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2. Un'analisi qualitativa della renitenza
2. Un'analisi qualitativa della renitenza
Il principale vantaggio di un'analisi nominativa condotta sulle liste della coscrizione risiede, come si è già accennato, nella possibilità di spingere l'analisi della renitenza, come del resto di tutte le variabili connesse al reclutamento, ad un livello di maggiore profondità rispetto a quanto consenta il ricorso alle sole relazioni ministeriali. Dalle liste di leva e d'estrazione è infatti possibile ricavare notizie puntuali sul luogo di domicilio e sul mestiere dei singoli coscritti. Grazie a queste due informazioni, che consentono di calcolare degli indici territoriali e professionali di renitenza, il fenomeno assume contorni assai più precisi. Nell'analisi geografica del fenomeno si è scelto di utilizzare un indice su base comunale. Seguendo il metodo precedentemente descritto è stato calcolato il tasso di renitenza per ognuno dei 40 comuni costituenti la provincia di Forlì. Dai valori percentuali ottenuti è emerso che all'interno di ciascun circondario esistevano realtà estremamente differenziate. Nel circondario di Rimini, ad esempio, l'altissimo numero di renitenti di Saludecio (42, 86%) conviveva con le basse percentuali di Monte Scudo e Poggio Berni (tra il 7% e il 9%). Situazioni analoghe si registravano anche nel cesenate (nessun renitente a Gambettola, Montiano e Roversano a fronte del 17, 86% di Mercato Saraceno) e nel forlivese (il 31, 19% a Forlì e appena il 2, 94% a Fiumana). Per agevolare la lettura dei dati proposti conviene suddividere i comuni in tre fascie distinte, caratterizzate rispettivamente da un tasso di renitenza inferiore al 10%, compreso tra il 10% e il 20% e superiore al 20%. Nella prima fascia risultano compresi 14 comuni, dei quali 9 appartengono al circondario di Cesena, 3 a quello di Forlì e 2 a quello di Rimini. Nella seconda sono inseriti 11 comuni, 5 del circondario di Cesena e 3 ciascuno di quelli di Forlì e Rimini. Della terza fascia fanno parte infine 15 comuni, quasi tutti del circondario di Rimini: 12 contro 3 del forlivese e nessuno del cesenate. Questa distribuzione riflette ovviamente i diversi tassi di renitenza che denunciavano le tre circoscrizioni della provincia: vicino al 10% nel circondario di Cesena, pari a circa il doppio in quelli di Rimini e Forlì. Il maggior numero di renitenti veniva denunciato da alcuni comuni del riminese: Saludecio, Verucchio (40, 68%), Coriano (37, 04%) e Monte Gridolfo (33, 33%). Negli altri due circondari i valori più elevati erano quelli di Forlì, Bertinoro (24, 68%) e Mortano (22, 92%) nel forlivese, e quelli di Mercato Saraceno, San Mauro (14, 89%) e Sarsina (12, 90%) nel cesenate (16). Il minor numero di renitenti si registrava invece nel circondario di Cesena (ben 9 comuni su 14 rientravano nella fascia di renitenza più bassa), con qualche propaggine nel riminese e nel forlivese (oltre a Monte Scudo, Poggio Berni e Fiumana, anche Predappio e Teodorano avevano percentuali inferiori al 10%) (17). Per approfondire l'analisi della renitenza i comuni sono stati identificati, oltre che in base alla loro dipendenza amministrativa da un circondario, anche in relazione alla loro prevalente fisionomia territoriale e insediativa. I comuni sono stati cioè classificati, secondo la loro collocazione geografica, in comuni di pianura o di collina e, secondo la quota di popolazione concentrata, in comuni maggiormente urbanizzati o senz'altro rurali (18). In riferimento alla prima variabile si ottiene, all'interno della tripartizione sopra descritta, questa distribuzione: partendo dalla fascia caratterizzata da un basso numero di renitenti troviamo 10 comuni di collina e 4 di pianura, in quella mediana rispettivamente 6 e 5, infine nella fascia con un elevato tasso di renitenza 11 comuni collinari e 4 pianeggianti. Da questo ultimo dato appare già evidente che tanto in alcuni comuni posti in collina quanto in altri della pianura i renitenti erano numerosi. Se i primissimi posti nella graduatoria della renitenza su scala comunale sono occupati in effetti da quattro comuni collinari (Saludecio, Verucchio, Coriano, Monte Gridolfo), nelle posizioni immediatamente successive compaiono infatti quattro comuni pianeggianti (Forlì, San Giovanni in Marignano, Rimini e Misano). Analogamente, i renitenti erano scarsi sia in alcuni comuni della pianura (Gambettola, Cesenatico, Gatteo e Savignano) che della collina (Montiano, Roversano, 57
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Fiumana, Longiano e Teodorano). Questa variabile territoriale non sembra quindi avere influito sui livelli di renitenza. In effetti, calcolando due tassi distinti, uno per il complesso dei comuni collinari e l'altro per l'insieme dei comuni pianeggianti, si ottengono due valori percentuali di fatto equivalenti: il 18, 46% della pianura era leggermente superiore al 18, 12% della collina. E` tuttavia interessante segnalare una singolare circostanza. Calcolando questo tasso territoriale per circondario emerge che mentre nel forlivese i renitenti erano più spesso originari dei comuni della pianura (27, 99% contro 15, 07%), nel riminese il serbatoio della renitenza era la collina (27, 74% contro 20, 43%) (19). Per la provincia forlivese non è quindi del tutto fondata l'ipotesi storiografica, provata per la vicina area bolognese, che le zone collinari o montuose, a motivo delle numerose possibilità di rifugio offerte dalla conformazione del territorio, abbiano dato nelle prime leve post-unitarie il contributo maggiore al fenomeno della renitenza (20). Per dare ragione dei valori di segno opposto riscontrati nei circondari di Rimini e Forlì è tuttavia possibile avanzare un'ipotesi diversa, che si fonda ugualmente sull'assunto che la renitenza sia influenzata dall'esistenza di zone franche vicine: nel forlivese il maggior numero di renitenti dei comuni di pianura potrebbe spiegarsi con la vicinanza della pineta di Ravenna, mentre nel riminese la maggiore renitenza della fascia collinare potrebbe ricondursi alle opportunità di nascondersi nel territorio sanmarinese o nella zona montagnosa al confine col Montefeltro. La variabile relativa alla tipologia insediativa della provincia aggiunge un elemento nuovo, e in qualche misura inaspettato, al quadro della renitenza. I valori ottenuti, calcolando le percentuali dei renitenti appartenenti ai comuni a più alta concentrazione urbana e a quelli prevalentemente rurali, sembrano infatti smentire la tesi, avanzata nell'esposizione precedente sulla base delle fonti coeve, che la renitenza fosse un fenomeno che interessava particolarmente le campagne. I 9 comuni maggiormente urbanizzati (Cesena, Cesenatico, Savignano, Forlì, Forlimpopoli, Meldola, Rimini, Sant'Arcangelo e San Giovanni in Marignano) denunciavano complessivamente una percentuale di renitenti pari al 18, 99%, che era superiore, seppure di poco, al 17, 57% dei restanti comuni rurali (21). Alla formazione di questo valore sorprendentemente elevato contribuivano, unitamente a San Giovanni in Marignano (24, 18%), due delle tre realtà urbane più significative della provincia: se il tasso del comune di Rimini era del 22, 65%, quello del capoluogo provinciale superava addirittura il 30%. Considerata la minore incidenza della renitenza nel cesenate, anche la percentuale di renitenti del comune di Cesena era elevata (l'11, 88% rispetto alla media del circondario pari al 9, 62%). Gli altri 5 comuni si attestavano invece su un tasso di renitenza basso, compreso tra il 4, 19% di Cesenatico e il 12, 50% di Meldola. La presenza di un alto numero di renitenti nei tre capoluoghi di circondario, facendo emergere una contraddizione nell'analisi della renitenza, ha reso necessario un supplemento d'indagine. Le liste di leva, tra le varie informazioni che rendono disponibili, forniscono anche l'indicazione della parrocchia del coscritto. Si è quindi pensato di rilevare sistematicamente questo dato per i tre comuni maggiori (22). I comuni di Cesena, Forlì e Rimini, data la loro maggiore estensione, inglobavano, oltre alla città e ai rispettivi sobborghi, anche porzioni assai consistenti di territorio rurale. Il dato relativo al comune nel suo complesso non permetteva di distinguere queste diverse realtà territoriali. Utilizzando invece il fitto reticolo di parrocchie che si stendeva dalla cinta muraria alle campagne più o meno adiacenti al centro urbano è stato possibile calcolare per ognuno dei tre comuni tre indici di renitenza relativi rispettivamente alle parrocchie interne, della città vera e propria, e a quelle esterne dei sobborghi e del forese (23). L'analisi condotta sulle unità parrocchiali ha consentito di chiarire l'ambiguità emersa in precedenza. Una più alta percentuale di renitenti caratterizzava infatti le parrocchie del forese rispetto a quelle della città e dei sobborghi. In particolare, per i comuni di Cesena e Rimini è riscontrabile chiaramente l'esistenza di una correlazione stringente tra la renitenza e la distanza dal centro cittadino: il numero dei renitenti, basso entro la cinta muraria (l'8, 46% a Rimini e addirittura soltanto lo 0, 81% a Cesena), cresce nei sobborghi (rispettivamente al 12, 00% e al 7, 59%), per impennarsi decisamente nel forese (raggiungendo nei due comuni il 29, 24% e il 14, 99%). Questa 58
distribuzione centrifuga della renitenza è meno evidente per il comune di Forlì, dove i tre indici sono assai vicini tra loro e il valore più alto appartiene ai sobborghi (20, 63%). Anche in questo caso però la percentuale di renitenti del forese (19, 88%) è superiore a quella della città (16, 67%) (24).
A conclusione di questo studio territoriale si può quindi affermare che se la renitenza non era una prerogativa solamente delle campagne, il fenomeno aveva una prevalente connotazione rurale. D'altra parte, i comuni che denunciavano il maggior numero di renitenti, i due terzi o più del totale dei coscritti, erano tutti spiccatamente agricoli. Per verificare l'effettiva esistenza di questo primato delle campagne l'analisi della renitenza ha successivamente preso in esame la variabile professionale. L'universo provinciale dei coscritti, in base al "mestiere, arte o professione" registrato dalle liste di leva, è stato suddiviso in 11 gruppi professionali. Le categorie individuate sono: addetti all'agricoltura, addetti alla marineria e alla pesca, addetti all'industria e all'artigianato, addetti al commercio, addetti ai trasporti, personale di fatica e di servizio, appartenenti alle classi medie, possidenti, religiosi, popolazione marginale, altri non diversamente classificabili (25). Relativamente a quest'ultimo raggruppamento si rende subito necessaria una precisazione: esso comprende i coscritti di cui non si conosce la professione e quelli che, essendo volontari nell'esercito nazionale o mercenari nelle truppe pontificie, compaiono nelle liste con questa attribuzione, senza che venga però indicata la loro condizione professionale originaria (26). All'interno di qualcuna delle 11 categorie sono state poi distinti, grazie alla sufficiente precisione che caratterizzava l'indicazione del mestiere svolto dal coscritto, alcuni sottogruppi, al fine di verificare l'esistenza di uno specifico comportamento verso l'obbligo militare da parte di nuclei professionali più individualizzati (27). Limitando inizialmente l'analisi alle categorie principali il raggruppamento più attirato dalla renitenza risulta essere quello spurio ricordato più sopra, comprendente i coscritti senza indicazione professionale (38, 46%). A prima vista questo dato appare del tutto privo di significato, ma in realtà, anche se non aggiunge nulla al tentativo di comprendere chi fossero i renitenti, consente una riflessione. E` in certa misura scontato che il maggior tasso di renitenza si dovesse riscontrare all'interno di questo insieme di coscritti senza volto. Se per alcuni di questi la mancata indicazione del mestiere era dovuta a dimenticanze o lacune più o meno ricorrenti nella compilazione delle liste da parte dei sindaci, l'assenza di questa informazione per la maggior parte dipendeva propriamente dalla scelta di non presentarsi alla chiamata di leva: la professione del coscritto divenuto renitente rimaneva infatti ignota se questi non era una figura conosciuta all'interno della sua comunità (28). Relativamente ai gruppi professionali veri e propri il tasso di renitenza più elevato si registra tra il personale di fatica e servizio, cioè i garzoni, i servitori, e i domestici (19, 01%), subito seguito dall'insieme indifferenziato degli addetti all'agricoltura (18, 64%) e a maggiore distanza dai religiosi (11, 76%). All'estremo opposto, con una percentuale di renitenti bassissima, si attestano i possidenti (2, 76%). Le restanti categorie si collocano con valori vicini tra loro in una fascia mediana che va dal 6, 06% degli addetti ai trasporti (vetturali, carrettieri, birocciai) al 9, 30% degli studenti, impiegati e professionisti (quelle che sono state definite classi medie) (29). In primo luogo, è estremamente interessante il tasso relativamente alto dei religiosi: su 51 "alunni" che avevano intrapreso la "carriera ecclesiastica" 6 furono dichiarati renitenti, equamente divisi tra clero secolare e regolare. Questa renitenza ecclesiastica era originata dal minor numero di dispense che furono concesse dal ministero della guerra rispetto a quelle richieste dai vescovi delle tre diocesi di Cesena, Forlì e Rimini (30). La presenza di chierici e professi tra le fila dei renitenti conferma in modo inequivocabile la posizione assunta dal clero verso la coscrizione obbligatoria. L'azione propagandistica volta a fomentare la renitenza dei giovani coscritti aveva come ovvia conseguenza l'assunzione di comportamenti analoghi da parte di appartenenti al mondo ecclesiastico. Tenendo presente che a livello provinciale il tasso di renitenza era pari al 18, 33%, da questa distribuzione professionale della renitenza emerge che soltanto 3 categorie professionali (o più propriamente 2) denunciavano un numero di renitenti superiore alla media (31). Se la maggioranza 59
schiacciante di addetti all'agricoltura sul totale dei giovani soggetti alla leva (60, 40%) provocava in certa misura un appiattimento della percentuale complessiva su quella propria del settore agricolo, i bassi indici di renitenza degli altri gruppi professionali riflettevano effettivamente una minore incidenza del fenomeno. All'interno di questi, tuttavia, alcuni sottogruppi si distinguevano per una percentuale di renitenti superiore a quella della propria categoria: tra gli artigiani spiccava il valore dei muratori e dei minatori (13, 82%) e tra gli appartenenti alle classi medie quello degli impiegati (12, 24%). Al contrario, è la percentuale di renitenti agricoli ad essere sicuramente sottodimensionata. Una quota, presumibilmente considerevole, di coscritti agricoli compare infatti anche in altre categorie. Se è solo probabile che la maggior parte di coloro la cui professione è ignota siano in effetti dei coltivatori o dei braccianti (32), è invece certo che tra il personale di fatica e di servizio sono stati inseriti molti "garzoni" o "servitori" che erano in realtà "garzoni di colono" o "servitori di campagna" (33). Queste due categorie, come si è visto, sono caratterizzate dai tassi di renitenza più alti. Essendo assai plausibile che alle loro elevate percentuali contribuisca in maniera decisiva la presenza di diversi renitenti agricoli sfuggiti forzatamente alla rilevazione, è lecito affermare che l'indice di renitenza calcolato per gli addetti all'agricoltura sia senz'altro approssimato per difetto. Relativamente alla popolazione agricola è inoltre interessante osservare i diversi valori che assume la percentuale dei renitenti nei tre segmenti in cui si è deciso di distinguerla: 20, 00% per i coltivatori (affittuari) 16, 46% per i salariati (braccianti e garzoni campestri), 13, 03% per i coltivatori proprietari (34). All'interno del mondo rurale la renitenza era quindi maggiore tra i giovani delle famiglie coloniche e mezzadrili. A conclusione dell'analisi della variabile professionale l'ipotesi che la renitenza fosse una manifestazione spiccatamente rurale ha acquistato maggiore spessore. Prescindendo dagli aridi dati percentuali alcune cifre assolute possono forse sintetizzare con maggiore evidenza questa indubbia realtà: su un totale di 884 renitenti effettivi nelle prime tre leve effettuate nel forlivese ben 543 erano coloni o braccianti. Per converso i refrattari occupati in attività produttive che, con qualche eccezione, erano tipicamente urbane (artigianato, commercio, servizi) ammontavano complessivamente a 68 unità soltanto. E` interessante, tuttavia, rilevare come tra i gruppi professionali cittadini, anche se ovviamente soltanto in quelli economicamente più forti, fosse largamente praticata quella che Del Negro definisce "renitenza borghese". Non furono infatti pochi i coscritti abbienti che, pagando rispettivamente la somma di 3. 100 e 700 lire, riuscirono ad ottenere la liberazione o la surrogazione. Il ricorso a questi istituti che consentivano di sottrarsi legalmente all'obbligo militare vedeva protagonisti in primo luogo i possidenti (in questa categoria i surrogati e i liberati ammontavano al 10, 63%), seguiti dagli studenti, impiegati e professionisti (8, 53%) e dai commercianti (4, 32%). All'interno delle classi agricole soltanto gli appartenenti alla fascia superiore di reddito erano in grado di sborsare queste ingenti somme: il tasso di "renitenza borghese" dei coltivatori proprietari è infatti abbastanza elevato (3, 52%) (35). E` tuttavia logico supporre che soltanto i grandi possidenti agricoli potessero accedere a questa onerosa opportunità (36).
L'incidenza della "renitenza borghese" tra le classi urbane lascia intravedere che anche in questo settore di popolazione fosse diffuso uno scarso attaccamento verso l'istituzione militare che si manifestava con il ricorso alla liberazione e alla surrogazione invece che con la renitenza (37). La circostanza che, in assenza dei requisiti economici richiesti per evitare il servizio militare, i coscritti cittadini nella stragrande maggioranza si presentassero ugualmente ai consigli di leva e le alte percentuali di volontariato che, come si vedrà in seguito, caratterizzavano i gruppi professionali e le aree urbane, fanno tuttavia ritenere che l'avversione per la leva della popolazione concentrata nelle città fosse assai più circoscritta di quella esistente in ambito rurale. L'analisi nominativa condotta sulle liste di leva e d'estrazione, oltre a consentire di delineare con maggiore precisione i connotati sociali della renitenza, ha permesso di verificare la contemporanea presenza di due atteggiamenti diversi verso la coscrizione all'interno della società 60
forlivese. Rifiuto e accettazione dell'obbligo militare caratterizzavano però realtà territoriali differenziate e strati sociali diversi. In questa fase si sono scelti due indicatori: da un lato la renitenza come manifestazione dell'avversione per la leva, dall'altro il volontariato come espressione di un sentimento di affezione verso il servizio militare. Si è già visto come nella leva della classe 1839 la provincia di Forlì fosse caratterizzata da un alto numero sia di renitenti che di volontari. La medesima situazione è riscontrabile anche nella leva immediatamente successiva nel forlivese e soprattutto nel riminese (i volontari rappresentavano rispettivamente il 6, 83% e il 9, 88% della somma dei contingenti di 1a e 2a categoria). A partire dal 1861, invece, il tasso di volontariato scenderà in tutti e tre i circondari a livelli decisamente minori, compresi tra l'1% e il 4%. Il tasso complessivo di volontariato per le classi 1839-45 è del 3, 80% per Forlì, del 3, 02% per Rimini e del 2, 32% per Cesena (38). Prescindendo dalla valenza quantitativa del volontariato, che risulta comunque livellata ai valori nazionali (il 2, 99% della provincia a fronte del 2, 98% del regno), era interessante individuare quali settori di popolazione fossero attirati dalla professione militare. Continuando ad utilizzare i raggruppamenti territoriali e professionali stabiliti in precedenza sono state quindi messe a confronto le rispettive percentuali dei renitenti e dei volontari calcolate sul totale dei coscritti (39). I risultati ottenuti mediante questa comparazione hanno permesso, come già è stato anticipato, di stabilire che esisteva una correlazione inversa tra renitenza e volontariato. Per quanto concerne i raggruppamenti professionali il maggior numero di volontari si riscontra infatti in quelli caratterizzati da una bassa renitenza: la media provinciale di arruolamenti volontari (2, 16%) viene superata dagli appartenenti alle classi medie (10, 08%), dai commercianti (9, 35%), dagli artigiani (5, 27%) e dai possidenti (3, 15%) (40). Per tutte queste categorie, ad eccezione degli artigiani, il tasso di volontariato è maggiore al corrispondente indice di renitenza. Al contrario, tra gli addetti all'agricoltura e il personale di servizio, ovvero i gruppi professionali con un'elevato numero di renitenti, la percentuale di volontari è infinitesimale (rispettivamente lo 0, 41% e lo 0, 70%) (41). Visto che ad intraprendere l'arruolamento volontario erano quasi esclusivamente gli appartenenti alle classi cittadine medio-alte è logico attendersi che, relativamente alla variabile territoriale, si riscontri una maggiore concentrazione di volontari all'interno dei comuni caratterizzati da una prevalenza della fisionomia urbana su quella rurale. I tassi più alti sono infatti quelli di Savignano (6, 84%), Sant'Arcangelo (4, 82%), Rimini (4, 80%), Cesena (3, 37%), San Giovanni in Marignano (3, 30%), Cesenatico (2, 99%) e Meldola (2, 98%) (42). Forlì e Forlimpopoli, con una percentuale di poco superiore all'1%, si attestano invece al di sotto della media provinciale (43). Per converso, su un totale di 31 comuni rurali non si verificò alcun arruolamento volontario in 21 di essi. La loro percentuale di volontari era pari allo 0, 75% a fronte di un tasso di volontariato urbano del 3, 15% (44). All'interno dei tre comuni maggiori l'analisi per ripartizioni parrocchiali omogenee ha posto in risalto che, su un totale di 58 volontari dei comuni di Cesena, Forlì e Rimini, 47 appartenevano a parrocchie della cinta muraria e dei sobborghi (rispettivamente 37 e 10) e nessuno a quelle del forese (per i rimanenti 11 la parrocchia è ignota). Contrariamente a quanto avveniva per la renitenza il tasso di volontariato decresce allontanandosi dal centro urbano: a Cesena, ad esempio, al 13, 71% delle parrocchie cittadine corrispondeva il 4, 14% di quelle dei sobborghi e l'indice nullo di quelle del forese (45).