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2. Due atteggiamenti diversi verso la coscrizione: i centri urbani e le campagne

2. Due atteggiamenti diversi verso la coscrizione: i centri urbani e le campagne

L'immagine della società forlivese di fronte alla coscrizione appare dominata da una profonda spaccatura: da un lato le campagne, dove il rifiuto della leva fu generalizzato e persistette più a lungo, dall'altro le città, caratterizzate da una quasi immediata accettazione del nuovo obbligo. Le fonti coeve all'esecuzione delle prime leve postunitarie sono concordi nel segnalare che l'avversione per la coscrizione non coinvolgeva con la stessa ampiezza ed intensità gli strati rurali e quelli urbani. Le autorità locali e gli osservatori riconoscevano infatti alla popolazione cittadina una maggiore disponibilità a compiere il dovere militare. Il già ricordato Zanolini, ad esempio, affermava che

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nelle città, ove sono in copia vagabondi e scapestrati, se le madri si eccettuano, pochi reputano la leva un malanno, un castigo di Dio: molti invece credono che sia un buon rimedio contro l'ozio e la scostumatezza (2).

La ragione di questo diverso atteggiamento dei ceti cittadini è indubbiamente da individuare in una loro maggiore integrazione sociale e politica, o quantomeno in una loro minore estraneità nei confronti del nuovo stato (3). Per larghi settori della popolazione urbana "la patria rinovellata, l'Esercito nazionale sorto per incanto, lo straniero fuggente" non erano "frasi vuote di senso" come per la stragrande maggioranza, se non addirittura la totalità della popolazione rurale (4). D'altra parte, l'ampia partecipazione di volontari romagnoli alle campagne risorgimentali aveva interessato unicamente le città e neppure marginalmente sfiorato le campagne (5). Se questa indifferenza palesata in passato dalla popolazione rurale suscitò alla vigilia della leva del 1860 la preoccupazione delle autorità politiche, al contrario, il concorso delle classi cittadine alle necessità militari del processo di unificazione nazionale faceva loro ritenere che l'introduzione della coscrizione non avrebbe incontrato difficoltà tra la popolazione urbana (6). Si legge, infatti, in un opuscolo propagandistico redatto da un ufficiale dell'esercito:

I numerosi volontari che le Città hanno fornito all'esercito nell'ultima guerra prova ad evidenza, che la chiamata sotto le insegne, non per essere soggetta a regole fisse, potrà mai ripugnare a questa brava e forte gioventù (7).

Un elemento, in particolare, differenziava l'assetto socio-politico delle città da quello delle campagne: nei centri urbani erano senza dubbio minori l'influenza e la presa sociale del clero.

Il partito buono e affezionato al Governo -scriveva, ad esempio, il sottoprefetto di Rimini- è in maggioranza qui in Città e nei Comuni più popolosi del Circondario; solo in alcuni dei Comuni di Campagna è preponderante il partito affezionato al Governo cessato (8).

Nelle città le possibilità di intervento del clero erano più limitate, in quanto la popolazione urbana era riuscita in qualche misura ad emanciparsi dall'invadente tutela del prete o del parroco, che partendo dalla sfera religiosa e morale arrivava ad abbracciare quella politica (9). Se nelle campagne l'orizzonte della vita sociale dei contadini si esauriva molto spesso tra il campo, la famiglia e la chiesa (e qualche volta l'osteria), nelle città esisteva invece una pluralità di luoghi di aggregazione: le prime associazioni politiche e società di mutuo soccorso, i circoli ricreativi e i caffè.

Ovviamente, agiva una relazione inversamente proporzionale tra l'influenza clericale e l'integrazione della popolazione nella nuova realtà statale. Il clero era infatti impegnato in un'opera 86

sistematica di denigrazione del nuovo regime e non tralasciava in particolare

d'insinuare nella classe meno istruita la convinzione della ricostituzione di una Santa alleanza, e quindi dell'immancabile e non lontano ristabilimento dei caduti Governi in Italia (10).

La propaganda del partito clericale dovette essere coronata da un indubbio successo se ancora nel maggio del 1864 il delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella scriveva al prefetto di Forlì che le "Campagne si augurano sempre il Papa, si mantengono avverse al Governo, confermano devozione ai Preti" (11). La mobilitazione anti-unitaria del clero, che pure non disdegnava lo sfruttamento del malcontento popolare per la pesante tassazione, trovava il suo terreno privilegiato nel tentativo di ostacolare la leva obbligatoria, fomentando la renitenza dei giovani coscritti (12). Questa azione "sabotatrice", se riuscì ad essere incisiva nelle campagne, dove il clero esercitava ancora un forte controllo sui comportamenti dei singoli, al contrario nelle città non dovette coagulare un consenso significativo. Il prefetto Campi, in occasione della chiamata alla leva della classe 1843, rivolse agli abitanti della provincia un proclama nel quale, affrontando il ricorrente problema della "perniciosa influenza" clericale sui coscritti e le loro famiglie, dimostrava una profondità di analisi maggiore rispetto a quella palesata dalle altre autorità locali, anche se non abbandonava l'usuale terminologia anticlericale e patriottica. Dal testo emerge con evidenza il differente ruolo che il clero era capace di svolgere nelle città e nelle campagne:

[...] quel partito, che ammantandosi di carità e di Religione cospira ai danni d'Italia, ha ripreso fra le tenebre ed il mistero l'orditura del suo dissolvente lavoro onde togliere allo Stato quel contingente di forza, che è l'anima della sua esistenza. Ed è appunto contro le armi malvagie di questa casta incorreggibile che io sento il bisogno e il dovere di porre in guardia le povere ed illuse famiglie dei coscritti, e d'invocare l'ajuto di tutta l'onesta Cittadinanza per bandire l'indignazione ed il disprezzo contro le insidie di coloro che, involando alla Campagna il fior della sua gioventù, tentano di paralizzare le forze della potenza, forse per ingrossare altrove le file della reazione e del brigantaggio. Io non ho timori per i giovani delle Città della Provincia, e delle sue principali Borgate. Quivi fiorisce la cultura dell'ingegno, e vi arde vivissimo il fuoco sacro di libertà e di amor patrio. Quivi la gioventù balda, robusta, fiorente respingerebbe sdegnosa il vigliacco consiglio, poiché comprende benissimo che il beneficio della libertà è vincolato dal dovere di concorrere alla difesa e alla conservazione dello Stato. Ma ben diverse sono le condizioni della Campagna dove i giovani sono fatti preda di colpevoli, e nascoste influenze, che la Legge non giunge a combattere, ed a punire. Le famiglie del Contado vivono ancora sotto la pressione di quella setta, che si adoperò costantemente a rendere l'uomo infingardo, togliendoli ogni virile aspirazione, e spegnendo in lui ogni istinto generoso. Il giovane bifolco, al quale non fu mai detto d'aver obblighi verso la Patria, risponde all'appello della Nazione con una fuga vergognosa e colpevole, ed inconscio dell'onta sua spinge il passo furtivo verso quelle inospitali Maremme, che furono già tomba di molti illusi, che li precedettero sul sentiero del disonore. [...] Il pericolo è serio, turpe lo scandalo, grave il danno per la Nazione, quanto immondo per le famiglie dei molti obbidienti alla Legge cui torna esiziale 87

l'impunità di pochi riottosi. Uniamoci tutti nel solo pensiero di fugare questa febbre di fanatismo, arde il cuore dei nemici d'Italia. Quanto vi è nei paesi di sinceramente onesto, liberale, intelligente e devoto alla propria patria, si levi concorde in aiuto dei Municipj e dei pubblici funzionarj a combattere le fatali prevenzioni, la sinistra ed occulta influenza, l'urto di malvage passioni scatenate contro la incompleta unità della Patria. Uniamoci onde consigliare ai giovani della Campagna il sacrificio e l'obbedienza alla Legge. Uniamoci per dire alle masse del Contado, come e quanto sia necessaria e santa l'istituzione della Leva, poiché l'esercito che essa crea è il vincolo che affratella i diversi popoli della Penisola [...] (13).

Dai funzionari governativi veniva quindi stabilita una correlazione stringente tra l'azione del clero e l'avversione della popolazione per la coscrizione, al punto che questo elemento, come si è già ricordato, diventava esclusivo nella loro analisi: essi individuavano infatti nelle "mene clericali" la ragione decisiva, il fattore determinante delle difficoltà incontrate nelle operazioni di leva. Scriveva, ad esempio, il delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Meldola:

nel Comune di Teodorano serpeggia l'infuenza della clericale dottrina, e ciò provasi anche dal numero forte di renitenti (14).

Analoga era l'interpretazione dei responsabili nazionali del reclutamento:

soprattutto -scriveva il generale Torre, riprendendo una lettera dell'intendente provinciale di Ancona, - valgono a trattenere la gioventù i maneggi del clero e dei suoi aderenti; essi spaventano le famiglie sotto i rapporti di coscienza, spargono voci del prossimo ristabilimento del Governo del Papa, parlano di controrivoluzione, e di nuova guerra degli Austriaci come di cose imminenti e sicure. Queste fole, per quanto siano ridicole, pure non mancano di essere credute particolarmente dai villici disseminati nella campagna (15).

Se a livello nazionale l'elemento discriminante del comportamento militare dei giovani soggetti alla leva era rappresentato dalla distinzione tra "i paesi educati alla coscrizione" e le regioni "affatto nuove alla medesima", a livello periferico, quantomeno nel forlivese e nelle altre provincie prima soggette alla dominazione pontificia, la linea di divisione passava quindi tra la popolazione urbana e quella rurale. Fu nelle campagne che l'opposizione all'introduzione della leva obbligatoria si sviluppò più forte e tenace. Ricordando, a distanza di qualche anno, il clima che aveva caratterizzato il momento dell'entrata in vigore della coscrizione nel forlivese, il prefetto Campi scriveva nella sua monografia:

nessuna meraviglia, che se nelle città, dove fioriva la cultura dell'ingegno, e si è conservato il germe delle umili aspirazioni e degl'istituti generosi, vi fu esitanza ad accettare questo grave tributo di sangue, nella campagna vi fosse avversione decisa, vero abborrimento (16).

Il malcontento per la leva trovò immediata espressione nelle diverse manifestazioni della saggezza e della cultura popolare. Un proverbio, contemporaneo all'introduzione del nuovo obbligo, sintetizza efficacemente il carattere di novità traumatica che la coscrizione, vista come effetto della "conquista piemontese", veniva a rappresentare per le classi agricole:

Vitori Emanuel l'ha fat la leva chi puvar cuntaden ch'i n se cardeva! (17).

Più tarda è una "zirudella" del poeta dialettale riminese Giustiniano Bruno Villa, composta nel 1881 e intitolata significativamente "Le piaghe del giorno":

I fec l'Italia quasi unida E tutt i geva, la è fnida Sta cuccagna maledetta Chi cià sgombre la sachetta Di baioc, papet e pavle Las chi vega tutt al Diavle Da per tutta sa stli piaz Urle, evviva gran schiamaz Che pareva a me sentì Con savis più da patì Ne fredd ne fema ne dolur Che tutt e fusme dvantè sgnur. I principiò ti nost pais A fe al chert i Piamontis, E popolac si prim mument An fu contrerie e ne content I feva i chsè una risarela Poc d'gust non tenta bela; Dop poc mis i fe la leva Oh questa se nissun la vleva! Pedre medre tutt i fiol I ruggeva i feva i dol I biastmeva contre e guerne, Che sciopasse giù at l'Inferne! In geva insomma d'ogni sorta Pegg ch' caves d'andè alla morta [...].

Il componimento esprime le aspettative riposte dalla popolazione nell'unificazione italiana e la profonda delusione subito seguita: fu proprio l'introduzione della leva a rappresentare il primo momento di crisi acuta per il già limitato e fragile consenso su cui poteva contare il nuovo stato (18).

Se nel complesso le autorità politiche imputarono l'avversione del mondo contadino per l'obbligo militare alla forte influenza del clero nelle campagne e all'inferiorità morale ed intellettuale delle classi agricole, alcuni osservatori più attenti si accorsero che all'origine di questo atteggiamento agiva soprattutto una motivazione di carattere economico (19). Secondo Zanolini non costituiva

maraviglia che i nostri contadini abborrano la leva militare, la quale portando via i giovani, che sono il nerbo delle famiglie, le scema e le impoverisce (20).

Analogamente, il canonico cesenate Sassi affermava che il "malumore" era forte soprattutto tra i "terrazani", i quali "si vedono mancargli le braccia pei lavori" (21). Anche altri proverbi testimoniano come l'avversione della popolazione rurale fosse originata dalla consapevolezza che la coscrizione apportava un notevole danno economico:

La guera l'arvena i cuntaden i fiul la i mena veia ben.

Pedar e medar la guera in la pò sintì arcurdé parché i su fiul u i toca ad mandé (22).

L'arruolamento di un figlio significava per la famiglia colonica la perdita di un'aliquota di forza lavoro pregiata, quella maschile nel pieno della propria vigoria fisica e quindi ad alta capacità lavorativa, che all'interno della divisione famigliare del lavoro svolgeva un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell'unità produttiva domestica (23). L'importanza rivestita da questo fattore trova una conferma nelle risposte che, nella seconda metà degli anni settanta, i sindaci dei comuni romagnoli daranno al quesito dell'"Inchiesta agraria" riguardante le influenze del servizio militare sulla condizione dei contadini (24). La maggior parte di essi individuava infatti nel danno derivante dalla prolungata assenza delle forze di lavoro più produttive il motivo principale della perdurante ostilità della popolazione rurale per la coscrizione:

L'obbligo del servizio militare [...], dal lato materiale ed economico il più delle volte torna alle famiglie coloniche di svantaggio, privandole delle migliori loro braccia.

Ad alcune famiglie apporta danno, perché spesso toglie i più atti al lavoro.

Scema generalmente l'aiuto nei lavori agricoli, ed apporta conseguentemente un qualche danno notevole (25).

La struttura della famiglia contadina è ben conosciuta. Al suo interno le mansioni erano distribuite in base ad una precisa e razionale divisione del lavoro, secondo il tipico modello della famiglia patriarcale: i componenti maschi in età adulta si dedicavano alla coltivazione del fondo, proprio o preso in affitto, ed alla cura del bestiame grosso; alle donne, le quali generalmente prestavano il loro aiuto nei campi soltanto quando lo richiedevano le necessità della coltivazione, era invece affidata la responsabilità della conduzione della casa e l'esecuzione di alcune attività integrative del magro bilancio famigliare: la cura dell'orto, il piccolo allevamento, e, dove era possibile, la lavorazione dei vimini, la filatura o la tessitura domestica. Alle attività produttive del nucleo famigliare contribuivano poi, seppure in modeste proporzioni data la loro bassa capacità lavorativa, anche i vecchi e i bambini. La maggior richiesta di prestazioni di lavoro agricolo, seguendo l'andamento dei cicli stagionali, si concentrava in pochi momenti dell'annata agraria: l'aratura, la semina e il raccolto. Nei lunghi mesi invernali la famiglia contadina, in assenza di un ciclo di coltivazione reso più complicato dall'introduzione, accanto ai cereali, di altre colture che richiedevano prestazioni lavorative addizionali proprio nel periodo morto dell'inverno (ad esempio, la vite o la canapa), restava relativamente inoperosa e poteva quindi incentivare la sua quota di lavoro extra-agricolo. La conservazione di un rapporto equilibrato tra il numero dei componenti il nucleo famigliare e l'estensione del fondo coltivato era l'obiettivo primario della famiglia contadina, il presupposto fondamentale della sua indipendenza economica. Gli strumenti che essa poteva utilizzare per cercare di mantenere inalterato questo rapporto, o di apportarvi degli aggiustamenti in base alle nuove esigenze che emergevano, erano però quasi tutti sottratti al suo controllo. La famiglia contadina quindi viveva continuamente sulla soglia della sussistenza: un cattivo raccolto o un susseguirsi di annate sfavorevoli, la nascita o la morte di un membro erano tutte variabili indipendenti che potevano compromettere una condizione di stabilità faticosamente conseguita e tenacemente difesa (26). Con la partenza del giovane coscritto all'interno dell'azienda agricola famigliare si produceva uno squilibrio tra la terra e le risorse umane disponibili, cioè tra la quantità di lavoro che 90

la famiglia riusciva ora a fornire e quella che era necessaria per la coltivazione del fondo. Il deficit di capacità lavorativa era temporaneo ma non di breve durata: se il giovane veniva arruolato nella prima categoria del contingente la sua assenza da casa si sarebbe protratta per cinque lunghi anni. La chiamata alle armi del coscritto rurale, sottoponendo a dura prova la capacità della famiglia di riuscire a conservare una posizione di equilibrio, si configurava quasi come un evento congiunturale, assimilabile entro certi limiti ad una cattiva annata agraria, ad un'insorgenza epidemica o ad una nascita indesiderata. La coscrizione obbligatoria poteva quindi assottigliare i margini di sussistenza della famiglia colonica, mettendone in pericolo la sua sopravvivenza. Sono estremamente interessanti al riguardo due suppliche rivolte alle autorità da genitori di figli dichiarati renitenti. La prima venne presentata da un colono di Civitella per ottenere l'esenzione dal servizio militare del figlio ancora latitante. Nel documento viene infatti indicata la composizione della famiglia del supplicante, con l'età dei rispettivi membri:

"1. di sé stesso, che conta anni 57, 2. di sua moglie, d'anni 55, 3. della moglie del condannato Luigi [primogenito], d'anni 36, 4. di Emilia d'anni 8, 5. di Vincenzo d'anni 4, 6. e di Pietra d'un mese, figli dello stesso condannato".

La sopravvivenza di questa famiglia colonica, con la chiamata alle armi del secondogenito, che si era sommata alla precedente condanna ai lavori forzati a vita comminata al primogenito, diveniva difficilmente sostenibile: "è facile il convincersi come in essa famiglia manchino le braccia a procurarne il sostentamento" (27). Ancora più drammatica era la situazione documentata dalla seconda supplica, inoltrata dalla madre di un renitente da poco arrestato: il figlio "è l'unico sostegno della povera Vedova Esponente Madre, avendo altri due figli d'anni 6 e 12 inatti al travaglio, ed al guadagno" (28). Il danno che con l'introduzione della leva militare veniva arrecato all'economia famigliare non era tuttavia della stessa intensità per la generalità delle famiglie contadine. In particolare erano quelle di piccole e medie dimensioni che rischiavano di vedere compromesso il loro già precario livello di sussistenza:

L'influenza [...] che la Leva esercita sulla famiglia è varia secondo che i membri che la compongono difettano o sopravvanzano al bisogno pel lavoro.

L'influenza che l'obligo del servizio militare esercita sulle famiglie dei mezzadri se poco numerose è dannosa. Meno assai o quasi punto quando le forze abbondano (29).

Per le famiglie più numerose, spesso polinucleari, all'interno delle quali le forze maschili erano abbondanti o esistevano riserve di forza lavoro ancora relativamente sotto-utilizzate, era infatti possibile superare senza grossi traumi la perturbazione che si era creata nell'equilibrio famigliare aumentando la quota di lavoro pro capite erogabile dai singoli membri. Per queste famiglie era soltanto necessario operare una redistribuzione dei compiti tra i componenti il nucleo famigliare. Per le famiglie mononucleari e di piccole dimensioni la partenza di un figlio, specie se si trattava del primogenito, rappresentava invece uno squilibrio notevole difficilmente riassorbibile:

Risente la piccola coltura un pò di conseguenza essendo le famiglie composte di un capo e di 2 figli ne nasce che dall'assenza di uno di essi si risenta un danno mancando l'aiuto delle braccia gli unici fattori.

[...] il primo nato d'una famiglia viene sempre tolto ai lavori campestri con molto danno di questi rimanendo il più delle volte in aiuto dei genitori piccoli fanciulli inabili ancora alle dure fatiche dei campi (30).

Certo, il capofamiglia, se non era in età troppo avanzata, poteva aumentare il proprio autosfruttamento, oppure potevano essere impiegati a tempo pieno, anche nei lavori campestri più faticosi, le donne, i fanciulli e i vecchi. Ovviamente però le possibilità di accrescere il carico di lavoro somministrato dai membri della famiglia non erano illimitate, scontrandosi con precisi limiti fisici e biologici. Il sindaco di Savignano proponeva, allo scopo di limitare il danno arrecato dal servizio militare alle famiglie coloniche, di apportare una "riforma radicale" alla legge sul reclutamento, ampliandone le possibilità d'esenzione:

i primogeniti anche di padre vivente dovessero essere esentati [...], perché in questo modo sarebbe mantenuto alle famiglie un valido sostegno nel caso che il padre per avanzata età o per incomodi di salute da quella inseparabili non potesse più prestare coll'opera sua un'efficace aiuto (31).

Una proposta analoga, tendente ad assegnare i primogeniti alla categoria che non veniva incorporata, venne formulata dall'estensore di una delle due monografie sul circondario faentino:

converrebbe [...] che passasse dalla prima ad altra categoria chi si trova solo a reggere il peso d'un azienda agricola tra vecchi donne e fanciulli (32).

Nelle famiglie in cui anche la forza lavoro meno pregiata era già sfruttata al massimo livello, l'unica risorsa possibile consisteva invece nell'assumere dei garzoni o dei salariati esterni al nucleo famigliare:

Molte famiglie mezzadre quanto uno dei loro è obligato al servizio militare sono costrette a prendere un garzone e così cresce loro la spesa del salario annuo. Questi garzoni poi non sempre sono a vantaggio della quiete delle famiglie, specialmente se vi sono giovani donne. Oltre che quando un contadino ha un figlio nella truppa, facendo anche privazione, si sforza mandargli L. 5 o 10, perché possa avere qualche denaro in tasca (33).

Prescindendo dagli inconvenienti di carattere morale, il ricorso a forza lavoro sostitutiva comportava un aggravio notevole, e a volte insostenibile, per il bilancio domestico. Poteva quindi anche accadere che talvolta l'equilibrio della famiglia colonica vennisse irrimediabilmente spezzato. Nel caso di conduzione mezzadrile poteva subentrare l'escomio da parte padronale, vista l'impotenza dell'affittuario a fornire la quantità di lavoro necessaria per la coltivazione del podere. Il commissario Tanari, nella sua relazione, riteneva che questo caso fosse "straordinario" ma "non infrequente", in quanto

la ragione, o scusa che si voglia, dell'insufficienza al lavoro causata dalla partenza del coscritto, è occasione propizia per decidere, per esempio, il cambiamento di una mezzadria in boaria, o la presa di altra famiglia più confacente alle viste del proprietario" (34).

Ad aumentare le difficoltà delle famiglie coloniche contribuiva inoltre la struttura assai rigida della distribuzione annuale del lavoro agricolo, che si concentrava da aprile a ottobre (35). Era appunto in questo periodo che si faceva maggiormente sentire l'assenza della forza lavoro sottratta dalla coscrizione, mentre nel periodo morto invernale questa era meno avvertibile. D'altra parte, specialmente i giornalieri e i contadini poveri dell'alta collina e della montagna, per far fronte alla disoccupazione nei mesi invernali, ricorrevano all'"espediente" dell'emigrazione temporanea 92

(36).

E` tuttavia necessario considerare l'azienda agricola domestica nella sua duplice veste di luogo di produzione e di consumo. Con la chiamata alle armi del giovane contadino si allegeriva di un membro la famiglia colonica e diminuiva conseguentemente la quota dei consumi familiari. Questo risparmio avrebbe però potuto prodursi soltanto se il deficit che parallelamente si creava dal lato della forza lavoro non era tale da impedire alla famiglia colonica di somministrare la quantità di prestazioni lavorative necessarie per la coltivazione del fondo. In caso contrario non si sarebbe originato alcun surplus di reddito di cui appropriarsi: la perdita di capacità lavorativa avrebbe vanificato il possibile vantaggio sul versante dei consumi derivante dalla partenza del giovane coscritto e l'equilibrio famigliare si sarebbe spezzato oppure stabilizzato ad un livello più basso di reddito. La leva militare, quindi, non comportava necessariamente un danno per l'economia della famiglia colonica. In particolare, quando la famiglia era troppo numerosa, o comunque il fondo coltivato era insufficiente al suo sostentamento, la fuoriuscita di un membro dal nucleo famigliare consentiva di alleviare l'eccessiva pressione sulla terra. Si è già accennato al riguardo alla risposta rappresentata dall'emigrazione temporanea. In un assetto agrario afflitto da una forte disoccupazione stagionale e da una cronica situazione di sovrappopolazione relativa, la chiamata alle armi del giovane contadino, quasi una forma di emigrazione involontaria, poteva pertanto comportare addirittura un vantaggio per la famiglia colonica (37). Analogamente, in concomitanza con una cattiva annata agraria era senza dubbio preferibile avere meno braccia a disposizione che più bocche da sfamare. L'influenza più o meno sensibile che la partenza del coscritto rurale aveva sulle sorti della famiglia colonica dipendeva quindi da un insieme di variabili: in primo luogo la dimensione del nucleo famigliare e la sua struttura per età e per sesso, il tipo di conduzione agraria e di avvicendamento colturale, la possibilità di ricorrere a forze di lavoro sostitutive, sia interne che esterne all'unità produttiva domestica, o eventualmente di trovare un podere di ampiezza diversa, la massimizzazione dell'auto-sfruttamento contadino. Questi ultimi due erano sostanzialmente gli unici strumenti di cui disponeva la famiglia colonica per riassorbire lo squilibrio e per riconquistare al più presto una nuova condizione di stabilità. Se si considera che l'assetto agrario delle campagne romagnole era caratterizzato dalla netta prevalenza di una conduzione mezzadrile depauperata da una situazione di quasi cronico indebitamento, accanto alla quale vivacchiava una piccola proprietà coltivatrice i cui membri erano spesso costretti ad integrare il magro bilancio famigliare con i proventi del lavoro salariato (i casanti), l'introduzione della leva veniva indubbiamente a minacciare l'indipendenza economica di gran parte della popolazione rurale. Si è fin qui sostenuto che all'origine dell'avversione della popolazione rurale per la coscrizione obbligatoria agiva in primo luogo una motivazione di carattere economico. La leva, tuttavia, aveva sulle famiglie coloniche anche un'influenza di segno diverso: essa rappresentava un elemento estraneo all'orizzonte della vita sociale delle campagne che veniva a turbare consolidati ritmi vitali, sistemi di valori tradizionali e consuetudini profondamente radicate. La famiglia colonica è tendenzialmente chiusa verso l'esterno, tenacemente impegnata a conservare una stabilità che è non solo economica, ma anche morale e ideologica (38). La leva veniva pertanto considerata, indipendentemente dal tipo d'influenza che poteva esercitare il periodo passato sotto le armi, come una fonte di corruzione, come una turbativa al modo di vivere tradizionale. Per molti coscritti rurali, d'altra parte, il servizio militare rappresentava la prima occasione di uscire dai confini del proprio comune:

il servizio militare può essere considerato come il solo caso in cui il colono abbandonava temporaneamente la propria casa (39).

Da questo punto di vista, quando Torre indicava tra le cause della renitenza anche il "soverchio 93

attaccamento ai focolari, ed alle abitudini domestiche" , egli individua certamente un motivo non trascurabile (40). La chiamata alla leva, talvolta, poteva anche influire sulle strategie matrimoniali: nel novembre del 1862 un giovane cesenate si suicida per "essersi invaghito in una giovane, che i suoi genitori non vogliono che la sposi, perche ora è incluso nella Leva militare" (41). L'avversione della popolazione rurale per la coscrizione era quindi l'espressione di un rifiuto largamente istintivo, tipica manifestazione della diffidenza contadina verso il nuovo o l'ignoto. Questa reazione, rafforzata dalla consapevolezza del danno economico apportato dalla leva, fu probabilmente il fattore determinante dell'elevata renitenza contadina che si verificò nel forlivese nelle prime leve post-unitarie.

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