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3. L'azione "sabotatrice" del clero
3. L'azione "sabotatrice" del clero
Su questo atteggiamento popolare, sensibile alle suggestioni che esercitava la renitenza, si innestò la propaganda clericale. Scorrendo l'abbondante corrispondenza prodotta dalle autorità locali negli anni strategicamente importantissimi seguiti all'unificazione, il ruolo rivestito dal partito clericale, come si è già visto, sembra essere stato decisivo. L'ossessione per le "mene clericali" che caratterizza questa documentazione pare tuttavia eccessiva rispetto alla loro effettiva portata. E` quindi legittimo dubitare che questa convinzione radicata nei funzionari periferici riflettesse una situazione reale, pericolosa per il consolidamento stesso del neonato stato unitario, e invece ritenere che essa corrispondesse alla necessità di addossare al clero la responsabilità del fallimento delle prime leve postunitarie, giustificando in questo modo l'incapacità di suscitare il consenso delle masse attorno ad un istituto peraltro impopolare come la coscrizione. Se l'interpretazione ufficiale che imputava alla mobilitazione clericale tutte le difficoltà incontrate dalle operazioni di reclutamento era certamente semplicistica e riduttiva, è ugualmente indubbio che il clero svolse un'azione significativa e, in certa misura, coronata dal successo. L'esistenza e la portata di un'azione specifica del partito clericale sul terreno della coscrizione è d'altra parte confermata dalle fonti giudiziarie. Sono abbastanza numerosi, nel quadriennio 1860-63, i procedimenti istruiti dal tribunale penale di Forlì contro parroci, prelati e regolari accusati di reati diversi contro la legge sulla leva militare, o inquisiti perché colpevoli di oltraggio al governo e alle istituzioni (42). Un'informazione diretta e illuminante sulle disposizioni del clero verso la coscrizione è inoltre fornita dalle frequenti annotazioni contenute nella già ricordata cronaca di Gioacchino Sassi. Il canonico cesenate, esponente di primo piano della reazione clericale, condusse una tenace battaglia polemica contro il "presente Governo", accusato di aver introdotto l'ingiusto "tributo di sangue". E` tuttavia difficile stabilire se questi comportamenti individuali erano il risultato di iniziative autonome e sporadiche, oppure se rappresentavano l'esecuzione di precise direttive superiori, rientrando per questa via in un più vasto e concertato progetto clericale di opposizione al consolidamento del nuovo stato. Nel luglio del 1863 il sottoprefetto di Cesena comunicò al prefetto che a Longiano, nel convento dei frati minori e nella casa del canonico, operava un "comitato reazionario", in collegamento con alcuni "mestatori" residenti nel limitrofo territorio di S. Marino, che si sospettava "latore di ordini ed accordi segreti" e le cui "mire" erano rivolte
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più particolarmente sui Parroci, onde imprimere una certa uniformità e simultaneità di movimenti all'azione occulta che questi ultimi sono chiamati ad esercitare sulle coscienze per mezzo del confessionale e dei catechismi. Può parer quasi superfluo lo aggiungere che la resistenza agl'obblighi della leva e il disprezzo della legge è uno dei più importanti precetti e forse il principale di questa tenebrosa propaganda (43).
Lo spoglio delle "visite ad limina" redatte dai vescovi delle diocesi della provincia di Forlì non ha purtroppo fornito altri elementi al riguardo. In queste fonti, infatti, se vengono lamentati con insistenza i "calamitosa et mala tempora" e il "lagrimevole stato" in cui versavano le diocesi dopo l'avvenuta cessazione della dominazione pontificia e si accenna alle diverse forme di resistenza approntate a difesa della "società cristiana" in pericolo, non si fa mai riferimento esplicito ad un specifico intervento in tema di leva militare (44). Un qualche coinvolgimento diretto delle gerarchie ecclesiastiche sul terreno della coscrizione è tuttavia attestato dall'estremo interesse con cui a Roma, attraverso i puntuali e informati rapporti inviati dal delegato apostolico di Pesaro al segretario dello stato pontificio, fu seguita l'esecuzione della prima leva postunitaria nelle Romagne, nonché dal 95
compiacimento che venne manifestato dopo il suo sostanziale fallimento. E` necessario inoltre stabilire se l'avversione popolare nei confronti della coscrizione obbligatoria fu una manifestazione spontanea, soltanto successivamente strumentalizzata dal partito clericale ai fini della sua reazione anti-unitaria, oppure se essa venne in qualche modo sollecitata e condizionata fin dal suo nascere dall'azione "sobillatrice" del clero. Certamente, la propaganda clericale riuscì ad essere efficace perché si innestava su un terreno già fertile e ricettivo, su un sentimento di rifiuto che la popolazione aveva autonomamente maturato (45). Il clero, infatti, come lamentava il prefetto Campi, faceva leva sulle ragioni profonde e obiettive dell'avversione popolare per tentare di organizzare una resistenza di massa al nuovo obbligo:
una gran parte della giovinezza e della forza delle nostre campagne s'invola[va] all'Esercito ed ai lavori del campo, spintavi dall'ignoranza, dall'egoismo e dalle perfide insinuazioni di coloro, che ardenti di fanatismo abusavano della pietà del credente, per istillare il dubbio nei cuori e nelle coscienze del colono, ed ingrandire a quelle immaginazioni ardenti e facilmente eccitabili i danni derivanti all'agricoltura, alle arti ed alla prosperità interna delle famiglie dalla temporanea assenza dei loro cari (46).
Il clero riuscì a raggiungere i suoi scopi grazie alla forte presa sociale che continuava a detenere su larghi strati della popolazione, specie rurale. La mobilitazione contro la leva offrì anzi al clero l'opportunità di rinsaldare quel legame con le masse che durante il processo d'unificazione nazionale aveva quasi completamente perduto (47). Il clero disponeva di strumenti assai efficaci per esercitare un rigido controllo sulla società, non solo relativamente al sentimento religioso e alla moralità dei singoli fedeli, ma anche riguardo alle loro disposizioni politiche e ideologiche. A questi stessi strumenti il clero fece ricorso nella sua opera sistematica di denigrazione del nuovo stato e d'incitamento alla renitenza e alla diserzione:
il confessionale è il campo ordinario dei preti, è là che agitano le coscenze, è là che fan vedere provvisorio, e di nessuna consistenza il Governo di Sua Maestà il Re; è là che eccitano i nuovi inscritti alla renitenza, è là che agiscono sulle famiglie dei giovani soldati, per indurli alla diserzione (48).
Se il confessionale era il luogo più indicato per una propaganda incisiva, in quanto capillare e sottratta alla vigilanza delle autorità, altri momenti ugualmente efficaci, anche se più pericolosi, erano rappresentati dalle prediche e dalle benedizioni domenicali. Il caso del padre cherubino del convento dei minori osservanti di Sogliano, che "più ardito e spacciato di suoi compagni ardì dal pergamo vomitare ingiurie contro la Sacra Persona del Re, e contro le leggi", non fu certo isolato (49).
In particolare, secondo i funzionari governativi, erano i frati, "tutti nemici aperti del nuovo ordine di cose" e "attivissimi Agenti" del "partito nero", che si distinguevano in questa azione propagandistica, "approffitando delle occasioni, che loro somministrano le questue, la predicazione, ed altri ufficj religiosi per percorrere in ogni senso il territorio" e introdursi "nelle famiglie degli agricoltori". Nei numerosi rapporti prefettizi aventi per oggetto le "mene del clero", i diversi conventi sparsi sul territorio della provincia erano infatti considerati i principali centri di diffusione della reazione clericale (50). L'azione del clero, d'altra parte, riusciva ad essere incisiva per la sostanziale incapacità delle autorità di arginarla efficacemente. Il sottoprefetto di Cesena, ad esempio, nel tentativo di far cessare la "perniciosa influenza" svolta dal clero "in pregiudizio delle operazioni di leva", aveva disposto che la "più attenta vigilanza" venisse esercitata "sui detti e sulle azioni del clero, e di quelli fra i laici che sono in voce di clericali". Lo stesso funzionario era però costretto a riconoscere a priori l'inefficacia dei provvedimenti adottati:
per quanto il sottoscritto si lusinghi di venir assecondato con zelo ed accortezza in quest'opera di sorveglianza, ei confessa tuttavia di riporre ben poca fiducia nell'efficacia di tali mezzi. Preti e Claustrali, sia pel facile adito che loro offre l'esercizio del proprio ministero per entrare in intimi e molteplici rapporti con chiunque, sia per effetto di loro abituale scaltrezza, anche quando non si sottraggono alla vigilanza degli agenti del potere, riescono però quasi sempre a tener lontane da loro le conseguenze di un procedimento criminale (51).
La difficoltà di esercitare una stretta vigilanza sulla propaganda clericale dipendeva, oltre che dalla pratica impossibilità di controllare i canali personali e in genere semiclandestini che questa utilizzava, anche dalla mancanza di un'estesa rete di informatori:
la parola sorveglianza è illusoria poicché mal fornito il Governo di utili Agenti di Pubblica Sicurezza non può scuoprire le fila immense tessute dal Clero (52).
Inoltre, anche se i responsabili della propaganda antigovernativa venivano individuati e sottoposti a procedimento penale, era poi estremamente difficile ottenere la loro condanna:
questo genere di propaganda [...] sfugge facilmente all'azione della punitiva giustizia, non potendosi, che difficilmente radunare prove sufficienti a constatare legalmente l'esistenza di tali fatti criminosi (53).
La sensazione d'impotenza nutrita dai funzionari periferici di fronte alla mobilitazione clericale, giocando a favore dell'adozione di provvedimenti drastici, faceva individuare, ad alcuni di essi, in una legge di generale soppressione degli ordini religiosi il "solo proporzionato rimedio a questa piaga":
Il Governo allorché si è sentito minacciato nella propria vita dall'elemento ultra-rivoluzionario ha colpito di interdizione le società democratiche; non si saprebbe ora comprendere qual serio ostacolo si opponga a che lo stesso divieto non sia posto alla esistenza civile delle associazioni monastiche, che ugualmente pericolose alla sicurezza dello stato sono assai più di quelle irreconciliabilmente avverse ad ogni principio di civiltà e di libertà (54).
Il clero, d'altra parte, non si limitava soltanto a svolgere un'opera di propaganda e istigazione verbale (55). La sua strategia, infatti, si concretizzava anche nell'adozione di un comportamento ostruzionistico durante l'esecuzione delle operazioni di leva. Si è già accennato alle difficoltà incontrate dalle autorità municipali nella formazione della liste di leva a causa del rifiuto dei parroci di permettere la visione dei loro registri e di compilare le note dei nati. I parroci non disdegnavano di praticare, oltre a questa, anche altre forme di resistenza burocratica: rilasciavano ai giovani parrocchiani attestati di nascita falsi o non regolari per consentire loro di evitare il servizio militare e non segnalavano che molti degli iscritti nelle liste di leva risultavano dai registri parrocchiali morti da tempo per esagerare artificiosamente il numero dei renitenti (56). Parallelamente, il clero dimostrava una fattiva solidarietà e complicità con i giovani renitenti e disertori. I parroci fornivano spesso assistenza e ospitalità ai numerosi renitenti e disertori che erano latitanti nelle campagne del forlivese. Le canoniche isolate rappresentavano infatti nei percorsi dei giovani fuggiaschi un luogo privilegiato di rifugio o di sosta temporanea (57). All'azione svolta dal clero si saldavano poi i progetti assai più ambiziosi perseguiti da alcuni 97
emissari pontifici di favorire l'arruolamento di renitenti e disertori nell'esercito papale o di costituire, reclutando i giovani latitanti, delle bande dedite al brigantaggio (58). Se il primo tentativo ottenne qualche risultato positivo, è invece da escludere che il secondo fosse coronato dal successo. Certamente nella prima metà degli anni sessanta operarono sul confine tosco-romagnolomarchigiano alcune bande composte in tutto o in parte da renitenti e disertori, ma queste formazioni, piuttosto che a un brigantaggio connotato politicamente in senso anti-unitario, si dedicavano, come si è già visto, a una più redditizia attività di furti e grassazioni. Accanto alle "mene clericali", negli anni immediatamente successivi all'unificazione, anche i "maneggi del partito d'azione" assorbivano la preoccupata attenzione delle autorità locali. Sul terreno della coscrizione, tuttavia, mentre l'azione del clero si sviluppò massiccia e ottenne il risultato d'intralciare non poco l'esecuzione delle operazioni di reclutamento, il ruolo svolto dai democratici e dai mazziniani fu al contrario limitato (59). L'assenza di una specifica iniziativa del partito d'azione appare tanto più sorprendente alla luce di alcuni interventi dello stesso Mazzini, seppure successivi al periodo in cui si dispiegò la resistenza alla leva nella provincia di Forlì, che erano volti a sollecitare gli attivisti ad inserire anche questa direttrice di lotta nell'azione repubblicana. In una lettera diretta nel 1867 a un organizzatore mazziniano del cesenate egli affermava infatti:
L'Apostolato fra gli agricoltori è santo, è vitale. [...] Bisogna dire agli agricoltori che nessuno sogna immischiarsi, se non ragionando, colla loro credenza: che la Repubblica non tende che a fare una Nazione libera potente, prospera per tutti: che una delle prime conseguenze sarebbe la ricerca dei modi di migliorare la loro condizione economica: che le due prime misure da adottare sarebbero l'abolizione della coscrizione e quella dei dazi di Consumo (60).
La stessa posizione radicale, venata da una nota di opportunismo politico, veniva ripresa in una lettera dell'anno successivo ad un militante fiorentino:
Tutte le cagioni che fanno le rivoluzioni esistono in Italia: il malcontento universale diffuso: nelle classi agricole che seguirebbero un moto retrogado purché accennasse all'abolizione del macinato, della coscrizione e del caro del sale e seguiranno noi se veniamo primi a promettere (61).
Le difficoltà incontrate dal proselitismo repubblicano all'interno delle classi agricole, anche per la concomitante e concorrente propaganda clericale, contribuirono probabilmente alla sostanziale inerzia del partito d'azione. Nel comportamento dei militanti del partito d'azione sono riscontrabili d'altra parte contraddizioni stridenti: se da un lato essi non rifiutarono compromissioni col ribellismo contadino, dall'altro non mancarano neppure episodi di complicità con la repressione governativa (62). Alcuni ufficiali della guardia nazionale di Cesena, "legati al partito Rosso", furono accusati di connivenza con i renitenti e disertori del circondario, i quali a loro volta, secondo il reggente della sottoprefettura cesenate, erano probabilmente organizzati da un noto agitatore mazziniano: "parea che costoro obbedissero ad una parola d'ordine e questa parola (per me) è Valzania" (63). Al contrario, un altro esponente repubblicano di primo piano, seppure dissidente, quale Giuseppe Comandini si offrì con alcuni compagni di collaborare, nei ranghi della guardia nazionale, con la sottoprefettura cesenate per sgominare le bande di renitenti che infestavano il cesenate:
Sarebbero costoro un gruppo di persone [...] che sono oggi intimiditi dalle minaccie del così detto partito rosso [...], i quali van chiamando quest'individui spie e cagnotti perché si prestano alla ricerca ed arresto dei 98
renitenti. Una volta mobilizzati [...], e con una paga di 1 lira al giorno sarebbero in misura di prestare utili servizi, molto più che una volta compromessi sarebbero sempre dalla parte nostra (64).