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CAPITOLO XXIII

La Scuola Di Genocidio

Verso la fine di maggio del I 96 I, venne a trovarmi a Linz una signora austriaca di mezza età. Ciò avveniva poco dopo la cattura di Adolf Eichmann; i giornali locali avevano illustrato diffusamente la parte da me avuta nelle ricerche. Ora, persone di ogni genere venivano a dirmi cose che non m'interessava sapere e mi mandavano cose di cui non avevo bisogno. Alcuni mi offrivano informazioni, altri venivano a chiedermi consigli. Non sapevo perchè quella donna fosse venuta da me. Era trasandata e per nulla attraente. Portava un pullover stazzonato e i capelli sporchi le ricadevano in disordine sulla fronte: non mi sarei aspettato che una donna simile venisse a parlarmi di una storia d'amore, e invece fu proprio quello che fece. Bruno Bruckner, che un tempo era stato guardia notturna al mercato del bestiame di Linz, era anche un appassionato fotografo dilettante. Aveva vissuto con la donna e le aveva promesso di sposarla. Poi aveva conosciuto un'altra...

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Ascoltavo distrattamente, domandandomi quando sarebbe giunta al nocdolo.

« ... e nel 1940 Bruno lavorava per i nazisti; faceva il fotografo speciale al Castello di Hartheim. »

Hartheim! Improvvisamente mi feci più attento.

« Il Castello di Hartheim ad Alkoven? »

«Sì,» disse la donna. « Ad appena una mezz'ora di automobile sulla strada per Passau. C'è mai stato? Durante la guerra, i nazisti trasformarono il Castello di Hartheim in ospedale. Era là che Bruno lavorava come fotografo. Veniva a trovarmi a Linz due volte al mese. Aveva sempre un mucchio di soldi. Fu allora che cominciò ad andare in giro con quella donna e... »

« Sì, lo so. Ma lui, cosa faceva nell'ospedale?»

« Be', doveva fotografare i pazienti. Le fotografie venivano mandate a Berlino. Era una cosa molto segreta, ma lui si ubriacava e mi raccontava tutto. »

« Che genere di fotografie faceva? » le chiesi. La donna si alzò di scatto. Forse avevo chiesto troppo.

« Perchè non lo chiede a Bruno? » mi dis.se invelenita. « Lui era nazis ta, e lei cerca i nazisti, no? Ecco il suo indirizzo. Potrà raccontarl e tutto sui begli esperimenti che gli facevano fotografare a Hartheim. » E se ne andò.

Avevo sentito parlare per la prima vo lta di Hartheim nelle ultime settimane della mia permanenza nel campo di concentramento di Mauthausen. I forni crematori erano sempre in funzione e a volte ce n'era qualcuno che si guastava: allora veniva un esperto « da Hartheim » per ripararlo. A volte, invece, gruppi di prigionieri venivano mandati « a Harthe im » e non tornavano più. Qualcuno mi disse che Hartheim era il nome di un vecchio castello poco distante da Mauthausen. « Harth eim » sembrava sinonimo di morte. Ma non vi prestai molta attenzione. Sdraiato sulla mia branda nella baracca della morte, ero troppo debole per pensare.

Nel 1947, diverse SS del campo di concentramento di Mauthausen vennero processate da un tribunale militare americano a Dacha u. Avevo contribuito a preparare le prove contro alcune SS, ed ero presente in aula. Uno degli accusati dichiarò di essere stato mandato a M authausen « da Hartheim » . Fu condannato a morte. Nessun altro parlò di Hartheim.

La seconda volta che m'imbattei. nel nome del Castello di Hartheim fu quand o mi capitò sotto gli occhi un rapporto sul programma di eu tanasia del regime nazista. I fatti sono in gran parte noti, e mi limiterò a ricapitolarli brevemente. Dell'eutanasia - che i nazisti chiamavano Gn adentod (morte misericordiosa) - si parlò per la prima volta nel gennaio 1 940. Per ordine di Adolf Hitler, si incontrarono nel Brandeburgo tre uomini: il R eichsleiter Philip Bouhler, il Reichsfuhrer per la « Sanità » dottor Leonardo Conti, e il medico privato di Hitler, il dottor Karl Brand. Avevano l'ordine di preparare un piano per la « Vernichtung lebensunwerten Lebens » . Qu esta espressione, che non esiste in alcuna altra lingua, può essere tradotta approssimativamente « distruzione di vite indegne di vivere». Il piano era «segretissimo» e doveva essere attuato sotto il controllo diretto della Cancelleria del Fiihrer, il cui personale dipendeva da R udolf H ess, e poi, dopo la defezione di Hess, da Martin Bormann. Bormann nominò un comitato di esperti, capeggiato dal professor do ttor Werner Heyde, docente di psichiatria all'università di Wiirzburg. H eyde fu responsabile della morte di almeno centomila persone. Scomparve dopo la fine della guerra na- scondendosi sotto il nome di « dottor Sawade »; fu catturato nel 1 962, e si suicidò in carcere poco prima di essere proces.5ato.

Durante la fase iniziale del programma di eutanasia, le vittime furono scelte in determinate categorie di persone - ritardati mentali, malati incurabili, vecchi - definite « unnutze Esser», ossia « bocche inutili ». Secondo il concetto nazista, erano persone che consumavano cibo prezioso senza produrre nulla: quindi, dovevano morire. Molti di essi erano cristiani : tedeschi e austriaci ricoverati in 05pedali e ospizi. Non c'erano ebrei fra costoro in quanto la maggior parte degli ebrei erano già stati mandati nei campi di concentramento. I nazisti consideravano l'eutanasia un omicidio moralmente giustificabile o quasi, e lo riservavano agli appartenenti alla loro razza. Ufficialmente, il programma fu designato con la cifra di codice « T 4 » : era in una elegante villa al n. 4 della Tiergartenstrasse, a · Berlino, che avevano iJ loro quartier generale gli esperti della eutanasia.

La decisione di far vivere o morire gli esseri umani veniva presa da medici conosciuti come esperti « T 4 ». Es.si ricevevano le cartelle personali delle « potenziali bocche inutili» dagli 05pedali e dagli ospizi della Germania, dell'Austria e di altri paesi. Questi medici davano un'occhiata superficiale alle cartelle senza preoccuparsi di vedere i pazienti. Quando su una cartella veniva segnata una croce, la sentenza di morte era pronunciata.

Successivamente, le cartelle venivano mandate ad un ufficio speciale che si occupava del trasporto, e alcuni robusti accompagnatori scortavano uomini e donne C06Ì condannati alla « clinica » o al1' «ospedale» più vicini dove li aspettava una rapida morte. Nei rapporti sull'eutanasia che ho consultato sono citati quattro di questi istituti. Tre erano in Germania: Hadamar, presso Limburg; Sonnenstein, presso Pima, in Sassonia; il Castello di Gnfenegg, nel Brandeburgo. Il quarto era il Castello di Hartheim, vicino a Linz.

Dopo che ospedali e ricoveri furono liberati da molte « bocche inutili», l'operazione si ampliò prendendo il numero di codice « 14 f 13 »; fu allora la volta dei tedeschi e austriaci detenuti nei campi di concentramento che risultavano, spesso a causa del duro lavoro cui erano costretti, malati o invalidi. (L'ex cancelliere federale austriaco dottor Alfons Gorbach, invalido, era stato destinato al Castello di Hartheim, ma si salvò perchè aveva una bella scrittura e fu mandato a lavorare nell'amministrazione del campo di concentramento di Dachau. ) L' « operazione 14 f 13 » cominciò nel 1941 e continuò sino alla fine della guerra. Dopo il 1943, molti prigionieri di guerra francesi furono mandati a morire a Hartheim.

Dopo aver letto il rapporto, mi recai in macchina al Castello di Hartheim, sito nel tranquillo villaggio di Alkoven, oltre trenta chilometri da Linz, in mezzo a prati verdi e a colline dolcemente ondulate. Il Castello di Hartheim era un edificio rinascimentale del sedicesimo secolo, con q uattro torri e molte file di finestre. Varcato il cancello, mi inoltrai in una grande corte circondata da un bel porticato. A quel tempo il castello ospitava un certo numero di Volksdeutsche profughi dall'est. Sapevo che costoro non mi avrebbero potuto dire molto, dato che erano arrivati dopo la .guerra. Quelli con cui parlai, al villaggio, diventarono subito reticenti quando feci delle domande su Hartheim. Dissero che era stato « una specie di ospedale», poi scrollarono le spalle e se ne andarono. Risalii in macchina e tornai a Linz. Probabilmente, non avrei più pensato al castello di Hartheim se una donna gelosa non fos.5e venuta a parlarmi di Bruno Bru-ckner, che aveva fotografato certi « esperimenti » nel misterioso castello.

Cominciai a fare indagini sull'infedele Bruno. Lavorava in uno stabilimento chimico statale a Linz, e si diceva che fosse ancora un appassionato fotografo dilettante. Nei nostri archivi figurava il nome di un certo SS-Obersturmfuhrer Bruckner che, secondo le testimonianze dei superstiti di alcuni campi di concentramento, fungeva da corriere fra i campi e Berlino. Uno dei compiti dello SS-Obersturmfuhrer Bruckner era quello di consegnare a Berlino l'oro e i gioielli presi ai prigionieri ebrei. Non esisteva però alcuna descrizione di quell'uomo. Diedi tutto il materiale che avevo alla polizia di Llnz, e un funzionario andò a interroga!e Bruckner. Non c'erano accuse specifiche contro di lui, e bisognava agire con cautela. Suggerii al poliziotto di cominciare a parlare dell'oro e dei gioielli, per poi passare con tatto al Castello di Hartheim. Il funzionario lo fece in maniera egregia. Bruckner negò energicamente di essere mai stato nelle SS. Era stato « un semplice soldato della Wehrmacht» . Non aveva mai fatto il corriere per le SS, non aveva mai portato oro o gioielli. Anzi, disse, non aveva mai avuto la sua parte di « bottino » di guerra.

« Non ho portato a casa nenuneno una macchina fotografica, » disse Bruckner. « E non è un segreto che quasi tutti se ne sono tor. nati con un paio di macchine. Per non parlare di altre cose. »

Il funzionario di polizia annuì. « Ma lei adesso ha qualche macchina fotografica?»

« Certo. 1..e· avevo già prima della guerra. »

« Che genere di fotografie faceva al Castello di Hartheim, Bruckner? »

Bruckner fu tanto sollevato nel veder cadere l'argomento dell'oro e dei gioielli, che spifferò tutto.

« Foto scientifiche. Facevano certi esperimenti nei sotterranei e io li fotografavo attraverso un pertugio della porta. »

Si era offerto volontario per quel lavoro, di~. Un giorno, nel 1940, un uomo della Gauleitung nazista di Linz gli aveva chiesto se sarebbe stato in grado di far funzionare un laboratorio fotografico di prim'ordine. Bruckncr gli aveva risposto che quel lavoro gli sarebbe piaciuto molto. Alcuni giorni dopo era stato convocato alla Gauleitung, dove due uomini lo avevano interrogato. Dovette firmare una dichiarazione con la quale si impegnava a non parlare con nessuno del suo lavoro. Il giorno dopo andò a prenderlo un certo Herr Lohthaller che lo portò in macchina ali'« Ospedale di Hartheim ». Strada facendo, Bruno Bruckner gli aveva chiesto cosa avrebbe dovuto fare laggiù.

« Non lo chieda a me, » gli aveva risposto Lohthaller. « Glielo diranno loro. »

Giunto al castello, Bruckner fu condotto dal comandante, il capitano Christian Wirth. Bruckqer disse che il capitano Wirth era « un uomo simpatico fuori del lavoro, ma molto rigido nell'esercizio delle sue funzioni . Non avrebbe esitato a spararti se qualcosa non marciava ». Wirth disse a Bruckner che avrebbe dovuto prendere « tre foto di ciascun paziente », gli mostrò la camera oscura, che era veramente di prim'ordine, e gli fece vedere dove avrebbe dormito.

Bruckner fotografava circa trenta pazienti al giorno, talvolta di più. Era un lavoro duro. « Alcuni erano pazzi furiosi e dovevano essere tenuti dagli infermieri. Un paio di volte il paziente si liberò prima che pot~o fargli l'iniezione e mi saltò adda&o. Fu dura. E il peggio di tutto era che non riuscivo a mangiare. Nell'aria ristagnava giorno e notte un tanfo orribile, proveniente dai forni crematori. Dopo qualche giorno andai dal capitano Wirth e gli d~i che non cc la facevo. Gli chiesi di sollevarmi dall'incarico. »

Al capitano Wirth non era piaciuta quella richiesta, e aveva proposto a Bruckner tre alternative: « O lei sta qui e tiene la bocca chiusa, Bruckner. O sarà mandato a Mauthausen. Oppure, se preferisce, la uccideremo seduta stante. » Bruckner tornò scoraggiato nella sua camera. Quella sera il capitano gli mandò una bottiglia di Schnaps. Bruckner si ubriacò e finì per non pensare più al tanfo che anunorbava l'aria.

Un po' alla volta, Bruckner venne a sapere molte cose su Hartheim. Non era facile, perchè erano tutti molto abbottonati e gli dicevano di non fare domande se gli era cara la vita. Ma lui non era stupido. Si accorse che i due medici responsabili, il dottor Rudolf Lohna:uer di Linz, primario, e il dottor Georg Renno, suo sostituto, non gradivano che lui facesse le fotografie. Ma lui doveva eseguire gli ordini di Wirth. Dopo qualche settimana, Wirth gli disse di andare nel sotterraneo e di scattare alcune foto degli ultimi « esperimenti :>.

« Che genere di esperimenti? » chiese il funzionario di polizia.

« I pazienti venivano uccisi col gas. Dovevo fare dei primi piani della loro agonia. In seguito, dovetti fotografarne anche il cervello. Wirth chiamava queste fotografie < materiale scientifico> e le mandava a Berlino. Non mi era permesso tenerne nemmeno una. Accanto alla stanza degli esperimenti c'era il forno crematorio. Io non facevo domande. Era un lavoro che rendeva bene. Mi davano trecento marchi al mese, e in più guadagnavo qualche altra cosetta facendo delle fotografie al personale, col permesso del capitano Wirth. Si mangiava bene. E c'erano liquori in abbondanza. Alla sera, poi, stavamo sempre in buona compagnia. Nessuno dormiva mai solo.»

Bruno Bruckner faceva il suo lavoro e teneva la bocca chiusa. In seguito il capitano Wirth fu trasferito, e al suo posto andò un certo Franz Stangl. Poi, un brutto giorno del 1941, finì la cuccagna per Bruno. La Wehrmacht lo richiamò e lo spedi sul fronte occidentale.

« Non notò altro mentre era a Hartheim? » gli chiese il funzionario di polizia.

« Sì, » disse Bruckner. « Una cosa che non sono mai riuscito a spiegarmi. Ogni giorno, nel sotterraneo, venivano uccisi col gas trenta o trentacinque pazienti. Tuttavia nel castello c'erano almeno ottanta dipendenti, alcuni dei quali venivano nel sotterraneo a vedere gli esperimenti. A che servivano quelle ottanta persone?»

Fui in grado di rispondere alla domanda di Bruckner alcune settimane più tardi, dopo un'accurata indagine. Il Castello di Hartheim non era solo un istituto per l'eutanasia, come avevo creduto fino al momento dell'interrogatorio di Bruckner. Hartheim era molto di più.

C'erano alcuni fatti, che a prima vista non avevano alcun rap- porto fra loro. Wirth, il comandante del Castello di Hartheim, di~ venne in seguito comandante in capo dei tre campi di sterminio polacchi di Belzec, Sobibor e Treblinka, dove, dal 1941 al 1943, vennero uccisi col gas un milione e mezzo di ebrei, fra uomini, donne e bambini. Il suo succ~re a Hartheim, Franz Stangl, fu poi comandante a Treblinka. Gustav Wagner, altro allievo di Hartheim, comandò '.più tardi il campo di Sobibor: probahilmente, oggi si nasconde sotto falso nome in Argentina. 11 primario di Hartheim, dottor Rudolf Lohnauer di Linz, dopo la guerra si suiddò con tutta la famiglia. Il suo vice, dottor Georg Renno, fu arrestato nel 1963 a Francoforte, dove verrà processato. Infine, molte SS che svolgevano mansioni tecniche nelle camere a gas e nei forni crematori dei campi di sterminio avevano p3$3.tO qualche tempo a Hartheim o in una delle altre tre cliniche in cui si praticava l'eutanasia.

La terribile verità è che i centri di eutanasia erano vere e proprie scuole di genocidio. Ho parlato solo di Hartheim, perchè era facilmente accessibile per me; ma esiste materiale probante anche per le altre tre cliniche tedesche. Erano tutti centri di addestramento per il progranuna genocida di Hitler.

Questa scoperta risponde agli interrogativi che hanno lasciati perplessi gli storici e i criminologhi, dopo la fine della guerra : in che modo furono scelte e addestrate le persone che dovevano portare a termine lo sterminio di undici milioni di persone, e come f ecero a mantenere il segreto tanto bene da non essere scoperti per molti anni dopo la fine della guerra? Ovviamente, gli uomini adibiti alle camere a gas, che dovevano assistere alla morte di decine di migliaia di persone un giorno dopo l'altro, una settimana dopo l'altra, dovevano essere addestrati tecnicamente e psicologicamente, altrimenti sarebbero crollati sotto quella continua tensione.

Nel 1947 cominciai a discutere il problema con vari esperti che avevano studia,to i documenti relativi alla macchina di annientamento nazista. Chiesi a storici, a criminologhi, a medici e agli esperti dell'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme: Come si poteva spiegare il fatto che la macchina dei campi di sterminio non si fosse mai inceppata? Sapevamo che alla Conferenza di Wannsee, nel gennaio 1941, i nazisti avevano deciso la liquidazione sistematica di undici milioni di ebrei europei, e che erano stati provati vari metodi di uccisione. Sapevamo che c'erano stati degli inconvenienti tecnici. Una volta, alla presenza di Himmler, fu fatto l'esperimento, dimostratosi asrolutamente insoddisfacente, di impiegare i gas di scappamento dei motori per sottomarini. Himmler si era infuriato ed erano state inflitte punizioni draconiane. Le macchine si inceppavano, ma non le persone che le manovravano. Come mai gli uomini che facevano funzionare le camere a gas e i forni crematori potevano dare maggiore affidamento delle macchine? Erano stati addestrati tecnicamente e psicologicamente a sopportare quella terribile tension e? Questa domanda mi assillò per anni. I nazisti sapevano che non av evano tempo da perdere. Esistevano già progetti per l'annientamento degli zingari, dei polacchi, dei russi, e così via. Ciò significava che la m acchina del genocidio doveva continuare a marciare a grande velocità. Tutti i fatti stavano ad indicare che in qualche posto venivano addestrate squadre speciali di abili tecnici e di esecutori incalliti. Il Castello di Hartheim e gli altri centri di eutanasia ci davano ~a risposta. Là i nazisti creavano la loro élite di assassini profes.sionisti.

Hartheim era organizzato come una scuola di medicina... solo che gli « stud enti » non imparavano a salvare vite umane, bensì a distruggerle con la maggiore efficienza possibile. La morte delle vittime veniva studiata clinicamente, minuziosamente fotografata, perfezionata scientificamente. (Più tardi, duran te alcuni processi celebrati in Germania, fu provato che nei campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka, fotografi specializzati ritraevano le vittime mentre venivano uccise.) Furono sperimentati vari miscugli di gas per scoprire quale fosse •più efficace. I dottori osservavano con il cronometro alla mano, attraverso lo spioncino nella porta del sotterraneo del Castello di Hartheim, i pazienti che morivano, e registravano l'agonia al decimo di secondo. Venivano fatte riprese al rallentatore che poi g li esperti studiavano. I cervelli venivano fotografati per controllare esattamente quando la morte era sopraggiunta. Nulla era lasciato al caso.

Gli « studenti » dapprima assistevano agli esperimenti; poi li eseguivano personalmente. Ogni « studente » veniva scelto da un alto funzionario nazista, il cosiddetto Gau-lnspekteur. La segretezza era tale che per queste cose il Gau-Inspekteur era personalmente e direttamente responsabile solo verso la Cancelleria di Hi tler. I nazisti si rendevano cont o che non si potevano commettere sbagli. Le vittime erano tedeschi e austriaci, e avrebbero potuto nascere dei guai. Malgrado t utte le precauzioni, alla fine qualche sbaglio fu commesso negli « ospedali » di Sonnenstein e Grafenegg. Circolarono delle voci fra la popolazione, e fu ne cessario chiudere i due istituti. A Hadamar e Harth eim, l'organizzazione era perfetta. I due posti erano isolati. Non ci furono chiacchiere.

.N~uno saprà mai con esattezza quante persone furono uccise nel castello rinascimentale dal bel colonnato. Alle vittime di Hartheiln - per la maggior parte austriaci e tedeschi cristiani - non .è stato eretto alcun monumento. Non si sono trovati gli archivi dell'ospedale. Al processo di Dachau, nel 1947, dei testimoni dichiararono che ogni giorno nei sotterranei venivano « trattate » da trenta a quaranta cavie umane: il che farebbe, in tre anni, circa trentamila vittime. Verso la fine della guerra, Hartheim divenne semplicemente un altro centro di sterminio, Quando i carnefici della vicina Mauthausen erano troppo occupati, le vittime in soprannumero venivano mandate a Hartheim.

I « laureati » di Hartheim divennero in seguito maestri di futuri assassini scientificamente addestrati. Quando avevano fatto un• po' di pratioa, gli « studenti » diventavano insensibili alle grida delle vittime. Gli « insegnanti » osservavano la reazione dei loro « allievi ». Era una brillante trovata psicologica usare tedeschi e austriaci come vittime nell'addestramento per gli omicidi in massa. Se un « allievo » non crollava quando doveva uccidere i suoi compatrioti, non avrebbe avuto scrupoli morali al momento di sterminare migliaia di Untermenschen. Lo «studente» che non ce la faceva veniva mandato al fronte, dove il suo comandante lo assegnava a uno Himmelfahrtskommando: una squadra suicida. Presen tai la documentazione che avevo racoolto su Hartheim al dottor Christian Broda, l'allora ministro della Giustizia austriaco.

Il 20 febbraio 1 964 fui in grado di comunicare alla stampa · che il ministro mi aveva assicurato, in presenza del procuratore generale dottor Franz Pallio, che il mio materiale sarebbe stato preso immediatamente in considerazione « in modo che queste nuove informazioni possano essere usate in tutti i procedimenti in corso ». La documentazione contiene i nomi di molti cittadini austriaci che operarono a Hartheim. Mentre scrivo (estate 1966) essi sono ancora in libertà.

Che fine ha fatto Martin Bormann? È questo il più grande mistero, rimasto insoluto, del 'Periodo nazista. Il potente braccio destro di Hitler ha suscitato più chiacchiere, più leggende, ha fatto scorrere più inchiostro di qualsiasi altro gerarca nazista. Il problema della sorte di Bormann è ancora considerato un argomento di richiamo dalle riviste tedesche a grande tiratura. Nessun altro gerarca nazista è stato dichiarato morto e poi fatto resuscitare così spesso come è capitato a lui. Alcuni testimoni hanno affermato che Bonnann, dopo la fuga dalla Cancelleria di Hitler, nel maggio 1945, fu seppellito nel recinto della fiera, nel quartiere Moabit di Berlino. Nel 1964 la polizia di Berlino Ovest scavò in quella zona ma non trovò nulla. Parecchi anni fa, si disse che era stato sepolto ad Asunci6n, nel Paraguay. La presunta tomba di Bonnann venne aperta e si constatò che conteneva solo i resti di un cittadino paraguayano, di nome Hormoncilla. Dopo la guerra, si disse che Bormann era stato visto in Spagna, in un monastero italiano, a Mosca, nel Tirolo, in Australia e in molti paesi del Sud-America. Nel 1947 si disse che era in Egitto, nel 1950 nell'Africa Sud-Occidentale, l'anno dopo in Cile, nel 1952 in Spagna. Una volta circolò la voce che era fuggito dalla Germania attraverso le Alpi. Si è anche affermato che un sommergibile tedesco lo abbia portato da Kiel alla Terra del Fuoco, la zona abitata più meridionale della terra. Nell'ottobre 1965, l'agenzia di stampa italiana ANSA apprese da un certo Pasquale Donazio, « eminente personalità del regime fascista », che Bormann viveva nella giungla del Mato Grosso, in Brasile. Disgraziatamente, le storie sensazionali su Bormann sono come fuochi d'artificio scadenti, e dopo un attimo di luce si ripiomba nell'oscurità più completa. Nessuno ha ancora riscosso la ricompensa di 100.000 marchi che l'ufficio del procuratore di Stato di Francoforte sul Meno ha promesso a chi darà informazioni che portino alla cattura di Martin Bormann.

Cominciai a interessarmi al mistero di · Bormann solo dopo il processo di Eichmann. E, poichè cominciavo tardi, avevo il vantaggio di poter sfruttare le esperienze di coloro che avevano già lavorato. al caso: la polizia, eminenti giuristi, .storici e crinùnologhi.

Che cosa rende tanto affascinante il mistero di Martin Bonnann?

Bormann è più famoso· oggi di quando era al potere, offuscato dalle personali tà più rilevanti di Goering, Goebbels, Himmler. Moltissima gente al tempo del Terzo Reich non ne aveva mai sentito parlare. Molti non sapevano nemmeno che faccia avesse. Dopo la fuga di Rudolf Hes.s in Inghilterra, nel 1941, Bormann divenne il vice del Flihrer. ,Era più vicino a Hitler, e più potente, di qualsiasi altro gerarca nazista.

Ho passato mol t e ore a studiare le fotografie dell'enigmatico Bormann. Un uomo massiccio, tarchiato, con un collo taurino e una faccia impassibile, stranamente vuota di espressione, piuttosto brutale. Quando parlai, a Francoforte, del mito di Bormann a Fritz Bauer, che sosteneva l'accusa nel processo di Auschwitz, egli definì Bormann « il tipico Bierkopf » (bevitore di birra) : Bormann ha uno di quei Dutzendgesichter (facce dozzinali) che si possono vedere in tante Braustuben della Baviera dove gli uomini seduti intorno al tavolo bevono birra e parlano di politica, e dove si impone chi parla più forte, non chi ha r~gione.

Joseph Wulf, lo storico ebreo, chiama Bormann « l'ombra di Hitler», volendo implicitamente significare che Bormann era l'onnisciente, passivo al,ter ego del Flihrer. Forse erano più vicini alla verità i nazisti che lo chiamavano « il cattivo genio di Hitler». Egli era il capo della enorme, complessa orgànizzazione del partito nazista. Al di sotto del Flihrer c'erano 19 Reichsleiter e, un gradino più giù, 41 Gauleiter. (C'erano 40 Gaue; un quarantunesimo Gaule iter rappresentava gli Auslandsdeutschen, i tedeschi all'estero.) Al di sotto dei Gauleiter c'erano 808 Kreisleiter e, ancora al di sotto, 28.376 Ortsgruppenleiter, che erano responsabili di intere città, o di determinati settori di una grande città. C'erano poi 89.378 Zellenleiter: ma la parola zelle (cellula) è impropria, perchè una cellula del NSDAP era formata da quattro o sei, o anche otto, quartieri cittadini. Sul gradino più basso c'erano parecchie centinaia di migliaia di Blockleiter, ognuno dei quali era un piccolo dio per coloro che vivevano nelle sue immediate vicinanze.

Dopo l'inizio d ella seconda guerra mondiale, quando Hitler fu completamente assorbito dai grandi problemi strategici, la macchina del partito rimase affidata a Martin Bormann, che era Reichs32.8 leiter della Germania, segretario di Hitler, capo della « Cancelleria del partito del Fiihrer ». Tutti gli ordini segretissimi passavano sulla sua scrivania: gli ordini riguardanti l'annient,amento degli ebrei e di altre razze «inferiori», la persecuzione della Chiesa, gli eccidi negli istituti per l'eutanasia e nei campi di concentramento. Bormann decideva quali fos.5ero le persone che potevano vedere Hitler, e teneva lontane quelle che potevano avere una influenza moderatrice sul. Fiihrer. Moltissimi ordini firmati da Hitler recavano l'unpronta del cervello di Bormann. Al proc~ di Norimberga Goering ammise che molti documenti che recavano la firma di Hitler erano stati concepiti e scritti da Bormann.

Bormann era il tipico gera,r,ca nazista inflessibile e inumano. Nato nel I 900 a Halberstadt, cominciò la carriera politica a diciotto anni, ·e dopo la fine disastrosa della prima guerra mondiale entrò nel « Freikorps Ros.sbach », uno dei gruppi fascisti che si opponevano alla Repubblica di Weimar. Accusato di omicidio, f.u imprigionato. Più tardi venne insignito da Hitler del Blutorden ( « ordine del sangue ») per queste sue attività illegali. Nel 1928 era già un funzionario retribuito del partito, assistente di Hess. L'anno dopo Bormann sposò Gerda Buch, il cui padre diventò il più alto magistrato nazista. I Bormann ebbero sette figli. Ci fu un periodo in cui Bormann pensò di introdurre la poligamia in Germania dopo la guerra, mediante un decreto in virtù del quale ogni SS avrebbe dovuto prendere tre mogli. Con la sua mente matematica, calcolò che le perdite di uomini durante la guerra sarebbero state enormi e che nella Germania post-bellica ci sarebbe stata una tale sovrabbondanza di donne da consigliare la poligamia come l'unico metodo per rifarsi delle perdite nel giro di venti o trent'anni. Tutti i centri creati per l'accoppiamento obbligatorio degli ariani puri furono ispirati a queste concezioni di Bormann.

Egli esponeva le sue idee nelle lettere alla moglie, che le approvava incondizionatamente. Bormann metteva a parte la moglie delle relazioni che aveva con varie amanti. « Le lettere di Bormann » furono pubblicate a Londra nel I 954. Il 2 I gennaio 1944, Bormann scrisse alla moglie a proposito della sua ultima conquista, una donna che egli indicava con la sola iniziale 114. (e che recentemente è stata identificata nella persona di Manja Behrens, un'attrice che attualmente recita nella Germania Orientale) :

Hai pensato che M. sia una ragazza eccezionale. No, tesoro, non è lllla ragazza eccezionale: ma io sono un incredibile Kerl [lazzarone). Mi sono pazzamente innamorato di lei... e l'ho presa nonostante le sue proteste. Conosci la mia forza di volontà, contro la quale M. non ha potuto difendersi a lungo. Adesso è mia e io sono felicemente sposato due volte. M. ha dei terribili rimorsi di coscient.a nei tuoi confronti. Naturalmente, è una sciocchezza. L'ho presa grazie alla mia forza di volontà ...

E Frau Bomnann gli rispose, il 24 gennaio 1944:

Devi fare in modo che M. faccia un figlio entro un anno, e l'anno dopo ne farò uno io, cosi tu avrai sempre una moglie disponibile [die auf dem Damm ist]. Poi riuniremo tutti i figli nella casa sul lago e vivremo insieme, e la moglie che non sarà incinta potrà venire a Obersalzberg o a Berlino per stare con te.

Alla base del mistero di Bormann non c'è l'interrogativo circa il luogo in cui egli si nasconda attualmente. La chiave del mistero è se Bormann sia riuscito a sopravvivere la notte del 1° maggio 1945, dopo che ebbe lasciato la Cancelleria del Reich e fu visto vivo, senza pos&bilità di dubbio, da molti testimoni. Bormann apparteneva al ristretto numero di nazisti che, dopo l'arrivo dell'Armata Ros.53. a Berlino, si rifugiarono nel Fiihrerbunker, il rifugio antiaereo di Hitler sotto la Cancelleria. Dei massimi esponenti nazisti, solo Bormann e Goebbels si trovavano nel bunker dopo il suicidio di Hitler, .il 30 aprile 1945. Goebbels dichiarò di non voler sopravvivere al Terzo Reich e si suicidò, dopo avere ucciso la moglie e i figli. Bormann aveva una fiala di acido prusmco, ma disse che avrebbe cercato di fuggire. Ordinò al generale Krebs, l'ultimo capo di stato maggiore della Wehrmacht, di recarsi dai russi e di offrire la resa della Cancelleria del Reich in cambio di un sa:lvacondotto per i difensori. Il maresciallo Vasilij Ciuikov chiese la resa incondizionata.

Bormann decise di tentare la fuga passando attraverso il cordone dei carri armati russi che serravano da ogni parte la Cancelleria. Egli si teneva in contatto radio con il grande ammiraglio Doenitz, che si trovava nello Schleswig-Holstein e che era stato nominato da Hitler Reichsprasident della Germania. Alle quattro e mezzo del pomeriggio del r 0 maggio, venne detto a tutti quelli che si trovavano nel bunker di tenersi pronti. Il radiocronista Hans Fritzsche, nel vicino Ministero della Propaganda, considerando il piano una « pura follia », minacciò di andare dai russi ad offrire la capitolazione di tutto il quartiere dei ministeri. Bormann chiese a Fritzsche di non farlo e, sollecitato dallo stesso Fritzsche, promise di ordinare ai « Werwolf » - i gruppi di guerriglieri costituiti perchè continuassero a combattere dopo la sconfitta - di astenersi da ulteriori azioni.

Fritzsche e il segretario di Stato Naumann andarono nel giardino della Cancelleria, dove Bormann arrivò un minuto dopo di loro. Secondo la testimonianza di Naumann, Bormann indossava una uniforme grigioverde con i gradi di generale delle SS e un cappotto di pelle nera. Diede ordine a diversi capi delle SS di sciogliere l'organizzazione « Werwolf ».

Alle dieci di sera i difensori cominciarono a uscire dal bunker. Bormann era in un gruppetto di cui facevano parte Naumann, il capo della Gioventù Hitleriana Artur Axmann, Kempka, l'autista di Hitler, e Stumpfegger, medico del Fiihrer. Giunti alla stazione ferroviaria della Friedrichstrasse, si diressero verso il ponte Weidendammer, sulla Sprea. Al di là del ponte c'erano i carri armati russi. Bormann aveva in animo di forzare la linea dei carri armati russi con l'aiuto di autoblindo e carri armati tedeschi.

L'autista Kempka dichiarò al tribunale di Norimberga:

I carri armati tedeschi cominciarono ad attraversare il ponte, seguendo il carro di testa, dietro al quale camminava Bormann. Questo carro venne colpito, ritengo da un Panzerfaust sparato da una finestra, ed esplose. Dove era stato Bormanrl, c'erano solo fuoco e fiamme.

Il Reichsjugendfuhrer Axmann disse in seguito:

Il Tiger tedesco, che era carico di munizioni, saltò in aria. Il terribile spostamento d'aria mi gettò a gambe levate. Is t intivamente, cercai rifugio nel cratere di una bomba e ci trovai anche gli altri : Bormann; il medico di Hitler, dottor Stumpfegger; il dottor Naumann; l'ai utante di Goebbels, Schwaegermann; e il mio aiutante, Weltzin. Eravam o tutti illesi. Discutemmo sul modo di allontanarci da Berlino.

Tornarono alla stazione della Friedrichstrasse, salirono sul terrapieno .della ferrovia, attraversarono un vicino ponte ferroviario sulla Sprea, e seguirono i binari fin quasi a raggiungere la stazione della Lehrterstrasse, già occupata dai russi. Secondo Axmann, Bormann e gli altri scesero dal terrapieno sulla strada dove incontrarono alcuni soldati russi. Tutti si erano già tolti i gradi dagli abiti. I russi, pensando forse che quegli uomini appartenes5ero alla Volkssturm, l'inoffensiva milizia territoriale organizzata in fretta e furia da Hitler, offrirono delle sigarette e non prestarono loro la minima attenzione. Allora, continuò Axmann,

Bormann e il dottor Stumpfegger lasciarono il nostro gruppo e si avviarono rapidamente verso la lnvalidenstrasse. Noialtr i li seguimmo più tardi. Nella Invalidenstrasse c'era una nutrita sparatoria. Avevamo quasi superato il cavai- cavia della stazione della Lehrterstrasse, quando ~edemmo due uomini stesi a terra. Ci inginocchiammo accanto a loro per vedere se potevamo fare qualcosa .' Erano Martin Bormann e il dottor Stumpfegger. Impo~ibile sbagliarsi perchè le loro facce erano ben visibili. Giacevano supini, con le braccia e le gambe spalancate. Toccai Bormann: non si mosse. Mi chinai su di lui. Non respirava più. Non vidi nè sangue nè ferite. La sparatoria continuava. Dovemmo an• darcene... ·

Ci sono altri testimoni, molti dei quali hanno deposto più volte. Nelle ultime d eposizioni, i testimoni spesso negano a:lcuni particolari forniti in precedenza. Inoltre, le deposizioni dei testimoni differiscono fra loro sotto molti aspetti. Il primo pilota di Hitler, Bauer, giurò che Bormann portava una uniforme bruna, senza gradi, e un elmetto di acciaio. Naumann giurò che Bormann aveva l'uniforme grigioverde delle SS e il berretto della divisa del partito.

Dallo studio delle testimonianze e dalle valutazioni che ne fecero gli esperti - criminologhi, storici, militari - -conclusi che nessuno aveva tenuto conto di una cosa che a me pareva della massima i~- . portanza: in situazioni del genere, quando si tratta di vita o di morte, ognuno pensa a se stesso. Mentre camminavano insieme sotto il grandinare dei proiettili sovietici, il Reichsleiter Bonnann e l'autista di Hitler non erano più divisi da un abisso gerarchico. Erano due uomini spaventati che cercavano di salvare la pelle. In un momento simile, nessuno fa atten zione all'uomo che gli sta accanto; nessuno pensa di imprimersi nella mente i particolari pensando alle future deposizioni. Era buio, e sicuramente nessuno dei . due fuggiaschi guardava il compagno che aveva a destra o a sinistra. Stavano cercando di sopravvivere, non di registrare i fatti.

Poi c'è l'argomento controverso del diario di Bormann. Si tratta, senza possibilità di dubbio, di un diario autentico. Ora si trova a Mosca, ma ne esiste una copia negli archivi di Stato della Germania Orientale. Le ultime due righe del diario dicono:

30.4. Adolf Hitler X, Eva B. X 1 5. Ausbruchsversuch (tentativo di sortita}.

Alcuni affermano che il diario fu trovato per terra. Altri dicono che fu trovato· nella tasca del cappotto di w1 morto. Se ne è dedotto che il morto dovesse essere Bormann, perchè, se il .diario è autentico, il cadavere doveva essere quello di Bormann. Ma potrei citare una decina di casi in .cui i gerarchi nazisti misero i loro documenti d'identità nelle tasche di un morto, sperando in tal modo di far credere alla loro fine.

E c'è anche un aspetto P.Sicologico della questione: i pezzi grossi nazisti ai quali ho chiesto di Bormann sono convinti che sia vivo.

L'opinione generale è: « Bormann è sempre stato una volpe, un uomo capace di farla in ·barba anche alla morte. » Ancora nel 1960, Eichmann era convinto che Bormann fosse vivo: lo disse ai funzionari della polizia di Israele. Un noto diplomatico, una delle . ·mie fonti più attendibili, mi dice che in Spagna esiste un « Fondo Bormann » che finanzia attività neonaziste e neofasciste.

Le storie più o meno sensazionali pubblicate sulla fuga di Bormann cominciano dal momento in cui si suppone che egli lasciasse la Germania, nell'inverno del 1945. Un ,certo Peter Franz Kubainsky, che più tardi venne arrestato a lnnsbruck, ammise di aver portato Martin Bormann, il 12 dicembre 1 945, da Reichenhall, in Baviera, a Salisburgo, Innsbruck e Nauders, nei pressi del confine italiano. « Però, » disse Kubainsky, « allora io non sapevo che quell'uomo fosse Bormann, perchè aveva un paio di baffetti e mi diede l'impressione di un tipo affatto insignificante. » Kubainsky afferma che l'uomo aveva dei documenti di viaggio italiani rilasciati da una organizzazione del Vaticano diretta da monsignor Heinemann, via dell'Anima 4, Roma. Sembra che Heinemann fornisse a Kubainsky l'indirizzo di un certo Josef Wolf, che abitava vicino al castello di Labers, a Merano, « dove condussi Bormann ».

« In effetti,» disse Kubainsky, « vidi monsignor Heinemann fare indossare a Bormann una tonaca da gesuita e vidi Bormann salire a Genova su una nave in partenza per l'Argentina... Aveva un passaporto falso e un passaporto della Croce Rossa. So che Bormann vive in Perù sotto il falso nome di Jo sé Pérez e ha un'impresa di· importazioni ed esportazioni, che figura sotto il nome da ragazza dell'attuale moglie di Bormann. La prima moglie di Bormann morì in Italia nel 1945. »

Il racconto di Kubainsky non regge a un attento esame. La polizia di Innsbruck commenta : « Sembra trattarsi di un giornalista specializzato in notizie scandalistiche. »

Lasciando da parte simili dubbie affermazioni, sembra che vi siano alcuni fatti accertabili assai più interessanti.

Primo : Grazie ad un amico svizzero, ho preso visione della testimonianza di una donna che è assolutamente certa di avere visto Martin Bormann nel I 956 su un autobus di Sao Paulo, Brasiie. (In seguito la deposizione di costei. fu accuratamente controllata dalle autorità tedesche.) Questa donna aveva conosciuto personalmente ·Bormann a Berlino, e aveva parlato diverse volte con lui alla Can- celleria del Reich. Dopo la guerra, la donna si trasferi a Losanna, in Svizzera. Nel 1956 andò a Sa.o Paulo a trovare la figlia. Mentre stava su un autobus, alzò gli occhi e, con sua grande sorpresa, vide Martin Bormann. « Gli rivolsi la parola in tedesco: < . Herr Bormann !... Lei... qui?> Con aria imbambolata, egli si alzò senza dire una parola, raggiunse fa porta, scese prima ancora che l'autobus si fosse fermato e sparì. »

Secondo: Nel maggio 1962, un mio collaboratore si mise in contatto con Frau Paula Riegler, ex governante in casa Bormann a Pullaich, Baviera, che rimase con Frau Gerda Bormann fino alla morte di costei, avvenuta a Merano nel 1945. Quando Frau Riegler fu interrogata dal mio collaboratore, non ammise di essere ancora in contatto con Bormann. Ma era convinta che fosse vivo... nel 1 962 ! Disre al mio aiutante che l'ex segretaria di Bormann, Else Kruger, si era sposata con un agricoltore che viveva in qualche parte dell'Austria, ma dichiarò di non conosceré il nome del marito di Else Kruger nè il loro indirizzo. Da Zurigo ricevetti altre informazioni su Else Kruger, che si dice abbia importanti contatti con il Sud-America.

Terzo: Nel 1962,. ricevetti la visita di un giornalista italiano, Luciano Doddoli di Milano, che lavora per l'Espresso. Nel 1960 Doddoli si trovava in Cile, inviato da vari giornali italiani per fare dei servizi sul terremoto che aveva colpito il paese. Doddoli ebbe occasione di conoscere un certo professor Enrique Bello, insegnante all'Università di Santiago del Cile. Il professor Bello cercava alcuni parenti che erano scomparsi durante il terremoto. Ciò avvenne poco dopo fa cattura di Adolf Eichmann; Doddoli e Bello si misero a parlare degli ex capi nazisti che a quanto si diceva si nascondevano sotto falsi nomi a V aldivia, nella regione meridionale del Cile. Il professor Bello d~ a Doddoli di aver conosciuto una donna che aveva « vissuto con Bormann daì 1948 al 1951 ». Combinò un incontro fra la donna e Doddoli. La donna si faceva chiamare « . Keller » e lavorava per una ditta commerciale tedesco-cilena. Doèldoli non le cavò iuori alcuna notizia su Bormann. Frau Keller disse a Doddoli cJ:ie « un giorno si sarebbe potuto parlare- di questa faccenda ». Il professor Bello disse di ritenere che « fosre questione di denaro».

Quarto: Nel periodo in cui ricercavo il dottor Josef Mengele, ricevetti da Port-au-Prince, Haiti, una lettera indirizzata a « Wiesenthal, Vienna». Il signor Jonny Sommer, un tedesco che aveva passato gli ultimi quarant'anni in Sud-America, scriveva di essere l'ex proprietario dell'A:lì Babà, un locale notturno di Asunci6n, Paraguay, che egli aveva venduto nel 1963. Attualmente, era proprietario del Roxy Bar, di Port-au-Prince. Cominciammo a scriverci: Nel maggio 1964 Sonuner mi mandò un gruppo fotografico ripreso durante la guerra, nel quale si vedevano Hitler e il su o stato maggiore, circa venticinque persone. Sulla foto non c'erano nomi. Un uomo era indicato con una freccia. Il signor Sommer scriveva : « Quest'uomo, chiamato Bauer, veniva spesso nel mio locale di Asunci6n, con un certo Mengele, nel 1961. A volte veniva con loro un certo dottor Jung. Andavano spesso a pescare tutti insieme nel Parana. » Questa informazione mi fu in seguito confermata da altri testimoni di Asunci6n. L'uomo indicato con una freccia è Bormann. G}i Jung sono una famiglia di ricchi proprietari t errieri del Paraguay.

Osservai che i rapporti su Bormann sono sempre lacunosi. Si riferiscono tutti ai drammatici eventi della sera del 1° maggio 1945, oppure alla riiomparsa di Bormann nell'autunno del 1945, epoca in cui varie persone affermano di averlo visto. Dove passò Bormann il tempo trascorso fra il 1° maggio e il tardo autunno, e che cosa fece?

Il 6 maggio 1963, nel corso del programma «Panorama» della rete televisiva di Amburgo, parlai, fra l'altro, del caso di Martin Bormann, e dissi che il « periodo oscuro», dal 1° maggio al tardo autunno del 1945, era la chlave del mistero Bormann. Alcuni giorni dopo ricevetti una lettera da un uomo che chiamerò Franz Rapp. Mi scrisse che aveva informazioni attendibili su quel « periodo oscuro».

Incontrai Rapp all'Hotel Dachs di Monaco. Aveva cinquantaquattro anni ed era nato a Bolzano, in Alto Adige, dove era interprete presso il tribunale. Nel 1938, avvalendosi della facoltà concessa da Mussolini ai cittadini di lingua germanica, aveva optato per la cittadinanza tedesca e durante la guerra aveva prestato servizio nella Wehrmacht. Dopo la guerra fece il rappresentante di varie ditte italiane e svizzere che trattavano maochine da caffè e arti coli casalinghi. Attualmente vive in una cittadina nei pressi di Heidelberg, in Germania.

Rapp mi disse che nel tardo autunno del r 961 era stato a Innsbruck, che faceva parte della sua zona di vendite. Là conobbe un uomo, che chiameremo Franz Holt, allora quarantatreenne, che in seguito divenne suo socio. Holt viveva a Innsbruck come pigionante in casa di una donna che chiamerò Frau Hilde. I tre divennero grandi amici. Una sera, dopo un' abbo~antc libagione, Holt diede una gomitata ali' amico e gli disse che lo avrebbç messo a parte del · suo « grosso segreto». Rapp rispose che non aveva voglia di ascoltare segreti; si era aocorto che Frau Hilde cercava di impedire a Holt di parlare. Ma Holt era su di giri e non le diede retta. Disse che Rapp era suo amico e suo socio, che stavano facendo buoni affari insieme, e che non c'era motivo che il suo amico non dovesse conoscere il segreto. Versò dell'altro vino e cominciò a parlare.

Durante la guerra, raccontò Holt, egli aveva prestato servizio in un reparto di ambulanze. Alla fine del conflitto .fu internato in un campo francese vicino a Innsbruck, ma venne rilasciato dopo poco tempo. Holt passò quindi alle - dipendenze della Croce Rossa Austriaca nel Tirolo. All'inizio dell'estate del 1943, la Croce Rossa cominciò a rimpatriare i soldati austriaci che si trovavano nei campi di prigionia alleati in Germania. Le operazioni di rimpatrio erano patrocinate dalla Chiesa Cattolica e favorite dagli alleati, i quali volevano dimostrare che consideravano l'Austria un paese « liberato», e non «occupato» come la Germania.

Holt fu ~gnato a un gruppo della Croce Rossa che aveva il compito di visitare diversi campi della Germania, dell'Italia e della Francia. I componenti della missione ricevettero documenti in quattro lingue (francese, inglese, russo e tedesco) che li autorizzavano a entrare in tutti i campi di prigionia alleati. Raccoglievano i soldati austriaci - ma non le SS o i criminal~ di guerra -e li rimpatriavano.

Nell'autunno del 1945, disse Holt a Rapp, era andato con il suo gruppo in un campo della Germania settentrionale vicino a Flensburg, nello Schleswig-Holstein. (Bonnann aveva cercato di raggiungere il grande ammiraglio Doenitz a Flensburg quando aveva lasciato il bunker del Fiihrer.)

In quel campo, Holt fu avvicinato da una Blitzmadel, una ausiliaria della Wehrmacht, che gli chiese di portarla in Austria, sebbene lei non fosse austriaca. Gli offrì un anello di brillanti di notevole valore. Holt sapeva che i controlli degli inglesi erano superficiali, e acconsentì. Il giorno dopo la donna tornò con un altro gioiello. Acconsentiva a portare anche suo fratello? Holt guardò il gioiello e sentì che la sua resistenza crollava. Bene, dis.se, li avrebbe fatti figurare come austriaci rimpatriati. I due andarono da lui il giorno dopo. L'uomo aveva i baffetti e un paio di occhiali, ma sembrava che gli occhiali gli dessero fastidio. Quando voleva guardare bene qualcosa, se li levava.

Anivati a Innsbruck, dove i prigionieri austriaci dovevano ~re interrogati prima di venire mandati a casa, Holt fu avvicinato nuovamente dalla coppia. I due gli ,chiesero di portarli a Nauders, un villaggio al confine austriaco, poco distante dalle frontiere italiana e svizzera. Naturalmente, lo avrebbero compensato per il servizio. Questa volta gli diedero una spilla di brillanti. Holt conosceva bene 1~ zona di confine. Suppose che i due non fossero per niente fra· tello e sorella, ma non gliene import ava gran che, dal momento che lo ricompensavano così generosamente. Per evitare le pattuglie di frontiera alleate, Holt dovette guidare la coppia attraverso i sentieri nei boschi, fino a un alto passo montano. Era « ottobre o novembre», disse Holt, e faceva già molto freddo. Sul terreno si era fermata parecchia neve. Spesso affondavano in quasi un metro di neve. La donna si dimostrava molto forte : continuava a cammi• nare ad onta della stanchezza e diceva agli uomini di affrettarsi se non volevano ri~hiare di farsi sorprendere da una pattuglia. Attraversato il confine italiano dcli' Alto Adige, chiesero a Holt di condurli in uno dei monasteri nella ·regione del Vintschgau. Solo allora, alla fine del viaggio, dissero a Holt chi era la persona che egli aveva portato in salvo. L'uomo gli disse di essere il Reichsleiter Martin Bonnann. .

« Anivati alla porta del monastero, » disse Holt a Rapp, « Bormann suonò il campanello. La porta si apri. Bormann ti rò fuori un pezzo di carta che teneva cucito nell'interno dei pantaloni. Il por· tinaio lesse il foglio e li pregò di aspettare. Di lì a poco tornò e invitò Bonnann e la donna a entrare. Pensai che la fuga di Bormann fosse stata accuratamente preparata in anticipo. Bormann si · voltò verso di me e disse : <Franz, hai fatto un lavoro magnifico. Se terrai la bocca chiusa, ogni mese per tutto il resto della tua vita riceverai una somma di dena.ro. > Mi strinsero la mano, entrarono, e la porta del monastero si chiuse alle loro spalle . »

Analizzai il racconto fatto da Holt a Franz Rapp nel tardo autunno del 1961 a Innsbruck e conclusi che vi erano molti elementi attendibili. La maggior parte di coloro che, insieme con Bormann , avevano cercato di passare attraverso le linee russe a Berlino erano riusçiti a cavarsela. Perchè non avrebbe dovuto riuscirci quella «volpe» di Bormann? Aveva cercato di raggiungere Flensburg per parlare con Doenitz, quindi aveva trovato asilo sotto falso nome nel posto più sicuro della terra, un campo di prigionia inglese. Non era improbabile che si fosse portato dietro alcuni gioielli di valore, e che tentasse di raggiungere un convento in Italia, come avevano fatto tanti gerarchi nazisti prima e dopo di lui. Sarebbe stato uno dei più importanti viaggiatori sulla « via dei monasteri» dell'onESS~.

Chiesi a Rapp di parlare con Holt per cavarne informazioni più precise. Rapp scrisse a Holt, dicendogli che avrebbe potuto guadagnare un muochio di quattrini, se fosse stato in grado di precisare alcuni fatti. Quando si incontrarono, Holt era molto imbarazzato e disse a Rapp di dimenticare tutta la faocenda. Non gli interessava il denaro, disse. In effetti, poteva perdere molto più di quanto potesse guadagnare. Implorò Rapp di non svelare il segreto ad alcuno. Feci delle indagini a Innsbruck. La polizia confermò che Holt aveva realmente prestato servizio nei reparti ambulanze durante la guerra, e che in seguito era passato alle dipendenze della Croce RC>s.5a Austriaca, occupandosi del rimpatrio degli austriaci dai vari campi di prigionia tedeschi. E infine, secondo Rapp, riceveva ancora ogni mese un assegno dall'estero, sempre da una banca diversa.

Un altro pezzo del mosaico di Bormann mi venne fornito da una fragile donna che chiameremo Bettina. Oggi costei vive in una tranquilla pensione in Germania. Ha passato più di venticinque anni in Cile, ma la nostalgia l'ha costretta a tornare in Ger-mania. Nell'ottobre del 1964 Frau Bettina si rivolse alla polizia di Vienna per avere il mio indirizzo. Poi mi scrisse, dicendomi che, quando lei stava in Cile, Martin Bormann aveva comperato un grande appezzamento di terreno proprio vicino a lei. Frau Bettina aveva appreso dai giornali che ciò poteva interessarmi e mi proponeva un incontro. Inutile dire che la cosa m'interessava. Frau Bettina mi ricevette nella sua camera e tirò fuori da un cassetto la fotocopia di una mappa intitolata « Kartenskizze Chilenische Schweiz ». La « Svizzera Cile!}a » si trova nella parte centrale del Cile. Ebbi l'impr~ione che la carta fosse stata disegnata in Cile da tedeschi. con uno scopo preciso. Raffigura il territorio fra l'Oceano Pacifico e il confine con l'Argentina a est. La zona fra le città di Valdivia e Bariloche è contrassegnata da segni misteriosi: triangoli, circoli e quadrati, ognuno con un numero. In tre dei triangoli figurano le lettere «OD» e « UL ». La « Svizzera Cilena » è una bella regione, ricca di monti, laghi, boschi e fiumi. Ci sono stazioni termali e luoghi di sog~orno estivo: il posto ideale dove un facoltoso esule tedesco può vivere in piacevole isolamento. Quei simboli misteriosi avevano forse un significato militare?

Chiesi a Frau Bettina come fosse venuta in possesso di quella misteriosa carta.

« Nella casa-albergo di Valdivia dove abitavo c'era un tedesco che si. chiamava Artur Schwarz. Era un uomo tranquillo e riservato, che parlava con poche persone e che spesso si ~ntava per settimane. Non parlava mai coi vicini del suo lavoro, ma, chissà perchè, sembrava avesse fiducia in me. Quando partiva, mi lasciava le chiavi dell'appartamento e mi pregava di sorvegliarlo e di annaffiare le piante.

« Poi i giornali cominciarono a pubbli<:are le storie riguardanti i criminali nazisti in Sud-America. Mi misi a pensare al mio misterioso vicino. Parlava tedesco, era ben fornito di denaro, non aveva un'occupazione regolare, non frequentava nessuno. Non poteva essere una di quelle persone che avevano buone ragioni per nascondersi dietro l'anonimato? Un giorno, nel 1960, mentre il mio vicino era via, uno sconosciuto venne a dirmi che Herr Schwarz era morto improvvisamente durante un viaggio in Brasile. Mi chiese le chiavi dell'appartamento di Herr Schwarz. Gli Alissi che non riuscivo a trovarle e lo pregai di tornare il giorno dopo. Non appena se ne fu andato, entrai nell'appartamento e diedi un'occhiata in giro. C'erano dei libri e delle carte sul tavolo. Vidi pare.cchie copie di questa mappa, e ne presi una. '?>

Qualche tempo· dopo, Frau Bettina fece un viaggio nella cittadina di Osomo, a metà strada fra V aldivia e Puerto Montt. Herr Schwarz le aveva parlato spesso di Osorno, dove vivevano molti tedeschi, arrivati dopo la seconda guerra mondiaie. Frau Bettina ne conobbe alcuni.

« Si comportavano ancora come se fossimo nel 1938, » disse Fra,u Bottina. « In particolare, ricordo un avvocato tedesco che parlava come Goebbels. Tutti quelli che vidi avevano denaro in abbondanza, nessuna precisa occupazione e una bella casa. Erano piuttosto riservati e non facevano che parlare del grande Terzo Reich. Parecchi dicevano che Martin Bormann viveva da qualche parte, nella regione. L'avvocato di Osorno aveva comperato un appezzamento di terreno per Bormann fra Valdivia e la frontiera argentina. Tutti lo sapevano. Se guarda la mappa, vedrà che questa parte della regione è contrassegnata da . alcuni simboli misteriosi. »

L'informazione di Frau Bettina combacia con quelle che ho sul conto degli ex nazisti che vivono nei dintorni di Bariloche, sul versante argentino della frontiera. La storia è la stessa. Anche laggiù i tedeschi posreggono delle belle proprietà e molta terra. Mengele è stato visto spesso da quelle parti. Ci sono state misteriose rivalità fra diversi gruppi di tedeschi, e talvolta ci sono state anche delle sparatorie, ma la polizia locale fa di tutto per non dare pubblicità a queste cose.

L'ultimo pezzo del mosaico mi fu porta~o da un giovane studente, a Vienna. Costui mi telefonò in ufficio, in un giorno del 1964, e mi chiese di incontrarmi con lui in un caffè. Mi trovai di fronte un giovanotto di ventisei anni, simpatico e di bell'aspetto, dagli occhi malinconici. Doveva parlanni. Parecchi mesi prima, una bella brasiliana sulla trentina era venuta a Vienna per studiare canto.

« È bellissima, » disse il giovane con un sospiro. « È di Curitiba, nello Stato brasiliano del Parami.»

Cercai di non mostramii troppo interessato. Nel Parana ci sono delle colonie tedesche in cui si nascondono alcuni miei « clienti » importanti. Laggiù essi godono di grande considerazione perchè il clima è ancora quello del Terzo Reich.

La brasiliana era sposata con un tedesco, proprietario di una ditta di importazioni ed esportazioni, che si recava spesso a Barcellona per affari. In occasione del suo ultimo viaggio, aveva permesso alla moglie di proseguire per Vienna. La signora aveva una bella voce e moriva dal desiderio di prendere lezioni di canto, « e Vienna è il posto ideale per questo», disse il giovane.

Lui e la .brasiliana si erano conosciuti e si erano innamorati. Il giovane sospirò di nuovo. Io non dissi nulla, ma continuavo a chiedermi perchè avesse telefonato proprio a me per parlare dei suoi amori con una bella brasiliana.

« So il suo nome, ma lei mi ha pregato di non dirlo a nessuno, » disse il giovane. « È una situazione delicata. Lei non va d'accordo con il marito. Deve essere prudente. Bene, un giorno eravamo insieme in un caffè e io leggevo su una rivista un articolo su Bormann. Cominciammo a parlarne. Queste cose mi affascinano. La mia amica rise e mi disse che poteva raccontarmi un mucchio di cose sull'argomento. Poi prese una fotografia dalla borsetta. Era una foto del 1964 e ritraeva un gruppo di persone. Una di esse, un uomo massiccio con una calvizie incipiente, aveva alzato la mano destra · mentre la foto veniva scattata, come se avesse voluto nascondere la faccia. In realtà, era riuscito a coprire solo l'orecchio destro. La mia amica disse : < Guardalo. Tutti gli ebrei e molti tedeschi lo cercano. È stato un pezzo grosso del nazismo. Mio marito lavora per lui>.»

Non dissi nulla.

« Forse si sta chiedendo perchè ne parlo con lei,» nu disse il giovanotto. « Ebbene, sono pazzo di quella donna. Ha lasciato Vienna alcune settimane . fa per raggiungere · il marito Spagna. So che mi ama molto. Mi ha detto dì avere un patrimonio personale. Ma lui non le concederà mai il divorzio. È uno di quei brutali Kerle. »

Ascoltavo. Non sarei stato sorpreso se l'eterno triangolo mi avesse riportato a Martin Borniann. Negli ultimi venti anni ho imparato a ·non sorprendermi di nulla.

« Herr Wiesenthal, sono assolutamente sicuro che quell'uomo era Bormann. Naturalmente, io conosco Borrnann solo da:lle fotografie pubblicate sulle riviste, ma l'uomo che cercava di coprirsi la faccia assomigliava pedettamente alle foto di Borrnann che ho visto. Evidentemente, il marito della mia arnica deve essere un pezzo grosso nazista, altrimenti Borrnann non se ne servirebbe per i suoi affari al~tero. Abbiamo pensato... cioè, io ho pensato che se le des.5i il suo nome e lei lo facesse arrestare la prima volta che capita in Spagna... »

Tacque.

« Vi liberereste del marito e lei potrebbe vivere felice con la sua brasiliana, » conclusi.

« Esattamente. E lei potrebbe procurarsi l'indirizzo di Borrnann a Curitiba. La mia amica glielo darà... Lei non desidera che una cosa: vivere con me in Europa. »

Per il momento le cose stanno a questo punto. Promisi al giovane di non fare nulla che potesse mettere in difficoltà la signora. Egli mi disse il suo nome. Mi avvertirà quando lei e il marito torneranno in Europa.

Ma, ammesso che io riesca a procurarmi la prova che Borrnann abita a Curitiba... che succederà? Ventiquattr'ore dopo, scomparirà. Può sparire facilmente nel Sud-America. Ha denaro e dispone di una rete di fanatici e devoti sostenitori.

Molti . paesi si interessano a Borrnann, ma nessuno è veramente interessato a lui. Fritz Bauer, il procuratore di Stato di Francoforte, dubita che vi sia un solo paese sudamericano che concederebbe la sua estradizione. Il mistero di Martin Bormann - che molto probabilmente vive oggi nei pressi della frontiera fra Argentina e Cile, mentre io scrivo queste righe, all'inizio del I 966 - si risolverà in una semplice equazione biologica. Borrnann è protetto. Nessun paese vorrà imbarcarsi in un secondo caso Eichmann. Un bel giorno Bormann concluderà la sua vita terrena e la ricompensa di cento- mila marchi non sarà mai pagata. La morte non ha bisogno di denaro.

Qu an do ero ormai verso la fine d el mio libro, ricevetti la visita di un giornalista tedesco che mi presentò un individuo venuto dal P erù. Costui mi chiese se, in cambio dell 'indirizzo di Bormann e della promessa cli collaborare al suo arresto, si poteva ottenere che un uomo ricercato in Germania venisse lasciato tranquillo. Era infatti in corso contro di lui un processo per un solo delitto, una piccolezza, dunque - disse - in confronto ai c rimini di Bormann . E aggiunse che se io avessi dichiarato in linea di principio di essere disposto a trattare la cosa con il pubblico ministero di Francoforte, si sarebbe potuto concludere l'affare Bormann.

Rispooi che la soluzione non si prospettava facile, e d'altra parte come potevo essere certo che l'uomo avrebbe mantenuto la promessa?

Diss i ai due uomini di tornare da me il giorno dopo poi chè volevo riflettere sulla proposta. Sapevo c he era assolutamente impos.sibile fare un patto del genere con la giustizia. Ma dissi loro che se veramente quell'uomo avesse collaborato alla ricerca e alla cattura di Bormann, si sarebbero potute ottenere al processo le circostanze attenuanti. E io sarei stato disposto a testimoniare davanti alla Corte che quell'uomo aveva realmente collaborato ad assicurare un grande criminal e alla giustizia.

Dopodichè i due mi dissero che, se si fos.5e venuto a sapere del tradimento, i nazisti non gliel'avrebbero ·perdonata e gliel'avrebbero fatta scontare con la morte. Durante la conversazione saltò fuori che l'uomo in questione, che non osa rientrare in Europa, vive nel Perù.

Capitolo Xxv Poscritto

Rkonosco che molti dei casi che ho narrato sono difficili da credere e ciò mi fa tornare alla mente la profezia dello SS-Rottenfuhrer Merz. Non ho mai saputo il suo nome di battesimo, ma ricordo bene l'uomo. •

Era un pomeriggio del settembre 1944, nei pressi di Grybow, in Polonia, durante la ritirata tedesca dall'Est. Il campo di concentramento di Lvov era stato liquidato, le duecento SS si erano brillantemente «sganciate» dall'Armata Rossa che avanzava, ed io ero uno dei trentaquattro superstiti che le SS « sorvegliavano », tanto per poter giustificare la ritirata verso occidente.

Quel pomeriggio il Rott enfuhrer (caporale) Merz mi aveva invitato ad andare con lui in un vicino villaggio. Il cibo era scarso e volevamo procurarci un po' di patate. Siccome io parlavo il polacco, Merz pensava che gli sarei stato utile.

La giornata era calda. Avevamo racimolato due piccoli sacchi di patate in casa di un contadino, e ora ne portavamo uno per uno, mentre tornavamo al bivacco. Questo era già un fatto notevole: a cose normali, avrei dovuto portarli tutti e due io. Passammo un ruscello al limi te della foresta, e Merz propose che ci sedessimo un mom ento a riposare.

Merz era stato una delle pochissime SS che si erano sempre comportate bene con i prigionieri. Non aveva mai picchiato nessuno, non aveva mai alzato la voce. Si rivolgeva a noi con il « lei », come se fossimo ~ri umani. Tuttavia, non ero preparato a ciò che stava per accadere.

Merz mi disse: « Quando ero piccolo, mi raccontavano la favola di quel bambino che quando voleva andare in qualche posto esprimeva un desiderio, e un'aquila dalle ali enormi lo portava dove voleva lui. La rammenta, Wiesenthal? »

« Be', ricordo quella del tappeto magico. »

« Sì, il succo è lo stesso. » Merz si sdraiò supino e fissò il cielo nebbioso. Intorno a noi si udiva solo lo stormire aelle foglie e il sommesso mormorio del ruscello. Era uno spettacolo di pace e assolutamente irreale: il prigioniero e la SS che si riposavano in un paesaggio idillico nel bel mezzo dell'apocalisse.

« Supponga che un'aquila la porti in America, Wiesenthal, » mi disse Merz. « W as wurden Sie dori erziihlen? » ( « Che cosa racconterebbe una volta laggiù? ») ·

Rimasi zitto. Mi stava forse tendendo un tranello per farmi dire qualche scioochezza? .

Merz indovinò i miei pensieri. Sorrise. « Non abbia paura. Può parlare francamente. »

« Herr Rottenfuhrer, » dissi diplomaticamente. « In realtà non ci penso proprio. Come -potrei arrivare in America? Tanto varrebbe che tentassi di arrivare sulla luna. »

Cercavo di guadagnare tempo. Merz era noto per ~re una eccezione, una SS buona. Ma era sempre una SS; come potevo fidarmi di lui?

« Immagini, Wiesenthal, che lei sta arrivando a New York, e la gente le chiede: < Come andavano le cose in quei campi di concentramento tedeschi? Che cosa· vi facevano?> »

Non risposi. Ma ora ero sicuro di Merz. Mi fidavo di lui. Però era difficile rispondere.

Dissi, con una certa esitazione, ricordo : « Credo... credo che direi alla gente la verità, Herr Rottenfuhrer. » ·

Mi avrebbe sparato? Avevo visto delle SS sparare alla gente per molto meno.

Merz stava ancora guardando il cielo. Annui, come se si fosse aspettato la mia risposta.

« Sì. Ci ho pensato... molte volte. Ho visto che cosa è successo alla sua gente. Sono una SS, ma a volte mi sveglio nel cuore della notte, e non so se sia un sogno o la realtà. »

Non dissi nulla. Era meglio lasciare che parlasse lui.

« Lei direbbe la verità alla gente in America. t giusto. E sa che cosa accadrebbe, Wiesenthal? » Si alzò lentamente e mi guardò, poi sorrise. « Non le crederebbero. Direbbero che è matto. Forse la metterebbero perfino in manicomio. Come può un uomo credere a questa terribile faccenda ... se non ci è passato personalmente? »

Appendice

Abwehr. Il servizio di controspionaggio della Wehrmacht (forze armate tedesche), dipendente dall'ammiraglio Canaris. Nel 1944, Canaris, accusato di essere una spia degli alleati, fu arrestato e giustiziato, e l'Abwehr cadde in disgrazia.

Argentina. Alla fine della prima guerra mondiale, allorchè Germania e Austria attraversarono una crisi politica ed economica conseguente alla disfatta, molti tedeschi e austriaci emigrarono in Argentina. La maggior parte di questi emigranti erano accesi nazionalisti che si rifiutavano di vivere, in una Germania sconfitta, « sotto il giogo di Versailles :>.

Con la consueta operosità, i nuovi immigrati crearono scuole, fabbriche, imprese, pubblicarono giornali e riviste, conquistarono una notevole influenza politica. In un tempo molto breve, giunsero a occupare posizioni chiave nel paese di adozione. Ma rimasero sempre, spiritualmente e politicamente, in contatto con la H eimat (Patria). Quando il Fiihrer prese il potere, molti tedeschi e austriaci dell'Argentina divennero sostenitori di Hitler. I nazisti sapevano quanto fossero importanti gli Auslandsdeutsche.n, i tedeschi all'estero. Il NSDAP era bene organizzato in Argentina. All'inizio della seconda guerra mondiale, il partito nazista in Argentina aveva 60.000 iscritti. Il Gauleiter Bohle, responsabile di tutti i tedeschi all'estero, era rappresentato a Buenos Aires dal suo delegato Heinrich Kom.

Gli Auslandsdeutschen facevano un buon .lavoro in Argentina. Avevano compagnie di navigazione, istituti di cultura con efficienti programmi di scambi culturali, una agenzia giornalistica, la Transozean (che doveva competere con la Reuter e con i servizi stampa americani), nonchè giornali e riviste finanziati dal Ministero della Propaganda di Goebbels. Presso l'Ambasciata argentina a Roma c'era un addetto militare che studiava il tedesco per essere in grado di . leggere il Mein Kampf nell'edizione originale. Il nome di quell'addetto era Juan D. Per6n. Il 17 ottobre 1943 Per6n, imitando Mussolini, guidò i suoi descamisados, «scamiciati>, nella marcia su Buenos Aires. Imitò anche altre cose, quando fu eletto presidente nel 1946. Aveva speciali reparti volanti, organizzati press'a poco come gli SS-Rollkommandos. Il suo segretario privato era figlio di un nazista tedesco.

Dopo la guerra, i nazisti mandarono esperti e denaro in Argentina. Per6n ricevette personalmente, secondo un'indagine svolta a Buenos Aires dopo la sua caduta, all'incirca 100 milioni di dollari. Buenos Aires diventò il porto d'arrivo dell'ooEssA, l'organizzazione che curava gli espatri clandestini dei nazisti. I tedeschi rilevarono alberghi e pensioni, fornirono documenti d'identità alle SS che immigravano, stabilirono eccellenti rapporti con gli alti funzionari gover- nativi. Ci fu un momento in cui un gruppo di tedeschi dell'Argentina progettò un'azione in Germania per liberare i criminali nazisti detenuti nella prigione di Landsberg.

Conferenze di Wannsee. Il 20 gennaio 1942, Reinhard Heydrich convocò una riunione di quindici alti gerarchi nazisti nel sobborgo berlinese di Wannsee, e fu qui che si giunse alla « Soluzione finale del problema ebraico » : deportazioni nei territori orientali, lavori forzati, ed esecuzioni in massa. Fra i nazisti presenti, Adolf Eichmann era uno dei meno alti in grado, ma toccò a lui far sl che la « soluzione finale» fosse attuata con estrema meticolosità.

Gestapo. Geheime Staatspolizei (Polizia Segreta di Stato), l'organizzazione di sicurezza del partito, 'operante sia all'interno che al di fuori della Germania. Gleichschaltung, la completa sincronizzazione delle attività politiche e di altro genere attuata dai nazisti.

Istituto della prescrizione. Nè la Bibbia, nè il diritto romano, nè quello canonico prevedono la prescrizione dei delitti. Il diritto anglosassone, tramandato alla moderna Gran Bretagna e agli Stati Uniti, si basa sul principio « tempus non occurrit regi» (il decorso del tempo non fa decadere l'azione contro un reato). In Inghilterra e negli Stati Uniti non esiste prescrizione per l'omicidio. In Austria si è risolto il problema richiamando in vigore una vecchia legge austriaca che non ammetteva la prescrizione per l'omicidio.

In Germania vi fu gran battaglia nel 1964, quando sembrò che il governo volesse applicare i termini di prescrizione. L'opinione pubblica sollecitò nella Germania Occidentale la soluzione di questo quesito: la prescrizione ventennale doveva essere prorogata? Fino a quel momento erano stati giudicati circa 70.000 criminali nazisti, ma c'erano ancora in corso azioni contro 13.000 sospetti. Queste azioni giudiziarie sarebbero decadute se fossero stati applicati i termini della prescrizione. Tre lettere su quattro fra quelle arrivate al Bundestag, a Bonn, erano favorevoli alla prescrizione. ( « Bisogna metter fine a queste cose Non si può trattare una nazione come un delinquente minorenne »)

Il dottor Ewald Bucher, ministro della Giustizia della Germania Occidentale, si oppose alla proroga dei termini di prescrizione. Affermò che quasi tutti i maggiori responsabili nazisti erano stati arrestati e condannati. Bucher ayeva fatto parte a suo tempo della Gioventù Hitleriana e del partito nazista. Bucher, membro del Libero Partito Democratico (FDP), un'organizzazione politica di destra alleata della CDU di Ludwig Erhard, subiva le forti pressioni dei suoi colleghi di partito. L'FDP mirava ai voti dei conservatori e dei neonazisti tedeschi.

La maggior parte della stampa tedesca, e quasi tutta la élite intellettuale e politica della Germania Occidentale, non furono d ' accordo con Bucher. Feci omaggio a Bucher di una raccolta di 36o lettere scritte da cittadini tedeschi e austriaci - uomini politici, scienziati, artisti, giuristi e scrittori - favorevoli alla proroga della prescrizione. C'erano, fra le altre, le lettere del gesuita cardinale Bea, del vescovo protestante Hans Lilje, del banchiere Hermann J. Abs, del professor Cari J. Burckhardt, dei vincitori del Premio Nobel Max Born e Werner Heisenberg. Dopo ,snervanti discussioni, il Bundestag approvò la proposta di considerare il 21 settembre 1949 - il giorno in cui la Germania Occidentale cominciò ad autogovernarsi - come la data d'inizio del periodo necessario alla prescrizione. Ciò significa che il termine della prescrizione è prorogato fino al 21 settembre 1969.

Ma anche se tale termine fosse prorogato indefinitamente, non sarà mai pos- sibile punire tutti i crimini nazisti. Prendiamo - il caso di Auschwitz: almeno 6ooo uomini vi lavorarono, in periodi diversi, come guardie, personale tecnico addetto alle camere a gas e ai forni crematori, medici, impiegati. Solo di goo si conoscono i nomi Circa 300 furono consegnati ai polacchi, e dei restanti 6oo si conosce il nome e l'indirizzo di una metà appena, ma per ognuno di essi non si troverebbe un solo testimone disposto a deporre in tribunale. Nel campo di concentramento, le vittime non sapevano i nomi dei loro carnefici. Alcuni grossi criminali erano conosciuti: i Mengele, gli Stangl. Ma le anonime ruote nell'ingranaggio dello sterminio, gli uomini insignificanti che uccidevano, che aprivano le manette del gas, che iniettavano dosi letali di acido fenolico ... dove sono adesso? Vanno in giro liberi, e forse godono miglio:- salute e dormono meglio di quell e fra le loro vittime che sono sopravvissute.

Kristallnacht. Il 7 novembre 1938, il Legationssekretar Erwin von Rath, un diplomatico dell'Ambasciata tedesca a Parigi, fu assassinato da Hershel Gruenspan, un ebreo polacco. Per rappresaglia, Reinhard Heydrich ordinò che tutte l e sinagoghe della Germania e dell'Austria fossero incendiate e distrutte la sera del 9 novembre. I negozi ebrei vennero saccheggiati. Era l'inizio della fine degli ebrei in quei paesi. I nazisti la chiamarono Kristallnacht (notte dei cristalli) perch~ le strade delle città erano ricoperte con i fra mmenti delle vetrine dei negozi ebrei devastati.

NSDA P. Nationalso%ialistische Deutsche Arbeiterpartie (Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi), creato da Hitler nel 1919 sul nucleo di un piccolo partito politico, chiamato Partito dei Lav oratori Tedeschi. In questo libro viene chiamato di solito e partito nazista>

RSHA. Reichssicherheitshauptamt, il cosiddetto Ministero degli Interni de lle SS, da cui dipendevano tutti i servizi di spionaggio e di contr9spionaggio.

SA. Sturmabteilungen, i reparti di assa lto in camicia bruna, fondati nel 1921 e in origine divisi in gruppi di 100 uomini.

SD. Sicherheitsdienst, la élite della élite, il servizio di informazioni delle SS dirett o da Reinhard H eydrich.

SS. Schutzstalfel (Guardia di Sicure1.za), nata come guardia del corpo di Hitler nel 1923, era composta dagli elementi più duri delle SA e aveva il compito di mantenere l'ordine nelle riunioni politiche. Nel 1929 Hitler chiese a Himmler di trasformare le SS in corpo scelto del partito.

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