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Capitolo II Le prime leve militari post-unitarie nella provincia di Forlì 1. L'introduzione della coscrizione obbligatoria

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Bibliografia

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Capitolo II

Le prime leve militari post-unitarie nella provincia di Forlì

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1. L'introduzione della coscrizione obbligatoria

La prima leva post-unitaria fu indetta nelle Romagne nel 1860: il 30 giugno, contemporaneamente all'entrata in vigore nell'Italia settentrionale della legislazione piemontese sul reclutamento militare, il governo ottenne dal parlamento l'autorizzazione ad effettuare la leva sui giovani nati nel 1839, oltre che nelle "antiche provincie" del regno sabaudo, anche in quelle romagnole annesse solo da pochi mesi al nuovo stato (1). Come si è già accennato, le Romagne facevano parte del gruppo di regioni italiane che non erano "educate alla coscrizione militare". Le provincie romagnole, se si eccettua la breve ma significativa parentesi del periodo napoleonico, non avevano mai conosciuto in passato il peso della leva obbligatoria: durante la dominazione pontificia il reclutamento delle truppe papali era infatti esclusivamente fondato sul volontariato mercenario. In assenza di una consolidata tradizione di coscrizione militare, la notizia della leva imminente, appresa dagli avvisi affissi dalle autorità municipali o durante le funzioni religiose dalla voce dei parroci, era destinata a suscitare un profondo malcontento:

I Contadini -notava il canonico cesenate Sassi nella sua cronaca- subito tanto quelli del piano come quelli della montagna, che assai male in cuore sta l'affare della recluta, si sono immediatamente risentiti per questa disposizione (2).

Un altro osservatore, testimone attento ma ugualmente non neutrale dei primi mesi seguiti all'unificazione, riteneva che "questa misura non sarà ben intesa, massime nelle Romagne" e pronosticava che

se nei tempi passati non si ottenne l'esecuzione in questo nostro paese della legge sulle tasse degli Arti e Mestieri, peggio si presterà il popolo delle Romagne alla Coscrizione, ad una leva forzosa; Iddio ci salvi da un brigantaggio, mentre vi sono tutti gli elementi per formarlo (3).

La medesima convinzione era espressa anche dal delegato apostolico residente a Pesaro:

se venissero forzati [alla leva militare], assicurasi, che i campagnoli sarebbero tutti pronti a ribellarsi coll'intendimento di correre piuttosto sotto le bandiere pontificie (4).

Nel territorio forlivese, come nel resto delle Romagne, la resistenza ad accettare il nuovo obbligo non tardò infatti a manifestarsi, assumendo anche forme di aperta rivolta e mostrando uno spiccato carattere di rimpianto papalino (5).

Il 22 luglio "un centinaio di campagnoli" di Cesenatico, Montaletto, Sala e S. Giorgio, spinti 16

dalla "contrarietà alla leva militare", si ribellarono con lo scopo di "impedire l'esecuzione della Legge". I rivoltosi, dopo aver disarmato e percosso gli appartenenti alla locale guardia nazionale al grido di "abbasso la Civica, morte a Garibaldi ed a Vittorio Emanuele, vogliamo il Papa, viva Pio IX", tentarono senza successo di "assalire il Comune di Cesenatico, e quindi le parrocchie circonvicine". Il giorno successivo, quando giunsero sul posto le truppe regolari inviate da Cesena, la protesta si era esaurita: una decina di contadini coinvolti nel tumulto furono arrestati e condotti nel carcere cesenate per essere processati (6). Insorgenze analoghe si verificarono nel mese successivo in alcuni centri rurali al confine tra le provincie di Forlì e di Ravenna: i contadini di Pieve Quinta, Villafranca, Matelica, Castiglione e S. Zaccaria avevano "commutate le falci del campo in bajonette e squadroni" e, con "animo di resistere alla disposizione della leva", si erano affrontati a più riprese con "la Truppa e la Civica" (7). Un'altra manifestazione di protesta organizzata a Meldola non ebbe invece luogo perché i "campagnoli vennero consigliati a desistere dal loro progetto" (8). Nella geografia della protesta contro l'introduzione della coscrizione obbligatoria spicca l'assenza del territorio riminese, assenza tanto più sorprendente se si pensa che questo circondario fu caratterizzato in seguito dai più elevati indici di renitenza di tutta la provincia. Piuttosto che dipendere da lacune documentarie la mancanza di notizie su manifestazioni di ribellione sembra riflettere un atteggiamento popolare meno conflittuale:

fin qui -scriveva nel mese di luglio l'intendente riminese- non trapela nella popolazione rurale niun sintomo atto a turbare la pubblica tranquillità (9).

Anche dove non sfociò in episodi di ribellione, il malcontento suscitato dalla notizia della leva imminente era comunque generalizzato:

la notificazione [...] che parla della leva, ha fatto crescere il malumore [...], in generale, si dice, che nessuno andrà ad iscriversi (10).

La coscrizione, seppure non rappresentasse una novità assoluta, assumeva per larghi strati della popolazione, specie rurale, il significato di un'innovazione traumatica, configurandosi come un elemento estraneo al sistema di vita tradizionale che veniva a turbare consolidati ritmi vitali e produttivi, fragili equilibri economici e famigliari (11). Accanto a questo elemento centrale, anche altri fattori concorsero alla formazione di un atteggiamento di ostilità nei confronti della leva obbligatoria. In primo luogo, era ancora assai vivo, tramandato dagli anziani e sedimentato nella memoria collettiva, il ricordo della coscrizione napoleonica. La leva obbligatoria era stata introdotta nell'ambito della Repubblica Italiana con la legge del 13 agosto 1802, ma soltanto il 13 maggio dell'anno successivo venne pubblicato il decreto che indiceva la prima chiamata regolare (12). Il sistema di reclutamento napoleonico prevedeva una ferma di quattro anni per tutti i giovani di età compresa tra i 20 e i 25 anni. Dal prestare servizio militare erano però esclusi gli ecclesiastici, gli ammogliati e i vedovi con prole. Era inoltre prevista la possibilità, dietro l'esborso di una somma considerevole, di farsi rimpiazzare da un sostituto idoneo (13). Nel forlivese, la resistenza all'introduzione del servizio militare obbligatorio fu tenace durante tutto il periodo napoleonico nonostante il progressivo inasprimento della repressione. I giovani coscritti invece che accorrere sotto le armi seglievano la renitenza e la diserzione, rifugiandosi nelle "Maremme Fiorentine" e "Pontificie" o andando ad ingrossare le fila del banditismo che per diversi anni infestò le campagne e i centri abitati dell'alta collina romagnola (14). L'impotenza palesata, nonostante le continue perlustrazioni e gli indiscriminati rastrellamenti, dalla gendarmeria e dalla guardia nazionale nella cattura dei "refrattari", spinse le autorità ad escogitare rimedi e palliativi di varia natura all'epidemia di renitenti e disertori: fu proposta la costituzione nelle campagne di una "guardia rurale" specificamente incaricata di inseguire e arrestare i "fuggiaschi", si sollecitarono finanziamenti per installare nei comuni una "rete 17

spionistica" che consentisse di spezzare il manto di complicità con cui la popolazione proteggeva i latitanti, venne invocata la fattiva collaborazione dei parroci di campagna, dei cittadini influenti e dei proprietari agricoli per esortare i giovani contadini all'obbedienza verso la legge (15). L'esasperazione della popolazione per la continua richiesta di coscritti diede luogo anche ad alcune proteste collettive particolarmente violente: nell'autunno del 1813, ad esempio, i paesi di Mercato Saraceno e Sarsina furono invasi da "briganti" e "rivoltosi" che assaltarono il municipio e bruciarono in piazza i registri della coscrizione (16). Giustamente, nell'imminenza della leva del 1860, il deputato liberale bolognese Antonio Zanolini individuava proprio nella memoria delle massiccie coscrizioni del periodo francese, e in particolare nello stato di guerra permanente che lo aveva caratterizzato, una delle ragioni principali dell'odierna avversione per l'obbligo militare:

I due lustri del Regno d'Italia, che forse avrebbero bastato ad abituare i foresi alla leva militare, passarono in guerre continue, le quali fecero così grande carnificina, che l'essere chiamati al campo quasi si aveva per una condanna capitale (17).

L'esperienza fatta nel decennio napoleonico, lungi dall'avvicinare la popolazione romagnola all'istituto della coscrizione, ne aveva invece aumentata l'istintiva avversione tipica di ogni società rurale. La continuità dal periodo napoleonico a quello post-unitario di questo atteggiamento ostile è confermata da un episodio accaduto nel territorio riminese in concomitanza con i fermenti democratici del 1848. L'arrivo della notizia che sarebbe stata imposta una leva "sebbene volontaria, in ragione di 2 uomini ogni 1000 abitanti" provocò un'insorgenza papalina:

Nel dì 1. o giugno, i contadini di Morciano, Misano, Besanigo, Montefiore e Coriano hanno fatto rumore per la voce invalsa della coscrizione [...]. Quei di Coriano hanno disarmato la Civica, abruciati i ruoli, e la bandiera tricolore, sostituendovi quella del Papa (18).

Un secondo fattore era all'origine dell'ostilità della popolazione per la leva obbligatoria. A soli pochi mesi dall'avvenuta annessione, il neonato stato unitario faceva sentire per la prima volta la sua presenza costringendo i cittadini all'osservanza di un obbligo pesante dal quale fino ad allora erano stati esenti. Il conoscere in primo luogo gli oneri dell'avvenuta unificazione non poteva non aumentare la diffidenza nei confronti di uno stato che veniva sentito sostanzialmente estraneo da larghi strati della popolazione e in particolare da quella rurale. Nelle Romagne, d'altra parte, l'egemonia che la classe politica nazionale esercitava era ancora scarsa e assai problematica si prospettava la conquista di quote maggiori di consenso. La rapidità con cui si era realizzato il cambiamento di regime si combinava infatti con una situazione ancora estremamente fluida sotto il profilo degli equilibri politici e dei rapporti di forza. All'intrinseca debolezza del partito governativo faceva da contraltare, specialmente nelle campagne, la forte presa sociale del clero, che aveva individuato nello sfruttamento del diffuso malcontento popolare per la coscrizione obbligatoria uno dei terreni privilegiati della sua reazione anti-unitaria.

In Romagna poi -scriveva, con evidente soddisfazione, il delegato apostolico di Pesaro- il disordine sempre più aumenta, e quasi vi regna l'anarchia. [...] D'altra parte il malcontento suscitato dalla leva, dalla gravezza delle tasse e da altre ragioni muove anche quella parte di popolazione che prima si mostrava indifferente, e tutto ciò crea grandi imbarazzi nell'intruso Governo (19).

La propaganda clericale contro la coscrizione, secondo la testimonianza di Zanolini, aveva avuto 18

inizio prima ancora dell'estensione alle Romagne del sistema di reclutamento piemontese:

I missionari in gran numero della Curia romana, i quali ebbero incarico d'incitare a rivolta le genti semplici ed ignoranti, si adoperano nel rendere loro odioso il mutamento avvenuto nelle nostre provincie con argomenti che tocchino nel vivo dal lato della coscienza o dell'interesse. I men tristi, vergognandosi di ricorrere, come i più fanno, alle imposture ed alle calunnie, mettono innanzi ai villici lo spauracchio della leva, la quale avremo fra non molto anche noi (20).

L'effettuazione della prima leva post-unitaria si prospettava per questo insieme di ragioni difficile e ricca di insidie. Il malcontento suscitato dalla coscrizione poteva agire come un potente catalizzatore della delusione nutrita dalla popolazione per gli esiti del processo unitario e dare forse l'avvio, come era nelle speranze del clero, ad una vasta mobilitazione anti-governativa. Di questa situazione potenzialmente esplosiva furono fedeli osservatori le autorità locali, che, preoccupate per le possibili ripercussioni sulla stabilità del nuovo assetto politico, si rivolsero a più riprese al potere centrale per paventare i rischi derivanti da un'estensione non graduale dell'obbligo della leva (21). Neppure l'ampia partecipazione di volontari romagnoli alle battaglie risorgimentali, che pure aveva testimoniato una forma di attaccamento ai destini nazionali, era sufficiente a tranquillizzare i funzionari statali periferici. Il prefetto di Forlì Campi, a metà degli anni sessanta, scriverà infatti nella sua monografia che

comunque armigere e valorose sieno la tradizioni di questi popoli, comunque largo e spontaneo sia stato il concorso dei medesimi alle antiche e recenti pugne nazionali, non perciò ripugnavano meno a sottostare al tributo della leva (22).

Dei timori manifestati dalle autorità locali prendeva atto il ministro dell'interno Farini con una circolare inviata il 20 luglio, in occasione dell'apertura della leva della classe 1839, agli intendenti dei circondari romagnoli:

da una parte la dissuetudine dal servizio militare ordinario, dall'altra le mene di coloro, che, acciecati dalla passione, cercano ogni modo di attraversare il risorgimento nazionale, lasciano dubitare che l'attivazione della Leva possa incontrare in coteste Provincie qualche maggiore difficoltà che nelle altre.

Per evitare l'insorgere di queste difficoltà il ministro faceva appello allo "zelo e patriottismo" dei funzionari periferici, raccomandando loro d'intraprendere una vasta opera di sensibilizzazione al fine di "inspirare fiducia nelle Popolazioni ed attutirne la naturale diffidenza" (23).

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