71 minute read

CAPITOLO XVIII · L'ALTRA FACCIA DELLA LUNA

Un giorno dell'aprì/è 1945, poco prima della fine della guerra in Europa, giunse al campo di concentramento di M authausen un convoglio proveniente dall'Ungheria. La maggior parte dei nuovi arrivati erano deboli e patiti; a quanto pareva, la direzione del ca,mpo li aveva già cancellati dalle sue liste, perchè vennero mandati direttamente alle baracche della morte, dove giacevo anch'io.

Fra i nuovi arrivati c'era un noto rabbino ungherese. Si mormorava che fosse riuscito a introdurre nel campo di concentramento un libriccino di preghiere. Ammirai il suo coraggio. Sapeva senza dubbio che le SS punivano chiunque portasse dentro qualcosa, anche solo un vecchio spazzolino da denti o un pezzo di specchio rotto.

Advertisement

Il giorno dopo, il rabbino venne nella nostra camerata, fermandosi accanto ad ogni letto. Molti di noi erano tanto denutriti che non ce la facevano nemmeno ad alzarsi a sedere sul letto. Pensavo che il rabbino avrebbe parlato per dare loro un po' di conforto. Invece, disse che era disposto a prestare per quindici minuti il suo libro di preghiere a chiunque lo volesse. Il « prezzo di noleggio » era un quarto della razione giornaliera di minestra. Bisogna pensare che una scodella di brodaglia era tutto ciò che ci veniva passato in ventiquattro ore. Tumwia, molti furono lieti di cedere parte della loro misera razione pur di avere il libro di preghiere per quindici minuti. Era un libretto nero, che si poteva tenere fra le palme delle mani.

I miei compagni erano troppo deboli per leggere, ma il libro ricordavà loro la fanciullezza, il servizio del venerdì sera alla sinagoga, la voce del cantore. Il libretto li riportava con la memoria nel tinello di casa loro, dove si accendevano le candele per il sabbath, mentre dalla cucina veniva un profumo delizioso. Uno dei morituri della nostra camerata era un giudice che si era convertito al cattol.icesimo, ma anche lui noleggiò il libriccino e passò quindici preziosi minuti con i suoi ricordi, poi diede al rabbino un quarto della sua razione di minestra

Il rabbino~ però, morì prima di tutti. La troppa · minestra ingerita era stata fatale per il suo stomaco indebolito. Fu portato via, e nessuno ci fece caso. Mi chiesi che fine avesse fatto il libro di preghiere.

Dopo la liberazione, venimmo portati nel campo di riposo di Bindermichl a Linz, dove fummo curati da medici americani. Gli americani costruirono una piccola sinagoga all'interno del campo. Per la funzione inaugurale, nell'aprile del 1946, fu portata una Torah dall'America, e dall'America venne pure un vecchio rabbino per recitare le prime preghiere.

Dissi ai miei amici che non avrei assistito alla funzione. Non potevo dire loro che non volevo vedere mai più un rabbino. Non riuscivo a dimenticare l'ingordo individuo che aveva barattato la fede per il cibo. Invece di confortare i moribondi, si era riempito lo stomaco con la loro minestra. Ne avevo abbastanza di tipi del genere. Quella sera il rabbino Silver venne a trovarmi. Era un uomo piccolo, e indossava l'uniforme dell'esercito americano senza distintivi. Aveva una barbetta bianca e gli occhi chiari erano pieni di bontà. Doveva avere almeno settantacinque anni, ma era sveglio di mente e la sua voce era giovanile. Mi disse che era nato in Ucraina, il paese dei pogrom, e che da bambino era emigrato in America, il paese della speranza.

Mi mise una màno sulla spalla. « Sicchè, mi hanno- detto che lei è in collera con Dio, » disse in yiddish, e mi sorrise.

Dissi che non ero in collera con Dio, ma con uno dei suoi servi, e gli raccontai l'accaduto.

Egli continuò a so-rridere. « È tutto qui ciò che deve dirmi? »

« Non è abbastanza, rabbino?» chiesi.

« Du Dummer [tu, sciocco],» mi disse. « Così lei guarda solo il cattivo che defrauda i buoni. Perchè non guarda invece i buoni che danno qualcosa al cattivo? » Mi toccò col palmo della mano aperta e se ne andò. 1

Il giorno dopo andai al servizio divino. Da quel momento in poi ho sempre cercato di ricordare che ci sono due facce per ogni problema, sebbene talvolta sia difficile vedere l'altra faccia come è difficile vedere l'altra faccia della luna.

Penso spesso al vecchio rabbino Silver quando mi trovo di fronte a un problema complesso che non offre risposte semplici. Pensai a lui una mattina del settembre 1965, seduto di fronte a Frau C. Aveva un tailleur di tweed e una piccola borsa da viaggio. Aveva pas-

, sato tutta la notte sul treno proveniente dalla Germania. Era spettinata. Dalla stazione era venuta direttamente al mio ufficio con un truci.

« Dovevo vederla, Herr Wiesenthal. Non potevo aspettare. Ho bisogno del suo aiuto per la mia domanda di risarcimento. E devo parlare con qualcuno che mi creda. Nessuno mi crede, perchè la mia storia è molto difficile da credere. »

Eppure, la sua storia è vera. In seguito controllai accuratamente tutti i fatti. Frau C. è la moglie ebrea di un ex generale tedesco delle SS.

Aveva sessant'anni quando venne da me, e il dolore aveva lasciato segni profondi sul suo volto. Ma le credetti quando mi disse che un tempo era stata una bella ragazza, e anche piuttosto vivace. Aveva ereditato il temperamento della madre, un'attrice viennese. Intraprese anche lei la carriera artistica, e interpretava parti di scarso rilievo a Monaco quando, nel 1934, conobbe lui. Lo chiameremo Hans. Il loro amore fu travolgente e spensierato. Si proposero di non parlare mai del futuro. Lei sapeva . che Hans andava regolarmente in una specie di ufficio, ma non gli fece mai troppe domande. Le bastava che aves.5e un lavoro; c'erano tante persone disoccupate a Monaco e in tutta la Germania nel 1934. Solo quando il dottore le disse che avrebbe avuto un figlio, cominciò a fare qualche domanda. Hans la prese fra le braccia e le disse che non doveva piangere. Aveva da farle una confessione: lavorava nella sezione politica delle SS. Era quello il suo « ufficio».

« Non piansi, » mi disse Frau C. « Ero atterrita, perchè a quel punto anch'io dovevo fare una confessione. Gli avevo detto che mio padre era morto, ma gli avevo mentito. Mia madre era cattolica; mio padre, padre naturale, era un avvocato ebreo di Berlino. Ciò significava che io non ero <ariana> come lui aveva creduto. Ero mezza ebrea. Poichè faceva parte delle SS, non avrebbe mai potuto sposarmi. Ma Hans non volle darsi per vinto: era un uomo meraviglioso. Disse che avremmo potuto affidare il bambino a un istituto delle SS e vivere insieme senza sposarci. Gli dissi che volevo allevare io il bambino. Jfans andò a Berlino a parlare con mio padre, il quale gli disse che il suo nome non figurava su alcuno dei documenti che mi riguardavano. Ciò significava che potevo passare per ariana e che potevamo sposarci. In realtà, non fu facile, e Hans dovette lottare due anni prima che le SS gli permettes.5ero di sposarsi; suppongo che avessero dei dubbi, dato che ufficialmente io non avevo padre. Ma ero bionda e avevo gli occhi azzurri. Se avessi avuto un aspetto più da ebrea, non gli avrebb~ro mai dato il permesso. »

Vivevano felici con la loro bambina in un grande appartamento a Monaco. Un'auto di servizio andava tutte le mattine a prendere Hans per portarlo al campo di concentramento di Dachau, dove egli dirigeva la sezione politica.

« Le cose peggiori non erano ancora accadute, » continuò Frau C. « Hans faceva sempre in modo di evitare quei corsi speciali in cui si insegnava a catturare, a torturare, a uccidere la gente. Sì, già allora c'erano questi corsi. Ma gli anni passarono, e le cose andarono sempre più peggiorando. Hans vedeva troppo e sapeva troppo. Aveva avuto la promozione a colonnello delle SS, e chiese di essere trasferito ad Amburgo. Gli venne affidato il ·comando del piccolo campo di concentramento di Neuengamme, nei pressi di Amburgo. In questo modo Hans sperava di essersi salvato dal peggio, ma s'ingannava. Neuengamme era un campo di sterminio; fra il 1938 e il 1945 vi morirono cinquantacinquemila persone, provenienti dalla Francia, dalla Danimarca, dalla Norvegia, dai Paesi Bassi, dall'Austria, dal Belgio, dall'Unione Sovietica e dalla Germania. Tutti i convogli che venivano da Amburgo e dalla Germania settentrionale facevano capo lì. La nostra casa non era lontana dal campo. Io cercavo di aiutare i detenuti per quel che potevo: chiedevo ad Hans di mandarne qualcuno a lavorare a casa nostra e davo loro del cibo. Poi la Gestapo lo venne a sapere e ricevemmo l'ordine di andare ad abitare ad Amburgo, dove ci venne messo a disposizione un grande appartamento. Da quel momento in poi, credo di essere stata sottoposta a continua sorveglianza. Sapevano che non c'era da fidarsi di me. »

Da quando erano cominciati i bombardamenti aerei alleati, che finirono per distruggere il centro di Amburgo, Frau C. passava le notti nel rifugio antiaereo. Qui notò una ragazza di nome Esther, che se ne stava sempre appartata e non parlava mai con nessuno.

« Sapevo che era ebrea e dovevo aiutarla, » disse Frau C. « Era come un obbligo per me. Ma era anche una cosa pazzesca per la moglie di un alto ufficiale delle SS. » La signora alzò le spalle.

La giovane ebrea era molto timida e anche molto restia a parlare con Frau C. Dopo qualche tempo Frau C. le portò un thermos perchè si era accorta che Esther era sfinita, e la loro conoscenza divenne più intima. Esther viveva in una soffitta, dove alcuni vicini cristiani cercavano di nasconderla. Sua madre era già stata portata nel campo di concentramento di Ravensbruck, e Esther sapeva che « loro» sa- rebbero venuti presto a prendere anche lei. Era terrorizzata perchè aspettava un bambino.

« La portai a casa con me. -Mio marito non c'era. Accada quel che vuole accadere, dissi a me stessa, ma il bambino deve nascere. Il bambino deve vivere. Ma una notte gli uomini della Gestapo vennero a prenderla. Li supplicai, e mi dissero che per quella notte Esther poteva rimanere da me, ma che l'indomani mattina alle cinque avrebbe dovuto trovarsi a Biberhaus, da dove partiva il convoglio per Ravensbruck. Quando se ne furono andati, mettemmo alcune cose in una valigia e andammo alla stazione. A mezzanotte c'era un treno per Monaco, dove avevo ancora un appartamento. Arrivati a Monaco, mi resi ·conto che ci volevano dei documenti per Esther. Andai a Ratisbona e rubai il passaporto di mia cognata. Poi dissi ai conoscenti di Monaco che Esther era mia cognata. Quindi mandai a dire a mio marito che ero incinta, spiegandogli che per il momento avevo tenuto la cosa segreta. Gli dissi che mi sentivo più sicura a Monaco che ad Amburgo. Hans dovette sentirsi sollevato. Aveva avuto parecchi fastidi con i suoi superiori ad Amburgo perchè parlavo troppo liberamente. »

Hans fu molto felice della notizia. Questa volta, sperava che fosse un maschio. La bambina, che aveva sei anni, viveva con la nonna patema in una villa a Ratisbona. Hans mandò alla moglie tante belle cose per il bambino; sperava che tutto andasse bene per lei e per il piccolo. Quando giunse il momento, Frau C. portò Esther in una clinica privata dove andavano solo le mogli degli ufficiali superiori.

« C'era un modo per farla accettare,» disse Frau C. « Iscrissi Esther sotto il mio nome. Vendetti alcuni gioielli per pagare il medico e la clinica. Mio marito non capiva perchè non fossi andata nel grande ospedale delle SS, vicino a Monaco, dove avrei avuto tutto gratis. Gli spiegai che non mi sarebbe piaciuto mettere al mondo mio .figlio in un posto che era ufficialmente sotto la giurisdizione delle SS. Comprese. Il bambino nacque il 28 agosto; un bel piccino che non sapeva di avere qualcosa di s~agliato: era ebreo. Me lo portai a casa ed Esther rimase in clinica. Sapevo che rischiavo la vita, ma non me ne importava gran che; il bambino era molto più importante.»

Frau C. sperava che Esther tornasse presto anche lei, ma sopraggiunsero delle complicazioni; il dottore era preoccupato. Nel frattempo Hans aveva ottenuto una licenza speciale per vedere il figlio. Arrivò con il suo amico Weiss, che lavorava al comando del campo di concentramento di Dachau. Frau C. li osservò mentre ammira- vano il piccolo. Lo tolsero dalla culla per giocarci, e sembravano anche loro due bambini.

« Se avessero saputo che il piccino era ebreo... Non potevo pensarci. Dio mio, avr ebbe dovuto vedere mio marito! Era fuori di sè. Avvolse il bambino in uno scialle e lo portò a fare una passeggiata al Tegernsee. Può immaginare q u ello che provavo? Fui felice quando la sua licenza finì. Speravo che Esther migliorasse e che tornasse presto. Ma u~a sera mi chiamarono dalla clinica. .. e quella notte lei morì fra le mie braccia. DovettLraccontare la verità al dottore. Egli doveva denunciare il decesso, e Esther era iscritta sotto il mio nome! Ufficialmente ero morta qu ella notte ... e invece ero lì di fronte a lui. Prese il telefono e chiamò la Gestapo. »

Due ore dopo la Gestapo andò a prendere Frau C. Ella cercò di giustifi.c:arsi in qualche modo; disse che non sapeva che Esther fosse ebrea, che si era preoccupata solo del bambino, che intendeva adottarlo. Non credettero nemmeno una parola. Se aveva tan t a voglia di adottare un bambino, le dissero, avrebbe potuto adottare uno dei figli illegittimi d elle SS. Qu esto avrebbe dovuto fare la moglie tedesca di una buona SS. La trattennero cinq u e giorni e la picchiarono senza pietà, ma lei continuò a sostenere la verità: suo marito era all'oscuro di tutto. Fu mandata nel più vicino campo di concentramento.

« E il bambino? » le chiesi.

« Lo uccisero sotto i miei occhi, » mi rispose. « Aveva appena dieci settimane. » Era seduta con le mani in grembo, stanchissima. « Naturalmente, scoprirono tutto sul mio conto... su mio padre. Hans lo aveva protetto fino a quel momento. Andarono a prendere anche mio padre, e... be', lei immagina il resto. Quanto a mio marito, evidentemente mi credettero quando dissi che non ne sapeva nulla, perchè lo mantennero al suo posto. »

Frau C. passò diciotto mesi nel campo di concentramento, fino a che non le riusd di scappare in Olanda non molto prima della fine della guerra. Dopo la guerra, lei e il marito si erano riuniti ed erano tornati a Monaco.

« Quello fu il periodo peggiore. Gli americani arrestarono mio marito e mi t rattarono come una criminale. Per loro, ero la moglie di un generale delle SS. Gli ebrei e il personale del campo di concentramento mi odiavano. Gli ex nazisti mi disprezzavano perchè sapevano che ero ebrea. Dovunque mi girassi, non trovavo un amico, una persona che mi cred esse. Ancora oggi mi chiedono: < Perchè l'ha fatto?>, ma ciascuno intende una cosa diversa. Gli ebrei si chie-

- dono perchè abbia sposato una SS; e i nazisti perchè abbia aiutato una ebrea, pur essendo la moglie di un SS-Fuhrer. E le autorità della Germania Occidentale hanno respinto la mia domanda di risarcimento benchè sia stata detenuta in un campo di concentramento... Sì, la povera Esther mi scrisse una lettera dalla clinica poco prima di morire. Mi predisse esattamente ciò che mi sarebbe accaduto. <Nessuno avrà pietà di lei. Dovunque si volterà, troverà odio.> »

« E suo marito?»

« Quando lo scandalo scoppiò, alcuni suoi Kameraden gli dissero che avrebbe dovuto spararmi. Egli non lo fece. Non mi disre mai una sola parola di rimprovero. In effetti, lui e il suo amico Weiss furono le uniche persone comprensive: due SS che avevano comandato dei campi di concentramento. » Frau C. si sporse in avanti e mi prese per un braccio. « Ha un senso per lei tutto questo? C'è qualcosa che abbia un senso? »

Lo Herr Direktor D. è uno stimato abitante di una grande città tedesca. Un uomo con una posizione importante, un buon reddito, una bella casa, un giro di amici della sua condizione. Una Mercedes con autista viene a prenderlo ogni mattina, e ogni sera lo riporta a casa. I vicini si tolgono il cappello e fanno un profondo inchino quando incontrano lo Herr Direktor. Sebbene abiti nella città solo da pochi anni, in breve è diventato socio di un Verein (circolo), è stato invitato nelle migliori case, si è abbonato agli spettacoli teatrali del lunedì: è insomma un uomo piuttosto in vista. Certo, qualcuno si è chiesto: « Di dove viene? Che cosa faceva prima?» Ma chiunque sia un Menschenkenner (conoscitore di uomini) si rende conto che lo Herr Direktor D. è un esponente fortunato della nuova Wohlstandsgesellschaft (società del benessere) tedesca. Che importa di dove venga? Non conta ciò che è, ma ciò che rappresenta.

Mi domando che cosa direbbero gli amici e i vicini se sapessero che lo Herr Direktor D. - che in realtà ha un nome diverso da quello con cui tutti lo conoscono - fece una brillante carriera in tempo di guerra come vice comandante di un famigerato campo di concentramento, e fu personalmente responsabile della morte di almeno trenta persone. Questi sono i casi di cui io ho notizia; ma Dio solo sa quanti furono in effetti. Nel 1963, avevo finalmente trovato quest'uomo dopo una ricerca che era durata due anni e che si era svolta su due continenti. Conoscevo il suo vero nome, i suoi precedenti, i suoi delitti. Ma questo era tutto: non potevo fare nulla per farlo processare.

Il procuratore di Stato della città di D. mi aveva detto: « Ho esaminato le sue prove, e devo dirle che siamo in presenza di un caso sconcertante. Lo definisco cosi anche se, dopo le esperienze fatte negli ultimi anni, non mi lascio impressionare tanto facilmente. Purtroppo la documentazione si basa su notizie riferite. Abbiamo bisogno di testimoni oculari. »

« Non è facile trovare testimoni oculari reduci da campi cosi piccoli, dopo più di vent'anni, Herr Staatsanwalt, » dissi.

« Lo .so, ma quest'uomo ha amici potenti. Se non riusciamo a mettere insieme un'accusa molto solida, il procesw si trasformerebbe in un boomerang. Mi porti un testimone oculare degno di fede, e procederò. »

Cosi cominciò la lunga ricerca di testjmoni oculari. Molte delle persone che trovai erano a conoscenza di parecchie cose, ma personalmente non avevano visto molto. Non avevano mai visto quell'uomo uccidere qualcuno. La gente veniva picchiata a morte nel campo e tutti sapevano che era stato D... ma nessuno si era mai trovato presente. D. preferiva compiere il suo lavoro di notte, nell'intimità del suo appartamento.

« Ci sono due persone che ·dovrebbero saperlo, » mi disse un ex prigioniero. « Uno è Max, che era H aftlingsdoktor [medico dei detenuti] al çarnpo. Il vice comandante lo chiamava quando qualcuno era morto o moribondo. E anche Helen dovrebbe saperlo. Faceva la domestica in casa del vice comandante del campo. »

Mi ci volle molto tempo per trovare gli indirizzi di queste due persone. Non dico i loro veri nomi per ragioni che appariranno chiare fra poco. Max faceva il medico a Parigi. Helen viveva in una località della Germania. Scrissi a entrambi, spiegando quanto fosse importante la loro testimonianza. Non ebbi risposta.

Scrissi di nuovo, e poi ancora. Nemmeno una parola. Non era normale. La gente rifiuta spesso di testimoniare, e a vol te può esservi spinta da ragioni molto penose, ma almeno cerca di aiutarmi in qualche modo. Max e Helen erano ebrei. Non potevano avere alcun interesse a proteggere un criminale delle SS.

Nel frattempo, l'autista andava a prendere regolarmente ogni mattina lo Herr Direktor D. Costui aveva un passaporto in -regola, e se avesse subodorato che stavamo investigando su di lui avrebbe potuto fuggire: e questa sarebbe stata la fine del caso.

Un giorno incontrai un amico che vive a Parigi. Mi capitò per caso di fare il nome di Max. Il mio amico lo conosceva bene. Mi disse che Max conduceva una vita molto solitaria, non vedeva nes- suno all'infuori dei suoi pazienti : era strano, chiuso e « a volte fa. ceva un po' paura ». Gli raccontai la storia. II mio amico si strinse nelle spalle.

« Non mi sorprende. Max è l'ultimo uomo al mondo che entrerebbe in un'aula di tribunale per testimoniare. Una volta mi ha detto che vuole dimenticare tutto, se è possibile dimenticare. »

Gli dissi : « V ai a spiegargli che abbiamo un dovere verso i nostri morti. Tanta gente compie il suo dovere nei confronti dei vivi, ma nessuno pensa ai doveri che ha verso quelli che non possono più parlare. t:. troppo tardi per richiamarli in vita, ma norì troppo tardi per consegnare alla giustizia individui come D. Il risarcimento morale conta 3$3.i di più del risarcimento materiale. t:. troppo facile dire che non si vuole ricordare. »

Dissi al mio amico queste e molte altre cose, e lo pregai di ripeterle tutte a Max. Erano cose che sentivo profondamente ed ero amareggiato.

Alcune settimane dopo ricevetti un breve messaggio da Max. Mi proponeva di incontrarci in qualche posto, ma non in Austria nè in Germania: non ci sarebbe venuto. Stabilimmo la data e ci incontrammo in Svizzera.

Mi aveva detto di avere cinquant'anni; sembrava molto più vecchio. I suoi occhi erano molto scuri e lo sguardo quasi spento. Parlava con esitazione, come se ogni parola gli costasse uno sforzo. Non sorrideva mai. Il mio amico aveva avuto ragione quaµdo aveva detto che il dottore « a volte faceva un . po' paura».

Mi disse : « So cosa pensa di me. Il suo amico mi ha riferito ciò che lei ha detto e, in linea di principio, ha ragione. Ma quando le avrò raccontato la mia storia, dovrà convenire che io sono, disgraziatamente, un'eccezione. Non posso testimoniare in tribunale.»

« La sua testimonianza sarebbe fondamentale. »

« Lo so, ma prima mi ascolti. Tutto ciò che i reduci dal nostro campo dicono di quell'uomo è vero. In molti casi ero presente quando percuoteva le sue vittime. Dopo, per alcune non c'era più nulla da fare. Quell'uomo era un sadico che torturava e uccideva senza motivo. Conosce il tipo. »

Parlava con distacco. Gli dissi che conoscevo molto bene il tipo.

« Con me era sempre corretto. Forse perchè si rendeva conto che sapevo troppe cose. Aveva ancora bisogno di me, ma al momento opportuno ero convinto che mi avrebbe ammazzato. Ne ero sicuro, ed egli non dubitava che io lo sapessi. Su questa· base, si era stabilita fra noi una spiacevole tr~a. Ma c'era un'altra ragione. Nel repar- to donne, dove ai prigionieri maschi non en1. permesso ·e~trare, c'era la mia fiçlanzata. Sì, Helen. Eravamo entrambi polacchi, della stessa città; avevamo frequentato la stessa scuola, ci eravamo innamorati quando eravamo ancora stud enti. Già allora era la più graziosa di tutte. È ancora molto bella. »

Gli mancò la voce, e temetti che non avrebbe continuato.

« Naturalment e, lui la notò. Era un donnaiolo e si vantava di saper conquistare le donne. Sapeva di Helcn e di me, e provava un · gusto particolare a tormentarmi. La tolse ·dal campo e se la mise in casa come domestica. Mi diceva quanto fosse bello tornare a casa da Helen, che lei gli teneva l'appartamento pulito e in ordine, gli fa. ceva da mangiare, gli lucidava le scarpe. Era molto peggio che se mi avesse picchiato a sangue, come faceva con gli altri. »

Un giorne due amici organizzarono una fuga e proposero a Max di andare con loro. Egli rispose che non se ne sarebbe andato senza Helen. Gli diedero d el pazzo. I suoi giorni al campo erano contati. Tutti lo sapevano. Era solo questione di settimane o di mesi, poi il vice comandante lo avrebbe ammazzato. Se Max fosse scappato con loro, più tardi avrebbe potuto aiutare Helen dall'esterno. C'era almeno una possibilità di lottare. Nei boschi c'erano i partigiani polacchi. Per il bene della ragazza, doveva tentare la fuga.

« :Fuggimmo, » d¼,se. « Raggiungemmo i partigiani, e quando arrivarono i russi entrammo tutti nell'Armata Rossa. Feci domanda per andare in prima linea. Una volta tornato nella zona, pensavo che avrei potuto fare qualcosa per Helen. Nei miei sogni, mi vedevo entrare nel campo con il nùo reparto e liberare Helen. »

Scrollò le spalle con aria stanca. « Ma le cose non andarono così. Fui mandato nell'interno dell'Unione Sovietica a lavorare in un ospedale. Feci di tutto per essere rimandato al fronte. Mi tennero là; avevano bisogno di me. Qu.ando la guerra finì, cercai disperatamente di lasciare la Russia. Ma solo nel 1950 venni finalmente rimpatriato. Nella nostra città natale, seppi cosa era accaduto a Helen.

« All'avvicinarsi dell'Armata Rossa, il campo era stato sciolto. Alcuni riuscirono a fuggire, ma quasi tutti i detenuti maschi vennero uccisi. Delle donne, solo Helen sopravvisse. Lui se la .portò via quando scappò. Le fece cambiare nome, le diede documenti falsi. Sì, non c'è dubbio: salvò la vita a Helen. Ma ... lei aveva avuto un figlio da lui. Mi dissero ch e Helen era scomparsa dopo la guerra. Forse era andata in Ge r.mania, ma nessuno sapeva se fosse ancora viva e dove vivesse. »

Si alzò e si mise a camminare su e giù nella stanza dell'albergo dove ci eravamo incontrati : un uomo stanco, prematuramente mvecchiato, dagli occhi spenti e senza una luce di speranza.

« Mi ci vollero anni per trovarla. Aveva cambiato nome, ma alla fine scoprii il suo ind irizzo. Non av eva telefono, così a n dai direttamente a casa sua e suonai il campanello. Mi venne ad aprire un ragazzo. Durante quei lunghi mesi mi ero preparato al momento in cui avrei rivisto Helen. Ma non ero preparato a questo Il ragazzo che mi stava di fronte era il ri t ratto di suo padre. Non ho mai visto un esempio più sorprendente di rassomiglianza fra parenti. Rimasi lì impietrito; ero incapace di muove rmi. Poi mi tirai indietro. Non potevo entrare. Non con quel ragazzo in casa. Mi girai e stavo per andarmene, quando sentii una porta che si apriva e vidi Helen

« Venne avanti e la guardai negli occhi. In un attimo -seppi tutto, ed anche lei, sebbene non ci fossimo detti una parola. Mi .amava; mi aveva sempre amato, come io non smetterò mai di amare lei. Rimanemmo lì in piedi, e quell'at t imo parve un'eternità. Poi il ragazzo si mosse. Mi accorsi che era ancora lì fra noi due. Helen fece le presentazioni. Ammirai il suo autocontrollo. Disse alcune frasi senza importanza, poi mandò via il ragazzo con una scusa, e restammo finalmente soli... »

Tacque. « Mi hanno detto che lei non è sposato, » gli dissi.

« No, e non mi sposerò mai. Non c'è mai stata, e non ci sarà mai, un'altra donna nella mia vi t a. Amo Helén come l'amavo quando eravamo in due recinti separati del campo e ci guardavamo attraverso la siepe di filo spinato, quando le guardie non ci vedevano. Ci limitavamo a guardarci e a pregare che un giorno non ci fossero più siepi di filo spinato fra noi. Ora la siepe non c'è più, ma... » ·

Mi prese la mano. « Non capisce? Non posso sposare la madre di quel ragazzo che mi ricorda un assassino. Non potrei mai... mai abituarmi alla sua presenza. Potrebbe perfino sciupare l'unica cosa che mi è rimasta nel cuore : il mio amore per Helen. Mi trattenni con lei tutto il giorno. Parlammo; ma soprattutto piangemmo. Poi me ne andai, e da allora non l'ho più vista, e non la rivedrò mai più. Ora sa perchè non posso sedere sul ban co dei testimoni. Non potrei nascondere il mio rancore alla vista di qu ell'~omo. L'odio trapelerebbe, e la difesa avrebb e buon gioco. Posso giurare che tutte le accuse contro di lui sono vere, e forse ciò potrà aiutarla più d ella mia testimonianza in aula. Ma non ci ve rrò. »

Alcuni giorni dopo, andai a trovare Helen in Germania. Max aveva ragione: era ancora bellissima; di qu ella aute nti ca b ellezza femminile che resiste al t e mpo. Sembrava più giovane di Max, seb- bene nei suoi occhi si leggesse la stessa tristezza. Le dissi che avevo visto Max e le chiesi perchè non mi avesse risposto.

« Perchè non posso testimoniare in tribunale. »

« Mi hanno detto che lei sa molte cose. »

« Ho visto cose terribili. La gente veniva bastonata in casa sua e... » Si mise una mano sugli occhi. « Non potrò mai dimenticarlo. Poi li portavano via, nella piccola baracca dove Max li curava, se erano ancora vivi. Quel ricordo non mi dà un momento di pace. So qual è il suo lavoro, Herr Wiesenthal. Lei ha diritto di sapere tutte queste cose. Ma c'è dell'altro.»

Usci dalla stanza, e tornò con un giovanotto sulla ventina, alto e biondo. Era identico ai ritratti del padre. Capii ciò che doveva aver provato Max quando aveva visto il ragazzo... pur sapendo che era innocente, che non gli si poteva rimproverare nulla. Rimase con noi qualche minuto, poi baciò la mano della madre e uscì per andare all'università. Helen mi disse che era un bravo ragazzo, un buon figlio, molto affezionato a lei.

Mi aveva osservato mentre guardavo il ragazzo... e aveva capito istintivamente che Max mi aveva detto tutto.

« Mio figlio non sa chi era suo padre, » disse. .« Crede che sia morto durante la guerra. Il padre non ha mai visto il ragazw. Non sa che sono viva, che c'è un figlio. Non lo sapevo nemmeno io quando fuggimmo insieme dal campo, poco prima che arrivassero i russi. Mi ha salvato la vita. Mi ha procurato documenti falsi dai quali risultavo ariana. Mi ha dato un po' di denaro e poi ha proseguito verso occidente. Voleva farsi catturare dagli americani. Pregai Dio che non facesse nascere il bambino. Ma Dio decise altrimenti. Dio volle che il bambino nascesse, e che f il ritratto di suo padre. Forse per punirmi. Perchè gli avevo permesso di portarmi nel suo appartamento? Perchè non ero rimasta con le altre donne nel campo, a morire con loro? Perchè si deve avere questo terribile istinto di sòpravvivenza? »

Mi fissò. Che potevo dirle? Le dissi che c'era chi aveva fatto cose peggiori per sopravvivere. Ma non mi ascoltava.

« C'erano momenti in cui avevo voglia di strangolare il bambino. Ma non potevo fare le stesse cose che aveva fatto il padre. Non potevo uccidere... Capisce, ora, perchè non posso testimoniare? Lei non deve dire nemmeno che io sono viva. I suoi avvocati mi costringerebbero a presentarmi in aula, mi farebbero giurare che lui mi salvò la vita. E lui non sa che prezzo sto pagando per questo. » Poi, evitando di guardarmi, mi chiese : « Max le ha parlato di me?... » 2.82.

« Mi ha detto tutto, » le risposi.

« E ora?... » Nei suoi occhi si leggeva la paura. Le dissi: « Finora non ho mai lasciato cadere un caso quando c'erano dei testimoni. Ma questo caso dipende dalla testimonianza di Max e sua. Voi due avete sofferto abbastanzaf Questa pratica sarà archiviata. »

La prima volta che mi capitò sotto gli occhi il nome di Franz Stangl fu nel 1 948; quando mi fu . mostrato un elenco segreto delle decorazioni conferite ad alti ufficiali delle SS. Molti di essi avevano ricevuto la K riegsverdienstkreuz (Croce al Merito di Guerra) per « atti di eccezionale coraggio», per « l'aiuto prestato ai camerati sotto il fuoco » o per una « fuga in circostanze particolarmente difficili». Ma dopo certi nomi dell'elenco c'era una annotazione a matita, « Segreto di Stato », seguita dal commento « fiir seelische Belastung », « per disagio psicologico». Nel codice della terminologia nazista, ciò significava : « per meriti speciali nella tecnica dello sterminio di massa ». Il nome di franz Stangl era seguito sia dalla annotazione a matita, sia dal commento speciale.

Il secondo documento in cui vidi il suo nome fu un elenco di consegne effettuato alla RSHA di Berlino dall'amministrazione del campo di concentramento di Treblinka, nei pressi di Varsavia, dal

1° ottobre 1942 a:l 2 agosto 1943. Ecco l'elenco:

25 vagoni di capelli di donna

248 vagoni di indumenti

1 oo vagoni di scarpe

22 vagoni di merci secche

46 vagoni di medicinali

254 vagoni di tappeti, coperte e lenzuola

400 vagoni di oggetti usati

2.800.000 dollari americani

400.000 lire sterline

12.000.000 di rubli sovietici

140.000.000 di zloty polacchi

400.000 orologi d'oro

145.000 chilogrammi di fedi d'oro

4000 carati di brillanti superiori ai 2 carati parecchie migliaia di fili di perle.

120.000.000 di zloty in monete d'oro di vario ·taglio .

Franz Stangl

Stangl era stato il comandante del campo di Treblinka. Delle 700.000 persone che si sapeva fossero state portate colà, ne vivono oggi, a quanto sappiamo, circa una quarantina.

Negli ultimi mesi del 1943 non c'erano state altre vittime. La Polonia era considerata judenrein : senza ebrei. La maggior parte degli altri ebrei dell'Austria, della Germania e dei paesi occupati dai nazisti erano stati liquidati. Operazioni di minor portata venivano effettuate in posti come Dachau e Mauthausen.

Quanto ai nazisti, rimaneva un problema da risolvere: che fare delle molte centinaia di ufficiali delle SS, specializzati in eccidi? Nella terminologia nazista, costoro erano « becchini segreti, di prima classe » : ciò significava che sapevano troppo per il bene loro e del partito. Le prove potevano e~e distrutte riaprendo le fosse comuni e bruciando i cadaveri, distruggendo le baracche delJa morte, facendo saltare in aria le camere a gas e i forni crematori. A Treblinka tutto questo fu fatto. Ma bisognava anche eliminare il maggior numero possibile di testimoni. Molti « becchini segreti, di prima classe» vennero mandati in un teatro d'operazioni dove avevano poche probabilità di sopravvivere: la Jugoslavia, per esempio. I partigiani jugoslavi non facevano prigionieri. Perciò, l'alto comando nazista mandò molte SS specializzate nel genocidio a combattere i guerriglieri jugoslavi. Il cinismo del regime nazista si rivela spesso nella terminologia usata: i gerarchi nazisti, per designare la destinazione dei loro uomini mandati su un fronte dal quale non sarebbero tornati, usavano l'espressione: « zum Verheizen », « a incenerirsi».

Nel 1948 scoprii che Franz Stangl era fra i pochi tedeschi scampati dal fronte jugoslavo; uno di quelli che si erano rifiutati di farsi incenerire. Alla fine della guerra era tornato in Austria e si era ricongiunto con la moglie e le figlie. Frau Stangl lavorava da istitutrice. Franz Stangl non si godette per molto tempo la libertà in Austria. Quale ex SS-Obersturmfuhrer, fu arrestato dagli americani, insieme con molte altre SS, e portato al Campo Marcus W. Orr a · Glasenbach, vicino a Salisburgo. Subì la solita routine di interrogatori. Nessuno sapeva che egli fosse l'ex comandante di Treblinka. Quando lo interrogavano, dava le solite risposte riguardanti il servizio prestato in tempo di guerra, poi se ne tornava a sdraiarsi in branda e a fumarsi una sigaretta americana, parlando di fuga con i suoi compagni, ufficiali delle SS.

Stangl passò due anni al tampo di Glasenbach, dove io mi recavo spesso, quando lavoravo per la Commissione per i Crimini di Guerra, per il CIC e per l'OSS. Gli internati erano ben nutriti, ab- bronzati e conducevano un'esistenza piacevole. Avevano anche la gradita compagnia delle mogli degli ex gerarchi nazisti e di alcune ex guardiane dei lager internate in un'altra parte del campo. Prima che Stangl potes.se attuare i suoi propositi di fuga, lo trasferirono dal campo di Glasenbach ai caocere di Linz. Le autorità avevano scoperto che Stangl era un ex funzionario della polizia austriaca e che aveva lavorato nel Castello di Harth eim, la scuola nazista di addestramento al genocidio, di cui parlerò in seguito. Gli austriaci lo avrebbero processato. Ma c'erano molti processi, e i tribunali erano pieni di lavoro.

I detenuti venivano spesso impiegati nello sgombero delle macerie o nella riparazione degli edifkì danneggiati dai bombardamenti. Seppi in seguito che Stangl era con un gruppo di delinquenti c~ muni che lavoravano alla ricostruzione delle acciaierie VOEST, di proprietà dello Stato, a Linz. I ,prigionieri non erano sottoposti a una rigida sorveglianza. Perchè avrebbero dovuto scappare? Mangiavano meglio in prigione che fuori. Al vicino ponte sull'Enos, i soldati sovietici vigilavano la linea di demarcazione della Zona Sovietica in Austria. Sicuramente, nessun detenuto sarebbe stato tanto sciocco da scappare da quella parte. Ma la sera del 30 maggio 1948 Franz Stangl non era più nel gruppo di det enuti con i quali era uscito al mattino. Nessuno lo aveva visto fuggire, e nessuno si preoccupò molto della sparizione. Venne fatta una annotazione sulla sua pratica, che fu poi buttata in cima a una pila di molte altre pratiche. Non vennero informate nè le autorità americane nè la stampa . austriaca.

Quando alla fine seppi che Stangl era svanito, decisi di fare indagini sui suoi familiari. Finalmente riuscii a scoprire che abitavano a Wels, ma i vicini mi dissero che Frau Stangl e le sue tre figlie avevano lasciato l'Austria il 6 maggio 1949. Dopo la fuga del marito, Frau Stangl aveva trovato lavoro presso la locale biblioteca americana. Nel frattempo (come scoprii in segui to) Franz Stangl si era rifugiato a Damasco, in Siria, grazie ai buoni uffici della ODESSA. Aveva trovato un lavoro e aveva fatto in modo di farsi raggiungere dalla moglie e dalle figlie. A Damasco, aveva fatto conoscenza con una facoltosa indiana che faceva spesso viaggi in Svizzera. Costei gli promise di prendere Frau Stangl come istitutrice per i suoi due bambini. Il consolato siriano a Berna avrebbe rilasciato i visti necessan.

Un giorno del 1949, tre uomini della Schenker & C., nota casa di spedizioni austriaca, andarono n ell'appartamento di Frau Stangl, scrissero a grandi lettere DAMASCO sui fianchi di due grosse casse da. imballaggio, e portarono via le càsse. Frau St.angl salutò gli amici e i vicini, promise di scrivere presto, e partì con le figlie alla volta della Svizzera. A Berna ricevette i visti per la Siria e scomparve. Sul finire del 1949, si erano venute a sapere molte cose sul campo di sterminio di Treblinka e sulle attività di Franz Stangl. Ormai, egli era considerato fra i peggiori criminali nazisti latitanti. A Wels, si fecero un mucchio di chiacchiere. Gli amici e i vicini di Frau Stangl mi dissero che la signora non aveva scritto nemmeno una cartolina. Alcuni dissero che la storia di Damasco era un'invenzione per sviare la polizia. Avevano sentito dire da «qualcuno» che gli Stangl erano « probabilmente » a Beirut, nel Libano. Scrissi « Damasco o forse Beirut » sulla scheda del criminale nazista Franz Stangl, e misi la pratica fra i casi insoluti cui doveva essere data la precedenza. Sapevo, però, che non sarebbe stato un caso facile. Era improbabile che i siriani concedessero l'estradizione per un criminale nazista. ·

Non accadde più nulla, fino a che un giorno del 1959 venne a trovarmi un giornalista tedesco. Lo conoscevo da anni. Aveva appena compiuto un viaggio per il suo giornale in vari paesi arabi, e mi portò un elenco di nazisti che vi si erano rifugiati. « A proposito, » disse, « Franz Stangl è a Damasco. Non l'ho visto, ma ho parlato con persone che ne sono matematicamente certe. Mi hanno detto che lavora come meccanico in un garage. »

Dopo la cattura di Eichmann in Argentina, nel maggio 1 960, il giornalista tedesco fece un altro viaggio nei paesi arabi, per vedere come la gente aveva reagito al colpo. Quando venne a trovarmi alcuni mesi più tardi, mi disse che Stangl non era più a Damasco. « Sembra che sia scomparso pochi giorni dopo che Ben Gurion ebbe annunciato la cattura di Eichmann, » disse il mio amico.

Ben Gurion aveva annunciato al Parlamento di Israele e al mondo tutto che Eichmann era prigioniero in Israel e, ma non aveva fornito altri particolari. La stampa mondiale fece una infinità di congetture su questo colpo fortunato. Una rivista tedesca disse che Eichmann era stato portato in Israele con l'aiuto di alcuni elementi filoisraeliani dei drusi, una tribù che vive vicino al confine fra Siria e Israele. La storia era fantastica dal principio alla fine, ma pare che Stangl ne fosse impressionato. Il giornalista tedesco venne a sapere che Stangl era partito da Damasco in fretta e furia. Cancellai « Damasco» dalla sua scheda e scrissi « Indirizzo sconosciuto».

Il 2 1 febbraio 1964, una signora austriaca si presentò nel mio ufficio a Vienna. Era eccitatissima. Aveva letto una dichiarazione che avevo fatto alla stampa il giorno prima, nel corso della quale avevo citato, fra l'altro, Franz Stangl e i suoi crimini. La signora piangeva. « Herr Wiesenthal, non sospettavo nemmeno lontanamente che mia cugina Theresia avesse sposato un uomo simile. Un assassino. È terribile. Questa notte non ho potuto chiudere occhio. »

Frau Stangl era sua cugina! Le dissi subito: « Dov'è Theresia ora?»

« Ma... in Brasile, naturalmente. »

Serrò le l,abbra e fece un passo indietro, guardandomi. Aveva capito di aver detto troppo. Cercai cautamente di farla parlare, ma non volle dirmi altro. Non volli derogare dalla mia regola di condotta abituale chiedendole come si chiamasse. A Vienna è risaputo_ che io non insisto mai per sapere i nomi e gli indirizzi delle persone che vengono da me spontaneamente e mi forniscono delle notizie. Dovetti lasciarla andare.

Il giorno dopo, venne da me un tipo male in arnese e dall'aria patita. Aveva lo sguardo sfuggente e sembrava incapace di guardarmi in faccia. Mentre parlavamo, si strofinava nervosamente il mento. Non fui sorpreso quando mi disse che aveva fatto parte della Gestapo. E fui ancor meno sorpreso quando mi assicurò che non aveva .fatto « niente di male». Mi domando spesso a chi si deve • dare la colpa di tutto il male che è stato fatto, dato che nessuno riconosce le proprie colpe.

« Mi hanno fatto entrare nella Gestapo, » disse. « Che altro potevo fare? Ero uno dei tanti fantocci che manovravano come volevano.»

Non dissi nulla. Era il solito esordio.

« Ho letto la storia di Franz Stangl nei giornali. A causa di uomini come Stangl, noi poveri fantocci abbiamo avuto tanti guai dopo la fine della guerra. Ho trovato qualche lavoro, ma dopo un po', quando scoprono quello che hai fatto, ti liquidano. » .

« Credevo che non avesse fatto niente di male, » gli dissi.

Andò in collera. « Non è questo che volevo dire. Ma quando vengono a sapere che ero nella Gestapo... Be', lei sa come vanno le cose.»

« Si, lo so. »

« I pesci grossi, gli Stangl, gli Eichmann... hanno avuto tutto l'aiuto possibile e immaginabile. Li hanno portati via, gli hanno dato denaro e lavoro e documenti falsi. Ma chi aiuta i fantocci co- me me? Guardi la mia camicia, il mio vestito. Niente lavoro, niente denaro. Non riesco a procurarmi nemmeno un po' di vino. »

Non volli mettermi a discutere con lui, anche se mi pareva che gli puzzasse l'alito. Forse era whisky. O alcool puro.

« Senta, » mi disse vedendo che non parlavo. « lo so dov'è Stangl. Posso aiutarla a trovarlo. Stangl non mi ha aiutato. Perchè ora dovrei coprirlo? »

Mi lanciò un'occhiata di traverso.

« Ma verrà a costarle molto. »

Finalmente, eravamo arrivati al punto.

« Quanto? » gli chiesi.

« Venticinquemila dollari. »

« Tanto valeva che mi chiedes.5e due milioni. lo non dispongo di cifre simili. »

Scrollò le spalle. « Va bene. Le farò un prezzo speciale... Quanti ebrei ha ammazzato Stangl? »

« Non si potrà mai sapere con precisione quanti ne morirono nel tempo in cui lui dirigeva il campo di Treblinka. Forse settecentomila.»

Picchiò il pugno sul tavolo. « Voglio un cent per ogni ebreo. Settecentomila cents. Vediamo un po'.. . fanno settemila dollari. t un affare.»

Dovetti costringe rmi a tenere le mani sulla scrivania. Temevo di perdere il co ntrollo e di schiaffeggiarlo. Dopo tanti anni, il cinismo non mi fa più impressione, ma i calcoli di quell'uomo erano troppo per me. Mi alzai.

« Allora ? » mi chiese.

Avevo voglia di sbatterlo fuori, ma tornai a sedermi. Forse questa era l'unica occasione che mi si offriva per scovare un criminale della peggiore specie.

« Per ora non le darò un soldo. Ma se Stangl verrà arrestato in base alle sue informazioni avrà il denaro. »

« E chi mi garantisce che i patti saranno rispettati? »

« Nessun o glielo garantisce. Se le mie condizioni non le piacciono, è libero di andarsene! »

« Va bene,» disse . « Non c'è bisogno che si arrabbi. Le dirò esattamente dove lavora Stangl. Ma non conosco il nome sotto il quale si nasconde attualmente. Funziona ancora il patto?»

« Vada avanti. »

« Stangl lavora come meccanico nella fabbrica della Volkswagen di Sa.o Paulo, in Brasile. »

L'informazione si dimostrò esatta. Stangl lavora ancora a Sa.o Paolo; a:bbiamo anche il suo indirizzo attuale. E il suo nome figura ancora nella lista dei ricercati del Tribunale di Linz, che ha spiccato il primo mandato di cattura contro di lui. Una volta ho visto una fotografia di Stangl : ce lo mostra con in mano il frustino mentre spinge i detenuti nella camera a gas di Treblinka. Se quest'uomo potesse essere assicurato alla giustizia, non m'importerebbe di pagare settemila dollari ad un ex agente della Gestapo. Il capitolo Stangl si concluse quasi tre anni dopo che ero venuto in possesso del suo indirizzo tramite il tizio che chiedeva in cambio

700.000 cents.

Sapevo che sarei riuscito nel mio intento soltanto con l'aiuto di qualche persona influente in Brasile. Qualsiasi passo ufficiale sarebbe stato rischioso, poichè troppa gente ne avrebbe avuto sentore in anticipo. Stangl era ricercato dal Tribunale di Vienna per la sua attività a Treblinka e a Sobibor e dal Tribunale di Linz, perchè era stato vice comandante della « scuola di genocidio » di ·Hartheim. Se l' Austria avesse chiesto ufficialmente la sua estradizione, molte persone ne avrebbero dovuto essere informate: due pubblici ministeri, due giudici istruttori, alti funzionari del ministero della Giustizia, i traduttori del dossier, impiegati dell'ambasciata brasiliana a Vienna e parecchi funzionari del ministero degli Esteri austriaco, e dell'ambasciata d'Austria a Rio. Inoltre, sarebbero venuti a conoscenza della cosa i funzionari del ministero degli Esteri, il ministero della Giustizia e la polizia del Brasile. Complessivamente dalle 36 alle 50 persone.

Io sapevo che in Sud America esiste una « Kameradenwerk », o « Organizzazione dei Camerati », creata dalle SS dopo la fine della guerra. Uno dei suoi fondatori era il colonnello delle SS Hans Ulrich Rudel. Essa disponeva in tutti i paesi del Sud America di buoni contatti nella polizia, tra le autorità e tra i funzionari delle ambasciate tedesca, italiana e austriaca: sapeva che in queste ambasciate il pericolo era sempre in agguato.

Dovevo, quindi, trovare una persona influente in Brasile che mi aiutasse a cercare una scorciatoia. Avrei dovuto fare lo stesso in Austria. Era assolutamente necessario ridurre al minimo il numero delle persone informate d ella cosa.

Nel dicembre 1 966, ricevetti un messaggio da amici in Brasile in cui mi si informava che un personaggio importante che si trovava in viaggio in Europa era disposto a incontrarmi a Zurigo. Ci andai immediatamente in aereo.

La persona che mi sedeva di fronte era un bell'uomo di mezza età, dallo sguardo pensoso. Mi ascoltò e disse : « Mi prepari un pro memoria: le farò sapere qualcosa al mio ritorno a Rio. Non mi spedisca nessun documento in Brasile. » Era al corrente dell'esistenza della « Kameradenwerk » e dei suoi contatti con le ambasciate straniere. Prima ancora che io gli comunicassi il nome della ditta presso la quale Stangl lavorava, egli disse: « Scommetto che lavora in una ditta tedesca. E sono anche sicuro che non è il solo. »

Nel gennaio 1967, seppi che il mio contatto era rientrato a Rio. Mi recai allora a Vienna a conferire con il ministro della Giustizia austriaco, Klecatsky. Mi ascoltò e promise di aiutarmi.

« Esistono dei mandati di cattura per quest'uomo. Chiederemo l'estradizione. »

Presi a discutere il caso con alcuni funzionari del ministero della Giustizia, cercando di non parlarne con troppi. I procuratori furono convocati al ministero. Si fece un estratto dei documenti a carico di Stangl, che formavano un dossier di oltre mille pàgine. Nel contempo inviai a Rio il materiale in mio po~sso, compilato dal Centro di Documentazione. Usai come corriere una giovane donna che lavora saltuariamente per noi. Era nata in Brasile, viveva a Vienna e quindi non avrebbe destato sospetti se si fosse recata a Rio.

Dopo la sua partenza, rimasi in nervosa attesa. Una notte, erano le tre, mi chiamò al telefono. Non riuscii a capire molto di ciò che disse, salvo una parola che ripeteva spesso: carnevale. Mi richiamò la _ notte seguente e questa volta la comunicazione era migliore.

« Dovremo attendere la fine del carnevale. Per ora non possiamo fare nulla. »

Cercai, quindi, di portare a termine il lavoro almeno a Vienna. Dagli archivi di Diisseldorf sul processo di Treblinka mi giunse altro materiale. Ricevetti anche un messaggio da Rio. Il mio personaggio sarebbe tornato in Europa if 1 ° marzo. Mi restavano sì e no due settimane - dalla fine del carnevale al 1° marzo - per agire in Brasile.

Il mio corriere rientrò a Vienna e mi riferì che ci si proponeva di arrestare Stangl una sera all'uscita dalla Volkswagen di Sa.o Paulo. Non intendevano sorprenderlo nella sua abitazione dove sembrava nascondesse una discreta quantità di armi e di munizioni, cosa del resto naturale. Un confidente della polizia brasiliana, comunque, lo pedinava costantemente. Dopo il suo arresto, Stangl sarebbe stato portato in aereo a Brasilia, la capitale, per motivi di sicurezza.

Intanto, dovetti intervenire più volte presso il ministero della Giustizia a Vienna. Il tempo stringeva sempre_ più. Spiegai la situazione al ministro, che sollecitò i suoi funzionari ad agire con la massima celerità. Il 22 febbraio fui convocato al ministero. Il dossier su Stangl era stato tradotto in portoghese ed era stato inviato al ministero degli Esteri austriaco, il quale telefonò all'ambasciata del Brasile a Vienna e chiese a un funzionario di controllare e di approvare la traduzione del dossier, il 23 febbraio.

Mi offrii di pagare l'aereo a un corriere diplomatico del ministero degli Esteri, ma mi fu risposto che l'Austria non possiede un servizio corrieri con il Sud America. Non disponevano neppure di un contatto radio diretto nè di una telescrivente con le loro ambasciate laggiù. Inoltre, il viaggio ufficiale di un funzionario del ministero che duri più di tre giorni deve essere approvato dal Consiglio dei ministri che si riunisce ogni martedì. In questo caso, dodici persone sarebbero venute a conoscenza dei nostri piani. Fu allora deciso di inviare per posta aerea il mandato di arresto e la richiesta provvisoria di estradizione assieme alla documentazione tradotta in una busta sp eciale, con la raccomandazione che fosse aperta dall'ambasciatore d'Austria a Rio in persona.

Venerdì sera 24 febbraio, telefonai a un amico in Brasile e lo pregai di andare ·dall'ambasciatore austriaco a Rio il lunedì mattina. Quando ci andò, l'ambasciatore aveva già ricevuto il pacchetto. Lo stesso giorno, il 27, l'ambasciatore austriaco lo consegnò al ministero degli Esteri brasiliano.

Martedì pomeriggio, Stangl fu arrestato mentre usciva dalla Volkswagen di Sa.o Paulo. Era terrorizzato. Era convinto di essere rapito da commandos ebrei che si spacciavano per agenti brasiliani. Quando 1~ portarono al commis.5ariato locale, apparve visibilmente sollevato. Si riteneva fortunato perchè ricordava quello che era accaduto a Eichmann.

Il giorno successivo, il mio amico brasiliano partì, ma prima di salire sull'aereo mi telefonò per assicurarmi che tutto procedeva bene. La stessa notte Abreu Sodre, il governatore di Sa.o Paulo, co., municò ufficialmente alla stampa e al pubblico l'arresto di Stangl. Da allora, la diplomazia ha proceduto in fretta. Anche la Repubblica Federale Tedesca ha chiesto l'estradizione di Stangl per proces.5arlo come criminale di guerra. ·

Il 2 marzo, mi recai ad Amsterdam ove mi fermai alcuni giorni. Nel frattempo, un uomo telefonò al Centro di Documentazione a Vienna pretendendo i suoi 700.000 cents. Gli fu risposto che la somma di 7.ooo dollari gli spettava di diritto e gli sarebbe stata consegnata al mio rientro a Vienna.

CAPITOLO XX L'EREDITÀ DI CAINO

Nel dicembre 1961 presenziai, a Bruxelles, a un congresso dell'Unione Internazionale della Resistenza , di cui sono vice presidente. In occasione di quell'incontro, M. Hubert Halin, segretario generale dell'Union Intemationale des Résistants et Déportés, chiese al mio amico Hermann Langbein (segretario generale del Comitato Internazionale di Auschwitz) e a me di ricercare a Vienna un certo Robert Jan Verbelen, un SS-Oberslurmbannfi.ihrer fiammingo, comandante delle SS fiamminghe, delegato di Léon Degrelle, capo dei fascisti belgi, e il più importante informatore della Gestapo in Belgio. Il 14 ottobre 1947, V erbelen era stato condannato in contumacia da un tribunale belga per l'uccisione di centouno persone. Halin riteneva probabile che Verbelen vivesse a Vienna, forse sotto lo pseudonimo di «Jean Marais», col quale aveva firmato molti opuscoli neonazisti. Halin aveva raccolto una grande quantità di materiale contro Verbelen.

Langbein ed io sapevamo qualcosa di più circa le attività di « Jean Marais ». Era stato uno dei principali esponenti di un gruppo chiamato SORBE - Sozial-Organische Ordnungs-Bewegung Europasche una volta aveva tenuto a Salisburgo un congresso, al quale « Marais » aveva presenziato.

Tornati a Vienna, Langbein e io, ciascuno per proprio conto, cominciammo a cercare « Jean Marais ». Non lo trovammo, e fummo costretti a rinunciare all'impresa. Qualche settimana dopo Halin ci scrisse, pregandoci di continuare le ricerche. Parlai con Langbein. Non c'era nessun « Marais » a Vienna. Decidemmo di cercare Verbele n sotto il suo vero nome, cosa che non avevamo fatto prima perchè sembrava molto improbabile che un criminale di guerra nazista condannato da un tribunale avesse continuato a portare il suo nome.

E invece era proprio questo che Verbelen aveva fatto. Lo stesso giorno, Langbein ed io trovammo il nome di un certo Robert Jan Verbelen nei registri della polizia. Questo Verbelen risultava domiciliato nella Greinergasse, nel quartiere di Dobling. Langbein mandò a quell'indirizzo uno dei suoi uomini, il quale riferì che il biglietto da visita di Verbelen era attac~to vicino al pulsante del campanello, dove t utti potevano vederlo. Verbelen non aveva mai cercato di' nascondersi, come avevamo creduto. Comunicammo l'indirizzo a Halin, il quale accluse alla sua risposta copia della sentenza emessa contro Verbelen. Questi era stato condannato a morte il 14 ottobre 1947 dal tribunale della provincia del Brabante. Era un incartamento voluminoso, dattiloscritto in fiammingo. Telefonai a Langbein, e andammo insieme a trovare il procuratore di Stato presso il tribunale di Vienna, Mayer-Maly. Il procuratore disse subito che bisognava arrestare Verbelen, ma che prima era necessario avere una traduzione ufficiale del documento fiammingo. Chi conosceva il fiammingo a Vienna? Gli dissi: « Ci metteremo un mucchio di tempo a trovare qualcuno, a Vienna, che parli fiammingo. E alla fine magari ci accorgeremo che è una SS come Verbelen. » Mayer-Maly rise, ma i fatti dimostrarono che non ero molto lontano dalla verità. Al processo di Verbelen, l'interprete ufficiale fiammingo risultò essere l'ex segretario del dottor .

Arthur Seyss-Inquart, Reichskommissar di Hitler in Olanda. Trovammo il punto chiave della sentenza dove si diceva che Verbelen era condannato a « T od mit dem Koogel » (morte mediante fucilazione). Il procuratore Mayer-Maly firmò il mandato per l'arresto di Ve11belen e telefonò alla ·polizia di Stato. Langbein e io eravamo venuti a sapere che Verbelen, dopo il suo ritorno a Vienna, era stato agente della polizia di Stato. L'alto funzionario di polizia che ricevette la comunicazione sembrò cadere dalle nuvole, e non c'era da meravigliarsene.

« Be', se non altro, voi saprete dove trovarlo, » disse il procuratore, e gli lesse per telefono il mandato. Eravamo andati dal procuratore alle dieci e mezzo: all'una Verbelen veniva arrestato.

Nel 1936, Verbelen aveva fondato a Bruxelles una organizzazione denominata « De Vlag », che era apparentemente una società « per la collaborazione culturale » tedesco-fiamminga. In realtà, si trattava di una organizzazione spionistica che lavorava per le SS di Berlino e che ricevev:a ordini direttamente dalla RSHA. Il suo capo, un tale di nome Van de Wiele, è ora detenuto in una prigione belga. Ai orimini di Verbelen è stata data ampia pubblicità. Egli denunciò. alle SS patrioti e partigiani belgi, partecipò a molte azioni terroristiche e uccise con le sue mani Georges Petre, sindaco di Saint-Josse -ten-Noode, il 31 dicembre l 942; M. tmile Lartigue, di Woluwe-St.-Lambert, il 20 gennaio 1943; e Raoul Engel, un avvocato di Ixelles, il 24 febbraio 1943... per non parlare di altri novantotto omicidi, tutti specificati nella motivazione della sentenza che occupa parecchie pagine dattil05Critte. Fra le sue vittime ci furono molti aviatori americani caduti nelle mani delle SS. Inoltre, secondo la sentenza, Verbelen torturò personalmente diverse vittime prima che queste ven~ro uccise. È una brutta storia, anche se si tiene conto che si tratta sempre di una storia di SS.

Alla fine della guerra, Verbelen scomparve. Scappò in Germania, e di là andò a Vienna con il pas.5aporto di un certo Isaac Meisels : un ebreo di Anversa che era stato ucciso ad Auschwitz. (Non è mai stato chiarito come Verbelen si fosse appropriato del passaporto di Meisels, nè si è mai saputo che fine abbiano fatto alcuni diamanti che Meisels portò via da Anversa nascosti in tubetti di pasta dentifricia.)

Verbelen si servì di altri nomi a Vienna, ma nel 1958 chiese la cittadinanza austriaca con il suo vero nome, Robert Jan Verbelen. Secondo la legge austriaca, coloro che chiedono la cittadinanza devono provare di non aver mai subito condanne per reati commessi in altri paesi. È necessario un cosiddetto « Certificato di buona condotta», e inoltre la polizia di Stato austriaca assume informazioni su ogni richiedente. Tuttavia Verbelen, condannato a morte in Belgio, risultò evidentemente incensurato, quando sarebbe bastata una semplice telefonata all'ambasciata del Belgio a Vienna per scoprire che non aveva i requisiti previsti dalla legge sulla concessione della cittadinanza austriaca. Così Verbelen diventò cittadino austriaco il 2 giugno 1959. I giornali si sono chiesti se questo sia stato solo un altro esempio della Schlamperei (trascuratezza) austriaca o se piuttosto Verbelen avesse amici molto in alto.

U processp contro Verbelen fu celebrato a Vienna nel 1965. L'accusato si difese con abilità e arroganza, tenendo ai giurati lunghe concioni per dimostrare che aveva agito « cootrettovi con la forza ». Fu mandato assolto. La sentenza provocò grande indigna:zione in Belgio e altrove, e perfino a Vienna, dove gli studenti protestarono e la maggior parte della stampa criticò la sentenza. Verbelen uscì dall'aula libero. Il procuratore distrettuale ricorse in appello. L'ultima · parola nel processo contro l'ex SS-Obersturmbannfuhrer non è stata ancora detta.

Feci la conoscenza di Herr Toni Fehringer nel settembre del 1944, al campo di concentramento di Plaszow, presso Cracovia, in Polo- nia. Era uno dei -cinquanta Kapò tedeschi: la maggior parte ex galeotti - criminali, banditi, assassini - che erano stati « distaccati per servizio » nei campi di concentramento. Alcuni erano molto simpatici. In questa categoria, ricordo in particolare un ex pirata, di nome Schilling, che nei primi anni dopo il '30 aveva fatto una brillante carriera nel Mare del Nord, dove lui e alcuni suoi amici, che avevano tendenze simili alle stie, si erano specializzati nel depredare le imbarcazioni da diporto. Fermavano uno yacht, alleggerivano i passeggeri di tutto il denaro e dei gioielli e se ne andavano. Quando la polizia tedesca cominciò a dargli la caccia, Schilling riparò in Sud-America, ma nel 1937, non potendo resistere alla Heimweh, la particolare versione tedesca della nostalgia, tornò nella V aterland. Aveva un altro nome e un bel passaporto falso, ma non appena sbarcato ad Amburgo andò in un bordello nel quartiere di Reeperbahn. La Heimweh si manifesta in modi diversi a seconda delle persone. Quella sera ci fu una rissa nel Reeperbahn. Schilling fu arrestato, identificato e mandato in prigione. Era un simpatico tipo di Robin Hood che toglieva ai ricchi il denaro superfluo ed aiutava i poveri. Quando due detenuti litigavano e uno dei due indicava l'altro a Schilling dicendogli: « Quello lì, era un riccone », era molto probabile che Schilling prendesse a sberle l'ex ricco. Per i poveri ebrei faceva tutto il possibile. Ci portava da mangiare e ci proteggeva contro i Kapò carogna.

Fra questi ultimi, Toni Fehringer era il più carogna di tutti. Aveva ventuno anni, era biondo, con il naso all'insù e un'espressione malvagia e brutale negli occhi azzurri. Le sue donne - ne aveva sempre qualcuna attorno - lo chiamavano « der bionde Toni ». I detenuti lo chiamavano, in modo più appropriato, « die bionde Bestie» (la bestia bionda). Aveva una camera propria, il vitto speciale delle SS e altri privilegi.

C'erano Kapò di tutti i generi. Schilling, per esempio, salvò la vita di molti ebrei che commettevano mancanze irrilevanti, come arrivare tardi al lavoro o non salutare con le dovute forme una SS. Quando Schilling vedeva una SS che stava per imbracciare il fucile, saltava addosso al colpevole e a -furia di schiaffi lo scaraventava a terra. « Ecco! » diceva alla SS. « Non si sporchi le ·mani con un sudicio ebreo, Herr Rottenfuhrer. L'ho punito io per lei. » Forse il prigioniero ci rimetteva un dente, ma salvava la vita.

Toni Fehringer era diverso. A lui era affidato il cosiddetto « Kommando 1005 », al quale appartenevo io. Eravamo una brigata speciale di lavoratori. Avevamo il compito di riaprire le fosse comuni della zona, di esumare i corpi e di bruciarli o farli scomparire in qualche altro modo. L'eser cito sovietico avanzava verso occidente. I tedeschi, che avevano riempi to quelle fosse con i corpi di civili innocenti, volevano evitare che si ripetesse ciò che era accaduto nella foresta di Katyn, in Polonia, dov e i cad averi di migliaia di ufficiali polacchi uccisi per ordine di Stalin erano stati scoperti nel 1941 dai nazisti in avanzata: i tedeschi si erano serviti di questo crimine dei russi come di una eccellente arma di propaganda. Ora non volevano c he ac cadesse qualcosa del genere; così, facevano riaprire le fosse comuni sparse per tutta la Polonia e cancellavano qualsiasi triac cia di cadaveri. I tedeschi avevano elenchi precisi dei punti in cui si trovavano le fosse e anche gli elenchi dei corpi che vi erano seppelliti. Gli elenchi erano redatti con cura, in triplice co pia: alcuni di essi caddero in seguito nelle mani degli alleati e vennero usati come prove nei processi contro i nazisti. A Plaszow, il nostro com pito era quello di esumare le salme e bru ciarle o - se ciò non era più possibile - triturare le 06Sa fino a ridurle in polvere. Nei punti in cui c'erano state le fosse, venivano piantati fiori ed erbe. Non era un lavoro piacevole; per questo il comandante del campo ci diede baracche migliori e doppia razione di rancio. Dopo aver l avorato per quattordici ore, nel tanfo orribile dei corpi in putrefazione e soffocati dal fumo dei roghi, ce n e tornavamo barcollanti alle nostre barac che, sperando in qualche ora di sonno e di oblio. Ma c'era il biondo Toni che ci aspettava e ci ordinava di andare sul piazzale a fare « ginnastica » : su e giù, su e giù, corse e salti, e poi trenta fl essio ni sulle ginocchia, fino a che i più deboli crollavano. Fehringer non aveva ordine dalle SS di tra ttarci così duramente. Lo faceva solo perchè gli piaceva. E andava fiero di queste sue torture.

Ma faceva anche altre cose tremende. Pi cchiava i prigionieri con tanta violenza da farli star male. E chi stava m ale veniva subito « liquidato ». Quando lavoravamo alle fosse, Fehringer ispezionava i cadaveri che esumavamo. Portava in uno stivale una pinza da dentista con la quale strappava i denti dalle bocche dei cadaveri per cercarv i quelle otturazioni d'oro che potevano essere sfuggite alle SS. Quan do trovava un po' d'oro, si metteva il dente in tasca. Più tardi avrebbe scambiato l'oro con qual c he Schnaps. Beveva sempre parecchi Schnaps. Promisi a me stesso che se fossi sopravvissu to al « Kommando 1005 » e alla guerra avrei fatto di tutto per ritrovare il bi ondo Toni.

Nel I 946, incontrai a Linz una polacca che era stata nel campo di Plaszow. Mi disse c he ci aveva osservat i spesso dal r ecinto delle donne. « Vedevo il vostro gruppo che tornava, e poi vedevo quando Toni si divertiva con voi,» mi disse. « Che sadico! »

Le d~i che avevo pensato spesso a Toni Fehringer, ma che non sapevo niente di lui, tranne che parlava il tedesco con accento austriaco. La polacca mi disse di aver sentito dire che Toni era dell'Austria Superiore. La notizia non mi era di grande aiuto. Il nome Fehringer è molto comune nell'Austria Superiore. Un giorno, all'inizio del r 947, mi trovavo i:11 una biblioteca pubblica, dove ero andato a leggere vecchi giornali nazisti perchè avevo scoperto che erano delle straordinarie fonti d'informazioni. I nazisti avevano cercato di cancellare accuratamente le testimonianze del passato, ma evidentemente non avevano pensato alle biblioteche pubbliche che conservavano le copie rilegate dei giornali.

Mentre prendevo nota di alcuni. nomi interessanti, sentii due uomini che parlavano accanto a me. Mi parve di capire che uno era un Sippenforscher ( « ricercatore di parentele »), una professione della quale non avevo mai sentito parlare. Era un uomo anziano, simpatico. Gli chiesi in che consistesse esattamente il suo lavoro. Mi spiegò che durante il regime nazista ogni Gauleitung aveva adibito parecchi esperti al controllo delle « Ariernachweise » (certifioati di origine ariana). Si trattava di documenti importanti, la cui validità poteva significare per una persona libertà o galera, benessere o povertà, e spesso vita o morte. « Alcuni esibivano alle Gauleitung documenti falsi, » disse l'uomo, « e noi dovevamo rintracciare i precedenti, consultare i certificati di nascita e le vecchie trascrizioni nei registri parrocchiali e fare ricerche genealogiche. La maggior parte dei Sippenforscher erano in origine Heimatforscher, storici locali. Grazie a Dio, non dobbiamo più fare quel lavoro. lo sono tornato a occuparmi di storia locale. »

Mentre rincasavo, mi venne un'idea. Se avessi chiesto a un ex Sippenforscher di aiutarmi a trovare Toni Fehringer? Un esperto del genere doveva sapere un mucchio di cose sui Fehringer dell' Austria Superiore. Una settimana dopo, m'incontrai a Linz con un Heimatforscher. Era stato iscritto al partito nazista ma, come scoprii, non era mai stato un membro zelante. Gli parlai di Toni Fehringer.

Esitò, e disse che non voleva: diventare un « traditore ».

Gli chiesi: « Lei ha commesso qualche delitto?»

Scosse il capo. « Sa bene di no. Lei ha fatto accurate indagini sulla mia condotta durante il periodo nazista. »

« Sì. Ma ora lei vuole proteggere un delinquente comune, un uomo che provava piacere a fare il Kapò in un campo di concentramento e a torturare i prigionieri indifesi? »

Disse che non era questa la ragione. Aveva paura di pos.sibili «conseguenze». Gli promisi che avrei rispettato il segreto. Nessuno avrebbe saputo che mi aveva aiutato. Non sarei mai andato a trovarlo a casa sua. .

Tornò il giorno dopo. « Ci sono parecchi Fehringer nei villaggi del Kremstal , fra Kirchdorf e Micheldorf. t una regione molto interessante dal punto di vista storico, con vecchie case barocche e antichi castelli. Vicino a Kirchdorf c'è il castello di Alt-Pernstein del sedicesimo secolo, che... »

« Sì, » lo interruppi. « Manderò qualcuno in quella zona per fare indagini sui Fchringer. »

Due giorni dopo, un mio aiutante mi portò la notizia che a Kirchdorf viveva un Anton Fehringer. Aveva circa trentaquattro anni. I suoi vicini avevano detto che era stato via durante la guerra. Poteva esserè il mio Kapò, ma dovevo esserne certo. Chiesi a un fotografo di Linz di andare a Kirchdorf fingendosi un innocuo turista appassionato di fotografia e di portarmi un ritratto di Anton Fehringer.

Quando vidi la foto, riconobbi « der bionde Toni». Feci rapporto alla polizia parlando del Kapò e fornendo i nomi di altri testimoni.

Fehringer fu arrestato e processato. Io fui citato come principale teste d'accusa. Dissi alla corte che cosa aveva fatto Fehringer. Il suo avvocato invocò le circostanze attenuanti. Disse che il s uo cliente aveva agito « costretto dalla forza», che aveva solo eseguito degli ordini, e che inoltre il lavoro con il « Kommando I 005 » era stato molto duro. Poi der bionde Toni si alzò e mi chiese perdono.

Dis.5i: « Personalmente, perdono all'accusato di avermi picchiato e di avermi fatto tutto ciò che ho detto. Ammetto che vi possono essere state delle circostanze attenuanti, ma non posso invocare clemenza per l'accusato in nome dei miei camerati che non sono più qui. Non ho il diritto di farlo. »

Toni Fehringer fu condannato a sette anni di lavori forzati. Morì tre anni dopo in carcere.

Un giorno del I 963 ricevetti una lettera da un uomo che chiamerò solo con il nome di battesi mo, Leonid. Aveva letto da qualche parte del mio lavoro. Era disperato e pensava che forse avrei potuto aiutarlo. Ci incontrammo a Colonia, e Leonid mi raccontò la storia che lo aveva ossessionato per ventidue anni. Era nato a Plunge, in Lituania, che allora distava trentasette chilometri dal confine tedesco.

Dei seimila abitanti c he contava approssimativamente Plunge prima della guerra, circa milleottocento erano ebrei. Leonid, che è ebreo, mi disse che fino al momento della guerra c'erano sempre stati rapporti amichevoli fra lituani ed ebrei. A scuola, aveva molti amici lituani. Gli ebrei avevano le loro sinagoghe, i bambini andavano al Gymnasium. C'erano architetti, dottori e farmacisti ebrei.

« Se qualcuno mi avesse detto ciò che stava per accadere a Plunge, avrei pensato che folse matto, » disse Leonid. « E ciò vale in particolare per un lituano, Amoldas Pabresha, che avevo conosciuto a scuola: un ragazzo simpatico, tranquillo e appartato e a volte un po' strano, ma t utto sommato un bravo figliolo. » ·

I genitori di Pabresha avevano un podere di sedici ettari appena fuori di Pl unge; il padre lavorava come aiutante in una farmacia, e Amoldas e la madre si occupavano della terra. Arnoldas era un tipo smilzo, di media statura, con le spalle strette e una testa piccolissima. Aveva una voce molto roca; sembrava sempre nervoso, quasi ansioso. Parlava correntemente il lituano, il rus.so e il polacco.

Quando l'Armata Rossa occupò Plunge, nel I 940, Pabresha si dichiarò ardente comunista e diede la sua terra al comitato locale del partito, cosa che gli fruttò m olti elogi. Ma rivelò anche un lato insospettato e inquietante del suo carattere denunciando al NKVD alcuni lituani, che vennero portati via e dei quali non si seppe più nulla. Queste erano le ultime cose che Leonid aveva saputo di Pabresha. In seguito Leonid era stato arruolato dall'Armata Roosa e portato nell'Unione Sovietica. ·

Durante la seconda guerra mondiale, Leonid raggiunse il grado di maggiore de ll'Armata Rossa. Egli sperava di far parte dell'unità che avrebbe liberato la sua città natale. Le speranze di Leonid si realizzarono. Combattè con una divisione nei paesi baltici, e un giorno del I 944 si trovò con l'unità che prese la città di Plunge.

« Il cuore mi batteva forte mentre i nostri carri armati raggiungevano i sobborghi della città, » disse L eonid. « Andai diritto a casa mia. Una sconosciuta mi aprì la porta. Si spaventò quando vide la mia uniforme e scappò via. Mi allontanai. Volevo cercare i parenti, gli amici. Ma non c'era nessuno che conoscessi. Camminavo per le strade che mi erano così familiari, ma che ritrovavo piene di sconosciuti. Plunge era diventata per me una città fantasma. Non c'era una sola faccia che conoscessi nella città in cui ero nato. Alla fine andai dal prete. Era ancora là; mi prese fra le braccia, e per un poco piangemmo insieme. »

Il prete raccontò a Leonid la terribile storia. Nell'estate del 1941 i tedeschi avevano occupato Plunge. Il compagno Pabresha era diventato subito un entusias ta filonaiista e si mise a lavorare per la Gestapo. Non si sapeva se lo facesse o meno per ordine del partito comunista. Il prete disse a L eonid che, pochi giorni dopo l'arrivo dei tedeschi, Pabresha aveva dato il via a un pogrom, che finì solo dopo che tutti gli ebre i di Plunge - uomini, donne e bambini - furono uccisi.

« Ancora oggi non p osso parlarne, » aveva detto il prete. « Per prima cosa gli ebrei furono picchiati e trasci nati alla sinagoga, di fronte alla quale la marmaglia accese un gran fuoco; poi gli ebrei furon o costretti a portare fuori la thora, e le reliquie, e i libri di preghiere, e a bruciarli. Pabres ha spinse parecchi uomini tra le fiamme e sparò su di loro. Ricordi il vecchio dottor Siw, che era stimato da tutti come un bravo medico? Pabresha lo costrinse a inginocch iarsi e a mangiare lo ste rco. E qu esto, Leonid, fu solo l'inizio. La marmaglia era scatenata, e Pabresh a era il peggiore di tutti. Portarono gli ebrei a Kaushenai, il villaggio a due miglia da qui, e là cominciò il massacro finale. Li fucilarono: uomini, donne, bambini, tutti. Cercai di salvare alcune giovinette del Gymnasium che conoscevo. Le feci inginocchiare e le b attezzai, poi dis.5i a Pabresha che ormai erano cristiane. Mi saltò addosso e mi buttò a terra. Vidi Pabresha aJferrarle per i capelli e sparare su di loro. Sì, e anche sua moglie aveva un fucile e ammazzava la ge nte. P ersi conoscenza. Rimasi ammalato per molti ·mesi. I dottori temettero per la mia ragione... Quando riuscirono a guarirmi, non era rimasto più n essuno. Uno degli ultimi ebrei uccisi fu Freimaas I srai lowicius, proprietario della farmacia in cui lavorava il padre di Pabresha. Non ti sorprenderai nel sentire c he il vecchio Pabresha rilevò la farmacia e le terre e la casa del padrone assassinato. »

Leonid era rimasto p er un po' senza parole, ascoltando il racconto del prete. Finalmente c hiese dove fosse Pabresha in quel momento.

« Se n'è andato con i tedeschi,» g li aveva detto il prete. « La mia fede mi dice di predicare il perdono, L eonid, ma quando penso ad Arnoldas Pabresha non trovo pietà nel mio cuore... »

Leonid non pianse nel congedarsi dal prete. E non rimase a Plunge. Le case gli erano diventate estranee come la faccia della gente. Lasciò la ci ttà fantasma, e fu lieto di poter proseguire la lotta contro i tedeschi. Ma continuò a pensare al modo di trovare Pabresha. Leonid sentiva di avere una missione, per la quale Dio aveva risparmiato lui, l'ultimo ebreo di Plunge.

Non trovò Pabresha. Dopo la gu erra, la sua divisione fu riman- data nell'Unione Sovietica. Poi, venne assegnato ad un'altra unità destinata alla Germania Orientale. Alla fine, Leonid decise di rifugiarsi a Berlino Ovest e si mise a cercare, nei vari campi di profughi della Germania Occidentale, dei lituani e delle persone provenienti dai paesi baltici. Trovò qualcuno che aveva visto Pabresha dopo la guerra. Leonid seguì le tracce, e l'ultima cosa che scoprì fu che Pabresha, la moglie e due_ figli nel 1948 o 1 949 erano emigrati in Australia con un cognome polacco. Ma qui finivano le tracce. Leonid non sapeva come andaré avanti; eppure doveva andare avanti. Per questo era venuto da me.

Un altro terribile crimine era venuto alla luce solo perchè un uomo era sopravvissuto a centinaia di migliaia di suoi Simili. Quante Plunge Gi sono... quanti Pabresha dei quali non sappiamo nulla?

Leonid aveva scoperto che anche un intimo ainico di Pabresha, un medico lituano di nome Vladas I vinskis, che Leonid conosceva, era einigrato in Australia verso il 1948. lvinskis esercitava la professione di medico nella Nuova Guinea. Per mezzo di un ex abitante di Plunge, che viveva a Parigi, Leonid aveva scoperto che gli lvinskis e i Pabresha erano stati insieme in Australia fino al 1956. Tuttavia, a quell'epoca i Pabresha stavano progettando di trasferirsi negli Stati Uniti.

« Ciò significa, » dissi a Leonid, « che dobbiamo cercare una famiglia - marito, moglie e due figli - che probabilmente andò in Australia, sotto un falso nome polacco che non conosciamo, verso il 1956, e che dopo il 1956 si trasferì negli Stati Uniti.»

« Sembra un'impresa impossibile, » disse Leonid annuendo.

« Forse questo dottor lvinskis sa dove si trovano,» dissi.

Scrissi ad alcune persone in Australia. Ricevetti una· lettera da una suora cattolica che aveva parlato con un prete nella Nuova Guinea. Il -prete conosceva il dottor I vinskis, ma non era in grado di procurarci l'informazione richiesta.

Tentai un'altra strada. Se Pabresha era in Americ~, probabilmente si teneva in contatto con altri lituani. Pregai un amico di fare, sui diversi giornali lituani pubblicati in America, un annuncio nel quale si diceva che un ex abitante di Plunge, che da ultimo aveva assunto il nome di Smith, era morto lasciando le sue considerevoli sostanze ai concittadini ancora viventi. Tutti i nativi di Plunge erano perciò invitati a scrivere ad un certo indirizzo.

Nessuno rispose all'annuncio. Forse Pabresha Io lesse, ma non osò scrivere. Chissà se dorme sonni tranquilli quando pensa a Plunge !

Negli ultimi anni, ho passato parecchio tempo in Olanda ed ho stabilito stretti rapporti con il Centro di Documentazione olandese, ad Amsterdam, durante la ricerca dell'uomo che arrestò Anna Frank e nel corso delle indagini sulle attività del dottor Erich Rajakowitsch. Il triumvirato imperante nei Paesi Bassi durante l'oocupazione tedesca era formato da tre gerarchi nazist,i austriaci : il dottor Artur Seyss-lnquart, Reichskommissar di Hitler; il dottor Hans Fischboeck, Generalkommissar per le Finanze e il Commercio; e lo SSGruppenfuhrer Walter Rauter, Generalkommissar per la Sicurezza. Questi tre uomini formavano il nucleo del cosiddetto « Donau-Club » (Club Danubio) i cui membri e,rano gli esponenti nazisti austriaci in Olanda. Dopo la guerra, molti criminali di guerra nazisti testimoniarono in Olanda, nel corso di vari processi, che i membri del Club Danubio erano responsabili di tutte le decisioni importanti prese durante l'occupazione tedesca dell'Olanda. I soci del Club si incontravano tutti i venerdì, per decidere su questioni di vita e di morte... ma per lo più di morte. Dei tre pezzi grossi, Seyss-lnquart fu giustiziato a Norimberga, Rauter in Olanda.

E Fischboeck? I miei amici olandesi ritenèvano che fosse morto. Io mi rifiutavo di crederlo, perchè non c'erano prove. Cominciai a studiare la pratica di Fischboedc, che risaliva al febbraio 1 938, quando Hitler mandò le sue prime « richieste » al cancelliere austriaco Schuschnigg. Fra qneste, quella che il dottor Hans Fischboeck fosse nominato ministro del Commercio di un nuovo governo austriaco filonazista. Secondo i documenti, Fischboeck nel 1937 si .era iscritto al partito nazista, fuori legge in Austria, ricevendo la tessera n. 6.133.529. Schuschnigg respinse le richieste di Hitler, e alcune settimane dopo il Fiihrer invase l'Austria. A questo punto Seyss-lnquart fu incaricato di formare un nuovo gabinetto austriaco; nel quale il dottor Hans Fischboeck fu nominato ministro per l'Economia e il Commercio. Durante le persecuzioni contro gli ebrei austria- ci, f'ischboeck dimostrò una spiccata inclinazione per il furto e il sa.e- cheggio su vasta scal a. Fu lui a redigere il progetto per l' « arianizzazione » di tutte le proprietà ebraiche in Austria. Ciò fu provato da documenti che vennero letti a Norimberga il 29 novembre 1945 alla presenza di Goering.

Durante il contro~terrogatorio di Goering, il pubblico ministero lesse il Docu mento Numero 1816-PS, Prova Numero USA-261, che dimostrava l'efficienza con cui l'amministrazione Seyss-lnquart aveva depredato gli ebrei in Austria. Il sistema fu perfezionato nel corso di una riunione che ebbe lu ogo il 12 novembre 1938 a Berlino, al Ministero dell'Aeronautica del Reich, sotto la presidenza di Goering. Seconda la testimonianza di Goering, erano presenti Heydrich, capo della polizia segreta nazista; il dottor Frick, ministro degli Interni; Goebbels; Funk, ministro dell'Economia; il co nte Schwerin von Krosigk, ministro delle Finanze; « e Fischboeck, per l'Austria ».

Dopo l'assassinio del diplomatico tedesco Ernst von Rath avvenuto a Parigi ad opera dello studente ebreo Hershel Gruenspan il 17 novembre 1938, Fischboeck consigliò a Goering di imporre per rappresaglia agli ebrei della Germania e dell'Austria una ammenda collettiva di un miliardo di marchi. Secondo i documenti di Norimberga, Fischboeck aveva escogitato questo piano particolareggiato per depredare gli ebrei :

Eccellenza, su questo argomento Qa quP.stione ebraica] abbiamo già un dettagliato progetto per quel che riguarda l'Austria. A Vienna ci sono 12.000 artigiani e 5.000 commercianti al minuto ebrei. Prima di conquistare il potere avevamo già un piano ben definito per le piccole imprese ammontanti a un totale di 17.000 unità. Delle 12.000 piccole imprese artigiane, circa 10.000 erano da chiudere definitivamente e 2000 dovevano essere lasciate aperte; 4000 dei 5000 negozi al dettaglio dovevano essere chiusi e 1000 potevano essere lasciati aperti, ossia arianiZ7~ti. Secondo questo piano, dovrebbero essere lasciate in vita dalle 3000 alle 3500 ditte sulle 17.000 complessive; tutte le altre dovrebbero essere chiuse. Quanto sopra è stato deciso in seguito a un'indagine svolta settore per settore e in base alle necessità locali, d'accordo con le autorit à competenti. Il provvedimento potrà esse re notificato non appena sarà pubblicata la legge che abbiamo chiesto in settembre. Questa legge ci permetterà di ritirare le licenze agli artigiani, indipendentemente dalla questione ebraica.

Goering aveva risposto: « Farò p ubb licare la legge oggi stesso. , Poi aveva commentato con aria soddisfatta: « Devo dire che questa proposta è eccellente. In questo modo, entro Natale o al massimo entro la fine dell'anno risolvere mo la faccenda a Vienna, che è per così dire una delle capitali ebree. »

_

Allora, il miìiistro dell'Economia tedesco, Funk, aveva detto: « P9&Siamo fare lo stesso qui. »

: « In altre parole, » disse il pubblico ministero a Norimberga, « la soluzione di Seyss-Inquart fu cosi apprezzata da e~e giudioata un modello valido per il resto del Reich. » In realtà la soluzione di Seyss-Inquart era l~ soluzione del dottor Hans Fischboeck.

Più tardi, il dottor Fischboeck si distinse fra i più accaniti persecutori nazisti degli ebrei in Olanda. L'8 aprile 1942, egli visitò un campo di lavori forzati dove erano raccolti duemila ebrei. Nel rapporto che fece a Seyss-Inquart scrisse: « Gli ebrei sono bene alloggiati e nutriti, e di ciò non si vede la ragione », e propose cambiamenti radicali. Fischboeck era presente alla cosiddetta « Riunione per gli ebrei » del 16 ottobre 1942, con Se~-Inquart ed altri, nella quale venne discussa la deportazione degli ebrei olandesi. Abbiamo la corrispondenza intercorsa fra Seyss-Inquart, Rauter e Fischboeck nel 1941; in queste lettere i tre massimi esponenti dd « Club Danubio» parlano per la prima volta di « Aussiedlung » (reinsediamento) degli ebrei invece di « Auswanderung » (emigrazione). Nel frattempo, Fischboeck faceva man bassa dell'economia olandese. « Liquidò » 13.000 ·imprese ebree, « arianizzò » 2000 negozi ebrei, e trasferì parecchi miliardi di fiorini olandesi in Germania.

La deportazione degli ebrei olandesi fu attuata in modo assolutamente inumano. Ho fra i miei documenti una lettera scritta da un ebreo olandese, un certo G.A. van der Hall, al generale Christiansen, comandante dell'esercito tedesco nei Paesi Bassi. Van der Hall, che aveva perso tutt'e due le gambe in combattimento nel maggio 1940, chiedeva di essere esonerato dalla deportazione. Fu deportato egualmente e morì in un campo di concentramento. Sulla sua lettera, trovata più tardi, figura questa annotazione ufficiale: « Un ebreo è sempre un ebreo con o senza gambe.»

Fischboeck ficeva parte di quel ristretto gruppo di gerarchi nazisti che conoscevano perfettamente i piani e il meccanismo della « soluzione finale del problema ebraico » e che contribuirono a realizzare tale « soluzione finale ». Era un uomo abile, pieno di risorse, crudele. Dopo che gli alleati ebbero liberato una: vasta porzione dell'Olanda, Fisch-boeck si trasferì con il suo stato maggiore nella zona nord-orientale del paese e continuò a « liquidare » le proprietà . olandesi e a trasferime i fondi in Germania.

Dopo la guerra, Fischboeck fu incluso nell'elenco dei «ricercati» tanto in Austria quanto in Olanda, ma non si riuscì a trovarlo. A ' quel tempo, in Austria, i nazisti del calibro di Fischboeck venivano condannati all'ergastolo per colpe molto minori delle sue. Fischboeck fu processato in contumacia per alto tradimento e venne ordinata la confisca di tutti i suoi bepi in Austria, In Olanda, il suo processo avrebbe potuto concludersi con la condanna alla pena capitale. Ma in entrambi i paesi, fu impossibile trovarlo. In Austria fu dato per « disperso>>, e in Olanda si ritenn e che fosse morto.

Non si ebbero più notizie di lui, fino a che una vecchia ebrea non venne a trovarmi nel mio ufficio di Vienna in un giorno del settembre 1965. Era disperata. Durante la seconda guerra mondiale, quando lei e il marito stavano per essere deportati, erano stati avvicinati da un arruco non ebreo che aveva promesso di rilevare la loro ditta e di gestirla « fino al vostro ritorno ».

« Adesso, è direttore generale di una azienda qui a Vienna, » disse la vecchia. « Sono andata a trovarlo, ma lui nega tutto. Non ricorda di aver rilevato la no$tra ditta. Mi ha detto di non seccarlo e mi h~ messa alla porta. »

Era la solita storia. I -due vecchi avevano commesso lo sbaglio di sopnvvivere, di tornare e di chiedere la roba loro. Le chiesi se non avessero messo nulla per iscritto.

« Non osammo, » disse. « Ci' fidammo di lui. »

« Avete dei dati di fatto su cui fondare la vostra richiesta? » le chiesi. « Avete dei testimoni? »

« Sì. Mio marito le darà i nomi di diverse persone che erano al corrente del trapasso della ditta. Il dottor Hans Fischboeck è uno di loro. Egli si occupò dell'arianizzazione delle proprietà ebraiche. »

« Fischboeck non vi può aiutare, >>- le dissi. « È morto. »

La donna mi fissò. « Non era morto quattro settimane fa. Conosco un'austriaca che mi ha detto di aver parlato recentemente con Fischboock. Mi ha detto che faceva l'lndustrie-Berater ,[consulente industriale] in una grande città della Germania. »

« Potrebbe farsi dare l'indirizzo di Fischboeck da quella donna?»

La vecchia scosse il capo. « Non me lo darebbe. t ancora un'accanita filonazista. »

Quando la donna se ne fu andata, rimasi a lungo a pensare. Un altro criminale, che viveva prospero e felice mentre tutti lo ritenevano .morto. Cominciai a indagare, e giunsi a queste conclusioni: in una certa epoca dopo la fine della guerra, Fischboeck era andato in Italia, e di là in Sud-America, con l'aiuto dell'ooESSA. Si era stabilito in Argentina. Nel 1957, quando il parlamento austriaco abrogò le leggi sui crimini di guerra, il nome del dottor Hans Fischboeck fu cancellato dall'elenco austriaco ·rJ ei cri minali di guerra contumaci.

Fischboeck giudicò che fosse giunto il momento di tornare in Europa.

Quella donna aveva detto che Fischboeck faceva il consulente industriale in Germania. Ciò significava che probabilmente abitava in una grossa città industriale tedèsoa. Spedii parecchie lettere ai miei amici in Germania chiedendo loro che controllassero se negli annuari di determinate città tedesche figurava il nome del dottor Hans Fischboeck. Tutte le risposte furono negative. Allora cominciai a studiare il Kompass, una pubblicazione in cui figurano i nomi di tutte le persone che hanno a che fare con l'industria, il commercio e la finanza della Germania. E qui trovai il nome del dottor Juan Fischbock, cittadino argentino, consulente finanziario. Indirizzo: Alfredstrasse I 40, Essen. ·

Sì, era Fischboeck, criminale di guerra ed ora membro rispettato dei circoli economici di Essen. La su a casa di Essen è a meno di un'or<! di automobile dal confine olandese. Scoprimmo che Fisch~ck aveva un passaporto argentino, numero 4507366, rilasciato a Buenos Aires il 25 settembre 1957. Informammo il Centro di Documentazione Olandese di Amsterdam, che a sua volta passò l'informazione alle autorità giudiziarie olandesi. Il Centro di Documentazione olandese e la polizia di Stato olandese misero insieme un nutrito fascicolo di prove, che trasmisero al Ministero della Giustizia olandese, a L'Aja. L'ambasciatore olandese a Bonn ne diede comunicazione ufficiale alle autorità tedesche. Venne informato anche il procuratore di Stato di Monaco incaricato delle indagini sui crimini di guerra tedeschi nei Paesi Bassi.

Risultò, tuttavia, che i delitti per i quali le autorità olandesi aveva.no prove dirette e lampanti rientrano tutti nelle norme tedesche sulla prescrizione. Fino a questo momento, i tedeschi non hanno ancora ricevuto la richiesta di estradizione di Fischboeck in Olanda, dove per i suoi delitti non è prevista la prescrizione. Il suo permesso di soggiorno in Germania scadeva il 6 aprile 1 966, e la polizia di frontiera austriaca è stata informata che a Fischboeck non è permesso di tornare nella sua città natale. Le autorità olandesi stanno cercando di procurarsi le prove, tramite testimonianze e documenti, che Fischboeck fu complice in omicidio... reato che non beneficia della legge tedesca sulla prescrizione. L'ora del dottor Hans Fischboeck, maestro di arianizzazione, potrebbe ancora suonare.

Nella primavera del 1964 andai in Italia, a Torino, su invito di alcuni amici che avevano fatto parte della Resistenza italiana. Parlai del mio lavoro davanti a un folto pubblico interessato. Dopo la conferenza, molte persone vennero a trovarmi, per chiedermi notizie di loro parenti o per riferirmi certi fatti che pensavano potessero interessarmi. Fra gli altri, c'era una vecchia signora, cnrva, con i capelli bianchi, in lutto stretto. Mi oolpì l'espressione grave, quasi impietrita dei suoi occhi. ·

« Signor Wiesenthal, » mi disse, « lei si interessa solo dei crimini commessi dai nazisti contro gli ebrei? »

Le assicurai che nei nostri archivi conservavamo la documentazione di crimini nazisti contro ebrei e non ebrei, sebbene nella maggior parte dei casi le vittime fossero ebrei. Annuì, come se si fosse aspettata questa risposta. « Vorrei vederla per una mezz'ora domani mattina, da soli,» disse. Fissammo l'appuntamento e la signora se ne andò.

Venne al mio albergo all'ora stabilita, e di nuovo fui colpito dalla sua dignità e dalla sua espressione di dolore. Compresi che quella donna doveva aver sofferto molto. Non doveva esserle stato facile venire da me. « Lei guardava il mio vestito nero, ieri, » disse. « Sono in lutto dal giorno in cui, nell'autunno del 1943, mi venne annunciato ufficialmente che mio figlio era stato ucciso... assassinato... dai tedeschi. Signor Wiesenthal, da quel giorno non ho più riso e non riderò più finchè vivrò. Era il nostro unico figlio. Mio marito morì di crepacuore. So che non si possono richiamare in vita i morti. Da buona cristiana, dovrei accettare la volontà di Dio. Ma mi addolora che nessuno in Germania si preoccupi dei novemila soldati italiani che furono uccisi a Cefalonia. Nessuno ba fatto qualcosa peT loro.»

« Cefalonia? » le chiesi. « Non ne ho mai sentito parlare. »

« Nemmeno lei sa nulla della tragedia che si svolse su quell'isola? » disse la signora con accento amaro. « Mi dica: è permesso uccidere dei militari, prigionieri di guerra, che si sono arresi? »

« Sarebbe una grossa violazione alla Convenzione di Ginevra. >

« Sì. Ma a Cefalonia novemila uomini della divisione italiana <Acqui> furono ass<l$inati dai soldati tedlschi. C'è stato qualche scrittore italiano che ha descritto questo_orribile crimine. » La signora mi diede altre notizie. Le promisi che avrei fatto delle indagini. Se avessi avuto conferma delle sue informazioni, le dissi che mi sarei occupato del caso di Ce(alonia. La signora approvò col capo e se ne andò.

Prima di recarmi all'aeroporto, telefonai al mio amico Angelo Del Boca, un redattore della Gazzetta del Popolo. Conosceva la storia di Cefalonia. « Una delle peggiori violazioni del nostro secolo contro la Convenzione di Ginevra, ma nessuno se ne preoccupa_in Germania, » disse. « Dirò a Marcello Venturi di mandarle il suo libro. »

Alcuni giorni dopo, a Vienna, ricevetti una lettera dello scrittore Marcello-Venturi, e una copia del suo libro Bandiera bianca a Cef alonia. Studiai il libro e consultai i rapporti della Quinta Corte Militare di Norimberga che si era occupata di questo crimine di guerra. In seguito ricevetti una copia della sentenza emessa dal Tribunale Militare di Roma il 20 marzo 195 7 contro più di trenta ufficiali dell'esercito tedesco, che erano stati condannati in contumacia. La sentenza consta di settantaquattro pagine dattiloscritte. Allora scrissi una lettera all'Ufficio Centrale per i crimini nazisti, a Ludwigsburg. L'ufficio mi informò che il massacro di novemila soldati italiani a Cefalonia « non era noto ».

Cominciai a comprendere perchè in Germania non fossero state fatte indagini su questo orribile eccidio. Nè le SS, nè la Gestapo e neppure membri del partito nazista erano coinvolti in questa vicenda. Il delitto era stato commesso da militari della Wehrmacht e forze potenti della Repubblica Federale Tedesca hanno sempre cercato di tenere lontana la Wehrmacht dalle indagini sui crimini di guerra nazisti. Con la collaborazione d~ll'ambasciata d'Italia a Vienna, ottenni gli indirizzi di venti o trenta soldati italiani che erano miracolosamente scampati al massacro. Mandai i loro nomi a Ludwigsburg. Dopo un certo tempo, il caso venne affidato al procuratore di Stato Obluda di Dortmund, un giovane funzionario energico che cominciò a fare indagini. Ci tenemmo sempre in contatto. ·Nel giro di poco tempo venimmo a sapere tutto sulla tragedia di Cefalonia.

Cefalonia è la maggiore delle Isole Ionie, separata dalla costa occidentale della Grecia dal G~lfo di Patrasso. Uno stretto di tre miglia divide Cefalonia dall'isoletta di Itaca, resa famosa da Omero. La maggior parte dell'isola è costituita da terreno incolto, coperto dalla macchia sompreverde e da abeti di una specie chiamata Abies cephalonica. Al centro dell'isola si elevano brulle colline che raggiungono un'altezza di novecento metri. Lungo la fascia costiera ci sono uliveti, vigneti e giardini.

Nell'estate del 1943, durante le ultime settimane dell'alleanza italotedesca, la divisione « Acqui », composta di circa novemila uomini al comando del generale Gandin, presidiava Cefalonia. Un piccolo distaccamento tedesco di collegamento, formato da unità della marina e dell'esercito, era dislocato nella penisola di Palis, sulla costa orientale dell'isola. Nell'agosto del 1943, i soldati tedeschi e italiani a Cefalonia erano nella proporzione di I a 6. L'8 settembre 1943 l'Italia si arrese agli alleati anglo-americani. Dopo la c_apitolazione del maresciallo Badoglio, il generale Gandin ricevette via radio dall'Undicesima Armata italiana quest'odine: « RIMANETE DOVE SIETE. SE I TEDESCHI USASSERO LA FORZA, SERVITEVI DELLE ARMI. » Il 9 settembre, mentre tutti i reparti della divisione « Acqui » erano in stato di allarme, il generale Gandin ricevette via radio un altro messaggio che revocava il precedente e gli ordinava di consegnare tutte le anni ai tedeschi. Gandin non eseguì questo secondo ordine, che ritenne falso. Invece, chiese via radio ordini e istruzioni all'Alto Comando italiano.

La mattina del 1 o settembre, due emissari dell'Alto Comando tedesco nei Balcani, il tenente colonnello Hans Barge e il tenente Franz Fauth, si presentarono al comando di Gandin e chiesero la consegna delle anni, in base all'ordine del giorno precedente. Gandin disre loro che aveva buoni motivi per dubitare dell'autenticità del secondo ordine e chiese una dilazione. Convocò i suoi ufficiali e ordinò al terzo battaglione del 31 7° reggimento di abbandonare la posizione troppo scoperta che occupava a Cardacata, « per evitare altre complicazioni». Secondo i rapporti che continuavano a giungere, truppe tedesche stavano ~barcando lungo la costa. I soldati italiani diventavano sempre più irrequieti.

Alle nove precise della mattina dell'x I settembre, i due emissari tedeschi ricomparvero al comando del generale Gandin per presentare un ultimatum. Dissero che il generale aveva tempo fino alle 19 di quello stesso giorno per soddisfare le richieste tedesche. L'atteggiamento dei soldati it aliani divenne decisamente ostile. Nella tarda mattina, alcuni tedeschi cercarono di catturare un mezzo corazzato italiano, e furono respinti. La situazione si faceva sempre più tesa. Alle quindici, il generale Gai:idin convocò un altro consiglio di guerra. I cappellani della divisione erano favorevoli alla resa. Il generale

Gandin cominciò a negoziare con i due ufficiali tedeschi; ma rimandò la decisione al momento in cui avesse ricevuto un ordine preciso dai suoi superiori. I tedeschi nel frattempo contin uarono a sbarcare truppe sull'isola. Il rapporto di forze fra tedeschi e italiani era, adesso di 1 a 3.

Il 1 2 settembre, parecchi artiglieri italiani fuggiti dalJa vicina iS<r letta di Santa Maura, riferirono che tutti i soldati italiani ch e avevano consegnato le armi ai tedeschi erano stati portati in un campo di prigionia. A Cefalonia aumentava l'inquietudine, e c'erano già delle sparatorie. La tensione fra gli italiani aumentò quando i tedeschi presero due batterie, una casermetta dei car abinieri e l'edificio della dogana di Argostolion. Le richieste di resa immediata da parte del colonnello Barge si fecero più p~ti, ma furono respinte dopo una riunion e al comando di divisione. Gli italiani, fu deciso, non avrebbero consegnato le armi, e se i tedeschi avessero cercato di infrangere lo stat us quo si sarebbe risposto con la forza.

La mattina del 13 settembre gli italiani fecero fuoco su due imbarcazioni tedesche che ceroavano di venire a terra. Un battello affondò e l'altro si arrese. Cinque tedeschi rimasero uccisi. Alle 13, il generale Gandin informò le truppe che erano ancora in corso negoziati con i tedeschi. Poco prima di mezzanotte, il generale chiese ai soldati di votare sull'ultimatum tedesco: una procedura insolita, ma anche la situazione era insolita. Il giorno dopo gli italiani votarono alJ ' unanimità contro la consegna delle armi e contro qualsiasi collaborazione con i tedeschi. Il generale Gandin riceve tte un ordine dal governo italiano: l'ultimatum tedesco dov eva essere respinto, se neces.sa.ri o con la forza. A mezzogiorno, il generale Gandin comunicò agli emissari tedeschi l'ultimo ordine ricevuto e il voto dei suoi soldati. I tedeschi, a loro volta, gli disrero di ripensarci su fino alle nove della mattina dopo.

Il 1 5 settembre, alle nove, i tedeschi chiesero una dilazione fino alle 13. Un'ora dopo, apparvero sull'isola i primi Stukas. Il generale Gandin ordinò il fuoco. La battaglia fra tedeschi e italiani cominciò. Ormai sull'isqla le forze contrapposte si equiv alevano, ma i tedeschi avevano più artiglieria ed erano effi cacemente appoggiati dall'aria. La battaglia durò sei giorni, fino al 21 settembre, quando gli italiani, che avevano perso oltre duemila uomini, alzarono la bandiera bianca e si arresero.

Scoprii che al processo di Norimberga erano emersi alcuni particolari del massacro di Cefalonia, e che due degli ufficiali implicati, il generale- Wilhelm Speidel e il generale Hubert Lanz - che comandava il Settimo Corpo d'Armata nei Ba!kani - erano stati condannati rispettivamente a venti e dodici anni di carcere. I due generali non possono essere processati di nuovo per questi crimini. Altri tedeschi che, secondo la sentenza del tribunale alleato, si crano limitati a trasmettere ordini, erano stati assolti. Il maggiore Harald von Hirschfeld, il più importante ufficiale di collegamento tedesco con il Ventiseiesimo Corpo <l'Armata italiano (del quale faceva parte la divisione « Acqui » ), che era stato presente all'azione di Cefalonia, rimase ucciso sul fronte russo nel r 944.

Oggi sappiamo qualcosa che nè il tribunale di Norimberga nè il Tribunale Militare di Roma, nel 1957, sapevano: Martiri Bormann, il vice di Hitler, aveva emanato un ordine segretissimo (Geheime Reichssache) in bàse al quale tutti i prigionieri di guerra italiani a Cefalonia dovevano essere giustiziati immediatamente, per rappresaglia. L'ordine seguì la trafila dei vari comandi e finalmente giunse all'ufficiale di collegamento Hirschfeld a Cefalonia. Venne costituito un reparto per l'esecuzione dell'ordine, sotto il capitano Rademacher, della marina tedesca, e i tenenti Heidrich e Kuhn dell'esercito. I prigionieri italiani erano stati disarmati. Li caricarono su dei camion, che si supponeva dovessero portarli nei campi di prigionia. Invece, vennero portati in alcune. località isolate - soprattutto nelle vicinanze di Cocolata, di Trojanata e di Constantinos ....:. dove furono fucilati da plotoni di esecuzione dell'esercito tedesco e seppelliti in fosse comuni.

Nei giorni 21 e 22 settembre, dopo la cessazione delle ostilità e dopo la resa, furono assassinati quasi tutti i soldati e gli ufficiali della divisione « Acqui ». Il generale Gandin venne fucilato alle sette di mattina del 24 settembre. Quel giorno, 260 ufficiali italiani vennero portati al faro di Phanos, a nord di Argostolion, dove furono uccisi. I loro corpi furono caricati su una chiatta che, zavorrata con grosse pietre, fu spinta al largo e affondò. Uno degli ultimi atti di rappresaglia si ebbe il 2 5 settembre, allorchè parecchie decine di soldati e ufficiali italiani feriti che si trovavano nell'ospedale divisionale vennero trascinati fuori dall'edificio e uccisi. Il 28 settembre, i tedeschi scovarono diciassette marinai italiani che si erano dati alla macchia e li fucilarono. Dei novemila uomini che formavano la divisione, solo una trentina riuscirono a nascondersi nell'isola. In seguito fuggirono. Compariranno come testimoni quando il processo avrà inizio.

Negli ultimi anni, le comm1SS1om militari italiane hanno trovato tutte le fosse comuni di Cefalonia. Padre Luigi Ghilardini, ex cappellano della divisione, che ora vive a Genova, ha scritto un libro intitolato I martiri di Cefalonia. Gli ufficiali che comandavano i plotoni di esecuzione tedeschi figurano ora nell'elenco tedesco dei « ricercati». (Il colonnello Barge, uno degli emissari, ha potuto provare che era stato rµandato a Creta prima che il massacro avesse inizio.)

Nel febbraio 1966 ho parlato con il procuratore Obluda, a Dortmund, che era stato a Cefalonia per svolgere personalmente delle indagini, e che spera di assicurare i criminali alla giustizia. In seguito, parecchi altri magistrati hanno collaborato con noi. Ma c'era una domanda ,alla quale nessuno era in grado di rispondere. Come era possibile che il crimine di Cefalonia - l'uccisione di migliaia di persone - fosse sconosciuto alle autorità tedesche? Se una signora vecchia e triste non fosse venuta a trovarmi un giorno a Torino, molti tedeschi non saprebbero ancora nulla di Cefalonia.

This article is from: