capitalismo, delle guerre disgraziate, dei disgraziati trattati di pace? Tutti i mali del genere umano, dalla peste alla bomba atomica, sono <colpa degli ebrni >. Noi siamo l'eterno capro espiatorio. Noi sappiamo di non essere colpevoli collettivamente; perciò, come possiamo accusare un'altra nazione, qualsiasi cosa abbia fatto una parte dei suoi membri, di essere collettivamente responsabile? »

Poichè in quel primo periodo postbellico si era assuefatto all'idea di cominciare una ricerca che non aveva alcuna speranza di portare a compimento, Wiesenthal si servì delle sue esperienze di architetto e cominciò a costruire delle fondamenta. P er prima cosa raccolse una documontazione storica quando i ricordi dei testimoni oculari erano ancora freschi. Alla fine della guerra, c'erano più di centomila sopravvissuti ai campi di concentramento, alloggiati provvisoriamente nei duecento centri profughi allestiti, in Germania e in Austria, dagli alleati occidentali. Con l'aiuto di alcuni amici, Wiesenthal creò una rete di corrispondenti nei vari campi. Il compito di questi corrispondenti era quello di interrogare tutti gli ex detenuti e di farsi rilasciare da loro dichiarazioni riguardanti le brutalità delle SS, le uccisioni e le torture di cui essi erano stati testimoni oculari, nonchè i resoconti di qualsiasi ·altra esperienza personale. Wiesenthal sottolineò la necessità di avere nomi e date esatti; scartò tutto quello che veniva riferito per sentito dire. Le dichiarazioni firmate vennero protocollate e archiviate nel piccolo Centro Ebraico di Documentazione Storica che Wiesenthal creò nel 1 947 a Linz, una volta finito il suo lavoro con gli americani.

Ancor prima di creare il Centro di Documentazione, Wiesenthal aveva raccolto dichiarazioni concernenti i crimini nazisti in un migliaio di posti diversi. Si era procurato le fotografie di molte SS, che aveva fatto riprodurre e distribuire in tutti i centri profughi. Il più delle volte i superstiti non conoocevano i nomi degli aguzzini; grazie alle fotografie, invece, erano in grado di identificarli. Wiesenthal organizzò uno schedario alfabetico di tutte le località in cui i nazisti avevano commesso dei crimini. Un secondo schedario conteneva i nomi di tutti i criminali. Un terzo schedario conteneva i nomi di tutti i testimoni. La document~z io ne di Wiesenthal fu usata per la prima volta a Norimberga durante l'istruzione del processo contro i criminali di guerra nazisti; le autorità alleate di Norimberga ricambiarono il favore mandandogli i loro elenchi dei criminali di guerra. In seguito, la sua documentazione fu usata a Dachau, nel 1947, durante il processo, celebrato davanti a un tribunale militare americano, contro certe SS che avevano prestato servizio come guardie nei campi di concentramento. Il sistema del triplice schedario è molte;> funzionale. Quando Wiesenthal viene a conoscenza di un delitto commesso in un certo posto, gli ci vogliono solo pochi minuti per trovare i nomi e gli indirizzi d ei t estimoni e i nomi delle SS incriminate. Alcuni testimoni hanno ll$istito a delitti perpetrati in luoghi diversi. I norni di taluni criminali ricorrono in località diverse.

Lo schedario dei criminali nazisti creato da Wiesenthal contiene oggi circa 22.500 nomi. La maggior parte delle SS che vi figurano sono accusate di omicidio; alcune, si ritiene siano colpevoli di genocidio. (Il suo elenco è piccolo in confronto a quello di 1 60.000 nomi esistente presoo l'Ufficio Centrale delle Amministrazioni Statali della Giustizia per la Punizione dei Crimini Nazionalsocialisti, che venne creato da vari Stati della Germania Occidentale nel 1958 a Lu dwigsburg, nel Palatinato, in seguito al tardivo riconoscimento da parte dei tedeschi occidentali delle mostruose atrocità naziste. Il Centro ha contribuito a dare l 'avvio a più di mille processi.)

Nello schedario dei criminali di Wiesenthal ci sono molte lacune. In alcune schede figura solo un nome di battesimo, o il soprannome con il quale certe SS erano conosciute dai prigionieri. Nel campo di concenwamento di Lvov una delle SS più malvagie era chiamata « Tom Mix», dal nome del celebre cowboy del cinema americano. Il passatempo preferito di « Tom Mix~ era quello di scorrazzare a cavallo per il campo sparando a casaccio addosso ai prigionieri. Ci sono molti testimoni oculari dei delitti di « Tom Mix», ma Wiesenthal non ha ancora trovato il suo uomo perchè non ne conosce il vero nome. Nel campo di concentramento di Cracovia il capo dei Kapò veniva chiamato W aisenkind ( « l'orfano ») perchè era un delinquente comune condannato a morte per avere ucciso i genitori. I nazisti lo fecero uscire dalla galera e lo misero come Kapò nel campo di concentramento, dove «l'orfano» ebbe modo di dare sfogo a tutti i suoi istinti bestiali. « Nessuno sapeva il suo vero nome, » ricorda Wiesenthal. « Forse alcuni vecchi detenuti lo avevano saputo, ma erano tutti morti. Ricordo un altro Kapò nel campo di Gr<:>S&osen, vicino a Wroclaw, l'antica Breslavia. Quando entrava in una camerata, i prigionieri sapevano già come sarebbe andata a finire. Lo chiamavano <l'angelo della morte>. Purtroppo è impossibile rintracciare un uomo sulla base di un soprannome come questo. »

Di solito, la polizia che dà la caccia agli ~ini, ai ladri e agli altri delinquenti comuni, conosce i veri nomi dei ricercati. Molte SS invece nascosero accuratamente la loro vera identità perchè, via via che la guerra si faceva sempre più disperata per la Germania, si rendevano conto che forse un giorno avrebbero dovuto render ragione dei loro delitti. Dopo la guerra molti appartenenti alle SS e alla Gestapo scomparvero servendosi di documenti falsi e continuarono a vivere sotto falso nome. Anche quando Wiesenthal riesce a scoprire il vero nome di un oriminale, rimane il problema di sapere dove si trova l'uomo in questione. Su molte schede figura un punto interrogativo o la nota « domicilio sconosciuto»: una frase che ricorda il tempo in cui la corrispondenza indirizzata agli ebrei in Germania veniva spesso respinta al mittente con la medesima annotazione. ·

Il Centro di Documentazione di Linz fu presto conosciuto in tutta Europa. Da molti paesi arrivarono rapporti e testimonianze, lettere e quesiti, fatti e dati. Gli israeliani diedero a Wiesenthal i loro elenchi dei criminali nazisti ricercati. Ma fino a questo momento l'elenco più prezioso glielo hanno fornito le stesse SS. Un giorno, nel 1961, un ex « cliente » offrì a Wiesenthal una Dienstal,terliste (ruolo di servizio) delle SS che conteneva i nomi di I 5.000 SS coo l'indicazione, per ogrù nominativo, del grado, delle decorazioni, de1le note caraitteristiche, delle sodi. Erano state stampate solo quaranta copie di questo elenco: una per ognuno dei quaranta Gauleiter mes& da Hitler a capo delle quaranta regioni dell'Europa governate dai nazisti. I Gauleiter ave\'ano l'ordine tas.sa.tivo di distruggere gli elenchi alla fine della guerra. Il « cliente » di Wiesenthal aveva fatto in modo di procurarsene uno approfittando della confusione che .seguì alla vittoria degli alleati. Disse a Wiesenthal che aveva bisogno di denaro e gli chiese cinquemila dollari. Wiesenthal comperò l'elenco e non se ne pentì. In seguito, molti di quelli che egli fece arrestare protestarono di non essere mai stati nelle SS. Ma non poterono più negarlo quando videro i loro nomi nell'elenco di Wiesenthal.

Il finanziamento di quella che i giornali amano chiamare « la rete di Wiesenthal » è fonte di interminabili congetture per i « clienti » di Wiesenthal e per coloro che criticano la sua attività. Costoro insinuano che egli sia appoggiato da vari governi e dal sinistro potere del « capitalismo internazionale ebraico ». La verità è meno suggestiva. A differenza di corti agenti segreti dei romanzi, Wiesenthal non vive di caviale e di champagne Dom Pérignon. Quando' aprì il Centro di Documentazione, nel 1947, poteva contare sull'aiuto di alcuni entusiasti non retribuiti, e riceveva cinquanta dohlari al mese a titolo di contributo volontario dal dottor A. Silberschein, un ex deputato polacco che viveva a Ginevra. Wiesenthal int egrava il suo magro bilancio scrivendo articoli e facendo altri lavori. Sebbene, dopo il 1950, la Gennania Occidentale acconsentisse a risarcire agli ebrei i danni subiti, per anni Wiesenthail si rifiutò di chiedere l'indennizzo che gli spettava, avendo egli perso la casa, il lavoro e ogni suo avere durante il regime nazista. Non riusciva ad abituarsi all'idea di prendere del denaro dai tedeschi. Alla fine Wiesenthal acconsentì a farlo, ma disse che avrebbe speso metà di quello che avrebbe ,ricevuto per finanziare il Centro di Documentazione. In real tà, ha speso più della metà di quanto ha ricevuto dal 1958, epoca 1n oui gli fu corrisposto il primo acconto. Ha pagato personalmente tutte le spese da lui sostenute durante i sedici anni circa in cui ha lavorato al caso Eichmann.

Nel 1961, dopo il processo di Eichmann a Gerusalemme, il Consiglio delle Comunità Ebraiche in Austria decise di finanziare un Centro di Documentazione a Vienna, e chiese a Wiesenthal di occuparsene. Al Centro vennero assegnati 400 dollari al mese. Wiesenthal si tratteneva un monsile di 1 50 dollari e spendeva il resto per l'affitto, il personale, il telefono e la posta. Il finanziamento venne sospeso l'anno dopo quando Wiesenthal, che non ha peli sulla lingua, criticò aspramente i sistemi del Consiglio. Egli tornò così a lavorare per conto suo. Fondò la Federazione delle Vittime Ebree del Regime Nazista, sovvenzionata dal modesto contributo mensile dei suoi milleduecento membri. Quando l'attività di Wiesenthal fu meglio conosciuta, cominciarono ad arrivare contributi volontari con un ritmo, però, molto irregolare. Un tale gli spedì dall'Australia un modesto as.5egno « perchè lei mi ha commosso». Una vecchia di New York mandò due dollari.(« Non andrò al cinema per due settimane, caro signor Wiesenthal, ma lei farà un uso migliore del mio denaro. ») In una piccola città americana un rabbino raccolse 1 8 dollari da ognuno dei diciotto membri della comunità. (Nella lingua ebraica, che esprime i numeri con le lettere, « 18 » equivale a chai,, la parola che significa «vita».) Il contributo più sostanzioso, un assegno di 1000 dollari, giunse da un anonimo sostenitore indiano di Calcutta. Diverse comunità ebraiche della Germania Occidentale inviano offerte saltuarie. Gli olandesi hanno istituito uno speciale Fondo Wiesenthal nei Paesi Bassi, dove è molto vivo l'interesse per la sua attività. Ci sono poi Amici del Centro di Documentazione a Bruxelles, a Francoforte, a Johannesburg, a Milano, a Monaco, a Torino. Tutte le elargizioni vengono depositate su un apposito Gonto bancario. Il pagamento delle spese deve essere autorizzato da quattro membri di un comitato che sovraintende ai lavori del Centro di Documentazione.

Negli ultimi anni, le attività del Centro si sono notevolmente estese. Il bilancio mensile si aggira oggi sui 1 500 dollari. Wiesenthal svolge personalmente il lavoro più importante. È aiutato da due segretari e da un collaboratore che parla e scrive in dodici lingue, tiene in ordine le pratiche in continuo aumento e adopera la Xerox che il CentTo ha preso in affitto. La voce che incide di più sul bilancio è il telefono. Wiesenthal non sopporta di stare in un posto do:ve non possa essere raggiunto con una telefonata. Spende circa 1 50 dollari al mese per telefonate interurbane, perchè ritiene sia della massima importanza poter informare le autorità circa il luogo in cui si trova un nazista prima che qualche amico avverta il ricercato che Wiesenthal è sulle sue tracce.

Wiesenthal ha imparato che raramente le ,informazioni ottenute pagando sono attendibi li. Talvolta gli vengono offerte informazioni circa il luogo in cui si tiene nascosto qualche nazista importante. Queste offerte gliele fanno loschi individui - ex nazisti che affermano di avere notizie di prima mano -o rispettabili avvocati e uomini d'affari. Di solito, Wiesenthal è molto scettico circa il valore di tali informazioni; inoltre, dice, le cifre richieste sono troppo elevate per il suo bilancio. Egli ha ancora un certo numero di aiutanti non retribuiti ai quali risa.rcisce le spese per le missioni importanti.

« Ci sono quattro fatti fondamentali in merito alla nostra amministrazione, » dice Wiese nthal. « Primo, il Centro di Documentazione non ha entrate regolari; io cerco di avere sempre in banca una riserva sufficiente a farci tirare avanti sei mesi, e quando vedo che il conto scende chiedo ai miei runici di racimolare un po' di fondi. Secondo, nessun governo o ente governativo ci h a mai dato un soldo. Terzo, non riceviamo denaro dagli israeliani, che spendono ingenti somme per · le loro indagini sui crimini nazisti, ma abbiamo amichevoli e utili rapporti con le loro organizzazioni. Quarto, non riceviamo d e naro da quello che i miei < clienti> chiamano < il capitalismo internazionale ebraico >. »

Le esigenze personali di Wiesenthal sono mod este. Vive con la moglie in un piccolo appartamento, vede poche persone oltre a quelle con cui ha rapporti di lavoro, e passa la maggior parte delle serate in casa a sbrigare la corrispondenza personale e a studiare libri e ., çarte sul suo aTgomento preferito. Talvolta va a trovare la sua unica figlia, che è sposata e abita in Olanda. Ha una piccola Ford inglese, non beve, e fuma solo quando è nervoso. Alcuni anni fa cominciò a far collezione di francobolli a scopo distensivo, ma trovò il modo di sfruttare per il lavoro anche il suo hobby, perchè le buste affrancate del periodo nazistà gli fornirono indizi prezfosi. Una volta prese in trappola una SS che negava di essere stata in Polonia in una certa epoca. Wiesenthal esibì una busta affrancata, diretta alla famiglia di quell'individuo, sulla quale era ben visibile la data. L'uomo fu arrestato.

Sebbene Wiesenthal senta di aver fatto molto per risvegliare la coscienza pubblica in Germania e in Austria, c'è una categoria di persone con le quali - salvo qualche rara eccezione - capisce di poter fare ben poco in questo senso. Sono i suoi « clienti », le ex SS e gli ex nazisti fanatici. Dopo molte conversazioni con queste persone, e dopo anni di ·studi e di osservazioni, Wiesenthal è giunto alla conclusione che nella grande maggioranza « o non avevano affatto coscienza, o erano capaci di soffocarla completamente. Un uomo di questo genere si è sbarazzato della coscienza come altri si sbarazzano dell'appendice. < Befehl ist Befehl > : <gli ordini sono ordini >. Il Fiihrer comandava e lui obbediva. I tedeschi hanno un'espressione per questo genere di obbedienza: Kadauergehorsam, ubbidiente come un cadavere ». Il concetto del Befehlnotstand - « gli ordini sono ordini » - è spesso accettato come circostanza attenuante daJ.le giurie tedesche e austriache. Ma queste giurie non esigono mai la prova che, se un imputato si fosse rifiutato di eseguire un ordine, avrebbe davvero rischiato la vita. Tale prova non esiste. Ci furono degli uomini che rifiutarono di eseguire degli ordini criminali e furono mandati in prigione o al fronte. Quelli che sopravvissero, oggi hanno la coscienza pulita.

Qualche anno fa Wiesenthal cohobbe Alfons Gorbach, ex cancelliC<re federale dell'Austria, un cattolico che passò ·molti mesi nel campo di concentramento di Dachau. Gorbach rimproverò a Wiesenthal di « riaprire delle vecchie ferite ». « Non sono affatto sicuro che sia una cosa ben fatta, » disse l'ex cancelliere. Wiesenthal ammise che nemmeno lui ne era sicuro. « Forse la storia deciderà se è stata una cosa ben fatta o no, » disse. « Ma cTedo che sia necessario. Vuole che i suoi figli e i figli dei suoi figli siano un giorno nuovamente contaminati dalJe teorie sulle razze inferiori che vanno sterminate come parassiti? Non vuole che siano immunizzati m ediante la conoscenza della verità? Io credo che i giovani della Germania e dell'Austria mentmo che si dia loro l'opportunità di vivere senza un senso di colpa. I giovani sanno che i più anziani hanno mancato nei loro confronti. Gli insegnanti non parlano degli eventi storici incresciosi. I genitori preferiscono passarli sotto silenzio perchè sperano che col tempo < tutta la faccenda sia dimenticata>. Ma lei sa, H err Kanzler, che la verità ha un curioso modo di venire a galla nei momenti più inopportuni. Io parlo spesso con i giovani, e so che stanno diventando curiosi. Hanno udito e letto troppo su <queste cose>. Mi pare che abbiano diritto di sapere. »

Wiesenthal riuscì a penetrare per la prima volta nei misteri della mentalità delle SS poco dopo la guerra, quando entrò in possesso di ' alcune lettere che delle SS in servizio nei campi di concentramento avevano scritto alle mogli. Ramm en ta la lettera di un SS-Fiihrer il quale raccontava che il suo reparto aveva ricevuto l'ordine di riparare una pista di atterraggio a Uman, presso Kiev, in Ucraina, danneggiata da una bomba russa. I matematici delle SS calcolarono che i corpi di millecinquecento persone sarebbero stati sufficienti a riempire il cratere aperto dalla bomba; perciò si erano messi metodicamente al lavoro per procurare il materiale necessario uccidendo millecinquecento ebrei, uomini, donne e bambini, e gettandone i cadaveri nella buca. I corpi furono ri coperti di terra, sulla quale venne steso un traliccio di acciaio, e la pista di atterraggio tornò come nuova. Tutto ciò era descritto senza alcuna emozione, con profusione di particolari tecnici. Nella stessa lettera, la SS chiedeva notizie delle rose del suo giardino, e prometteva alla moglie di cercarle una serva russa « per cucinare e badare ai bambini » .

« Egli scriveva di queste cose come se raccontasse che gli avevano ripulito l'appartamento durante le vacanze estive della moglie, » dice Wiesenthal. « Ho letto un'altra lettera in cui una SS descrive come facevano ad uccidere i bambini ebrei sbattendoli contro i muri, e poi prosegue chiedendo notizie del figlio ammalato di morbillo. t difficile comprendere queste cose. Ricordo l'estate del 1941, quando le SS arrivarono a Lvov. Dapprima ~ecintarono una parte della città vecchia per adibirla a ghetto. Poi tolsero il selc~o in modo che le strade diventassero un pantano. Ciò faceva parte del loro sistema per ore are condizioni di vita subumane. Nei giorni piovosi, era impossibile attraversare una strada senza affondare nella mota fino alle caviglie. Era impossibile tenersi puliti. Dovevamo sembrare animali, o fantasmi di un altro mondo. E nei giorni peggiori arrivavano, su grosse automobili, gli SS-Fiihrer e gli ufficiali dell'esercito in compagnia di d onn e, e ci guardavano e ridevano e prendevano fotografie di quella strana specie di Untermenschen. Poi mandavano fotografie a casa, e tutti dicevano: <Guarda quegli ebrei! Il Fiihrer ha ragione : non sono nemm eno es.seri umani. > »

Come il chirurgo ved e il paziente per la prima volta quando glielo portano in lettiga nella sala operatoria, così spesso Wiesenthal vede gli uomini che ha rintracciato e assicurato alla giustizia solo durante la fase finale della sua operazione: nell'aula del tribunale, come testimone o come spettatore. Lavorò al caso di Adolf Eichmann per circa sedici anni, e alla fine sapeva più cose su Eichmann di quante Eichmann volesse ricordarne. Ma vide Ei chmann per la prima volta il giorno in cui ebbe inizio il processo a Gerusalemme.

Sedici anni prima, nel 1945, quando comin ciò a raccogliere il materiale contro l'uomo cui era stato affidato il compito di condurre a termine la « soluzione finale del ,problema ebraico », Wiesenthal abitava in una camera d'affitto al n. 40 della. Landstrasse a Linz, in Austria, città natale di Adolf Eichm ann. Ad appena quattro isolati di distanza, al n. 32 della Landstras.5e, c'era la casa in cui Eichmann aveva trascorso la giovinezza. Parecchie volte al giorno, Wiesenthal dovev a pa<.;Sare davanti al portone dal quale Eichmann era entrato e uscito tanto spesso, e se mpre si sentiva la bocca arida e un nodo alla gola. Un giorno, il capitano americano per il quale Wiesenthal lavorava a qu el tempo gli disse che avrebbero perquisito la casa di Eichmann e gli chiese di accompagnarlo. Wiesenthal rifiutò. « Non avrei potuto toccare nemmeno la man iglia della porta, » dice. Ancor oggi, il contatto fi sico con i suoi « clienti » desta in lui una profonda ripugnanza. Egli teme che dopo la guerra, quando andava a caccia di criminali delle SS nell e prigioni e nei campi di int ernamento, gli sia capitato di dare la mano, senza saperlo, a qualche assassino, e questo solo pensiero lo sconvolge.

Subito dopo la guerra, quando lavorava per varie organizzazioni statunitensi, Wies enthal accompagnava spesso gli ufficiali americani nelle loro missioni. In molte occasioni, <lovette arrest are personalmente delle SS accusate di qualche delitto. Nei loro occhi, egli vide la stessa espressione che un tempo aveva visto negli occhi degli ebrei arrestati dalle SS. Ma Wiesenthal osservò anche una notevole differenza : in alcuni casi le ex SS e i superuomini della Gestapo si buttavano in ginocchio e invocavano pietà... cosa che gli ebrei non avevano fatto. Wiesenthal aveva vi sto parecchie persone andare verso la morte. Molte erano spaventate; al cune erano così terrorizzate che bisognava sostenerle. Alcune pregavano ed altre piangevano. Ma non avevano mai supplicato per aver salva la vita.

Non deve sorprendere che Wiesenthal sia oggetto della profonda antipatia delle ex SS, e i suoi amici sono spesso preoccupati per la sua incolumità. Egli è stato minacciato a più riprese, e in qualche occasione è stato anche aggredito. Una volta un individuo irruppe nel suo ufficio brandendo un coltello; Wiesenthal afferrò una bottiglia d'inchiostro e gliela scagliò contro con violenza: i suoi collaboratori, richiamati dal chiasso, corsero in suo aiuto. La maggior parte dei cosiddetti aggressori usano sistemi tortuosi, come lettere anonime indirizzate allo « Sporco ebreo Wiesenthal, Vienna». Altri sono specia:lizzati in telefonate anonime. Per un certo periodo ricevette tante telefonate minatorie, per lo più di notte, che dovette chiedere alle autorità di mettere sotto controllo il suo telefono. Un uomo che aveva l'abitudine di chiamarlo spesso da un telefono pubblico fu arrestato e condannato a due mesi di prigione.

Wiesenthal considera le minacce anonime come gli inconvenienti di una professione rischiosa e assume un atteggiamento filosofico verso quegli antagonisti che sono troppo codardi per spingersi oltre. « I miei amici dicono: <Stai attento>! » dice Wiesenthal. « È lo stesso che dire a un uomo di stare a,ttento quando sale su un aeroplano. Che altro potete fare per la vostra incolumità, quando vi siete allacciati la cintura di sicurezza? Coloro che hanno paura degli aerei non dovrebbero volare. Se mi dovessi preoccupare troppo di queste cose, non potrei più lavorare. »

Nel settembre 1965, Wiesenthal lesse i resoconti giornalistici di un convegno dell'Unione Mondiale dei Nazionalsocialisti (WUNS) che aveva avuto luogo a Southend, in Inghilterra, e nel corso del quale un tedesco di nome Friedrich Lang aveva posto una taglia di 1 20.000 dollari sulla sua testa. La polizia austriaca svolse delle indagini e chiese informazioni all'ambascata britannica a Vienna. In precedenza, un agente della polizia di Stato che era riuscito a partecipare a una riunione segreta di vari gruppi neonazisti a Salisburgo, aveva riferito ai suoi superiori che diversi Kameraden anziani avevano suggerito ai camerati più giovani di « fare qualcosa per Wiesenthal ». Per un certo tempo, la casa e l'ufficio di Wiesenthal furono sorvegli ati dalle auto della polizia, e lui stesso era sempre accompagnato da un poliziotto. Dietro suggerimento di Wiesenthal, i neonazisti vennero informati per vie tira.verse che i loro piani erano noti, e la faccenda finì B.

Nel 1962 si verificò un incidente più serio. Una mattina Wiesenthal arrivò, proveniente dall'estero, all'aeroporto di Vienna dove trovò un messaggio che lo invitava a telefonare subito a casa. Formò il numero. Gli ri~pose un amico che gli disse di aspettarlo all'aeroporto: sarebbe andato subito a prenderlo. « No, va tutto bene, Simon, » gli disse l'amico. « Ma ti prego, non venire a casa. »

Quando l'amico arrivò all'aeroporto, disse a Wiesenthal che quella mattina alle tre sua moglie aveva ricevuto una telefonata anonima. Una voce femminile le aveva detto: « Signora Wiesenthal, se suo marito non la smette di frugare nel passato, i miei amici prenderanno sua figlia e lei non la rivedrà più viva. » Poi la comunicazione era stata interrotta. La. signora vViesenthal aveva fatto in tempo ad avvertire l'amico, prima di cadere svenuta. Erano stati chiamati la polizia e un medico. La signora Wiesenthal era a letto con un lieve attacco cardiaco, ma si sarebbe rimessa; l'amico aveva voluto far sapere a Wiesenthal che erano state prese le misure necessarie, per evitare che anch'egli subisse una scossa rientrando a casa.

« Quando arrivammo con la macchina davanti a casa, notai un poliziotto in borghese dal!' altra parte della strada, » dice Wiesenthal. « Mia moglie dormiva. II dottore le aveva dato un sedativo, Nostra figlia era a casa, me la presi fra le braccia e la tenni stretta a lungo; poi andai in camera mia e mi sedetti, col viso fra le mani. Mi sentivo infelice. Per la prima volta in vita mia, mi domandavo se avessi dowto continuare... se avessi avuto il diritto di continuare. Non m'importa di correre dei rischi, ma non pos.50 esporre aJ pericolo la mia famiglia. Eppoi, non avevo già fatto abbastanza in tutti quegli anni? Valev,a la pena che continuassi le ricerche? Per quanti nazisti av~i catturato, ne sarebbero sempre rimasti molti di più impuniti. Riflettei a lungo, ma alla fine capii come sarebbero andati a finire i miei ragionamenti. Era inutile, dovevo andare avanti. Ricordo che mi presi la testa fra lé mani dicendo a me st~: < Non posso fermarmi, non posso fermarmi. > »

Simon Wiesenthal dice spesso che il problema peggiore nel suo lavoro è trovare testimoni attendibili in grado di deporre con accuratezza su date e luoghi. Nella sua vita, si trovò di fronte a questo problema molto tempo prima di sentir parlare di campi di concentramento e di nazisti. Wiesenthal è nato il 31 dicembre I 908, « circa mezz'ora prima della fine dell'anno», secondo quello che in seguito gli disse la madre. La levatrice fece la debita denuncia di nascita all'ufficio di stato civile della città di Buczacz, in quella che era allora la regione più orientale dell'Impero austro-ungarico. A tempo debito, egli ric evette il certificato di nascita, il passaporto e tutti gli altri documenti che la gente, in quella parte di mondo, deve avere per provare che esiste. Quando, nel 1926, raggiunse l'età per il ser-

VlZlO mil.itare, diciotto anni, la Galizia faceva ormai parte della Polonia, e Wiesenthal fu iscritto nelle liste di leva dell'esercito polacco. A quel tempo era studente universitario, e come tale aveva dirit• to ad consueto rinvio del servizio.

L'anno dopo, due poliziotti andarono ad arrestarlo sotto l'accusa di aver tentato di sottrarsi al servizio militare. Wiesenthal disse che doveva esserci uno sbaglio, perchè lui era già iscritto nelle liste e aveva avuto un rinvio. I poliziotti dissero che non c'erano sbagli, perchè loro avevano le prove che egli era nato il 1° gennaio 1909. Non si era presentato con la leva del 1927, come avrebbe dovuto, e pertanto era passibile di arruolamento immediato senza possibilità di rinvii. Wiesenthal scoprì che anche iJ padre d i sua madre era andato a registrare la sua nascita, ma non in data 31 dicembre 1908. Egli aveva invece indicato 1a data del 1° gennaio 1909. Il nonno aveva pensato che mezz'ora non avesse alcuna importanza, e voleva che il nome del nipote f0&5 e il primo sul registro del 1909, perchè si pensava che ciò portasse fortuna. Aecadde invece che ciò creasse molte difficoltà a Wiesenthal, ail quale le autorità polacche dissero che tutti i suoi documenti personali potevano essere invalidati. .. che, in effetti, egli non esisteva, a meno che non fosse in grado di provare che era nato, come affermava, il 3 1 dicembre 1908. Un magistrato polacco disse a Wiesenthal di produrre due testimoni che rilasciassero una dichiarazione giurata circa la sua data di nascita.

« Per la prima volta nella mia vita dovetti trovare due testimoni che ricordassero esattamente una cosa che era accaduta circa venti anni prima. Cominciai a cercare, e trovai due persone che avevano abitato neU'appartamento attiguo al nostro a Buczacz. Fortunatamente, ricordavano ' bene quella sera, pe:rchè era la vigilia di Capodanno e c'era stato Ìnolto entusiasmo quando la levatrice aveva riferito che ai vicini Wiesenthal era nato un bambino. Un testimone ricordò perfino che la levatrice era entrata prima che si spegnessero le luci a mezzanotte e che i presenti si scambiassero gli auguri di <Buon anno>. L'altro testimone ricordò che aveva sturato un'altra bottiglia di vodka per brindare alla mia salute. Ciò convinse il magistrato e mise a posto le cose; così la mia nascita fu riconosciuta . legalmente. Ma se non fosse stata la sera dell'ultimo dell'anno ma una sera qualsiasi, e se non ci fosse stata una festa?»

A Buczacz, una città di novemila abitanti, vivevano seimila ebrei e tremila polacchi. I 3.500.000 abitanti d ella Galizia comprendevano 1. 700.000 ucraini (chiamati anche ruteni), 1 .000.000 di polacchi e 800.000 ebrei. I polacchi e gli ebrei vivevano nei centri urbani, gli ucraini nelle campagne. Non correva buon sangue fra i vari gruppi. Il padre di Wiesenthal, un abile commerciante all'ingrosso, trattava, fra l'altro, anche Io zucchero. Da bambino, Simon si divertiva ad andare nel magazzino e a costruire case e castelli con quadratini di zucchero. Il giovane Simon aveva ereditato anche dalla nonna materna, una donna profondamente religiooa, una tendenza al misticismo, ancora evidente nei suoi pensieri e nei suoi discorsi. La nonna portava con sè il piccolo Simon quando andava a trovare dei rabbini famosi, ai quali chiedeva di benedire il bambino. Wiesenthal ricorda ancora la gita dal famoso rabbino Czortkov, che viveva in una grande masseria cadente, in mezzo alle case dei suoi discepoli. Wiesenthal non ricorda il pio uomo, ma non dimenticherà mai una finestrella nella soffitta della casa, dietro la quale vide il volto di un uomo. La nonna disse a Simon che quell'individuo si chiavama « il silenzioso ». Pare che un giorno quell'uomo, dopo un · litigio con la moglie, gridasse : « Che tu possa bruciare! » Quella notte stessa la sua casa si era incendiata e la moglie era morta fra le fiamme. L'uomo, oppresso da un senso di colpa, andò dal rabbino, il quale gli ordinò di non pronunciare più una parola per il resto della sua vita e di pregare per ottenere il perdono. Due volte al giorno, qualcuno portava un po' di cibo al « silenzioso » nella sua stanzetta in soffitta. Per anni Simon sentì un brivido percorrergli la schiena ogni volta che pensava al peccatore silenzioso apparso dietro quella finestrella.

Quando Simon aveva sei anni, scoppiò la prima guerra mondiale. Suo padre, ufficiale della riserva nell'esercito austriaco, raggiunse la sua unità e, come molti altri padri, non tornò dalla guerra. Fu ucciso in combattimento nel 1915. Jèu quello l'anno in cui i cosacchi dello Zar, arrivarono a Buczacz sui loro piccoli e veloci cavalli. Gli impauriti ebrei sapevano che cosa dovevano aspettarsi. Molti venivano dalla Russia, dove i pogrom scoppiavano ogni qualvolta le cose andavano male e per evitare che i sudditi ci pens~o troppo si permetteva loro di dare addos.5o agli . ebrei e di saccheggiarne i negozi. Così molti ebrei erano scappati verso occidente, prima in Galizia, poi in Germania, e infine nell'Europa occidentale e in America.

Sul finire del 1915, la madre di Wiesenthal portò Simon e il fratello minore a Vienna, che era ancora la capitale della monarchia asburgica, e qui Simon frequentò le scuole pubbliche. Nel 19 1 7 i russi si ritirarono dalla Galizia, e molti ebrei tornarono a casa; fra questi anche i Wiesenthal. Dopo l'armistizio, per tre mesi la Galizia Orientale dive nne la Repubblica Ucraina O ccidentale indipendente. Poi l'esercito polacco la occupò e gli abitanti di Buczacz diventarono cittadini polacchi. L'amministrazione polacca durò due anni, fino all'inizio della guerra polacco-bolscevica nel ·1920. Per gli abitanti di Buczacz, quelle g uerre intemùnabili significavano un continuo andirivieni di sol dataglia e un terrore senza fine.

« Ci svegliavamo la mattina senza sapere chi fosse al potere, » ricorda Wiese nthal. « Io frequ entavo il Gymnasium locale. Quando ci chiedevano chi c'era al governo, dovevamo guardare il ritratto appeso alla parete dietro la cattedra dell'insegnante. Una settimana c'era un capo bolscevico, la successiva c'era un ucraino, e poi fu la volta del maresciallo polacco Pilsudski. I bolscevichi rastrellarono tutti i borghesi e li costrinsero a pagare un riscatto. Mia madre e altre donne ebree furono adibite alla pulizia della palestra di ginnastica, che i russi avevano trasformato in stalla. »

Le truppe bolsceviche erano cattive, ma le bande di cavalleria ucraina erano anche peggio. Scorrazzavano per la città sui loro cavallini come i cosacchi, saccheggiando, violentando e uccidendo. Una volta diedero agli ebrei di Buczacz un ultimatum di tre ore. Volevano trecento litri di Schnaps per le cinque del pomeriggio, altrimenti avrebbero bruciato le loro case. Wiesenthal ricorda molto bene la gente c he correva di qua e di là per cercare di raccogliere il quantitativo richiesto. Quella notte gli ucraini vagabondarono per le strade, ubriachi fradici. La gen te di Buczacz spran gò le porte e pregò. Dopo un giorno o due, alcuni r estarono a corto di cibo, ma le donne non osavano avventurarsi fuori di casa. La madre mandò Simon, allora dodicenne, da un vicino che abitava nella casa di fronte a farsi prestare un po' di lievito per fare il pane. Mentre il ragazzo stava per attraversare la strada di corsa, un ucraino a cavallo lo raggiun se e tanto per divertirsi gli squarciò la coscia con la sciabola. Il ragazzo svenne e dovette esse re trasportato a braccia dalla madre. Mandarono a chiamare un m edico che riusci a raggiungere la casa passando per le cantine e p er i cortili interni, e diede dei punti alla ferita. Wiesenthal ha ancora una profonda cicatric e che g li attraversa la parte superiore della coscia.

Al Gymnasium, Wiesenthal s'innamorò di una graziosa compagna di classe dai capelli biondo-scuro, che si chiamava Cyla Muller_. Erano ancora adolescenti, ma in paese si diede pres to per scontato che Simon e Cyla un giorno si sarebbero sposati. Nel I 925 la madre di Wiesenthal passò a nuove nozze e la famiglia si trasferì a Dolina, un paese d ei Carpazi, dove il secondo marito della signora Wiesenthal aveva una fabbrica di tegole. Simon andava sempre a passare le vacanze a Dolina. Amava la campagna e gli p iaceva andare a cavallo e fare passeggiate nei boschi. Aveva deciso di diventare architetto. Presa la licenza al Gymnasium, cercò di iscriversi al Politecnico di Lvov, in Polonia, ma la sua domanda fu respinta perchè i posti a disposizione degli studenti ebrei erano molto limitati.

Wiesenthal passò i successivi quattro anni a Praga, dove studiò al Politecnico Ceco e dove trascorse i più bei giorni della sua vita. Era molto popolare fra i suoi compagni per le interessanti discussioni che sapeva suscitare nelle riunioni studentesche e perchè era un piacevole animatore delle feste goliardiche. Sapeva un sacco di barzellette, e aveva una particolare inclinazione per la mimica e la satira. Il suo genere di umorismo era particolarmente apprezzato dagli amici non ebrei, ai quali piacevano significato profondo e la celata ironia dei suoi aneddoti. Quando tornava a casa per le va. canze di Natale e di Pasqua, rimaneva sveglio tutta la notte, in treno, per raccontare delle storie ai suoi amici, e quando arrivava a casa era tanto rauco che non poteva più parlare.

Nel 1936 sposò Cyla Muller e aprì uno studio di architetto, speci alizzato in el eganti case residenziali. Questa parentesi piacevole durò fino all'agosto del 1939, quando la Germania e la Russia firmarono il patto di « non aggressione» e si misero d'accordo per spartirsi la Polonia. Il 1° settembre i tedeschi cominciarono la loro Blitzkrieg invadendo la Polonia da occidente, e due settimane dopo l'Armata Rossa la invase da oriente. A metà settembre, l'Armata Rossa era a Lvov, e Wiesenthal fu nuovamente « libetrato », come lo era stato in precedenza dai russi, dagli ucraini e dai polacchi. Questi ultimi liberatori si portarono dietro gli agenti della NKVD, la polizia <li Stato, ché andarono attorno ad arrestare i commercianti

« borghesi » ebrei e i proprietari di fabbriche, nonchè gli esponenti dell' « intellighenzia » : medici, avvocati e insegnanti. Il patrigno di Wiesenthal fu portato in una prigione sovietica, dove morì poco dopo. La madre di Wiesenthal andò a vivere con il figlio e la nuora. Il fratellastro, un commerciante di Stanislav, fu arrestato e più tardi fucilato dai russi, che uccisero tutti i prigionieri politici quando si ritirarono sotto la pressione dell'esercito tedesco in avanzata. Molti « borghesi » ebrei ricevettero i passaporti del cosiddetto « Paragrafo 11 », che faceva di loro dei cittadini di seconda classe, privi di molti diritti, ai quali non era permesso vivere nelle grandi città o a meno di cento chilometri dalle frontiere. Perd e ttero il loro lavoro e si videro confiscare i conti in banca. Wi esenthal, rivelandosi un uomo pieno di risorse in -caso di necessità, corruppe un commissario della NKVD e ottenne dei pa.s.5aporti regolari per sè, per la moglie e per la madre. Pochi mesi dopo, tutti gli ebrei con i pas.5aporti del « Paragrafo I I » furono deportati in Siberia, dove molti morirono. I Wicsenthal riuscirono a rimanere a Lvov, ma i giorni di Wiesenthal come architetto libero professionista erano finiti. Egli si contentò di trovare una occupazione mal retribuita come operaio in una fabbrica di molle per letti.

Ventidue mesi dopo il patto rUS'lO-ted esco cli « non aggresc;ione », il 22 giugno 1941, Hitler invase l 'Unione Sovietica. Otto giorni dopo, le ultime unità dell'Annata Rossa l asciarono L vov, e per le strade della città si cominciarono a vedere le prime uniformi tedesche. Coloro che indossavano queste uniformi erano ausiliari ucraini, fuggiti dall'Unione Sovietica in Germania, dove erano stati addestrat i. Festeggiarono il loro ritorno a Lvov dando inizio a un pogrom che durò tre giorni e tre notti. Alla fine del mas;acro, seimila ebrei erano stati uccisi.

Nel pomeriggio di domenica 6 luglio 1941, Wiesenthal era nascosto nella cantina cli casa sua e giocava a scacchi con un amico ebreo di nome Gross. Alle quattro, un poliziotto ausiliario ucraino che parlava lo yiddish andò ad arrestarli e li portò all a prigione di Brigidki. N el cortile c'erano circa quaranta ebrei: avvocati, medici, insegnanti e ingegneri. Al centro del cortile, un grande tavolo carico cli bottiglie di vodka, salsicce, zakusky (antipasti polacchi ), fucili e mumz1om.

Venne ordinato agli ebrei di mettersi in fila, con la faccia al muro e le mani sulla nuca. Accanto ad ogni uomo c'era una cassa da imballaggio vuota. Un ucraino c ominciò a sparare. Cominciò dall'estremità sinistra della lunga fila, colpendo le vittime alla nuca. Ogni due colpi tornava al tavolo per prendersi un sorso cli vodka e qualche zakusky, mentre un compagno gli passava un altro fucile. Due ucraini ficcavano i corpi nelle casse di legno e le portavano via. Gli spari e le grida degli uomini che morivano si avvicinavano sempre più a Wiesenthal. Egli ricorda che stava là a fissare il muro grigio senza nemmen o vederlo. D ' un tratto, suonarono le campane della chiesa e una voce gridò in ucraino: « Basta! f: la messa vespertina! »

Gli spari cessarono. I sopravvissuti si guardarono tremanti e increduli. Erano rimasti in una ventina. Vennero portati in due grandi celle dove un ucraino tolse loro le cinte e i lacci delle scarpe. Gli ebrei si draiarono sulle cuccette e per terra. Wiesenthal pensò ai morti nelle casse da imballaggio e quasi li invidiò.

Finalmente si assopì. Poi, ricorda di aver spalancato gli occhi sotto una luce intensa e di aver sentito una voce che diceva in polacco: « Signor Wiesenthal, che cosa fa lei qui?» Wiesenthal riconobbe un suo ex capomastro, un certo Bodnar. Indossava un abito borghese e aveva al braccio la fascia dei poliziotti ausiliari ucraini. « Farò in modo di portarla fuori di qui questa notte,» disse Bodnar all'orecchio di Wiesenthal. « Lei sa che cosa faranno domani mattina. »

Wiesenthal gli chiese di aiutare anche il suo amico Gross, che doveva prendersi cura della vecchia madre. Bodnar ebbe un'idea . Avrebbe detto agli ucraini c he aveva sco perto « due spie » fra gli ebrei. Li avrebbero pic ch iati, loro avrebbero confessato tutto e firmato ·una dichiarazione, e poi Bodnar avrebbe detto che li portava dal commissario ucraino in via dell'Accademia. Wiesenthal e Gross furono picchiati selvaggiamente - quolla notte Wiesenthal perdette due denti davanti-, ma, dopo essersela cavata più volte per il rotto della cuffia, la mattina arrivarono ·a casa.

Quel periodo di relativa libertà non durò molto per Wiesenthal. Alcune settimane dopo, i tedeschi decretarono che tutti gli ebrei dovevano lasciare i loro appartamenti e trasferirsi negli alloggi del ghetto creato per loro nella città vecchia. Un giorno una SS andò nell'appartamento di Wiesenthal con una prostituta polacca, alla quale chiese se qu el posto le piaceva. Lei disse: « Sì... può andare. »

U n'ora dopo, i Wiesenthal vennero buttati fuori di casa e dovettero lasci are tutte le loro cose. Trascorsi alcuni mesi nel ghetto, Wiese nthal e la moglie vennero portati nel vicino campo di concentramento di Janowska, mentre la vecchia madre fu lasciata nel ghetto.

Sul finire del 1941, Wiesenthal e la moglie vennero mandati dal campo di concentramento in uno speciale campo di lavoro coatto ch e serviva l'OAW (Officina Riparazioni della Ferrovia Orientale).

L'offensiva tedesca contro l'Unione Sovietica era in pieno svolgime nto, e quella vitale linea di approvvigionam enti che attraversava la Polonia doveva essere mantenuta in efficienza. La signora Wiesenthal fu assegnata al reparto locomotive, dove divenne maestra nella lucidatura dei pezzi di ottone e di nichel. A Wiesenthal fu ordina to di dipingere gli stemmi con la svastica e l'aquila sulle ex locomotive russe. In seguito fu promosso a pittore di insegne, mestiere rispettabile durante il regime di ,un ex pittore d'insegne.

In una giornata molto fredda, Wiesenthal stava dipingendo all' aperto quando gli pasw vicino il suo superiore Heinrich Guenthert. Wiesenthal non aveva guanti, e il freddo gli aveva fatto diventare le mani violacee. Guenthert si fermò a chiacchierare e gli chiese che scuole avesse frequentato. Wiesenthal, sapendo che gli intellettuali ebrei avevano la precedenza n elle liste di sterminio, disse a Guenthert che aveva frequent ato una scuola commerciale. Un polacco che era lì vicino disse che non era vero, e che Wiesenthal era architetto. Guenthert chiese a Wiesenthal perchè avesse mentito; non sapeva che i bugiardi finivano nelle mani della Gestapo? Wiesenthal confessò la verità. Guenthert, che sembrava un brav' aomo, ne rimase colpito. Da quel momento in poi, disse, Wiesenthal avrebbe lavorato al coperto, come tecnico e disegnatore. clandestino polacco. Una notte, un tale di nome Zielinski la fece uscire di soppiatto dall'Officina Riparazioni e la condusse nel suo appartamento. Poi un architetto di Lublino, un certo Szczepanski, la cui impresa di costruzioni aveva fatto diversi lavori all'interno degli scali, acconsentì a nascondere la mogli e di Wiesenthal prendendola in casa sua, a L ublino, come governante per i bambini. Ma la signora Wiesenthal si trovava da pochi mesi in quell a casa quando qualcuno la denunciò ai tedeschi. Un giorno la avvertirono che gli uomini della Gestapo stavano andando a prenderla. Lei riuscì a sfuggire in tempo, e tornò a Lvov. Una sera, un amico del movimento clandestino polacco disse a \Viesenthal che sua moglie lo stava aspettando vicino al reticolato di filo spinato. Wiesenthal andò di corsa nel punto dove la moglie lo attendeva e le prese le mani attraverso il reticolato. Lei gli disse in fretta che si sarebbe fermata per due notti con la vecchia che puliva i gabinetti della stazione ferroviaria, ma che poi avrebbe dovuto andarsene. Wiesenthal le disse di tornare la notte seguente: nel frattempo avrebbe pensato a una soluzione.

Fino all'inizio del 1942, le condizioni di vita a Lvov furono sopportabili, ma dopo le decisioni prese a W annsee 1 da Hitler circa la « soluzione finale del problema ebraico», e dopo l'assassinio del capo della Gestapo Reinhard H eydrich a Lidice, in Cecoslovacchia, il 28 maggio 1942, un'ondata di terrore pasw nell'Europa occupata dai nazisti. Nell'agosto, migliaia di ebrei vennero mandati dalla stazione ferroviaria di Lvov ai ,campi di sterminio che erano stati creati in Polonia. Un giorno Wiesenthal guardava impotente le SS che stipavano delle vecchie ebree sui vagoni merci, cento donne per ogni vagon e. Lasciarono i vagoni per tre giorni sotto l'infuocato sole d'agosto mentre le donne chiedevano un po' d'acqua. Una di quelle donne era sua madre, che aveva sessantatrè anni. \Viesenthal non la rivide più. In seguito, seppe che era morta a Belsec. Poco tempo dopo, la madre di sua moglie fu uccisa da un poliziotto ucraino che le sparò sulle scale di casa sua.

Nel settembre 1942, la maggior parte dei parenti dei Wiesenthal erano morti. Wiesenthal non sapeva nulla dei piani di Hitler per la « soluzione finale », ma non dubitava che prima o poi sarebbero morti anche loro. Per sè, non aveva alcuna speranza, ma voleva salvare la moglie che, pensava, essendo bi onda poteva passare per polacca. Wiesenthal aveva degli amici fra i membri della cellula del movimento clandestino polacco che agiva all'interno della Officina Riparazioni. Costoro progettavano di sabotare il nodo ferroviario di Lvov, per danneggiare la macchina di guerra tedesca, e Wi ese nthal pensava di rendersi utile nella esecuzione del piano. Nella sua qualità di tecnico, aveva una relativa libertà di movimenti e gli era perm esso di uscire dallo scalo ferroviario. Egli si era sistemato l'ufficio in una baracca di legno, e qui cominciò a disegnare segretamente le piante dello scalo ferroviario, mettendone in evidenza tutti i punti vulnerabili. Wiesenthal parlò d ella moglie a quelli del movimento , V. Appendice.

La mattina dopo, Wiesenthal avvicinò i suoi amici del movimento olandestino e propose un affare. Avrebbe dato lOTo tutte le carte che aveva disegnato in segreto se, in cambio, essi avessero procurato alla moglie dei documenti falsi, un lavoro e un posto in cui vivere. L'affare fu concluso. Quella sera Wiesenthal incontrò di nuovo la moglie al reticolato di filo spinato, e le disse di prendere i,l primo treno del mattino per Varsavia, dove avrebbe trova~o quaJcuno ad aspettarla. Avrebbe assunto il nome di « Irene Kowalska » e avrebb e avuto un lavoro e un posto dove vivere. (La signora Wi esenthal abitò in un appartamento di Varsavia con la moglie del poeta polacco Jerzy Lec, senza che nessuna delle due sapesse mai che l'altra era ebrea.) Wiese:nthal disse alla moglie che si sarebbero tenuti in contatto tramite un tale di Lvov che si chiamava Szatkowski. Le baciò le mani attraverso il reticolato di filo spinato, e rimase lì fino a che non udì il suono dei suoi passi.

Wiesenthal ricorda l'Officina Riparazioni della Ferrovia Orientale come una isola di buonsenso in un mare di follia. I cinquanta funzionari tedeschi che dipendevano da Heinrich Guenthert si comportavano in man iera corretta sia con i polacchi che con gli ebrei. L'immediato superiore di Wiesenthal, I'Oberinspektor Adolf Kohlrautz, era, come Gucnthert, una persona straordinariamente perbene . Wiesenthal scoprì ch e entrambi erano antinazisti. Kohlrautz arrivò perfino a permettergli di nascondere nella sua scrivania (di suo conto. Ognuno era solo con se stesso, con i suoi pensieri. Ognuno era un'isola di solitudine. Era il nostro privilegio e la nostra forza.»

Kohlr.autz) due pistole che Wiesenthal si era procurato per vie traverse. Fra i polacchi, molti che si dimostravano zelanti collaborazionisti erano membri attivi del movimento clandestino.

Il 20 aprile 1943, il giorno del cinquantaquattresimo compleanno di Hitler, il sole splendeva e nell'aria si sentiva già la primavera. Wiesenthal era stato in piedi fino all'alba a dipingere cartelli e svastiche per la grande festa delle SS all'Officina Riparazioni. Lui e due aiutanti ebrei stavano finendo un gros.50 cartello su cui era scritto WIR LIEBEN UNSEREN FUHRER (Noi amiamo il nostro -Fiihrer), quando allo SS-Unterscharfuhrer Dyga, che era della Slesia e aveva un nome polacco, venne in mente di dimostrare, dando un saggio della sua malvagità, che lui era più tedesco di un tedesco. ai tre uomini di andare con lui. Essi misero giù i pennelli e uscirono alla luce del sole. L'Oberinspektor Kohlrautz guardò Wiesenthal desolato, alzando le spalle con un gesto d'impotenza. Evidentemente, aveva cercato di fermare la SS ma non ci era riuscito. Dyga li scortò al campo di concentramento, distante tre chilometri. La gente, per la strada, non li guardava nemmeno. Wiesenthal si chiese se quella f06SC la sua ultima passeggiata attraverso la città.

Al campo di concentramento, molte SS erano ubriache. Era stato distribtl-lto Schnaps in abbondanza, e loro volevano dimenticare le cattive notizie che arrivavano dal fronte. Erano passati pochi mesi da Stalingrado e le SS avevano paura di essere mandate presto all'Est. Dyga raccolse ahri prigionieri ebrei nei capannoni e nei laboratori, li portò in un posto chiamato der Schlauch (il tubo) e disse loro di aspettare. Ora Wiesentha:l sapeva cosa sarebbe accaduto.

Il « tubo » era un corridoio largo circa due metri fra due siepi di filo spinato che separavano il campo vero e proprio dalle altre installazioni. Alla fine del « tubo» c'era la cava di sabbia dove avevano luogo le esecuzioni. Il «tubo» era sinonimo di morte; nessun prigioniero che fosse passato per il « tubo » era mai tornato indietro. Una ventina di uomini e alcune donne si trovavano già all'interno del «tubo». Wiesenthal vide che per la maggior parte erano professori, avvocati, insegnanti, medici : gli ultimi intellettuali del campo. Aspettavano in silenzio. Nessuno parlava. Nessuno chiedeva « perchè? » . Non c'erano « perchè? », ma solo « perchè » . Le SS avrebbero ammazzato un po' di ebrei per festeggiare il compleanno del Fiihrer. Apparvero una mezza dozzina di SS, capeggiate da un certo Unterscharfuhrer Kauzer, che portava un ,mitra. Venne ordinat o ai prigionieri di avanzare nel «tubo», affiancati per due . Wiesenthal ricorda come camminavano. « Ognuno camminava per p .

Venne giù un violento acquazzone primaveTile quando raggiunsero la cava di sabbia, che era profonda, circa un metro e ottanta e lunga circa quarantacinque metri. Vi si vedevano i corpi nudi di alcune vittime precedenti. Quando un settore della fossa era pieno, le SS buttavano della sabbia sui cadaveri e passavano a un altro settore. Vicino alla fossa c'era un grosso camion con il motore ac. ceso. l)i$ero agli ebrei di levarsi tutti i vestiti, di fame degli involti ordinati e di metterli sul camion. Più tardi, i vestiti e le scarpe degli ebrei sarebbero stati distribuiti ai poveri della Germania dalle caritatevoli signore della NS Volbwohlfahrt, l'organizzazione assistenziale nazionalsocialista. I poveri, indossando quei vestiti e quelle scarpe, avrebbero osannato il Fiihrer.

Il camion si allontanò. Wiesenthal contò trentotto uomini e sei donne. Venne detto loro di mettersi in fila per uno e di salire sull'orlo della cava. Con la coda dell'occhio, Wiesenthal vide la SS Kauzer che alzava il f,ucile. L'acquazzone era diventato più forte, ma non era abbastanza forte da coprire le grida dei morenti. Meccanicamente, Wiesenthal contò i colpi: Uno, due, tre, quattro, cinque. Ci fu una pausa. Un uomo ern caduto a terra invece che nella fossa. Una SS salì e diede una pedata al corpo che rotolò nella f os.sa. Sei, sette, otto, nove.

Wiesenthal non contò più. Da qualche parte giunse il suono lacerante di un fischietto, e una voce che sembrava fuori del tempo e dello spazio.

« Wie-sen-thal! »

E ancora, più vicino, « Wiesenthal ! » Questa volta, automaticamente scattò sull'attenti, e sentì la propria voce che diceva: « Presente! » Gli ordinarono di voltarsi. Quasi accecato dalla pioggia, Wicsenthal vide la faccia di ·un'aJtra SS, il Rottenfi.i.hrer Koller, che gli disse di seguirlo. Kauzer, il boia, li fÌs.5Ò perplesso: era venuto per ammazzare quarantaquattro persone, non quarantatrè. Koller disse che doveva portare indietro Wiesenthal, e che Kauzer poteva continuare.

« Barcollavo come un ubriaco, » ricorda Wiesenthal. « Koller mi diede un paio di ceffoni, e questo mi riportò sulla terra. Stavo tornando indietro nel <tubo>, nudo. Dietro di me, le grida ripresero, ma cessarono molto prima che ave$i raggiunto il campo. »

Il camion con 1 quarantaquattro involti di vestiti era fermo da- vanti al capannone del vest1ano. Dissero a Wiesenthal di riprendersi gli abiti e le scarpe « se nza toccare gli altri involti » . Poi fu scortato attraverso la città, fino all'Officina Riparazioni , dove Koller lo consegnò all'Oberinspektor Kohlrautz. « Eccole il suo uomo,» disse Koller, guardando sospettosamente Kohlrautz.

« Bene, » disse Kohlrautz . « Abbiamo bisogno di Wiesenthal. I cartelli devono essere finiti per la festa di oggi pomeriggio. Ci serve un altro cartellone, con una svastica, e la scritta in lettere bian che su fondo r osso WIR DANKEN UNSEREM FUHRER. » (Ringraziamo il nostro Fiihrer.)

Koller se ne andò, e Wiesenthal rimase solo con Kohlrautz. Per un po' fu in capace di parlare. Kohlrautz gli disse che aveva telefonato al comandante del campo per chiedergli ch e Wiesenthal fosse riportato indietro d'urgenza.

« Sono contento di non essere arrivato troppo tardi, Wiesenthal. » Sorrise. « Ci pensi un po' : oggi non è solo il natalizio del Fiihrer. f: anche il suo. »

Wiesenthal cita spesso gli ese mpi di Guenthert e Kohlrautz a sostegno della sua tesi contro la colpa collettiva dei tedeschi. Guenthert era iscritto al partito nazista, ma era anche un uomo sensato che aveva continui fastidi con le SS perchè si rifiutava di trattare i lavoratori coatti come essere inferiori. Una volta Guenthert licenziò due dipendenti perchè maltrattavano i polacchi e gli ebrei. Guenthert è oggi funzio nario delle F errovie d ella Germania O cc iden tale, a Karlsruhe; lui e Wiesenthal s'incontrano spesso e parlano dei brutti tempi passati. Nel d icembre del 1965, Wiesenthal invitò il suo amico al matrimonio della sua unica figlia. « Quando un uomo come Simon Wiesenthal, dopo tutto quello che è suoces.so, invita un tedesco in famiglia, mi sento onorato, » ha detto Guenthert.

Guenthert ricorda di aver notato Wiesenthal fra gli altri prigionieri « perchè camminava se mpre a testa alta e mi guardava dritto negli occhi. Le SS dicevano che Wiesenthal era impertinente. Non mi misi a discutere con loro, ma confesso ch e ero impressionato dal portamento eretto di quell'uomo. Aveva n egli occhi un'espressione pensosa, come se sapesse che noi tedeschi un giorno avremmo dovuto r ende r conto di tutto ».

Anche K ohlrautz era nazista, ma co ndivid eva il dispr ezzo del suo direttore per le SS. Fra Kohlrautz e Wiesenthal c'era un muto legame. Sembrava che Kohlrautz rispettasse non solo la tranquilla dignità, ma an che l'abilità tecnica di Wiesenthal, perchè spesso faceva passare sotto il suo nome i disegni esegu iti da Wiesenthal. Gli dimostrò la sua gratitudine fingendo di non sapere che Wiesenthal aveva nascosto le pistole nel cassetto della sua scrivania. Kohlrautz riferiva spesso a Wiesenthal le notizie apprese dalle trasmissioni della BBC, che era proibito ascoltare, e mandava di nascosto del cibo nel ghetto per la vecchia madre di Wi esenthal. I due uomini parlavano spesso di politica nell'ufficio di Kohlrautz quando erano soli. Una volta Kohlrautz disse : « Sono al corre nte dei delitti che vengono commC$i nei campi di concentramento. Un giorno o l'altro noi tedeschi dovremo renderne conto. »

Dopo la guerra, Wiesenthal venne a sapere che all'inizio del 1944 Kohlrautz era stato trasferito al fronte. Fu ucciso durante la battaglia di Berlino.

« Troppi buoni tedeschi sono morti perchè venne loro ordinato di combattere le battaglie di Hitler e non vollero sottrarsi a quello che consideravano il loro dovere, » dice Wiesenthal. « E troppi uomini delle SS e del partito se la sono cavata perchè erano dei vigliacchi. Le SS combattevano una comoda guerra nei campi di concentram ento contro uomini, donne e b ambin i inermi. »

Verso la fine di settembre del 1943, venne l'ordine che i lavoratori ebrei, alloggiati all'Officina Riparazioni, fossero rimandati ogni sera sotto scorta al campo di concentramento; Wiesenthal capì che non avrebbe avuto altre occasioni. Era tempo che ten tasse la fuga. Kohlrautz gli permetteva spesso di andare in città per com perare il materiale da disegno. Quando faceva qu este commissioni, Wiesenthal era aocompagnato da un poliziotto ucraino. Se f~ riuscito a liberarsi del poliziotto, il resto sarebbe stato facile. Un amico del movimento clandestino polacco, Roman Uscienski, gli aveva promesso di ospitarlo nel suo appartamento per qualche giorno. E una ragazza polacca che lavorava all'Offi cina Riparazioni gli avev a detto che poteva nascondersi in casa dei suoi genitori, n el vicino villaggio di Kulparkow.

Quella mattina - Wiesenthal ricorda bene la data: 2 ottobre 1943 - chiese a Kohlr autz un permesso per andare a fare spese in città. « Kohl rautz mi guardò; sapeva .che cosa stavo per fare. Era un tipo in gamba. Alcune settimane prima mi aveva chiesto: < Wiesenthal, che cosa sta aspettando?> Compilò il lasciapassare per mc e per il mio amico Arthur Scheiman, un ex direttore di circo. Poi Kohlrautz uscì dall'ufficio, dicendo che andava a cercare un poliziotto. Presi rapidamente le due pistole <lal cassetto della sua scrivania. Kohlrautz tornò con un ucraino dall'aria tonta, che era arrivato .da poco a Lvov e non conosceva la dttà. Giunto sulla porta mi voltai, e Kohlrautz mi fece un cenn o con la mano destra come per dirmi addio. »

Wiesenthal e &heiman andarono in una cartoleria che aveva una porta sul davanti e una sul retro, e là si liberarono del poliziotto. Poi, andarono nell'appartamento di Uscienski, dove festeggiarono la fuga. Scheiman raggiunse la moglie, un a ucraina, e Wiesenthal andò a K ulparkow, dove passò un mese nella soffitta della casa della ragazza. Ogni tanto costei andava a trovarlo. Gli disse che la moglie di Scheiman lavorava da sarta e che il pover'uomo doveva stare nascooto tutto il giorno nell'armad io dei vestiti ad ascol tare il chiacchiericcio delle donne. Wiesenthal stava bene, invece, nella soffitta tranquilla; ma una sera la madre della ragazza andò su molto agitata. Le SS avevano liquidato il campo di concentramento e ucciso la maggior parte dei prigionieri; alcuni, però, erano scappati, ed ora i tedeschi stavano perlustrando la campagna. Disse a Wiesenthal che doveva andarsene. Egli lasciò la casa e decise che avrebbe cercato di raggiungere &heiman.

« Gli otto giorni che seguirono furono brutti quanto quelli al campo di concentramento, » ricorda Wiesenthal. « Schciman ed io passavamo le giornate accovacciati su due sgabellini nella metà vuota di un grande armadio in casa sua. L'altra metà, piena di vestiti, restava aperta. Quelli della polizia entrarono due volte nella camera, m a quando videro l'armadio aperto se ne andarono. L'aria era sgradevole là dentro e avevamo paura di t ossire, con le clienti della signora &heiman che facevano le prove a tre metri da noi. »

Dopo una settimana, si trasferirono nell'appartamento di certi ami ci che abi tav ano a l piantorreno di una vecchia casa. Il pavimento era di sabbia ricoperta con tavole di legno. Tolsero le tavole e scavarono la sabbia, fino ad avere abbastanza spazio per due persone coricate, con le loro armi e le loro carte . Q ueste ultime erano rappresentate dal diario di Wiesenthal e da un elenco di SS e dei loro crimini, che egli aveva compil ato pensando che un giorno avrebbe potuto essere utile. La casa fu perquisita spesso, ma Wiesenthal e Scheiman venivano sempre avvertiti in tempo e scomparivano n elle loro « tombe». Un amico polacco rimetteva a posto le assi, s ull e quali collocava una pesante tavola.

La sera del 13 gi ugn o 1944, venne da to l'allarme in strada. Avevano sparato a un soldato tedesco. SS e poliziotti polacchi in borghese stavano perquisendo le case per cercare le armi nascoote. Wiesenthal era nella su a ·« tomba », abbastanza calmo, quando sentì dei passi pesanti nella stanza. D'un tratto i passi cessarono, e un momento dopo le tavole che lo coprivano venn ero tolte. Due agenti polacchi gli piombarono addosso, lo tirarono fuori e lo spinsero contro il muro, mentre una SS s'impadroniva del diario e dell'elenco di SS. Fu portato al posto di polizia di piazza Smolki. Quando vi arrivò, aveva ancora la sua pistola ma, fortunatamente per lui, la trovò uno degli agenti polacchi che gliela rubò, probabilmente per venderla al mercato nero. Se un tedesco avesse trovato l'arma, avrebbe sparato a Wiese nthal immediatamente.

Da piazza Smolki, \Viesenthal fu riportato al campo di concentramento. C'erano rimasti solo pochi e brei: sarti, calzolai, idraulici... artigiani dei quali le SS avevano ancora bisogno. Wiesenthal sapeva che, dopo aver letto il suo diario e il particolareggiato elenco di torturatori delle SS, la Gestapo avrebbe avuto prove sufficienti per impiccarlo dieci volte.

La sera del 1 5 giugno, dalla prigione d ella Gestapo mandarono due uomini a prenderlo. Uno era l'Oberscharfi.ihrer O skar Waltke, l'uomo forse più temuto di Lvov. Era un tipo massiccio, con freddi occhi grigi e capelli biondo-rossicci. Si rivolgeva ai prigionieri chiamandoli « Kindchen » - «piccini» - con un sorriso canzonatorio. Waltke, un automa sadico e freddo, dirigeva la Sezione Affari Ebraici della Gestapo a Lvov. La sua specialità era quella di smascherare gli ebrei che avevano un falso passaporto polacco. Torturava le vittime fino a sirappar loro la confessione, poi le faceva fucilare. Torturava anche molti cristiani fino a che confessavano di essere ebrei, solo perchè la smettesse. Il suo nome era nell'elenco compilato da Wiesenthal, che \Valtke doveva aver studiato con grande interes.5e. Wiesenthal sa~va che Waltke non si sarebbe contentato di farlo fucilare. Innanzi tutto, lo avrebbe sottoposto al suo trattamento speciale. Quando Wiesenthal fu condotto nel buio cortile dove era in attesa il camion della prigione della Gestapo, tirò fuori una lametta da rasoio che aveva tenuto nascosta nel polsino della camicia per una eventualità del genere.

« Avanti, Kindchen, presto! >> disse Waltke.

Con due movimenti rapidi, Wiesenthal si tagliò entrambi i polsi. Salì sul camion e perse conoscenza. Quando rinvenne, era in una cella dell'infermeria nella prigione della G estapo. Con lui c'erano due disertori, una SS e un ucraino. Un medico delle SS disse a Wiesenthal che egli aveva il privilegio di esse re il primo ebreo che f os.se stato curato nell'infermeria della prigione. Lo Herr SS-Oberscharfi.ihrer Waltke aveva espressamente ordinato di accelerare Ia guarigione di Wiesenthal con una dieta speciale di minestre nutrienti, di fegato e di verdure, perchè gli fosre possibile interrogarlo presto. Alcuni giorni dopo, W altke andò a trovare il suo protetto.

« Non era necessario, Kindchen, » gli disse. « Noi non siamo dei mostri. Adesso rimettiti presto, così tu ed io potremo avere un'amichevole conversazione. »

La notte dopo, quando i suoi compagni di cella si furono addormentati, Wiesenthal tentò nuovamente di suicidarsi; questa volta fissò la cinta dei calzoni a una sbarra deÌl'alta finestra della cella per impiccarsi. Ma i polsi fasciati erano intorpiditi, e quando salì su lla tazza del gabinetto per passarsi la cinta intorno al collo ebbe una vertigine e caèlde. I suoi compagni di cella si svegliarono e chiamarono le guardie. Wiesenthal fu legato alla branda. Rinunciò ai tentativi di suicidio. Il 16 luglio gli dissero che l'indomani mattina alle nove lo avrebbero portato da Waltke.

Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Si sentiva il rumore delle cannonate e degli aerei. I suoi compagni di cella dissero che i rus.si si stavano avvicinando. All'alba ·venne aperta la porta della cella e i prigionieri ricevettero l'ordine di andare nel cortile. C'erano molti altri detenuti in fila. Al centro del cortile c'era una lunga tavola con sopra pacchi di cartelle. Dietro il tavolo, insieme con Waltke, Wiesenthal vide una SS cli nome Engels, che sedeva con le gambe accavallate e si batteva la gamba destra con un frustino da cavallerizzo. Engels prendeva una cartella, veniva chiamato un nome, un prigioniero andava a mettersi davanti al tavolo; Engels dava una rapida occhiata alla pratica, quasi mai al prigioniero. Poi diceva qual cosa a Waltke. Sempre battendosi la gamba col frustino, Engels indicava col pollice a destra. Il gruppo di destra s'ingrossava sempre più : erano rus.5i, ucraini, polacchi e calmucchi condannati a morte.

Quando venne chiamato Wiesenthal, W altke disse a Engels: « È lui. » Engels gettò a Wiesenthal uno sguardo in c uriosi to e disse: « Ah! » prima di spedirlo col pollice nel gruppo di destra.

« Forse ci avrebbero seppellito in una grande fossa comune , » ricorda Wiesenthal. « Guardai gli altri, come certi, in aereo, guardano i loro compagni di viaggio. Se dovessimo precipitare, pensano, costoro sarebbero i miei compagni n ella morte. Dall'altra parte del cortile vidi un gruppo di ebrei. Desideravo essere seppellito con loro, non con i pola cchi e gli ucraini, ma come fare? Improvvisamen te ci fu un boato nel cielo sopra di noi, e un'esplosione fece tremare il cortile. Dalla via Sapieha si levò in aria una nuvola di fuoco e di fumo. Le pratiche che erano sul tavolo volarono dappertutto, e ci fu una confusione spaventosa. In un batter d'occhio attraversai il cortile e mi misi nel gruppo degli ebrei. Un minuto dopo due SS ci carica.rono su un camion e ci riportarono al campo di concentramento di Janowska.»

Vennero rinchiusi in una casamatta di calcestruzzo. Dopo alcune ore, gli ebrei vennero portati davanti allo SS-Hauptsturmfuhrer Friedrich W arzok, comandante del campo, un tipo robusto con !e guance rosse e gli occhi gelidi. Passò ip rassegna i prigionieri e si fermò di fronte a Wiesenthal, che accolse chiamandolo « un mio vecchio ospite». Volle sapere da Wiesenthal come avesse fatto a scappare. Wiesenthal diede a Warzok una versione un po' riveduta della verità, per non compromettere il suo amico Kohlrautz. Warzok diventò straoz,çlinariamente gentile. Disse a Wiesenthal di andare con lui, e diede ordine che fossero uccisi gli altri ebrei. Quando furono nella Kommandantur, Warzok presentò Wiesenthal alle altre SS come « il figlio perduto che è tornato a casa».

« Pensavi che ti avrei fatto fucilare come gli altri, vero? » chiese a Wiesenthal. « Qui la gente muore quando io voglio che muoia. Torna alla tua vecchia baracca. Niente lavoro, e doppia razione di rancio .per te. »

Wiesenthal attraversò il campo, senza riuscire a raccapezzarsi. Warzok, che era responsabile della morte di almeno settantamila persone, lo lasciava vivere, e in più gli dava doppia razione di rancio. Era una cosa senza senso. Nella baracca erano rimasti trentaquattro prigionieri, fra uomini e donne ... trentaquattro, sui 1 49.000 ebrei di Lvov. Dopo averli minaociati di morte, Warzok aveva inaspettatamente detto ai prigionieri che lo SS-Brigadefiihrer Katzmann aveva deciso di risparmiarli. Stavano per lasciare Lvov insieme, prigionieri e guardie.

Li fecero passare attraverso la città, sotto un intenso fuoco di artiglieria. Alla stazione ferroviaria, furono spinti in un carro merci già stipato di polacchi. Alcuni dissero che le SS li avrebbero uccisi col gas dentro al vagone, ma quando la porta venne riaperta e una SS, che si chiamava Blum, mise dentro un cagnolino nero e una gabbia con un canarino e minacciò di sparare a tutti se fosse successo qualcosa alle due bestiole, Wiesenthal capì che non li avrebbero uccisi col gas. Le SS amavano i loro animali.

La mattina dopo arrivarono n ella città di Przemysl, e W aazok li informò che aveva venduto i suoi prigionieri coane « lavoratori coatti non tedeschi » all'Organizzazione Todt, l'ente statale che costruiva fortificazioni e simili. Warzok disse loro di dimenticare che erano stati nel campo di concentramento e di dimenticare che erano ebrei. Chiunque avesre parlato di ciò che era accaduto in passato sarebbe stato fucilato, disse. L'evacuazione sarebbe continuata verso occidente. Gli ebrei avrebbero avuto le stesse razioni di cibo, di Schnaps e di sigarette che ricevevano le guardie SS.

« Finalmente capimmo perchè Warzok ci aveva risparmiati,» dice Wiesenthal. « Fino a che le SS avessero avuto qualcuno da sorvegliare, avrebbero eluso l'obbligo di andare al fronte. Noialtri trentaquattro ebrei diventammo l'~curazione sulla vita di quasi duecento SS. Avremmo formato tutti insieme una bella famiglia. Warzok disre che avremmo cercato di raggiungere le foreste della Slovacchia, dove ci saremmo nascosti fino a che la guerra f finita. »

A Dobromil la ferrovia terminava, e dovemmo proseguire a piedi. La strada formicolava di civili che fuggivano dai russi, mentre dalla d irezione opposta venivano colonne di sold a ti tedeschi, che andavano stancamente verso il fronte. A un certo punto un convoglio di Volksdeutsche (tedeschi della Polonia) cercò di sorpassarli; W arzok fermò il convoglio di carri a cavalli e ne requisì trenta. Ai disgraziati V olksdeutsche lasciò solo dieci carri. Così, su ogni carro c'erano un « lavoratore » ebreo e una mezza dozzina di SS che lo « sorvegliavano». Quando giunsero all'ultimo ponte, ancora intatto, sul fiume San, in Polonia, l a confusione aumentò. Correva voce che i russi fossero vicini, ma davanti al convoglio di Warzok c'era una colonna della Wehrmacht che bloccava il traffico. Se la èolonna passava il ponte per prima, le SS potevano rimanere intrappolate. Warzok sapeva ciò che gli sarebbe successo se fosse caduto nelle mani dei sovietici. Raggiunse la testa della colonna della Wehrmacht, puntò l a pistola contro il maggiore che la comandava, mentre una SS teneva a bada gli altri ufficiali con un mitra. Warzok ordinò alle sue SS di superare la colonna della Wehrmacht. Mentre passavano, Wiesenthal vide il maggiore tedesco, pallido e furibondo, e Warzok che gli puntava la pistola addosso. Quan<lo furono sulla sponda occidentale, Warzok ordinò ad alcuni genieri dell'esercito tedesco di far saltare il ponte già abbondantemente minato. Le SS si salvaro n o, ma la colonna della Wehrmacht fu catturata dai sovietici. (Wiesenthal raccontò in seguito questo episodio a parecchi ex ufficiali della Wehrmacht, che a tutta prima si erano rifiutati di aiutarlo nelle sue indagini sulle SS perchè, dicevano, sarebbe stato « contrario allo spirito di cameratismo » , il Kameradschaftsgeist. « Di solito, però, dopo aver sentito il mio racconto, mi aiutavano, » concludeva asciutto Wiesenthal. )

A Grybow, una città polacca, Warzok ordinò a Wiesenthal di dipingere un grande cartello con la scritta ss BAUSTAB VENUS. Il cartello fu posto in mezzo a un campo, circondato dai veicoli e dai cavalli. Questo era il comando dell'inesistente « Gruppo Costruzioni SS Venus ». Lunghe colonne di soldati tedeschi dall'aria sfiduciata passavano lì accanto, guardavano il cartello e logicamente si domandavano che cosa mai avrebbero costruito quelli della Baustab Venus. La stessa domanda, del resto, se la ponevano anche quelli della Baustab Venus. Dopo un po', si misero di nuovo in cammino verso occidente. C'era poco da mangiare, e ogni tanto dei gruppetti di ebrei e di SS venivano spediti in giro per la campagna a rubare un po' di cibo. Nel villaggio di Chelmiec, gli uomini di Warzok circondarono la chiesa durante la messa, arrestarono tutti gli uomini, le donne e i bambini e se li portarono via. Wiesenthal capì : Warzok voleva che il rapporto numerico fra guardie e prigionieri fosse più convincente. Nella città di Neu-Sandec, Warzok portò Wiesenthal in campagna e gli disse di studiare il terreno: dovevano costruire degli ostacoli anticarro.

« Pensai che Warzok fosse diventato matto. C'era una strada ripida, stretta e polverosa che portava in cima alla collina, e finiva lassù. L'ingegnere che era in me si risvegliò. Dissi a Warzok che la strada non portava in alcun luogo. A che serviva costruire delle difese anticarro? Egli diede una manata sulla fondina della pistola e gridò : <Ti ho forse chiesto il tuo parere? > e allora capii. Per un certo tempo costruimmo difese contro carri che non sarebbero mai venuti. Poi i russi si avvicinarono, e ci trasferimmo di nuovo, questa volta al campo di concentramento di Plaszow, presso Cracovia, e qui due SS di Warzok, Dyga· e Wurz, portarono la maggior parte degli ebrei nei boschi vicini, e li uccisero: un altro gesto di amore fraterno di W arzok. Costui è ancora in giro, da qualche parte, ma spero di riuscire a trovarlo. >>

Il 15 ottobre 1944, diverse migliaia di internati nel campo di Plaszow furono trasferiti al campo di concentramento di Grossrosen, vicino a Breslavia (oggi Wroclaw, Polonia), dove c'erano circa seimila polacchi ed ebrei. Wiesenthal sentì delle voci sulla battaglia di Varsavia. Aveva cercato inutilmente di mandare notizie alla moglie. Però non sapeva che, nell'agosto del 1944, la moglie aveva ricevuto questo messaggio da Lvov: « Wiesenthal arrestato da W altke della Gestapo, si è tagliato i polsi, è morto. »

Un giorno, un gruppo di polacchi di Varsavia venne portato al campo di Grossrosen. Fu subito dopo l'insurrezione della , città. Si diceva che uno di quegli uomini venisse dalla via Topici. La moglie di Wiesenthal abitava al n. 5 di via Topiel. Wiesenthal parlò con quell'uomo e gli chiese cautamente notizie degli abitanti di via Topiel. Per caso, il polacco aveva conosciuto una certa « Iren e Kowalska », che stava al numero 5? Wiesenthal aveva imparato a non fidarsi di nessuno, nemmeno dei suoi compagni di prigionia. Non disse al polacco che quella « Kowalska » era sua moglie.

Il polacco dis.<;e che la ricordava bene; lui abitava al numero 7, il portone accanto. « Amico mio, nessuno si è salvato a via Topiel, » gli disse. « I tedeschi hanno circondato una casa dopo l'altra con i lanciafiamme, e poi hanno fatto saltare ciò che ancora rimaneva in piedi. Non c'è speranza, credi a me. Via Topiel è una grande fossa comun e.»

Ai primi di gennaio del 1 945 l'Armata Rossa era vicino a Grossrosen. I prigionieri fecero tutta la strada a piedi fino a Chemnitz (ora Karl Marx Stadt nella Germania Orientale) e di là, attraverso campi e boschi, fino a Weimar e al vicino campo di concentramento di Buchenw2!d. Il freddo era intenso e c'era molta neve. Migliaia di prigionieri morirono, e quelli che cadevano esausti venivano finiti dalle SS. Wiesenthal non rimase a lungo a Buchenwald. Il 3 febbraio 1945, tremila prigionieri furono caricati sui camion, centoquaranta per ogni camion scoperto. Ri masero sui camion per ore e per giorni : molti morirono di fame e di sete.

« I morti stavano con i vivi, » ricorda Wiesenthal. « Volevamo buttarli fuori dai camion, ma la popolazione civile protestò, e le SS ci avvertirono che ci avrebbero sparato se avessimo buttato i cadaveri sulla strada. Mettemmo i corpi rigidi sul fondo del camion, come fossero tavole di legno, e ci sedemmo sui cadaveri dei nostri compagni. »

Il 7 febbraio, il convoglio proveniente da Buchenwald arrivò alla stazione ferroviaria di Mauthausen, nell'Austria Superiore. Fu fatto l'appello. Delle tremila persone che avevano lasciato Buchenwald tre settimane prima, ne erano rimaste vive milleduecento. Centootto di esse morirono durante il tragitto dalla stazione al campo di concentrame nto di Mauthauseil, che distava appena sei chilometri.

Wiesenthal ricorda bene la notte limpida, spaventosamente fredda, lo scricchiolio della neve gelata sotto i piedi. Ogni passo era uno sforzo immane. Egli si trovò a camminare accanto a un certo principe Radziwill, un parente del quale sposò in seguito la sorella della mogli e di John F. K ennedy. Erano legati l'uno all'altro per un braccio e cercavano di sostenersi a vicenda, ma alla fine non ce la fecero a proseguire e caddero nella neve. Wiesenthal udì una voce che gridava: « Siete vivi?» e poi una detonazione, ma le mani della SS dovevano essere intirizzite, perchè la pallottola colp ì la n eve fra lui e R adziwill. La colonna prooegul n ell 'oscurità , e Wi ese nth al e Radziwill rimasero lì a te rra. Do po un po' la neve gli diede un senso di benessere, quasi di piacevole calore. Wicsenth al ricorda di aver dormi to un poco, ma poi venne sollevato e gettato su un camion, in cima ad alcuni cadaveri. In seguito gli dissero che il comando del campo a veva mandato dei camion a raccogliere i cadaveri perchè gli abitanti di Mauthausen, andando al lavoro la mattina, non fossero turbati dalla vista di tanti morti. Evidentemente, lui e RadziwiU erano qu asi irrigiditi dal freddo, e li avevano credu ti morti. Ma quando il camion arrivò nel cortile dei forni c rematori e i corpi vennero scaricati, i prigionieri add etti a quel lavoro si accorsero che quei due non erano affa tto morti. F o rtun atamente, non c'er ano SS in giro, e il cortile era immerso nell'oscuri tà . I prigionieri portarono Wiesenthal e Rad ziwill nelle docce, li spogliarono e li misero sotto l'acqua fredda. I due ripresero conoscenza. D alle docce, uno stretto corridoio portava alle baracche del campo, così li fecero entrare di nascosto in una camerata, deboli e storditi, ma vi vi.

W iesenth al non sarebbe vissuto a lungo, però, perchè il comando del campo lo assegnò al IV isolato, l' « isolato della morte », insieme con altri prigionieri che non erano in grado di lavorare e che dovevano morire. Il suo peso era sceso a circa quarantacinque c hili. La dieta giornaliera era di duecento calorie: una scodella di brodaglia puzzolente. La maggior parte dei prigionieri se ne rimanevano sdraiati sulle brande, incapaci di mettersi a sedere o di camminare. Wiesent hal attribuisce la sua salvezza alla fo rza di volontà e all'aiuto di un Kapò pol acco, Eduard Staniszewski, un negoziante di caffè che Wiesenthal aveva conosciuto a P oznan. Staniszewski gli portava di quando in quan do un pezzetto di pane. Si sedeva sulla brand a di W iesenthal, e parlavano di ciò che avrebbero fatto a guerra finita. Sapevano che n on sarebbe durata a lungo perc hè sentivano in cielo il rombo degli a erei americani. Stan iszewsk i diceva che gli sarebbe pi aciuto tornare in P olonia e apri r e un bel caffè, e volJe che Wiesenthal gli buttasse giù il progetto per il suo locale.

« Mi portò car ta e m atite e cominciai a d isegnare, » dice Wiesenthal. « Ciò mi aiutò a dimenticare dove mi trovavo e te neva lontano i miei pensieri dalla gente che era m orta e che moriva intorno a me. Feci dei progetti particolareggiati per il caffè. Disegn ai perfino la livrea per i camerie ri. Sdraiato sulla branda, disegnai t anti progetti da fame un volume. Staniszewski era molto contento e continuava a portarmi del pane. Parlavamo per ore del colore dei tappeti e della forma dei tavoli. Si portò via i progetti. L'ho incontrato diversi anni fa, e mi ha detto che li conserva ancora. Disgraziatamente, le cose non gli sono andate bene, e il suo caffè non è mai stato costruito. »

Wiesenthal giaceva nella camerata A, conosciuta come il posto « migliore » . Quando un uomo diventava tanto debole che si prevedeva morisse nel giro di pochi giorni, lo portavano nella camerata B. Ma la percentuale di morti era alta anche nella camerata A. C'erano due o tre uomini per ogni branda, e talvolta Wiesenthal, svegliandosi al mattino, si accorgeva che un suo compagno di branda era morto. Perfino le incallite SS non entravano nella camerata, tanto puzzava di malattia, di pus e di morte. Ogni mattina u na SS si fermava sulla porta e gridava: « Wie viele sind heute Nacht krepiert? » ( « Quanti ne sono crepati questa notte? » )

« A volte, » dice Wiesenthal, « noi della camerata A pensavamo di essere gli .ultimi uomini sulla terra. Avevamo perso il senso della realtà. Non sapevamo se c'erano altri ancora vivi. In effetti non eravamo molto lontani dal vero. Quasi tremila prigioni.cri sono morti a Mauthausen dopo che gl~ americani ci liberarono il 5 maggio

1 945· »

Alle dieci di mattina del 5 maggio 1945, vidi un grosso carro armato grigio con una stella bianca sulla fiancata e la bandiera americana che sventolava dalla torretta. lo stavo sullo spiazzo battuto dal vento che fino a un'ora prima era stato il piazzale del campo di concentramentro di Mauthausen. Era una giornata di sole, con un profumo di primavera nell'aria. L'odore dolciastro della carne bruciata, che di solito ristagnava sul piazzale, era sparito.

La notte precedente, Je ultime SS erano fuggite. La macchina della morte si era fermata. Nella mia camerata, alcuni morti giacevano sulle cuccette. Quella mattina non erano stati portati via. Il forno crematorio non funzionava più.

Non ricordo come avessi fatto a trascinarmi dalla baracca fino al piazzale. Quasi non ce la facevo a camminare. Indossavo una stinta uniforme a strisce con una « J » gialla in mezzo a una stella di Giuda color arancione. Attorno a me c'erano altri uomini con le uniformi a strisce. Alcuni agitavano delle bandierine in segno di saluto. Dove avevano preso quelle bandierine? Gliele avevano portate gli americani? Non l'ho mai saputo.

Il carro armato con la stclla bianca si era fermato a meno di cento metri da me. Avrei voluto toccare la stella, ma ero troppo debole. Ero riuscito a sopravvivere per vedere quel giorno, · ma non riuscivo a fare gli ultimi cento metri. Ricordo che feci qualche passo, poi le ginocchia mi si piegarono e caddi con la faccia per terra.

Qualcuno mi rialzò. Sentii il tessuto ruvido di una uniforme kaki americana che mi strusciava contro le braccia nude. Non potevo parlare; non potevo nemmeno aprire bocca. Tesi la mano verso la stella bianca, toccai la piastra di metallo fredda e polverosa, poi svenni.

Quando riaprii gli occhi, e mi parve che fosse passato molto tempo, ero di nuovo steso sulla mia .cuccetta. La camerata se~brava diversa. C'era un solo uomo in ciascun castello, non più tre o quat- tro, e i morti erano stati portati via. Nell'aria c'era un odore insolito. Era onT. Portarono delle grosse marmitte piene di minestra. Era una ve ra minestra e aveva un sapore delizioso. Io ne presi troppa; il mio stomaco non era più abituato a ricevere tanto cibo e mi sentii molto male.

I giorni successivi trascorsero in una sorta di piacevole apatia. Per la maggior parte del tempo sonnecchiavo sulla cuccetta. Dei med ici americani con i camici bianchi vennero a visitarci. Ci diedero delle pillole e altro cibo : minestra, legumi~ carne. Io ero ancora così debole che quando volevo muovermi dovevo farmi aiutare da un amico. Ero riuscito a sopravvivere, non avevo più bisogno di costringermi ad esse re forte; ero arrivato al giorno per il quale avevo pregato in tutti quegli anni, ma ora mi sentivo più d ebole che mai. « Una reazione naturale, » dissero i medici.

Raccolsi le forze per alzarmi e uscire da so lo. Mentre passavo barcollando in un corridoio oscuro, qualcuno mi saltò addosso e mi buttò a terra. Caddi e persi conoscenza. Quando rinvenni, ero disteso sulla mia cuccetta e un dottore americano mi diede qualcosa da inghiottire. Due amici eran o seduti vicino a me. Mi avevano raccolto nel corridoio e mi avevano trasportato fino alla c u ccetta. Dissero che era stato un Kapò polacco a colpirmi. Forse ce l'aveva con me perchè ero ancora vivo.

I compagni della camerata A mi dissero che dovevo denunciare il Kapò alle autorità americane. Ora eravamo uomini liberi, non eravamo più Untermenschen. Il giorno dopo i miei amici mi accompagnarono in un ufficio che si trovava nel fabbricato dove un tempo aveva avuto sede il comando del campo. Sulla porta c'era un cartello scritto a mano che diceva CRIMINI DI GUERRA. Ci fecero aspettare in una piccola anticamera. Mi portarono una sedia e io mi sedetti.

Attraverso le porte aperte, vedevo gli ufficiali americani, sedut i dietro le scrivanie, che interrogavano le SS impalate sull'attenti davanti a loro. C'erano diversi ex prigionieri èhe lavoravano come dattilografi. A un certo punto venne portata nella stanza una SS e io istintivamente voltai la testa da una parte perchè non mi vedesse. Quello era sta to un brutale aguzzino: quando passava per il corridoio, se incontrava un prigioniero che non si faceva subito da parte e non scattava sull'attenti, lo colpiva sulla faccia con il fr u stino che si portava sempre appresso. La vista di quell'uomo mi aveva sempre fatto venire il sudore freddo.

Ora, lo guardavo imbambolato e quasi non potevo crederci. La

SS tremava, proprio come io avevo tremato un tempo davanti a lui. Teneva le spalle curve e notai che si asciugava spesso le palme delle mani. Non era più un superuomo; sembrava un animale in trappola. Era scortato da un prigioniero ebreo... un ex prigioniero.

Io continuavo a guardare affascinato. Non riuscivo a sentire quello che dicevano mentre J.a SS stava davanti all'ufficiale americano che lo interrogava. Quasi non ce la faceva a stare sull'attenti e aveva l a fronte imperlata di sudore. L'ufficiale americano fece un gesto con la mano, e un soldato portò via la SS. I miei amici mi dissero che tutte le SS erano state rinchiuse in un grosso bunker di cemento, dove sarebbero rimaste in attesa di essere prOCC$ate. Feci la mia denuncia co ntro il Kapò polacco. I miei amici dichiararono di avermi trovato steso a terra, privo di sensi, nel corridoio. Testimoniò anche uno dei medici americani. Poi tornammo nella nostra camerata. Quella sera il Kapò si scusò con me davanti ai nostri compagni e mi porse la mano. Accettai le sue scuse, ma non gli diedi la mano.

Il Kapò non contava più; ormai faceva parte del passato. Continuai a pensare alla scena che avevo visto nell'ufficio. Disteso sulla cuccetta con gli occhi spalancati, vedevo ancora la SS tremante, uno spregevole vigliacco pie no di paura nella sua uniforme nera. Per anni quell'uniforme era stata il simbolo del terrore. Durante la guerra avevo visto dei soldati tedeschi spaventati - anche i soldati avevano paura delle SS - ma non avevo mai visto una SS spaventata. Li avevo sempre considerati come gli uomini forti, la élite di un regime perverso. Mi ci volle parecchio per comprendere quello che avevo visto: i supe ruomini erano diventati vigliacchi quando non si erano più sentiti protetti dalle armi. Erano finiti.

Mi alzai dal la cuccetta e uscii dalla camerata. Dietro il forno crematorio, le SS stavano scavando delle fosse per i nostri tremila compagni che erano morti di inedia e di sfinimento dopo l'arrivo degli americani. Mi sedetti a guardare le SS. Due settimane prima mi avrebbero pi cchiato a morte se avessi osato starmene li a guardarle. Ora, sembrava che avessero paura perfino di passarmi vicino. Una SS chiese una sigaretta a un soldato americano. Il soldato buttò a terra la sigaretta che stava fumando. La SS si chinò per prenderla, ma un suo camerata fu più svelto e si impadronì del mozzicone; le due SS cominciarono a litigare, fino a che il soldato non ordinò loro di smetterla.

Erano passate solo due settimane, e l'élite del Reich Millenario si accapigliava per un mozzicone di sigaretta. E noi, da quanti anni non fumavamo una sigaretta? Tornai in camerata e mi guard ai intorno. La maggior parte dei miei compagni se ne stava sdraiata sulle cuccette. Dopo il primo momento di euforia, molti erano stati presi dall'avvilimento. Ora che sapevano che avrebbero vissuto, si rendevano conto della inutilità delle loro esistenze. Erano stati risparmiati... ma non avevano nessuno per cui vivere, nessun posto dove tornare, non avevano nemmeno dei frammenti di esistenza da rimett ere insieme.

Dovevo fare qualcosa per non soccombere nell'apatia. Avevo bisogno di qualcosa che mi impedisse di avere degli inoubi di notte e di sognare ad occhi aperti di giorno. Sapevo benissimo quello che potevo fare e quello che dovevo fare.

Mi recai nel fabbricato degli uffici a offrire i miei servizi.

Speravo che non avrebbero fatto caso al mio aspetto. Il tenente americano mi ascoltò e scosse la t esta. Che cosa avrebbero potuto farmi fare? Mi disse che non av evo nè preparazione nè esperienza.

« A proposito, quanto pesi? » mi chi ese.

« Cinquantasei chili, » gl i mentii.

II tenente ·scoppiò a ridere. « Wi csent hal, pensa alla salute e torna qui quando peserai davvero cinquantasei chili. »

Dieci giorni più tardi ero un po' aumentato di peso. Pensai allora di mettermi anche un po' di trucco. Avevo trovato un pezzo di carta rossa e lo usai per nascondere il pallore delle guance. Un amico mi chiese se per caso andassi a cercarmi una sposa

« Sì, ma una sposa c he a qualcuno non piacerà, » risposi.

Il tenente dovette capire quello che poteva significare per me quel lavoro, perchè mi disse di cominciare subito e mi assegnò al capitano Tarra.cusio, un nobile russo della Georgia emigrato negli Stati Uniti nel 1918. Tarracusio era professore di diritto internazionale all'Università di Harvard.

Io accompagnavo il capita.no Tarracusio nelle sue spedizioni alla ricerca delle SS di Mau thause n che si nascondevano nei dintorni del campo. A volte Tarracusio voleva che fossi io stesso ad effettuare gli arresti.

Non dimenticherò mai la nostra prima missione. Ci r ecam mo in macchina ad un casolare dove viveva una SS di nome Schmidt, che era stato uno dei nostri carcerieri : era un ometto insignificante, dal!'aspetto anonimo come il suo nome. Salii al secondo piano del caso. lare, Io scovai e lo arrestai. Non cercò nemm eno di opporre resistenza. Tremava come una foglia, e anch'io tremavo, seppure per un motivo differente. La tensione nervosa e le scale che avevo dovu- to salire mi avevano sfinito. Dovetti sedermi a riprendere fiato. Schmidt mi aiutò a scendere. Avrebbe potuto benissimo fuggire. Se mi avesse dato una spinta, io sarei caduto giù dalle scale e lui sarebbe ,potuto svignarsela dal retro della casa.

Ma Schmidt non pensava affatto a scappare. Al contrario, mi diede il braccio e mi aiutò a scendere le scale. Era una situazione assurda: era come una lepre che portasse un cane da caccia. Schmidt si sedette nella jeep dietro al capitano Tarracusio e a me e cominciò a chiedere pietà. Piangeva e protestava di essere solo un pesce piccolo. Aveva solo obbedito agli ordini. Giurò di avere aiutato più di un prigioniero.

Allora dissi a Schmidt : « .t vero, hai aiutaito i prigionieri. Ti ho visto s~. Li hai aiutati ad andare al forno crematorio. »

Non disse più una parola. Se ne rimase buono buono, con le spalle curve, torcendosi le mani tremanti fino a che arrivammo al campo e lo consegnammo a quelli dei Crimini di Guerra.

Schmidt fu il mio primo « diente », e nelle settimane che seguirono ce ne furono molti altri. Non c'era bisogno di andarli a cercare lontano; si può dire che ce li trovavamo fra i piedi. Durante i mesi che seguirono, contribuii a raccogliere parte delle testimonianze che vennero presentate più tardi durante i processi per i crimini di guerra che si tennero a Dachau davanti a un tribunale militare statunitense.

Dopo la creazione delle quattro zone militari in Austria nel I 945, Mauthausen risultò inclusa nella zona sovietica, e perciò il nostro ufficio per i Crimini di Guerra si trasferi a Linz, nella zona americana. Molti degli ex internati di Mauthausen vennero raccolti, in un campo profughi allestito nella scuola elementare di Leonding, una cittadina presso Linz.

Un ragazzino di nome Adolf Hitler aveva fatto i primi studi in quella scuola. Dormivamo su delle brande in un'aula dalle cui finestre si vedeva una casetta: la vecchia casa dei genitori di Hitler, che erano sepolti nel cimitero in fondo alla strada. Quella vista non era fatta per , entusiasmarmi, e ·perciò dopo pochi giorni lasciai la scuola e affittai una modesta camera mobiliata nella Landstrasse, a Linz. Come alloggio non era un gran che, questo è vero, ma dalla finestra vedevo un giardinetto.

Passavo le mattinate nell'ufficio per i Crimini di Guerra, mentre dedicayo i pomeriggi al nuovo Comitato Ebraico di Linz, in seguito divenuto il Comitato Centrale Ebraico della zona americana in Au- stria, del quale fui vicepresidente. Il comitato allestì un ufficio di fortuna in due stanzette.

I locali erano sempre affollati. Nei mesi subito dopo la guerra, i nostri visitatori erano relitti umani, dalle guance smunte e dalle labbra esangui, che sembrava indossassero gli abiti di un altro. Molti dicevano di essere stati a Mauthausen. I nomi delle SS che tutti conoscevamo, il ricordo degli amici che erano morti, servivano a farci riconoscere l'un l'altro. Alcuni si comportavano come delle persone che siano scampate a un terremoto o a un uragano e che non sappiano capacitarsi di essere state risparmiate mentre tutti gli altri sono morti nel disastro. Si chiedevano « Chi altro è vivo? » Essere sopravvissuti era incomprensibile, ma era anche ,difficile da capire che altry f05.5ero ancora vivi. Se ne stavano seduti a chiacchierare sui gradini davanti all'ufficio. « È possibile .che mia moglie, mia madre, mio figlio siano vivi? È possibile che viva ancora qualche mio amico, qualche mio compaesano?»

Le poste non funzionavano. Le poche linee telefoniche disponibili erano requisite dai militari. L'unico modo di sapere se una persona era viva, era di andare a cercarla. L'Europa era percorsa da colonne disordinate di sopravvissuti che si spostavano affannosamente con tutti i mezzi. La gente faceva l'autostop, si faceva dare brevi passag:gi sulle jeep, o viaggiava aggrappata alle sgangherate carrozze ferroviarie senza sportelli e senza finestrini. Altri si ammucchiavano sui carri agricoli . ed altri ancora si rassegnavano ad atidare a pi edi. Qualunque mezzo era buono, pur di avvicinarsi anche di poche miglia alla meta. Per andare da Li:nz a Monaco ci volevano cinque giorni, mentre a cose normali bastavano tre ore di ferrovia. Molti non sapevano nemmeno loro dove andare. Nel posto dove avevano vissuto con la loro famiglia prima della guerr.a? Nel campo di concentramento dove la famiglia eiia s tata veduta per l'ultima volta? Le famiglie erano state smembrate troppo repentinamente perchè fosse stato possibile pre nd ere accordi per i:l giorno in cui tutto fosse finito.

Nelle immortali Avventure del buon soldato Svejk, di Jaroslav

· Hasek, il protagonista si dà appuntamento con un runico in una certa birreria di Praga per « il primo mercoledì dopo la fine della guerra». Ma la prima guerra mondiale era stata una faccenda · tranquilla, in paragone con l'apocalisse alla quale eravamo scampati. E t u ttavia i sopravv~uti continuavano il loro disperato pellegrinaggio, dormendo sulle strade e nelle stazioni ferroviarie, attendendo un treno dopo l'altro, aspettando che un carro li pre ndesse su, sempre animati dalla speranza. « Forse qualcuno è ancora vivo... » Qualcu- no poteva dir loro dove fos.sero la moglie, la madre, ·i figli, il fratello... o se fossero morti. Meglio sapere la verità che non sapere nulla. Il desiderio di ritrovare i propri cari era più forte della fame, della sete, della fatica. Persino più forte della paura che ispiravano le pattuglie di confine o gli uomini del CIC o della NKVD, che chiedevano : « Vediamo i documenti »

La prima cosa che facemmo al Comitato di Linz fu di preparare degli elenchi delle persone che oi risultavano sopravvissute. A coloro ché venivano a cercare notizie di qualcuno, chiedevamo da dove venissero. Erano nomadi, vagabondi, mendicanti. Ma una volta avev,ano avuto una casa, un lavoro, dei risparmi. Il loro nome veniva incluso nell'elenco della città o del villaggio di origine. A poco a poco i nostri elenchi si allungarono. Dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia o dalla Germania ci portarono altre liste, e noi ·demmo in cambio copie delle nostre. Lavoravamo fino a notte inoltrata per copiare gli elenchi, e di buon mattino cominciava ad arrivare gente ad esaminar,li. Alcuni aspettavano tutta la notte per poter entrare. Si mettevano in fila e aspettavano di poter dare un'occhiata ai nostri elenchi, un'occhiata che poteva significare speranza o . disperazione. Alc~ni erano impazienti e provocavano disordini. Una volta due si accapigliarono per impossessarsi di un elenco, con il risultato di ridurre in pezzi il prezioso foglio di carta. Un'altra volta due uomini cominciarono a litigare, senza staccare lo sguardo dall'elenco che un terzo teneva in mano. Ciascuno dèi due voleva essere il primo a consultarlo. D'un tratto si guardarono in viso e rimasero senza fiato; e un attimo dopo erano l'uno nelle braccia dell'altro. Erano due fratelli che si cercavano da settimane.

E poi c'erano momenti di silenziosa disperazione quando uno scopriva che la persona cercata era stata lì proprio pochi giorni prima a cercare di lui. Si erano mancati per poco. E adesso, come avrebbero fatto a ritrovarsi? Altri scorrevano le liste dei sopravvissuti sperando, contro ogni speranza, di trovare i nomi di persone che essi avevano visto uccidere sotto i loro occhi. Tutti avevano sentito raccontare di qualche caso miracoloso.

Io non guardavo mai gli elenchi : non credevo ai miracoli. Sapevo che tutti i miei erano morti. Da quando alcuni polacchi di V arsavia nù avevano detto quello che era accaduto in via Topiel, non nutrivo più speranze che mia moglie fosse viva. Quando pensavo a lei, vedevo il suo corpo disteso sotto un ammasso di macerie e mi domandavo se !',avessero tirato fuori e gli avessero dato sepoltura. In un impeto di assurda speranza, scrissi al Comitato Internazionale della

Croce Rossa a Ginevra. Mi risposero subito che mia moglie era morta. Sapevo che mia madre non aveva una tomba; era morta nel campo di sterminio di Belsec. Speravo che per lo meno mia moglie potesse avere una sepoltura.

Una sera, non avendo niente altro da fare, died i un'occhiata all'elenco dei sopravvissuti della città polacca di Cracovia, e scoprii il nome di un mio vecchio amico di Buczacz, un certo dottor Biener. Gli scriSfil una lettera dicendogli che forse hl corpo di mia moglie era ancora sepolto sotto le macerie della casa di via Topiel. Gli chiesi di andare a Varsavia e di vedere che cosa era rimasta della casa. Non c'erano comunicazioni postali con .la Polonia, peziciò affidai la lettera a un tale che si era specializzato nel portare roba in Polonia passando attraverso la Cecoslovacchia.

Non sapevo ancora che era accaduto veramente un miracolo. Mia moglie mi raccontò tutto in seguito. Quando le squadre di lanciafiamme tedesche arrivano in via Topiel, nel buio e nella confusione, mia moglie e qualcun altro riuscirono a fuggire. Per un po' rimasero nascosti. Dopo la fine dei combattimenti a V arsavia, i pochi superstiti furono rastrellati dai tedeschi e mandati a lavorare in Germania. Mia moglie venne mandatà in uno stabilimen,to di Heiligenhaus, presso Gelsenkirchen nella Renania, dove si fabbricavano mitragiliatrici per la Wehrmacht. Gli operai polacchi er.ano alloggiati e nutriti abbastanza bene e la Gestapo li lasciò in pace. I tedeschi sapevano di aver perso la guerra.

Mia moglie fu liberata dagli inglesi, che entrarono a Gelsenkirchen l'r r aprile 1945. (Quel giorno io gi,acevo sulla mia cuccetta nel campo di sterminio di Mauthausen). Mia moglie si presentò alle autorità britanniche e dichiarò di essere Cyla Wiesenthal, ebrea polacca Nel gruppo di mia mog,lie c'erano altre sei ebree, e una di queste le disse che aveva intenzione di tornare a casa.

« A oa:sa? » chiese mia moglie. « Quale casa?»

« In Polonia, naturalmente. Petchè non vieni con me? »

« A che fare? Mio marito è stato ucciso l'anno scorso dalla Gestapo a Lvov. La Polonia non è più che un cimitero per me. »

« Hai delle prove che sia morto?»

<< No, » disse mia moglie, « ma... »

« E aillora non crederci. Supponi che sia vivo: dove potrebbe tro·;,v:ars1. »

Cyla ci pensò. « A Lvov, credo. Abitavamo lì prima della guerra. »

« Lvov si trova ora nell'Unione Sovietica, » le disse l'amica. « Andiamoci.»

Le due donne lasciarono Geilsenkirchen nel giugno 1945. (Più tardi d rendemmo conto che, a un certo punto del viaggio, mia moglie si era trovata a meno di cinquanta chilometri da Linz.) Dopo un viaggiq avventuroso, raggiunsero il confine ceco-polacco a Bohumin. Seppero che quella sera sarebbe partito un treno per Lvov. Salirono ne1le vetture sovraffollate e arrivarono a Cracovia la mattina seguente. Venne annunciato che ci sarebbero ,state quattro ore di fermata.

Alla stazione ferroviaria di Cracovia -rubarono a mia moglie la valigia che conteneva tutti i suoi effetti. Questo fu il suo ritorno in patria. Per distrarla, la sua amica le propose di andare a fare quattro passi in città. Forse avrebbero incontrato qualcuno che conoscevano. La bella vecchia città de i re polacchi sembrava deserta e spettrale quella mattina. A un tratto mia mogli e sentì gridare il suo nome e riconobbe un tale, un certo Landek, che era stato dentista a Lvov. (Landek vive ora in America.) Per un po' si sc ambiarono domande affannose e foasi mozze, come succedeva sempre quando due sopravvissuti si incontravano. Landek aveva sentito dire che Simon

Wiesenthal era morto, ma Ie consigliò di parlare con il dottor Biener, che forse avrebbe avuto notizie più sicure.

« Il dottor Biener di Buczacz? » chiese mia moglie. « È a Cracovia?»

« Abita a cinque minuti da qui. » Landek le diede l'indirizzo e se ne andò.

Quando arrivarono a casa del dottor Biener, mia moglie chiese all'amica di aspettarla dabbasso. Salì le scale col cuore gonfio. Al terzo piano vide una targhetta col nome BIENER e suonò il campanello. La porta si aprì e per un attimo ella vide la faccia del dottor Biener e poi udì un grido soffocato. Ma subito la porta venne chiusa di nuovo.

« Dottor Biener ! » gridò mia moglie picchiando i pugni sulla porta. « Apra! Sono Cyla. Cyla Wiesenthal di Buczacz! »

La porta si riaprì. Il dottor Biener era pallido, come se av~ visto uno spett ro.

« Ma... lei è morta, » disse. « Ho appena ricevuto una lettera .... »

« Sono perfettamente viva, » disse mia moglie risentita. « Certo che dopo aver passato una notte in treno sembro mezzo morta. »

« Entri, » disse in fretta il dottor Biener, e chiuse la ,porta. « Lei non capisce. Ieri ho ricevuto una lettera da suo marito. Simon mi scrive che lei è morta sotto le rovine di una casa a V arsavia. »

Ora toccò a mia moglie impallidire. « Simon? Ma è morto. È morto da oltre un anno. »

Il dottor Biener scosse la testa. « No, no, Cyla. Simon è vivo, si trova a Linz, in Austria. Ecco, legga la lettera. »

Fecero salire l'arn1ca di mia moglie, che non rimase per nuHa sorpresa. Non aveva forse detto a Cyla che suo marito poteva anche essere vivo? Si misero a chiacchierare, e quando si ricordarono del treno era tardi. Se il dottor Biener non avesse ricevuto ,la mia lettera il giorno prima, se mia moglie non avesse incontrato Landek, se il dottor Biener non fosse stato in casa, le due donne sarebbero tornate alla stazione e avrebbero continuato il V!iaggio verso l'Unione Sovietica. Mia moglie avrebbe potuto essere mandata nell'interno dell'URSS e ci sarebbero voluti anni p er ritrovarla.

Mia moglie rimase a Cracovia e cercò di mettersi in contatto con me. Il dottor Biener conosceva diversi corrieri clandestini che si facevano pagare per portare la corrispondenza senza però garantirne la consegna. Cyla scrisse tre lettere e Je affidò a tre corrieri che lavoravano su percorsi diversi. Io ne ricevetti una, recapitatami da un tale che arrivò a Linz via Budapest, facendo cioè una bella deviazione.

Non dimenticherò mai il momento in cui vidi la calligrafia di Cyla sulla busta. Lessi la ilettera tante volte che la imparai a memoria. Andai dal capitano dell'OSS per il quale lavoravo allora e gli chiesi di darmi un foglio di viaggio per Cracovia. Non rimase entusiasta dell'idea che io andassi in Polonia perchè, disse, avrei potuto non tornare più. Mi propose di pensarci sopra fino all'indomani mattina.

Quel pomeriggio non andai al Comitato Ebraico. Non stavo in me dalla gioia e forse provavo un po' di rimorso per essere felice in mezzo a tanti infelici. Volevo restare solo. Conoscevo un contadino che abitava n ei pressi di casa mia e che aveva dei cavaHi. Ricordai che durante l e vacanze estive, a Dolina, mi piaceva molto cavalcare. Chiesi al contad ino di prestarmi un cavallo per un'ora. Non pensai che ero un po' più vecchio e non ancora in buone condizioni fisiche. Salii a cavallo ma qualcosa andò di traverso. Forse il cavallo senti subito che ero ancora debole, fatto sta che mi disarcionò e mi ritrovai in un campo di patate con una caviglia fratturata.

Dovett i rimanere immobiJ.izzato ~a letto, e questo mandò a monte il progetto di andare in Polonia. Chiesi a un amico ebreo, il dottor Felix Weisberg, di andare ,}ui a Cracovia e gli diedi una Jettera per mia moglie. Mi promise che l'avrebbe riportata a Linz. I miei amici dell'OSS prepararono dei documenti di viaggio per mia moglie, in modo che non avesse difficoltà ad entrare nelila zona americana del!'Austria.

Erano degli ottimi docwnenti di viaggio, ma disgraziatamente mia moglie non li ricevette mai. Mentre attraversava la Cecoslovacchia diretto in Polonia, il dottor Weisberg fu avvertito che più avanti avrebbe trovato un posto di blocco della NKVD dove « i controlli erano molto severi». Weisberg perse la calma; se la polizia segreta sovietica gli trovava addosso dei documenti americani, avrebbe potuto arrestarlo come spia, perciò distrusre ogni cosa. Troppo tardi si rese conto di aver distrutto anche l 'indirizzo di mia moglie a Cracovia. La NKVD non pensò nemmeno a perquisirlo. A Cracovia Weisberg si recò dal Comitàto Ebraico Jocale e mise un annuncio sul qu adro delle affissioni. Alla signora Cyla Wiesenthal, moglie di Simon WiesenthaJ, veniva chiesto di mettersi in contatto con il dottor Felix Weisberg, che l'avrebbe riportata da suo marito a Linz.

Mia moglie vide l'ann uncio la mattina dopo e andò a trovare il dottor Weisberg. Ma non era la prima visitatrice. C'erano già ailtre due donne che affermavano di essere la vera Cy.Ja Wiesenthal. Molta gente in Polonia cercava di r aggiungere l'Austria con la speranza di potere in seguito emigrare in America. Il povero Felix Weisberg si trovò a dover risolvere un problema più imbarazzante di quello di Paride. Weisberg non conosceva mia moglie e, nell'agitazione che aveva preceduto la sua improvvisa partenza, avevo scioccamente dimenticato di fornirgliene una esatta descrizione. Ora egli si trovava di fronte alla sgradevole eventualità di tornare a Linz con una falsa signora Wiesenthal. Weisberg mi disse in seguito di aver chiesto a ciascuna delle tre donne cli descrivergli come ero fatto. Due furono piuttosto vaghe, ma una, ovviamente, gli fornì una quantità di particolari. Weisbcrg mi confessò che costei era quella . che gli era riuscita più simpatica. Decise di correre il rischio e comprò al mercato nero dei falsi documenti di viaggio per la donna.

Una sera, verso la fine del 1 945 (la caviglia fratturata mi dava ancora fastidio), mi ero coricato presto come al solito quando udii bussare alla porta. Entrò Felix Weisberg confuso e imbarazzato. Gli ci volle un bel po' per raccontarmi la sciocchezza che aveva fatto di buttar via i documenti americani e per raccontarmi delle sue perplessità circa le tre donne che affermavano di essere Cyla Wiesenthal.

« Ne ho portata con me una . Aspetta dabbasoo. Ora stai calmo, Simon. Se non è tua moglie me la sposerò io. »

« T u?»

« Si, parola d'onore. Tu non hai nessun ~bbligo. A dirti la verità, ho pensato bene di portare quella che mi piaceva di più. Così, se risulterà che non è tua moglie, io... »

In quel mom ento la donna entrò nella stanza e Felix Weisberg, che Dio lo benedica, capì subito che non l'avrebbe sposata.

Ci trasferimmo in una casa più grande e l'anno dopo nacque a Llnz nostra figlia Paulinka. Io continuai a lavorare per vari organismi americani, la Commissione per i Crimini di Guerra e più tardi l'OSS e il CIC. I nostri sforzi furono spesso frustrati dalla mancanza di cooperazione fra le potenze alleate.

L'atteggiamento più intransigente fu ·assunto dai sovietici, che arrestarono, senza andare tanto per il sotti,le, sia i veri nazisti, sia coloro che venivano denunciati ·come nazisti, spedendoli poi nell'Unione Sovietica. Inoltre, nelle zone sovietiche della Germania e dell'Austria, i « Tribunali del Popolo » pronunciavano sbrigative, severe condanne contro presunti criminali nazisti. Le autorità sovietiche ricevettero un aiuto efficace dai comunisti locali che si erano infiltrati nella polizia. Ma la maggior parte dei nazisti arrestati erano « pesci piccoli». I Bonzen (pezzi grossi) del partito nazista, i capi delle SS e i criminali della Gestapo erano fuggiti verso ovest prima della fine della guerra, perchè speravano di essere trattati con più indulgenza dagli alleati occidentali. Le loro speranze non andarono deluse.

Fra gli alleati occidentali i francesi furono i più duri : ciò non deve fare meraviglia, da to che essi avevano sofferto sotto l'occupazione nazista. Tuttavia la politica intransigente dei francesi andò attenuandosi a 'mano a mano che gli ex uomini di Vichy venivano ad ingros.sare le file delle forze di occupazione francesi in Germania e in Austria e cercavano di gettare sabbia fra gli ingranaggi deBa giustizia.

L'atteggiamento britan nico verso i criminali nazisti non fu nè chiaro nè coordinato, non fu lo stesso in Germania e in Austria e sovente condusse a situazioni paradossali. Molto spesso gli inglesi non si curavano dei pezzi grossi nazisti che si nascondevano n elle loro zone, mentre invece consegnavano i nazisti macchiatisi di qualche delitto ai sovi etici o, per esempio, agli jugoslavi, a!llorchè era provato che quei nazisti ave vano commesso dei crimini nell'Unione Sovietica o in Jugoslavia. Gli ingl esi, che disponevano di pochi investigatori esperti, attuarono la denazificazione in modo del tutto inefficace. Il fatto è che gli inglesi avevano i loro gratta capi in Palestina e nelle colonie ed erano meno interC$3.ti degli americani a liquidare il nazismo.

Gli americani, come era nel loro temperamento, andarono da un estremo all'altro. Dapprima instaurarono il siste ma dell' « arresto automatico». Tutte le SS, i membri della Gestapo, i gerarchi del partito nazista, i simpatizzanti e i collaborazionisti vennero rastrellati e chiusi in campi -di concentramento, dove ebbero cibo a volontà, assistenza medica e sigarette mentre aspettavano che gli investigatori li interrogassero e separ~ro le pecore dai montoni e i criminali dai gregari innocui. Nei campi di concentramento vennero istituiti settori separati per le SS, per i nazisti meno compromessi, per gli alti ufficiali della Wehrmacht, per i collaborazionisti non tedeschi (ungh eresi, slovacchi, croati). Io p~ parecchio tempo in questi campi in qualità d'investigatore della Commissione per i Crimini di Guerra, dell'OSS e della CIC, e conosco l'ottimo trattamento che ricevevano gli internati. Per parecchio tempo essi furono nutriti meglio della popolazione civile.

Ebbi modo di accorgermi anche del modo subdolo con cui gli internati cominciarono a lavorarsi gli americani. Sedicenti « esperti di cose sovietiche», venuti fuori dalle schiere di coloro che erano stati nell'Unione Sovietica, cominciarono a intavolare discussoni politiche con gli investigatori americani. Ad alcuni venne chiesto di redigere dei rapporti confidenziali per questo o qu ello dei vari servizi d'informazioni americani in concorrenza fra loro. So di ufficiali americani che prepararono lunghi rapporti sulla base di tali informazioni, senza preoccuparsi di controllare le fonti. Nel 1946 e nel 1947 gli americani liberarono molt i criminali nazisti, che più tardi vennero arrestati dalla polizia tedesca e da quella au st riaca. Molti funzionari di polizia ted esc hi e austriaci erano stati vittime del regime nazista, Alcuni erano st ati mandati nei campi di concentramento, e perciò conoscevano i nazisti meglio degli americani; invec e fra questi e gli internati nazisti si frapponeva l'insormontabile barriera della lingua e della mentalità.

Fino a quando rimasero in Europa quegli stessi americani che avevano vinto la guerra, la denazificazione fu condotta con giustizia ed efficacia. Ma alla fine quegli uomini andarono a casa e vennero sostituiti da altri che avevano prestato servizio negli Stati Uniti o in / Estremo Oriente. Costoro non capivano il problema nazista, che appariva ai loro occhi come un capitolo chiuso della storia. Molti di loro non si preoc c uparono di imparare il tedesco e si affidarono alle interpreti tedesche e austriache, così che spesso divennero vitti- me della migliore arnia segreta nazista... le Fraulein. Era logxco che un giovane americano s'interes.5asse di P4Ù a una ragazza graziosa e compiacente che a una di « quelle SS » che tutti volevano dimenticare come un brutto sogno. Questi americani consideravano noi, che volevamo veder fare giustizia, come della gente animata da spirito di vendetta, degli allarmisti incapaci di vedere il mondo se non attraverso una siepe di filo spinato. Un capitano . americano, che aveva un compito importante nella rieducazione dei tedeschi, mi disse una volta: « Le opinioni della gente saranno sempre diverse. Da noi ai sono i democratici e i repubblicani, » disse. « Qui voi avete i nazisti e gli antinazisti. È questo che fa andare il mondo. Non è il caso di prendersda troppo. >>

Era difficile non prendersela troppo. Vedevo benissimo dove avrebbe finito per condurci un simile atteggiamento. Mentre venivano alla luce sempre maggiori particolari sui crimini nazisti e appariva chiaro tutto l'orrore del genocidio, mi rendevo conto con un senso d'impotenza che la punizione dei criminali stava diventando un'impresa sempre più difficile.

Il lavoro mi teneva occupato fino a tarda sera. Quando andavo a letto e cercavo di addormentarmi, le cose che avevo letto e sentito durante il giorno si fondevano con i miei ricordi del p~to. Spesso mi svegliavo dopo un incubo ed ero incapace di discernere il sogno dalla realtà. Avevo ricevuto molte lettere da altri sopravvissuti ai campi di concentramento che erano torturati dagli stessi incubi. Un tale che aveva veduto uccidere la propria madre ad Auschwitz e che si trovava in una clinica neurologica presso Brema, una volta mi scrisse: « La prego di aiutarmi. Ci deve essere un farmaco contro gli incubi. Non ci sono medicine per ogni cosa ormai? Sono sicuro che se potessi non sognare più guarirei ... » Una notte, nel settembre 1947, dopo uno di questi incubi, udii dei colpi alla porta. Balzai a sedere sul letto con il cuore che mi saltava in gola. Non dimenticherò mai quei colpi battuti alla porta.

Accesi la luce e l'incubo sparì. Ero un uomo libero, vivevo a Linz con mia moglie e mia figlia. Mi alzai e andai alla porta. Attraverso il buco della serratura vidi Misha Lewin, il capo dell'associazione degli ex partigiani ebrei nell'Unione Sovietica. Misha aveva l'aria di un duro, portava sempre stivali e parlava ad alta voce. In realtà era un uomo buonissimo, con un senso dell'humour che non lo abbandonava mai. Con lui c'erano altri due uomini. « Apri, Simon ! » mi gridò. « Abbiamo notizie per te! »

Entrarono e Misha mi presentò Mair Blitz e Moses Kussowitzki che erano stati con l\ll durante la guerra, quando gruppi di partigiani ebrei combattevano contro i tedeschi a fianco dell ' Armata Ros- sa. A•lJa fine deHa guerra erano tornati in Polonia ma, non avendo trovato le famiglie che erano state massacrate dai nazisti, erano venuti in Austria.

« Questi ragazzi hanno agganciato il pesce grosso, » disse Misha. « Eichmann! » Mi gu_ardò con aria trionfante. « Avanti, :raocontateglielo. »

Blitz e Kusso.witzki vivevano nel campo di Admont, il più grande centro profughi della zona d,i occupazione britannica in Austria. Admont si trova nella Stiria nord-occidentarle, in una graziosa vallata alpina circondata da montagne. Circa duemila persone, per la maggior parte ebrei originari della Polonia e degli Stati baltici, erano temporaneamente sistemate in quella bella locafaà alpina, vestite e nutrite dagli inglesi; ma non sembrava che si godessero molto quella vacanza gratuita. Alouni avevano trovato lavoro nei dintorni e altri rimediavano qualche sceHino con la borsa nera. La maggior parte aspettavano con impazienza di potere andare iin Palestina con qualche gruppo clandestino che veniva avviato attraverso l'Austria meridionale e l'Italia.

Mancava una settimana allo Yom Kippur, il Giorno dell'Espiazione. Gli ebrei praticanti d el campo di Admont si preparavano per la grande festa. Secondo il rituale ortodosso, uomini e donne avrebbero recitato le preghiere, poi ciascun uomo avrebbe sacrificato un gallo e ciascuna donna una gallina : rappresentazione simbolica del sacrificio di Abramo raccontato nel Vecchio Testamento.

Purtroppo il pollame era scarso in Austria. Blitz e Kussowitzki, che erano due giovanotti pie ni di risorse, decisero di fare un giro fra i contadini dei dintorni per cercare di barattare le scatolette e la cioccolata che passavano gU inglesi con un paio di poHi.

Blitz e Kussowitzki parlavano solo yiddish, il che rendeva alquanto complicate le trattative con i contadini della Stiria. Una volta che chiesero un Huhn (un pollo), un contadino non li capì e portò loro un Hund: un bassotto chiuso in un sacco. Un altro contadino scosse la testa e disse che non poteva aiuta11li. Tutti i polli erano numerati e controllati dalle autorità perchè le uova erano severamente razionate, e lui non voleva rischiare una multa.

« Provate con quel tale che sta sulla collina lassù,» disse il contadino servizievole. « Ha una grossa fattoria e per lo meno duemila polli. Però c'è caso che vi sbatta fuori. Non può vedere gli ebrei. Dicono che sia stato un pezzo grosso nazista. »

I due giovani si guardarono e istintivamente ebbero lo stesso pensiero.

« Deve essere lui, » disse Blitz. Kussowitzki annuì. Quol giorno non andarono più in cerca di polli. Corsero invece alla locale sezione del Field Sccurity Service (FSS) inglese a Admon t e, adducendo il pretesto di una « visita alla famiglia », si fecero dare un lasciapassare n ecessario per entrare nell'attigua zona americana. Presero un treno c he li portò a Linz, distante circa cent05e$a.Ilta chilometri, e informarono della loro scoperta Misha Lewin, il quale decise che bisognava parlare con me.

« Ed eccoci qua,» disse Lewin. « Non c'è un minuto da perdere. Dobbiamo agguantare Eichmann. » Tu tti noi eravamo ossessionati da Eichmann, già allora noto come il peggiore criminale nazista ch e fosse ancora alla macchia, forse nascosto ncll a zona inglese dcl1'Austria. lo avevo appena aperto il mio Centro di Documentazione a Linz e quasi ogni giorno ricevevo visite di persone c he credevano CM aver visto Bichmann da qualche parte. Le traicce partivano da un campo di concentramento in Baviera e arrivavano fino alla zona britannica in Austria, dove sembravano dissolversi nel nulla.

« Che cosa vi fa pensare che sia Eichmann? » chiesi.

« Quell'uomo p ~ede duemila polli, detesta gli ebrei ed era un pezzo gro&so nazista. Perchè non dovrebbe essere Eichmann? » mi chiese Blitz con logica talmudica. Non mi convinse, ma decisi lo stesso di andare con loro. Ero sicuro che non si trattasse di Eichmann, ma poteva essere un altro gerarca nazista.

La mattina dopo mi feci rilasciare due fogli di viaggio per la zona britannica, intestati a Lewin e a me. Partimmo in macchina con i due ex partigiani. La grossa fattoria era situata nel villaggio di Gaishorn, a circa venti chilometri dal campo di Admont. Io non avevo alcuna veste ufficiale, perciò decisi di chiedere l'intervento della polizia austriaca. Ci fermanuno davanti al posto della gendarmeria CM Gaishorn, che era sistemata in un vecchio chalet.

Nell'anticamera c'erano due vecchi contadini con calzoncini di ouoio, che ammazzavano il tempo chiacchierando. L'ambiente era molto gemutlich. Il comandante del posto era un uomo anziano, con un paio di baffi bianchi spioventi, probabilmente un avanzo dei buoni vecchi tempi asburgici. Chiedemmo notizie della gr~ fattoria sulla collina. Lui si alzò e andò a studiare una mappa della zona appesa al muro.

« Deve essere Gaishom 66 . Appartiene a Murer. :E: stato in Polonia e in Russia durante la guerra. .t molto benvol ut.o in paese. »

Ero sbalordito. « Murer? Franz Murer? »

« Proprio lui,» disse il vecchio. « Lo conosce ? »

Non so come, riuscii a far cenno cli no col capo, dopo di che uscimmo. Per un po' nes.suno di noi aprì bocca. Tutti avevamo sentito parlare di Murer. Negli ultinù due a.,ni avevo raccolto molte testimonianze di rifugiati contro Franz Murer, vice commissario del distretto di Vilna, in Lituania, dove prima <leBa guerra vivevano ot tantamila ebrei. Quando i nazisti ebbero finito con loro, ne erano rimasti vivi esattamente duec entocinquanta. Prima della guerra, Vilna era stata soprannominata « la Gerusalemme della Lituania », a causa del contributo dato dalla sua comunità ebraica alla letteratura, alla scienza, alla filosofia e all'arte. A Vilna erano nati famosi musicisti ebrei, fra i qu a!li Jascha Heifetz.

Murer era il principale responsabile dello sterminio degli ebrei di Vilna. Tra i rifugiati era conosciuto come « ,iJ macellaio di Vilna ». Anche molti anni dopo, ho visto della gente impallidire ogni volta che si faceva il nome di Murer.

Ci recammo al campo cli Admont. Sapevo che fra i rifugiati c'erano parecchi superstiti di Vilna. Dissi alla direzione del campo qual era lo scopo della mia visita e immediatamente gli altoparlanti annunciarono che tutti coloro i quali erano a conoscenza di fatti riguaTdanti Franz MureT di Vilna dovevano presentarsi immediatamente da me.. Sette persone arrivarono nel piocolo ufficio dove mi trovavo. Quando dicemmo loro che Franz Murer abitava in una fattoria distante pochi chilometri, alcuni furono colti da una crisi isterica. Una donna svenne: Murer aveva u cciso due persone davanti ai suoi occhi. Un uomo 1a cui madre era stata, assassinata da Murer fu colto da una tale crisi che dovette essere trascinato via. Poichè tutti gridavano insieme, dissi loro di calmarsi. Ognuno avrebbe awto modo cli parlare.

Alcune delle storie erano troppo vaghe per poter essere usate in tribunale, ma altre erano estremamente precise. .. e terribili. Un testimone ricordava il giorno in cui Murer aveva personalmente ordinato che gli abitanti di una strada ,del ghetto di Vilna foose.To caricati su camion, condotti nel vicino bosco cli Ponary e fucilati daHa polizia ausiliaria lituana. Un altro raccontò che Murer aveva ordinato di far saltare con la dinamite due case in una strada del ghetto. Quando gli fu detto che dentro c'erano ancora delle donne, egli rispose: « Non importa », e •le case furono fatte saltare in aria.

Altri testimoni dichiararono che Murer, perfetto sadico, aveva l'abitudine di denudare e picchiare .Ja gente. Il solo modo di evitare le sue torture era di corromperlo. Più cli una volta gli ebrei del ghetto avevano dato a Murer gioielli, argenteria e quadri che avevano raccolto. Quando i regali erano di suo gusto, Murer ordinava ai donatori di imballarli in casse di legno che venivano poi spedite a casa sua in Austria.

Nd gennaio del 1942, Murer confiscò un convento cattolico a Vilna e una fattoria modello condotta da monache. Le monache e al c uni frati vennero poi « liquidati » a Ponary. Nel 1945 i foro corpi furono riportati alla luce da squadre di lavoratori ebrei che avevano ri ce vuto ordine di bruciare i resti e di cancellare ogrù traccia.

Fra le aJtre testimonianze c'era il racconto di un episodio che non dimenticherò mai. Chi è padre capirà. All'uscita del ghetto erano stati arrunassati due gruppi di uomini. Uno doveva essere inviato al lavoro, l'altro era destinato alla fucilazione nei boschi di Ponary. In quest'ultimo gruppo c'era Daniel Brodi, un ragazw di diciassette anni. Il padre, disperato, era stato messo nell'altro gruppo. A un certo punto Daniel, pensando che nesmno Io vedesse, scivolò fuori dal gruppo dei condannati e si mischiò all'altro gruppo dove stava suo padre. Ma Murer lo vid e. Prese il ragazzo per il collo e Io pereo6.Se gettandolo a terra. Poi estrasse la pistola e uccise Daniel sotto gli occhi del padre.

Stesi quattro atti notori , feci leg~e le firme e tornai al posto della gendarmeria di Gaishorn. Consegnai al vecchio capoposto le deposizioni senza aggiungere una parola. Quando cominciò a leggere, rimase di stucco. Una volta alzò gli occhi con espressione disperata verso una immagine in legno della Madonna che era attaccata al muro. Ordinò a due gendarmi di andare ad arrestare Murer. Poi notificò la notizia al posto del Field Security Service inglese. In base a un'ordinanza del govern o militare, tutti criminali di guerra dovevano essere consegnati alle autorità d'occupazione.

Lewin, gli ex par tigiani ed io accompagnammo i gendarmi alla fattoria suTia collina. Ci dissero di aspettare fuori. Era un bel posto, ben tenuto, con alberi e fiori, dove tutto sembrava prospero e pacifi co. I gendarmi dissero che Murer viveva là con la moglie e due figli grandi. Aveva alle sue dipendenze parecchi braccianti.

I gendarmi entrarono in casa. Giusto in tempo, come ci dissero dopo. Murer era sul punto di svignarsela: vicino alla porta c'erano due valigie pronte e su una sedia c' erano il soprabito e il cappello. Sembra che Mure r fosse stato avvertito... forse dai due vecchi contadini che avevamo in contrato nel posto di polizia. Murer fu altezzoso con i gendarmi e dis.se loro che stavano commettendo un abuso. Tutto ciò avveniva verso la fine del 19 4 7. Gli effetti della disfatta, che subito dopo la guerra avevano paralizzato i gerarchi nazisti, cominciavano a passare.

Murer ·era un tipo di montanaro tarchiato, con un viso Lungo e duro, naso affilato, mento sporgente e capelli rossicci. Al momento dell'arresto aveva trentacinque anni. Nove anni prima e:ra entrato nel partito nazista, era stato scelto per frequentare la Ordensschule, dove veniva addestrata l'élite delle SS, e poi era stato mandato a Vilna. Qui era diventato il despota della città, padrone della vita e della morte, ma soprattutto della morte. Però nessuno a Gaishorn ci avrebbe creduto. Franz Murer era un uomo simpatico e un buon vicino. Il veochio comandante del posto di polizia mi disre che Murer era nato nel vicino. paese di St. Georgen. Aveva comperato la fattoria prima della guerra. Era simpatico a tutti. E, una volta tornato da:Ua guerra, ne$Uno si sognò mai di infastidire un cittadino così rispettabile con domande indiscrete.

Mi è stato chiesto come osasse vivere così vicino a un campo che ospitava persone le cui famiglie erano state da lui massacrate. Il fatto è che il centro profughi ancora non esisteva quando Murer tornò a casa. Vilna era lontana 2500 chilometri, e Murer dovette ritenere molto improbabile l'eventualità di incontrare qualche superstite. Quando venne creato il centro profughi, Murer capì che se rimaneva sarebbe stato in pericolo. D'altra parte, una improvvisa partenza avrebbe sollevato dei sospetti: perciò decise di rimanere. Così la gente si sarebbe convinta che la sua coscienza era pulita.

I gendarmi austriaci consegnarono Murer agli inglesi del FSS, che lo trasferirono in jeep alla prigione centrale di Graz, la capitale della Stiria. Io tornai al campo di Admont e passai la notte a reidigere un rapporto completo del caso, accludendo le deposizioni dei testimoni. Tra i profughi del campo e' era molto fermento. Quella gente non riusciva a capire come Murer avesse potuto vivere per tutto quel tempo H a due p~ senza che gli inglesi lo scovassero. La cosa invece non mi sorprendeva affatto. Negli ultimi mesi avevo chiesto più vòlte a:lle autorità britanniche di collaborare alla ricerca dei criminali di guerra che ritenevo si nascondessero nella loro zona, ma non avevo mai ricevuto alcun aiuto. Per questo mi ero rivolto ai gendarmi austriaci, perchè temevo che il FSS potes.sè combinare quakhe pasticcio.

A quell'epoca gli inglesi stavano facendo tutto il po8$ibile per impedire l'afflusso di profughi in Palestina. Gli ebrei palestinesi stavano combattendo una guerriglia spietata contro le forze della Gran Bretagna che era la potenza mandataria. Lo spargimento di sangue era notevole nell 'uno e nell 'al tro campo e questo non faceva che aumentare il risentimento. Qualche tempo prima avevo testim oniato d avant i a una commissi one mis ta angl~americana sullo spinoso pr~ blema dell'immigrazione ebraica in Pal estina. Gli americ ani mi avevano ascoltato con evidente simpatia, mentre le facce degli inglesi erano rimaste chiuse e impen etrabili. Erano i mesi inquieti che p recedettero l'indipendenza della nazione israeliana. Le autorità inglesi in Aust ria si pre occupav ano dell'emigrazione clandesti na in P alestina iù che dei criminali di guerra nazisti n ascosti n ella loro rona.

La mattina dopo mi recai alla sezione del FSS di Admont, che aveva sede in un a vecchia casa a du e piani con bal coni di ferro battuto. Un affab ile serge n te inglese mi chi ese che cosa volessi. Gli consegn ai il memorandum sul caso Murer e di colpo il su o atteggiame nto mutò. Mise da parte il documento senza leggerlo e mi chiese perchè mi f~ i rivolto alla ge ndarmeri a <l!UStriaca invece di informare imm ediatamente il FSS. Non avevo seguito le vie regolamentari. Ero m ai stato in precedenza nella zona britannica? Avevo mai provocato l'arresto di altre persone? Doveva essere stato informato del mio arrivo, perchè v,idi che aveva davanti a sè un questi onario già preparato. Si informò su l lavoro che svolgevo a Lin z, su l Ce n tro di D ocumentazione. Poi mi rivolse la sola domanda che veramente contava.

« :t. al corrente d elle immigrazioni clandestine in Palestina via I talia? »

« Sergente, sono venuto qui per parlare del caso Mu rer. »

« Qui, » mi rispose, « sono io che f accio le domande ed è lei che rispond e Chi è a capo dell'Irgun Zwai Leuni in Austria?»

Membri dell' Irgun - una organizzazione est remista ebrai ca che credeva nel metodo d ell a violenza - avevano fatto deragliare pochi giorni prima un treno militare britannico pres.so Mallnitz, a sud di Badgastoin, provocando la morte di un soldato inglese.

Mi rifiutai di rispondere e mi alzai. Il serge n te si mise davan ti alla porta impedendomi di uscire.

« Sono in stato di arresto, sergente?»

« No, ma deve rispondere alle mie domande. » lo continuai a tacere.

« Benissimo. Lei rima rrà qui fino al pomeriggio, quando tornerà il maggiore da Graz. »

Cosi dunque mi trovavo in stato di arresto per avere aiutato gli inglesi a catturare un importante criminale di guerra che avrebbero dovuto prendere già da un pezro Ma non sembrava che gliene importasse molto, tanto erano ossessionati dal problema dell'emigrazione clandestina in Palestina. Tutti sapevano di questa emigrazione, che era ignorata <lai francesi, tollerata dai sovietici, incoraggiata dagli americani e osservata dagli inglesi con un crescente senso d'impotenza. Era sciocco farmi quelle domande: sull'emigrazione, loro ne sapevano più di me.

A mezzogiorno tornò il sergente e mi chiese se volevo qualche cosa da mangiare. Non gli risposi nemmeno. A un tratto si sentì del chiasso fuori; dapprima un vociare confuso, poi un grido scanditoJ « Vogliamo Wiesenthal! Vogliamo Wiesenthal! »

Mi avvicinai alla finestra. La strada era piena di gente. Saranno state diverse centinaia di persone, che sembravano animate da intenzioni tutt'altro che pacifiche. Gli uomini del FSS sban:arono l'ingresso e piazzarono due mitragliatrici sulla balconata, e questo non contribuì a placare gli animi.

I manifestanti diventarono furibondi. Tra loro c'erano partigiani come Blitz e Kussowitzki, che non si lasciavano certo intimidire dalle mitragliatrici. Più tardi mi dissero che un 'Profugo del campo di Admont si era trovato nei locali della sezione d el FSS quando ero arrivato io e aveva sentito il sergente che m'interrogava. Così era tornato di corsa al campo, aveva dato l'allarme agli altri profughi i quali avevano deciso di venire a «liberarmi».

Un giovane tenente entrò nella stanza in cui mi trovavo e disse che quella storia era piuttosto seccante, che la situazione avrebbe potuto sfuggirgli di mano, e mi chiese di uscire sul ba,lcone e di dire a quella gente che di lì a poco sarei ritornato al campo.

Mi rifiutai di farlo.' « Non ho .chiesto io a quella gente di venire qui. Perchè non va lei a parlare alla folla? »

Il tenente stava diventando nervoso. Se la notizia dell'incidente fosse giunta alle alte sfere, avrebbe potuto avere dei fastidi con i suoi superiori.

Il tenente chiamò il maggiore a Graz, poi mi disse di andare al telefono. Il maggiore parlava tedesco.

« Che cosa succede, Herr W•iesenthal? Perchè è scortese con i miei uomini? »

« Signore, sono venuto qui per parlare di Murer, ma essi vogliono da me altre informazioni che mi rifiuto di dare. Sono 'Ore che mi trattengono qui. »

« Siamo informati delle sue attività, Herr Wiesenthal. »

« Se lei pensa che abbia commesso qualche colpa, perchè non mi fa arrestare? »

Ci fu una pa;usa, poi il maggiore mi chiese di passare il ~icrofono al tenente. Fui condotto in un'altra stanza, e un nùnuto più tardi venni raggiunto dal tenente che mi disse che ero libe.ro di andarmene.

Quando uscii dalla casa, un grido di trionfo salì dalla folla. Alcuni nù sollevarono sulle spalle e mi riportarono al campo. Gli austriaci guardavano la scena a bocca aperta e alcuni si accodarono addiri.ttura alla folla. Quello, pensarono, era un H etz.. un vero spasso. Forse credettero che si trattasse di una dimostrazione contro gli occupanti, e ci fu qualcuno che agitò le mani verso di me con grande entusiasmo. Al campo di Admont, Blitz e Kussowitzki si erano procurati dello Schnaps per festeggiare l'arresto di Murei:. Quella notte fui quasi felice.

Passarono diverse settimane. Murer, nella prigione di Graz; protestava la propria innocenza. Sost eneva trattarsi di un errore di persona. Voci tutt'altro che tranquillizzanti mj. giu ngevano da Graz: gli inglesi stavano pensando di rilasciare Murer. Io avevo degli amici fra il personale del Tribunale MiJitare Internazionale di Norimberga, e così feci subito alcune telefonate urgenti in seguito alle quali venne ufficialmente chiesto agli inglesi di trattenere Murer come probabile testimonio. Nel frattempo spedii lettere circolari a tutti i campi profughi in Austria e in Germania allo scopo di cercare testimoni disposti a venire a d eporre contro Murer. A quel tempo non era difficile trovare dei testimoni. Tramite i corrispondenti che avevo in molti campi, ricevetti numerose deposizioni. Molte persone vennero direttamente nel mio ufficio di Linz, fecero la loro deposizione e la firmarono. Tutto questo materiale fu trasmesso alle autorità britanniche di Graz. Pensai che le prove contro Murer fossero schiaccianti: così almeno avrebbe dovuto essere. Nel dicembre 1948, gli inglesi consegnarono Murer ai russi. I crimini di cui lo si accusava erano stati commessi in una zona che faceva ormai parte della Repubblica Sovietica Socialist a Lituana. Il processo contro Murer si svolse a Vilna nella primavera del 1949. Le d eposizioni rilasciate dai testimoni in Austria vennero spedite alle autorità sovietiche che, dal canto loro, raocolsero altre testimonianze. Murer fu riconosciuto colpevole di aver « ucciso cittadini sovietici » e venne condannato a venticinque anni di lavori forzati.

Pensai che con qu esto il caso fosse da consid erare concluso. Cinque anni più tardi, nel 1954, chiusi il Centro di Documentazione a Linz. Le conseguenze della gu erra fredda mi costrinsero a sospendere il lavoro. Le sentenze emanate contro i nazis ti v enivano commutate e i procedimenti in corso venivano sospesi. Sembrava che f~ del tutto inutile continuare a lavorare. Spedii tutto il materiale raccolto, mezza tonnellata di documenti, agli arc hivi d ello Yad Vashem a Gerusalemme.

In seguito al trattato del 1955, i sovietici acconsentirono a restituire ali' Austria tutti i prigionieri di guerra austriaci, ivi compresi i criminali di guerra già condannati. Tuttavia non si trattava di un'amnistia gen erale. In base ai termini del trattato, l'Austria si impegnava a portare dinanzi ai giudici austriaci questi criminali; io vidi l'elenco dei prigionieri rimpatriati dall'Austria. Il nome di Murer non c'era. O non era stato rilasciato dai rtl$Ì perchè i suoi delitti erano considerati troppo gravi, o era morto.

Dopo la cattura di Eichmann, ncl maggio 1 960, ebbi bisogno di alcuni dati su Murer per completare la mia documentazione. Telefonai al posto di polizia di Gaishorn per avere alcuni partièolari riguardanti l'arresto di Murer avvenuto nel 1947. Il comandante del posto mi disse di non sapere nulla della faccenda e mi consigliò di richiamarlo di lì a poco. Mi disse che avrebbe chiesto a Mure r le informazioni che volevo.

« Cosa? Murer non è morto?»

« Niente affatto. È tornato quattro anni fa, e da allora è sempre rimasto nella sua fattoria. »

Lo ringraziai e rimisi giù il telefono. Dovevo riprender fiato. Murer era ancora vivo. Telefonai a diversi funzionari del Ministero della Giustizia per sa,pere come mai il nome di Franz Murer non era stato incluso nell'elenco dei criminali di gue rra rimpatriati. Rimasero tutti molto imbarazzati, e alcuni pretesero di non avere avuto nulla a che vedere con quella faccenda. Alla fine, mi dissero che il nome di Murer era stato saltato « inavvertitamente » ... un errore burocratico.

Cominciai a fare indagini sulla sorte degli altri criminali di guerra che erano stati rimpatria:ti dopo la firma del trattato. Di duecento persone incluse nell'elenco, solo tre - tutti al ti ufficiali delle SSerano stati processati dagli austriaci. Di questi tre, Hennann Gabriel e Leopold Mi tas furono condannati all'ergastolo, Johann Poll a venti anni. Mitas era stato libera to dopo due anni di carcere, P oli dopo diciotto mesi. Solo Gabriel - uno su duecento - era ancora in prigione. Tutti gli altri processi erano stati annullati da un decreto presidenziale.

E Murer? Era tornato alla sua fattoria ed era diventato un membro influente del Partito Cattolico del Popolo. Era stato eletto pre- sidente della Camera Distrettuale dell'Agricoltura. Aveva tenuto discorsi in pubblico e una volta aveva decorato alcuni agricoltori alla presenza di un membro del governo.

Scris& al Ministero della Giustizia austriaco per chiedergli che cosa intendesse fare a proposito di Murer. Venni invitato ad inoltrare « il materiale relativo » alla Sezione XI del Ministèro della Giustizia. Mi feci rispedire la pratica Murer da Gerusalemme, f cci fare delle fotocopie e presentai trenta.due deposizioni giurate. Vedendo che le settimane passavano e non succedeva nulla, telefonai alla Sezione XI. Un alto funzionario, che con05Ceva il caso, mi comunicò che quel materiale non poteva essere usato contro Murer, dal momento che aveva già determinato ,la sua condanna a Vilna.

Gli risposi che Murer aveva scontato solo una parte della condanna in Russia.

« Sì, lo so, » fu la risposta, « ma Murer ha passato sette anni in un carcere sovietico. Noi consideriamo le prigioni russe tre volte più dure delle nostre. Ciò significa che Murer ha scontato ventun anni, non è così? An che se un tribunale aust r iaco lo cond annasse all'ergastolo, in base alle n ostre leggi egli verrebbe rilasciato per buona condotta dopo venti anni. Poichè ha già scontato ventun anni, secondo il nostro calcolo, che scopo c'è a proc~lo di nuovo?»

, Il funzionario sembrava molto soddisfatto di questa sua dimostrazione basata sull'aritmetica della giustizi a austriaca. ·

« Vuol dire,» gli chiesi, « che in questo paese Murer non è consid erato un criminale? »

« No... non in Austria. »

« Perciò, in teoria, potrebbe anche ~re eletto presidente fedérale. »

L'alto funzionario era evidentemente seccato. « Perchè insiste a perseguitare un uomo che ha già scontato la pena?»

« Mi sembra che n oi non ci capiamo. Una intera vita sarebbe troppo breve per espiare i crimini commessi da Murer a Vilna. Io non cerco vendetta... ma solo gius tizia. Murer fu condannato a venticinque anni. In base ai termini del trattato, egli avrebbe dovuto <:$ere processato davanti a un tribunale austriaco. »

Il funzionario r imase per un po' in silenzio, poi disse : « Va bene. Se lei è in grado di esibire nuove prove, signor Wiesen t hal , prenderemo i provvedimenti del caso. »

In seguito i tribunali austriaci rifiutarono di prendere in considerazione le prove raccolte nel 194 7, sostenendo che quelle prove avevano già u na volta portato alla condanna di Murer, in Russia.

Quando feci presente che Murer aveva scontato solo in parte la sua con.danna, al Ministero della Giustizia si chiusero in un gelido silenzio. Mi venne chiesto di presentare nuove prove. Ciò significava ricominciare tutto daccapo. Avrei dovuto trovare nuovi testimoni ... a distanza di diciotto anni da quando Murer era stato a Vilna. Non sarebbe stato 'facile. Se c'erano ancora dei superstiti, non avrebbero voluto testimoniare dopo tanti anni. Avrebbero preferito dimenticàre ed essere lasciati in pace.

Mi misi in contatto con le associazioni degli ex abitanti di Vilna, che era.no state costituite in Israel e, in Canada, negli Stati Uniti, nel Sud-Africa e in Nuova Zelanda. Gli archivi del nostro Centro di Documentazione a Vienna, ben ten uti e abbastanza aggiornati, ci permisero di trovare altri testimoni. Scrissi a questa gente chiedendo informazioni circa delitti ben precisi nei quali Murer fosse stato personalmente implicato. Dissi ai probabili testimoni che delle accuse vaghe, anche se commoventi, non sarebbero servite a nulla.

Il risultato fu sorprendente. Ricevetti oltre una ventina di nuove, dettagliate deposizioni. Wolf Fainberg , che ora abita a Vineland, New Jersey, mi scrisse r accontandomi di quando, un giorno del dicembre 1941, egli fu fermato all'entrata del ghetto in via Rudnicka da Murer e dal suo aiutante Herin g. I due chiesero a Fainberg il lasciapassare, e mentre H ering stava esaminando il documento una ragazzina ebrea di dieci anni, gobba, passò ll accanto. Murer disse a Hering: « Guarda che gente tieni n el ghetto», estrasse la pistola e sparò alla bambina. Fainberg se ne andò. Ma a sera della gente che abitava in quella strada gli disse che la bambina era morta sul colpo. « Vedo ancora la scena, e credo che non la dimenticherò mai , » dichiarò Fainberg. « Murer indos.sava una uniforme bruna e H eri ng portava una giacca di p elle. » lsak Kulkin, che attualmente abi ta a Frane!, California, scrisse a proposito dell'esecuzione di sei ebrei avvenuta n el ghetto alla fine del 1942:

I sei uomini vennero impiccati nel vecchio mercato d e l bestiam e. Assistei al1'esecuzione da una finestra prospiciente. Una delle vittim e cadde a terra perchè la fune si era sp ezzata. Si gettò ai piedi di Murer chiedendo pietà. Murer diede ordine d 'im piccarlo una seconda volta.

Szymon Bastocki, che un t empo viveva a Vilna e ora abita a New York, raccontò che nel marzo 1943 Murer radunò donn e e bambini nello spiazzo del campo di lavoro e ordinò alla polizia di allontanare i bambini dalle m adri e di caricarli su dei camion.

I bambini venivano gettati in aria come fagotti. Ci furono scene strazianti, ma Murer rimase inflessibile. Una donna si strinse il bambino al seno e lottò disperatamente con le SS, che scaraventarono madre e figlio sul cam ion. Era una dottoressa in farmacia che aveva studiato a Berlino. Gridò: « 1st das die · deutsche Kultur?» («t questa la civiltà tedesca?»} Mur er ordinò che fosse fatta scend ere dal camion e disse al suo aiutante Martin Weiss di ucciderla immediatamente. Il corpo della donna fu lasciato appeso al reticolato.

La nuov.a docum entazione venne presentata al Ministero della Giustizia austriaco. Passarono diverse settimane senza che accadesse nulla. Murer se ne stava nella sua fattoria di Gaishom, godendosi la vita, la libertà e gli strani vantaggi del sistema politico austriaco. Di · lì a poco ci sarebbero state le elezioni, e i due maggiori partiti non vedevano di buon occhio l'id ea di un altro clamoroso processo contro un nazista che avrebbe potuto irritare oltre mezzo milione di ex nazisti austriaci, i quali, dopo tutto, rappresentavano mezzo milione di voti.

Era quella una situazione in cui un appello diretto alla coscienza del mondo sembrava l'unico sistema per smuovere le cose. Il 2 febbraio 1961 la Congregazione Ebraica di Vienna annunciò una conferenza stampa sul te ma « Gli ~ini sono fra noi ». Io fornii ai rappresentanti della stampa mondiale informazioni particolareggiate sul caso di Franz Murer.

Qual che settimana più tardi, si parlò del ghetto di Vilna a Gerusalemme in occasione del processo Eichmann, allorchè il dottor Mark Dvorzecki, un noto scrittore di Vilna .che ora insegna all'Università Bar-Ilan di T el Aviv, raccontò quello che era successo nella sua città natale. La storia apparve nei giornali di tutto il mondo.

P oichè gli articoli su l caso Murer si andavano moltiplicando e la pressione dell 'opinione pubblica andava crescendo, le autorità dovettero agire. Murer venne arrestato e accusato di diciassette omicidi. L'arresto provocò disordini a Gaishorn, dove un certo numero di contadini, simpatizza n ti di Murer, inscenarono manifestazioni di protesta. Costoro marciarono sul vicino paese di Liezen e minacciarono di devastare la sede del governo provinciale. Vennero pronunciati discorsi incen diari in difesa del concittadino Murer. Una delegazione si recò a protestare al Ministero della Giustizia a Vienna.

Il processo .contro Murer cominciò a Graz il 1o giugno 1963. Murer era accusato di aver commesso quindici « omicidi con le p roprie mani »; in seguito il pubblico ministero gli addebitò altri due omicidi. Oltre una dozzina di testimoni arrivarono dalla Germania, da I sraele, dagli Stati Uniti. Uno dei più importanti testimoni d'ac- cusa era J acob Brodi, che si era visto uccidere da Murer, sotto i stioi occhi, il figlio Daniel all'uscita del ghetto di Vilna. Brodi aveva allora sessantotto anni. Dopo la guerra era emigrato in America e viveva da solo in una piccola fattoria isolata del New Jersey. Era diventato un misantropo : non voleva veder gente, conduceva una vita estremamente semplice e aveva rifiutato il risarcimento del governo tedesco, al quale aveva diritto. Erano passati venti anni dal giorno in cui aveva veduto Murer uccidere il suo ragazze,, ma nonostante tutto Brodi non aveva dimenticato. O gni giorno e quasi ogni notte rivedeva la scena che si era svolta all'ingresso del ghetto di Vilna.

La prima volta che gli scrissi c hied endogli di venire a Graz per test imoniare, rifiutò seccamente. Mi spiegò c he non poteva sopportare l'idea di trovarsi di fronte all'assassino. Gli scrissi parecchie lettere dicendogli che io avevo il dovere verso i nostri morti di far sapere ai vivi ciò che era accaduto. Die Zeit , il noto settimanale tedesco, aveva appena pubblicato degli articoli « contro la nuova ondata di sfiducia » e aveva difeso la nuova generazione, « che conosce i crimini nazisti solo dai libri di storia». Gli apologeti si davano da fare senza posa. Dissi a Brodi che la sua testimonianza non sarebbe servita a restituirgli il suo ragazzo, ma avrebbe contribuito a salvare altri ragazzi d ell'età di Daniel Brodi, i quali conoscevano quei crimini solo dai libri di storia. In un'aula di tribunale, con una giuria, un giudice e un pubbli co ministero, l'accusato sarebbe apparso quello che era, e non come un personaggio uscito dalle pagine di un libro di storia, certamente non come un eroe. Non ottenni risposta. Mi ero ormai rassegnato a non contare più su Brodi. Invece, il giorno prima del processo mi mandò un telegramma nel quale mi diceva che avrebbe preso l'aereo e sarebbe arrivato in tempo.

Quattro giorni più tar<li incontrai Jacob Brodi in una stanza dell'Hotel Sonne a Graz, dove erano alloggiati tutti i testimoni. Era un uomo stanco, con i capelli bianchi e gli occhi profondamente cerchiati. Il suo vi.so, bruciato dal sole e solcato di rughe, f aceva pensare non tanto a un profugo del ghetto di Vilna quanto a un agricoltore americano del Middle West. Gli dissi che ero contento che fos.5e venuto perchè sarebbe stato un testimone di capitale importanza al processo. La sua testimonianza avre bbe senz'altro fatto colpo sulla giuria. Il processo non stava andando bene, dal punto di vista dell'accusa. Dopo quattro giorni di udienze, Murer negava ancora cinicamente ogni addebito. Uno dopo l'altro, i testimoni lo avevano identificato, ma Murer continuava a dire c he si sbagliavano. Lo confondevano con qualcun altro. Non aveva mai toccato un. ebreo; non aveva mai visto un e breo morto; era innocente, era vittima di un errore sp aventoso.

U n giorno Brodi m i disse: « Ho sap uto ch e i due figli di Murer assistono alle udienze, in prima fila con la madre, e sbeffeggiano i testimoni. »

Annuii. I due sciocchi ragazzi credevano che quella f055e una farsa. Ridevano e face vano boccacce. Due giornalisti stranieri che seguivano il processo rimasero così colpiti che c hiesero al president e del tribunal e come mai non avesse ric hiam ato all'ordine i ragazzi. Questi rispose ai due corrispondenti di non essersi accorto dei ragazzi.

Bnxii mi disse con calma : « Smetteranno di sogghignare quando io sarò chiamato al banco dei testimoni. » Mi lanciò uno sguardo penetrante e aggiunse: « Non sono venuto q ui per deporre. Sono venuto per agire. » Si sbottonò il gilè ed estras5e un lungo coltello. Brodi parlava senza eccitazione, come un uomo che abbia preso una decisione. « Mi sono fatto dare una pianta dell'aula. So che il banco dei testimoni è vi ci no alla sedia di Murer. Murer ha ucciso mio figlio sotto i miei occhi. Io ucciderò lui con questo coltello sotto gli occhi di sua moglie e dei suoi figli. »

Mi resi conto che diceva sul serio. Mi disse c he ci stava pensando da vent'anni, e aggiunse che non cred e va più nella giustizia umana. Aveva perduto anche ogni fede nella giustizia di Dio. Si sarebbe fatto giustizia co n le sue man.i. Non aveva paura delle conseguenze, dato che la sua vita era onnai fini ta. Era finita n el ghetto, in queJ lontano giorno di venti anni prima.

« Se cerca di uccidere Murer, » gli dissi, « verrà consi derat o an<:he lei un assassino. »

« Sì, ma mi farò difendere dai migliori avvocati. »

« Questo non c'entra. Non importa q uale si a il suo movente, rimane il fatto che il mondo la considererà un assassino. I nazisti non aspettano che questo. Diranno: < Guardate questi ebrei, che cianciano tanto di gi ustizia. Accusano M urer di assassinio e loro stessi sono degl i assas.sini. Murer ha ucciso degli ebrei e un ebreo ha ucciso lui. Che differenza c'è?> Ecco quello che diranno.»

Brodi scrollò le spalle tutt'altro c he persuaso.

« Pensi ad Eichmann, » gli dissi. « Avrebbe potuto essere ucciso se nza il minimo scalpore in Argentina. Ma gli israeliani ritennero necessario fargli varcare l'oceano e rischiare d i vedere insorgere contro di loro l'opinione pubblica mondiale e di essere accusati di violazione delle leggi internazionali. Per chè? Perch è Eichmann doveva essere processalo. Il processo era più importante dell'accusato. Quando entrò nell'aula del tribunale, Eichmann era già un uomo morto, ma il processo sarebbe servito a convincere milioni di persone... tutti quelli che non sapevano niente o che non volevano sapere, tutti qu elli che sapevano nell'intimo del proprio cuore, ma che non volevano ammetterlo nemmen o con se stessi. Tutti videro ne lla cabina di vetro quell'ometto calvo, insignificante, che aveva organizzato la <soluzione finale> ... l'uccisione di sei milioni di persone. Ascoltarono le testimonianze, lessero i giornali, videro le fotografie. E alla fine seppero non solo ch e era tutto vero, ma anche che era molto peggio di quanto ci si potesse immaginare. »

Brodi scosse la testa. « Non sono qui per lo Stato d'Israele. Non sono qui per il popolo ebraico. Sono venuto qui come un padre cui hanno assassinato il figlio. » E mi fissò con uno sguardo duro e spietato. In quel momento avrei dato non so che per vederlo piangere. Ma forse non ne era più capace.

Gli dissi : « Se cercherà di colpire Murer, tutto il nostro lavoro sarà stato inutile. Non potremo raggiungere i nostri scopi usando i loro metodi. Lei ha letto la Bi bbia, Jacob Brodi, lei con05Ce il quin to comandamento : < Non uccidere>. Io voglio che dall'aula del tribunale sia Murer, e non lei, a uscire con una condanna per assassinio. »

Brodi scosse di nuovo la testa.

« Parole, signor Wiesenthal, nient'altro che parole. t facile per lei; lei non ha avuto un figlio assassinato. Ma io sì. Io le scrissi che non volevo venire. Lei mi dis,c;e che era necessario. Bene, ora sono qui, e lei sa perchè sono venuto. »

Mi volta i dall'altra parte, perchè non potevo sopportare l'espressione de i suoi occhi. Parlai a lungo, ma non ricordo più esattamente che cosa gli dissi. Gli parlai di me: delle ragioni per cui avevo deciso di fare quello ch e avevo fatto negli ultimi venti anni ... perchè qualcuno doveva farlo, per i nostri figli, per i loro figli ... non per odio.

Gli dissi: « A volte mi viene ancora da pian geTe, signor Brodi, q uando sento quello che è accaduto ai bambini nei campi di concentramento. H o pianto quando ho sentito la storia del suo ragazzo, perchè avrebbe potuto es.c;ere il mio ragazzo. Suo figlio era anche mio figlio. Crede davvero che potrei continuare a fare questo lavoro se non la pensassi in questo modo? »

Lo afferrai per le spalle. D'un tratto J acob Brodi mi affondò la testa nella spalla, sentii come un brivido che gli percorreva il corpo e scoppiò a piangere. Rimanemmo così per un pezzo senza dire una parola. Quando uscii dalla stanza, qualche minuto più tardi, avevo in tasca il suo coltello.

Jacob Brodi fu chiamato a deporre il giorno seguente. Mai, nemmeno una volta, guardò Murer. Raccontò la sua storia con voce atona, come se si trattasse di una co.sa accaduta ad un altro. L'aula del tribunale era silenziosissima; anche i figli di Murer si accorsero che per quell'uomo affranto la testimonianza era una dura prova, e non o.sarono sbeffeggiarlo. La difesa rinunciò ad interrogare Brodi, che venne li cenziato. Quando egli fu uscito dall'aula, Murer si alzò e ancora una volta disse che il testimone doveva essersi sbagliato. Murer non aveva sparato al ragazzo. Doveva averlo fatto qualcun altro.

Il processo durò una settimana. I giornalisti stranieri si accorsero c he il clima del tribunale era decisamente favorevole all'accusato. Alcuni giurati, vestiti con i tradizionali costumi di loden verde, non nascondevano le loro simpatie per Murer. Altri cercarono di seguire il dibattito con imparzialità, ma sembrava che costoro fossero in minoranza. I principali giornali di Graz sostenevano gli argomenti dei difensori di Murer. Si diceva che egli avesse ricevuto molte lettere con esprC$ioni di solidarietà da parte di amici politici.

Il pubblico rimase soddisfatto quando la difesa riuscì a confondere un testimone che, trasportato dall'emozione m entre deponeva davanti alla corte, s'impappinò su un particolare. Un altro testimone fu incerto a proposito di una data. Parlò di uno dei delitti di Murer, ma poi Murer provò inconfutabilmente di non essere stato a Vilna nel periodo indicato. Naturalmen~e, la testimonianza di queste persone risultò screditata.

Fra i testimoni della difesa c'era Martin Weiss, ex aiutante di Murer nel ghetto di Vilna. Weiss era stato trasferito a Graz dalla prigione di Straubing in Baviera, dove stava scontando una condanna a vita per genocidio. Quando Weiss precisò che « alcuni ufficiali lituani indossavano uniformi simili a quella di Murer », ci fu un mormorio di soddisfazio n e fra il p ubbli co.

Le deposizioni dei testimoni di accusa venivano accolte inv ece con un gelido silenzio. (L'avvocato di Murer mi definì un « cacciatore di uomini». ) Israel Sebulski, c he ora vive a Monaco, raccontò al tribunale che il suo fi gliolo quindicenne era stato barbaramente picchiato da Murer e<l in conseguenza di ciò aveva perduto la ragione e l'uso delle gambe ed era ricoverato i n un ospizi o. La signora Tova

Rajzman di Tel Aviv giurò che Murer aveva ucciso sua sorella perchè aveva preso un pezzo di pane da una donna , polacca. In un acces.50 di furore, disse la signora Rajz man, Murer aveva poi ucciso tre altre donne e un uomo che si trovavano per caso lì vicino. Mentre riferiva l'episodio, la signora Rajzman fu sopraffatta d ai ricordi e cominciò a gridare.

« Non gridi in aula! » le ordinò il presidente, Hofrat dottor Peyer.

« Mi perdoni, Vostro Onore,» disse la signora Rajzman. « Ma fu terribile. Il sangue di mia sorella mi schizzò sui piedi. »

« Non avrebbe potuto essere qualcun altro a farlo? »

« No, Vostro Onore. t stato Murer. Lo ricordo fin dalJa prima volta che venne nel ghetto. Lo incontrai in strada e mi picchiò. Quando camminava per le vie del ghetto, tutti dovevano scendere dal marciapiede e gli uomini dovevano togliersi il cappello e inchinarsi. »

Il dottor Schumann, il pubblico ministero, si era preparato scrupolosamente per assolvere il suo compito. Aveva studiato le pratiche di Murer esistenti a Francoforte e a Monaco. Nell'arringa conclusiva mise in evidenza il fatto che i testimoni avevano identificato Murer al di là di ogni du bbio e chiese ai giurati di giudicare l'accusato come se fosse stato l'assas.5ino dei loro figli.

« Per quanto riguarda almeno sei casi, non vi è alcun dubb io che l' accusato sia colpevole,» disse il pubbli co ministero. « Desidero sappiate che questo processo ha già profondamente scosso l'illusione nutrita da noi austriaci di essere UJn Kulturvolk. »

Dopo quattro ore, la giuria emanò un verdetto d i « non colpevolezza ». In Austria, si usa pre cisare in aula i risultati delle singole votazioni della giuria. Il capo dei giurati disse che per due delle diciassette imputazioni si era avuta la parità di quattro voti contro e quattro a favore. Lui aveva dato il suo voto a favore di Murer.

Io non ero a Graz quel giorno . Alcuni giornalisti mi dissero in seguito che quando venne annunciata l'assoluzione di Murer il pubblico in aula gridò ed applaudì. Alcuni erano addiri ttura venuti portando mazzi di fiori mentre la giuria stava ancora deliberando. Dopo la sentenza si pr eci pitarono ad offrire i fiori a Murer.

II giorno dopo, un diplomatico americano che si trovava in visita da amici a Graz e che voleva mandare dei fiori alla sua ospite si sentì rispondere da tre fiorai diversi che non avevano più fiori. Erano stati tutti venduti per il processo. Murer lasciò il tribunale da trionfatore. Venne portato via su una Mercedes da un certo Rudolf Hochreiner, un nazista che era stato accusato dell'assassinio di nove ebrei ed era stato assolto.

In tutta l'Austria si sollevò una tempesta d'indignazione. Tranne pochissime eccezioni, la stampa austriaca è antinazista e democratica. Giornali appartenenti a quasi tutti i gruppi politici stigmatizzarono il verdetto definendolo un Justizskandal, uno scandalo giudiziario. A Vienna gl i studenti cattolici si appuntarono sul petto delle stelle gialle e sfilarono per le strade in segno di protesta gridando: « Murer è un assassino! Murer deve essere punito! » E in seguito si recarono in massa ad assistere a una funzione che venne celebrata nella Michaeler Kirche in espiazione dei delitti commessi dai cristiani contro gli ebrei.

Il pubblico ministero si appellò contro la se ntenza. La Corte Suprema dell ' Au stria ha accolto l'appello riguardo ad un solo capo di accusa: si tratta di un caso scoperto da me, in cui Murer era stato visto commettere un omjcidio da due diversi testimoni. I testimoni non si conoscevano ed attualmente vivono in due parti diverse del mondo , ma indipendentemente l'uno dall'altro hanno descritto la stessa scen a. Murer verrà processato ancora una volta. La giustizia può ancora vincere.

Qualche giorno dopo l'assoluzione di Murer, incontrai Jacob Brodi nell 'atrio di un albergo di Vienna. Mi guardò come se non mi vedesse. Capii. Forse io avevo salvato la vita di Murer. Non era un pensi ero piacevole, ma non avrei potuto fare diversamente.

Capitolo Iii

I Segretj Del La Odessa

Verso la fine del 1947, cominciai a individuare gli itinerari seguiti dai gerarchi nazisti che erano fuggiti e che si trova van o sulla lista - dei ricercati di par ecc hi paesi. Sapevo che tutti i principali capi delle SS e i membri della Gestapo avevano ricevuto dalla RSHA,1 verso la fine della guerra, dei documenti di identità con nomi falsi. Ma non mi interessavano tanto i nomi, quanto gli itinerari seguiti da costoro. Era essenziale scoprire dove fossero andati, come ci fossero arrivati, chi li avesse aiutati e chi avesse pagato pe r rendere possibili qu este fughe.

Erano pochi i gerarchi nazisti che avessero cercato di fuggire nell'Unione Sovietica, dove, con tutta probabilità, non avrebbero ricevuto un'accoglienza amichevole. Una eccezione fu Heinrich Muller, che era stato un pezzo grosso del RSlfA e che oggi è forse il più ric e rcato di tutti i gerarchi nazisti e il cui caso costituisce uno dei più grossi misteri non risolti. P rob ab ilmente si rifugiò in Russia, ma dubito che sia ancora vivo. I criminali nazisti sapevano che non avrebbero trovato aiuti in Inghilterra e in Scandinavia. Se volevano fuggire, dovevano andare verso sud.

Presi un planisfero e disegnai con una matita gli itinerari che, a quanto mi risuùava, e rano stati seguiti dai maggiori gerarchi nazisti in fuga. Ne vennero fuori tre principali direttrici. La prima conduc eva dalla Germania all'Austria e all'Italia e di qui alla Spagna. La seconda puntava verso i paesi arabi del Vicino Orient e, d ove i tecnici nazisti sono oggi molto apprezzati . (li interessante notare che l'edizione araba del Mein Kampf di Hitler non contiene le espr essioni tutt'altro che lusinghiere riguardanti i « semiti», fra i quali Hitler comprendeva anche .gli arabi.) La terza direttrice univa la Germania con alcuni paesi del Sud-America. Fino alla caduta del regime Per6n nel 1955, l'Argentina era la terra promessa dei gerarchi nazisti. Oggi il rifugio di moda per l'élit e delle SS è il Paraguay.

1 V. App endice: RSHA, Reichssicherheitshauptamt.

Dopo questa prima operazione, tracciai gli itinerari a me noti su carte geografiche in scala ridotta dell'Europa centrale e meridionale. Molte fughe erano cominciate in determinate città tedesche _Brema, Franc oforte, Augusta, Stoccarda, Monaco - e la meta era stata l'Allgiiu, una isolata regione boscosa nella Baviera meridionale, abbastan za vicina ai confini sia dell'Austria che della Svizzera.

Mi parve che molti percorsi convergessero verso Memmingen, una città medioevale nel cuore dell' Allgau. Di qui le str:ade andavano verso due direzioni. Una continuava in direzione di Lindau, sul Lago di Costanza, dove a sua volta si divideva in due strade: una che andava verso Bregenz in Austria, e l'altra che si dirigeva verso la vicina Svizzera. Il percorso principale andava da 1\1 emmingen a lnnsbruck e, attraverso il Brennero, in Italia. Più tardi venni a sapere che i nazisti chiamavano il percorso nord-sud l' « asse B-B », un nome convenzionale per Brema-Bari. Tutto ciò evidentemente non era una semplice coincidenza. Queste fughe erano state evidentemente preparate da individui isolati o addirittura da una intera organizzazione. Come venni a sapere più tardi, si trattava di una organizzazione clandestina, molto efficiente, che disponeva di tutto il denaro necessario ... e di denaro ce ne voleva molto.

Al procesoo di Norimberga conobbi un tedesco che era stato citato come testimonio. Lo chiamerò semplicemente Hans Egli era, ed è, un convinto antinazista che vive oggi in Germania e che ha bisogno di essere protetto. Hans mi venne raccomandato da alcuni amici americani. Aveva appartenuto all' Abwehr. 1 Come molti membri dell'Abwehr, Hans era uno di quegli alti ufficiali dell'esercito con notevoli tradizioni familiari che considerarono gli elementi criminali del Sicherheitsdienst 2 (S D) del partito nazista dapprima con disp rezw e poi con paura. La rivalità fra i servizi del controspionaggio della Wehrmacht e il partito si concluse, come era pre vedibile, con la completa sconfitta dell' Abwehr. L'ammiraglio Canaris, capo dell' Abwehr, morì in un campo di concentramento; molt i m embri ddl'Abwehr vennero giustiziati. I sopravvissuti non dimenticarono mai l'umiliazione e alcuni di essi' sono stati fra i miei migliori collaboratori.

Afoune settimane dopo il nostro incontro a Norimberga, vidi di nuovo Hans, che nel corse> del p6mo colloquio era stato alquanto r eticente, all'Hotel Goldener Hirsch a Salisburgo. Q uesta volta parlò francamente; penso che nel frattempo avesse fatto qualche inda- gine sul mio conto. Parlammo della situazione politica e Hans si dimostrò pessimista e molto critico nei confronti degli alleati.

1 V. Appendice: Abwehr.

11 V. Appendice: Sicherheitsdìenst.

« So già che cosa succederà. Ora che alcuni dei capi nazisti sono stati giustiziati, la ma,ggior parte dei criminali minori verranno rimessi in libertà dagli alleati dopo aver subito delle condanne per burla. Nessuno vuole sprocare tempo e fati.ca con la marmaglia nazista. Di qui a poco occuperanno di nuovo posti importanti e non sarà più possibile toccarli perchè non si può condannare due volte un uomo per lo stesso delitto. » ·

La previsione di Hans si dimostrò purtroppo vera.

« Gli alleati hanno fatto uno sbaglio quando hanno deciso di ripulire la Germania, » disse Hans. « .È stata una iniziativa lodevole, ma senza speranza di successo, perchè essi non capiranno mai la mentalità nazista; e del resto come potrebbero? Avrebbero dovuto invece affidare il compito a dei tedeschi onesti. E ce ne sono... anche se dopo la guerra tutti i tedeschi erano considerati dei cattivi tedeschi. Tribunali tedeschi avrebbero dovuto giudicare i criminali delle SS. I giudici tedeschi sarebbero stati capaci di capire la mentalità contorta degli accusati e avrebbero condannato quelli che fossero risultati -colpevoli. Ormai è troppo tardi. I nazisti hanno imparato bene a trattare con qu egli ingenui. L'arma segreta dei nazisti sono le belle ragazze tedesche e austriache. La crisi è passata e i nazisti stanno rialzando la cresta. Rimarrebbe stupito se sapesse che nei circoli nazisti si parla già di un futuro Quarto Reich. I pezzi grossi sono all'estero e hanno ricominciato a complottare. Vivono al sicuro in alcuni paesi che non hanno aoèordi di estradizione con la Germarua. »

Evidentemente Hans sapeva più di quanto non dicesse. Cercai di tirargli fuori il più possibile perchè ero sicuro che avrebbe potuto danni quelle risposte di cui avevo bisogno.

« Come hanno fatto a fuggire i pezzi grossi nazisti? »

« Ha mai sentito parlare della Odessa?» mi chiese Hans.

Gli risposi (piuttosto ingenuamente, me ne rendo conto adesso):

« In Ucraina? Sì, ci sono st ato prima della guerra. Una bella città.»

« No, no.>> Hans ebbe un moto d'impazienza. « ODESSA, scritto in maiuscole: l'organizzazione segreta che si occupa delle fughe delle SS. »

D'un tratto molte cose che avevo sentito dire cominciarono a:d acquistare un significato. Ricordo che i nazisti solevano dire di qualcuno che era « andato a Odessa» e mi ero sempre domandato che cosa volesse dire.

« L'ODESSA, » d~ Hans, « ha al suo attivo numerosi espatri di criminali delle SS e di membri della Gestapo. t riuscita addirittura a farli evadere dal carcere. »

Quella sera Hans mi raccontò la storia completa di questa sorprendente organizzazione. Era stata creata nel 194 7 e il suo nome, ODESSA, era la sigla di Organisation der SS-Angehorigen, Organizzazione dei membri delle SS.

« Alla fine della guerra, organizzazioni segrete di questo genere non esistevano, sebbene molti esperti alleati ritenessero il contrario, » disse Hans. « I pezzi grossi nazisti vivevano nascosti, oppure avevano assunto falsi nomi. Poi vennero creati i primi comitati, forse per stabilire i contatti fra i nazisti in carcere e i loro parenti. Questi comitati ebbero la benedizione delle varie Chiese e degli alleati. Si diceva che fossero esclusivamente organizzazioni benefiche, e in realtà molte persone che non avevano mai avuto niente a che fare con il nazismo collaborarono volontariamente a tali iniziative. »

Hans scoppiò a ridere. « A pensarci oggi, fu davvero un bello scherzo. P roprio sotto gli occhi degli alleati e degli onesti tedeschi, venne stabilita una efficiente rete di contatti fra i nazisti che si trovavano in carcere e i nuovi gruppi clandestini. Il comitato s'incaricava di far pervenire ai parenti le lettere dei prigionieri. Purtroppo, sebbene ci fos.se ancora la censura, nessun esperto si preoccupò di legge.re attentamente quelle lettere. Sembrava che la cosa non interessasse a nessuno. Ma non bisogna mai sottovalutare i nazisti. Avevano avuto tutto il tempo per prepararsi alla sconfitta. Già molto tempo prima del crollo del Terzo Reich, avevano stabilito dei codici segreti. Quando uscivano dal carcere, dopo qualche mese o dopo qualche anno di detenzione, venivano subito arruolati nei nuovi gruppi clandestini. La principale rete clandestina si chiamava Spinne: <ragno>. Questo per quanto riguarda i nazisti che erano finiti in carcere. Ma ce n'erano molti altri che erano stati rilasciati dai campi di concentramento alleati senza processo, o che non erano mai stati arrestati perchè, nella confusione che c'era allora, l a loro vera identità non era stata appurata. Per lo meno p er un certo tempo. In seguito costoro cominciarono a preoccuparsi. Non volevano restare ad aspettare fino a che si f o.55e risaputa la spave ntosa verità sui loro delitti e fosse quindi troppo tardi per fare qualcosa. Dovevano fuggire. I nazisti decisero che era arrivato il momento di creare una rete clandestina mondiale per facilitare queste evasioni. »

L'ODESSA fu il risultato di tutto ciò. In luogo del vecchio asse B-B (Brema-Bari), l 'ODESSA creò due principali vie di fuga, da Brema a

Roma e da Brema a Genova. Hans non sapeva dove si trovasse il Verteilerkopf (centro di smistamento); forse ad Augusta o a Stoccarda, o forse addirittura in Argentina. Fra i principali clienti dell'oDESSA ci furono Martin Bormann, il vice di Hitler, e Adolf Eichmann.

In brevissimo tempo, !'ODESSA creò una efficiente organizzazione di corrieri, reclutati nei luoghi più inverosimili. Fra gli altri c'erano gli autisti tedeschi che guidavano, sull'autostrada fra Monaco e Salisburgo, i camion militari americani adibiti al trasporto dei pacchi di The Stars and Stripes, il giornale dell'esercito statunitense. I corrieri avevano fatto domanda di assunzione sotto falsi nomi, e a Monaco gli americani avevano trascurato di controllare la loro identità. Era stata un'idea brillante. La polizia militare non si sarebbe mai curata di perquisire quei camion. Il conducente offriva qualche copia del giornale alle guardie di confine e attraversava la frontiera austro-tedesca presw Salisburgo con un paio di nazisti nascosti dietro i pacchi di T he Stars and Stripes. A volte i camion trasportavano anche materiale di propaganda neonazista, volantini ciclostilati, resoconti su « incidenti di rilievo » fra americani e russi.

Io feci un rapporto al CIC di Salisburgo e due camionisti vennero arrestati. Ma ormai il male peggiore era stato fatto, e dozzine di criminali nazisti erano spariti dalla Germania.

La rete organizzativa dell'ODESSA era completa ed efficiente. Ogni sessanta-settanta chilometri c'era una Anlaufstelle (uno scalo), formata da un minimo di tre e da un massimo di cinque persone, che conoscevano solo l'ubicazione dei due scali più vicini: quello dal quale provenivano i fuggitivi e il successivo verso il quale dovevano essere avviati. Le Anlaufstellen vennero costituite lungo tutto il confine austro-tedesco e soprattutto a Ostermiething, nell'Austria Superiore, a Zell arn See nel distretto di Salisl;>urgo e a lgls, presso lnnsbruck nel Tirolo. A Lindau, che è vicino sia all'Austria che alla Svizzera, !'ODESSA aveva costituito una società di « esportazioniimportazioni » con corrispondenti al Cairo e a Damasco.

L'informazione di Hans mi venne confermata l'anno successivo da un funzionario di polizia aiustriaco a Bregenz, il quale mi raccontò un sacco di cose circa gli espatri clandestini che venivano effettuati dalla vicina Lindau. Bregenz e Lindau, sul Lago di Costanza, punto d'incontro deli'e frontiere tedesca, austriaca e svizzera, erano luoghi id eali per gente che voleva espatriare in fretta. Il funzionario austriaco mi disse che gli espatri clandestini non erano ignorati dai funzionari delle polizie tedesca, austriaca e svizzera, e nemmeno dalle au- torità di occupazione francesi, che sembravano chiudere un occhio!

« Ha mai sentilo parlare di Haddad Said? » mi chiese il poliziotto.

«No.»

« È un tedesco che viaggia con un passaporto siriano e che organizza gli espatri da Lindau via Bregenz. »

« Dov'è la sua base di operazioni?»

« A Monaco e Lindau, da dove Haddad Said in canala i gruppi verso Bregenz. Non possiamo fermarli perchè hanno dei passaporti validi. Da Bregenz attraversano il confine svizzero che dista appena pochi chilometri. Una volta in Svizzera, i fu ggi tivi prendono il primo treno per Zurigo o per Ginevra, e quindi in aereo raggiungono il Vicino Oriente o il Sud-America. Tutti sono muniti di passaporti, visti, e di abbondante denaro. »

Gli chiesi : « E non potete far niente per bloccare queste fugh e? »

« Che cosa pos.5iamo fare ? Si tratta di stranieri in transito, e noi siamo felici che escano dal nostro territorio. I documenti sono in ordine e i viaggi in Svizzera sono spesso oamuffati come visite a familiari. I fuggitivi sono accompagnati da donne e bambini reclutati fra la popolazione di Lindau, che fingono di esrere loro parenti. Le donne hanno un po' di denaro e vanno a fare compere in Svizzera. Qualche giorno più tardi le donne e i bambini ritornano, ma senza gli uomini. Nessuno fa domande. Questo Haddad Said deve avere degli amici altolocati che lo aiutano. »

Gli chiesi: « E le autorità francesi di occupazione?»

Scosse le spalle. « Questo è appunto quello che preoccupa noi antinazisti. Forse Haddad Said ha degli appoggi anche lì. Ho sentito dire che fughe del gen ere vengono tollerat e anche dagli americani e dagli inglesi nelle loro zone... Chi avrebbe mai immaginato che meno di quattro anni dopo la fine della second a guerra mondiale potessero accadere cose simili? » .

Più tardi - troppo tardi - scoprii che « Haddad Said » era lo SS-Hauptsturmfii.hrer Franz R ostel, uno dei principali organizzatori dell'ooESSA. Ora egli fa la spola fra la colonia tedesca in Uruguay e la Co.sta Brava in Spagna, dove molti ex capi delle SS e gerarchi del partito possiedono delle magnifiche residenze estive. Il posto è bello, il clima eccellente, il rischio minimo.

Scoprii anche ·che l'onE SSA aveva una c05iddetta « via dei conventi » fra l'Austria e l'Italia. I preti cattolici e soprattutto i frati francescani aiutavano i fuggiaschi per mezzo di una catena di case religiose « sicure ». Senza dubbio i preti erano mossi da un senso di

-pietà cristiana; molti avevano fatto lo stesso per gli ebrei durante il regime nazista. Degli ottonùla ebrei di Roma, durante l'occupazione nazista, metà rimasero nascosti nei conventi e nelle case degli ordini religiosi e poterono sopravvivere. Parecchie decine furono ospitati in Vaticano. Molti altri t~ovarono rifugio nelle case degli amici e dei vicini italiani che non avevano mai compreso il significato dell'antisemitismo. (Circa un migliaio di ebrei romani, per due terzi donne e bambini, morirono ad Auschwitz.)

A mano a mano che scoprivo nuovi fatti circa le attività dell'oDESSA, mi rendevo conto del perchè i servizi d'informazioni alleati non ne sapessero niente. Gli uomini che dirigevano l'oDESSA non avevano trascurato alcun particolare. Le Anlaufstel!en erano ben mimetizzate... un'anonima locanda, un capanno di caccia abbandonato nei boschi, una fattoria isolata vicino al confine. In questi rifugi i viaggiatori rimanevano per qualche ora, per qualche giorno o per qualche settimana, fino a che non avessero ricevuto il segnale di via libera per la tappa successiva. Sebbene ai cittadini tedeschi e austriaci non fosse consentito di spostarsi nelle zone di occupazione militare senza speciali permessi, gli esperti dell'oDESSA erano sempre in grado di procurarsi i lasciapassare necessari per tutte le zone di ocoupazione.

È curioso notare che Io stesso sistema veniva anche adottato nelle emigrazioni clandestine della Bricha (parola ebraica che significa « fuga»), che in quel medesimo periodo di tempo curava l'emigrazione dei profughi ebrei verso la Palestina via Austria e Italia. Capitò talora che le due organizzazioni si servissero contemporaneamente dei medesimi punti di appoggio. ·Conosco una piccola locanda presso Merano, nell'Alto Adige, e un altro posto presso il Reschenpass, fra l'Austria e l'Italia, dove capitò che clandestini nazisti ed ebrei passassero in sieme la notte senza sapere gli uni degli altri. Gli ebrei veniv,ano nascooti al piano superiore e veniva detto loro di non muoversi, mentre ai nazisti, sistemati al pianterreno, veniva raccomandato di non uscire di camera.

Un corriere della Bricha una volta mi spiegò come fosse pos.sibile una sit'llazione tanto paradossale. « Ci nascondevamo t utti come ladri nella notte. Ci veniva detto di non dare nell'occhio, e così quando vedevamo un estraneo ci nascondevamo. Immagino che tutto ciò dovesse divertire molto i nostri complici, contrabbandieri di professione che erano in ottimi rapporti con la polizia e le guardie di frontiera. Purchè fos.sero pagati, a loro non interessava chi varcava la frontiera. »

L'ODESSA manteneva contatti con i contrabbandieri di professione in tutte le zone di frontiera e nell e varie capitali europee aveva buoni agganci con le ambasciate di Spagna, d'Egitto, di Siria e di alcuni paesi sudamericani. Inoltre si manteneva in stretto rapporto con la speciale sezione tedesca della organizzazione di « As.ilitenza Sociale» della Falange spagnola, che curava in Spagna l'inoltro dei « passeggeri » verso il Sud-America. Altri fu ggiaschi venivano condotti a Genova, dove s'imbarcavano su navi dirette in SùdAmerica.

Ma tutto questo costava denaro e qualcuno doveva pur pagare. E infatti qualcuno pagava. La storia del finanziamento dell'ooESSA comincia molto prima della nascita d ell'organizzazione stessa. Nella primavera del 1946 (quando lavoravo ancora per l'OSS ) un ufficiale americano portò n el nostro ufficio di Linz un sacco da montagna e ne tirò fuori un grosso raccoglitore blu scuro. Disse di aver preso quei documenti a un certo Oberst Keitel al campo di concentramento delle SS di Ebensee, presso Bad lschl.

Nè io nè gli americani ci re ndemmo conto che quelli erano fra i documenti più sorprendenti che fossero mai caduti in mani alleate sin dalla fine della guerra. I documenti riguardavano i capitali nazisti, e non i crimini nazisti, ed io mi interessavo solo a questi ultimi. Gettai solo un'occhiata ai documenti pensando che sarebbero stati trasmessi per compete nza all'ufficio americano sul Controllo delle Proprietà. E questo fu un altro dei miei errori da principiante. In seguito ho imparato che spesso il denaro lascia una traccia che conduce al covo dell'assassino.

Il dossier conteneiva i verbali cli un incontro segretissimo fra i capi dell'industria tedesca avvenuto il I o agosto 1944 all'Hotel Maison Rouge di Strasburgo. Hitler e la Gestapo non avevano saputo niente della riunione che si era svolta appena venti giorni dopo la fallita congiura contro Hitler del 20 luglio. Coloro che si recarono a Strasburgo sapevano che, se avessero voluto salvare la loro vita, avrebbero dovuto mantenere il massimo segreto su tali progetti.

Gli industriali della Renania e della Ruhr, che erano stati i primi a seguire il carrozzone di Hitler nel 1933 - fra gli altri ci furono Emil Kirdorf, il re del carbone; Kurt von Schroeder, il ban chiere di Colonia; Fritz Thyssen, il magnate dell'acciaio; Georg von Schnitzler, d ella IG Farben; e Krupp von Bohlen - furono anche fra i primi a disertare. Quando cominciò l'invasione alleata dell'Europa, i capitalisti della Renania e della Ruhr scommettevano sulla sconfitta di Hitler. Apparve chiaro che era necessario prepararsi per tempo per salvaguardare gli impianti nazisti dalle confische alleate e per proteggere il potenziale bellico tedesco in vista di futiuri eventi. La seconda guerra mondiale era ormai perduta, ma con un po' di lungimiranza e di fortuna la Germania avrebbe potuto vincere la terza guerra mondiale.

Il primo passo da compiere era quello di impedire che i fondi, i depositi, i brevetti e i disegni delle nuove armi cadessero in mani alleate. All'inizio del 1944, i capi nazisti cominciarono a trasferire cospicu i fondi, derivanti anche dal bottino di guerra, nei paesi neutrali e non belligeranti. Mentre il cittadino qualunque veniva condannato a morte se cercava di contrabbandare una banconota da un doll aro, i pezzi grossi delle industrie tedesche crearono imprese all'estero sotto la copertura di transazioni commerciali perfettamente legittime. All'estero, uomini di paglia cominciarono a investire il denaro a proprio nome. Nessuna traccia doveva ricondurre in Germarua.

Un rapporto pubblicato dal Di partimento del Tesoro americano nel I 946 parla di 750 società create in tutto il mondo dai tedeschi con denaro tedesco: 1 1 2 in Spagna, 58 in Portogallo, 35 in Turchia, 98 in Argentina, 214 in Svizzera, 233 in vari altri paesi. E il rapporto non è completo. Oggi so per esperienza che è più difficile scoprire i trasferimenti di fondi avvenuti fra tre o quattro gr06SC banche, anzichè scoprire un segreto atomico. A causa della tradizionale dL~ezione dei banchieri, è quasi impossibile scoprire dove sia andato a finire il denaro spedito, ad esempio, dalla Germania a una banca svizzera, e da questa in Sud-America, in Spagna o in Portogallo, o addirittura ritrasferito in Li ech tenstein o in Svizzera.

Molti anni dopo - nel gennaio 1966 - ebbi, nel mio ufficio, una conversazione dalla quale trassi il convincimento che i miei primi sospetti erano fondati. V enne a trovarmi a Vienna la vedova di un ex Obersturmbannfuhrer (tenente colonnello) delle SS, la quale mi disse che alcuni neonazisti l'avevano minacciata perchè si era rifiutata di avere a che fare con loro; dopo di che mi raccontò una storia interessante. Nell'autunno del 1944, sei mesi prima della fine della guerra, suo marito era stato chiamato dai suoi superiori delle SS. Costoro sapevano che egli aveva un piccolo conto presso la Dresdener Bank; gli chiesero il numero del conto e gli ordinarono di firmare due fogli in bianco. L'ufficiale ubbidì.

Alla fine della guerra, butte le banche tedesche vennero poste sotto il controllo degli alleati, che nominarono un Haupt-Treuhander

(fiduciario) per l'amministrazione dei beni degli ex nazisti. Un giorno il fiduciario notificò all'ex Obersturmbannfuhrer che risultavano a suo nome dei conti bancari : uno per 1 2 .ooo marchi e uno per 2.600.000 marchi.

« Naturalmente mio marito saipeva dei 12.000 marchi,» mi disse la donna. « Ma non aveva la minima idea circa la provenienza del denaro del conto più grosso. Disse ai funzionari americani che gli .era stato chiesto di firmare un documento in bianco, e non sapeva proprio chi potesse avere in quel momento la sua firma. Se versavano tanto denaro sul conto di un qualsiasi tenente colonnello, quanto ne avranno versato per i Bonzen nazisti? »

Dissi alla donna che la domanda era logica, ma che sarebbe stato molto difficile trovare la risposta. I segreti bancari sono ancora fra i segreti meglio custoditi del mondo. Per me ciò dimostra che, prima ancora che la guerra finisse, i nazisti avevano costituito sostanziosi fondi segre.ti per la edificazione di un Quarto Reich.

Stando al dossier che l'uffioiale americano aveva ricuperato nel 1 946, questi argomenti erano stati discussi nel m001orabile incontro dell'Hotel Maison Rouge avvenuto nell'agosto 1944. Gli industriali tedeschi sapevano che la guerra era perduta. Gli alleati occidentali si stavano avvicinando a Parigi. Gli industriaJ.i tedeschi non condividevano le illusioni romantiche dei pezzi grossi nazisti, i quali parlavano di armi segrete che non erano ancora perfettamente a punto ed erano convinti di poter vincere la corsa alla bomba atomica. Essi sapevano quali fossero le probabilità ed agirono di conseguenza. Era necessario creare immediatamente una « organizzazione tecnica » in tutto il mondo, capace di coordinare gli sforzi fut,uri.

Fra coloro che intervennero a quella riunione c'erano i rappresentanti del gruppo Rochling, di Krupp, di Messerschmitt, d elle Goering Werke di Linz, alti funzionari del Ministero della Guerra e del Ministero degli Armamenti. Il presidente, il dottor Scheid delle Hermannsdorfwerke, fece una esplicita dichiarazione:

« La Germania ha sempre perduto la battaglia di Francia. A partire da questo momento, l'industria tedesca si deve preparare per la lotta economica che si scatenerà nel dopoguerra. Ogni industriale deve cercare di stabilire contatti con ditte all'estero, ma ciascuno deve farlo per conto proprio senza dare nell'occhio. E questo non è tutto. Dobbiamo tenerci pronti a finanziare il partito nazista che sarà costretto a vivere nella clandestinità per qualche tempo.»

Allo scopo di mandare ad effetto le decisioni prese n ella riunione

, di Strasburgo, gli industriali tedeschi, con il pretesto di legittime transazioni commerciali, si diedero a trasferire somme di denaro nei conti bancari segreti e nelle imprese costituite in Spagna, Turchia e Sud-America. Sylvano Santander, che oggi è ambasciatore argentino in Spagna, fece parte della comnùs.sione governativa incaricata di indagare sulle attività naziste in Argentina dopo la cacciata di P eron. Una volta egli mi mostrò un elenco di imprese argentine finanziate dai nazisti. Di ogni transazione veniva tenuta scrupolosamente nota. Gli industriali tedeschi che parteciparono alla riunione volevano essere ben sicuri che nessun uomo di paglia all'estero potesse in seguito gabbarli negando di aver mai ricevuto dei fondi tedeschi. Venne deciso che copie di tutti i documenti venissero nasco5te « in diversi laghi alpini », da dove avrebbero potuto essere recuperate in seguito durante le cosiddette spedizioni di « ricerca subacquea ».

Nei verbali della riunione si legge: « La Direzione del partito teme che alcuni membri saranno condannati come criminali di guerra. I capi meno in vista dovranno perciò es.sere sistemati in qualità di <esperti tecnici> nelle diverse industrie chiave tedesche. Il partito è disposto a fornire grosse somme di denaro a quegli industriali che contribuiranno all'organizzazione postbellica all'estero. In cambio il partito chiede tutte le scorte di denaro che siano già state trasferite all'estero o che possano essere trasferite in seguito, in modo da poter costruire dopo la sconfitta un nuovo forte Reich. »

I documenti non dicono chi si nascondesse sotto la dizione « il partito ». Non poteva trattarsi di Hitler o di Himmler, perchè essi erano all'oscuro della riunione. Una interessante dichiarazione fu fatta dal dottor B06.S del Ministero degli Armamenti di Speer, il principale responsabile della produzione di materiale bellico che si era trovato in conflitto segreto, con il partito sin dal I 942. Il dottor Boss disse: « Le industrie tedesche devono creare degli istituti di ricerca e degli uffici tecnici che siano apparentemente indipendenti. Tali uffici devono essere costituiti o in grandi città, dove possono dare meno nell'occhio, o in piccoli villaggi presso laghi o centrali idroelettriche, dove possano essere mascherati come <istituti di ricerca>. »

In seguito alla riunione di Strasburgo, gr06.Se somme di denaro vennero trasferite all'estero. L'organizzazione ODESSA venne finanziata con tali mezzi. Altri introiti provenivano dai traffici illegali delle imprese dell'oDESSA che spedivano rottami metallici a Tangeri e in Siria, o che smerciavano armi già appartenenti ai depositi americani in Germania; tali armi venivano «trasferite» attraverso i cor- rieri dell'ooESSA nel Vicino Oriente. Ma l'ooESSA si preoccupava di molte altre cose. I suoi uomini si procuravano licenze d'importazione e contrabbandavano materiali strategici attraverso la Cortina di Ferro. (Uno dei centri di smistamento éra Vienna, da dove i materiali venivano inviati nella vicina Cecoslovacchia.) L'ooESSA era un'organizzazione formata da gente piena di risorse.

Nefluglio 1965 presi parte alla conferenza della Union Internationale des Résistants et Déportés, che venne tenuta - non per un puro ,caso - nella stessa stanza dell'Hotel Maison Rouge di Strasburgo dove nel 1944 gli industriali nazisti avevano preparato i loro piani. Lo scopo della nostra riunione era quello di creare una organizzazione capace di rintracciare i fondi nazisti, invisibili ma molto considerevoli.

Durante quella riunione, io formulai sei domande di capitale importanza che fino ad oggi sono rimaste senza risposta.

Prima domanda: Chi decideva sulle precedenze, vale a dire sulle persone che dovevano . essere trasferite oltremare con l'aiuto della ODESSA? La lista di attesa doveva essere molto lunga e l'affollamento notevole.

Seconda domanda: Chi sceglieva i nomi delle donne e dei figli dei nazisti che erano morti, erano fuggiti o si trovavano in prigione? Le famiglie di costoro erano sovvenzionate con fondi segreti. In che misura era effettuata questa sovvenzione?

Terza domanda: Chi paga i famosi avvocati che spesso difendono coloro che sono accusati di aver commesso crimini sotto il nazismo?

La maggior parte degli imputati non hanno apparentemente i mezzi per pagarsi un collegio di difesa.

Quarta domanda: Chi organizzò l'imponente assistenza legale per i criminali di guerra tedeschi che erano stati condannati nell'Unione Sovietica e che vennero riconsegnati alla Germania dopo che Konrad A<lenauer intervenne nel 1955 a Mosca in favore dei prigionieri tedeschi? Abbiamo la prova che alcuni di costoro, dopo essere giunti dall'Unione Sovietica nel campo di Friedland,- presso Gottinga, ricevettero gli indirizzi di avvocati della Germania Occidentale e l'ordine di mettersi in contatto con loro.

Quinta domanda: Chi finanzia certi editori tedeschi che si sono specializzati nella letteratura di propaganda neonazista?

Sesta domanda: Chi finanzia le riunioni degli ex nazisti che si tengono in varie città d'Europa? Una di tali riunioni ha avuto luogo recentemente a Milano. I partecipanti giungono da tutta Europa ed hanno le spese di viaggio e di soggiorno pagate.

E per concludere chiesi: Chi finanzia le attività sovversive condotte dai gruppi neonazisti in vari paesi?

Esistono vari indizi, ma sono difficili da seguire. So di un tale che non possedeva beni di fortuna ma che « elargì » 60.000 marchi a una casa editrice neonazista; ovviamente, non si trattava di denaro suo. Abbiamo il nome e l'indirizzo di un ex industriale tedesco che vive in Svizzera e gestisce una piocola banca che era molto popolare fra i pezzi grossi del partito nazista prima della seconda guerra mondiale. La banca ha cambiato nome, ma l'industriale non ha cambiato le sue convinzioni politiche. Sappiamo di grossi trasferimenti di capitali dal Sud-America e dalla Svizzera in Irlanda, dove alcune ditte tedesche hanno creato delle succursali e dove alcuni ex nazisti hanno acquistato case e terreni.

E sappiamo anche qualcosa ciroa il cosiddetto « tesoro » nazista che era (e forse è tuttora) nascosto nella ex « Fortezza Alpina»: l'ultimo ridotto creato dai nazisti nella bella regione dell' Aussee in Austria.

Le prime voci -circa un « tesoro » nazista nella regione dell'Aussee giunsero alle orecchie delle autorità americane nel 1946. A quell'epoca io lavoravo ancora per l'OSS. Era .difficile discernere i fatti reali dalle invenzioni che venivano pubblicate dai rotocalchi. Tuttavia certi fatti erano noti. A Salisburgo venne arrestato un certo dottor von Hummel, ex aiutante di Martin Bormann, mentre cercava di fuggire con cinque milioni di dollari in oro. Presso il castello di Fuschl a Salisburgo (che apparteneva a Ribbentrop ed è ora una elegante pensione) un contadino trovò in una buca parecchie sterline in monete d'oro.

Dopo l'apertura del Centro di Documentazione a Linz nel 1947, voci e informazioni sul tesoro nazista mi arrivarono quasi ogni settimana. Quattro anni più tardi vagliai accuratamente tutto il materiale disponibile e scrissi una serie di articoli documentati sull'argomento. Ero giunto alla conclusione che milioni di sterline false giacessero in fondo al Toplitz.see, uno déi tanti laghi della regione. Ma gli americani non avevano alcun interesse d'intraprendere costose operazioni dj recupero, e gli austriaci non intendevano farlo fìnchè ci fossero gli americani.

Otto anni dopo, nell'estate del 1959, la rivista ambur:ghese Stern ottenne il permesso dalle autorità austriache di organizzare una spedizione subacquea. Una squadra di sommozzatori e di operatori subacquei della televisione perlustrò il fondo del Toplitzsee per due mesi. Vennero recuperate quindici casse, ma ne furono scoperte per lo meno altre dodici, che tuttavia non poterono ~re portate a galla perchè erano troppo sprqfondate nel fango. Tutte le casse, tranne .una, contenevano biglietti falsi della Banca d'Inghilterra.

La regione dell' Aussee, che è situata nell'angolo nord-occidentale della Stiria e che la gente del posto chiama « Ausseepland », faceva parte del cosiddetto « ridotto » nazista, all'interno del quale si era pensato che i tedeschi avrebbero dovuto opporre un'ultima eroica resistenza. Goebbels lo aveva battezzato Alpenfestung (« Fortezza Alpina » ). Questa parte della fortezza cadde, piuttosto ingloriosam ente, il 9 maggio I 945, quando il maggiore Ralph Pi erson e cinque soldati americani arrivarono nel villaggio di Altaussee con un carro armato e una jeep. Non venne sparato un colpo. Una settimana prima era caduta Berlino. V entiquattro ore pr~ma era stato proclamato il V-E Day.

Agli inizi del I 944, circa 1 8.000 persone abitavano nella regione. Alla fine della guerra, ce n'erano quasi 80.000. Anche calcolando alcune migliaia di soldati tedeschi, vien fatto di chiedersi chi fosrero i 60.000 civili arrivati nella zona durante l'anno precede nte il collasso del Terzo Reich . Per le autorità americane non si trattava di una. domanda oziosa, perchè si sapeva c he molti gerarchi nazisti si erano trasferiti colà, spesso sotto nomi falsi. Fin dal Natale del 1944, gli alti papaveri del partito nazista avevano cominciato a far trasferire nella regione le famiglie insieme con il loro bottino di guerra e con i documenti che volevano nascondere. Arrivarono anche collaborazionisti romeni, ungheresi, bulgari e slovacchi. Il capo della Gestapo Emst Kaltenbrunner si trasferì in una casa nella cittadina di Altaussee. La RSHA, la SD e l' Abwehr vi trasferirono i loro dooumenti segreti e i loro beni : oro, denaro e narootici.

Per non suscitare sospetti fra la gente del posto, vennero costruiti . ospedali per le SS. Molti carichi di oro e di narcotici arrivarono chiusi in ambulanze contrassegnate con la Croce Rossa. Adolf Eichmann arrivò con lo stato maggiore d ella sua sezione IV B 4 e con ventidue casse di ferro che probabi,l mente contenevano documenti e oro. Questo trasferimento ebbe in seguito una parte importante nelle indagini dirette a ricostruire i movimenti di Eichmann.

Dopo il marzo 1945, le SS, oon la loro solita metodicità, comirtciarono a fare un inventario dei beni trasportati nella regione. Una sola lista particolareggiata cadde nelle mani degli americani. La lista, di cui io ebbi modo di vedere una copia, riguarda i beni della RSHA, che Ernst Kaltenbrunner spedì da Berlino ad Altaussee:

50 chilogranuni di lingotti d'oro, 50 casse contenenti monete e oggetti d'oro, ciascu na cassa del peso di circa 50 chili,

2 .000.000 di dollari americani,

2.000.000 di franchi svizzeri,

5 c~ piene di diamanti e pietre preziose,

1 collezione di francobolli stimata almeno 5.000.000 di marchi.

In seguito trovammo le prove che durante i primi giorni del maggio 1945 l'ufficio speciale della R eichsbank che si occupava del bottino proveniente dai campi di concentramento aveva spedito nel1'Aussee diverse casse contenenti « oro odontoiatrico». ( Gli stock di denti d'oro venivano inviati dai comandi di ciascun campo in un deposito centrale stabilito nel campo di concentramento di Oranienburg, e di qui andavano nelle officine di Degussa, dove l'oro veniva fuso in lingotti. ) Una parte dell'oro di Degussa venne in seguito trovato nel Tirolo, camuffato sotto forma di tegole sistemate nei tetti delle case; e ciò avvenne dopo che il tetto di una casa crollò per eccesso di carico. L'oro fu requisito dalle autorità d'occupazione francesi.

La parte più preziosa del bottino era anche quella più conosciuta: si trattava dei tesori d'arte presi dai musei di Francia, Italia, Belgio, Danimarca e Olanda, che erano stati ammassati in una vecchia miniera di sale presso AltaUS5ee. Il Gauleiter locale, lo SS-Fuhrer Eigruber, escogitò un sistema per «proteggere» il bottino. I tedeschi avevano trovato sette bombe inesplose lanciate da aeroplani americani. Gli artificieri tedeschi smontarono le bombe, le ricaricarono, le armarono con nuove spolette e le nascosero dentro buche scavate vicino ai dipin ti immagazzinati e sulle quali posero dei cartelli così con cepiti: ATTENZIONE! STATUE DI MARMO! NON SPICCONARE! Il piano di Eigruber era di fare esplodere le bombe prima dell'arrivo degli americani. In seguito, accanto ai tesori d'arte andati in pezzi si sarebbe~ ro trovati dei frammenti di bombe americane, e ciò avrebbe dimostrato che gli americani avevano barbaramente distrutto le opere d'arte. Fortuna tamente, alcuni membri della resistenza austriaca arrivarono sul posto prima che fosse troppo tardi e sorvegliarono i dipinti fino all'arrivo degli americani. Gli artificieri americani tolsero le spolette e i dipinti vennero in seguito restituiti ai legittimi proprietari. Il loro valore è stato stimato ad oltre due miliardi e mezzo di dollari.

Mi recai spesso ad Altaussee dopo l'agosto 1945, perchè avevo scoperto che la moglie di Eichmann viveva colà. Nella zo n a circo- lavano strane voci. I camerieri, i conducenti di taxi, i facchini di albergo, sembrava che lavorassero per una invisibile rete di spionaggio. Un mio runico di Altaussec era sempre informato della mia venuta un'ora prima che io arrivassi. Andai anche a vedere la casa isolata che era stata abitata dal capo della Gestapo Ernst Kaltenbrunner, arrestato dagli alleati e in seguito condannato a morte a Norimberga. La casa apparteneva a un'anziana signora viennese, Frau ehristl Kerry. che vi tornò nell'invern o del 1945. Nei due anni successivi, intorno a quella casa accaddero strane cose. Nel cuore della notte apparivano delle ombre, e Frau Kerry sentiva dei rumori come di qualcuno che stesse scavando di fuori. La mattina dopo trovava nel terreno circostante delle grosse buch e quadrate che sembrava avessero contenuto delle casse o dei bauli.

Un contadino di nome Josef Pucherl trovò nascoste in un ammasso di rifiuti due casse di ferro. Le consegnò alle autorità, che le aprirono e vi trovarono dentro 10.167 monete d'oro. Un giorno del 1946, due uomini sconosciuti arrivarono sulle sponde del Toplitzsee e pescarono una cassa di legno. In seguito la polizia austriaca confenmò che la cassa aveva contenuto delle lastre per l'incisione di dollari falsi. Nel giugno 1950, diverse automobili si fermarono sulle rive del lago di Altaussee. Alcuni uomini, che avevano in precedenza esibito alle autorità di polizia delle carte d'identità francesi, indossarono delle tute subacquee e si tuffarono nel lago. Qualche ora più tardi se ne partirono con dodici casse di ferro. Gli americani scoprirono poi che i sommozzatori non erano fran cesi ma tedeschi. Il ere non riuscl mai a sapere che cosa fosse stato trovato nel lago. Questi sono fatti, fatti rimasti senza spiegazione, e non dicerie. Ma e.eco altri fatti sconcertanti: per lo meno sette persone morirono in circostanze misteriose nella regione d ei laghi. In un crepaccio delle vicine Montagne Morte vennero trovati i corpi di due ted eschi: in passato costoro aveva lavorato presso un centro nazista di ricerche navali sul Topli tzsee. Nel 1955 un altro tedesco, che aveva lavorato nello stesso centro, venne trovato morto in seguito ad una caduta da una roccia. Durante la notte del 5 ottobre 1963, un giovanotto di Monaco, di nome Alfred Egner, si tuffò a circa 60 metri di profondità nel Toplitzsee. Era stato ingaggiato da due tedeschi che aspettavano in un battello presso la riva. Vedendo che Egner non tornava a galla, i due tedeschi si spaventarono, fecero ritorno a Monaco e andarono a denunciare al padre del ragazzo la morte del fi glio. Uno dei tedeschi era un ex ufficiale delle SS, di nome Freiberger, che durante la gu erra aveva lavorato per la rete spionistica tedesca in

Svizzera. L'altro era un certo dottor Schmidt, che nel 1962 era stato condannato nella Germania Occidentale per aver commerciato illegalmen te monete d'oro. La polizia austriaca trovò il portafoglio che Egner aveva lasciato sulla riva insieme con gli abiti prima di tuffarsi nel lago. Il portafoglio conteneva tre monete d'oro austriache coniate nel 1905. Il padre di Egner rivelò che suo figlio già in precedenza si era tuffato nel Toplitz.see.

Fino ad allora le autorità austriache avevano considerato i fatti misteriosi che accadevano nei laghi della regione come « incidenti » o « voci senza fon damento». Dopo la morte di Egner, quando i giornali avanzarono l'ipotesi di una connes.5ione fra quest'ul timo « incidente » e il « tesoro » n azista, la zona intorno al lago venne isolata · e le autorità austriache iniziarono delle indagini ufficiali. Dopo d iverse settimane di ricerche subacquee, trovarono il corpo di Egner, numerooe oas.5e contenenti altre banconote inglesi contraffatte, lastre pe r stampare banconote da cinqu e ste rline, e armi smontate.

Secondo i calcoli degli esperti, i beni che i nazisti cercarono di nascondere in varie parti del mondo ammontavano a 750 milioni di dollari e forse anche ad un miliardo. L'elenco delle persone autorizzate a disporre di qu esti fondi è stato definito il più importante segreto non svelato del Terzo Rei ch. Si dice che esistano sei copie di tale elenco, due delle quali sarebbero custodite nelle casrette di sicurezza di altrettante banche. Altre due copie probabilmente erano in possesso di coloro che organizzarono l'ooESSA nel 1947.

In base alle informazioni disponibili, sono pienamente d'accordo con gli esperti americani che studiarono l'intero problema dopo la guerra ·e ritengo che uno dei sei elenchi si trovi ancora in fondo al Toplitzsee. Il 2 3 ottobre 1 963 parlai di ciò con Franz Olah, allora ministro degli Interni austri aco. Gli chiesi che, se mai nella regione fossero stati recuperati dei beni nazisti, questi venissero usati per risarcire le vittime superstiti del nazismo e non per « fina nziare istituzioni antidemocratiche ».

Nel settembre 1964 venni invitato a Praga dall'agenzia governativa d'informazioni CTK per studiare il contenuto di quattro casse foderate di ·ferro che alcuni sommozzatori avevano recuperato sul fondo del Gemé Jezero ( « Lago Nero ») presso Budejovice (Budweis) nella Boemia m eridionale. Le autorità cecoslovacche erano in possesso d'informazioni precise circa la provenienza delle casse. Alcuni prigionieri che avevano lavorato per la RSHA a Berlino le avevano caricate su dei camion la mattina del 13 aprile 1945. Uno di quegli ex prigionieri vive oggi in Cecoslovacchia. Egli ricordava c he il ca- po della RSHA Heinrich Miiller aveva assistito personalmente aÌ carico. Il convoglio di camion aveva lasciato Berlino e si era diretto, attraverso Dresda e Praga, a Budejovice. Alcune casse vennero gettate nel Lago Nero, le altre vennero portate nella tenuta che il dottor Rudolf Schmidt, medico ,personale di R udolf Hess, possedeva sul Chiemsee. È probabile che in seguito siano state gettate nel Chiemsee... non lontano dal posto in ,cui l'esercito americano ha istituito oggi un centro di ricreazione. Il Chiem.see non ha rivelato alcuno dei suoi segreti. Le casse di P raga contenevano: un particolareggiato rapporto segreto circa l'assassinio del cancelliere Dollfuss; un elenco degli agenti della Gestapo nei diversi paesi europei; lo scabroso diario della figlia del principe Hohenloh~Langenberg, che fu ospite, nel I 938, di Lord Runciman, il mediatore inglese al tempo della crisi cecoslovacca; diversi documenti relativi alla lotta contro i comunisti; un rapporto sulle attività spionistiche tedesche in Italia; documenti relativi all'attività dell'ambasciatore tedesco in Francia Otto Abetz.

Il documento più importante era l'elenco degli agenti della Gestapo nei paesi europei. A Praga mi fu detto da un funzionario, che aveva veduto la lista, che molti di quegli uomini occupano oggi posizioni di primo piano nei rispettivi paesi. Molti vivono nella GeI11nania Occidentale e Orientale. In seguito il governo cecoslovacco ,consegnò al governo jugoslavo una lista di oltre I 800 agenti jugoslavi della Gestapo. La stessa persona mi disse anche che una copia dell'elenco venne consegnata ai russi.

Forse il documento più interessante che vidi a Praga fu il Kriegstagebuch (giornale di guerra) della divisione SS « Das Reich ». Il diario era stato trovato in precedenza nel castello Zasrnuky presso Praga. In esso sono chiaramente registrate le esecuzioni in massa degli ebrei avvenute in Austria e negli altri paesi occupati dai nazisti. ,., Il diario costitul una prova al processo contro l'aiutante di Himmler, il generale delle SS Karl Wolff, il quale sosteneva in tribunale di avere avuto notizie delle esecuzioni solo « molto tempo dopo che erane avvenute ». Ma una -copia di tutte .le annotazioni riportate nel Kriegstagebuch veniva inviata regolarmente a Himmler fin dal 1941. Tutto questo materiale era passato per le mani di Karl Wolff, che venne condannato a quindici anni di prigione.

Vidi per la prima volta Adolf Eichmann in un'aula del tribunale di Gerusalemme nel giorno in cui cominciò il suo· processo. Per -circa sedici anni non avevo fatto che pensare a lui giorno e notte. Nella mia mente mi ero costruito l'immagine di un diabolico superuomo. E invece, nella gabbia di vetro, fra due poliziotti israeliani, vidi solo un ometto anonimo, squallido. In paragone, i due poliziotti sembravano persone molto più colorite e interessanti. Tutto in Eichmann sembrava appena abbozzato: il volto grigiastro, la testa dalla calvizie incipiente, gli abiti. Non c'era nulla di diabolico in lui; sembrava piuttosto un contabile che abbia paura di chiedere un aumento di stipendio. Mi parve che ci fosse qualcosa di sbagliato, e continuai a pensarci mentre veniva letto l'incredibile atto di accusa ( « l'assassinio di sei milioni di uomini, donne e bambini»). D'un tratto capii che cosa fosse. Nella mia mente avevo sempre veduto lo SSObersturmbannfi.ihrer Eichmann come un arbitro supremo della uita e della morte. Ma l'Eichmann che vedevo in quel momento non indossava l'uniforme delle SS, simbolo di terrore e di morte. Vestito con un abito scuro di poco prezzo, sembrava una siluetta di cartone, senza consistenza, a due dimensioni. Dissi in seguito al primo procuratore H ausner che Eichmann avrebbe dovuto indossare una uniforme. Ciò avrebbe ricreato la vera identità e la vera immagine dell'Eichmann che i testimoni ricordavano. Anch'essi sembravano un po' perplessi davanti a quello squallido borghesuccio chiuso nella ,gabbia di vetro. Hausner mi disse che da un punto di vista emotivo avevo ragione, ma che l'idea non era realizzabile. Avrebbe dato al processo il tono di uno spettacolo, di un~ mascherata. Gli israeliani sapevano che gli occhi di tutto il mondo erano fissi su di loro fin da quando avevano catturato Eichmann e lo avevano trascinato al di qua dell'oceano, e perciò volevano evitare critiche inutili. Avevo anche un'altra proposta da fare, ma anch'essa poco pratica. Per quindici volte, dopo la lettura di ciascuno dei capi d'accusa, ad Eichmann era stato chiesto se si ritenesse colpevole. Ed ogni volta egli aveva risposto: « Non colpevole». Anche questa procedura mi sembrava inadeguata. Pensavo che quella domanda avrebbe dovuto essere rivolta ad Eichmann sei milioni di volte e che lo si avrebbe dovuto costringere a rispondere sei milioni di volte.

Commettendo un crimine assolutamente incredibile, i nazisti avevano sperato di cavarsela davanti al tribunale della storia. Le generazioni future non avrebbero creduto che una cosa simile fosse realmente accaduta. Quindi, ne deducevano i nazisti, un giorno la storia sarebbe arrivata alla conclusione che ciò non era accaduto. Il crimine era di tale portata da essere inconcepibile.

Dopo settimane passate nell'aula del tribunale, mi sentivo oppresso da un senso crescente d'irrealtà. L'aula era una cupa isola fortificata in mezzo a Gerusalemme bagnata di sole e piena di vita. L'isola era guardata da soldati armati di mitra. Gli spettatori venivano perquisiti per tema che portassero indosso armi. Quando lasciavo questa cittadella del castigo e uscivo fuori sotto il sole d'Israele, i bambini giocavano nelle strade, la gente tornava a casa ·ìial lavoro, le giovani coppie facevano all'amore e le massaie portavano le borse della spesa. Tutti sembravano assolutamente ignari della tragedia che veniva ricostruita nell'aula del tribunale. Ricordo che m'infastidiva l'apparente indifferenza di costoro, ma so che era assurdo biasimarli: quasi tutti avevano perduto un parente o un amico per colpa dell'ometto che sedeva nella gabbia di vetro. La vita continuava; la vita era più forte dell'imputato che sedeva nell'aula del tribunale, con una foresta di sei milioni di uomini morti dietro di sè.

La cattura di Eichmann arrivò nel momento psicologico giusto. Se fosse stato preso alla fine della guerra e processato a Norimberga, i suoi crimini forse oggi sarebbero dimenticati. Egli sarebbe stato solo un'altra faccia sul banco degli imputati. A quel tempo tutti erano felici che l'incubo fosse passato Fino al processo di Eichmann, c'erano milioni di persone in Germania e in Austria che dicevano di non sapere o che non volevano sapere nulla sugli enormi crimini compiuti dalle SS. Il processo pose fine a questa finzione. Dopo nessuno potè invocare l'ignoranza; Eichmann, l'uomo Eichmann, non contava. Egli era morto nel momento in cui era entrato nel!' aula del tribunale. Ma milioni di persone lessero di lui, sentirono alla radio la storia della « soluzione finale », videro il dramma del tribunale sugli schermi televisivi. Sentirono la voce incolore di Eichmann, videro il suo volto impassibile. Solo una volta Eichmann sem- brò vicino a commuoversi, e ciò accadde nel novantacinquesimo giorno del processo, quando disse: « D evo ammett e re che ora considero l' annientamento degli ebrei uno dei peggiori crimini nella storia del genere umano. Ma è accaduto, e noi dobbiamo fare tutto quello che possiamo per impedire che accada di nuovo. »

In seguito ebbi occasione di parlare del processo con molti tedeschi e austriaci. Quasi tutti erano rimasti colpiti dalla procedura giudiziaria. Si resero conto che il crimine inimmaginabile era stato veramente commesso, e dovettero sottoporsi a un nuovo esame di coscienza. Forse alcuni di loro giunsero alla stessa conclusione di Eichmann... che una cosa simile non avrebbe dovuto mai più accadere.

Il processo Eichmann dimostrò l'inadeguatezza delle leggi umane. I codici penali di t utte le nazioni civili conoscono la definizione di assassinio. I legislatori hanno previsto l'assassinio di una persona, di due, di cinquanta o forse anche di mille persone; ma lo sterminio sistematico di sei milioni di person e non rientra negli schemi di nessun a legge. È come la forza esplosiva di una bomba H è qualcosa cui la gente non vuole pensare. Eichmann lo capì molto bene. A Budapest, nel 1944, disse ad alcuni amici: « Cento morti sono una catastrofe. Cinque milioni di morti sono una statistica. »

Come architetto, ho imparato a costruire case secondo certe norme. Sapevo che le mie case non avrebbero resistito a un terremoto supe riore a una data intensità. La « soluzione finale della questione eb raica » era come un terremoto dinanzi al quale non valevano più le comuni norme.

Di Eichmann quasi tutto rimane incomprensibile. Passai diversi anni ad indagare sui suoi precedenti personali per tro vare qualcosa che potesse spiegare come mai era diventato l'uomo che era stato. Non ho trovato nulla. Eichmann veniva da una famiglia tranquilla, religiosa. Suo padre, membro della Chiesa presbiteriana, parlò una volta quale ospite d'onore nella sinagoga di Linz, quando venne consegnata un'alta onorificenza austriaca al capo della comunità eb raica defla città, Benedikt Schwager.

A differenza di Hitler, Eichmann non ave va a vuto spiacevoli esperienze con gli ebr ei. Non era stato piantato da una ragazza ebrea o ingannato da un mercante ebreo . Era probabilmente in buona fede quando disse al processo che si era limitato a fare il suo lavoro. Disse che, se gli fosse stato ordinato, non avrebbe esitato a mandare anche suo padre nella camera a gas. La grande forza di Eichmann era che egli trattava il problema ebraico freddamente. Era il tipo d'uomo più pericoloso... l'uomo che non ha sentimenti umani. Una volta · disse di non essere antisemita; non v'è dubbio per9 che fosse antiumano.

Alla fine dell'aprile 1945, Eichmann si trovava con i membri del Consiglio Ebraico nel campo di concentramento di Theresienstadt quando vide passare il rabbino Leo Baeck, uno dei capi dell'ebraismo moderno. Eichmann si dimostrò sorpreso che il rabbino Baeck fosse ancora vivo. Nessuno dei presenti disse una parola. Tutti temettero che Eichmann desse l'ordine di mandare a morte il rabbino Baeck. Ma quel giorno Eichmann era di umore magnanimo e non fece nulla contro il rabbino Baeck. Tuttavia, quando se ne andò, disse con fare amichevole agli ebrei che lo circondavano: « Lasciate che vi dica una cosa. Le liste dei morti ebrei sono la mia lettura favorita prima di addormentarmi. »

Prese alcune di quelle liste dal tavolo e uscì.

La ricerca di Eichmann non fu una « caccia » come è stata chiamata, ma un lungo, faticoso gioco di pazienza, un gigantesco indovinello. La sua cattura avvenne grazie alla collaborazione di molte persone, la maggior parte delle quali non si conoscevano nemmeno. Ciascuno portò il suo contributo alla soluzione dell'indovinello; e io fui in grado di fornire alcuni indizi importanti.

Circa quattro settimane dopo· Ja mia liberazione; mentre lavoravo per la Commissione dei Crimini di Guerra a Linz, incontrai un certo capitano Choter-Ischai, della Brigata Ebraica, che aveva il compito di organizzare l'ingresso clandestino in Palestina degli ex internati nei campi di concentramento. Mi chiese se avessi mai sentito parlare di Adolf Eichmann. Gli dissi che avevo sentito fare quel nome da alcuni ebrei ungheresi del campo di concentramento di Mauthausen. Per me non voleva dire nulla. Ero interessato solo a quelli che avevano commesso delitti di cui ero stato testimone.

« Sarà meglio che controlli quel nome, » disse il capitano. « Purtroppo, viene dal nostro paese. È nato in Palestina. »

All'ufficio dei Crimini di Guerra controUai gli elen chi e trovai il nome « Eichmann ». Sembrava che avesse agito in Austria, Cecoslovacchia, Francia, Grecia e Ungheria. Non c'era il nome di bat tesimo ma solo il grado: SS-Obersturmbannfiihrer.

Il 20 luglio 1945 conobbi a Vienna un ometto smilzo e attivo di nome Arthur Pier. Portava una uniforme di fantasia interalleata che assomigliava (e voleva assomigliare) a una strana insalata di uniformi americane, inglesi e francesi. Arthur, che oggi è noto come Asher Ben Nathan, ed è il primo ambasciatore di Israele presso la Repub- blica. Federale Tedesca, si occupava allora della Bricha. Mi diede una copia dell'elenco dei criminali di guerra compilato dall'Ufficio Politico dell'Agenzia Ebraica. In questo documento, datato 8 giugno 1945, venivano forniti di Eichmann (anche qui mancava il nome di battesimo) i seguenti particolari: « Sposato, un figlio, soprannome: Eichie... alto funzionario del comando della Gestapo, Ufficio per gli Affari Ebraici, membro della NSDAP. » Sotto « luogo di nascita » si diceva: « probabilmente Sarona, colonia cli templari tedeschi in Palestina». Sotto « lingue», il documento precisava « tedesco, ebraico e yiddish ». Ciò mi fu confermato da parecchi ospiti di Mauthausen, i quali mi dissero di aver sentito Eichmann parlare « correntemente » ebraico e yiddish.

Un'altra informazione la ebbi dal capitano O'Meara, allora mio superiore all'Office of Strategie Services, alle cui dipendenze ero passato dopo che l'ufficio per i Crimini di Guerra aveva lasciato Linz. Il capitano era molto interessato ad Eichmann, che definiva « capo della sezione ebraica della Gestapo», e mi chiese di lavorare su quel caso. Scrissi il nome « Eichmann » sµ un piccolo quaderno nero nel quale tenevo un elenco personale di « ricercati ». Durante i miei viaggi avevo preso l'abitudine di chiedere notizie in giro circa i nomi contenuti nel mio elenco.

L'ufficio dell'OSS si trovava al n. 36 della Landstrasse a Linz. Io abitavo due case più in là, al n. 40. Una sera di luglio, mentre me ne stavo in . camera a studiare gli elenchi, entrò la mia padrona di casa. Frau Sturm s'interessava sempre ai nomi della mia lista. Forse era solo curiosità o forse voleva vedere se le era possibile di mettere sull'avviso qualcuno. Mentre faceva finta di rassettarmi il letto, sbirciava al di sopra della mia spalla.

« Eichmann ! » disse. « Deve essere il generale delle SS Eichmann che comandava [kommandierte] gli ebrei. Lo sa che i suoi genitori abitano in questa strada, al numero 32, proprio due case più in là?»

Mi parve assurdo che Frau Sturm ne sapesse di più degli investigatori dell'Ufficio Politico dell' Agenz..ia Ebraica. Ma Frau Sturm aveva ragione, così come aveva ragione quando aveva detto che Eichmann aveva « comandato » gli ebrei.

La mattina dopo parlai con uno dei miei collaboratori volontari, un tale di Linz che chiamerò «Max». Disse che questo Eichmann doveva essere uno degli Eichmann di Linz, conosciuto come « Elektro » Eichmann, perchè il padre era stato direttore dell'azienda tramviaria ed ora possedeva un negozio di apparecchi elettrici. Max disse che uno dei ragazzi Eichmann aveva fatto parte delle SS.

« Secondo le mie informazioni, » dissi, « Eichmann è un ebreo della Palestina, appartenente alla setta dei templari. »

« Sciocc hezze, » rispose Max. « Ricordo benissimo qu ello S pitzbube [mascalzone). Darò un'occhiatina all'ufficio di polizia. »

All'ufficio di polizia d i Linz non c'e ra nulla su Adoli Eichmann. Era appena finita la gu erra e la burocrazia austriaca n on si era ancora riorganizzata.

Il giorno dopo - credo che fosse il 24 luglio - due agenti dell' O SS perq uisirono la casa, contrassegnata con il n. 32, che apparten eva alla famiglia Eichmann. Io non andai con loro. La perquisizione non died e alcun risultato. Il padre di E ichm ann ammise che suo figlio Adoli aveva fatto parte d ell e SS, ma disse di non sapere al tro. Adolf andava raramente ,a casa in li cenza e non parlava mai del suo lavoro con la famiglia. Non era tornato dalla g uerra. Le sue ultim e notizie erano giunte da Praga e risalivano a « parecchi mesi prima». Adolf, disse il padre, era nato a Solingen, Germania, ed era venuto a Linz da bambino. Aveva tre figli. C'era una sua fotografia? H err Eic hmann scosse il ca,po. Disse agli uomini dell'OSS che a suo figlio non era mai piaciuto di farsi fo tografare_. Naturalmente essi non ci credettero, ma in seguito risultò ch e la cosa era perfe ttamente vera.

Feci le opportune correzioni alla lista dei «ricercati » dell'Agenzia Ebraica e la rimandai ad Arthur Pier a Vienna.

Il 1° agosto Max venne a trovarmi. Era molto eccitato perchè aveva sentito dire c he Eichmann si nascondeva a F ischerdorf, una frazione del grazioso villaggio di Altaussee. L'indirizzo era Fischerdorf numero 8. Telefonammo al CIC della vicina Bad Aussee per chiede r e di perquisire l a casa. H CIC incari cò l a polizia austriaca. Qualcuno commise un errore - involontario o volontario, questo non si saprà mai - e i ge ndarmi andarono al n. 38 invece che al n. 8. Al numero 38 di Fischerdorf non trovarono Eichmann, sebbene trovassero un SS-H auptsturmfiihrer di n ome Anton Burger che si n ascondeva colà e ch e possedeva una bella r accolta di armi e munizioni. Gli austriaci lo arrestarono.

Chiamammo di nuovo il CIC. Ques ta volt a fu un am ericano che andò al num ero 8 di F isch erdorf, dove trovò una certa Frau Veronika Li ebl, l a qu ale ammise di ~re la « ex » moglie di Adolf Eichmann. Costei disse di aver di vorziato a P raga, nel marzo 1945, e di aver ripreso il suo nome da ragazza. D a allora non avev a pi tt visto il marito e non aveva una sua fotografia. Era arrivata ad Altaussee il 25 aprile e aveva abitato dapprima al Seehotel, poi al Parkh otel, e infine aveva affittato la casa al numero 8 che apparte- neva a un certo Herr \Vimmer. I suoi tre figli - Klaus, Dieter, Horst - vivevano con lei. A Linz, scoprimmo che Eichmann era stato colà nel settembre 1 944 e si era incontrato .con Amin el Husseini, il muftì di Gerusalemme, responsabile dell'assassinio di molti ebrei. Eichmann si era anche incontrato con il capo della Gestapo Ernst K:altenbrunner, nativo di Linz e grande amico della famiglia Eicb,mann.

Mi recai ad Altaussee e parlai con Frau Maria Pucher, proprietaria del Parkhotel, la quale ammise che Adolf Eichmann aveva soggiornato nel suo albergo « intorno al 1° maggio». Una notte era penetrato nel guardaroba del marito defunto di Frau· Pucher e si era preso un a:bito civile. Frau Pucher aggiunse risentita che Eichmann non si era nemmeno preso il disturbo di darle un po' di denaro. In seguito, quando venne interrogata dal CIC, sembrò avesse pam1a _.di dire troppo. Ad Altaussee un'altra persona (di cui non posso rivelare il nome) mi confermò di aver visto Eichmann il 2 o 3 maggio, e aggiunse che Kaltenbrunner ·« si arrabbiò moltissimo» quando seppe che Eichmann si trovava ad Altaussee e gli disse « di andare all'inferno». Fu questa la prima volta in cui venni a sapere che perfino gli amici di Eichmann dopo la guerra non volevano aver nulla a che fare con lui. I suoi ex colleghi pensavano, a ragione, che Eichmann scottasse troppo.

Altre due o tre persone affermarono di aver vistò Eichmann ai primi di maggio. Gli uomini del CIC tornarono da Frau EichmannLiebl per metterla a confronto con queste testimonianze, ma la donna non mutò la sua precedente versione. Non aveva visto Eichmann dal tempo del loro divorzio a Praga. Rifiutò di dire al CIC perchè avesse divorziaito dal marito. Evidentemente qualcuno mentiva.

A quel tempo io non ero un gran che come investigatore, ma pensai che la chiave del mistero di Eichmann dovesse trovarsi dalle parti di Altaussee. Ci tornai parecchie volte e parlai con molte persone. Il problema era quello di separare i fatti dalle dicerie. Alla fine sembrò chiaro che Eichmann e diverse altre SS erano arrivati nella zona con un convoglio di camion cingolati agli inizi di maggio. Il convoglio era passato per Altaussee e si era diretto a Bla Alm, un rifugio di montagna distante pa·recchi chilometri. L'oste ricordava benissimo i1 convoglio. Disse ai funzionari del CIC che le SS avevano scaricato ventidue casse nel suo granaio. Lui non era stato presente all'operazione, ma in seguito aveva sentito dire che le casse contenevano «documenti». Altra gente disse che contenevano anche gioielli e oro. L'albergatore non ricordava altri particolari e si rifiutò di firma.re la deposizione. Anche lui, come gli altri con i quali parlavamo, sembrava avesse paura di essere interrogato.

Qualche giorno dopo incontrai un certo Mr. Stevens, un ameri cano che lavorava non lontano di lì, a Bad Ischi. (Non sono sicuro che quello fosse il suo vero nome, perchè molti americani lavoravano nella zona sotto nomi falsi. ) Mr. Ste.vens aveva parlato con parecchie persone che avevano visto Eichmann ad Altaussee ai primi di maggio. Sapeva del convoglio e delle casse. Mi disse che contenevano l'oro che era « appartenuto» a:lla RSHA: si trattava di lingotti fatti con l'oro delle fedi nuziali e dei doo.ti tolti ai morti dei campi di concentramento. Mr. Stevens mi disse che il convoglio proveniva da Praga. A parer nostro, Eichmann probabilmente sapeva dove fosse stato nascosto l'oro. ·

Agli inizi del 1 946, il nome di Adolf Eichmann comparve sulla lista austriaca dei « ricercati » : n. 1 654/ 46. Nella stes.sa lista c'erano anche i nomi dei suoi aiutanti: Guenther, Krumey, Abromeit, Burger, Novak e altri. Uno degli ex aiutanti di Eichmann, un certo Josef Weisel, venne individuato dalla polizia come criminale di guerra quando si trovava in carcere a Vienna già da un anno. Weisel aveva lavorato per Eichmann a Praga e in seguito a Vienna, dove Eichmann aveva l'ufficio n ell'e x palazzo Rothschild. Weisel ammise di aver visto Eichmann per l'ultima volta « probabilmente nel febbraio 1 945 », a Praga, dove a Weisel erano stati dati dei documenti falsi. Tutti i membri del gruppo di Eichmanh ebbero ordine di ritrovarsi dalle parti di Ebensee « alla fine della guerra». A Ebensee, presso Baµ Ischi, c'era stato un campo di concentramento tedesco (che venne in seguito usato dagli alleati quale campo d'internamento speciale per le SS).

A poco a poco riuscimmo a ricostruire il percorso esatto compiuto dagli uomini di Eichmann da Praga a Budweis (Budejovice in Boemia) e di là in Austria dove arrivarono alla fine di aprile. A Vienna ,correva la voce che Eichmann avesse cercato di farsi passa.re per ebreo e si fosse nascosto in un campo profughi. Le voci cominciarono dopo che un membro della Gestapo venne arrestato in un campo di profughi ebrei presso Brema e in un altro campo venne scoperta una SS che conviveva con una donna ebrea. Diverse persone che erano tornate dal campo di concentramento di Theresienstadt riferi rono che Eichmann aveva studiato l'ebraico con un rabbino. Costoro erano certi che fin 'da allora egli stesse preparando la fuga. I duecento campi profughi d ell'Austria e della Germania ospita- vano circa centomila persone, e non sarebbe stato facile setacciarli per cercare Eichmann. Non avevamo una sua fotografia, e quanto al nome era chiaro che doveva averne assunto uno falso. Tuttavia cominciammo a frugare nei campi e, sebbene Eichmann non saltasse fuori, scoprimmo parecchie SS che si erano nascoste in diversi campi profughi facendosi passare per ebrei. Nel 1943 un mio amico del movimento clandestino polacco, un certo Biezenski, che mi aveva aiutato a nascondere mia moglie facendola passare per polacca, mi aveva detto: « Un giorno i nazisti cercheranno di salvarsi la pelle fac endosi passare per ebrei.» La profezia si ·era avverata.

Nel dicembre 1 946, in occasione del primo Congresso Sionista del dopoguerra, in contrai il dottor R ezszo Kastner, un ex membro di quel Comitato Ebraico di Budapest che nel I 944 aveva condotto delle tra,ttative con le SS per salvare dalla d eportazione gli ebrei ungheresi. Himmler pensava che trattando con moderazione gli ebrei ungheresi avrebbe potuto costituirsi un alibi che gli sarebbe tornato utile dopo il crollo del Terzo Reich. Ordinò ad Eichmann di condurre in porto le trattative, ma Eichmann (il quale sapeva che niente avrebbe potuto salvarlo) sabotò gli ordini di Himmler. Il dottor Kastner mi descrisse Eichmann. A Budapest, Eichmann aveva dato ordini severissimi di non fotografarlo. Una volta venne a sapere che un membro delle SS, suo ammiratore, lo aveva fotografato. Eichmann rintracciò questo tale e gli fece distruggere la negativa e tutte le copie. Kastner disse che non era vero che Eichmann parlasse ebraico e yiddish. « Sa:peva solo poche parole di yidd ish e le usava come fanno i gentili quando racx:ontano qualche barzelletta sugli ebrei. Una volta si infuriò tremendamente dopo aver ricevuto una lettera in ebraico da un rabbino ungherese. Fece la lettera in pezzi e gridò che avrebbe punito il rabbino per aver voluto controllare se egli conosceva l'ebraico. Aveva crea to la leggenda della sua origine palestinese per -dimostrare agli ebrei che li conosceva bene e che era un osso troppo duro per loro. »

Nel febbraio I 947 riuscii a m ettere insieme la lista quasi completa degli aiutanti di Eichmann. Avevo interrogato Anton Burger, la SS che i gendanmi austriaci avevano arrestato a Fischerdorf mentre cercavano Eichmann. Burger mi confermò che Eichmann era stato visto ad Ausree in maggio.

Dur~te i p rocessi di Norimberga, ebbi modo di studiare migliaia di documenti, fra i quali trovai una dichiarazione dell'SS-Obersturmbannfilhrer dottor Wilhelm Hottl, appart enente al VI Ufficio della RSHA, che aveva conosciuto molto ben e Eichmann. Nella primave- ra del I 945, a Budapest, Eichmann aveva detto a Hottl : « Il numero degli ebrei uccisi è di quasi sei milioni, ma si tratta di un dato segretiS&mo. » .

I fascicoli di Norimberga contenevano molti ordini impartiti da Eichmann ai suoi aiutanti in Francia, Olanda, Grecia, Croazia e in altri paesi. In molti paesi occupati dai t edeschi, gli ordini di Eichmann erano stati impartiti direttamente ad alti funzionari del Ministero degli Esteri tedesco. V idi una lettera scritta daII'ambasciatore tedesco in Croazia, Herr Kasche, che stava trattando con il governo croato « l'acquisto di ebrei». I tedeschi offrivano trenta marchi a persona franco stazione ferroviaria. Anche le ambasciate tedesche a Bucarest, Sofia e Budapest intrattenevano una fitta corrispondenza con Eichmann a proposito deII'annientamento degli ebrei.

Passai una settimana a Norimberga, l eggendo giorno e notte, e aIIa fine Eichmann mi apparve come la mente direttiva dell'intero apparato di sterminio. Eg,H chiedeva continuamente fondi, che gli venivano accordati, per costruire altre camere a gas ed altri forni crematori, e inoltre finanziava speciali istituti di ricerca che studiavano gas letali e nuovi metodi di esecuzione. Parlai con diversi prigionieri delle SS che avevano conosciuto Eichmann. Molti di loro erano convinti che Eichmann avesse anche ucciso con le proprie mani, ma la cosa non mi convinceva. A parer mio, Eichmann era il tipo di uomo capace di u cci dere centomila creature con un colpo di penna, ma era troppo vigliacco per ammazzare di persona.

Nell'autunno del 1947 tornai a Norimberga, dove un funzionario del tribunale, Mr. Ponger, mi mostrò il verbale dell'interrogatorio di un certo Rudolf Scheide, un tedesco che aveva lavorat o in diversi campi d'internamento americani. In un capoverso c'era la spiegazione del perchè subi to dopo la guerra non avessimo trovato Eichmann neIIa regione di Aussee. Era andato in un luogo più sicuro: un campo d'internamento americano. Rudolf Soheide il 6 novembre I 947 aveva dichiarato che « fra il 20 e il 30 maggio » egli era stato nel campo di Berndorf, presso Rosenheim, in Baviera, di dove tutte le SS furono poi trasferite in un campo speciale a Kemanten, e quindi, il 1 5 giugno 1945, al campo di Cham, una veochia città nella Foresta Nera. Scheide era stato addetto a questo campo che aveva ospitato circa trernila SS. Scheide aveva dichiarato agli americani :

A quel tempo (verso la metà del giugno 1945) un alto ufficiale deHe SS, che diceva di essere l'Obersturmfilhrer Eckmann, mi chiese di essere riportato nelle nostre liste con questo nome. Ammise di essere in realtà l'Obers turmbannfilhrer · Eivhmann. A quel tempo il nome « Eichmann » non significava ni ente p er me.

Gli risposi che quello che egli faceva con il suo n ome era una faccenda che riguardava lui.

Al campo, Eiclunann faceva parte di una squadra di muratori che lavorava nella città vicina. Ogni mattina la squadra si recava in città, scortata dagli americani, e ogni sera faceva ritorno al campo. Il 30 giugno Scheide scoprì che cosa Eichmann a veva fatto durante la guerra e informò l'agente del CIC assegnato al campo. Quando la squadra tornò al campo quella sera, Eichm ann non c'era più. Secondo Scheide, « la fuga era possibile solo con l'aiuto dei compagni ». La testimon ianza di Scheide provocò molto fermento fra gli americani a Norimberga. In realtà, tali fughe furono tutt'altro che infrequenti nei primi mesi del dop oguerra. Molti internati che facev ano parte di squadre di lavora t ori riuscirono a fuggire. Gli alleati non avevano abbastanza uomini per sorvegliare centinaia di migliaia di SS. Il caposquadra tedesco di Eichmann fu interrogato, ma dichiarò di non conoscere la vera identità di Eichmann. Comunque sia, avevamo ormai delle prove che Eichmann era vivo il 30 giugno 1 945 : un fatto che ebbe in seguito una grande importanza.

A Linz la gente venne a sapere delle mie indagini su Eichmann. Per tutti io diventai l' << Eichmann-Wiesenthal » che cercava il figlio dell' « El ektro-Eichmann ». Molta gente venne a trovarmi e mi fornì degli indizi che un qualsiasi giovane poliziotto avrebbe scartato e che io invece seguii puntualmente uno dopo l'altro. Il fatto è che non avevo esperienza. Inoltre, speravo sempre che le ind agini su Eichmann conducessero all'arresto casuale di altri nazisti. Una volta un medico di Monaco mi telegrafò chiedendomi di recarmi subito da lui perch è av ev a « importan ti informazioni su Eichmann ». Ci andai ,senza perdere un minuto. Quel medico era un tipo sparuto, n ervoso, che era sopravvissuto alla guerra ma aveva perduto i genitori nei campi di co ncentramento e non si era ancora ripreso dallo shock. Mi disse che una sua paziente, una donna di cui non volle famu il nome, viveva con un tale che si faceva chiamare « Friedrich ». La cliente aveva detto al medico che Friedrich era terrorizzato ogni volta che sentiva s uonare il campanello di casa, che pas.5ava le giornate a ·ca mminare avanti e indietro per la sua stanza e che diceva spesro: « Troppi ebrei sono ancora vivi. » Costui aveva detto alla donna : « La Germania ha perso la guerra per colpa degli ebrei. Dovrebbero essere u ccisi tutti. » Usciva solo di sera e aveva ammonito la donna a non parlare di lui con nessuno, perchè egli aveva amici « potenti ». La ri ce rca di questo Fr iedrich non ebbe successo; quando riuscimmo alla fine a scoprire il suo indirizzo, egl i era spari to.

Moltò tempo dopo venni a sapere che era stato solo un gerarca minore delle SS. ,

Il caso Friedrich era stato una perdita di tempo, ma mi diede l'idea di sperimentare nel caso Eichmann il vecchio adagio « cherchez la /emme». Poteva darsi benissimo che Eichmann, come molti altri capi delle SS, avesse avuto delle amanti, e in tal caso sarebbe stato possibile scoprire qualcosa di lui attraverso una di queste donne. Uno degli aiutanti di Eichmann, l'SS-Fuhrer Dieter Wisliceny, che era stato condannato a morte a Bratislava, capitale della Slovacchia, stava cercando di salvarsi la testa fornendo. informazioni sul suo ex capo. Wisliceny affermava di saperne sul conto di Eichmann più di chiunque altro e ci diede gli indirizzi di parecchie donne con le quali Eichmann aveva avuto rapporti. Le conquiste di Eichmann appartenevano ai più disparati ambienti sociali, propr~o come le donne di Don Giovanni nell'opera di Mozart. Le amiche di Eichmann andavano da una baronessa ungherese a delle contadine. Probabilmente egli si nascondeva presso una di queste donne. Così cercammo di rintracciarne qualcuna. Nel frattempo chiesi ad Arthur Pier di tenere d'occhio la moglie di Eichmann ad Altalls.5ee. Ero convinto che prima o poi Eichmann avrebbe cercato di mettersi in contatto con la famiglia.

Pensai che una d elle ex amiche di Eichmann avrebbe potuto darci qualcosa di cui avevamo molto bisogno: una sua fotografia. Arthur fu d'accordo con me e mi disse di avere l'uomo adatto per questo lavoro. Manus Diamant era sopravvissuto ai campi di concentramento, ma aveva perduto tutti i suoi familiari. Non solo era dispooto ad aiutarci, ma si clava il caso che fosse anche un bel giovanotto. Arthur decise che Manus diventasse « Herr von Diamant », un collaborazionista oland ese a'Pparte nente alla divisione SS olandese « Nederland » che non osava far ritorno in patria. Speravamo che potesse avere successo con le solitarie vedovelle delle SS imprigionate o alla macchia. Disse che avrebbe cercato di fare amicizia con la moglie di Eichmann e anche con qualcuna delle donne che lo avevano conosciuto.

« Van Diamant » recitò bene la sua parte. Fece conoscenza con diverse signore delle SS, ma non con Frau Eichmann che si rifiutava di parlare a chicchessia. Divenne invece molto amico dei .tre ragazzi Eichmann, con i quali andava spesso in barca sul lago di Altaussee.

Quando Diamant mi parlò delle sue gite in barca con i figli di Eichmann, mi resi conto del suo tremendo dilemma morale. Nei campi di concentramento aveva visto migliaia di ragazzi grandi come i figli di Eichmann morire di farne o nelle camere a gas o davanti al plotone di esecuzione. Ora egli si trovava solo, in barca, con i figli dell'uomo che aveva organizzato la morte di tutti quei ragazzi.

Un pomeriggio, mentre passeggiavamo lungo il lago, mi disse che il giorno dopo avrebbe portato in barca i figli di Eichmann. La sua voce aveva un timbro innaturale. Pensai che avrei fatto meglio a parlargli prima che f os.se troppo tardi. Gli dissi che ca,pivo quello , che stava pensando. Aveva perduto i suoi familiari, fra i quali c'erano stati anche dei bambini.

« Due ragazzi e una ragazza, » mi disse senza guardarmi.

« Capisco, Manus. Ma ricordati che noi ebrei non siamo dei nazisti. Noi non facciamo la guerra a dei ragazzi innocenti. E se pensi di poter davvero colpire Eichmann provocando... un incidente sul lago, ti sbagli. Tempo fa due dei nostri vennero da me con un pia,. no. Volevano rapire i figli di Eichmann - la cosa sarebbe stata facile -e poi annunciare che i ragazzi sarebbero stati uccisi se il padre non si fosse consegnato alle autorità. Sollevai molte obiezioni contro il loro piano, ma essi ne accettarono una sola. Li convinsi che un uomo che aveva freddamente ordinato la morte di un milione di bambini non si sarebbe lasciato commuovere dalla sorte dei suoi figli. Anche se il loro piano lo avrebbe ferito profondamente, non si sarebbe consegnato per salvare i figli. Non è uomo da farlo. »

Diamant non rispose. Sperai di essere riuscito a convincerlo. Ne parlai con Arthur e rimanemmo d'accordo di non far proseguire a Diamant la sua missione ad Altaussee. Gli chiedemmo invece di investigare sulle numerose ex amiche di Eichmann e di cercare di procurarsi una fotografia del loro inafferrabile amante. La baronessa ungherese si era trasferita nel Sud-America; un'altra donna era rimasta uccisa durante i bombardamenti di Dresda. Alla fine del 1 947, finalmente trovammo una ragazza, che aveva conosciuto bene Eichmann, a Urfahr, un sobborgo settentrionale di Linz, al di là del Danubio.

Manus riuscì a fare amicizia con la ragazza, si fece invitare a casa sua, trovò un « album di famiglia » e scoprì una fotografia di Adolf Eichmann scattata nel 1934, tredici anni prima. La ragazza non voleva dare a Manus la fotografia, ma poi cedette al fascino del nostro collaboratore. Così Manus mi portò tutto trionfante l a foto. La sua missione fu conclusa ed egli tornò ad una vita più normale. Facemmo fare delle copie del ritratto, che venne allegato anche all'elenco dei «ricercati» sotto il nome di Ei chmann.

Un giorno, verso la fine del 1947, ricevetti una telefonata da Bad Ischl. Il mio amico americano, Stevens, mi chiedeva di andare su· bito da lui. Si trattava di cosa urgente, ma non volle dirmi altro per telefono.

Quando arrivai a Bad Ischl, Stevens mi disse che Frau Veroni· ka Li ebl, nell'interesse dei figli, aveva chiesto al tribunale distret· tuale una Todeserklarung (dichiarazione di morte presunta) dell'ex marito Eiclunann. A quel tempo tutti i tribunali dell'Austria e della Germania erano sommersi da simili richieste. Una donna, fino a che non dimostrava che il marito era morto o non riusciva ad ottenere una dichiarazione di morte presunta, non poteva riscuotere la pen· sione e non poteva risposarsi. I tribunali rilasciavano tali dichiara· zioni con una certa facilità, senza andare troppo per il sottile. E così poteva capitare che un bel giorno il marito « morto » tornasse a casa vivo e vegeto dopo aver passato qualche anno in un campo di prigionia sovietico o alla maochia.

Quando Stevens mi comunicò la notizia, rimasi a bocca aperta. Ci guardammo l'un l'altro in silenzio, ben consapevoli dell'enorme importanza di questa informazione. Se A<lolf Eichmann fosse stato dichiarato ufficialmente morto, il suo nome sarebbe sfato automatioaunente cancellato da tutti gli elenchi dei «ricercati». Per le au· torità egli non sarebbe esistito più e il suo caso sarebbe stato chiuso. Le indagini su di lui sarebbero state sospese, perchè non si dà la caccia a un uomo che si presume sia morto. Era una mossa intelligente, e mi convinsi che doveva averla concepita lo stesso Eichmann ricorrendo all'aiuto della moglie.

Nella mia voluminosa pratica su Eiclunann c'era la testimonianza giurata dell' SS-Sturmbannfuhrer Hottl, il quale a Norimberga aveva dichiarato di avere visto Eichmann ad Aussee i:l 2 maggio 1945. A}tri testimoni lo avevano visto il giorno prima nel campo di Ebensee, presso Bad Ischi. Decidemmo che Stevens avrebbe parlato con il giudice e avrebbe cercato di sapere qualcosa di più sulla domanda di Frau Eichmann. Il giudice disse a Stevens che un certo Karl Lukas, residente nella Molitscherstrasse 22, Praga 18 , aveva ma:ndato un atto notorio con il quale dichiarava di essere stato presente alla morte di Eichmann avvenuta il 30 aprile 1945 durante i combatti· menti che avevano avuto luogo a Praga. Stevens disse al giudice che Eichmann era un criminale nazista ricercato e che era st ato visto in Austria, vivo e vegeto, in una data posteriore a quella in oui sarebbe stato ucciso a PPaga. Il giudice rimase sbalordito e promise subito a Stevens che avrebbe esteso a quattro settimane il termine di due settimane solitamente richiesto per l'espletamento di tali pr,atiche. Stevens avrebbe avuto così il tempo di presentare le prove di quello che affermava.

Mandai uno dei miei uomini a Praga e nove giorni dopo ricevetti la notizia che K arl Lukas era sposato con una certa Maria Lukas il cui nome da ragazza era Liebl. S i dava il caso che costei fosse la sorella della moglie di Eichmann. Lukas, che allora lavorava presso il Min istero dell'Agricoltura cecoslovacco, era dunque il cognato di Eichmann. Venimmo anche a sapere che Lukas si teneva in contatto con una certa Frau Kals, abitante ad Altaussee, che risultò essere un'altra sorella della moglie di Eichmann. La polizia scopri le loro lettere. Sembra che l'intera famiglia fos.se d'accordo per dimostrare che Adolf Eichmann e ra morto. (Dopo la cattura di Eichmann nel 1960, trasmisi alle autorità cecoslovacche l' atto not orio di Lukas che venne licenziato dal Ministero dell' Agricoltura.)

Tornai a Bad Ischi e diedi la notizia a Stevens, che si recò subito a trovare il giudice, il quale lo assicurò che avrebbe respinto l'istanza. Infatti, convocò Frau Ei chmann e le disse chiaro e tondo che, se avesse cercato ancora d'ingannare la giustizia, l'avrebbe d enunciata al procuratore distrettuale. Frau Eichmann lasciò l'ufficio del giudice· costernata.

Oggi penso che il più importante contributo da me dato alle indagini su Eichmann sia stato quello di distruggere la leggenda della sua pretesa morte. Molti criminali delle SS non saranno mai presi perchè sono riusciti a farsi dichiarare morti e da allora vivono felici e tranquilli sotto altri nomi. Probabilmente alcuni hanno addirittura sposato le proprie «vedove». Uno di questi fu il principale esperto di eutanasia di Hitler, il professor dottor Wemer Heyde, che dopo essere stato dichiarato ufficialmente morto sposò l a sua ex moglie. In seguito venne preso e si suicidò in carcere.

All'inizio dell'estate del I 948 mi trovavo di nuovo a Norimberga. Gli americani mi dissero che erano riusciti a scovare una fotocopia del foglio matricolare di Eichmann, accluse al quale c'erano due fotografie. In una Eichmann appariva in abiti borghesi, nell'altra in unifonne. La più recente era stata fatta nel 1 936. I superi ori di Eichmann gli avevano fatto delle eccellenti note caratteristiche. Egli aveva dato prova, dicevano, di « grosse Fachkenntnisse auf seinem Sachgebiet » ( « considerevole esperienza nel suo campo»), ma non si diceva che il suo « campo » era il genocidio. Le tre fotografie di Eichmann - le due allegate al foglio personale e quella avuta dalla sua amichetta - erano le uniche che gli israeliani avessero nel r 960 quando presero Eichmann in Argentina.

Il documento più import ante che trovai nella pratica personale di Eichmann era un breve curriculum vitae scritto dallo stesso interessato. Datato « Berlino, 19 luglio r 93 7 », diceva:

Sono nato a Solingen, Renania, il 19 marzo 1906. Da ragazzo mi trasferii a Linz dove mio padre era direttore dell'azienda elettrica e tramviaria. Frequentai le scuole pubbliche, feci quattro classi di Realschule [scuola secondaria] e studiai per due anni alla scuola federale di elettrotecnica. Dal 1925 al 1927 fui agente di vendita della Società di Costruzioni Elettriche dell'Alta Austria. Diedi poi le dimissioni e diventai rappresentante per l'Alta Aust r ia della Vacuum Oil Company di Vienna. Fui licenziato nel giugno 1933 perchè si venne a sapere che mi ero iscritto segretamente al NSDAP. Il console t edesco a Linz, Dirk von Langen, confermò questo fatto con una lettera che venne allegata alla mia cartella personale presso il SD Hauptamt.

Per cinque anni feci parte della Frontkiimpferuereinigung austro-tedesca [una organizzazione politica ami-marxista]. Mi iscrissi al NSDAP austriaco il 1• aprile 1932 _,ed entrai anche a far parte delle SS. Prestai giur amento di f edeltà in occasione di un ' ispezione compiuta alle SS dell'Alta Austria dal ReichsfilhrerSS [Himmler]

Il 1° agosto 1933 il Gauleiter dell'Alta Austria, camerata Bolleck, mi ordinò di ini ziare l'addestramento militare al campo di Lechfeld. Il 29 settembre 1933 venni assegnato all'ufficio di collegamento delle SS a Passau. Il 29 gennaio 1934 venni aggregato alle SS austriache nel campo di Dachau. Il 1° ottobre 1934 fui trasfe r ito all'SD Hauptamt a Berlino, dove presto attualmente servizio.

Adolf Eichmann SS-Hauptscharfilhrer

È questo il notevole curriculum di un carrierista della quinta colonna. Durante il periodo cui si riferisce il curriculum di Eichmann, tutte le organizzazioni naziste erano illegali in Austria. Ciò non impedì ai nazisti di creare una organizzazione militare, con campi e centri di addestramento che venivano regolarmente ispezionati da Himmler.

Tutti sapevano che cosa Eichmann aveva fatto. lo volevo sapere che cosa lo aveva indotto a farlo. A Linz parlai con della gente che era stata a scuola con lui. Tutti mi raccontavano volentieri i soliti aneddoti divertenti sugli scherzi che avevano l'abitudine di fare agli insegnanti, ma quando li interrogavo sul loro compagno di classe Eichmann diventavano muti. Sapevano che stavo « dando la caccia » ad Eichmann e non volevano nemmeno amm~ttere di averlo conosciuto. Sembrava avessero paura di parlare. Un tale mi disse che la punizione dei crimini di guerra doveva essere lasciata alle « autorità competenti ». Che diritto avevo io, privato cittadino, di dare la caccia ad Eichmann? Non mi presi nemmeno la briga di rispondere. Quell'uomo era uno di quegli austriaci che si consolavano, prima della fine della guerra, dicendosi : « Se vinciamo, saremo tedeschi. Se non vinciamo, saremo austriaci. Comunque vada, non ~amo perdere.»

Cercai di trovare della gente che avesse conosciuto Eichman~ negli anni subito dopo il 1930, quando aveva appartenuto alle formazioni illegali delle SS. Nessuno volle dirmi nulla. Ci fu un tale (non un iscritto al partito) che aveva frequentato spesso casa Eiclunann e conosceva bene la famiglia. Aveva letto sui giornali dei crimini di Eichmann, ma si rifiutava di crederci. Non poteva trattarsi dello stesso Adolf che a lui era sempre sembrato un individuo tranquillo, incolore, e che spesso appariva quasi fissato su un'idea. L'uomo non si rendeva conto di aver caratterizzato perfettamente Eichmann ... non sapeva quanto avesse ragione e al tempo stesso quanto avesse torto.

Avevo studiato dei libri sulla psicologia del delitto, sui motivi e sull'infanzia dei criminali, ma avevo commesso un errore : avevo pensato ad Eichmann come ad un comune delinquente ed egli non lo era. Nel suo caso l'infanzia, l'ambiente, i problemi che di solito conducono al ~elitto, non c'entravano per nulla. Quando era stato rappresentante della Vacuum Oil Company, aveva avuto rapporti d'affari con degli ebrei, ma nessuna spiacevole esperienza. C'erano solo millecento ebrei nell'Austria Superiore quando Eich.mann e il suo amico Emst Kaltenbrunner, che in seguito divenne il capo della Gestapo di Hitler, appartenevano alle SS clandestine di Linz. Eichmann non aveva mai mostrato sentimenti aggressivi contro gli ebrei. Era solo un disciplinato, incolore H auptscharfuhrer (serge nte). Anche all'SD Hauptamt di Berlino, non sapevano esattamente come impiegarlo.

Venne incaricato di raccogliere materiale sulla « congiura mcm~ diale dei massoni». Eichmann cominciò a documentarsi sui massoni e divenne quasi un esperto sull'argomento. Scrisse lunghi studi su quello che avrebbe dovuto essere fatto per sventare la «congiura». Il movimento massonico stimolò il suo interesse per il problema ebraico. Si convinse che i massoni f~ ro una specie di setta ebraica ch e voleva dominare il mondo.

Eichmann cominciò a tenere uno schedario dei principali massoni ebrei. I superiori lodarono la sua . Grundlichkeit (diligenza) e Eichmann si applicò con sempre maggiore zelo alle sue « ricerche».

Dopo qualche tempo, si aippas.sionò a tal punto al problema ebraico che abbandonò completamente ,i massoni e si dedicò interamente a studiare gli ebrei. Lesse una quantità innumerevole di libri e sorprese i suoi superiori con le sue conoscenze enciclopediche sul giudaismo e il sionismo. Assistette come oo.servatore della Gestapo aHe conferenze ebraiche e venne mandato a studiare i quartieri ebrei di diverse città. Ho parlato con ebrei che ricordano i'Eichmann di quel tempo. Tutti sono concordi nel dire che era diverso dai soliti teppisti delle SS. Il suo atteggiamento era inflessibile, ma gelidamente cortese. Fra i documenti che ho trovato a N orimberga, c'è una domanda di Eichmann intesa ad ott enere uno « stanziamento speciale » per consentirgli di studiaire l'ebraico con un rabbino. Sebbene egli facesse presente che le lezioni sarebbero c06tate solo tre marchi, un vero affare, i suoi superiori respinsero la domanda. Ma ormai Eichmann era conosciuto all'SD Hauptamt come « il principale esperto dei problemi ebnùci ».

A quel tempo, verso il r 935, i nazisti non avevano ancora formulato una soluzione ufficiale del « problema ebraico». I capi nazisti erano d'accordo sul fatto che gli ebrei avrebbero dovuto lasciare la Germania, ma si riteneva che i campi di concentramento non costituissero una soluzione. Hitler e la sua oricca erano convinti dell'enorme strapotere del Weltjudentum (ebraismo mondiale), e perciò venne deciso che il modo migliore ·per combattere gli ebrei fosre quello di sapere · tutto su di loro, in modo da poterli colpire con le loro stesse armi. Gli ebrei non erano forse le 05cene potenze che si nascondevano dietro i troni e che dominavano i governi? Eichmann decise di con06Cere gli ebrei nel loro stesso ambiente. Nel 1937 andò in Palestina accompagnato da un certo Obersturmfuhrer Hagen. Ho trovato molti docwnenti riguardanti questo viaggio. Eichmann entrò in Palestina grazie ad una falsa tessera di giornalista che lo qualificava redattore del Berliner Tageblatt.

Prima che egli partisse, molti ebrei vennero arrestati in Germania e tenuti come ostaggi per Eichmann, un uomo di c ui non avevano mai sentito parlare. Eichmann passò esattamente due giorni in Palestina. Visitò la colonia dei templari tedeschi a Sarona, presso Tel Aviv, e la colonia ebraica. Di là andò al Cairo per incontrarsi con Amin el Husseini, il muftl di Gerusalemme, famigerato nemico degli ebrei e simpatizzante nazista. Dopo di ciò Eichmann voleva tornare in Palestina, ma la Gran Bretagna, che era la potenza mandataria, lo respinse ed egli tornò a Berlino. Uno dei fratelli di Eichmann, a Linz, disse a un mio amico che per qualche tempo in farni- glia credettero che Adolf fosse un «sionista», perchè parlava spesso della possibilità di una emigrazione ebraica su larga scala dalla Germania in Palestina. Quel soggiorno di quarantotto ore in Palestina diede più tardi ad Eichmann l'idea di fabbricare la leggenda che egli fosse originario della Palestina e perciò con06Cesse tutto sugli ebrei. Riuscì così bene a creare questo mito, che alcuni ebrei di Budapest nel 1944 ritennero che egli fos.se uno studioso di fil060fia rabbinica.

Ho cercato di scoprire esattamente quando Eichmann cessò di essere un teorico della questione ~braica per diventare un esecutore. Forse lo sviluppo fu graduale. Quando venne a Vienna nell'autunno del 1938, parlava ancora con una certa moderazione di « emigrazione forzata». Il mutamento decisivo ebbe luogo nel novembre del 1938, allorchè i nazisti ordinarono la distruzione delle botteghe e delle sinagoghe ebraiche per vendicare l'assassinio di un diplomatico nazista compiuto a Parigi da un ebreo. 1 Negli ordini inviati a Vienna da Reinhard Heydrich, capo della Gestapo, era detto esplicitamente che Eichmann doveva essere informato. Eichmann aveva scoperto la sua «vocazione». Testimoni oculari riferirono in seguito di averlo visto andare da una sinagoga all'altra per controllare personalmente che la distruzione fosse totale. Si dice che egli « partecipasse personalmente» a:lle distruzioni e che sembrasse «euforico».

Alcuni giorni più tardi, i capi della comunità ebraica di Vienna, convocati da Eichmann, notarono che egli non li invitava più a sedere davanti alla sua scrivania. Anzi, venne detto loro di rimanere in piedi, a tre passi di distanza, sull'attenti. Nel 1939 Eichmann andò a Praga, convocò il presidente della comunità ebraica locale e gli disse: « Gli ebrei se ne devono andare... e alla svelta! » Quando gli fu detto che gli ebrei vivevano a Praga da millecento anni, ed erano in tutto e p er tutto autoctoni, rispose gridando: « Autoctoni? Ve lo farò vedere io! » Il giorno dopo, il primo carico di ebrei partì per un campo di concentramento.

Nel 1941, nel mondo di Hitler non c'era più posto per gli ebrei. Dopo la Conferenza di Wannsee, che si tenne agli inizi del 1942 e nel corso della quale i gerarchi nazisti progettarono la loro « soluzione finale» -e cioè l'assassinio in massa - Eichmann ricevette l'ordine di eseguire le direttive di Hitler e di Himm.ler. Nella primavera del 1945, Eichmann disse ad uno dei suoi assistenti a Budapest: « Morirò felice, con la certezza di avere ucciso almeno sei milioni di ebrei. »

Avevo avuto torto a cercare un motivo nella sua vita. Non c'era- no nè motivi nè odi. Egli non era altro che il prodotto del sistema. Quando i suoi sottoposti non riuscivano ad assolvere interamente i loro compiti di sterminatori, Eichmann diceva loro: « Voi tradite la fiducia del Fiihrer. » Eichmann si sarebbe comportato nello stes.50 modo se gli fos.se stato ordinato di uccidere tutti gli uomini i cui nomi cominciavano con le lett ere P o B, o tutti quelli che avevano i capelli rossi. Il Fiihrer aveva sempre ragione, e il dovere di Eichmann era quello di fare in modo che gli ordini del Fiihrer fossero eseguiti.

1 V. Appendice, Kristallnacht.

Nella primavera del 1948, riuscii a ricostruire esattamepte il viaggio compiuto da Eichmann alla fine della guerra. Era arrivato al campo di concentramento di Theresienstadt il 20 aprile e vi era rimasto fino al 27. Il giorno seguente era a Praga, il 29 a Budweis, il 1° maggio al campo di Ebensee presso Bad Ischl, e il 2 si trovava ad Altaussee, dove rimase fino al 9 maggio. In seguito si consegnò . volontariamente agli americani, nelle cui mani rimase fino alla fine di giugno, quando fuggì dal campo di conc entramento di Cham. Per qualche tempo rimase nascosto nella Germania settentrionale, e ciò fu confermato in seguito da due esponenti delle SS. Uno cli costoro era Hoess, ex comandante di Auschwitz, che rimase in contatto con Eichmann quando questi si trovava nella Germania del nord. Di qui Eichmann andò a stare con uno zio che abitava a Solingen. Una volta le autorità inglesi andarono ad interrogare Io zio di Eichmann mentre Eichmann si trovava nascosto in casa. Lo zio non disse nulla agli inglesi, ma tanto bastò perchè Eichmann decidesse di tornare nella regione dell' Aussee, dove si sentiva più a:l sicuro che altrove.

A quel tempo uno dei miei più stretti collaboratori era un ex maggiore della Wehrmacht. Dapprincipio era stato restio ad aiutarmi, perchè diceva: « Non devo insozzare l'uniforme » e invocava il suo senso della Kameradschaft, del cameratismo. Gli risposi che il cameratismo finiva dove cominciava il delitto. Aggiunsi che non avrei fatto nulla per salvare dei compagni che avessero commesso qualche delitto in un ca mpo di concentramento. Il maggiore andò a trovare parecchi suoi amici in Germania e parlò con molte SS. Quando tornò a Linz mi disse che Eichmann era « odiato dalle SS che lo accusavano di aver dato loro una pessima fama ». Il parere di tutte le SS e degli ex colleghi di Eichmann era che egli si nascondesse nella regione dell' Aussee. Nella vicina Gmunden c'era la centrale dell'organizzazione nazista clandestina Spinne.

Ero siouro che la moglie e il padre di Eichmann sapessero sempre dove egli si trovava, sebbene non ricevessero mai sue lettere. Dopo la guerra. venne instaurata una severa censura postale e il CIC intercettava la corrispondenza di Frau Eichmann ad Altaussee e del padre di Eichmann a Linz. Ma non si trovò mai nessun messaggio sospetto, nessu n a lettera scritta in un codice convenzionale. Quando nel 1947 venne ordinato a tutti gli ex nazisti di dichiarare la loro appartenenza al partito, tre membri della famiglia Eichmann ammisero di essere stati iscritti al partito nazista. Eichmann padre si era iscritto nel maggio, 1·938, due mesi dopo l'Anschluss. II fratello Otto era entrato nel partito e nelle SA nello stesso anno. Il fratello Friedrich si era iscritto al partito ed era entrato nelle SA nel 1939. Gli americani fecero delle indagini sul loro conto, ma non risultò nulla che potesse dar luogo a una denuncia. Essi erano solo dei Mitlii.ufer, dei gregari senza importanza.

La famiglia di Frau Eichmann app·arteneva a una categoria diversa. I suoi parenti in Cecoslovacchia si erano arricchiti durante ìl regime nazista. Ogni mese Frau Eichmann riceveva un vaglia postale di mille scellini (quaranta dollari) dal suocero, ma a parer nostro ella doveva ricevere d e naro anche da altre fonti, forse dalla sua famiglia.

Il 20 dicembre 1949 un alto funzionario della polizia austriaca venne a trovarmi al Centro di Documentazione di Linz e mi propose di confrontare le nostre 'informazioni su Eichmann. Gli austriaci pensavano che Eichmann si nascondesse dalle parti del villaggio di Grundlsee, a circa tre chilometri da Altaussee. A Grundlsee, che si trova sulle sponde del laghetto omonimo lungo circa sei chilometri, ci sono diverse case isolate. Dissi al funzionario di polizia che parecchi mesi prima uno dei miei uomini che si trovava ad Altaussee aveva notato una Mercedes nera, con una tàrga dell'Alta Austria e proveniente dalla direzione di Grundlsee; la macchina si era fermata per qualche minuto davanti al numero 8 di Fischerdorf dove abitava Frau Eichmann. Un uomo con un impermeabile, « che sembrava un ebreo », come mi riferì il mio uomo, si era trattenuto pochi minuti in casa ed era poi ripartito sulla Mercedes nera. Avrebbe potuto essere Eichmann.

L'ufficiale di polizia ne convenne. E gli austriaci erano sicuri che Eichmann si tenesse in stretto contatto con una cellula clandestina nazista nella Stiria. Il suo ex aiutante Anton Burger, che era stato scoperto quando la polizia aveva perquisito la casa sbagliata mentre si cercava Eichmann, era scappato dal campo di Glasenbach nel

1947 e fungeva da corriere fra Eichmann e il movimento dandestind: Ogni cellula consisteva di cinque persone; ciascuna di queste èonosceva solo altri cinque membri del movimento. Esistevano contatti con un'altra organizzazione neonazista chiamata Sechsgestirn (Sei stelle). La polizia austriaca sperava che l'arresto di Eichmann potesse scompaginare l'intera organizzazione. .

H funzionario tornò il giorno dopo. La polizia aveva scoperto che Eichmann avrebbe passato l'ultimo dell'anno con la famiglia ad Altaussee. Avevano progettato un'irruzione nella casa mentre Eichmann vi si trovava, e mi chiesero di accompagnarli. Il piano doveva rimanere assolutamente segreto. Il 31 dicembre è il mio compleanno e non avrei potuto desiderare un regalo migliore dell'arresto di Eichmann.

A qu el tempo il nostro Centro di Documentazione veniva visitato spesso da un giovane israeliano che era emigrato dalla Germania in Palestina con i genitori quando era piccolo, aveva combattuto nell'esercito israeliano durante la guerra d'indipendenza, e stava ora compiendo un viaggio di istruzione in Europa. Era pieno di entusiasmo, come tutti i cittadini di una nazione giovanissima, ed era affascinato dal lavoro del Centro di Documentazione, specialmente dal caso Eichmann. Gli dissi - piuttosto scioccamente, ora me ne rendo conto - che forse di lì a poco Eichmann sarebbe stato arrestato. Quando sentì che dovevo andare ad Altaussee, dove abitava Frau Eichmann, mi chiese di portarlo con sè. « Due braccia robuste vi possono sempre servire, » disse. Partimmo il 28 dicembre e scendemmo all'Hotel Erzherzog Johann di Bad Aussee, a tre chilometri da Altaussee. La polizia austriaca aveva piazzato sei investigatori nell~ varie locande. Ammonii il giovane israeliano di non andarsene a zonzo e soprattutto di non parlare con la gente. Ma quella sera, senza che io lo sapessi, se ne andò in un night-club dove si divertì e raccontò alle ragazze di essere israeliano. La cosa fece una certa impressione, perchè nessuno a Bad Aussee aveva mai visto un cittadino del nuovo Stato d'Israele.

La mattina del 3 1 dicembre m'incontrai con il funzionario di polizia incaricato dell'operazione. Alle nove di sera i suoi uomini si sarebbero trovati nei posti loro assegnati. Alcuni stavano gjà sorvegliando la strada da Grundlsee ad Altaussee e la casa di Frau Eichmann. Tornato in albergo, dissi al giovane israeliano di non uscire di camera prima di mezzanotte. Lo avrei avvertito io se ci fossero state buone notizie. Alle nove mi incontrai con il funzionario di polizia e con un altro uomo. Dalle locande, dagli alberghi, e da u8 molte ·case dove si festeggiava l'ultimo dell'anno provenivano voci, musiche e risate. Anche noi eravamo in attesa di festeggiare. Un poli:motto cercò un telefono, chiamò Fi.scherdorf n. 8 e chiese di Frau Lie-bl. Dopo un po' una voce di donna disse : « Sei tu? V errai questa sera? » ll poliziotto riabbassò il ricevitore senza rispondere. Ci guardammo in faocia: così Frau Eichmann aspettava davvero qualcuno ·e noi lo avremmo accolto come si conveniva.

Alle dieci accompagnai il funzionario di polizia nel suo giro di controllo. Ispezionammo i posti in cui erano sistemati i poliziotti e strada facendo gettammo un'occhiata nelle locande. Il freddo intenso ci faceva rabbrividire. Tornammo all'Hotel Erzherzog Johann per bere una tazza di tè bollente. Quando aprii la porta della taverna, restai di sasso. Il giovane israeliano se ne stava seduto a un tavolo, intento a bere con un gruppo di gente del posto, tutto preso dal racconto delle gesta eroiche dell'esercito israeliano.

H funzionario di polizia rimase seccato.

« Non mi piace. Se in paese si sparge la voce che c'è un giovane israeliano, è probabile... »

« Sono le dieci passate, » dissi. « Oronai è troppo tardi perchè qualcosa vada storto. »

<< Lo spero,» mi rispose bruscamente.

Alle dieci e mezzo uscimmo di nuovo. Nella prima locanda che ispezionammo, il poliziotto di servizio ci riferì che tutti parlavano dell'israeliano che era arrivato a Bad Aussee. Anche in un altro locale si parlava dell'arrivo di un gruppo di israeliani. Il funzionario di polizia mi fissò ma non disse niente. In cuor mio mi maledissi.

Le undici. Se Eichmann voleva essere in famiglia a mezzanotte, sarebbe dovuto partire di lì a poco da Grundlsee. Aspettammo altri venti minuti, che sembrarono lunghi come venti anni. Nesruno' parlava. Alle undici e mezzo un poliziotto arrivò di corsa da Grundlsee e disse qualcosa al suo superiore.

Il funzionario mi lanciò un'occhiata come per dirmi: « Glielo avevo detto? » « Ho paura che sia tutto finito. Sembra che Eichmann sia stato avvertito. »

Lo fis.5ai, incapace di spiccicare parola. Lui ordinò al poliziotto di ripetere il suo rapporto.

« Alle undici e mezzo due uomini vennero avanti sulla strada di Grundlsee. t molto scuro laggiù, ma potevo distinguerli sullo sfondo bianco della neve. Erano a circa centocinquanta metri da me, che stavo nascosto fra gli alberi lungo la strada. D'un tratto un terzo uomo arrivò correndo da Grundlsee e gridò qualche cosa. I due si fermarono e quello li raggiunse, e dopo qualche secondo tutti e tre tornarono indietro di corsa. »

Il funzionario di polizia si accorse di quanto fossi disperato. « Non se la prenda così. Ora sappiamo da quale gruppo di case venivano. Non abbiamo mandati e io non posso perquisire le case senza ordini superiori, però abbiamo localizzato Eichmann. Lascerò qui due uomini e tornerò a Linz per chiedere ulteriori istruzioni. » Scosse le spalle e aggiunse: « Forse fu un errore portare qui quel giovane israeliano. O forse Eichmann è stato avvisato per qualche altra ragione. Chi lo sa?»

A mezzanotte meno dieci tornammo a Bad Aussee. Le strade erano piene di chiasso, di gente resa euforica dal vino che gridava « Buon anno! » Dappertutto si sentiva musica e rumore di bicchieri infranti. Io non avevo voglia di vedere nessuno. Me ne andai in camera e mi buttai sul letto senza nemmeno spogliarmi. Ero completamente a terra. Avevo avuto a centocinquanta metri di distanza il regalo del mio compleanno, e lo avevamo perduto. E forse non lo avremmo più riacciuffato.

Una settimana più tardi il funzionario della polizia austriaca mi comunicò di aver sospeso le ricerche. Erano stati informati che Adolf Eichmann era scomparso dalla regione dell' Aussee.

Il 1950 fu un anno cattivo per la « caccia » ad Eichmann. La guerra fredda aveva raggiunto il culmine e gli ex alleati si guardavano in cagnesco dalle due parti della Cortina di Ferro. Gli americani erano impegnati fino alla cima dei ,capelli con la , guerra in Corea e nessuno si curava di Eichmann e dei nazisti. Se due nazisti si incontravano ·durante quei mesi era facile che si dicessero: « Il vento è cambiato! » dandosi grandi pacche sulle spalle. Nei giornali scandalistici apparvero dei servizi sensazionali su Eichrnann. Era stato visto al Cairo, a Damasco, si diceva che stesse costituendo una legione tedesca a favore degli arabi, e così via. Io sapevo che tutte queste storie erano pura fantasia. Un uomo che aveva sempre evitato di farsi fotografare, non avrebbe certo voluto apparire alla ribalta della cronaca.

·n grosso fascicolo di Eichmann era sempre sulla mia scrivania, e quasi non sopportavo più di vederlo. Ero convinto che Eichmann non fosse più in Europa. La sfortunata operazione dell'ultimo del1'a.nno doveva averlo convinto che per lui ·era troppo pericoloso rimanere. Probabilmente i'ODESSA si era presa cura di lui. Forse si nascondeva nel Vicino Oriente, dove aveva amici e ammiratori fra gli arabi. Non c'era nulla che io potessi f are per il momento. La maggior parte dei miei collaboratori non pagati mi avevano lasciato per comi nciare una nuova vita. Gli americani che venivano mandati in Europa in quel tempo non si interC$a.vano ad Eichmann. Quando mi mettevo a parlare di lui, as.5\lmevano un 'espressione annoiata o mi guardavano perplC$i. Uno arrivò a dire che forse soffrivo di mania di persecuzione.

« Non può continuare a correre dietro a un fantasma, Wiesenthal. Perchè non dimentica tutta questa faccenda?» Ec co qu ello che mi sentivo dire .

Nel gennaio I 95 1 conobbi un ex agente dell' Abwehr, c he chiamerò « Albert » e che aveva delJe conoscenze fra gli uomini dell'onESSA. « Albert » mi disse che Eichmann era stato visto a Roma, verso la fine dell'estate del 1950, pochi mesi dopo che aveva lasciato la regione dell' Aussee. Probabilmente Eichmann era arrivato fin là attraverso la catena dei conventi. « Albert » sare bbe dovuto andare a Roma e avrebbe cercato di scoprire che cosa era successo. Rimasi ad aspettare il suo ri torno con estrema impazienza. Finalmente in febbraio venne a trovarmi.

« Ci sono diverse versioni sulla fuga di Eichmann, ma tutte concordano su un punto: che ·egli giunse a Roma con l'aiuto di un comi tato forma to da ex seguaci di Ante Pavel ic, il capo del governo croato coll aborazionista. Naturalmente , a Roma Ei chmann non prese alloggio in un albergo: crediamo ,che si sia nascosto in un convento. A Roma si procurò una carta d ' identità della Città del Vaticano, che gli era indispensabile se voleva ottenere il vi sto per un paese sudamericano. »

« t sicuro, » gli dissi, « che si tratti del Sud-America? Non può essere andato nel Vicino Oriente? »

« Albert » scosse il capo. « La maggior parte dei nazisti che trovarono asilo temporan eo a Roma vennero poi inviati nel Sud-America. Crediamo che Eichmann si sia unito a un gruppo di parecchie persone, viaggiando probabilmente con un nome falso. In genere questi gruppi vanno in Brasile e in Argentina. »

Io non avevo la possibilità di cercare in Brasile o in Argentina un uomo di cui non conoscevo il nome che aveva assunto e che non potevo neppure descrivere esattamente, perchè la su a più recente fotografia era s tata presa qua ttordici anni prima. Tutte le mie speranze erano riposte nella famiglia di Eichmann. Un giorno o l'altro egli avrebbe ce rcat o di mettersi in contatto con la moglie, che era rimasta ad Altaussee, dove i ragazzi frequentavano le scuole. Un giorno o l'altro avrebbe cercato di fare andare anche i f.anùliari in Sud-America.

Nell'autunno del 1951, dopo che avevo pubblicato in diverse riviste una serie di articoli sull'oro di Eichmann e sui cercatori di tesori dell'Altaussee, ricevetti la visita di un tale. La mia segretaria mi portò un biglietto sul quale c'era scritto: Heinri ch von Klimrod. Mi si _presentò un uomo snello, ben vestito, dal portamento ~litare, che s'inchinò correttamente e mi chiese se poteva parlami « apertamente ». Lo invitai a sedersi. ·

« Abbiamo letto i suoi articoli e siamo rimasti colpiti dalla sua conoscenza di questo delicato · argomento. Vorremmo proporle un affare.»

Gli chiesi chi mi volesse proporre questo affare.

« Lei mi ha consentito di essere franco, e io le dirò che rappresento un gruppo viennese di ex SS. Si dà il caso che i nostri interessi convergano su un punto. Sappiamo che Iei è un fanatico idealista. Lei vuole trovare Eichmann per portarlo davanti alla giustizia. Anche noi lo vogliamo, ma per un'altra ragione. Vogliamo l'oro di · Eichmann. Io credo che fra noi si possa stabilire una utile collaboraz1one. »

Rimasi senza parole. Mi stava proponendo di aiutarlo a mettere le mani sull'oro che Eichmann e i suoi avevano strappato dalle dita e dalle bocche di milioni di ebrei finiti nelle camere a gas. Forse l'altro fraintese il mio silenzio perchè ,continuò: « Non vediamo la ragione per cui tanti loschi individui da queste parti debban.o arricchirsi, mentre molti nostri camerati delle SS vivono n ell'indigenza. Abbiamo intenzione di essere degli alleati leali. Conosciamo molte cose sulla fuga di Eichmann. Sappiamo àe due preti, padre Weber e padre Benedetti, lo hanno aiutato quando stava a Roma. Conosciamo il convento dei Cappuccini in cui si nascondeva. Non conosciamo il nome attuale di Eichmann, ma al;>biamo molti -camerati nel Sud-America che ci aiuteranno. E allora, n on le sembra un buon affare?»

Io cercai di guadagnare tempo e chiesi a Klimrod quale fosse la sua oocupazione. .

« Sono socio di una ditta di importazioni e esportazioni. Intratteniamo ottimi rapporti coi russi. Siamo riusciti a spedire nei paesi comunist i materiale strategico nonostante l'embargo americano. Probabilmente lei ha sentito parlare della Nationale Liga, un gruppo di ex nazionalsocialisti che collaborano con i comunisti. Noi non ap- parteniamo alla· Liga, ma abbiamo i piedi in molte staffe. Penso che lei farebbe bene ad accettare la nostra proposta. Voi non avete bisogno dell'oro di Eichmann, perchè voialtri ebrei avete molto denaro. Così, voi avrete Eichmann e noi avremo il su o oro. »

Rifiutai quell'offerta allettante, ma non fu facile fargli ene capire la ragione. Il fatto è che non parlavamo la stessa lingua. Gli dissi che non potevo entrare in società con un gruppo di ex SS che coll aboravano con i comunisti. Non potevo dispo rre di quell'oro che non apparteneva a me come non apparteneva ad Eichmann. Per quanto ne sapevo, parte di quell'oro poteva anche venire dai miei ottantanove parenti che erano stati uccisi dagli uomini di Eiclun.ann.

Poco dopo la Pasqua del 1952, un amico mi telefonò da Altaussee. Frau Eichmann e i figli erano scomparsi. I tre ragazzi non erano tornati a scuola dopo le vacanze.

Informai subito gli americani e la polizia austriaca. Tutti si do- · mandavano perchè Frau Eichmann avesse portato via i ragazzi a metà dell'anno scolastico. Senza il benestare della scuola, non sar ebbe ro stati accettati negli altri istituti dell'Austria o della Germarua.

La polizia austriaca scoprì ch e qualcuno aveva scavato una bu ca nel terreno circostante la casa al numero 8 di Fischerdorf. Fino ad oggi non si è mai saputo se in quella buca ci fossero dei documenti, dell'oro o qualche altra cosa. Cercai di scoprire chi avesse rilasciato a Frau Eichmann un passaporto. Ad Altaussee era registrata come « Veronika Li ebl, cittadina tedesca». Grazi e all'intervento della Deutsche Fursorgestelle (un'organizzazione assistenziale tedesca) di Graz, il consolato di G ermania aveva rilasciato un passaporto tedesco a Veronika Liebl e ai suoi tre figli.

L'affitto della casa di Altaussee continuava ad essere pagato regolarmen te ogni mese e i mobili erano ancora tutti al loro posto, ma ciò non trasse in inganno i vicini. Alcuni mi dissero che gli Eichmann erano andati in Brasile. Altri affennavano di sapere che Frau Eichmann era andata « a stare con sua madre » a Sindolfheim, in Baviera. Come al solito, le voci che circolarono ad Altaussee non trovarono mai conferma. Nessuno vide Frau Eichmann in Brasile, risultò che non era mai adata a Sindolfheim, e le cose r estarono a questo punto.

Nel 1948, quando ero andato a farmi visitare da un dottore perc hè soffrivo d 'insonnia, il medico mi aveva consigliato di fare qual- cosa di notte per distrarmiJ ed è così che cominciai. a raccogliere francobolli. Questo hobby mi ha procurato parecchie ore piacevoli e mi ha consentito di conoscere molte persone di altri paesi. E quando avevo ormai esaurito ogni altra risorsa, mi fornì un nuovo indizio nel caso Eichmann.

Verso la fine del 1953, conobbi nel Tirolo un vecchio barone austriaco che m'invitò nella sua villa presso Innsbruck. Eravamo entrambi filatelici appassionati e il barone voleva mostrarmi la sua collezione. Passai una piacevole serata ad ammirare i suoi francobolli, poi ci mettemmo a · chiacchierare davanti a una bottiglia di vino. Il barone era un vecchio simpatico, di provata fede monarchica e cattolica. Ascoltò con molto interesse quello che gli dissi del mio lavoro. Sapeva che nel Tirolo alcuni pezzi grossi nazisti occupavano di nuovo posti di rilievo << come se niente fosse cambiato». Era sconcertante, disse. ·

Il barone si alzò e aprì un cassetto pieno di buste che aveva messo da parte per via dei francobolli. Mentre cercava nel mucchio, cominciò a parlarmi di un suo amico in Argentina, un ex tenente colonnello tedesco che non aveva fatto carriera nella Wehrmacht perchè era conosciuto come antinazista. L'anno precedente era andato in Argentina, dove lavorava come istruttore n ell'esercito di Per6n. ·

« Ho appena ricevuto una sua lettera, » disse il barone, e mi porse la busta. « Bei francobolli, vero? Gli ho chiesto se aveva incontrato nessuno dei nostri vecchi camerati laggiù. Ecco quello che mi scrive:

Ci sono qui delle nostre comuni conoscenze. Forse ricorderai il tenente Hoffmann del mio reggimento, e il capitano Berger della 188• divisione. C'è poi altra gente che tu non conosci. Immagina chi ho veduto anzi, gli ho persino parlato due volte: dieses elende Schwein Eichmann, der die Juden kommandierte [quello spaventoso porco di Eichmann che comandava gli ebrei]. Abita vicino a Buenos Aires e lavora per l'azienda dell'acqua.

« Che gliene pare? » disse il barone. « Alcuni dei peggiori criminali sono riusciti a fuggire. »

Non dissi nulla temendo che il barone potesse accorgersi della mia eccitazione. Questa non era una delle solite voci di Altaussee: questo era un fatto. Senza parere, chiesi di dare un'occhiata alla lettera facendo finta di essere interessato ai nuovi francobolli argentini. Rilessi il brano che riguardava Eichmann e lo mandai a memoria parola per parola. Pit1 tardi, nella mia stanza d'albergo, riscrissi quel- le parole cosi come le ricordavo. Ma la mia euforia fu di breve durata. Se anche, per quanto fos.se improbabile, avessimo trovato un uomo che aswmigliava ad Eichmann e che viveva vicino a Buenos Aires e lavorava per l'azienda dell'acqua, come avrenuno potuto catturarlo? Che cosa potevo fare io, che ero un privato cittadino, in un altro continente? I tedeschi rappresentavano una forza politica considerevole in Argentina,1 dove l'esercito di Per6n veniva addestrato dai tedeschi, . le industrie argentine erano dirette da esperti tedeschi e le banche argentine erano sostenute dal denaro illecitamente esportato dalla Germania.

Eichmann doveva sentirsi al sicuro in A~entina, altrimenti non avrebbe mandato a chiamare la famiglia. Forse disponeva di amici potenti, o non avrebbe osato vivere in una città che conta oltre 200.000 ebrei e quindi con il pericolo di poter C$Cre riconosciuto.

Mi resi conto che il mio lavoro d'investigatore privato era giunto al termine. A questo punto, altri più potenti di me avrebbero dovuto darmi il cambio. Arie Eschel, il console israeliano a Vienna, mi aveva chiesto di preparare per il Congresso Mondiale Ebraico un ra1r porto completo sul ca.so Eichmann. Scrissi una relazione che cominciava con il primo accenno che avevo sentito fare del nome di Eichmann e terminava con il brano della lettera ricevuta dal barone austriaco. Aggiunsi le fotografie di Eichmann, copie di lettere e campioni della sua scrittura. Inviai una copia di tutto questo materiale al Congresso Mondiale Ebraico di New York e un'altra copia al consolato israeliano di Vienna.

Da Israele non ricevetti alcuna risposta; invece, due mesi dopo che avevo spedito il materiale, ricevetti una lettera da New York. Un certo rabbino Kalmanowitz (che non conoscevo) mi scrisse di aver ricevuto il materiale e che gli « avrebbe fatto piacere avere l'indirizzo esatto di Eichmann a Buenos Aires». Risposi che sarei stato disposto a mandare qualcuno in Sud-America se avessero pagato a questa persona le spese di viaggio e gli avessero dato un compenso di 500 dollari. Il rabbino Kalmanowitz mi rispose che non poteva disporre di tanto denaro,

Era venuto il momento di abbandonare ogni cosa. Evidentemente, Eichmann non intere$ava più a nessuno. Gli israeliani erano molto più preoccupati per Na$Cr. Nel marzo 1954 chiusi il Centro di Documentazione, feci imballare tutte le pratiche, che riempirono diverse casse per un peso totale di 532 chili, e spedii ogni cosa all'Ar- t V. Appendi ce. chivio Storico Yad Vashem di -Gerusalemme. Trattenni solo una grossa cartella, la pratica Eichmann.

Cinque anni più tardi, la mattina del 22 aprile 1959, mentre scorrevo il giornale di Linz, l'Oberosterreichische Nachrichten, nell'ultima pagina vidi l'annuncio della morte di Frau Maria Eichmann, matrigna di Adolf Eichmann. Sotto c'erano i nomi dei parenti. Adolf Eichmann non compariva, ma l'ultimo nome era « Vera Eichmann ». Di solito la gente non mentisce quando scrive un avviso funebre, e li c'era proprio scritto « Vera Eichmann ». Evidentemente, Fr.au Eichmann non aveva divorziàto e non si era risposata.

Ritagliai l'avviso mortuario e lo misi in cima alla pratica Eichmann. Verso la fine di agosto del 1959, mi trovavo con la famiglia in vacanza a Murten, in Svizzera, quando ricevetti una telefonata da Linz con la quale .mi si diceva che diversa gente aveva visto Adolf Eichmann ad Altaussee. Non vi era possibilità di errore. Qualche settimana prima, il periodico tedesco Der Stern aveva fatto eseguire delle ricerche in fondo al la:go Toplitzsee, riaccendendo l'interesse del pubblico per i « tesori nazisti » affondati nei laghi della regione. Riferii la notizia che mi era stata data all'ambasciatore israeliano a Vienna, e decisi di ritornare immediatamente. Mia moglie era contrariata; mi disse, e non aveva tutti i torti, ohe non vedeva per quale ragione dovessimo partire dato che avevamo ancora dodici giorni di vacanze pagate. Le risposi che dovevamo partire. Non potevo rimanermene con le mani in mano in Svizzera. Non mi sarei goduto le vacanze.

I tempi erano di nuovo mutati. Nelle ultime settimane, i giornali israeliani avevano pubblicato dei servizi su Eichmann nei quali si narravano i suoi delitti e si avanzavano delle ipotesi sul suo nascondiglio. In quei giorni c'erano stati anche molti proces.5i di criminali nazisti in Germania e in Austria. La mia lettera all'ambasciatore israeliano arrivò al momento giusto. ll diplomatico la mandò a Gerusalemme e ne diede anche una copia alla Federazione delle Comunità Ebraiche dell'Austria a Vienna. La Federazione ne informò il ministro degli Interni austriaco, il quale ordinò alle autori.tà competenti di mettersi in contatto con me. Eichmann era ancora sulla lista austriaca dei « ricercati».

Tor.nato a Linz, parlai con i miei amici; naturalmente, non era Adolf Eichmann l'uomo che era stato visto ad Altaussee, ma uno dei suoi fratelli ... si trattava di un'altra delle solite voci. Ma ora le cose cominciavano a muoversi. Vennero a trovarmi due giovani israeliani, che chiamerò Michael e Meir, i quali mi dissero che in Israele c'era un grande interesse per il caso Eichm.ann e mi chiesero di continuare le indagini dal punto in cui le avevo l asciate n el I 954. A Francoforte sul M eno, il giudice incaricato di istruire il processo delle SS di Auschwitz mi disse che Eichmann era in testa all'elenco dei criminali sotto accusa e c hiese l a mia collaborazione. Prima che mi rendessi conto di quello che succedeva, mi trovai di nuovo immerso fino alla cima dei capelli nel caso Eichmann.

Riless l'intera pratica Eichmann. Il problema era quello di sapere se Eichmann viveva ancora a Buenos Aires. Tornai nel Tirolo sperando di riuscire a farmi dare dal vecchio barone il nome del suo amico di Buenos Aires che aveva scritto sei anni prima quella famosa lettera. Ma il barone era morto e la su a collezione di francobolli era stata venduta.

Mandai allora ùno dei miei uomini a parlare con la madre di Frau Eichmann. Frau Maria Liebl non fece una bu ona accoglienza al visitatore, ma si lasciò scappar detto che sua figlia in Sud-America aveva sposato un uomo di nome « Klems » o « Klemt ». Disse che non aveva l'indirizzo, che non ric-ev eva lettere e chiese di essere lasciata in pace.

Mandai in I sraele le poche informazioni c he avevo raccolto, e da Israele, il 1 o ottobre I 959, mi pervenne un mes.5aggio con il quale mi si informava che erano. state fatte delle indagini in Sud-America e si era scoperto l'indirizzo di Frau Eichmann che, a quanto pareva, viveva more uxorio con un .te-desco di n ome Ricardo Klement. Non ebbi il minimo dubbio che si trattasse invece di un matrimonio in piena regola ... che Frau Eichmann vives<>e con suo marito Adolf Eichmann. Altrimenti, la famiglia Eichmann a Linz non avrebbe messo nell'avviso m ortuario il nome di « Vera Eichmann » insieme con quello degli altri parenti. Poichè i ragazzi Eichmann vivevano a Buenos Aires con i genitori, mi venne in mente che forse dovevano ~re registrati pres.so l'ambasciata tedesca, dato che di Il a poco avrebbero raggiunto l'età di leva. Chiesi ad un amico di fare delle indagini con molta ,prudenza, ed egli m'informò che i ragazzi Eichmann erano stati effettivamente registrati all'ambasciata con il loro vero nome. (II funzionario competente dell'ambasciata confermò in seguito, non senza un certo imbarazzo, di « non aver mai saputo che quelli fossero i figli di Adolf Eichmann ».)

II 6 fe bbraio 1960, l'Oberosterreichische 'ljachrichten di Linz pubblicò l'avviso mortuario del padre di Eichmann, Adolf Eichmann, che era morto il giorno prima. Fra i nomi del.le « nuore » compariva di nuovo quello di « Vera Eichmann ». Spedii per posta aerea il ritaglio di giornale in Israele. Adolf Eichmann era stato molto affezionato al padre, ed ero sicuro che i fratelli avrebbero comunicato ad Adolf la notizia della morte del padre. C'era anche una vaga probabilità che Eichmann venisse ad assistere al funerale. Venni a sapere che i funerali avrebbero avuto luogo di lì a cinque giorni « perchè si aspettano dei parenti che vivono all'estero». Sapevo che uno dei fratelli di Eichmann, Emi! Rudolf, viveva a Franforte sul Meno.

Michael e Meir non mi avevano detto che cosa gli israeliani contassero di fare a Buenos Aires... ma ·una cosa era certa: dovevano mettere le mani sull'uomo giusto. Perciò avevano estremo bisogno di una fotografia che ritraesse le fattezze attuali di Adolf Eichmann. Fotografie recenti non ne avevamo, ma forse c'era ancora la possibilità di mettere insieme qualcosa di utile. Due giorni prima del funerale, andai al cimitero e studiai l'ubicazione della tomba. Mi convinsi che qu ello che avevo in mente poteva essere realizzato, specialmente in una buia giornata invernale. Presi un treno per Vienna e mi recai al Presseklub per parlare con due runici, esperti fotografi. Chiesi loro di venire a Linz e di fotografare tutti i componenti della famiglia Eichmann m~tre assistevano alla inumazione. La cosa important e, dissi loro, era che non si facessero vedere.

I miei amici fecero un ottimo lavoro. Nascosti di.etro una grossa lapide a una distanza di circa centocinquanta metri, e nonostante che la luce fosse tutt'altro che ideale, riuscirono a scattare delle fotografie molto nitide di coloro che assistevano al funerale. Quella sera stessa ebbi davanti a me le fotografie ingrandite dei quattro fratelli di Adolf Eichmann: Emil Rudolf, Otto, Friedrich e Robert. I miei due amici mi indicarono quale era Emi! Rudolf, il fratello di Francoforte, che non avevo mai visto prima. Otto, Friedrich e Robert li conoscevo già. Adolf non era venuto al funerale.

I due fotografi se ne andarono e io rimasi a studiare e a confrontare le fotografie. Tirai fuori dalla mia cartella la vecchia foto di Adolf Eichmann, quella che era stata scattata nel 1936, cioè ventiquattro anni prima. Messa accanto alle fotografie dei quattro fratelli, quella di Adolf sembrava la fotografia di un fratello minore. Presi una lente d'ingrandimento e studiai i lineamenti dei cinque fratelli. Parecchia gente mi aveva detto che Adolf Eichmann somigliava molto al fratello Otto. Studiando le fotografie con la lente d'ingrandimento, capii d'un tratto come mai tante persone avessero giurato negli anni passati di aver visto Adolf Eichmann ad Altaussee, mentre invece avevano visto soltanto un suo fratello. Erano tutti molto somiglianti. Direi che in tutta la famiglia le somiglianze erano notevoli. Rifl ettei sul problema che avevano di fronte gli israeliani in Argentina. Le foto di Eichmann, di cui disponeva.no, erano ormai vecchi e di ventiquattro anni. Es.si non avevano nemmeno le impronte digitali. Anni prima mi erano giunte all'orecchio delle voci, probabilmente messe in circolazione dalle origanizzazioni clandestine delle SS, che Eichmann si era fatto fare una plastica facciale. Sembrava che Eichmann avesse una cicatrice sulla fronte, proprio sotto l'attaccatura dei capelli, conseguenza di un incidente motociclistico. L'ex dipendente di Eichmann, Wisliceny, aveva accennato alla cicatrice nella descrizione che aveva fatto del suo superi ore. Questo particolare era stato confermato dalla testimonianza rilasciata a Norimberga da Krumey, un altro aiutante di Eichmann. Guardando le fotografie che avevo davanti, mi sentii convinto che qualsiasi intervento di plastica facciale non avrebbe potuto alterare sostanzialmente i lineamenti di Eichmann.

Se il « Ricardo Klement » di Buenos Aires altri non era che Adolf Eichmann, i segni del tempo dovevano aver lasciato sul suo viso le stesse tracce lasciate sui volti degli altri quattro fratelli. Ritagliai le facce dei quattro fratelli c he avevano assistito al funerale e la faccia d ella vecchia fotografia d i Adolf Ei c hmann. Mescol ai le facce come carte da gioco e le gettai sulla tavola. Ne venne fuori una specie di volto composito: forse quello di Adolf Eichmann.

Quando i giovani israeliani Michael e Meir tornarono a trovarmi, feci vedere anche a loro questo giochetto. « Questo deve essere il suo aspetto oggi. Probabilmente somiglierà di più a suo fratello Otto Ma tutti e cinque i fratelli hanno la stessa espressione del viso. Guardate la bocca, gli angoli della bocca, il mento, la forma del cranio.»

Michael scosse la testa mentre guardava le fotografie. « Fantastico! » disse .

Meir afferrò le fotografie e mi chiese : « Possiamo prenderle?»

Se mbrò che d'un tratto gli fosse venu ta la fretta. D'altra parte, io non volevo trattenerli nemmeno per un secondo. Non ebbi più loro notizie, e così pensai che non avessero più bisogno del mio aiuto. Ormai non c'era niente altro che io potessi fare.

Il lunedì 23 maggio 1960, il primo ministro David Ben Gurion comunicò al Knesset (Parlamento) israeliano che Eichmann era stato catturato e si trovava in una prigione israeliana. Poche ore dopo, ricevetti un breve telegramma di congratulazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme.

Qualche tempo dopo la cattura di Adolf Eichmann, incontrai uno dei miei ex « clienti » che era stato un alto ufficiale delle SS. Veniva spesso nel mio ufficio per fare quattro chiacchiere sui brutti giorni passati. Quel giorno entrò nella stanza, sbattè i tacchi, mi strinse le mani e disse: « Congratulazioni, Herr Wiesenthal. Saubere Arbeit [Bel lavoro]. »

E il bello è che era proprio sincero.

Vidi per la prima volta dei collaborazionisti ebrei nel ghetto di Lvov, e in seguito ne vidi in vari cam pi di concentramento. C'erano alcuni casi impressionanti. Q uando, dopo la guerra, mi capitava di parlare di questo problema, molti ebrei rimanevano turbati, forse perchè si erano aspettati che i loro correligionari fossero immuni dalla corruzione. Come tutt e le razze, anche noi abbiamo santi e peccatori, vigliacchi ed eroi. Quando cominciai a lavorare come investigatore per diversi uffici americani, non mi ci volle molto per scoprire che fra i membri delle organizzazioni ebraiche ve ne erano alcuni i cui precedenti di guerra erano a dir poco dubbi. Alcuni di costoro avevano fatto parte di un Judenrat, specie di Co nsiglio Ebraico che i tedesc hi avevano costituito in ogni ghetto e in ogni campo di concentramento.

Il compito più diffi cile dei Consigli Ebraici dei ghetti era stato qu ello di d ecidere quali nomi dovessero essere inclusi nelle « liste dei deportati » destinati ai campi di sterminio. I nazisti avevano fissato alcuni criteri (condizioni di salute, età, ecc.), ma con la loro tipica ma!..vag ità spesso lasciavano la scelta finale agli stessi ebrei. Alcuni m embri dei Consigli Ebraici facevano la sola cosa possibile in quelle circostanze: seguivano alla lettera i criteri stabiliti dai nazisti. Altri si fecero corrompere, accettarono favori, e manomisero le liste sperando di poteni salvare la pelle. C'era sempre la possibilità che la successiva spedizione fosse l'ultima e se si riusciva ad evitare di essere inclusi in quella lista, ci si poteva anche sa:vare. C'erano altri ebrei che collaboravano con certi' uffici nazisti o barattavano le vite degli altri per la propria. Alcuni ebrei avevano incarichi di sorveglianza nei campi di concen tram e nto. Talvolt a aiuta vano i loro correligionari, talaltra no.

Tutti costoro dopo la fine della guerra avrebbero dovuto rimanersene in silenzio, avrebbero dovuto cercare di farsi dimenticare. In vec e, molti si unirono alle organizzaz ion i create dagli ebrei dopo la guerra in Germania e in Austria, forse per un tardivo senso di pentimento o perchè in tal modo si ritenevano « al sicuro». Naturalmente, prima o poi la verità doveva venir fuori. Vennero riconosciuti, dai superstiti, che non avevano dimenticato, dovettero essere consegnati alle autorità alleate, e ci furono degli scandali.

I membri del Comitato Ebraico Centrale della zona americana dell'Austria mi nominarono vice presidente e mi misero a capo dell'ufficio legale e politico. lo ero responsabile dei miei collaboratori e perciò volli con me delle persone che avessero precedenti assolutamente limpidi . Stabilii la regola secondo cui nessun ebreo che avesse avuto funzioni di comando durante il regime nazista - indipendentemente dal fatto che vi fossero o meno delle accuse contro l'interessato - avrebbe potuto svolgere delle mansioni in una delle organizzazioni ebraiche create nel dopoguerra. Questa norma fu approvata dalle autorità americane e divenne nota, sebbene non in modo favorevole, come « Lex Wiesenthal » fra quelle persone dalla coscienza sporca che non mi avevano troppo in simpatia per questa mia iniziativa. Quando parlavo ai gruppi ebraici di questo problema, raccontavo ai miei ascoltatori la storia che avevo sentito da bambino, riguardante quel!' ebreo che aveva maledetto la moglie e che quan.do costei era morta venni! condannato a non pronunciare più una sola parola e passare il resto della vita « in silenzio » nella casa del grande rabbino di Czortkov. « Qualsiasi ebreo, » dicevo, « la cui bocca abbia trasmesso un ordine nazista inteso alla persecuzione di altri ebrei, deve essere condannato a non par!are mai più ad altri ebrei. »

Gli americani accettarono la mia proposta di creare un Comitato Ebraico, che avrebbe svolto le funzioni di commissione disciplinare, incaricato di investigare sui casi di collaborazionismo fra gli ebrei. Il Comitato dichiarò trenta ebrei colpevoli di collaborazionismo coi nazisti e cinque colpevoli di collaborazione con la NKVD sovietica. In conseguenza di quest'ultima forma di collaborazionismo molti ebrei erano stati mandati nei campi di concentramento della Siberia. Tuttavia il Comitato non aveva alcuna autorità ufficiale e le sue sentenze erano puramente simboliche. Le persone « condannate » che si opponevano al nostro giudizio avevano il diritto di ricorrere ai normali tribunal.i austriaci. Nessuno però lo fece. In Israele i collaborazionisti vennero per.seguiti dalle autorità e condannati dai tribunali.

Da allora, ho sempre nutrito dei sospetti nei confronti di quegli ebrei che affermano di aver salvato qualcuno. Chi aveva il potere di salvare, aveva anche il potere di condannare. Le SS e la Gestapo non erano organizzazioni di beneficenza: volevano, per un dato giorno, un certo numero di persone, e non una di meno, da caricare sul treno. Non c'era modo di contrattare. I deportati dovevano essere pronti alle 12,30 del giorno fissato, e non alle 12,40. Una volta che il nostro comitato discuteva il caso di un tale, un testimone si presentò a dichiarare che l'accusato lo aveva tolto da una lista di deportazione .

« Vi prego di essere indulgenti con lui, » disse il testimone « J.1i ha salvato la vita. »

« Quale nome venne messo sulla lista al posto del suo?» gli chiesi. Il testimone non rispose. L'accusato venne giudicato colpevole. lo applico gli stessi rigidi criteri alle persone che si offrono di aiutarmi nel mio lavoro. I loro precedenti devono essere . irreprensibili. Alcuni mi hanno anche chiesto di controllare il loro passato. Alex fu uno di questi.

Era molto nervoso quando entrò nel mio ufficio in quel giorno del 1 958 . Portava occhiali neri senza alcun motivo, dato che era una giornata scu ra e nuvolosa. Evidentemente quell'uomo era oppresso da u n segreto. Doveva essere fra i trentacinque e i quarant'anni; era alto e aveva i capelli biondo-rossicci. In piedi, di fronte a me, scosse le spalle come se non sapesse da che parte cominciare. « Temo che sia ·una strana storia. »

L o invitai a sedersi, chiusi la porta e gli ç>ffrii una sigaretta. Molte persone che vengono a trovarmi pensano che le loro siano delle strane storie. L o sono sempre dal loro punto di vista, e spesso anche . dal mio. Anni fa ricevevo spesso le visite di giovani provenienti da tutte le province austriache, che venivano da me perchè pensavano che rappresentassi gli israeliani. Non erano ebrei, ma volevano arruolarsi volontari nell'esercito israeliano. Io chiedevo loro perchè volessero andare in Israele, sperando segretamente di trovarne uno che mi dicesse di volersi arruolare per un senso di colpa o perchè desiderava compiere un gesto di riparazione. Purtroppo mi sbagliavo. Non era l'idealismo che Ii spingeva. Alcuni avevano passato parecchi anni nella Wehrmacht e non riuscivano ad abituarsi al trantran della vita borghese. Desideravano l'avventura Altri mi chiedevano senza ambagi: « Quale sarà la paga?» Erano moderni soldati di ventura che avrebbero combattuto per chiunque li avesse pagati. Io d ovevo dir loro che non rappresentavo nessuno e che, a parte tutto, gli israeliani sembravano benissimo in grado di badare a se stessi.

Alcuni V1s1tatori venivano a raccontarmi delle complicate storie in cui c'era una vecchia zia Martha che aveva aiutato dei vicini ebrei « prima che fossero portati via». Quegli amici le avevano promesso di regalarle dell'argenteria o un paio di candelieri, ma poi la Gestapo si era portata via ogni cosa. Ora volevano del denaro dalle « organizzazioni ebraiche che dovevano senza dubbio disporre di fondi per coloro che avevano aiutato gli ebrei ».

Una volta un vecchio sarto con un paio di baffetti alla Hitler venne a chiedermi consiglio sul modo di ottenere un « risarcimento per gli ebrei». Così era scritto sul giornale, e per lui ciò significava « risarcimento per i danni causati dagli ebrei ». Il suo era un caso molto chiaro, mi disre. Nel 1938 aveva fatto un vestito per un vecchio cliente ebreo, Herr Kahn, che da un giorno all'altro era stato arrestato e portato in un campo di concentramento. Herr Kahn aveva dimenticato di saldare la fattura prima di farsi portare via.

« Avrebbe dovuto pagarmi il vestito, » disre il sarto. « Dopo tutto, me lo aveva ordinato, non è così? Nqn è stata colpa mia se non ha potuto metterselo. »

Dovetti spiegargli che non si portano abiti nuovi in un campo di concentramento.

Ma quello non si lasciò smuovere. « C'è una legge sul risarcimento, non è così?» li giovane con gli occhiali scuri che sedeva di fronte alla mia scrivania non sembrava appartenere a una di queste categorie. Intuii che non doveva essere stato facile per lui venire a parlarmi. Feci finta di non osservarlo e<l egli si tolse gli occhiali.

« Nessuna legge è perfetta. Evidentemente i legislatori non hanno preso in considerazione una simile eventualità, » dissi. Ma non riuscii a convincerlo. Se ne andò borbottando che avrebbe fatto ricorso alle Behorden, le autorità.

« Nessuno sa che sono venuto a trovarla, » disse, come se ' fosse una cosa importante non essere visti nel mio ufficio. « Lo sa solo mio zio, o meglio l'uomo che io chiamo <zio>, ma non lo dirà a nessuno. Mi ha detto che facevo bene a venire da lei. È molto ammalato... Posso cominciare dal principio?

« Mio padre era ingegnere e proveniva da una famiglia che, prima della prima guerra mondiale, era stata molto rioca. Ricordo a malapena il nonno, che era un industriale. Mio padre mi parlava sovente di suo nonno, la cui fotografia era appesa nella biblioteca dentro una cornice ovale. Guardavo spesso quel ritratto che raffigurava un dignitoso signore con la barba bianca, la catena dell'orologio al panciotto e la papalina in capo. Mio padre mi diceva che suo nonno era stato un grande studioso.» Fece una pausa. « Era un rabbino.»

Devo confessare che guardai sbalordito il mio visitatore. Qualsiasi Rassenforscher (studioso di razze) nazista con un po' di sale in zucca non avrebbe esitato a classificare quel giovane come ariano al cento per cento. Aveva « il tipico cranio oblungo dei nordici», gli occhi grigio-azzurri, il naso diritto, che i nazisti consideravano ·prerogativa degli « ariani ». A mio giudizio, sembrava più ariano di tanti ariani dichiarati che avevo avuto la sfortuna di conoscere.

« Sì, mio nonno e mio padre erano ebrei. Mia madre era cristiana, e da lei ho ·preso i capelli biondi e gli occhi azzuri. Fui battezzato, sebbene a mia madre non sarebbe importato molto se fossi stato allevato nella religione ebraica. Ma i miei genitori pensarono che la vita sarebbe stata più facile per me se non fossi stato un israelita. Sono nato nel 1922. Quando Hitler invase l'Austria, nel 1938, avevo sedici anni. »

Ora parlava con maggiore scioltezza.

« D'un tratto mi trovai ad essere un Halbjude [mezzo ebreo]. fo non mi rendevo conto di che cosa significas.5e essere un mezzo eb;·eo, ma i 1miei genitori sì. Es.si sapevano quello che era aocaduto ai mezzò ebrei e a quelli che erano ebrei anche solo per un quarto in Germania negli ultimi quattro anni. Mio padre aveva studiato attentamente le leggi di Norimberga Ero figlio unico e mi amavano molli$imo. Mio padre passava con me tutto il tempo che il lavoro gli lasciava libero. Qualunque cosa facessero, il loro primo pensiero ero io. »

Per un po' rimase lì seduto in silenzio.

« I miei genitori discussero il problema della mia Halbjudentum con il loro migliore amico, l'uomo che io chiamo <Zio>. Costui era un medico molto noto a Vienna. Lui e mio padre erano amici intimi fin da quando andavano a scuola. Mio zio non è ebreo. Quel giorno, quando venne a ,casa nostra, intuii che nella biblioteca di mio padre si discuteva qualcosa di molto grave. Alla fine mi chiamarono. Erano tutti molto tesi, e mia madre stava piangendo.

« Mio padre era pallidissimo. Mii chiese se mi rendevo conto che in base alle leggi naziste io ero un Halbjude. Accennai di sì, ma la cosa non m'interessava molto. Avevo sedici anni e mi preoccupava di più la versione di latino che mi aspettava al Gymnasium. Papà mi spiegò che, poichè ero un mezzo ebreo, avrei dovuto lasciare il Gymnasium. Questo fu per me un colpo. Mi' disse che forse avrei dovuto lavorare in una fabbrica. Risposi che nessuno poteva costringermi a farlo.

« Mi guardò con aria triste e disre : < E invece si, loro possono. Poo.sono fare ben altro che questo... possono renderti la vita un inferno. > Naturalmente sapevo di < chi> stesse parlando mio padre. Anche nella mia classe c'erano dei nazisti.

« Mio padre disse : < Dobbiamo trovare il modo di proteggerti. Tua madre ed io non contiamo: abbiamo già vissuto la nostra vita. Ma tu hai ancora tutta un'esistenza davanti a te, e questo, credimi, vale un sacrificio. Abbiamo discusso il problema con lo zio Franz, ed ecco quello che faremo. Tua madre dichiarerà alle autorità che tu non sei... ecco, che tu non sei mio figlio. Dirà che lei e lo zio Franz... > Si fermò per un momento, quasi non fosse capace di proseguire, poi aggiunse: <Dirà che tu sei figlio loro e zio Franz lo confermerà. > »

Il mio visitatore guaroava fisso davanti a sè. « Ero completamente stordito. Mia madre smise di piangere e disse con voce calma: < Naturalmente papà è il tuo vero padre. Dirò loro una bugia. Dobbiamo farlo per te, per il tuo futuro.> »

« Io dissi: < Mamma, non capisco: che cosa devo fare?> Allora zio Franz, che aveva gli occhi pieni di lacrime, disre: < C'è solo una cosa che tu devi fare ora, ed è di dare ascolto al consiglio dei tuoi genitori. Non preoccuparti... andrà tutto bene.>»

Il mio visitatore continuava a tenere gli occhi fissi davanti a sè; forse rivedeva la scena che si era svolta nella biblioteca del padre.

« E così diventai un ariano. Non so che cosa fecero in pratica... Probabilmente mia madre fece una dichiarazione che venne firmata dallo zio Franz. Io con~rvai il mio cognome, perchè se zio Franz avesre voluto adottarmi ufficialmente avrebbe avuto bisogno del consenso della moglie, mentre tutta quella storia doveva rimanere segreta. Zio Franz era sposato e aveva dei figli, e non sarebbe stato facile per lui parlare alla moglie di questa faccenda. »

Mi domandavo ,perchè fosse venuto a raccontare proprio a me questa storia. Queste « arianizzazioni » erano state abbastanza frequenti a quel tempo. Altri ebrei disperati avevano cercato di proteggere i loro figli. Era una storia commovente, ma non insolita.

Il mio interlocutore disse con voce atona: « Nel 1940 mi arruolai come volontario... nelle W affen SS. »

Non potei fare a meno di sobbalzare. « Le SS! »

« Era stata un'idea di zio Franz e io fui d'accordo. Circolavano delle storie sulle atrocità commesse contro gli ebrei: non si sapeva nulla di certo, ma si sussurravano in giro molte cose. Pensammo che, anche se non ero più ufficialmente figlio di nùo padre, non avrebbero fatto del mal e a un ebreo il cui figlio si era arruolato per combattere come volontario nelle Waffen SS. Bene, compii il mio addestramento in Germania con un a divisione SS. Nella primavera del 1941 venimmo mandati nell'Est. Nel giugno ci fu l'atta cco di sorpresa contro la Russia. La nostra divisione ebbe l'onore di es.5ere la prima ad attraversare il confine sovietico.

« Mi trovavo nell'interno della Russia, quando ricevetti una breve lettera con la quale mia madre mi annunciava di aver divorziato dal babbo.. Non diceva altro perchè sapeva, naturalmente, che tutta la posta veniva censurata. Pochi mesi dopo andai a casa in licenza. Mia madre mi raccontò quello che era succ~. Un giorno era stata chiamata dalla Gestapo. Co min ciarono a grida r e co ntro di lei. Non sapeva che la madre di una SS non doveva rimanere sposata a un ebreo? Quand o disse che non avrebbe mai divorziato da suo marito, il commissario della Gestapo le rispose che avrebbe fatto bene a pensarci su, al trimenti mi avrebbero reso la vita difficile. Avrebbero anche potuto considerarmi di nuovo ebreo, e lei doveva sapere qu ello che dò avrebb e significato. Mia madre lo sapeva benissimo. Era il più sporco di tutti i ricatti. »

Si alzò e cominciò a camminare su giù davanti alla mia scrivania.

« Mio padre fu subito d'accordo. Aveva già intestato tutti i suoi beni a nome di mia madre . Pian gemmo. Papà non poteva più vivere in casa. Aveva affittato nelle vicinani.e una m isera stanzetta. Il giorno dopo dovetti tornare al fronte. Qualche set timana più tardi, essi vennero a prenderlo. Nè il divorzio di mia madre, nè il fatto che io combattessi con le Waffen SS servirono a salvarlo. Fu deportato con altri ebrei. Questo è tutto quello ch e seppi. A quel tempo ci trovavamo nella zona di Leningrado. Circolava la voce ch e venissero giustiziati molti civili, soprattutto e brei. Io non ci cred e vo perchè non volevo crederci. Senza dubbio quella gente erano spie, o sabotatori, o partigiani, come ci era stato detto. Forse fra loro c'erano anche degli ebrei, ma non venivano giustiziati perchè erano ebrei. Questa era la versione ufficiale e io l'accettai. Lei sa come andavano le cose, H err Wiesenthal. Se non si voleva credere a queste cose, si trovava sempre una spiegazione plausibile. »

Si rimise a sedere. « Forse ci crederei an cora oggi, se non fossi stato ferito e non mi avessero mandato al più vicin o ospedale dell e SS. Mi sistemarono mol to bene: eravamo solo in tre in una stanza. Gli altri due degenti erano delle SS che avevano prestato servizio in un campo di concentramento. Mi dissero quello che era accaduto agli ebrei nel loro campo. Non mi dissero tutto ... ma abbastanza da togliermi il sonno. Di là fui trasferito al gr05S0 centro ospedaliero di Riga, in Lettonia. Stavo in una stanzetta con un'altra SS che era stata colpita da un collasso nervoso. Mi disse che dopo essere andato avanti per settimane ad uccidere donne e bambini aveva avuto un collasso. Non aveva resistito più. Gli avevano detto che lo avrebbero fucilato se avesse fiatato... ma lui non poteva fare a meno di parlarne con qualcuno.

« Così ora sapevo tutta la verità. Era impossibile evitarla. Disteso nel mio letto, pensavo al babbo che avevo sempre amato. Mi tornarono alla mente tante cose, piccoli parti colari: quando la domenica matdna mi portava a fare una passeggiata e poi andavamo in una Konditorei e lui mi comprava dei dolci, ma mi diceva di non dire nulla alla mamma, perchè si sarebbe arrabbiata se fossi tornato a casa a mezzogiorno senza appetito e non avessi mangiato il pranzo che aveva preparato. Eravamo come due cospiratori. Non c'era nie~te che papà non avrebbe fatto per me. E io ero diventato un membro delle Waffen SS, le truppe scelte del Filhrer, e non potevo far nulla per aiutare mio padre. Non sapevo nemmeno dove lo avessero portato, se fosse ammalato... Non riuscivo a seguire i miei pensieri fino in fondo. Sapevo che doveva trovarsi in uno di quei campi di concentramento, ma non volevo sapere in quale. Pregavo Dio di non farmelo mai sapere. »

Si alzò, si avvicinò alla finestra e guwdò fuori. Avrebbe guardato qualsiasi cosa, pur di non dover guardare me o chiunque altro.

« Non appena mi dimisero dall'ospedale, feci domanda per tornare in prima linea. Mi dissero che ero matto. Avevo diritto a prestare un servizio più comodo nelle retrovie. Dissi di no, che volevo tornare al mio reparto. Quando fui al fronte, ,chiesi di andare volontario in servizio di pattuglia. Alla prima occasione mi feci catturare dai russi. Non potevo più combattere a fianco di quella gente. »

Si voltò e mi guardò. « Penso che qualcuno mi disprezzerebbe per questo. Forse ho sbagliato tutto. »

Aspettava che gli dicessi qualcosa. Era un ebreo che era diventato una SS. Aveva portato sul bavero deJ.la divisa il simbolo dei massacratori del suo popolo. Che cosa potevo dire? Che cosa poteva dire chiunque altro?

Annuì come se si fosse aspettato quel mio silenzio.

« Passai sei anni in vari campi di prigionia russi. Mi tenni chiuso dentro il mio segreto. Alla fine, nel 1955, tornai in Austria. Mia madre era morta. Papà era scomparso, < deportato all'Est>, insieme con ·milioni di altri ebrei. A Vienna c'era rimasto solo mio <zio>.»

La voce gli si era fatta dura. « Voleva aiutarmi. Mi disse di andare a stare per un po' con la sua famiglia. Ma io non volli andarci. Non volevo nemmeno parl are con lui. Mi sentivo tutto vuoto dentro, come se ogni sentimento mi si fosse inaridito nel cuore. Lo zio Franz cercò di farmi capire che lui ed io avevamo fatto tutto per il meglio. Non eravamo riusci t i a salvare mio padre, ma non era colpa nostra. Se non altro, io mi ero salvato. Se non mi aves">ero arianizzato, sarei morto anc h 'io.

« Risposi che forse sarebbe stato meglio se fossi morto. Che senso aveva la vita? Non avevo imparato niente e non avevo nessuna speranza. .. Le dispiacerebbe darmi un'altra sigaretta, per favore? »

Si accese fa sigaretta con mani tremanti. Dissi alla mia segretaria che non volevo essere disturbato, mi alzai e lo invitai a sedere accanto a me sul sofà.

« Lei ha capi to perchè sono venuto a trovarla,» disse. « lo non appartengo a nulla. Sono una SS? Sono un ebreo? Sono uno Hal.bjude? Appartengo ai persecutori o sono uno dei perseguitati?»

« Se la sua storia è vera - e non ho alcuna ragione per dubitarne - allora lei è uno di quelli che furono perseguitati. Come molti di noi, ha perduto i genitori. Ha cercato di salvare suo padre.. . »

Scosse il capo. « Non serve a niente. Per gli ebrei, io rimarrò una dannata SS. P er gli altri, sarò sempre uno sporco ebreo. Se dico la verità, sarò l'eterno nemico, il cattivo. »

Si alzò di scatto. « L e dirò per.chè sono venuto a trovarla, Herr Wiesenthal. lo mi sento ebreo. P er me, per lei, sono un ebreo. Ma per il mondo potrei rimanere una SS e aiutarla nel suo lavoro. No... non m'interrompa. Ho discusso la questione c on lo zio Franz. Gli ho detto che avevo ,letto d el lavoro che lei sta fac endo e che sa.rei venuto ad offrirle il mio aiuto. Lui ha capito ed è stato subito d'accordo con me. Questa è la sola cosa c he sento di poter fare e in cui potrei essere di qualche utilità. »

Io non dissi nulla.

« Non si fida di me? Lo so che è difficile credere a una stori a così fantastica. Comunque le ho ,portato tutte le informazioni che mi riguardano. È tutto qui, a comin ciare dal nome del mio nonno ebreo per finire con la data della deportazione di mio padre e col mio ritorno dall'Unione Sovietica.» E così dicendo mi porse due fogli dattiloscritti.

« Lei può controllare tutti i particolari. Mandi i suoi uomini alla polizia... dove vuole. Sono disposto a pagare per le indagini. Poi, quando sarà convinto che le ho detto la verità, mi scriva. Ecco il mio indirizzo. Io voglio lavorare per lei. Per me, sarà come pagare una minima parte dell'interesse su un debito enorme. Un pagamento simbolico, ma pur sempre un pagamento. »

Gli chiesi quale fosse la sua professione.

« Faccio il commesso viaggiatore. Il mio lavoro mi porta a girare per tutta l'Austria e la Germania e in seguito andrò anche in altre parti d'Europa. Non sono sposato. Come vede, potrei esserle utile. »

Due settimane più tardi, era di nuovo seduto davanti a me. Gli dissi che avevamo controllato tutto.

« Come del resto immaginavo, . lei mi ha detto la verità. Nessuno si sarebbe servito dei genitori morti per imbrogliar.mi. »

Con una sfumatura d'ironia, mi chiese: « Nemmeno una SS? »

« Spero di no. Ma ora devo dirle qualcosa che lei non sa. Ho fatto dell e indagini sulla deportazione di suo padre. Il convoglio al quale venne aggregato fu mandato a Riga ... Sì, è molto probabile che egli fosse là o nelle vicinanze mentre lei era ricoverato in ospedale.» ·

Questa notizia lo lasciò di sasso. Forse si rivedeva in quella stanza d'ospedale a Riga, accanto a quella SS che aveva avuto un collasso per aver ucciso troppa gente.

Inghiottì la saliva e disse: « Herr Wiesenthal, cominciamo... più presto è, meglio è. De vo fare qualcosa per lei o diventerò matto. »

Gli mostrai i nostri archivi e gli dissi come svolgevamo le nostre indagini. Quale membro di una SS I<.ameradschaft (associazione di veterani), non avrebbe avuto bisogno di fingere; avrebbe dovuto solo continuare a recitare per un altro po' la parte che aveva recitato durante la guerra. Le sue credenziali erano di prim'ordine e tutto andò bene. Venne accolto dai Kameraden che lo rispettarono per le sue idee « radicali » e divenne in breve uno di loro. Era un « buon tedesco » ... e questo per loro significava un cattivo tedesco ch e era rimasto cattivo.

Alex ed io non ci siamo mai incontrati in pubblico. Nelle sue comunicazioni mi chiama « Felix ». Ci incontriamo dove siamo sicuri di non essere visti da altri. Ha preso l'abitudine di leggere tutti i libri sulla seconda guerra mondiale e sul regime nazista che gli capitino per le mani. Spesso vede le cose con gli occhi d ell'uomo che è stato « dall'altra parte». Talvolta discutiamo un caso da entrambi i punti di vista e alla fine lo vediamo nella prospettiva giusta.

Un giorno mi disse: « Vorrei essere di nuovo un ebreo. Ufficialmente, di fronte al mondo. t quello il mio posto. >>

Io non fui sorpreso. Di~i che sì, che apparteneva a noi e che lo aveva dimostrato. Ma gli dis.si anche che avrebbe potuto fare di ·più per noi, almeno per qualche tempo ancora, se fosse rimasto « uno di loro ».

« Mi piacerebbe and are a vivere in I sraele. Là potrei davvero dimenticare il passato. »

« Hai pensato, Alex, a quelli laggiù che sono incapaci di dimenticare il passato? Un giorno potresti commettere uno sbaglio e raccontare che cosa sei stato. Essi non ti capirebbero. Io non voglio che tu sia di nuovo ferito ... sebbene per una diversa ragione. »

Restammo d'accordo di rinviare la decisione. Alex è ancor oggi un() dei miei più validi aiutanti Fino a che punto egli reciti bene la sua parte, lo scoprii qualche tempo fa. Venni informato ch e alcune SS di un capoluogo di provincia del!' Austria erano state sentite esprimere minacce di morte nei miei confronti. Passai l'informazione alla polizia di Stato austriaca, che mise subito al lavoro un paio di agenti. Dal canto mio, chiesi ad Alex di fare delle indagini.

Due settimane più tardi, il capo della poli zia di Stato mi mostrò il rapporto dei suoi uomini. Costoro si erano infiltrati nella Kameradschaft della ci ttà in questione e avevano assistito a parecchie riunioni. Il rapporto diceva che la SS più pericolosa era un certo X.Y., un uomo alto, con gli occhi grigio-azzurri e i capelli biondor ossicci, che aveva fatto parte delle Waffen SS; di mestiere faceva il commesso viaggiatore e veniva definito nel rapporto « uno di qu egli estremisti incorreggibili che è opportun o sorvegliare attentamente.»

Naturalmente, si trattava di Alex.

Alex ebbe una parte importante nel caso di Kurt Wiese. Tutto cominciò improvvisamente una sera agli inizi di l uglio del 1964. Stavo ascoltando il giornale radio, quando alla fine della trasmissione ci fu una breve pausa. Poi l'annunciatore tedesco disse, con il solito tono di voce impersonale: « Signore e signori, una importante comunicazione della polizia di Colonia: Kurt Wiese, accusato di crimini di guerra, è fuggito dall'appartamento di Colonia dove ha abitato negli ultimi due anni. Arrestato, era stato rilasciato dietro cauzione in attesa del processo. Aveva ricevuto l'ordine di presentarsi ogni tre giorni all'ufficio del pubblico ministero. Poichè da una settimana non si era fatto vivo, degli agenti investigativi andarono a cercarlo, ma vennero a sapere che Wiese non era stato più visto da diversi giorni... »

Non c'era alcuna partecipazione nel tono di voce profes.5ionalmente freddo dell'annunciatore che chiedeva agli ascoltatori « di comunicare ogni informazione utile » all'ufficio del pubblico ministe ro di Colonia o al più vicino posto di polizia.

Spensi la radio. Un altro criminale nazista era fuggito. Ma a chi interessava? Diversi erano già fuggiti negli ultimi mesi. La maggior parte degli ascoltatori dimenticavano il nome del fuggiasco non appena spegnevano i loro apparecchi radio. Nes.5uno di loro aveva mai sentito parlare di Kurt Wiese, un oscuro operaio delle locali officine automobilistiche Ford.

Mi era capitato spesso di leggere il nome di Wiese nel dossier del nootro Centro di Documentazione. Sapevo che era accusato di avere ucciso, nel 1942 e nel 1943, a Grodno e a Bialystok in Polonia, per lo meno duecento persone, fra cui ottanta bambini ebrei. Wicse era stato arrestato a Colonia nel 1963. Inesplicabilmente, era stato rilasciato qualche mese più tardi dietro versamento di una cauzione di 4000 marchi. Un giornale tedesco calcolò che oiò equivaleva a « venti marchi di cauzione per ogni delitto».

Il I 3 luglio 1 964, scrissi una lettera alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, protestando cont ro la frequenza con la quale i criminali di guerra venivano rilasciati dietro cauzione e deplorando la facilità con cui molti di essi erano riusciti a fuggire.

Grodno e Bialystok erano state occupate, dopo che Wiese vi aveva commesso i suoi delitti, dai sovietici. ·In occasione di una conferenza stampa a Vienna, parlai con Vladimir Gawilewski, capo ufficio deli'agenzia di informazioni sovi etica Tass. Gawilewski mi promise di scrivere nell'Unione Sovietica per farsi mandare tutto il materiale disponibile su Wiese. Quando, qualche tempo dopo, mi portò tutta la documentazione, mi disse : « So che lei se ne servirà. Se la dessi ai tedeschi occidentali, si limiterebbero a seppellirla nei loro archivi. » In realtà, io passai più tardi il materiale alle autorità tedesche. Per quanto ne so, quella fu la prima volta che i sovietici cooperarono con gli occidentali in un caso del genere.

La documentazione sovietica conteneva un elen co dei crimini di Wiese con i nomi dei testimoni e le relative deposizioni. In breve, nell'estate del 1942 Wiese aveva ucciso un uomo di nome Slep che aveva cercato di uscire dal ghetto senza autorizzazione. Aveva sparato a una donna di nome Adassa Kletzel, che aveva « cercato di introdurre un pezzo di pane nel ghetto». Nel novembre del 1942, « impiccò con le proprie mani una donna di nome Prooski e due uomini di nome Schindler e Drukker ». In seguito, aggiungeva la relazione, aveva sparato a una ragazza, il cui nome era rimasto sconosciuto, che si era resa coLpevole ai suoi occhi di « aver giocato con un gatto ».

Quando nel febbraio del 1 943 il ghetto n. I di Grodno venne eliminato, Wiese e altri membri della Gestapo fucilarono tutto il personale dell'ospedale del ghetto, circa quaranta persone. Il procuratore capo della Reptù>blica Sovietica Socialista Bielorussa mi informò che i testimoni principali, certi Zhukovski e Klowski, avrebbero avuto il ,permesso di venire in Germania per deporre contro Wiese. Per quan to mi constava, era questo il primo caso in cui veniva accordato un permesso del genere.

Secondo le nostre informazioni, nel dicembre 1942, all'ingresso del ghetto n. 1 Wiese aveva ucciso altri venti ebrei a raffiche di mitra. Al fatto era st a to presente il comandante del ghetto n. 2, una SS di nome Streblow. Durante la sparatoria, Wiese aveva ferito una delle guardie ebree del ghetto, che era fuggita via ed era poi crollata a terra nel cortile di una casa vicina. Wiese inseguì il disgraziato, lo vide steso al suolo e gli sparò alla testa.

Nel gennaio 1943, Wiese fermò un gruppo di lavoratori vicino all'ingresro del ghetto e li perquisì. Uno di costoro aveva indosso un pezzo di pane bianco e Wiese gli sparò sul posto. Tre giorni dopo perquisì un uomo di nome Kimche, nelle cui tasche trovò un pezzo di carne. Portò l'infelice nel posto di guardia e lo uccise. Nel febbraio 1943, Wiese aveva avuto molto da fare con la espulsione forzata da Grodno degli ultimi ebrei.

Ma la lista dei misfatti non è completa. Sulle attività di Wiese dopo il 1943 si sta ancora investigando.

Non so esattamente che cosa mi fece pensare che Wiese fosse scappato in Austria. Era solo un'intuizione, ma onnai ho imparato a fidarmi delle mie intuizioni, che si sono rivelate altrettanto utili quanto la ricerca paziente di indizi e di testimoni a distanza di venti anni, o quanto i più meticolosi procedimenti deduttivi. Molte unità SS stanziate nella zona di Grodno erano formate da austriaci e tedeschi. Pensai che Wiese avrebbe cercato di entrare in Austria e di mettersi in contatto con alcuni dei suoi ex camerati, che avrebbero potuto aiutar-lo, nasconderlo e in seguiito mandarlo in un paese « sicuro», nel Sud-America o nel Vicino .Oriente. ·

Telefonai ad Alex. In Germania e in Austria la Kameradschaft delle SS dispone di organizzazioni locali in tutte le grandi città e in molte delle città più piccole. I membri s'incontrano spesso in modeste locande o in squallide birrerie. (Possediamo una lista completa di questi luoghi per quello che riguarda l'Austria.) Gli incontri sono caratterizzati da un rituale segreto, come se si trattasse di un gioco da ragazzi. Spesso i membri dell'associazione si riuniscono nella Extrazimmer (saletta interna) sotto la benevola protezione dell'oste che tiene lontani i profani. Talora c'è un cameriere che monta la guardia; non so per quale motivo, moltissimi camerieri sono dei simpatizzanti nazisti. In certi luoghi un pianista intrattiene gli ignari clienti nella sala principale con un pot-pourri di valzer. Se un estraneo si avvicina alla zona riservata, il pianista dà l'allarme ai camerati suonando un motivo prestabilito.

Queste cerimonie da società segreta di solito non portano a nulla, perchè i camerati, il più delle volte, si limitano a ricordare il loro meraviglioso passato, a leggere dei volantini stampati alla macchia in Austria e in Germania, e a sperare in un glorioso futuro nazista. La maggior parte di loro sono dei tipi patetici, uomini invecchiati prima del tempo, che bevono una grande quantità di birra e parlano un gergo ormai fuori moda come il linguaggio truculento di Hitler. Ma sono bene organizzati, e i loro gruppi sono sempre pronti a nascondere i fuggiaschi e ad avviarli verso lidi più sicuri. Hanno aderenti dappertutto e probabilmente anche una specie di codice. Sono sicuri di essere pronti per Der T ag, « il Giorno », se e quando verrà.

In serata Alex mi telefonò da Innsbruck. Mi fece capire con molta prudenza - non c'è mai da fidarsi dei telefoni - di ave,re avuto notizie della « merce » e mi disse che si recava a Graz, la capitale della Stiria. Innsbruck, Graz e Salisburgo sono, in Austria, le tappe preferite dei nazisti in fuga. In questa città c'è un sistema di soccorso molto bene organizzato. Salisburgo è il centro ideale in quanto si trova solo a pochi chilometri dal confine tedesco. In estate lunghe colonne di automezzi transitano in entrambe le direzioni dal valico di frontiera di Walserberg e i controlli vengono effettuati solo pro forma. I cittadini tedeschi non hanno bisogno di passaporto : è sufficiente la patente di guida e un semplice documento di identità.

La sera seguente Alex mi telefonò da Graz. Era molto aigitato.

« Uno dei Kameraden mi ha detto che è appena arrivato in città un uomo che dice di essere un ,profugo della zona sovietica della Germania. <Quando uno scappa dai sovietici, dobbiamo aiutarlo,> mi ha detto il Kamerad... Ora mi domando se non possa essexe il tipo che stiamo cercando.»

« Come è arrivato a Graz? » chiesi.

« Mi hanno detto che è passato dalla Cecoslovacchia. Aspetta di essere raggiunto dalla moglie e spera di andare con lei nella Geronania Occidentale dove hanno dei parenti. »

« C'è qualcosa che mi puzza, Alex. Se fosse passato veramente dalla Cecoslovacchia, non sarebbe giunto a Graz. Sarebbe andato a Vienna, a Linz o a Salisburgo. »

« t proprio quello che pensavo. Forse farei bene a dare un'occhiata a quel tipo. »

« Può darsi che non sia l'uomo che cerchiamo, » dissi. « Ma potrebbe essere un altro ~rsonaggio interessante. »

« Uno dei camerati lo ha ospitato per la notte. Questa mattina quel tipo ha passato un'ora con Herbert Berghe von Trips. »

« Trips! » esclamai. « Allora deve es.sere l'uomo che cerchiamo. » Non potevo spiegare per telefono ad Alex che i pezzi del rompica~ stavano cominciando ad andare a posto. Durante la guerra, Trips era stato commissario della Gestapo e ultimo comandante della prigione cli Pawiak a Varsavia. i:: ricordato - non molto onorevolmente - in « Dietro le mura di Pawiak », un resoconto sulle atrocità commesse in quella prigione scritto da un polacco di nome Leon

Wanat. Nel mio Centro di Documentazione c'era una pratica intestata a Tri,ps. E una pratica esiste anche al Ministero degli Interni austriaco.

« E dove si trova ora il nostro uomo?» chiesi.

« Un certo Hubert Zinu:nermann, » disse Alex, « che zoppka vistosamente dalla gamba destra, ha lasciato Graz circa un'ora fa. Ma io so dove... »

Sentii un clic nel telefono. Alex doveva avere riattaccato. Aspettai per un po', ma non ci fu nessuna chiamata. lo non potevo telefonargli perchè non sapevo dove foo;e.

Alex mi richiamò la matti~a dopo sul presto.

« Mi dispiace di non aver potuto fuùre il rapporto ieri sera. Stavo parlando da un albergo di Graz, ma sul più bello è entrato un K~ merad. Ora sto parlando da un posto telefonico pubblico sulla strada per Semmering. »

« Che cosa stai facendo a Semmering? » Semmering è una famosa località di montagna un centinaio di chilometri a sud di Vienna, molto frequentata dai viennesi e dai turisti stranieri. Ci sono alberghi grandi e ,piccoli, belle pas.5oggiate fra i boschi, ski.lif t e vari divertimenti.

« <Hubert Zimmermann > è sceso in un grosso albergo di Sernmering, ed è as.5Ìstito da un vecchio amico, di nome Eberhard Gabriel. Ho saputo che < Zimmermann > verrà a Vienna domani... ma non so a far cosa. » ì. facile cambiare in un documento il nome di « Herbert » in quello di « Hubert ». Il mio primo pensiero fu perciò che Zimmermann avesse dato a Wiese la sua carta d'identità, ma in seguito un magistrato tedesco mi disse: « Til'lvolta i nazisti commettono degli sbagli, ma in questo oaso fu una pura coincidenza che Wiese avesse dei documenti intestati al nome di Zimmermann. Non erano i documenti di Herbert Zimmermann. Forse la spiegazione è che gli piaceva quel nome. »

Molto interessante, pensai. L'SS-Standartenfilhrer (colonnello) H erbert Zimmermann era stato il superiore sia di Wiese che di Trips durante la guerra. In seguito seppi che aveva chiesto a Wiese di ringraziare Trips, il quale in Germania era stato chiamato a deporre sul suo ex comandante e non aveva incriminato Zimmennann attenendosi al motto delle SS « Il mio onore è la fedeltà ». L'SS-Standartenfilhrer Zimmermann, incriminato in Germania, si suicidò nel gennaio 1 966.)

Ma non fu per pura coincidenza che Wiese andò ad alloggiare in quell'albergo di Semmering, dove una SS di nome Eberhard Gabriel lavorava come portiere di notte. Gabriel conosce ogni sorta di persone. Ed è anche benvoluto dai clienti ebrei dell'albergo.

Alex mi telefonò di nuovo il giorno successivo da Semmering. Trips era venuto a prelevare « Zimmermann » con l'automobile ed entrambi erano partiti per Vienna. Telefonai al Ministero degli Interni e mi informai dal dottor Josef Wiesiinger se le autorità tedesche avessero chiesto agli austriaci di ricercare ·Wiese. Nessuna richiesta del genere era pervenuta al Ministero; nessun mandato di arresto a ·carico di Wiese era arrivato a Vienna. Fornii al dottor Wiesinger la descrizione di Zimmermann-Wiese che avevo ricevuto da A}ex. Wiese era alto, sulJa cinquantina, indossava un abito grigio scuro e portava occhiali. Zoppicava dalla gamba destra a causa di una ferita riportata in guerra. Avrebbe dovuto essere facile riconoscerlo.

Nei giorni seguenti, « Zimmermann » rimase a Semmering ma fece tre gite a Vienna dove riuscì sem pre a fiar perdere le sue tracce. Pensai c he s'incontrasse con dei camerati e forse che cercasse di procurarsi del denaro e un visto per emigrare in un paese sicuro.

NeHe prime ore di martedì 21 luglio, una giornata calda e umida, Alex mi chiamò da Semmering. Aveva bisogno di vedermi subito.

Quando arrivai in auto, trovai Alex che mi aspettava impaziente.

« Dobbiamo lavorare alla svelta, altrimenti Wiese ci sfuggirà per sempre. È andato per due· volte all'ambasciata egiziana di Vienna. Sembra che abbia un passaporto rubato. Ha avuto delle difficoltà con i funzionari egiziani che non volevano rilasciargli un visto a Vienna. Non vogliono nemmeno che prenda a Vienna un aereo per Il Cairo. Gli hanno consigliato invece di andare in treno a Belgrado e poi <li presentarsi all'ambasciata egiziana in quella città. Ci sono voli frequenti da Belgrado al Cairo. Così questo ·è il piano. Wiese pensa di partire oggi ·pomeriggio alle 16,05 da Semmering con l'espresso di Graz. Da Graz è facile raggiungere Belgrado.»

Erano ormai le dieci passate. Ci rimaillevano menò di sei ore per fare arrestare Wiese. Se riusciva a lasciare l'Austria, sarebbe andato a raggiungere in Egitto gli altri criminali nazisti che sono stati incriminati per genocidio, ma che non possono essere processati. L'Egitto non concede l'estradizione.

Dis& ad Alex di tornare a Semmering e di tener d'occhio Wiese. lo tornai di volata a Vienna e telefonai al dottor Josef Wiesinger, al Ministero degli Interni. Gli dissi che Kurt Wiese si trovava in un certo albergo di Semmering sotto il nome di « Hubert Zimmermann », che aveva un passaporto falso, che gli era stato promesso un visto per l'Egitto e che avrebbe preso l'espresso del pomeriggio diretto a Graz.

Wiesinger non si volle compromet:tere. « Prima che io possa agire, dovrò avere la descrizione del ricercato dalle autorità tedesche, in modo che i miei funzionari possano confrontarla con la sua descrizione. Cerchi di farmi avere subito questa informazione.»

Feci una chiamata urgente per il Bundeskrimina/,amt (Ufficio Criminale Federale) di Wiesbaden. Chiesi di parlare con il funzionario che si occupava del caso Wiese, gli dissi quello che era successo e gli chiesi di darmi la esatta descrizione ufficiale del fuggiasco.

Il mio interlocutore di Wiesbaden esitò. Non aveva sottomano la pratica Wiese. Inoltre non era autorizzato a fornire informazioni « a priv~ti o ad organizzazioni non riconoociute ». Ancora una volta, non avendo una veste ufficiale, mi trovavo a cozzare contro ostacoli di questo genere.

« In questo momento sono le 12 ,30, » gli dissi. « Se aspettiamo altre tre ore, non prenderemo mai più Wiese. Voi avete sp iccato un mandato d'arresto, non è così? Non può leggermi i connotati del ricercato? »

« Non posso farlo, signor Wiesenthal. Cercherò di passare i connotati all'Interpol austriaca. »

«Ma ... »

« Mi dispiace, ma questa è l'unica via da seguire . »

Richiamai il Ministero degli Interni austriaco e chiesi a Wiesinger · di telefonare a Colonia, dove senza dubbio avrebbero potuto fornirgli una descrizione uffi ciale del ricercato. Un impie gato di Wiesinger telefonò a Colonia, ma dopo una lunga attesa si sentì dire che il procuratore di Stato non era in ufficio. Ch iamarono il magistrato della vicina Doctmund, ma non riuscirnno a t.rovarlo. Wiese aveva tutte le fortune. Erano quasi ie tre. C'era rimasta solo un'ora per poterlo arrestare.

Ritelefonai al dottor Wiesinger. « Se lei non manda subito i suoi uomini a Semme,ring, sarà troppo tardi. Un uomo accusato di genocidi o è sul punto di fuggire per sempre. »

« Lo so, » mi rispose, « ma non posso arrestare un tizio che ha una regolare carta d'identità tedesca intestata al nome di Zimmermann solo pcrchè lei afferma che costui non si chiama Zirn:mennann ma Wiese. La persona in questione non ha commesso alcun reato, secondo le leggi austriache. Due miei uomin i sono in stato di allarme. Non appena riceveremo un a comunicazione dalla Germania, passeremo all'azione, sem pre che le sue informazioni vengano confermate.»

Non m1 nmaneva altro da fare che aspettare. Anche se i poliziotti fos.sero partiti in quel momento da Vienna, non ce l'avrebbero fatta a raggrungere Semmering in tempo.

Alle 1 5, 1 8 il telefono squillò nel mio ufficio. Quando sentii la voce di Wiesinger, quasi cascai dalla sedia.

« L'Interpol mi ha telefonato subito dopo la sua chiamata. La sua informazione era giusta: quell'uomo è Wiese. Ho mandato due funzionari a Semmering su un'auto della polizia con sirena e hanno buone probabilità di arrivare in tempo. »

Guardai l'orologio. « Sono le quindici e venti. »

« Ho detto ai miei uomini di salire in treno senza farsi notare. Non vogliamo che ci sia troppa confusione alla stazione di Semmeri:ng... La richiamerò quando saprò qualche cosa. »

L'ora che segui fu interminabile. Alle sedici e venticinque, Wiesinger telefonò. I suoi uomini avevano aITestato Kurt \Viese.

Alex tornò a Vienna quel pomeriggio e mi raccontò ciò che era accaduto. Si era trattenuto nell'atrio dell'albergo, e poi aveva seguì,to Wiese e Gabriel alla stazione di Semmering.

« Arrivò il treno da Vienna. Può immaginare come mi sentii quando vidi Wiese stringere la mano a Gabriel e salire sul treno. Sapevo che il treno sarebbe partito di B a tre minuti. Ero sul pµnto di salire anch'io e magari fare qualche sciocchezza, quando arrivarono i due poliziotti. Il treno si stava già muovendo, ma riuscirono a saltare sull'ultima vettura. Sentii un fischio e vidi sparire il convoglio sotto il tunnel del Semrnering. »

Il resto della storia lo seppi dai due poliziotti. Aspettarono fino a che il treno non ebbe superato la galleria; quando furono vicini alla stazione successiva, Miirzzuschlag, attraversarono il convoglio fino a che arrivarono ad uno scompartimento occupato da un uomo solo. Il viaggiatore ,teneva la gamba destra tesa. Lo osservarono con oalma. A un certo momento l'uomo si a:lzò per prendere un giornale dalla reticella, e i due poliziotti si accorsero che zoppicava dalla gamba destra.

Il treno stava rallentando in prossimità di Miirzzuschlag. Allora i due agenti entrarono nello scompartimento e si fermarono davanti al viaggiatore.

« Herr Wiese, » disse uno dei poliziotti.

Lo colsero talmente di sorpresa che Wiese annuì col capo... poi scosse la testa, e d'un tratto i suoi oochi si riempirono di paura. Cercò di dire : « Io mi chiamo... »

« Saippiamo come si chiama, Herr Wiese. Lei viaggia sotto il ner me di Hubert Zirnmennann. Ci mostri la sua carta d'identità, per favore. »

Wiese, pallidissimo, porse loro il dooumento. Intanto il treno si era fermato.

« Lei è in arresto, HeIT Wiese, » disse · uno dei poliziotti. « Ci segua.»

Lo portarono in automobiie a Vienna; Wiese fece una completa confesmone che combaciava esattamente con le informazioni che Alex mi aveva fornito d-a Graz, dove Wiese aveva raccontato ai Kameraden la storia della sua fuga.

Da Colonia era andato in automobile fino alla città tedesca di Lindau, presso il confine austriaco. Una donna lo aveva accompagnato fin là. Wiese, da perfetto cavaliere, non rivelò alla polizia il nome di costei. Inoltre si era premurato di preparare un alibi per la sua complice. Circa cento metri prima di arrivare al confine, Wiese era sceso dall'auto portandosi ciietro la valigia.

C'era un piccolo chi06C0 con una ragazza che vendeva giornali, sigarette e dolciumi. Alex andò poi a parlare con la ragazza, che ricordava benissimo la scena.

« Sembrava nervoso quando entrò nel chiosco, » dis.se la ragazza. « Era alto, coi capelli biondo scuro, sulla cinquantina, e zoppicava vistosamente dalla gamba destra. Portava gli occhiali e indossava un abito scuro.

« Chiese un giornale. Mi parve di notare che gli tremassero le mani quando posò a terra la valigia. Pensai che forse la valigia era pesante e che lo aveva affatica..to, oppure che era nervoso perchè stava cercando di contrabbandare un ·po' di sigarette, » disse la ragazza ad Alex. « I contrabbandieri portano scritto in faccia che hanno la coscienza sporca. »

Alex annuì. Non disse alla ragazza che quehl'uomo aveva davvero la coscienza sporca... ma non perchè stesse cercando di contrabbandare sigarette.

« Quando mi pagò il giornale, notai le sue mani grosse e forti, » continuò la ragazza del chiosco. « Mi disse che voleva andare a Bregenz, dall'altra parte della frontiera, in Austria, e mi chiese se di qui passavano molte automobili. P ensai che fosse stanco morto. Gli dissi che, se aspettava un po', senza dubbio avrebbe trovato qualcuno che gli avrebbe dato un passaggio fino a Bregenz. Gli dissi che era meglio aspettare piuttosto che arrivare a piedi al posto di frontiera con quella valigia. I doganieri gli avrebbero fatto delle domande e potev,ano anche chiedergli di aprirla. Ma se stava in automobile non lo avrebbero infastidito. Il traffico era intenso e non avevano tempo per perquisire ogni macchina.

« Mentre parlava, vidi un'auto con una targa tedesca che si avvicinava. Gli dissi di provare con quella. Mi ringraziò, prese la valigia e fermò l'auto. Al volante c'era una donna. Scambiò con lei qualche parola - probabilmente le chiese di dargli un passaggio - e vidi che la donna annuiva. Allora girò·intorno a:lla macchina, mi fece un cenno di saluto con la mano, salì e l'auto proseguì verso il confine austriaco. »

Era un bell'alibi. La ragazza del chiosco avrebbe testimoniato che Wiese aveva fermato un'auto e si era fatto dare un passaggio da una donna che presumibilmente non aveva mai visto prima. Lo stesso Wiese aveva raccontato la storia ai Kameraden di Graz, che erano stati molto colpiti da quella coraggiosa donna tedesca che aveva corso un simile rischio.

« Ci sono ancora delle tedesche come si deve, disposte ad aiutare un camerata nel bisogno,» esclamò un ex SS Fiihrer. « Non delle puttane come tutte le altre! Vi dico, Kameraden, che possiamo ancora sperare in un futuro migliore... E adesro, ancora birra. »

Vennero portati a:ltri boccali di birra, e tutti solennemente brindarono a un futuro migliore.

Wiese non rivelò il nome della donna tedesca, ma fu meno cavalleresco nei confronti dei suoi Kameraden di Graz. Fornì alla polizia austriaca i nomi di tutti coloro che lo avevano aiutato. Oggi sono tutti in stato di accusa. Ciascuno di loro si chiese . chi avesse denunciato Wiese a me. E ognuno, come ho saputo più tardi, non potè fare a meno di sospettare i suoi Kameraden.

This article is from: