Andrea Daltri
Il rifiuto della coscrizione obbligatoria
in provincia di Forlì dopo l’Unità
Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1987-1988, tesi di laurea in Storia sociale, relatore Professore Paolo Sorcinelli
Indice
Introduzione
Finalità della ricerca e fonti utilizzate p 3
Note all'introduzione p. 7
Capitolo I
L'unificazione militare italiana p. 9
Note al capitolo I p 14
Capitolo II
Le prime leve militari post-unitarie nella provincia di Forlì
1. L'introduzione della coscrizione obbligatoria p. 16
2 Il difficile avvio della macchina del reclutamento p 20
3. Gli anni del rifiuto p. 23
4 Gli anni della rassegnazione p 36
Note al capitolo II p. 40
Capitolo III
L'universo dei renitenti
1 Un'analisi quantitativa della renitenza p 54
2. Un'analisi qualitativa della renitenza p. 57
3. Le molte facce della renitenza: i percorsi individuali, la latitanza e la repressione p. 62
Note al capitolo III p 73
Capitolo IV
L'evoluzione dell'atteggiamento della popolazione nei confronti dell'obbligo militare
1. La lettura ufficiale p. 85
2 Due atteggiamenti diversi verso la coscrizione: i centri urbani e le campagne p 86
3. L'azione "sabotatrice" del clero p. 95
4. L'azione persuasiva delle autorità politiche p. 100
5 I prodromi del consenso p 104
Note al capitolo IV p. 107
Appendici p. 118
Bibliografia p 151
Introduzione
Finalità della ricerca e fonti utilizzate
In questi ultimi anni, nell'ambito di una generale ripresa degli studi di storia militare e raccogliendo anche alcune sollecitazioni provenienti dalla storiografia francese (1), gli storici italiani hanno rivolto un'attenzione maggiore rispetto al passato alla tematica della coscrizione (2): un'analisi di largo respiro sulle leve militari eseguite in Italia dall'unità alla grande guerra si è saldata ad alcune ricerche di carattere locale, mentre diversi studi sono stati dedicati alla selezione sanitaria dei coscritti e ai comportamenti di rifiuto del servizio militare (3).
Questa ricerca intende delineare il rapporto esistente tra la popolazione e l'obbligo militare nella provincia di Forlì nel quinquennio successivo all'unità. La scelta di limitare l'analisi a questa unità territoriale circoscritta e a questo arco temporale ristretto dipende da due ragioni di fondo: la prima concerne la peculiarità del caso forlivese nel quadro della coscrizione italiana post-unitaria, mentre la seconda è di ordine metodologico.
La coscrizione obbligatoria entrò in vigore nella provincia di Forlì soltanto dopo l'annessione allo stato unitario. Questa circostanza consente di cogliere, allo stato nascente, l'atteggiamento della popolazione verso l'obbligo militare A un livello più generale, dato che la chiamata alla leva rappresentò una delle prime occasioni di contatto con la nuova realtà statale, la coscrizione rappresenta un'interessante angolo visuale per valutare la reazione popolare allo stesso processo di unificazione nazionale (4)
L'introduzione del nuovo obbligo provocò un forte malcontento e le prime leve militari postunitarie furono caratterizzate da massicci fenomeni di renitenza e diserzione, che pur non raggiungendo i livelli quantitativi toccati da altre realtà territoriali (le Marche, l'Umbria e gran parte dell'Italia meridionale), suscitarono la preoccupazione delle autorità governative. Già a metà degli anni sessanta, tuttavia, le resistenze a prestare il servizio militare erano scomparse e il numero dei refrattari diventato del tutto irrilevante. Nel corso di pochi anni, quindi, la provincia di Forlì era passata dal rifiuto ad una sostanziale accettazione del tributo militare. La rapidità con cui si realizzò questa evoluzione differenzia il forlivese da altre aree del paese caratterizzate da un'alta renitenza iniziale, nelle quali questo processo richiese tempi più lunghi.
La ragione di carattere metodologico è invece rappresentata dal tentativo di verificare come operassero i meccanismi della coscrizione all'interno di un'area circoscritta, senza tuttavia dimenticare il quadro di riferimento regionale e nazionale. Questo obiettivo rimanda strettamente all'individuazione delle fonti utilizzabili
La fonte principale per uno studio sulla coscrizione, anche se come si vedrà meglio in seguito non sempre la più significativa, è rappresentata dalle relazioni sulla leva e la situazione dell'esercito che venivano annualmente pubblicate dalla direzione generale delle leve, bassa-forza e matricola del ministero della guerra. Responsabile della loro redazione era il generale Federico Torre, che mantenne la carica di direttore dal 1861 al 1891 (5)
All'inizio del suo incarico Torre espresse programmaticamente l'impostazione che intendeva dare alle relazioni: in esse doveva essere "descritta la condizione sanitaria e dei giovani chiamati alla coscrizione e degli uomini già sotto le armi" e "indicata la condizione disciplinale dell'Esercito e lo stato morale del medesimo sia rispetto ai delitti ed alla giustizia sia rispetto all'istruzione" (6). Torre riuscì sostanzialmente a raggiungere l'obiettivo che si era proposto: le sue relazioni non solo sono ricchissime di dati e tabelle statistiche, di calcoli percentuali e confronti su scala internazionale, ma contengono anche, al di là della bruta evidenza dei numeri, uno sforzo, certo non
sempre soddisfacente, di interpretare criticamente la realtà sociale che emergeva dal filtro dal reclutamento. Lo stesso Torre era d'altra parte conscio dello spessore investigativo del suo operato: "questo mio lavoro non è una nuda narrazione delle operazioni varie delle [ ] Leve, ma contiene svariati confronti sulle condizioni fisiche e morali de' coscritti [...], e quel che più monta raccoglie con copia e diligenza dati statistici importantissimi, dei quali potranno giovarsi di più maniere persone ed in special modo gli studiosi di cose militari" (7)
Indubbiamente la leva militare, grazie alla ricca documentazione prodotta dal personale incaricato della sua esecuzione, rappresentò per il ceto dirigente un'importante occasione per approfondire la conoscenza delle condizioni sociali del paese, seppure limitatamente alla fascia di popolazione maschile soggetta all'obbligo della coscrizione. Sotto questo profilo le relazioni sulla leva rientravano quindi in quel più generale sforzo di analisi del paese reale che fu messo in atto all'indomani dell'unificazione nazionale dalla classe politica del nuovo stato (8). Con la mediazione della statistica, disciplina ausiliaria e quindi "neutrale" per definizione, si cercava di ridurre la complessità del sociale ad una rappresentazione numerica o grafica, nella convinzione che un'approfondita conoscenza della realtà costituisse il primo presupposto per esercitare un efficace controllo su di essa (9)
Le relazioni di Torre costituiscono quindi un punto di partenza irrinunciabile per un'analisi dell'universo della coscrizione Il loro maggiore pregio consiste indubbiamente nel già ricordato sforzo di Torre di non limitarsi esclusivamente ad una esposizione dei dati orientata in senso esclusivamente militare, cioè in funzione della necessità pratica del reclutamento. Ovviamente, data la finalità amministrativa di questa documentazione, è prevalente nelle relazioni lo spazio dedicato ai risultati conseguiti dalle diverse leve, ma Torre non tralasciava di riportare anche tutta una serie di dati di interesse sociale raccolti durante le operazioni di reclutamento Accanto ai dati relativi alla renitenza e al volontariato, alla diserzione e alla struttura dell'esercito, troviamo infatti tabelle sulla statura, sulle malattie e le imperfezioni fisiche che avevano dato luogo a riforma, sulla struttura professionale e sul grado d'istruzione dei coscritti Le relazioni di Torre costituiscono perciò una fonte dalla duplice valenza storica: se da un lato consentono di seguire le differenze geografiche e l'evoluzione nel tempo del comportamento militare dei giovani soggetti alla coscrizione, dall'altro forniscono informazioni relative allo stato socio-economico, sanitario e culturale di un campione significativo, anche se ovviamente non rappresentativo, della popolazione italiana.
Le relazioni ministeriali, tuttavia, a motivo della loro finalità amministrativa, presentano, ai fini dell'indagine storica, alcuni limiti che diminuiscono la significatività delle informazioni rese disponibili.
Un primo limite è rappresentato dal modo in cui vengono organizzati dal punto di vista territoriale i dati raccolti. La suddivisione amministrativa utilizzata è quella del circondario. L'analisi geografica può quindi svilupparsi ad un livello abbastanza specifico, ma ancora non sufficiente ad evitare il rischio di generalizzazioni. La diversa natura del suolo e le differenti caratteristiche insediative e produttive presenti all'interno di uno stesso circondario, come si vedrà in seguito, sono infatti variabili strettamente correlate con il comportamento militare dei coscritti appartenenti ad esso. La complessità e la varietà di situazioni esistenti nella medesima unità territoriale vengono invece completamente annullate nei dati aggregati delle relazioni ministeriali, che forniscono quindi un'immagine forzatamente unitaria e indifferenziata di ogni singolo circondario. Le relazioni, se rendono agevoli i confronti su base circondariale o per ripartizione geografiche più estese, non consentono invece di approfondire l'analisi verso il basso, su realtà territoriali più piccole e omogenee (il mandamento o il comune).
Un secondo limite delle fonti ministeriali consiste nell'assenza di informazioni relative all'estrazione professionale dei coscritti che siano di fatto utilizzabili per un'analisi del loro comportamento militare in riferimento a questa variabile. Torre indica infatti soltanto il mestiere degli arruolati Un dato di questo tipo, non solo rende impossibile valutare, ad esempio, la diffusione della renitenza o del volontariato all'interno dei vari gruppi professionali, ma non consente neppure di calcolare un indice di arruolamento in relazione alle diverse professioni La
4
scelta di limitare l'indicazione del mestiere a una parte dell'universo dei coscritti dipendeva dall'esigenza pratica del reclutamento che era all'origine di questa documentazione: tale informazione diventava rilevante solo in relazione a coloro che entravano di fatto a far parte dell'istituzione militare. La finalità del reclutamento influenzava inoltre le stesse modalità di presentazione di questo dato all'interno delle relazioni ministeriali La necessità di individuare specifiche figure professionali (ad esempio maniscalchi e veterinari, medici, addetti ai commestibili), al fine del loro assegnamento a determinati corpi dell'esercito (cavalleria, sanità, sussistenza), condizionò infatti pesantemente la scelta dei criteri di classificazione professionale da adottare. Il risultato è un apparato categoriale scarsamente significativo dal punto di vista sociale. Mentre alcune qualifiche professionali, numericamente esigue, o poco rappresentative vengono rese autonome (ad esempio gli artisti e gli artefici in metalli preziosi), altre attività produttive sono raggruppate in un coarcervo indifferenziato (la categoria agricoltori e pastori, quantitativamente la più rilevante, raccoglie senza alcuna distinzione tutti gli occupati nel settore agricolo, siano essi proprietari, affittuari o salariati). Il dato ministeriale quindi, anche se non fosse riferito esclusivamente agli arruolati, sarebbe comunque scarsamente significativo.
Questa ricerca, nel limitare l'analisi ad un'area circoscritta, si pone propriamente l'obiettivo di valutare in quale misura le diverse caratteristiche geografiche e le differenti condizioni sociali ed economiche influenzassero il comportamento militare dei coscritti Le relazioni ministeriali, a causa dei limiti accennati, non sono una fonte utilizzabile a questo scopo. E` stato quindi necessario rivolgersi altrove.
Le relazioni di Torre sono in realtà soltanto il prodotto finale e riassuntivo dell'attività espletata dai diversi funzionari periferici incaricati dell'esecuzione del reclutamento. A conclusione delle operazioni di ciascuna leva da tutto il territorio nazionale affluivano al ministero della guerra i dati ad essa relativi da ogni singolo circondario. Sulla base di questi veniva successivamente redatta la relazione annuale. Nello svolgimento del loro incarico i funzionari locali hanno prodotto un'abbondantissima documentazione in occasione delle diverse fasi della coscrizione, raccogliendo un'enorme massa di informazioni che solo parzialmente trovano riscontro nelle relazioni di Torre. Questi materiali, sempre a motivo di una specifica esigenza amministrativa, diversa però da quella che era alla base della redazione delle relazioni, presentano delle caratteristiche peculiari che le rendono assai diverse da quelle ministeriali, non solo per l'aspetto formale, ma anche sotto il profilo qualitativo
Questa documentazione è costituita dalle liste di leva e dalle liste d'estrazione. Le prime venivano compilate dai sindaci all'inizio delle operazioni di reclutamento ed erano un elenco alfabetico di tutti i giovani obbligati alla leva di un medesimo comune Le seconde documentano invece le fasi successive della coscrizione. Si tratta sempre di un elenco nominativo di coscritti, ma compilato su base mandamentale e secondo un ordine numerico prestabilito Responsabile della loro redazione era il commissario di leva. La quantità di informazioni che è possibile ottenere da queste fonti è veramente notevole. Di ogni coscritto, oltre ai dati anagrafici, venivano specificati il comune di nascita e quello di residenza con la specificazione della parrocchia, la religione, la sua professione e quella del padre, la statura ed una serie di caratteristiche somatiche, la decisione pronunciata dal consiglio di leva (esenzione, riforma, arruolamento, ecc ), le variazioni intervenute nella sua situazione militare (ad esempio, relativamente a un renitente, la data della fuga e quella dell'arresto, il processo e la condanna, la grazia e l'assento) (10). Le liste della coscrizione, rendendo possibile mediante una rilevazione nominativa l'accoppiamento delle variabili di status (residenza e professione) con quelle relative al comportamento militare (renitenza, diserzione e volontariato), moltiplicano quindi le possibilità di analisi offerte dai dati aggregati delle relazioni ministeriali e si rivelano "fonte preziosa" (11).
La renitenza, la diserzione e il volontariato sono stati assunti come indicatori, certo grezzi ma tutto sommato attendibili, del rifiuto e del consenso nutrito nei confronti della coscrizione (12) Nella ricerca, tuttavia, data la predominanza, nel quinquennio preso in considerazione, di un atteggiamento di avversione della popolazione forlivese verso l'obbligo militare, è stata privilegiata
5
l'analisi della renitenza e della diserzione (13).
Accanto alle fonti, essenzialmente quantitative, prodotte dall'istituzione militare durante le fasi del reclutamento, sono state utilizzate anche testimonianze di tipo diverso Per tentare di ricostruire il quadro più ampio entro il quale si inserivano le vicende individuali dei singoli coscritti si è reso essenziale ricorrere alla corrispondenza amministrativa delle autorità governative e municipali Si è fatto ricorso soprattutto alle "relazioni sullo spirito pubblico" e ai "rapporti politici" che con scadenza quindicinale venivano inviati dalle diverse autorità periferiche all'intendente generale o al prefetto, che a loro volta li inoltravano, accuratamente compendiati e con aggiunte personali, al ministero dell'interno. In particolare, i rapporti redatti in concomitanza con l'esecuzione delle operazioni di leva sono quasi interamente dedicati ad un'analisi delle difficoltà che incontrava il reclutamento Per tentare di delineare l'immagine della coscrizione all'interno della società del tempo sono state invece analizzate cronache e giornali locali, opuscoli propagandistici e lettere pastorali, atti processuali e suppliche, lettere private e manifestazioni della cultura popolare (proverbi, canzoni, fiabe). Sono state inoltre utilizzate anche fonti posteriori, seppure di poco, all'arco temporale prescelto, al fine di individuare i fattori che erano intervenuti a provocare l'evoluzione dell'atteggiamento della popolazione verso l'obbligo militare
Note all'introduzione
(1) E Le Roy Ladurie - N Bernageau - Y Pasquet, Le conscrit et l'ordinateur Perspectives de recherche sur les archives militaires du XIXe siècle français, in "Studi Storici", a X (1969), n 2, pp. 260-308; J-P. Aron - P. Dumont - E. Le Roy Ladurie, Anthropologie du conscrit français, ParisLa Haye, 1972; E Le Roy Ladurie, Études sur un contingent militaire (1868): mobilité géographique, délinquance et stature, mises en rapport avec d'autres aspects de la situation des conscrits, in Le territoire de l'historien, vol. I, Paris, 1973, pp. 88-115; Id., Anthropologie de la jeunesse masculine en France au niveau d'une cartographie cantonale (1819-1830), in Le territoire de l'historien, cit., vol. II, pp. 98-135; E. Le Roy Ladurie - A. Zysberg, Anthropologie des conscrits français (1868-1887), in "Ethnologie Française", a IX (1979), n 1, pp 47-68 In realtà, le sollecitazioni, pur non concretizzandosi nella pratica storiografica, non erano mancate anche da parte della storiografia nazionale. Già nel 1969 Monticone indicava il reclutamento come una dei "temi tipicamente tecnici" che era necessario sottoporre ad una "puntuale discrimina" da parte degli storici militari (A. Monticone, La storiografia militare italiana e i suoi problemi (1866-1918), in Ministero della Difesa, Atti del primo convegno nazionale di storia militare (Roma, 17-19 marzo 1969), Roma, 1969, pp. 99-122, p. 100). Nel 1978 Rochat e Massobrio lamentavano che in Italia la storiografia militare, essendosi dedicata quasi esclusivamente allo studio degli eventi bellici, presentasse ancora "limiti gravissimi" e "grosse lacune" relativamente ai periodi di pace e ai rapporti tra il paese e le forze armate (G. Rochat - G. Massobrio, Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino, 1978, p IX, 5)
(2) In effetti, anche in anni meno recenti, alcuni storici si sono interessati allo studio del reclutamento e della leva militare: P Pieri, Guerra e politica negli scrittori italiani, Napoli, 1955; Id., Le forze armate nell'età della destra, Milano, 1962; Id., Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino, 1962; C Pischedda, L'esercito piemontese: aspetti politici e sociali, in Problemi dell'unificazione italiana, Modena, 1963, pp 7-101 Sui motivi della sfortuna storiografica di queste tematiche si veda P. Del Negro, La leva militare in Italia dall'unità alla grande guerra, in Esercito, stato, società Saggi di storia militare, Bologna, 1979, pp 167-267, 169-172
(3) Del Negro, op. cit.; S. Cammelli, Prima del macinato. Proteste contadine nel bolognese nel primo decennio unitario, in "Società e storia", a IV (1981), n 11, pp 67-93; Id , Al suono delle campane. Indagine su una rivolta contadina: i moti del macinato (1869), Milano, 1984, pp. 125-138; R P Uguccioni, Contro l'esercito di Vittorio Emanuele Resistenze al nuovo regime e renitenza alla leva dopo l'unità, in Marginalità, spontaneismo, organizzazione, 1860-1968. Uomini e lotte nel Pesarese, a cura di P. Sorcinelli, Pesaro, 1982, pp. 11-23; B. Farolfi, Dall'antropometria militare alla storia del corpo, in "Quaderni storici", a XIV (1979), n 42, pp 1056-1091; Id , Una critica antropometrica dell'industrialismo: i riformati alla leva a Bologna (1862-1886), Bologna, 1979; Id., L'antropologia negativa degli italiani: i riformati alla leva dal 1862 al 1886, in Salute e classi lavoratrici in Italia dall'unità al fascismo, a cura di M. L. Betri - A. Gigli Marchetti, Milano, 1982, pp. 165-197; Id., Antropometria militare e e antropologia della devianza, in Malattia e medicina, Storia d'Italia, annali 7, Torino, 1984, pp 1179-1219; G Oliva, La coscrizione obbligatoria nell'Italia unita tra consenso e rifiuto, in "Movimento operaio e socialista", n. s., a. IX (1986), n. 1, pp 21-34; Id , Esercito, paese e movimento operaio L'antimilitarismo dal 1861 all'età giolittiana, Milano, 1986; pp. 47-64.
(4) Del Negro, op cit , p 179
(5) La prima relazione del generale Torre presenta un'intitolazione diversa ed è relativa alle otto
leve parziali che vennero effettuate nei diversi territori dello stato tra il 1859 e il 1861 e alla prima leva su base nazionale indetta nel 1862: F. Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra sulle leve eseguite in Italia dalle annessioni delle varie Provincie al 30 settembre 1863, Torino, 1864 Le successive, che con la sola eccezione di quella sulla leva delle classi 1850 e 1851, ebbero una scadenza annuale di pubblicazione, recano il titolo: Ministero della Guerra, Direzione generale delle Leve, Bassa-Forza e Matricola (d'ora in poi M d G ), Della leva sui giovani nati nell'anno 1843 [1860] e delle vicende dell'esercito dal 1 ottobre 1863 [-1880] al 30 settembre 1864 [1865-81]. Relazione del Maggior Generale Federico Torre al Signor Ministro della Guerra, Torino, 1865 [Firenze, 1866-71; Roma, 1872-82].
(6) M d G , Della leva sui giovani nati nell'anno 1843 , cit , p X
(7) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , pp 7-8
(8) L'indagine sociale nell'unificazione italiana, numero monografico di "Quaderni storici", a. XV (1980), n 45
(9) L. Barile, Editoria fine secolo, in "Nuova antologia", a. CXVI (1981), vol. 547, fasc. 2140, pp. 176-207, 197-199
(10) Archivio di Stato di Bologna (d'ora in poi A. S. Bo. ): Ufficio Circondariale di Leva di Cesena: Liste di leva, classi 1839-1841; Liste d'estrazione, classi 1839-1841; Registri sommari delle decisioni del consiglio di leva, classi 1839-1841; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, Liste di leva, classi 1839-1841; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini: Liste di leva, classi 1839-1841; Liste d'estrazione, classi 1839-1841; Registri sommari delle decisioni del consiglio di leva, classi 1839-1841. Lo spoglio delle liste nominative ha riguardato le prime tre classi che nella provincia di Forlì furono chiamate a concorrere alla leva Per il circondario di Forlì non sono disponibili le liste d'estrazione per queste tre classi e la lista di leva del capoluogo per la classe 1839. Queste lacune, oltre a non consentire di avere per il comune di Forlì un dato omogeneo a quello degli altri comuni della provincia, impediscono di conoscere per tutto il circondario forlivese alcune informazioni che sono fornite unicamente dalle liste d'estrazione (in particolare, e relativamente allo scopo della ricerca, la data e il luogo degli arresti e delle presentazioni volontarie dei renitenti) Un altra lacuna riguarda le informazioni sui disertori che sono abbastanza episodiche e quindi non rilevabili sistematicamente. Per questa categoria di coscritti è senza dubbio preferibile fare riferimento ai ruoli matricolari Deve essere infine segnalato che tra i dati aggregati e quelli nominativi esistono talvolta delle incongruenze numeriche, probabilmente dovute ad errori corretti solo in un secondo tempo dal ministero
(11) I. Zanni Rosiello, Gli Archivi di Stato: una forma di sapere "segreto" o pubblico?, in "Quaderni storici", a XVI (1981), n 47, pp 624-638, 631 Le parole di Villani, seppure riferite a ricerche di carattere demografico, sembrano attagliarsi perfettamente anche agli studi sulla coscrizione: "I censimenti sono insostituibili come punti di riferimento generale; tuttavia non solo bisogna spingere la disaggregazione fino ai più circoscritti livelli territoriali di volta in volta raggiungibili, ma bisogna saggiare anche la validità dei dati con impegnative microanalisi" (P. Villani, La storia sociale: problemi e prospettive di ricerca, in Società e cultura dell'Italia unità, a cura di P Macry e A. Palermo, Napoli, 1978, pp. 69-87, 86).
(12) Del Negro, op. cit., p. 179.
(13) Per i dati aggregati relativi alle altre figure di coscritti, cioè gli esentati, i riformati, i rivedibili, gli arruolati e i dispensati si vedano le tabelle I-II.
L'unificazione militare italiana
Era l'esito coerente di un processo di unificazione nazionale perseguito e realizzato in chiave rigidamente sabauda che le strutture portanti del nuovo stato italiano si modellassero su quelle piemontesi preesistenti Neppure l'istituzione militare rimase estranea a questo generale processo di "piemontesizzazione" che interessò tutti i gangli vitali dell'apparato statale e la stessa composizione della classe dirigente nazionale Di fatto l'unificazione italiana, pur scontando anche nel settore della difesa nazionale ritardi e vischiosità di varia natura, fu in primo luogo un processo militare e solo più tardi, e non compiutamente, interessò anche la sfera amministrativa, economica e sociale. L'esercito rappresentò inoltre, negli anni immediatamente successivi all'unità, il decisivo strumento repressivo impiegato dal ceto dirigente per rendere possibile il consolidamento del nuovo stato e l'estensione anche alle recalcitranti provincie meridionali della "legge piemontese" L'esercito italiano si venne dunque organizzando attorno alle strutture dell'esercito piemontese, facendo propri quelli che erano i cardini fondamentali dell'ordinamento militare sardo. In due tappe e nel volgere di pochi anni, dapprima, nel biennio 1859-60, mediante la fusione nei quadri militari piemontesi delle truppe lombarde, emiliane e toscane, e poi, nel successivo biennio 1861-62, con lo scioglimento dell'esercito meridionale e la liquidazione di quello garibaldino, si realizzò la trasformazione dell'armata sarda in esercito italiano (1). Contemporaneamente all'evolversi di questo processo venne progressivamente estesa ai territori che con le annessioni e i plebisciti entravano a far parte del nuovo stato la legislazione piemontese sull'organizzazione e sul reclutamento dell'esercito (2). In effetti, al momento dell'unificazione nazionale, esistevano in Italia, negli stati in cui era in vigore la coscrizione (Lombardia, Ducati di Modena e di Parma, Granducato di Toscana e Regno delle due Sicilie), altri sistemi di reclutamento diversi da quello piemontese Tuttavia, date le premesse generali con cui si andava realizzando l'unificazione del paese, l'adozione della legge sarda si impose come una scelta scontata: essa "fu dagli intelligenti in così fatta materia giudicata migliore, a riscontro eziandio di quelle esistenti in altri paesi della penisola e corrispondente appieno ai bisogni d'Italia" (3).
In Piemonte la normativa sul reclutamento militare aveva ricevuto, alla vigilia dell'unità, una sistemazione legislativa con la legge organica del 20 marzo 1854 (4). Dopo l'avvenuta riorganizzazione, della quale era stato ispiratore il ministro della guerra La Marmora, l'ordinamento militare piemontese si caratterizzava, rispetto ai due modelli, di Francia e Prussia, allora prevalenti in Europa, per una più marcata somiglianza a quello francese (5).
L'ordinamento francese incarnava le caratteristiche dell'esercito di "qualità" e di "caserma": un esercito piccolo e agile, bene armato, addestrato e disciplinato, con un forte nucleo di professionisti e un alto "esprit militaire" L'armata, composta in primo luogo da volontari, sia di primo arruolamento che raffermati, era completata da un contingente limitato di giovani coscritti che, annualmente designati mediante un sorteggio, venivano sottoposti ad un lungo periodo di ferma, pari a cinque anni In caso di guerra l'esercito veniva rinforzato da trascurabili aliquote di riservisti senza alcuna preparazione, richiamati dal congedo illimitato ed istruiti in tutta fretta. L'elemento distintivo del modello francese era rappresentato dalla lunga permanenza dei coscritti sotto le armi, considerata indispensabile per forgiare un buon soldato, abituato all'obbedienza passiva ed estraniato dal suo ambiente d'origine (6).
L'ordinamento prussiano, al contrario, si ispirava ai principi dell'esercito di "quantità" e del "cittadino-soldato". Nell'armata, all'apparenza grossa e pesante, venivano arruolati tutti gli uomini fisicamente idonei, i quali rimanevano sotto le armi per un periodo allora considerato breve, tre
anni. In caso di guerra alle tre classi in servizio attivo se ne aggiungevano altre dieci di riservisti, delle quali due appartenevano alla riserva di linea e otto alla milizia nazionale mobile. L'esercito prussiano poteva quindi vantare una notevole superiorità numerica nei confronti di quello francese, che in pace come in guerra aveva grosso modo la stessa forza. Il modello prussiano si differenziava sensibilmente da quello francese anche sotto un altro aspetto: trovando il suo fondamento in uno stretto legame tra esercito e popolazione, esso incarnava il principio della "nazione in armi" (7)
L'ordinamento militare del Regno di Sardegna, come già si è accennato, si venne riorganizzando, negli anni di preparazione del processo unitario, nella direzione di una maggiore aderenza al modello francese. Agli occhi del personale politico-militare subalpino il modello francese, nella fase in cui l'armata piemontese si apprestava a divenire il futuro embrione dell'esercito italiano, offriva maggiori garanzie e sembrava più adeguato ai nuovi compiti che si sarebbero dovuti affrontare. All'affermarsi di questa scelta generale concorsero parallelamente motivazioni di ordine strettamente militare ed economico, ma anche non secondarie preoccupazioni di carattere sociale. Se dal punto di vista militare era fortemente radicato nella classe dirigente sabauda il convincimento che la liberazione dalla dominazione austriaca sarebbe stata possibile solo grazie all'intervento diretto del più efficiente esercito francese, altrettanto pressante era l'esigenza, sul piano economico, di non destinare alle spese militari una quota esorbitante del bilancio statale. Pur riconoscendo a questi fattori un'indubbia importanza, non sembra tuttavia azzardato affermare che l'adozione dell'ordinamento francese fu motivata soprattutto da ragioni di carattere sociale.
Come tutti gli eserciti ottocenteschi anche quello piemontese rispondeva contemporaneamente alla soddisfazione di due necessità complementari e al tempo stesso contrapposte: da un lato, doveva garantire la sicurezza esterna dello stato, preparandosi ad una eventuale guerra, difensiva od offensiva, contro potenze nemiche, dall'altro doveva assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico all'interno del paese. In Italia, dove, negli anni che precedettero l'unificazione, la fluidità degli equilibri politici si combinava ad una situazione sociale in cui la popolazione oscillava tra reazione e rivolta aperta contro le istituzioni statali, era l'impiego in funzione repressiva dell'esercito ad essere privilegiato (8).
Questa era la ragione decisiva della preferenza del personale politico-militare piemontese per il modello francese Quest'ultimo, infatti, a differenza di quello prussiano che perseguiva una saldatura tra l'istituzione militare e la società civile, si basava su di una rigida separazione tra esercito e popolazione, ed era quindi il "più sicuro puntello di una politica governativa priva di consenso popolare o incapace di suscitarlo" (9). Alle preoccupazioni della politica interna vennero così sacrificate, costante quasi ineliminabile della storia italiana recente, le urgenze dell'indipendenza nazionale che l'adozione del modello di esercito prussiano, incarnando il principio giacobino della "nazione armata" fondato sulla mobilitazione di tutte le forze umane disponibili, avrebbe forse permesso di realizzare in maniera meno verticistica e traumatica Tanto le motivazioni di carattere sociale che quelle d'ordine militare ed economico spingevano quindi verso una riduzione del potenziale umano reclutato mediante la coscrizione. Che questo fosse il criterio ispiratore della riforma attuata da La Marmora appare del resto evidente da un esame delle principali disposizioni normative della legge del 1854 (10). Essa stabiliva infatti che soltanto una quota dei giovani di una stessa classe, chiamati all'età di 21 anni alla leva, fosse effettivamente incorporata nei ranghi dell'esercito. Mentre i coscritti che, risultati abili alla visita di leva, erano stati assegnati al contingente di prima categoria, stabilito annualmente dal parlamento, intrapredevano il servizio attivo, quelli, ugualmente idonei, che venivano destinati alla seconda categoria entravano nella riserva. La durata della ferma per gli arruolati nella prima categoria era di undici anni, di cui cinque in servizio attivo e sei in congedo illimitato Per gli appartenenti alla seconda, invece, il congedo subentrava quasi subito, dopo soltanto 40 giorni d'addestramento sommario (11).
Il meccanismo che regolava l'assegnazione dei coscritti alle due categorie era l'estrazione a sorte. Questa complessa operazione veniva eseguita al momento della chiamata dei giovani soggetti alla leva In una seduta pubblica, con presenti tutte le autorità incaricate di eseguire il reclutamento,
10
Altri fattori poi intervenivano a ridurre la compagine iniziale dei coscritti. La legge prevedeva infatti un ampio ventaglio di possibilità d'esenzione per motivi di salute o famigliari. La selezione sanitaria dei coscritti si esplicava mediante l'accurato esame a cui essi erano sottoposti in occasione della visita di leva. Un medico, seguendo le minuziose istruzioni del regolamento, scrutava attentamente il corpo dei coscritti per accertarsi della loro idoneità fisica al servizio militare (14). La riforma dal servizio aveva luogo quando il coscritto risultava di altezza inferiore a m. 1, 54 o presentava una delle 109 malattie o imperfezioni che erano contemplate in un apposito elenco (15) Qualora invece fosse più alto di m 1, 54, ma non arrivasse al "minimum" della statura per essere ritenuto idoneo, fissato in m. 1, 56, il coscritto veniva rinviato ad una nuova visita nella leva successiva Analogamente venivano dichiarati rivedibili anche coloro che risultavano di debole costituzione o affetti da infermità "presunte sanabili col tempo" (16).
Altrettanto ampia era la casistica di situazioni famigliari che consentivano l'esenzione dal servizio militare Limitando la rassegna ai titoli che più frequentemente davano luogo all'esonero, usufruivano dell'esenzione i figli unici di padre quinquagenario, i primogeniti di madre vedova o di padre entrato nel settantesimo anno d'età, i coscritti che avevano un fratello consanguineo già in servizio o dichiarato abile nella leva della medesima classe (17). Ugualmente esonerati da ogni obbligo gli "alunni ecclesiastici" (18).
La legge contemplava inoltre tutta una serie di opportunità di sottrarsi legalmente al servizio militare dietro il pagamento di una somma in denaro: lo scambio di numero, la surrogazione e la liberazione Lo scambio di numero consentiva a un coscritto arruolato nella prima categoria di essere sostituito da un altro assegnato alla seconda che fosse disponibile ad intraprendere il servizio in sua vece (19). Mentre per questa forma di sostituzione la legge non prevedeva alcun "prezzo", la cui individuazione era lasciata alla libera contrattazione tra le due parti, nel caso della surrogazione e della liberazione era invece esplicitamente previsto che avvenisse un esborso di denaro. La surrogazione, ovvero il caso in cui un arruolato veniva sostituito prima della partenza del suo contingente da un surrogato che era disposto ad essere incorporato al suo posto, poteva avere luogo tra due fratelli o tra un coscritto e un giovane che avesse già soddisfatto gli obblighi di leva. Se nel primo caso non avveniva ovviamente alcun pagamento, nel secondo la legge ne stabiliva l'ammontare in 700 lire (20). La liberazione si configurava invece come un contratto che veniva direttamente stipulato tra il giovane coscritto e lo stato. Ogni anno, in base al numero di affidati, cioè di soldati anziani o volontari giunti alla conclusione della loro ferma che si erano dichiarati disponibili ad intraprenderne un'altra, il ministero della guerra concedeva ai coscritti che ne avevano fatto richiesta la liberazione da ogni obbligo militare Il costo monetario di questa forma di sostituzione, determinato annualmente per decreto, si aggirava attorno alle 3. 000 lire, cifra che costituiva il "premio" dell'affidato (21). Nonostante la legge affermasse il principio egualitario che "tutti i cittadini dello Stato sono soggetti alla Leva", essa in realtà, prevedendo questo ampio ventaglio di possibilità di esonero, a cui di fatto potevano accedere soltanto i ceti più agiati, finiva quindi col rendere inoperante la proclamata eguaglianza iniziale (22)
Alla classe dirigente del nuovo stato, una volta risolto il problema del tipo di struttura sul quale dovesse fondarsi l'esercito unitario, con l'affermazione della soluzione piemontese e la liquidazione delle aspirazioni della sinistra democratica per un ordinamento militare basato sul volontariato e la "leva in massa" si poneva la pressante necessità di assicurare all'armata una base di reclutamento nazionale che rispecchiasse la nuova situazione politica della penisola (23)
11 ciascun coscritto estraeva da un urna il proprio biglietto, sul quale era indicato il numero "da seguirsi nella destinazione degl'individui al servizio militare" (12). L'assegnazione alle due categorie era infatti determinata da un ordine numerico crescente: coloro che avevano avuto in sorte un numero basso venivano arruolati nel contingente di prima categoria fino al suo completamento, mentre quelli che avevano estratto un numero più alto entravano a far parte della seconda Alla coscrizione, quindi, sopraintendeva in prima istanza un meccanismo casuale: "gli inscritti -recitava con fatalismo il regolamento sul reclutamento- correranno il destino del numero loro assegnato" (13)
A questo scopo furono indette dal governo tra il 1859 e il 1861 otto leve militari nei diversi territori che erano venuti progressivamente aggregandosi al regno sardo: la prima nel 1859 in Lombardia sui nati nel 1839; la seconda nel 1860 in Toscana sui nati nel 1841; la terza nelle antiche provincie dello stato sabaudo (Piemonte, Liguria e Sardegna) e nelle Romagne sui nati nel 1839; la quarta nel 1860 nelle antiche provincie, in Lombardia e in Emilia (Romagne e Ducati) sui nati nel 1840; la quinta nel 1861 nelle Marche e in Umbria sui nati nel 1839 e 1840; la sesta nel 1861 nelle provincie napoletane sui nati negli anni 1836-41; la settima nel 1861 in Sicilia sui nati nel 1840; l'ottava nel 1861 nelle antiche provincie, in Lombardia, in Emilia, nelle Marche, in Umbria e in Sicilia sui nati nel 1841 (24).
Soltanto cinque di queste otto leve parziali furono però eseguite sulla base delle disposizioni della legislazione piemontese In Lombardia, in Toscana e nelle provincie continentali dell'ex regno borbonico vennero infatti temporaneamente conservati i sistemi di coscrizione vigenti nel periodo pre-unitario, "non potendosi -affermava il generale Torre- d'un tratto cambiar Leggi e far Leve" (25). A beneficiare quindi di un certo gradualismo nell'applicazione del sistema di reclutamento piemontese al resto d'Italia furono paradossalmente "i paesi educati alla coscrizione militare", mentre per le Romagne, le Marche, l'Umbria e la Sicilia, tutte regioni "affatto nuove alla medesima", l'impatto con il nuovo obbligo fu immediato e non temperato da alcuna concessione transitoria (26) Fu soltanto con la leva indetta nel 1862, la prima eseguita su scala realmente nazionale, che fu possibile considerare concluso il periodo di transizione e realizzata l'unificazione militare italiana:
finalmente potevasi -scriveva soddisfatto il generale Torre- esigere il tributo del militare servizio sopra i giovani nati nello stesso anno, cioè nel 1842, dalle Alpi al Lilibeo, e colle norme di una stessa Legge (27).
La "novità" traumatica rappresentata dalla coscrizione obbligatoria per la popolazione di alcune regioni, e quindi le resistenze che avrebbero potuto svilupparsi contro la sua introduzione, unitamente alle difficili condizioni politiche che, nel momento in cui si andavano ad effettuare le prime leve post-unitarie, caratterizzavano estese aree del paese, specie nel mezzogiorno e nei territori prima soggetti al dominio pontificio, erano tutti elementi che preoccupavano le autorità governative sull'esito delle operazioni di reclutamento Ad aumentarne i timori contribuivano poi le notizie che affluivano dai funzionari periferici delle provincie interessate per la prima volta dalla coscrizione. Nell'imminenza dell'esecuzione della leva gli intendenti e i sindaci avevano infatti inviato al potere centrale numerosi rapporti in cui ne paventavano il fallimento, giungendo a intravedere nella possibile reazione della popolazione all'entrata in vigore del nuovo obbligo una seria minaccia per il consolidamento dello stesso stato unitario:
Le Autorità civili temevano che non senza turbamento e forse non senza tumulti gravi la coscrizione militare sarebbesi potuto attuare in paesi che non solo ne furono per lo innanzi esenti, ma l'ebbero sempre, non che in avversione, in orrore Sembrava a molti cittadini dabbene ed autorevoli, ma timidi, e ne scrivevano continuo al Governo, che fosse rischiosa impresa codesta, il volere d'un tratto assoggettare all'imposta, che chiamavano di sangue, tanta parte del Regno, e far pericolare così le sorti della patria colla sollevazione di quelle Provincie (28).
Il governo, pur consapevole di queste difficoltà, era tuttavia determinato a considerare la coscrizione come un presupposto fondamentale dell'unità nazionale e del suo definitivo completamento:
Il ministero della Guerra non curò i paurosi rapporti, ebbe in migliore conto
l'amor patrio di quelle Provincie, né stimò colla condiscendenza o colla pazienza, come i più consigliavano, estinguere i mali umori e consumare la ritrosia delle popolazioni, ma volle gagliardamente urtare le opposizioni, e per provvedere all'armamento della Nazione e per non rompere colle concessioni la civile egualità (29)
Sotto questo profilo, a pochi mesi dalle annessioni e dai plebisciti, l'esecuzione delle prime leve post-unitarie assumeva quindi, per la classe dirigente nazionale, il significato di un primo difficile banco di prova, ovvero di una verifica, da un lato, dei sentimenti politici più o meno favorevoli al governo nutriti dalla popolazione del nuovo stato, e dall'altro, della propria capacità di riuscire a suscitare e ad aggregare, su di un terreno peraltro difficile e rischioso come quello della coscrizione, il consenso del paese. Scrivendo alle autorità romagnole, il ministro dell'interno Farini si appellava infatti ad un loro esemplare operato affinché, in occasione della prima leva postunitaria, fosse soddisfatta
la giusta aspettazione delle altre parti del Regno, le quali tengono intento lo sguardo sulla prima solenne prova a cui codeste Provincie vengono dalla legge chiamate (30)
Note al capitolo I
(1) Sulle vicende che portarono alla formazione dell'esercito italiano si vedano: Pieri, Storia militare , cit , pp 624-633, 727-744; Id , Le forze armate , cit , pp 36-69; R Battaglia, Esercito e unità nazionale, in Problemi dell'unità d'Italia. Atti del secondo convegno di studi gramsciani, Roma, 1962; M Mazzetti, Dagli eserciti preunitari all'esercito italiano, in "Rassegna storica del Risorgimento", a. LXII (1975), n. 4, pp. 563-592; Rochat - Massobrio, op. cit., pp. 24-30; J. Whittam, Storia dell'esercito italiano, Milano, 1979, pp. 77-101; L. Ceva, Le forze armate, Torino, 1981, pp 25-34
(2) La legislazione piemontese entrò in vigore in Lombardia, Emilia e Toscana il 30 giugno 1860, nelle Marche e in Umbria il 6 novembre dello stesso anno, in Sicilia il 27 gennaio del 1861, nelle provincie napoletane il 13 luglio del 1862 (Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p 50)
(3) Ivi, pp 49-50
(4) Alla promulgazione della legge aveva fatto seguito la redazione di un regolamento, approvato con Regio Decreto del 31 marzo 1855, che ne stabiliva le norme di attuazione Per il testo della legge e del reclutamento si veda Legge e Regolamento sul Reclutamento dell'Esercito e disposizioni di attuamento, Torino, 1855 Per le variazioni apportate alla legge dopo l'unificazione si veda F Torre, La legge del 20 marzo 1854 sul reclutamento dell'esercito ridotta colle successive modificazioni all'unica lezione ora vigente, Firenze, 1871.
(5) Rochat - Massobrio, op. cit., p. 18.
(6) Ivi, pp 15-16; Ceva, op cit , pp 11-12
(7) Rochat - Massobrio, op cit , p 16; Ceva, op cit , p 12 Sugli ordinamenti militari di Francia e Prussia si veda anche J. Gooch, Soldati e borghesi nell'Europa moderna, Bari, 1982.
(8) Rochat - Massobrio, op cit , pp 23-24
(9) Ivi, p 17
(10) Questo criterio è ancora più manifesto se si considerano le innovazioni apportate da La Marmora al precedente ordinamento albertino: la riduzione degli anni di ferma effettiva da otto a cinque, l'inserimento di nuovi titoli che davano diritto all'esenzione, l'introduzione, come si vedrà in seguito, dell'istituto della liberazione
(11) Legge del 20 marzo 1854 sul Reclutamento dell'Esercito, art. 158; Regolamento sul Reclutamento dell'Esercito, art 155
(12) Legge del 20 marzo 1854 , cit , art 11
(13) Regolamento..., art. 136.
(14) Ivi, art. 365 e segg. Sulla selezione sanitaria dei coscritti si vedano i numerosi lavori dedicati all'argomento da Farolfi: Dall'antropometria militare , cit ; Una critica antropometrica , cit ;
L'antropologia negativa degli italiani..., cit.; Antropometria militare e antropologia..., cit.
(15) Legge del 20 marzo 1854 , cit , art 78 L'"Elenco delle infermità ed imperfezioni che danno luogo a riforma degl'inscritti e dei soldati" si trovava in appendice al regolamento sul reclutamento.
(16) Ivi, artt 79, 81
(17) Ivi, artt 86-88
(18) Ivi, art. 98. La concessione della dispensa era tuttavia subordinata al rispetto di un rapporto proporzionale tra il numero dei chierici richiamati da ogni vescovo e la popolazione totale della sua diocesi.
(19) Ivi, art. 103.
(20) Ivi, artt 130, 131, 133, 137, 138
(21) Ivi, artt 109, 114, 115 Ovviamente, non tutte le richieste di liberazione potevano essere accolte se queste erano in numero maggiore rispetto agli affidati disponibili. Sul sistema dei cambi e delle sostituzioni si vedano: Pischedda, op. cit., pp. 37-48; Del Negro, op. cit., pp. 175-176, 179181
(22) Legge del 20 marzo 1854 , cit , art 4
(23) Rochat - Massobrio, op. cit., pp. 30-32; Ceva, op. cit., pp. 34-35, 37-40; F. Mazzonis, L'esercito italiano al tempo di Garibaldi, in Garibaldi condottiero Storia, teoria, prassi, Milano, 1984, pp. 187-251.
(24) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , pp 43, 50
(25) Ivi, p 49 Le preesistenti legislazioni locali con le quali vennero effettuate le leve del 1859 in Lombardia, del 1860 in Toscana e del 1861 nelle provincie napoletane erano rispettivamente la Sovrana Patente austriaca del 1820, la legge toscana del 1860 e quella borbonica del 1834.
(26) Ibidem. In effetti, con il Regio Decreto del 12 settembre 1860 era stata accordata l'esenzione dal servizio militare ai giovani delle Romagne che si erano sposati anteriormente al 30 giugno dello stesso anno, data della entrata in vigore della legislazione sul reclutamento. Al riguardo il generale Torre scriveva: "era ben giusto che fossero esonerati da questo tributo quei giovani che sicuri del loro avvenire col matrimonio mutarono la loro condizione sociale Il vincolo del matrimonio fu da essi contratto quando confidavano di non essere sottratti per le esigenze del militare servizio alla famiglia di cui si facevano per tal modo capi e ne diventavano il necessario sostegno" (ivi, p 74)
(27) Ivi, p. 295.
(28) Ivi, p. 49.
(29) Ibidem.
(30) Archivio di Stato di Forlì, Sezione di Rimini (d'ora in poi A S S Ri ), Carteggio dell'Ufficio Leva, classi di leva 1839-40, tit. I, rubr. 2, circolare del ministro dell'interno Farini agli intendenti dei circondari delle Romagne, Torino, 20 luglio 1860
Le prime leve militari post-unitarie nella provincia di Forlì
1. L'introduzione della coscrizione obbligatoria
La prima leva post-unitaria fu indetta nelle Romagne nel 1860: il 30 giugno, contemporaneamente all'entrata in vigore nell'Italia settentrionale della legislazione piemontese sul reclutamento militare, il governo ottenne dal parlamento l'autorizzazione ad effettuare la leva sui giovani nati nel 1839, oltre che nelle "antiche provincie" del regno sabaudo, anche in quelle romagnole annesse solo da pochi mesi al nuovo stato (1).
Come si è già accennato, le Romagne facevano parte del gruppo di regioni italiane che non erano "educate alla coscrizione militare". Le provincie romagnole, se si eccettua la breve ma significativa parentesi del periodo napoleonico, non avevano mai conosciuto in passato il peso della leva obbligatoria: durante la dominazione pontificia il reclutamento delle truppe papali era infatti esclusivamente fondato sul volontariato mercenario.
In assenza di una consolidata tradizione di coscrizione militare, la notizia della leva imminente, appresa dagli avvisi affissi dalle autorità municipali o durante le funzioni religiose dalla voce dei parroci, era destinata a suscitare un profondo malcontento:
I Contadini -notava il canonico cesenate Sassi nella sua cronaca- subito tanto quelli del piano come quelli della montagna, che assai male in cuore sta l'affare della recluta, si sono immediatamente risentiti per questa disposizione (2).
Un altro osservatore, testimone attento ma ugualmente non neutrale dei primi mesi seguiti all'unificazione, riteneva che "questa misura non sarà ben intesa, massime nelle Romagne" e pronosticava che
se nei tempi passati non si ottenne l'esecuzione in questo nostro paese della legge sulle tasse degli Arti e Mestieri, peggio si presterà il popolo delle Romagne alla Coscrizione, ad una leva forzosa; Iddio ci salvi da un brigantaggio, mentre vi sono tutti gli elementi per formarlo (3)
La medesima convinzione era espressa anche dal delegato apostolico residente a Pesaro:
se venissero forzati [alla leva militare], assicurasi, che i campagnoli sarebbero tutti pronti a ribellarsi coll'intendimento di correre piuttosto sotto le bandiere pontificie (4).
Nel territorio forlivese, come nel resto delle Romagne, la resistenza ad accettare il nuovo obbligo non tardò infatti a manifestarsi, assumendo anche forme di aperta rivolta e mostrando uno spiccato carattere di rimpianto papalino (5)
Il 22 luglio "un centinaio di campagnoli" di Cesenatico, Montaletto, Sala e S Giorgio, spinti
dalla "contrarietà alla leva militare", si ribellarono con lo scopo di "impedire l'esecuzione della Legge". I rivoltosi, dopo aver disarmato e percosso gli appartenenti alla locale guardia nazionale al grido di "abbasso la Civica, morte a Garibaldi ed a Vittorio Emanuele, vogliamo il Papa, viva Pio IX", tentarono senza successo di "assalire il Comune di Cesenatico, e quindi le parrocchie circonvicine" Il giorno successivo, quando giunsero sul posto le truppe regolari inviate da Cesena, la protesta si era esaurita: una decina di contadini coinvolti nel tumulto furono arrestati e condotti nel carcere cesenate per essere processati (6). Insorgenze analoghe si verificarono nel mese successivo in alcuni centri rurali al confine tra le provincie di Forlì e di Ravenna: i contadini di Pieve Quinta, Villafranca, Matelica, Castiglione e S. Zaccaria avevano "commutate le falci del campo in bajonette e squadroni" e, con "animo di resistere alla disposizione della leva", si erano affrontati a più riprese con "la Truppa e la Civica" (7) Un'altra manifestazione di protesta organizzata a Meldola non ebbe invece luogo perché i "campagnoli vennero consigliati a desistere dal loro progetto" (8) Nella geografia della protesta contro l'introduzione della coscrizione obbligatoria spicca l'assenza del territorio riminese, assenza tanto più sorprendente se si pensa che questo circondario fu caratterizzato in seguito dai più elevati indici di renitenza di tutta la provincia. Piuttosto che dipendere da lacune documentarie la mancanza di notizie su manifestazioni di ribellione sembra riflettere un atteggiamento popolare meno conflittuale:
fin qui -scriveva nel mese di luglio l'intendente riminese- non trapela nella popolazione rurale niun sintomo atto a turbare la pubblica tranquillità (9).
Anche dove non sfociò in episodi di ribellione, il malcontento suscitato dalla notizia della leva imminente era comunque generalizzato:
la notificazione [...] che parla della leva, ha fatto crescere il malumore [...], in generale, si dice, che nessuno andrà ad iscriversi (10)
La coscrizione, seppure non rappresentasse una novità assoluta, assumeva per larghi strati della popolazione, specie rurale, il significato di un'innovazione traumatica, configurandosi come un elemento estraneo al sistema di vita tradizionale che veniva a turbare consolidati ritmi vitali e produttivi, fragili equilibri economici e famigliari (11) Accanto a questo elemento centrale, anche altri fattori concorsero alla formazione di un atteggiamento di ostilità nei confronti della leva obbligatoria.
In primo luogo, era ancora assai vivo, tramandato dagli anziani e sedimentato nella memoria collettiva, il ricordo della coscrizione napoleonica. La leva obbligatoria era stata introdotta nell'ambito della Repubblica Italiana con la legge del 13 agosto 1802, ma soltanto il 13 maggio dell'anno successivo venne pubblicato il decreto che indiceva la prima chiamata regolare (12). Il sistema di reclutamento napoleonico prevedeva una ferma di quattro anni per tutti i giovani di età compresa tra i 20 e i 25 anni Dal prestare servizio militare erano però esclusi gli ecclesiastici, gli ammogliati e i vedovi con prole. Era inoltre prevista la possibilità, dietro l'esborso di una somma considerevole, di farsi rimpiazzare da un sostituto idoneo (13)
Nel forlivese, la resistenza all'introduzione del servizio militare obbligatorio fu tenace durante tutto il periodo napoleonico nonostante il progressivo inasprimento della repressione. I giovani coscritti invece che accorrere sotto le armi seglievano la renitenza e la diserzione, rifugiandosi nelle "Maremme Fiorentine" e "Pontificie" o andando ad ingrossare le fila del banditismo che per diversi anni infestò le campagne e i centri abitati dell'alta collina romagnola (14). L'impotenza palesata, nonostante le continue perlustrazioni e gli indiscriminati rastrellamenti, dalla gendarmeria e dalla guardia nazionale nella cattura dei "refrattari", spinse le autorità ad escogitare rimedi e palliativi di varia natura all'epidemia di renitenti e disertori: fu proposta la costituzione nelle campagne di una "guardia rurale" specificamente incaricata di inseguire e arrestare i "fuggiaschi", si sollecitarono finanziamenti per installare nei comuni una "rete
17
spionistica" che consentisse di spezzare il manto di complicità con cui la popolazione proteggeva i latitanti, venne invocata la fattiva collaborazione dei parroci di campagna, dei cittadini influenti e dei proprietari agricoli per esortare i giovani contadini all'obbedienza verso la legge (15)
L'esasperazione della popolazione per la continua richiesta di coscritti diede luogo anche ad alcune proteste collettive particolarmente violente: nell'autunno del 1813, ad esempio, i paesi di Mercato Saraceno e Sarsina furono invasi da "briganti" e "rivoltosi" che assaltarono il municipio e bruciarono in piazza i registri della coscrizione (16).
Giustamente, nell'imminenza della leva del 1860, il deputato liberale bolognese Antonio Zanolini individuava proprio nella memoria delle massiccie coscrizioni del periodo francese, e in particolare nello stato di guerra permanente che lo aveva caratterizzato, una delle ragioni principali dell'odierna avversione per l'obbligo militare:
I due lustri del Regno d'Italia, che forse avrebbero bastato ad abituare i foresi alla leva militare, passarono in guerre continue, le quali fecero così grande carnificina, che l'essere chiamati al campo quasi si aveva per una condanna capitale (17)
L'esperienza fatta nel decennio napoleonico, lungi dall'avvicinare la popolazione romagnola all'istituto della coscrizione, ne aveva invece aumentata l'istintiva avversione tipica di ogni società rurale. La continuità dal periodo napoleonico a quello post-unitario di questo atteggiamento ostile è confermata da un episodio accaduto nel territorio riminese in concomitanza con i fermenti democratici del 1848. L'arrivo della notizia che sarebbe stata imposta una leva "sebbene volontaria, in ragione di 2 uomini ogni 1000 abitanti" provocò un'insorgenza papalina:
Nel dì 1. o giugno, i contadini di Morciano, Misano, Besanigo, Montefiore e Coriano hanno fatto rumore per la voce invalsa della coscrizione [ ] Quei di Coriano hanno disarmato la Civica, abruciati i ruoli, e la bandiera tricolore, sostituendovi quella del Papa (18)
Un secondo fattore era all'origine dell'ostilità della popolazione per la leva obbligatoria. A soli pochi mesi dall'avvenuta annessione, il neonato stato unitario faceva sentire per la prima volta la sua presenza costringendo i cittadini all'osservanza di un obbligo pesante dal quale fino ad allora erano stati esenti. Il conoscere in primo luogo gli oneri dell'avvenuta unificazione non poteva non aumentare la diffidenza nei confronti di uno stato che veniva sentito sostanzialmente estraneo da larghi strati della popolazione e in particolare da quella rurale.
Nelle Romagne, d'altra parte, l'egemonia che la classe politica nazionale esercitava era ancora scarsa e assai problematica si prospettava la conquista di quote maggiori di consenso. La rapidità con cui si era realizzato il cambiamento di regime si combinava infatti con una situazione ancora estremamente fluida sotto il profilo degli equilibri politici e dei rapporti di forza All'intrinseca debolezza del partito governativo faceva da contraltare, specialmente nelle campagne, la forte presa sociale del clero, che aveva individuato nello sfruttamento del diffuso malcontento popolare per la coscrizione obbligatoria uno dei terreni privilegiati della sua reazione anti-unitaria.
In Romagna poi -scriveva, con evidente soddisfazione, il delegato apostolico di Pesaro- il disordine sempre più aumenta, e quasi vi regna l'anarchia. [...] D'altra parte il malcontento suscitato dalla leva, dalla gravezza delle tasse e da altre ragioni muove anche quella parte di popolazione che prima si mostrava indifferente, e tutto ciò crea grandi imbarazzi nell'intruso Governo (19)
La propaganda clericale contro la coscrizione, secondo la testimonianza di Zanolini, aveva avuto
18
inizio prima ancora dell'estensione alle Romagne del sistema di reclutamento piemontese:
I missionari in gran numero della Curia romana, i quali ebbero incarico d'incitare a rivolta le genti semplici ed ignoranti, si adoperano nel rendere loro odioso il mutamento avvenuto nelle nostre provincie con argomenti che tocchino nel vivo dal lato della coscienza o dell'interesse I men tristi, vergognandosi di ricorrere, come i più fanno, alle imposture ed alle calunnie, mettono innanzi ai villici lo spauracchio della leva, la quale avremo fra non molto anche noi (20).
L'effettuazione della prima leva post-unitaria si prospettava per questo insieme di ragioni difficile e ricca di insidie. Il malcontento suscitato dalla coscrizione poteva agire come un potente catalizzatore della delusione nutrita dalla popolazione per gli esiti del processo unitario e dare forse l'avvio, come era nelle speranze del clero, ad una vasta mobilitazione anti-governativa. Di questa situazione potenzialmente esplosiva furono fedeli osservatori le autorità locali, che, preoccupate per le possibili ripercussioni sulla stabilità del nuovo assetto politico, si rivolsero a più riprese al potere centrale per paventare i rischi derivanti da un'estensione non graduale dell'obbligo della leva (21).
Neppure l'ampia partecipazione di volontari romagnoli alle battaglie risorgimentali, che pure aveva testimoniato una forma di attaccamento ai destini nazionali, era sufficiente a tranquillizzare i funzionari statali periferici. Il prefetto di Forlì Campi, a metà degli anni sessanta, scriverà infatti nella sua monografia che
comunque armigere e valorose sieno la tradizioni di questi popoli, comunque largo e spontaneo sia stato il concorso dei medesimi alle antiche e recenti pugne nazionali, non perciò ripugnavano meno a sottostare al tributo della leva (22)
Dei timori manifestati dalle autorità locali prendeva atto il ministro dell'interno Farini con una circolare inviata il 20 luglio, in occasione dell'apertura della leva della classe 1839, agli intendenti dei circondari romagnoli:
da una parte la dissuetudine dal servizio militare ordinario, dall'altra le mene di coloro, che, acciecati dalla passione, cercano ogni modo di attraversare il risorgimento nazionale, lasciano dubitare che l'attivazione della Leva possa incontrare in coteste Provincie qualche maggiore difficoltà che nelle altre.
Per evitare l'insorgere di queste difficoltà il ministro faceva appello allo "zelo e patriottismo" dei funzionari periferici, raccomandando loro d'intraprendere una vasta opera di sensibilizzazione al fine di "inspirare fiducia nelle Popolazioni ed attutirne la naturale diffidenza" (23)
2. Il difficile avvio della macchina del reclutamento
L'esecuzione di questa azione persuasiva venne demandata alle autorità municipali I sindaci, che almeno in linea di principio intrattenevano un rapporto più diretto con la popolazione, sembravano maggiormente in grado di esercitare una qualche influenza sulle disposizioni dei propri amministrati Ottimisticamente l'intendente del circondario di Rimini riteneva che le difficoltà insite nella "novità" della coscrizione
mercé il buon volere delle Autorità Municipali e il patriottismo delle popolazioni saranno di leggieri vinte sicché [il governo] otterrà quel soddisfacente risultamento ch'è nel desiderio suo, ed anche nell'interesse delle popolazioni (24).
Contemporaneamente, la strategia seguita dalle autorità per avvicinare i giovani coscritti e le loro famiglie al nuovo istituto prevedeva il ricorso all'affissione di manifesti e alla pubblicazione di articoli ed opuscoli propagandistici Questo sforzo di sensibilizzazione, che spesso si esauriva in generici richiami al senso del dovere e all'amor patrio, era tuttavia destinato, per l'impiego di strumenti inadeguati, a conseguire scarsi risultati. Da un lato il ruolo che i sindaci rivestivano all'interno della propria comunità si rivelò assai limitato, dall'altro l'utilizzo di vettori cartacei, in una realtà sociale dominata da un livello di analfabetismo che coinvolgeva la quasi totalità della popolazione, era privo di qualsiasi efficacia (25)
Il riconoscimento della manifesta impotenza a suscitare autonomamente un qualche consenso attorno alla coscrizione costrinse i funzionari perifici a ricercare altre forme di comunicazione con la popolazione Le autorità locali pensarono pertanto di richiedere la collaborazione dei parroci, riconoscendo implicitamente la debolezza della classe politica nazionale e il decisivo ruolo sociale che il clero, grazie alla sua capillare presenza sul territorio, continuava a rivestire Secondo il commissario di leva del circondario di Rimini se fosse
attendibile una zelante cooperazione per parte dei [ ] Parrochi nella esposizione delle agevolezze come dei castighi in fatto della Leva si potrebbe avere fin d'ora fondata fiducia che molti fra i malintenzionati farebbero senno, e ben limitato sarebbe forse il numero di coloro che si propongono di essere ostili alla Leva medesima (26).
In precedenza anche Zanolini aveva individuato nello stretto legame esistente tra il clero e la popolazione la possibilità di fare accettare in modo indolore il nuovo obbligo: i parrochi specialmente delle campagne [...] vorranno, spero, da qui innanzi insinuare ai villici la obbedienza alla legge, che è un precetto del Vangelo, mostrando loro la necessità e l'utilità della leva militare (27).
Questa strategia, in paradossale contraddizione con l'interpretazione governativa che vedeva nel clero il principale responsabile della propaganda contro la coscrizione, era destinata ad un sostanziale insuccesso Gli inviti rivolti ai parroci "di adoperare la loro influenza" per "spiegare e fare intendere agli inscritti loro parrochiani, ed ai congiunti" l'obbligo di presentarsi alla leva furono generalmente elusi o incontrarono forti resistenze. A Cesena, infatti, i parroci della città e del contado furono infine obbligati dalle autorità ad "annunziare dall'altare ai loro popolani" la "buona novella" della leva (28).
Il ricorso alla cooperazione dei parroci si rendeva necessario anche per fare fronte ad un
All'origine delle resistenze del clero vi era probabilmente un'esplicita presa di posizione da parte delle gerarchie ecclesiastiche In occasione della leva della classe 1840, ad esempio, il vescovo di Forlì Trucchi si oppose all'autorità municipale, rifiutandosi di acconsentire alla richiesta che i parroci della sua diocesi redigessero gli elenchi dei nati. E` interessante notare come il prelato si appellasse alla stessa legislazione sul reclutamento, nella quale non era "espresso in verun modo l'obbligo ai Parrochi di compilare essi stessi gli elenchi". Il sindaco forlivese individuava il "movente" del comportamento del vescovo nel tentativo "di avversare, per quanto è in Lui, le operazioni del reclutamento" (33). La controversia venne risolta da un intervento governativo sollecitato dallo stesso prelato: il ministro degli affari ecclesiastici Miglietti, specificando come i parroci fossero tenuti per legge unicamente a dare visione dei loro registri, riconobbe l'illegalità della disposizione del sindaco forlivese (34).
Le difficoltà incontrate dai municipi nella compilazione delle liste di leva, oltre a fornire un esempio delle forme che assumeva la mobilitazione clericale contro la coscrizione, sottolineano anche la generale improvvisazione che contraddistinse l'avvio delle operazioni di reclutamento. A giudizio dei funzionari periferici la responsabilità di questa situazione era interamente del governo A distanza di due settimane dall'indizione della prima leva, l'intendente del circondario di Rimini deplorava infatti
l'assoluto silenzio mantenuto fin qui dal Superiore Governo sopra tutto quanto concerne le operazioni di Leva, come se si trattasse di metter ad effetto qui una disposizione già conosciuta, mentre è affatto nuova per queste Provincie [...], circostanza, credo, non mai abbastanza ricordata quanto conviene
Il funzionario sollecitava pertanto l'invio delle
Leggi e stampe relative [...], essendomi impossibile invitare i Comuni a compilare le indicate Liste, mancando io stesso delle necessarie istruzioni (35)
Al ritardato invio d'istruzioni puntuali da parte del potere centrale si sommava poi la mancanza nella maggior parte delle autorità locali incaricate dell'esecuzione della leva di una competenza specifica per i problemi del reclutamento. Il generale Torre lamentò esplicitamente l'"assoluta ignoranza in cose di leva" dei consiglieri provinciali, dei sindaci e dei segretari comunali (36)
La disorganizzazione che caratterizzò le fasi preparatorie della leva non produsse soltanto un notevole rallentamento nello svolgimento delle operazioni di reclutamento, ma fu anche all'origine di una serie di errori che penalizzarono i coscritti (37). Nel compilare la lista di leva del loro comune i sindaci erano tenuti a controllarne scrupolosamente l'esattezza, per evitare che si verificassero delle iscrizioni errate Questo controllo rivestiva una grande importanza perché il contingente di arruolati che ogni mandamento di un circondario doveva somministrare veniva assegnato, secondo la percentuale fissata annualmente dal parlamento, sulla base del numero di
21 esigenza di carattere pratico: la compilazione delle liste dei giovani soggetti alla leva. I comuni, ai quali spettava il compito di redigere questi elenchi nominativi, erano impossibilitati a "corrispondervi esattamente" per la mancanza di una "regolare statistica" (29) Fino al 1866, anno in cui venne affidata ai comuni la rilevazione del movimento dello stato civile, le uniche statistiche di flusso disponibili erano rappresentate dai registri parrocchiali I sindaci, per ottenere le informazioni indispensabili alla compilazione delle liste, erano quindi costretti a rivolgersi ai parroci (30), ricevendo in non pochi casi un fermo rifiuto alle richieste di consultare i libri dei battesimi e di trasmettere le note dei nati (31) Tra le autorità politiche, sostenitrici dell'obbligo che i parroci avevano di rendere disponibili le informazioni contenute nei loro registri, e il clero, impegnato a difendere la propria autonomia dalle ingerenze laiche, si sviluppò una lunga vertenza che sfociò anche nell'istruzione di alcuni procedimenti penali a carico dei parroci più intransigenti (32)
iscritti nella sua lista d'estrazione. Questa lista veniva redatta dal commissario di leva unificando le liste dei singoli comuni compresi nel mandamento (38). La verifica delle liste, resa obiettivamente difficile dalla già ricordata assenza di statistiche sul movimento della popolazione, non venne svolta dai sindaci con la dovuta attenzione e in esse furono inseriti un numero assai elevato di nominativi che dovettero successivamente essere cancellati dai consigli di leva ad estrazione già avvenuta: alcuni perché erano defunti in anni precedenti, altri perché non appartenevano alla classe chiamata o risultarono di sesso femminile, altri ancora perché, essendo emigrati, erano stati inscritti due volte, nel comune di nascita e in quello di residenza La conseguenza dell'approssimazione dimostrata dalle autorità municipali nell'operare i necessari controlli fu che i singoli mandamenti si videro assegnare un contingente notevolmente superiore rispetto a quello dovuto. Alla luce di questa grave manchevolezza appare perlomeno inopportuno l'encomio che venne formulato dall'intendente provinciale a conclusione delle operazioni di reclutamento della classe 1839: "i funzionarj tutti incaricati della leva rivaleggiarono di zelo" (39)
L'alto numero di cancellazioni, che continuò a verificarsi anche nelle leve successive (40), venne aspramente deplorato dal generale Torre e dai funzionari governativi (41). Secondo il prefetto Campi, che ne individuava i motivi nel "disordine in cui sono tenuti dai Parrochi i Registri di Stato Civile" e nella "nessuna o pochissima cura che i più fra gli Ufficj Municipali si prendono per diminuire le conseguenze di quel disordine", i sindaci con la loro condotta erano "causa immancabile di danno certo ai propri amministrati" (42). Accanto a questa cronica negligenza le autorità locali si resero anche responsabili, in questa prima leva come in quelle seguenti, di altri comportamenti censurati dal potere centrale: i commissari di leva commisero inesattezze nella procedura del sorteggio (43), alcuni sindaci disertarono l'estrazione a sorte (44), la maggior parte dei consiglieri provinciali intervennero assai raramente alle sedute dei consigli di leva (45)
3. Gli anni del rifiuto
Preceduta da queste difficoltà alla fine di agosto si svolse nei diversi mandamenti della provincia forlivese l'estrazione a sorte, che sancì l'inizio vero e proprio delle operazioni della prima leva post-unitaria. Il clima di forte malcontento popolare che aveva caratterizzato i due mesi successivi all'introduzione della coscrizione obbligatoria, concretizzandosi anche in manifestazioni spontanee di ribellione violenta, preoccupava le autorità locali che paventavano il fallimento di questa prima esperienza. In particolare, esse temevano che il momento del sorteggio potesse rappresentare un'occasione per organizzare e rafforzare una protesta che fino ad allora si era frammentata in una serie di episodi isolati. La presenza contemporanea di tutti i giovani obbligati alla leva di uno stesso mandamento assumeva i connotati di una massa potenzialmente pericolosa Di queste preoccupazioni si fece interprete l'intendente del circondario di Rimini scrivendo nei giorni immediatamente precedenti l'estrazione all'intendente provinciale: "Spero non avverranno torbidi" (46)
Il sorteggio, nonostante i timori nutriti dalle autorità, si svolse in tutti i mandamenti "con la più desiderabile regolarità, senza che l'ordine pubblico sia stato menomamente turbato" (47) Al buon andamento dell'operazione e alla mancata insorgenza di incidenti non era forse stata estranea la presenza in ogni capoluogo di mandamento di una "Compagnia di Regie Truppe" (48). Non solo non si verificarono i temuti disordini, ma in alcuni mandamenti i giovani intervenuti dimostrarono un insospettato coinvolgimento emotivo: se a Cesena la "più perfetta tranquillità non disgiunta da qualche allegria [regnò] pendente l'operazione" (49), a Sant'Arcangelo l'estrazione fu caratterizzata addirittura dalla "contentezza ed entusiasmo generale" dei coscritti (50).
La malcelata soddisfazione che traspare dai rapporti inviati dai funzionari periferici all'intendente generale della provincia sull'andamento del sorteggio era giustificata dalle aspettative negative formulate alla vigilia dell'estrazione. Le autorità locali furono tuttavia costrette ad ammettere che il positivo risultato conseguito sotto il profilo dell'ordine pubblico era stato in parte vanificato dal numero assai scarso di coscritti che si era presentato ad estrarre il proprio numero Nei mandamenti di Bertinoro e Sogliano intervenne infatti appena un terzo dei giovani, in quelli di Cesena, Forlì, Savignano e Sarsina i presenti furono circa la metà, nei restanti la percentuale fu vicina ai due terzi. L'unica eccezione era costituita dal mandamento di Sant'Arcangelo con solo 5 mancanti su 73 inscritti nelle liste.
I responsabili locali dell'estrazione, preoccupati di fornire ai diretti superiori motivazioni accettabili della scarsa affluenza dei coscritti, assicuravano tuttavia che tra i mancanti alcuni avevano giustificato l'assenza con motivi di legale impedimento, altri non si erano presentati perché già arruolati nell'esercito regio, altri ancora perché erano accorsi come volontari in Sicilia e nelle Marche (51). Solo il sindaco di Bertinoro avanzava, seppure timidamente, una causa diversa e meno tranquillizzante:
taluni dei suddetti giovani inscritti dicansi, con qualche fondamento, fuggiti e diretti pei Domini Pontifici, forse per sottrarsi alla leva stessa (52).
La fuga all'estero dei coscritti non era tuttavia un fenomeno limitato a questo comune, ma rappresentava una forma individuale di rifiuto della leva obbligatoria che era andata assumendo dimensioni decisamente preoccupanti All'inizio di agosto, ad esempio, l'intendente provinciale era stato informato che a Rivoschio, nei dintorni di Sarsina, era "continuo sulla linea di confine di quel territorio con lo Stato Pontificio il passaggio di giovani che varcano il confine per causa della leva", facilitati dalla natura impervia della zona e dalla "rennenza della [Guardia] Nazionale a prestare l'opportuno servizio" (53). Nelle settimane che avevano preceduto il sorteggio le segnalazioni di espatri di giovani iscritti nelle liste della coscrizione erano state talmente numerose da provocare
uno specifico intervento governativo. L'apposita circolare emanata dal ministro della guerra Fanti intendeva in particolare porre un freno agli arruolamenti clandestini nell'esercito pontificio:
alcuni giovani e delle antiche e delle nuove Provincie del Regno [...] si recano a prendere servizio militare fuori del nostro Stato Alcuni di essi ignorano forse, e specialmente quelli delle nuove Provincie, i loro doveri verso la leva (54).
Ai sindaci fu pertanto ordinato di prestare una maggiore vigilanza sugli espatri dei giovani:
Se poi alcuno dimandasse Passaporto all'Estero, e conoscesi Ella che per l'età fosse soggetto alla leva non lascierà intentato alcun mezzo per persuaderlo a desistere da tale dicisamento, e gli negherà nel tempo istesso il regolare attestato (55).
Sembra quindi legittimo ipotizzare che una quota, probabilmente rilevante, dei coscritti mancanti al sorteggio avesse già scelto di fuggire all'estero o di nascondersi nelle campagne per non ottemperare all'obbligo della chiamata Accanto a questi, dovevano essere numerosi anche coloro che, ostili alla leva ma ancora incerti sulla scelta da compiere, non si presentarono all'estrazione restando in attesa degli sviluppi della situazione. In ogni caso il numero degli assenti appare troppo ampio per essere giustificato dalle altre motivazioni addotte dai responsabili del reclutamento (56) Il quadro complessivo che emerge a conclusione dell'estrazione a sorte risulta quindi estremamente contraddittorio Se da un lato "l'ordine e la tranquillità" che caratterizzarono il suo svolgimento sembrano testimoniare un'immediata e quasi indolore accettazione della leva, dall'altro la scarsa partecipazione dei coscritti lascia intravedere la diffusione di un atteggiamento di rifiuto o perlomeno di sostanziale indifferenza verso il nuovo obbligo
Per tentare di spiegare il comportamento ambivalente dei coscritti è pertanto necessario seguire le fasi successive delle operazioni di reclutamento All'esame definitivo la partecipazione fu maggiore, anche se continuarono ad essere assai numerosi gli assenti Anche in questa occasione non mancarono differenze stridenti nel comportamento dei coscritti: se soltanto un giovane del mandamento di Mercato Saraceno, su un totale di 88 iscritti, si presentò al consiglio di leva di stanza a Cesena (57), gli inscritti di Sogliano giunsero invece nel capoluogo "in drappello preceduto dalla bandiera nazionale" e furono accolti "dalla banda del Comune e dalla Guardia Nazionale ed accompagnati con festa al palazzo Municipale" (58) Le autorità preposte al reclutamento, preoccupate dall'alto numero di renitenti che si andava profilando, accordarono ai giovani mancanti "brevi dilazioni", confidando che almeno qualcuno di questi si sarebbe presentato entro il termine ultimo fissato per non incorrere nella dichiarazione di renitenza. In precedenza era già stata sollecitata la collaborazione dei parroci affinché, "nel precipuo vantaggio e bene dei loro parrochiani", convincessero i coscritti a comparire davanti ai consigli di leva: coloro che non si presentassero [ ], oltre di scadere dagli accennati vantaggi dell'esenzione incorreranno nella pena di multa e carcere, saranno esclusi dal beneficio del numero che loro sia [toccato] in sorte perdendo ogni probabilità di essere collocati nella riserva (59)
Gli sforzi messi in atto dalle autorità non conseguirono gli esiti sperati A conclusione delle operazioni di leva, all'inizio di ottobre, il numero dei coscritti dichiarati renitenti risultò altissimo in tutta la provincia: i refrattari furono 137 nel circondario di Forlì, 122 in quello di Cesena e 119 in quello di Rimini La percentuale di renitenti, calcolata sul totale degli inscritti nelle liste d'estrazione, era rispettivamente del 23, 70%, 17, 18% e 20, 88%, attestandosi a livello provinciale sul 20, 34% (60)
La renitenza, coinvolgendo un quinto dei giovani soggetti alla leva, aveva indubbiamente assunto una dimensione di massa. L'ampiezza del fenomeno è confermata da un confronto con la quota complessiva di renitenti che venne registrata dalla leva della classe 1839: nei 52 circondari interessati il tasso di renitenza toccò un livello sensibilmente inferiore, pari al 6, 58%. Con valori percentuali tre volte superiori alla media i circondari forlivesi erano tra quelli che denunciavano il maggior numero di renitenti Il circondario di Forlì, nella specifica graduatoria redatta dal generale Torre, era preceduto soltanto da quelli di Chiavari e Cento, mentre i circondari di Rimini e Cesena occupavano rispettivamente la settima e l'undicesima posizione (61)
L'alto numero di renitenti denunciato dal forlivese era un dato comune anche alle altre provincie romagnole: indici altrettanto elevati caratterizzavano infatti il ferrarese (23, 12%) e il ravennate (15, 50%), mentre la provincia di Bologna si attestò fin dalla prima leva post-unitaria su di un tasso di renitenza molto basso (3, 72) (62). Il calcolo delle percentuali su base regionale sottolinea ulteriormente l'incidenza della renitenza nelle Romagne La quota di renitenti delle provincie romagnole (14, 44%) era di non molto inferiore a quella della Liguria (18, 49%), tradizionalmente contraddistinta da alti livelli di renitenza, ma superava nettamente quella della Sardegna (4, 22%) e del Piemonte (1, 92%) (63)
La mappa della renitenza che emerge dalla prima leva post-unitaria lascia quindi intravedere la spaccatura esistente tra le "antiche provincie" dello stato (caratterizzate da un tasso complessivo del 5, 00%) e quelle appena annesse delle Romagne, ovvero tra un'area abituata da tempo alla leva e una regione soggetta per la prima volta a questo obbligo. Il generale Torre, nella sua prima relazione, giustificava appunto con la "novità della coscrizione militare" l'elevato numero di renitenti delle provincie romagnole:
Di ciò non è punto a far meraviglie, laddove si rifletta come [...] le Romagne [...] prima della costituzione del Regno Italiano, non fossero tenute, per riprovata misura di Governo, all'obbligo del servizio militare; come perciò abbia facilmente allignato nell'animo di quei giovani una naturale ripugnanza al mestiere delle armi (64)
Secondo il responsabile del reclutamento l'"abborrimento della misura" trovava inoltre le sue radici nella "tradizione dei tempi Napoleonici" (65)
A rendere fallimentare il bilancio della prima leva post-unitaria contribuì inoltre il numero ancora maggiore di giovani arruolati che, "senza comprovare legittimo impedimento", non si presentarono all'assento dei rispettivi contingenti, venendo così dichiarati disertori Alla partenza della 1a e della 2a categoria la percentuale di mancanti raggiunse quasi il 50% nei circondari di Cesena e di Forlì, mentre in quello di Rimini superò addirittura il 75% (su 162 chiamati all'assento se ne presentarono soltanto 38) (66).
Si è già accennato alla compresenza nell'universo dei coscritti di sentimenti di affezione e avversione verso l'obbligo militare Questa ambivalenza è riscontrabile chiaramente negli esiti numerici di questa prima leva: abbastanza sorprendentemente nella provincia forlivese convivevano livelli altrettanto elevati di renitenza e volontariato (67) La percentuale provinciale di volontari, calcolata sul contingente d'arruolati (5, 10%), era infatti anch'essa superiore alla corrispondente media generale (4, 12%). Nei circondari di Rimini, Cesena e Forlì il tasso di volontariato era pari rispettivamente al 5, 80%, 5, 12% e 4, 30% (68) Questo dato, testimoniando come almeno certi strati della popolazione fossero sensibili al fascino della "professione delle armi", era confortante ma tuttavia non sufficiente a controbilanciare un risultato complessivo che rimaneva largamente negativo.
Singolarmente, neppure di fronte alle massiccie ondate di renitenza e diserzione le autorità preposte all'esecuzione della leva abbandonarono il moderato ottimismo che aveva contraddistinto i loro precedenti rapporti sull'andamento delle operazioni di estrazione. Probabilmente il timore di una reprimenda governativa impediva una interpretazione realistica della situazione, giocando a
favore di una sottovalutazione interessata dei dati più imbarazzanti. L'intendente Sazia, ad esempio, analizzando lo svolgimento della coscrizione nel circondario cesenate, scriveva che
le operazioni tutte relative alla Leva militare della classe 1839 sotto tutti i rapporti furono eseguite felicemente e senza il benché menomo ostacolo, mercé il concorso degli inscritti stessi i quali non solo si mostrarono ubbidienti agli ordini e prescrizioni delle Leggi, ma ben anco degni di lode col loro contegno (69)
Il funzionario era tuttavia costretto ad ammettere, con riferimento all'alto numero di renitenti e disertori, che la "buona volontà" dimostrata dai giovani era venuta "meno in ultimo, credesi più per ostinazione dei parenti che per cattive disposizioni".
La formulazione di un giudizio sostanzialmente positivo era inoltre giustificata dalle pessimistiche previsioni che erano state espresse dai funzionari periferici alla vigilia dell'apertura delle operazioni di reclutamento. Lo stesso ministro dell'interno, nel valutare i risultati conseguiti dalla prima leva operata nelle Romagne, pur sottolineando il dato preoccupante dell'elevata renitenza e diserzione, dovette riconoscere che questi erano stati superiori alle aspettative:
Sebbene le operazioni della Leva militare in codeste Provincie siano riuscite meglio di quanto lasciavano sperare i rapporti in proposito ricevuti dalle autorità politiche ed i chiamati siano in buon numero accorsi alle relative operazioni volenterosi e con feste e dimostrazioni patriottiche si dovette però rilevare che assai rilevante fu il numero dei renitenti, e che alla chiamata della prima Categoria molti mancarono all'appello (70).
L'intendente provinciale Tirelli, nella sua "relazione confidenziale" sulla leva appena svolta, riteneva che la "circostanza molto apprezzabile che le popolazioni non erano ancora state soggette a tal genere di contribuzione" fosse la causa principale dell'esito non del tutto soddisfacente della operazioni di reclutamento Il funzionario governativo individuava inoltre nelle "condizioni politiche e topografiche del paese" altri due fattori che avevano pesantemente influito sulla fuga dei coscritti dall'obbligo militare (71)
Si è già visto come la posizione di confine del territorio forlivese favorisse gli espatri clandestini dei giovani soggetti alla leva. La meta finale era rappresentata nella maggior parte dei casi dallo stato pontificio, anche se il percorso dei fuggiaschi poteva prevedere una serie di tappe intermedie (72). Da informazioni raccolte dall'intendente del circondario cesenate risultava, ad esempio, che numerosi renitenti e disertori
siansi recati nella Repubblica di S. Marino, attendendo l'occasione di penetrare nelle Provincie tuttora soggette al dominio Pontificio [ ] ed altri sonosi diggià ivi recati (73).
Di fronte all'ampiezza assunta dalla renitenza e dalla diserzione, il convincimento espresso dalle autorità politiche all'inizio delle operazioni di leva circa una diretta responsabilità del clero nell'istigare i giovani ad una resistenza di massa contro la coscrizione obbligatoria, acquistò nuova forza anche in assenza di precisi riscontri obiettivi.
Quantunque questo Ufficio -scriveva, ad esempio, l'intendente Sazia- abbia spiegato tutta la solerzia possibile per mezzo degli Ufficiali e Agenti della Pubblica Sicurezza onde scoprir quelli del partito estremo che suppongonsi siano quelli che dissuadono i giovani chiamati a presentarsi alla chiamata, tuttavia non venne fatto di scoprire alcun ché sul riguardo (74)
Analogamente, il generale Torre faceva risalire la responsabilità della forte renitenza registrata nelle Romagne all'azione dei "nemici dell'attuale ordine di cose", i quali trovavano nei giovani "inesperti facile orecchio alle loro instigazioni e subdole arti" (75).
Il ruolo svolto dal clero nel fomentare l'ostilità della popolazione verso la leva, come si vedrà meglio in seguito, fu indubbio (76) La sua azione infatti, esplicandosi da un lato nella propaganda aperta contro il nuovo istituto e dall'altro nella concreta solidarietà verso i coscritti latitanti, interagiva strettamente con l'andamento complessivo della renitenza e della diserzione E` interessante notare a conferma di questa affermazione come, dalle pagine della cronaca del canonico cesenate Sassi dedicate al momento della partenza dei contingenti, emerga, accanto alla sincera preoccupazione per la sorte dei giovani dichiarati disertori, l'implicita soddisfazione per il sostanziale fallimento della coscrizione:
In questo giorno 7 [novembre] è partita alla volta del Piemonte la 1a Leva [...]. Più della mettà del suddetto numero [135] non si è presentato per cui oggi tutti i mancanti sono reputati refratari e disertori
In questo giorno 26 [novembre] sono partiti pel Piemonte i giovani della 2a Categoria [...]. Molti di questi giovani [...] nepure si sono presentati; per cui anche questa volta alla disperazione per la Campagna anderanno una quantità di ragazzi che saranno la desolazione della propria famiglia, e chi sa ancora quante conseguenze triste ne potranno avvenire (77).
Al fine di arginare la portata della renitenza e della diserzione le autorità governative, in considerazione della circostanza che "era questa la prima volta che si eseguiva la leva nelle Romagne", adottarono inizialmente una strategia che faceva principalmente ricorso a mezzi persuasivi. Il ministero della guerra diede istruzioni ai comandanti militari dei circondari di "usare indulgenza", ritardando di qualche giorno la denuncia dei refrattari e accettando "le scuse anche verbali" di coloro che si fossero presentati in tempo utile Contemporaneamente l'intendente provinciale venne sollecitato dal ministero dell'interno a indurre i coscritti "a mostrarsi obbedienti col farli persuasi del loro dovere di servire col braccio la Patria, e come il Governo sia risoluto a non transigere sovra una si grave infrazione". Per raggiungere questo scopo si raccomandava di utilizzare "il zelante ed efficace concorso dei Sindaci e di tutte le persone influenti sul patriottismo delle quali si possa fare assegnamento" (78) Gli appelli rivolti dalle autorità conseguirono tuttavia un successo assai limitato: soltanto pochissimi refrattari si costituirono (79).
Di fronte al fallimento di questa strategia l'atteggiamento conciliante del governo cambiò bruscamente di segno, diventando apertamente repressivo:
quando le persuasioni non valgano a ridurre al dovere -scriveva il ministro Farini- si proceda con tutto quel rigore che richiede la tutela delle Leggi (80).
Agli intendenti fu pertanto ordinato di disporre, "prontamente ed energicamente", che "ogni mezzo della forza pubblica" fosse mobilitato allo scopo di "inseguire attivamente i renitenti e disertori per consegnarli alla competente autorità militare" La direttiva governativa si concretizzò nell'organizzazione in tutta la provincia di perlustrazioni e pattugliamenti affidati ai carabinieri e alle guardie di pubblica sicurezza Le perlustrazioni, ostacolate dalla limitata conoscenza del territorio e dalla rete di complicità che proteggeva i giovani alla macchia, si rivelarono tuttavia scarsamente efficaci: a tutto il dicembre del 1860 gli arresti ammontavano a poche unità (81). I latitanti rifugiati nell'alta collina forlivese riuscivano facilmente a sottrarsi alla cattura sfruttando la conformazione accidentata del terreno e la presenza di vaste aree boschive. La prossimità del confine con lo stato pontificio rappresentava inoltre una possibilità di fuga sempre praticabile
quando la minaccia della forza pubblica diventava incombente (82).
Ad aggravare le difficoltà che le autorità incontravano nel vincere le resistenze ad ottemperare al dovere della coscrizione, era intervenuta nel settembre del 1860, mentre erano ancora in corso le operazioni di reclutamento della classe 1839, la chiamata alla leva dei giovani nati nel 1840:
Non è stata ancora compiuta la prima Leva. Oggi 20 [settembre] -annotava con sarcasmo il canonico Sassi nella sua cronaca- si notifica un altra simile Leva [...]. Eviva...(83).
La vicinanza temporale delle due chiamate, succedutesi senza soluzione di continuità nell'arco di pochi mesi, fece apparire l'obbligo militare ancora più gravoso, inasprendo ulteriormente l'avversione della popolazione verso la coscrizione:
le provincie - denunciava il quotidiano bolognese "L'Eco"- [sono] in preda al malcontento [perché] irritate da continue leve militari (84)
La continuazione degli espatri clandestini confermava, secondo il giornale clericale, l'esistenza di un malessere profondo che veniva invece negato dallo schieramento governativo:
Numerosi contadini [ ] si rifugiano sul territorio pontificio per sottrarsi alla leva piemontese. Questo però non vieta ai fogli liberali di strombazzare che tutti i giovani coscritti [ ] vanno ad estrarre il loro numero col maggior entusiasmo che dir si possa (85).
Nel gennaio del 1861, al termine delle operazioni di reclutamento della classe 1840, il malcontento diffuso si concretizzò in un incremento della renitenza. La percentuale di renitenti salì nella provincia di Forlì al 22, 77%, superando nel circondario di Rimini la soglia del 30%: 143 iscritti su 660 non si presentarono ai consigli di leva (86) Secondo l'intendente riminese Mazzoleni l'altissimo numero di renitenti del circondario, e in particolare del capoluogo, era stato originato dall'errato inserimento nelle liste di leva di molti "Marinari" che avevano invece diritto di essere chiamati al servizio marittimo. I pescatori del porto di Rimini, scriveva il funzionario,
assolutamente protestano di non voler servire nell'armata di terra, mentre con tutta buona volontà si presenterebbero spontaneamente qualora il Governo gli permettesse di servire nella Regia Marina (87)
Anche il giornale clericale "L'Eco" segnala, anche se in modo del tutto inverosimile, il malcontento dei coscritti del riminese:
A Rimini il mal umore nei soldati giunge fino alla disperazione di darsi la morte. Parecchi si sono annegati nel mare volontariamente. Sicché dovettero le autorità porre delle guardie in piccole barchette per impedire simili eccessi (88)
L'andamento della renitenza nella provincia di Forlì contraddiceva una tendenza generalizzata alla diminuzione dei livelli di renitenza che caratterizzava, salvo poche eccezioni, sia gli altri circondari romagnoli che le circoscrizioni delle "antiche provincie". Il tasso regionale di renitenza si abbassò infatti in questa seconda leva all'11, 36%, a fronte di una media generale scesa al 5, 05% (89). I tre circondari forlivesi continuavano a segnalarsi tra quelli che denunciavano il maggior numero di renitenti: Rimini, Forlì e Cesena occupavano rispettivamente la seconda, la terza
e l'undicesima posizione su un totale di 87 circondari. Parallelamente aumentò anche il numero dei disertori alla partenza dei contingenti (90).
Ad innescare questa dinamica ascendente avevano probabilmente contribuito anche le carenze palesate dalle autorità nella repressione delle ondate di renitenza e diserzione che avevano caratterizzato la prima leva post-unitaria La larga impunità di cui avevano goduto i refrattari della classe 1839 rappresentò per i coscritti della classe successiva un forte incentivo ad abbracciare la scelta della latitanza, confidando nella
speranza che troppi essendo i renitenti, diventerà impossibile ad eseguire la Legge, e seguirà di essa come delle Leggi pontificie che si proclamavano, ma non si mandavano ad effetto (91)
Nel corso del 1861, il numero dei latitanti, ridotto solo di poche unità dalle presentazioni volontarie e dagli arresti eseguiti dalla forza pubblica e ingrossato dai giovani della classe 1840 che si erano sottratti alla chiamata, aveva raggiunto proporzioni decisamente allarmanti:
è doloroso -osservava sconsolato l'intendente provinciale Tirelli- di scorgere che in questa Provincia abbondino i renitenti e disertori
La causa principale della "superstiziosa ostinazione" dei coscritti veniva individuata ancora una volta nell'efficacia della propaganda clericale:
colpa è delle famiglie loro, le quali si lasciano raggirare da perfide insinuazioni, e di non poche proprietarj e di altre persone più influenti dei luoghi, che omettono per apatia, ed anche per egoismo, di dare ai loro coloni ed ai refrattarj stessi suggerimenti atti a renderli diffidenti quanto importa contro una setta abbastanza conosciuta, la quale, ciecamente reazionaria, abusando con tenebrose arti della loro ignoranza o buona fede per distorli dall'obbedienza alle patrie leggi, non avrebbe ribrezzo, se il potesse, di suscitare pur anco la guerra civile (92).
Una situazione analoga a quella del forlivese caratterizzava anche le altre provincie romagnole e quelle umbre e marchigiane, anch'esse precedentemente soggette alla dominazione pontificia Di fronte alle dimensioni assunte dal fenomeno della latitanza dei giovani coscritti le autorità governative furono costrette a riconoscere l'inadeguatezza delle misure repressive fino ad allora adottate e la necessità di impiegare mezzi più drastici per
porre fine una volta ad un simile stato di cose che riesce infetto alla pubblica sicurezza, e potrebbe, ove più a lungo durasse, ingenerare negli animi la persuasione che sia lecito di violare impunemente la legge (93).
I provvedimenti emanati dal governo si ispirarono ad una concezione che rappresenterà una costante della politica interna italiana post-unitaria: il ricorso all'esercito per garantire il mantenimento dell'ordine pubblico Nel maggio del 1861 il ministro della guerra ordinò alle truppe di linea stanziate nelle Romagne, nell'Umbria e nelle Marche di affiancare "attivamente" le forze di pubblica sicurezza nei servizi di pattugliamento e perlustrazione da eseguirsi "in tutti i luoghi dove possono trovarsi rifugiati, renitenti e disertori, per inseguirli senza sosta" (94). Nel settembre successivo il ministro dell'interno dispose che in tutti i comuni di domicilio dei renitenti e dei disertori fossero inviati dei "distaccamenti di truppa col soldo d'ordine pubblico a spese del Municipio". Questa misura repressiva aveva contemporaneamente lo scopo di rendere più capillare e continuativo l'impiego dell'esercito e di costringere i sindaci ad un'azione persuasiva più incisiva
verso i coscritti latitanti "per sottrarre i loro amministrati al peso di questo necessario provvedimento" (95). Nella provincia di Forlì la sua applicazione, già sperimentata con successo in "consimili circostanze", fu però impedita dalla "mancanza della forza numerica per mandarla ad effetto" e dopo una sola settimana venne sospesa (96). L'inasprimento della repressione non provocò tuttavia un incremento significativo degli arresti e delle presentazioni volontarie: a giudizio dell'intendente provinciale era stato "minimo il rintraccio di detti renitenti e disertori ottenuto dalle testé praticate ricerche" (97).
Il potere centrale, sollecitato dagli inviti ad abbandonare la "longanimità" che affluivano dalle autorità periferiche, decise allora di "porre in opera qualche altro temperamento che stringesse più da vicino i colpevoli e desse frutti più efficaci" (98). Il governo
dopo aver esitato alcun tempo sulla misura da adottare, alla fin fine, tenendo presente che era necessità suprema per l'Italia costituire un Esercito, che a costituirlo sarebbe stato in avvenire impossibile far nuove Leve ove andassero impuniti i renitenti ed i disertori di quelle già eseguite, decise ed ordinò che nelle Provincie ove maggiore era il numero di cotesti refrattarii fosse mandato un picchetto ad alloggio militare presso le famiglie de' colpevoli (99)
Il fine di questa misura eccezionale era duplice. Da un lato, essa intendeva forzare i renitenti e i disertori a costituirsi volontariamente per evitare che le loro famiglie fossero costrette a subire l'onere del mantenimento di un numeroso drappello di soldati (100). Dall'altro, il piantonamento delle case dei latitanti poteva consentire di operare l'arresto di quei giovani che, ignari della presenza del picchetto, si fossero recati in famiglia per soddisfare le proprie necessità di approvvigionamento. L'applicazione del provvedimento repressivo fu limitata inizialmente alle Marche e all'Umbria In seguito, visti i buoni risultati ottenuti da questo "esperimento", le autorità locali delle Romagne, del modenese e del parmense domandarono al governo che la "stessa rigorosa misura" fosse estesa al loro territorio, assicurando che essa avrebbe esercitato
una influenza efficacissima per le venture Leve, poiché dando al Governo nome di Governo forte, toglierebbe a molti giovani la voglia di sottrarsi ai proprii doveri verso la patria (101).
In provincia di Forlì l'imposizione dei picchetti militari alle case dei refrattari ebbe inizio alla metà di ottobre del 1861 e si protrasse per circa un mese (102). L'adozione del provvedimento suscitò reazioni contrastanti Caldeggiato dai funzionari governativi periferici, esso fu in genere accolto con favore anche dalle autorità municipali, che in qualche caso sembrarono però condivedere le proteste della popolazione. Il sindaco di Saludecio, ad esempio, pur lodando la "saggia risoluzione presa dal Governo", richiese a nome dei genitori dei latitanti la sospensione della sua applicazione:
L'ufficio scrivente [...] nell'interesse dei suoi Amministrati non sa a meno d'invocare a loro vantaggio una proroga che oltre a servire di ultimo esperimento, risparmierebbe molti danni e molte dispiacenze alle stesse famiglie (103).
Sul fronte delle opposizioni politiche il ricorso ai picchetti militari fu approvato dallo schieramento democratico, che mostrò di apprezzare il rigore della decisione governativa:
Il governo -scriveva il quotidiano "La Voce del popolo"- finalmente ha capito ove stava la camola e dopo aver lasciato correre in tutto e per tutto,
finalmente vuole far da senno per la leva.
Lo stesso giornale deplorava tuttavia che si fosse voluto
attuare la leva laddove non vi fu mai; e col volerla attuare nel sistema delle provincie antiche (104)
Al contrario, ovviamente, il provvedimento venne giudicato dall'area clericale come una manifestazione arbitraria ed illegale dei poteri dello stato. Annotava, ad esempio, il canonico Sassi nella sua cronaca:
Delizie della libertà! Per ordine del Ministero dell'Interno [...] sono stati mandati alli Casi dei renitenti alla Leva sette militi del corpo dei Bersaglieri, per cadauna casa, e questi dovranno essere mantenuti a carico delle Famiglie dei stessi renitenti. [...] Chi è che non conosce, che questa è una disposizione che viola la Costituzione, e pure si fa questo, e molto di peggio incostituzionalmente e nessuno pensa a reclamare, e mettere in istato d'achusa chi ordina, e comanda questa e tanta altra prepotenza (105)
A conforto di questa tesi i fogli clericali condussero una tenace battaglia polemica per dimostrare che la presenza dei picchetti aveva dato luogo a numerosi soprusi commessi dai soldati a danno delle famiglie presso le quali si erano installati. Due coloriti esempi sono forniti dal quotidiano "L'Eco" Il primo è relativo al bolognese:
la brigata si ferma nelle case de' malcapitati contadini, e nei poderi: quivi sta a grande agio, mangia e beve e protesta che non si moverà se non esce fuori il renitente e non si consegna. I contadini sono costretti a sopportarli senza gridare sin che a loro piace, e l'uva e le frutta e i polli se ne avvedono (106)
Il secondo esempio si riferisce invece alle Marche:
l'umanissimo governo modello ha posto in casa del suo disgraziato padre [di un renitente] non pochi soldati che barbaramente li consumano quel po' che aveva e perfino il corredo della figliuola che doveva andare a marito (107)
Se queste descrizioni non sono probabilmente prive di qualche esagerazione a fini propagandistici, ancora meno credibile appare il quadro quasi idilliaco dipinto dal generale Torre:
Questa misura certamente grave fu temperata da ordini severissimi ai soldati destinati per le case perché usassero modo e contegno di buoni cittadini, e il soldato rispose mirabilmente al pensiero del Governo, ed in qualche povero casolare, anziché aggravio, recò conforto ed aiuto (108).
Il ricorso ai picchetti militari ottenne l'esito sperato dalle autorità Pur limitato ad un solo mese di applicazione il provvedimento, secondo il generale Torre, conseguì nelle Romagne un "ottimo successo" (109) Lo stesso canonico Sassi conferma, dal fronte opposto, l'efficacia della misura repressiva:
i poveri renitenti, che si ritrovano girovaghi, per non vedere sacrificata la propria Famiglia, si sono piuttosto immediatamente costituiti (110).
La disposizione governativa si dimostrò particolarmente efficace nel porre fine ad una forma di latitanza che era assai diffusa nelle campagne del forlivese. I giovani refrattari, infatti, quando le necessità di sopravvivenza del nucleo famigliare lo richiedevano, non fuggivano all'estero ma si nascondevano nelle vicinanze della propria abitazione per poter continuare a fornire le proprie prestazioni lavorative (111) In questi casi erano gli stessi congiunti che per non vedere compromesse le proprie risorse economiche da una lunga e onerosa permanenza dei soldati, invitavano i giovani a costituirsi: le famiglie, scriveva il sindaco di Saludecio, "promettono che si daranno tutta la cura ed interessamento" per convincere i figli a "presentarsi spontanei" (112) Per converso, la presenza del picchetto si rivelò priva di efficacia quando il renitente o il disertore si era rifugiato all'estero o aveva comunque interrotto i contatti con la propria famiglia, essendo questa impossibilitata a rintracciarlo (113)
Il numero dei latitanti, per effetto delle numerose presentazioni volontarie subì in tutta la provincia una sensibile diminuzione (114) A ridurre l'area della latitanza contribuì inoltre il parallelo incremento degli arresti (115). La cattura dei refrattari fu indirettamente favorita dall'imposizione dei picchetti che, privando i latitanti della possibilità di contare sulla casa paterna per nascondersi o rifornirsi di cibo, consentì alle pattuglie in perlustrazione di intercettare i giovani che vagavano sbandati per le campagne.
Il "rigore" che aveva contraddistinto l'azione repressiva del governo fu successivamente mitigato dalla concessione di un'amnistia a tutti i renitenti che erano stati arrestati o si erano costituiti entro il mese di dicembre (116). L'amnistia, rivolta in particolare ai refrattari delle "Provincie nuove" che avevano concorso per la prima volta alla leva, intendeva appunto premiare "l'atto da molti di essi spontaneamente compiuto di sottomissione alla Legge" (117). Questo "benefizio" trovava tuttavia una seconda motivazione nell'"interesse del militare servizio", nella necessità cioè di neutralizzare le deficienze che a causa dell'alta renitenza di alcuni circondari si erano prodotte nel contingente complessivo di arruolati (118).
Oltre ad ottenere un deciso ridimensionamento della latitanza il ricorso ai picchetti, avvenuto in concomitanza con la chiamata della classe 1841, si rivelò anche un efficace deterrente alla renitenza In questa leva la percentuale dei coscritti dichiarati renitenti scese infatti nella provincia di Forlì al di sotto del 20%, attestandosi sul 14, 50% Un secondo fattore, tuttavia, influì in misura ancora maggiore sulla dinamica discendente del fenomeno: l'annessione al regno delle vicine Marche, allontanando il confine con lo stato pontificio, rese meno facilmente praticabile il percorso di fuga seguito fino ad allora dai refrattari (119). La caduta del tasso di renitenza fu particolarmente sensibile nei circondari di Rimini e di Cesena (nel primo passò dal 32, 17% al 18, 15% e nel secondo dal 14, 85% al 3, 73%), mentre in quello di Forlì restò pressoché invariato e ancora superiore a questa soglia (21, 28%) (120). Parallelamente anche il numero dei disertori registrò una drastica riduzione: la percentuale dei mancanti alla partenza dei contingenti precipitò dal 64, 01% al 15, 07% (121). Nonostante questa forte diminuzione della quota di refrattari la situazione del reclutamento rimaneva tuttavia preoccupante.
L'istituzione della leva -scriveva infatti il prefetto di Forlì nella sua relazione annuale al ministro della guerra- essendo, può dirsi, ancora nuova per questi Paesi, né essendo pienamente entrata nei costumi, e nelle abitudini di queste popolazioni, il numero dei renitenti, sebbene vada scemando, pure è ancora notevole (122)
In occasione della leva della classe 1841, effettuata anche nelle Marche, in Umbria e in Sicilia, si era verificato un deciso innalzamento dell'indice generale di renitenza che aveva raggiunto il 9, 67%. Questa inversione di tendenza, provocata dall'altissimo numero di renitenti che caratterizzava queste regioni, aveva prodotto una sensibile variazione della geografia della renitenza. Prescindendo dalla consueta presenza delle circoscrizioni marittime liguri, le prime posizioni nella classifica dei circondari con le maggiori percentuali di refrattari erano ora diventate
Nella leva successiva, indetta nel luglio del 1862 sui giovani nati nel 1842, la tendenza alla diminuzione della renitenza venne confermata: il tasso provinciale passò dal 14, 50% all'11, 35%. Questa riduzione della percentuale aggregata non rispecchiava tuttavia un andamento omogeneo degli indici nei singoli circondari Mentre in quello di Forlì si verificò un crollo verticale della renitenza (dal 21, 28% al 7, 09%), la quota di renitenti rimase invece stabile nel riminese (18, 65%) e risalì addirittura all'8, 47% nel cesenate (126)
Questa ripresa della renitenza nel circondario di Cesena era stata provocata, secondo il sottoprefetto Pallotta, da una più attiva propaganda clericale:
in quest'anno ebbero ad effettuarsi casi di renitenza in maggior copia che nell'anno decorso, ma ciò devesi in grandissima parte attribuire alle mene dei clericali (127).
L'azione "subornatrice" svolta dal clero, specie da quello regolare, era stata particolarmente incisiva nel mandamento di Sogliano:
su cento e sette inscritti [...] ben trentotto di essi si resero renitenti, e cioè oltre il terzo di essi, numero così esorbitante, che non ha riscontro, neppure approssimativo, in alcuno degli altri Mandamenti del Circondario, e tale manifestazione di avversione alle vigenti leggi, devesi per voce pubblica, e per indubbia illazione all'opera tenebrosa dei detti Padri Osservanti (128)
Non era casuale, di fronte a questo rigurgito di renitenza, che le accuse rivolte al partito clericale di fomentare la fuga dei giovani dall'obbligo militare acquistassero una maggiore virulenza rispetto al passato. Se anche in occasione delle leve precedenti i funzionari governativi periferici avevano imputato alla propaganda contraria del clero le difficoltà incontrate nelle operazioni di reclutamento, il ricorso a questa giustificazione non era stato disgiunto dall'indicazione di altre cause: in primo luogo la "naturale ripugnanza" dei giovani per questo "insolito tributo". Ora, trascorsi alcuni anni dall'introduzione della coscrizione obbligatoria, l'insistere su questa seconda motivazione rischiava unicamente di sottolineare le carenze dell'opera di sensibilizzazione intrapresa dalle autorità e il limitato consenso conquistato dalla classe politica liberale. Diventava pertanto obbligato il tentativo di addossare esclusivamente alla mobilitazione clericale la responsabilità della perdurante ostilità dei coscritti, a tal punto che questo elemento venne assumendo una centralità quasi ossessiva
La leva della classe 1842 fu la prima su scala realmente nazionale. Nei 193 circondari del regno la percentuale di renitenti, gonfiata dagli alti valori delle provincie napoletane, salì all'11, 51%, toccando il vertice massimo raggiunto dalla curva della renitenza nella storia post-unitaria L'universalità geografica di questa leva consente di analizzare con maggiore completezza la distribuzione territoriale del fenomeno Nel 1862 due Italie si fronteggiavano: quella "della rivolta e del rifiuto" e quella "del consenso e della rassegnazione" (129). La prima, caratterizzata da un alto tasso di renitenza, cioè superiore a una volta e mezzo la media nazionale, comprendeva 39 circondari: 15 siciliani, 7 marchigiani, 6 umbri, 4 campani (tra cui Napoli che, con oltre il 57%, era il circondario con la percentuale più alta), 3 abruzzesi, 2 liguri, 1 toscano e 1 romagnolo (Rimini). Della seconda, contraddistinta da un basso indice di renitenza, vale a dire inferiore ad un terzo della
33 appannaggio delle provincie marchigiane, umbre e siciliane. All'interno di questo quadro mutato i circondari di Forlì e Rimini, con un tasso di renitenza pari al doppio della media complessiva, continuavano però ad occupare una posizione poco lusinghiera nella graduatoria (123) Il circondario di Cesena, al pari della maggior parte delle altre circoscrizioni romagnole, si era invece ormai allineato ai valori denunciati dalle "antiche provincie" dello stato (124) Per effetto di questo calo generalizzato su scala regionale la percentuale di renitenti delle Romagne (7, 03%) si attestò per la prima volta ad un livello inferiore rispetto a quella generale (125).
media del regno, facevano invece parte 64 circondari: 20 piemontesi, 19 lombardi, 9 toscani, 7 degli ex ducati emiliani, 5 sardi, 1 romagnolo (Bologna), 1 molisano, 1 campano e 1 calabrese. L'area ad alta renitenza si estendeva nell'Italia centromeridionale, dove comprendeva tutti i circondari marchigiani e umbri e alcuni abruzzesi e campani, e in Sicilia, con qualche propaggine più settentrionale in Liguria, nella Toscana e nelle Romagne L'area a bassa renitenza, coinvolgendo la quasi totalità dei circondari del Piemonte, della Lombardia, della Toscana e dell'Emilia, occupava invece il centro-nord della penisola, con alcune appendici in Sardegna e in pochissime circoscrizioni meridionali (130) Questa mappa della renitenza sottolinea, da un lato, il differente comportamento verso l'obbligo militare delle "antiche" e delle "nuove" provincie del regno e conferma, dall'altro, la profonda frattura esistente tra le regioni "educate alla coscrizione" e quelle "affatto nuove alla medesima" (131)
Questa seconda discriminante non era però valida per tutti i territori annessi allo stato sabaudo Mentre le provincie continentali dell'ex regno delle Due Sicilie, pur conoscendo l'istituto della coscrizione, denunciavano un'alta renitenza, quelle romagnole, che non erano mai state soggette in passato alla leva obbligatoria, si segnalavano per una quota di renitenti abbastanza modesta (5, 55%) e comunque sensibilmente inferiore a quella delle Marche (29, 94%), dell'Umbria (28, 65%) e della Sicilia (28, 45%), le altre regioni in cui la coscrizione era sconosciuta prima del 1860 La rapidità con cui il tasso di renitenza delle Romagne, dai valori elevati delle primissime leve postunitarie, si era quasi allineato agli indici delle "antiche provincie" o di regioni già "educate" all'obbligo militare, quali la Lombardia e la Toscana, rappresentava un'eccezione nel quadro nazionale (132)
Una seconda peculiarità caratterizzava l'area romagnola: all'interno della realtà regionale convivevano infatti situazioni locali estremamente difformi Se Rimini, per il suo numero "ancora stragrande" di refrattari, era il solo circondario delle Romagne che continuava a far parte anche in questa leva del gruppo di circoscrizioni ribelli, Bologna, con una percentuale di renitenti inferiore all'1%, era invece avviata a meritarsi l'encomio del generale Torre per essere la "provincia modello d'Italia" tra quelle non "educate" alla coscrizione (133). Gli altri circondari, e tra questi anche Cesena e Forlì, si situavano, con valori comunque inferiori alla media nazionale, in una fascia di renitenza intermedia (134)
Nel forlivese la discesa del tasso provinciale di renitenza fu accompagnata dalla scomparsa dei fenomeni di diserzione che si erano verificati in passato alla partenza dei contingenti L'assenza di disertori non era tuttavia dovuta ad una positiva evoluzione delle disposizioni dei giovani arruolati, quanto piuttosto ad una apposita modifica che era stata apportata al testo della legge sul reclutamento La legislazione piemontese, modellata sul comportamento militare delle "antiche provincie", aveva infatti permesso che la diserzione assumesse proporzioni rilevanti nelle Romagne e nelle altre provincie non "educate alla coscrizione" Essa prevedeva che i giovani risultati abili fossero inviati ai corpi a cui erano stati assegnati soltanto dopo l'ultima sessione dei consigli di leva (135). Il considerevole lasso di tempo che separava il momento della visita di idoneità dalla chiusura delle operazioni di reclutamento consentiva quindi ai coscritti in attesa della partenza di rendersi nel frattempo irreperibili. Per porre fine a queste "fughe vergognose" fu disposto, con una legge emanata il 24 agosto 1862, che tutti gli arruolati nei contingenti di 1a e 2a categoria venissero "assentati immediatamente dopo l'esame definitivo" (136). Le reclute che ogni giorno erano state visitate e dichiarate idonee dai consigli di leva dovevano essere dirette, possibilmente mediante "vie ferrate" e con la scorta di alcuni graduati, ai "depositi di leva" appositamente istituiti (137)
I visitati di ogni giorno -scriveva infatti il canonico Sassi nel dicembre del 1862- sono stati subito spediti nel Vapore e mandati ad un Deposito provvisorio a Rimini (138).
I depositi erano dei centri di raccolta sorvegliati da personale militare in cui venivano provvisoriamente convogliati gli arruolati di più circondari limitrofi in attesa della loro
assegnazione definitiva ai diversi corpi dell'esercito. Questa modificazione legislativa rese ovviamente impossibile il ripetersi di quei massicci vuoti nei ranghi dei contingenti che si erano sempre prodotti nelle leve precedenti
Se la diminuzione del numero di renitenti verificatasi nel forlivese in occasione della chiamata della classe 1842 confortò le autorità locali sui progressi compiuti dai coscritti nell'accettazione dell'obbligo militare, rimaneva tuttavia irrisolto il problema dell'elevato numero di refrattari ancora latitanti. Alla data del 30 agosto 1863 questo numero ascendeva in tutta la provincia a 827 unità su un totale di 1397 coscritti delle classi 1839-42 dichiarati renitenti, pari ad una percentuale del 59, 20%. Il circondario caratterizzato da una maggiore latitanza era quello riminese, con oltre i due terzi dei refrattari ancora alla macchia (139).
Alla riduzione del tasso di renitenza non aveva quindi corrisposto un incremento altrettanto significativo dell'efficacia repressiva dello stato. I renitenti arrestati erano stati complessivamente 259: 110 del circondario di Forlì, 95 di quello di Cesena e 54 di quello di Rimini (140) Questa cifra, che può apparire a prima vista assai considerevole, non rappresentava tuttavia neppure un quinto del totale dei renitenti appartenenti alle quattro classi.
Se le difficoltà incontrate nell'operare la cattura dei renitenti avevano impedito di "purgare" il territorio provinciale dai "molti refrattarii alla Legge", gli appelli rivolti dalle autorità ai coscritti latitanti per convincerli a presentarsi spontaneamente conseguirono un successo ancora minore A tutto l'agosto del 1863 si erano costituiti nella provincia di Forlì soltanto 143 renitenti (66 del circondario del capoluogo, 57 di quello di Cesena e 20 di quello di Rimini), un numero largamente inferiore a quello degli arresti eseguiti nel medesimo periodo (141) Alla formazione di questa cifra aveva inoltre contribuito in misura preponderante l'imposizione dei picchetti militari alle case dei latitanti, che provocò negli ultimi mesi del 1861 una decisa impennata nell'andamento delle presentazioni volontarie. Dopo questa data il numero dei renitenti che si erano costituiti ammontava invece a poche unità (142).
4. Gli anni della rassegnazione
A partire dalla leva indetta nell'autunno del 1863 incominciò a prodursi, quantomeno a giudicare dai rapporti inviati dalle diverse autorità periferiche al prefetto, un progressivo miglioramento nel comportamento dei coscritti. La chiamata della classe 1843 sembrò infatti caratterizzata, in diverse situazioni locali, da un clima che testimoniava una maggiore disponibilità ad ottemperare all'obbligo militare. A differenza di quanto era accaduto nelle leve precedenti, non solo i giovani si presentarono "quasi tutti" all'estrazione, ma essi si dimostrarono anche "pieni d'entusiasmo", "volenterosi a partire" e "conscj che da quell'urna sorte la civiltà, l'indipendenza e l'unità della nazione" (143). In alcuni comuni il sorteggio si svolse addirittura in un una cornice di festa e di grande partecipazione collettiva A Saludecio, ad esempio, il paese era tutto in festa, le bandiere nazionali sventolavano dal Palazzo Municipale; la banda cittadina rallegrava de' suoi concerti l'operazione [ ], ed infondeva nell'animo degli inscritti allegria e spirito marziale (144).
Il "numeroso e spontaneo concorso" dei giovani all'estrazione provava, secondo il prefetto Campi, che nella provincia "l'avversione al servizio militare [era] grandemente scemata se non intieramente dileguata" (145) Analogamente il sottoprefetto di Rimini scriveva che il positivo andamento dalle operazioni di leva lasciava
arguire d'un miglioramento nei sentimenti delle popolazioni campagnole, vedendosi in esse una maggiore disposizione all'osservanza della Legge, e lo sviluppo di un sentimento patrio, quale non si verificava in addietro (146)
I progressi registrati sul versante del reclutamento si accompagnavano, del resto, ad un più generale "miglioramento dello spirito pubblico" Nonostante l'influenza del clero fosse ancora notevole in alcuni comuni rurali, ormai anche nella "parte più rozza e più ignorante" della popolazione si andavano "sempre più generalizzando l'affetto al Re ed alle Patrie Istituzioni" e il "favore per l'attuale politico ordinamento" (147). Questo maggiore consenso che circondava la classe politica nazionale aveva impedito che il "persistente lavorio dei preti" per boicottare la coscrizione conseguisse gli stessi successi riportati in passato:
Se le perfide e latenti insinuazioni non saranno mancate per parte del partito clericale onde dissuadere i Coscritti dal presentarsi alla visita pella leva, sembra abbiano naufragato contro lo scoglio del buon senso che ogni dì più va formandosi nelle masse anche campestri (148)
A conferma di questo clima mutato il tasso provinciale di renitenza, proseguendo la sua graduale caduta, scese in questa leva sotto la soglia del 10% (7, 53%). La riduzione del numero dei renitenti non fu tuttavia generalizzata in tutta la provincia. Mentre nei circondari di Cesena e Forlì si verificò un sensibile calo dei valori percentuali, passati rispettivamente dall'8, 47% all'1, 31% e dal 7, 09% al 1, 92%, nella circoscrizione di Rimini la quota di renitenti rimase quasi inalterata e ancor assai elevata (17, 12%) Dalla leva del 1863 emerge pertanto un quadro estremamente contraddittorio, all'interno del quale le differenze già esistenti all'interno del territorio provinciale risultano ulteriormente accentuate. Da un lato, Cesena e Forlì, con una percentuale attorno all'1%, eguagliano i bassissimi livelli di renitenza propri dei circondari piemontesi o lombardi Dall'altro, Rimini, con un tasso pari a tre volte la media nazionale (scesa in questa leva al 5, 80%), continua a collocarsi tra i circondari del regno che denunciano il maggior numero di renitenti (149) Se nel
La permanenza di un così alto numero di renitenti nel riminese smentisce, almeno in parte, i toni trionfalistici sul miglioramento delle disposizione dei coscritti che i funzionari periferici avevano usato in occasione del sorteggio Lo stesso prefetto fu costretto ad ammettere che allo "splendido risultato" conseguito dalla leva della classe 1843 non aveva contribuito il circondario di Rimini (151).
Anche nella leva successiva, sui nati nel 1844, i rapporti inviati al prefetto sono concordi nel segnalare "la spontaneità e l'allegria" con cui i giovani si erano presentati ad estrarre il proprio numero I funzionari periferici assicuravano che "tolte pochissime eccezioni ebbe a ritrovarsi nell'inscritti eccellenti disposizioni per la Leva" e che dal loro "contegno, e linguaggio si può pronosticare che di questa leva non si verificheranno renitenti" (152).
La renitenza, ormai limitata a pochissimi casi nel cesenate e nel forlivese, registrò una riduzione significativa anche nel circondario di Rimini: il tasso del riminese passò infatti dal 17, 12% al 12, 43% A partire da questa leva la percentuale di renitenti della provincia (4, 69%) scese stabilmente al di sotto della media nazionale (4, 79%) (153).
A questa diminuita incidenza della renitenza fece riscontro anche una contrazione della quota di coscritti latitanti La percentuale di renitenti alla macchia che nell'agosto del 1863 sfiorava il 60% scese nell'aprile dell'anno successivo al 46, 45% (154). Questa riduzione, come confermano le poche presentazioni volontarie che si verificarono nel biennio, era stata resa possibile da una maggiore efficacia della repressione rispetto al passato. L'impiego di informatori, la concessione di premi agli agenti della forza pubblica e l'esecuzione, di concerto con le autorità delle confinanti provincie di Pesaro e Firenze, di alcuni capillari rastrellamenti nelle zone di rifugio dei latitanti consentirono di incrementare il numero degli arresti (155).
L'impossibilità di estendere questa azione repressiva ai "santuari" della renitenza posti al di fuori dei confini nazionali fece tuttavia emergere nelle autorità la convinzione che soltanto la promessa di un'amnistia generalizzata avrebbe persuaso i coscritti ancora latitanti a costituirsi. Scriveva, ad esempio, il sottoprefetto di Rimini nell'agosto del 1864 che se il governo
venisse nella determinazione di promuovere da S. M. un'amnistia ai renitenti delle antecedenti Leve, questi, i quali nella maggior parte trovansi nello Stato Pontificio, ed alcuni nel Veneto, si costituirebbero sollecitamente, e tali assicurazioni vengono uniformemente date allo scrivente dai pochi renitenti che vennero a quando a quando presentandosi spontanei, reduci da quelle provincie (156).
Allo stesso scopo le autorità giudiziarie furono spesso invitate dal governo ad usare nei confronti dei refrattari processati "tutta quella mitezza che la Legge consente" (157) La "clemenza in fatto di simili reati commessi per inesperienza e per effetto di perverse insinuazioni", assicurava il sindaco di Sant'Arcangelo, avrebbe certamente convinto "altri disertori e renitenti a presentarsi" (158) In effetti, l'applicazione del minimo della pena, seguita spesso dalla concessione della grazia prima che essa fosse interamente scontata, contraddistingue la quasi totalità dei procedimenti istruiti dal tribunale di Forlì
Unitamente all'ampia estensione che conservava la latitanza un altro elemento suscitava la preoccupazione delle autorità. L'insistenza con cui circolavano nella provincia le notizie di un'imminente "lotta europea" faceva temere che la chiamata alla leva della classe 1845 potesse dare luogo ad una ripresa su larga scala della renitenza, essendo questa "sempre in proporzione diretta della maggiore probabilità di guerra" (159) Furono numerosi al riguardo i rapporti allarmistici
37 cesenate e nel forlivese la chiamata della classe 1843 segna quindi la conclusione della parabola della renitenza post-unitaria, la riduzione del numero dei refrattari nel riminese appare invece caratterizzata da una vischiosità assai maggiore, di cui è tuttavia difficile indicare le cause Probabilmente l'impunità di cui godettero a lungo i renitenti di questo circondario rappresentò un notevole incentivo alla renitenza (150)
inviati al prefetto. Scriveva, ad esempio, il delegato di pubblica sicurezza di Civitella:
l'opinione, e le voci sparse che vadasi contro una guerra ha posto in apprensione questi campagnoli; [...] io stesso ho avuto luogo sentire tali opinioni in questi stessi montanari, come del pari uomini ben'intenzionati hanno meco esternati gli stessi timori che nell'accennata contingenza si verifichi una troppo estesa, e organizzata renitenza. L'azione dei Preti di questi monti favorita dalla pusillanimità di villani ignoranti e abborrenti ogni idea di guerra, tanto più perché creduta vicina, può tornar loro coronata di effetto (160).
Nonostante questi timori, nella leva del 1865 non si verificò nella provincia alcun incremento della renitenza Al contrario, la notevole diminuzione del numero di renitenti nel circondario di Rimini provocò un ulteriore abbassamento del tasso provinciale che passò dal 4, 69% al 3, 19% (161). Una qualche influenza della concomitanza tra la chiamata di leva e i preparativi di guerra contro l'Austria è tuttavia riscontrabile nel leggero innalzamento della percentuale di renitenti dei circondari di Cesena e Forlì. Questa tendenza era del resto coerente con l'andamento dell'indice nazionale, salito dal 4, 97% al 5, 24% (162)
La leva della classe 1845 rappresenta quindi un'interessante occasione di verifica dei progressi compiuti dai coscritti nell'ottemperare all'obbligo militare. I giovani, assicurava il delegato di pubblica sicurezza di Forlì,
obbediscono alla chiamata e dichiarati abili si recono gajamente ai reggimenti di loro destinazione, addimostrandosi per nulla intimoriti, anzi contenti delle notizie belligere che circolano (163).
Se questa testimonianza è palesemente inverosimile, la mancata recrudescenza della renitenza in una situazione che contiene tutti gli elementi atti a suscitarla costituisce indubbiamente una prova decisiva che la coscrizione era ormai accettata come una realtà inevitabile dalla stragrande maggioranza della popolazione. Il prefetto Campi, dopo aver compiuto una visita nei diversi comuni della provincia, aveva infatti scritto in una relazione redatta nell'ottobre del 1864:
Solo la leva, continua, fra le popolazioni rurali ad essere argomento di malcontento; ma se non può dirsi che questo sia in qualche modo scemato, è però vero che la resistenza è minore, e direi quasi subentrata a questa una forzata e dolorosa rassegnazione (164)
Certamente, è all'emergere di questo sentimento di passività, nato dalla consapevolezza di una lotta impotente contro lo stato, piuttosto che all'affermarsi del "senso dell'onore" e dell'"amor patrio" tra i coscritti, che bisogna fare riferimento per spiegare la conclusione della vicenda della renitenza postunitaria nel forlivese (165)
Dopo il 1865, se si eccettua una risalita del tasso del circondario di Rimini nella leva della classe 1846 da imputare all'emergenza bellica, l'incidenza della renitenza nella provincia di Forlì diventerà del tutto irrilevante Nelle quindici leve eseguite posteriormente a questa data la percentuale di renitenti dei tre circondari si attesta attorno ad un livello fisiologico dell'1%, e più spesso al di sotto di questa soglia In diverse chiamate, inoltre, i circondari di Forlì e Cesena non denunciano la presenza di alcun refrattario: sette volte il primo e sei il secondo (166).
La renitenza, tuttavia, per quanto fosse scomparsa al momento della chiamata di leva, continuò ad essere presente per tutti gli anni sessanta nelle preoccupazioni delle autorità Assai numerosi erano infatti i renitenti delle classi precedenti che risultavano latitanti: nel giugno del 1865 quattro refrattari su dieci si trovavano ancora alla macchia (167) Soltanto dopo la concessione di
due amnistie, la prima nell'aprile del 1868 e la seconda nell'ottobre del 1870, la quota di latitanti si ridusse considerevolmente (168). Nel settembre del 1874, tuttavia, dopo che due anni prima era intervenuta una terza amnistia, il nocciolo duro della renitenza poteva ancora contare sul 15% (169) Gli ultimi intransigenti saranno infine cancellati dalla renitenza con un decreto del 1887 che prescriveva il reato (170)
Note al capitolo II
(1) La Legge del 30 giugno 1860 (n 4140) rendeva esecutiva in Lombardia, in Toscana e in Emilia la Legge organica sul Reclutamento dell'Esercito del 20 marzo 1854, con le successive modificazioni apportatevi, mentre la Legge del 30 giugno 1860 (n. 4141) autorizzava il governo ad operare la leva militare della classe 1839 in Piemonte, Liguria, Sardegna e nelle provincie di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì. Il plebiscito che aveva sanzionato l'annessione delle Romagne si era svolto l'11 e il 12 marzo.
(2) Gioacchino Sassi, [Cronaca intitolata] Selva di memorie e di fatti riguardanti la città di Cesena [dalle origini all'agosto 1880], ms XIX sec , 11 voll , vol VIII, p 529) Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca comunale Malatestiana di Cesena. I singoli volumi recano il titolo "Giornale dei fatti i più memorabili accaduti in Cesena ed altrove, e che hanno relazione con questa stessa città raccolti dal sacerdote Gioacchino Canonico Sassi di detta città" Dell'opera del canonico cesenate Nazzareno Trovanelli dava questo giudizio: "In tutto, una ventina di volumi manoscritti; assai importanti, malgrado lo spirito retrivo che vi predomina" (Storia di Cesena 1a lezione, in "Il Cittadino", a. XV, n. 14, 5 aprile 1903, pp. 2-3, 3). La cronaca di Sassi, proprio per questa sua parzialità, riveste tuttavia un grande interesse, consentendo di sondare l'atteggiamento del clero verso la coscrizione; in secondo luogo va sottolineato come l'autore, per il periodo compreso tra il 1830 e il 1880, fosse un testimone diretto, anche se interessato, degli avvenimenti descritti.
(3) Archivio segreto vaticano (d'ora in poi A. S. V. ), Segreteria di Stato, 1860, rubr. 165, fasc. 82, lettere della vedova Perani Poli alla nipote Antonia Tossini, Bologna, 11 e 17 luglio 1860, cc. 121v, 123r Su questa singolare figura di donna attiva politicamente sul fronte papalino non disponiamo purtroppo di alcuna informazione.
(4) A S V , Segreteria di Stato, 1860, rubr 165, fasc 62, lettera del delegato apostolico di Pesaro monsignor Bellà al segretario di Stato, Senigallia, 28 luglio 1860, c. 154r.
(5) Tumulti e proteste collettive contro l'introduzione della coscrizione si verificarono a Cervia nel ravennate, ad Argenta e Goro nel ferrarese, a Budrio, Castel d'Argile, Castelguelfo, Minerbio, Monghidoro, Mordano, Monzuno e Pian di Venola nel bolognese (ivi, lettere del delegato apostolico di Pesaro monsignor Bellà al segretario di Stato, Senigallia, 29 luglio e 8 agosto 1860 e Urbino 5 settembre 1860, cc 157v, 172r-v, 196r-v; ivi, fasc 82, cit , lettere della vedova Perani Poli alla nipote Antonia Tossini, Bologna, 25 luglio, 10 e 14 agosto 1860, cc. 131r, 144v, 146r; Cammelli, Al suono delle campane..., cit., pp. 128-129, 163).
(6) A. S. V., Segreteria di Stato, lettera del delegato apostolico di Pesaro..., 28 luglio 1860, cit., c. 154r; Sassi, Selva di memorie , cit , vol VIII, pp 529-530; Archivio di stato di Forlì (d'ora in poi A. S. Fo. ), Tribunale penale, 1860, b. 38, fasc. 1456, c. 181r-v. Gli arrestati, nove contadini di Cesenatico e Sala, di età compresa fra i 19 e i 55 anni, furono inquisiti dal tribunale penale di Forlì con l'accusa del reato di ribellione Secondo la deposizione di un testimone lo scopo dei "complotti armati" era quello di "fare una rivoluzione contro il Governo" (ivi, c. 2r). Il procedimento si trascinò per quasi due anni, dando luogo a un fascicolo processuale assai voluminoso Il 31 marzo 1862 il tribunale emise una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di sei imputati, mentre gli altri, il 26 aprile successivo, vennero condannati ad una pena che negli atti, incompleti nella fase conclusiva del processo, non viene specificata Il tumulto viene ricordato anche da S Sozzi, Da Quarto all'Aspromonte (Cesena 1860-1862), Faenza, 1961, pp. 53-54; l'autore, che ha verosimilmente ripreso la cronaca di Sassi, colloca tuttavia l'episodio al 22 giugno
(7) A. S. V., Segreteria di Stato, lettera del delegato apostolico di Pesaro..., 5 settembre 1860, cit., c. 196r-v I disordini avvenuti nelle campagne forlivesi, innescati dall'"avvertimento della prima leva ossia coscrizione" che il sindaco di Forlì Romagnoli aveva fatto pubblicare il 12 agosto, sono ricordati anche dal cronista locale Calletti: "E perché la Campagna in causa di essa Leva non trovavasi del tutto tranquilla, massime in quanto riguarda i Contadini della Parrocchia di Villafranca, non pochi de' quali eransi armati per distornarla, così il Generale Comandante la guarnigione quì residente spedì in essa Villa buon numero di cavalleria e fanteria onde frenare l'audacia di coloro che si erano fatti capi del sollevamento. Giunta quindi la forza armata in detta Villa fece non pochi prigionieri, quali disarmati tradusse nelle Carceri della Rocca di Forlì" (Giuseppe Calletti, Storia della città di Forlì [dalle origini all'anno 1862], ms XIX secolo, 5 voll , vol. V, pp. 252, 257). Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca comunale Saffi di Forlì (d'ora in poi B C S Fo ) Il vol V reca il titolo "Continuazione della mia storia o meglio cronaca patria"
(8) A. S. V., Segreteria di Stato, lettera del delegato apostolico di Pesaro..., 28 luglio 1860, cit., c. 154r
(9) A S Fo , Prefettura, 1860, tit XVII, rubr 20, b 771, lettera dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni all'intendente generale della provincia di Forlì, Rimini, 26 luglio 1860.
(10) A S V , Segreteria di Stato, lettera della vedova Perani Poli , 17 luglio 1860, cit , c 123r
(11) Si veda il capitolo IV
(12) In effetti, già durante la prima e la seconda Repubblica Cisalpina erano state emanate delle disposizioni in materia di reclutamento militare: la Legge del 30 novembre 1798 e quella del 30 ottobre 1801. Questi due provvedimenti, che accanto alla richiesta di contingenti di coscritti (779 per il dipartimento del Rubicone nel gennaio del 1799) prevedevano anche l'arruolamento forzoso degli "oziosi, e sospetti mancanti di mezzi di sussistenza", avevano però conseguito un sostanziale fallimento. La coscrizione venne abolita il 10 dicembre 1813, dopo la creazione del Regno d'Italia Indipendente, da un proclama del conte Nugent, generale comandante le truppe austro-britanne
(13) Sul sistema di coscrizione napoleonico si vedano: L. Antonielli, I prefetti dell'Italia napoleonica, Bologna, 1983, pp 454-474; C Zaghi, L'Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, in Storia d'Italia, Torino, 1986, vol. XVIII, t. I, pp. 539-563. Sulle vicende della coscrizione napoleonica nell'area romagnola si vedano: A Mambelli, La popolazione romagnola dall'età romana all'unità d'Italia. Note storiche-statisticheeconomiche-sociali, Forlì, 1964, pp. 189, 217 e segg.; V. Tonelli, Sarsina napoleonica, Imola, 1980, pp. 34, 56, 133-134; Atlante per il dipartimento del Rubicone, numero monogarafico di "Romagna arte e storia", a II (1982), n 6, pp 152-154; A Varni, Gli anni di Napoleone, in Storia di Cesena, Rimini, 1987, vol. IV, t. 1, pp. 87 e segg.
(14) Mambelli, op. cit., pp. 217, 219, 223-224; Tonelli, op. cit., pp. 88-89, 91-92, 95, 128; Varni, op. cit., pp. 78, 101. Altre strade praticate dai giovani per sfuggire alla coscrizione erano rappresentate dai matrimoni precoci o solo civili (cioè non consumati), dall'entrata in seminario o negli ordini religiosi, dalla simulazione di malattie e dalle mutilazioni volontarie (Zaghi, op. cit., pp. 555-556) Queste ultime due forme di resistenza alla leva obbligatoria verranno largamente praticate anche dai coscritti forlivesi del periodo post-unitario.
(15) Mambelli, op cit , pp 223-224; Tonelli, op cit , pp 60, 103, 127, 142-143; Varni, op cit , pp 96-97. A questi stessi mezzi, persuasivi e repressivi, faranno ricorso negli anni sessanta gli intendenti, i prefetti e i sindaci romagnoli per cercare di arginare la piaga della renitenza e della
diserzione.
(16) Tonelli, op cit , pp 233-245
(17) A Zanolini, Leva militare, in "La Favilla", a I, n 2, 18 febbraio 1860, pp 15-16, 15 "La Favilla", settimanale, poi bisettimanale, di tendenza liberalmonarchica, venne pubblicato a Rimini dall'11 febbraio al 14 aprile del 1860 per un totale di 17 numeri. La collezione del periodico è conservata presso la Biblioteca comunale Gambalunga di Rimini (d'ora in poi B C G Ri ) L'articolo era stato in precedenza pubblicato dal settimanale bolognese "L'Amministrazione", di cui Zanolini era il direttore (a. I, n. 9, 9 febbraio 1860). La collezione di questo secondo periodico, conservata alla Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna (d'ora in poi B C A Bo ), è lacunosa e il numero in parola risulta mancante.
(18) L. Tonini, Cronaca riminese (1843-1874), a cura di C. Curradi, Rimini, 1979, p. 33. Il manoscritto autografo della cronaca è conservato presso la B. C. G. Ri., dove risulta a catalogo col titolo Diario
(19) A S V , Segreteria di Stato, lettera del delegato apostolico di Pesaro , 5 settembre 1860, cit , c. 196r.
(20) Zanolini, art cit , p 15
(21) Si veda il capitolo I e il paragrafo 3 di questo stesso capitolo
(22) Monografia statistica, economica, amministrativa della Provincia di Forlì, a cura del Prefetto Giuseppe Campi, Forlì, 1866-67, 3 voll , vol III, p 37 Si veda anche S Sozzi, Democratici e liberali a Cesena (1863-1866), S. Sofia, 1965, p. 5: "Nei più si erano già dissipati quei sentimenti di solidarietà patriottica, venutisi a formare durante il periodo delle lotte contro il governo papale" E` interessante inoltre notare come nel corso del 1859 l'afflusso di volontari nei ranghi delle truppe emiliane organizzate dal generale Fanti fosse stato tanto ampio "che il Governo si lusinga[va] fondatamente di non aver bisogno di ricorrere ad una leva" (manifesto del sottoprefetto di Rocca S Casciano Bersotti, 4 maggio 1859, riprodotto in Cesena e la Romagna nel Risorgimento (18311870), Faenza, 1960, pp. 51-52).
(23) A. S. S. Ri., Carteggio..., circolare del ministro dell'interno..., 20 luglio 1860, cit.
(24) Ivi, tit. I, rubr. 1, circolare dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni ai sindaci del circondario, Rimini, 14 luglio 1860.
(25) Si veda il capitolo IV.
(26) A. S. S. Ri., Carteggio..., tit. I, rubr. 2, lettera del commissario di leva del circondario di Rimini Stobbia al sindaco di Rimini, Rimini, 8 agosto 1860.
(27) Zanolini, art. cit., p. 16.
(28) Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. VIII, p. 528.
(29) A S S Ri , Carteggio , tit I, rubr 2, lettera del sindaco di Rimini Ferrari all'intendente del circondario di Rimini, Rimini, 15 luglio 1860. Il sindaco, nel riconoscere la sua "assoluta impotenza", lamentava che "non era a supporre che si avessero ad incaricare i Comuni di dette
operazioni".
(30) Ivi, lettera del sindaco di Rimini Ferrari ai parroci della città, dei sobborghi e del contado, Rimini, 9 agosto 1860.
(31) Comportamenti analoghi del clero si verificarono anche nel bolognese (Cammelli, Al suono delle campane..., cit., p. 153) e nel pesarese (Uguccioni, art. cit., p. 15).
(32) Si veda, ad esempio, il processo celebrato contro Stanislao Tassinari, arciprete di S. Giovanni in Galilea, accusato di "rifiuto dei registri parrocchiali per redigere le note di leva dei nati nel 1843" (A S Fo , Tribunale penale, 1862, b 83, fasc 3016)
(33) A S Fo , Prefettura, 1861, tit XVII, rubr 20, b 788, lettera del sindaco di Forlì Romagnoli all'intendente generale della provincia di Forlì, Forlì, 30 giugno 1861. La lettera, datata 22 giugno, con cui il vescovo aveva comunicato il suo rifiuto, venne parzialmente riportata dal sindaco nella sua missiva all'intendente Tirelli
(34) Ivi, lettera del ministro di grazia e giustizia ed affari ecclesiastici Miglietti all'intendente generale della provincia di Forlì, Torino, 24 luglio 1861. In effetti l'art. 3 del regolamento sul reclutamento autorizzava unicamente i sindaci a consultare i registri parrocchiali.
(35) A. S. Fo., Prefettura, b. 771, cit., lettera dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni all'intendente generale della provincia di Forlì, Rimini, 11 luglio 1860
(36) M. d. G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843..., cit., pp. 113-114. Per ovviare a questo grave inconveniente il governo aveva inviato nelle provincie romagnole in qualità di commissari di leva dei funzionari che, per aver rivestito questo ruolo in occasione delle leve effettuate in passato nelle provincie sabaude, possedevano una notevole esperienza La carente preparazione delle autorità periferiche investite della responsabilità di soprintendere al reclutamento è d'altra parte indirettamente confermata dal proliferare di opuscoli contenenti istruzioni sulle operazioni di leva che furono pubblicati dopo l'entrata in vigore della legislazione militare piemontese nel resto d'Italia. Questa produzione, in genere frutto dell'iniziativa privata di alcuni commissari di leva delle "antiche provincie", era specificamente diretta ai funzionari governativi e alle autorità municipali delle provincie nuove alla coscrizione (si veda, ad esempio: P Pagnati, Prontuario contenente le istruzioni per le operazioni della Leva Militare, Alba, 1860; P. Magri - G. B. Negro, Manuale del sindaco per l'esecuzione della Legge sulla Leva Militare, Bologna, 1861)
(37) Nel circondario di Rimini, ad esempio, la prima seduta del consiglio di leva per procedere alla visita sanitaria dei coscritti ebbe luogo soltanto il 1 ottobre, venti giorni dopo il termine fissato dal regolamento. Il ministero della guerra, a causa di questo ritardo illeggittimo, invalidò la seduta (Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , p 68)
(38) Legge del 20 marzo 1854..., cit., artt. 8-10, 19-29 e 33-35.
(39) A. S. Fo., Prefettura, b. 771, cit., relazione dell'intendente generale della provincia di Forlì Tirelli al ministro della guerra, Forlì, 19 dicembre 1860
(40) Si veda la tabella III.
(41) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 69; M. d. G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843 , cit , p 8
(42) Monografia statistica..., cit., vol. III, pp. 39-40. Il prefetto Campi calcolò anche il maggior contingente di arruolati in prima categoria che la provincia di Forlì fu costretta a somministare a causa delle numerose cancellazioni.
classi di leva CAN % CO1 + CO1 1839 19 19, 02 3, 61 1840 20 18, 80 3, 64 1841 86 18, 12 15, 58 1842 99 21, 15 20, 94 1843 109 25, 11 27, 37 1844 117 26, 44 30, 93 1839-44 450 102, 07
legenda:
CAN = cancellati
% CO1 = proporzione tra il contingente di1a categoria e gli inscritti nelle liste d'estrazione + CO1 = maggior contingente di 1a categoria somministrato
fonte: Monografia statistica , cit , vol III, p 40
(43) Nell'estrazione a sorte della classe 1839 nel mandamento di Savignano, ad esempio venne inserito nell'urna un biglietto in più, mentre in quella della classe 1843 nel mandamento di Bertinoro cinque coscritti rimasero senza numero (A. S. Bo., Lista d'estrazione del mandamento di Savignano, classe di leva 1839, n 18; A S Fo , Prefettura, Gabinetto riservato, 1864, b 10, fasc 142, lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Bertinoro al prefetto di Forlì, Bertinoro, 11 ottobre 1863)
(44) Si veda, ad esempio, la nota di biasimo emessa dal ministero della guerra nei confronti del sindaco di Predappio per non essere intervenuto all'estrazione della classe di leva 1843 (ivi, 1862, b 4, fasc. 17). Si veda anche Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., pp. 93, 139.
(45) Su un totale di 184 sedute tenute dai consigli di leva durante le operazioni di reclutamento delle classi 1843-45 soltanto 66 volte i due consiglieri provinciali furono entrambi presenti (M. d. G , Della leva sui giovani nati nell'anno 1843 [-1845] , cit , documento III)
(46) A. S. Fo., Prefettura, b. 771, cit., telegramma dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni all'intendente generale della provincia di Forlì, Rimini, 23 agosto 1860
(47) Ivi: lettera del sindaco di Civitella all'intendente generale della provincia di Forlì, Civitella, 21 agosto 1860; telegrammi dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 23, 25 e 26 agosto 1860; telegramma dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni all'intendente generale della provincia di Forlì, Rimini, 3 settembre 1860.
(48) Ivi, lettera del sindaco di Civitella , 21 agosto 1860, cit
(49) Ivi, telegramma dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 28 agosto 1860.
(50) Ivi, telegramma dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni all'intendente generale della provincia di Forlì, Rimini, 5 settembre 1860.
(51) Ivi: lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì Tirelli al ministro dell'interno, Forlì, 25 agosto 1860; lettera dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 20 settembre 1860 La scarsa partecipazione all'estrazione era probabilmente dovuta anche alle difficoltà che i municipi, per l'accennata carenza di informazioni anagrafiche aggiornate, incontrarono nel recapitare i precetti ai coscritti Si deve inoltre considerare che tra i mancanti erano compresi anche i giovani già defunti e indebitamente o doppiamente iscritti, che solo successivamente saranno cancellati dalle liste di leva.
(52) Ivi, lettera del sindaco di Bertinoro all'intendente generale della provincia di Forlì, Bertinoro, 25 agosto 1860
(53) Ivi, lettera dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 18 agosto 1860 L'intendente richiese che la compagnia di bersaglieri inviata a Sarsina per presenziare al sorteggio rimanesse sul posto fino al termine delle operazioni di reclutamento come deterrente "al disordine lamentato dell'emigrazione"
(54) Ivi, circolare del ministro della guerra Fanti ai governatori delle provincie e agli intendenti di circondario, Torino, 7 luglio 1860 Si veda il capitolo III
(55) A S S Ri , Carteggio , tit I, rubr 1, lettera dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni al sindaco di Rimini, Rimini, 14 luglio 1860.
(56) Neppure l'elevato numero di cancellazioni, che induce comunque a ridimensionare la diffusione dell'atteggiamento ostile alla leva, è sufficiente a dare ragione del mancato intervento all'estrazione della maggior parte dei giovani coscritti
(57) A. S. Fo., Prefettura, b. 771, cit., lettera dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 12 settembre 1860 Questa assenza massicia era stata causata, secondo l'intendente, da un "equivoco circa il giorno fissato per tale seduta". L'episodio rappresenta un'ennesima conferma della estrema disorganizzazione che caratterizzò l'esecuzione delle operazioni di leva
(58) Ivi, lettera dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 17 settembre 1860. Un' ulteriore contraddizione è rappresentata dal fatto che, nonostante questa manifestazione di fervore patriottico, il mandamento di Sogliano denuncierà un'elevata quota di refrattari
(59) A S S Ri , Carteggio , lettera del commissario di leva del circondario di Rimini , 8 agosto 1860, cit.
(60) Si veda la tabella IV
(61) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , pp 82-83
(62) Cammelli, Al suono delle campane..., cit., pp. 129-130, 163. Anche nel ferrarese, come nel forlivese, la renitenza era favorita dalla vicinanza del confine; nel suo caso quello austriaco col Veneto (si veda la tabella V).
(63) Nelle "antiche provincie" un'elevata renitenza era limitata a qualche circondario della Sardegna, soggetta alla coscrizione soltanto a partire dal 1848, e alla fascia costiera ligure, "ove molti giovani di buon'ora sogliono emigrare in America" (Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 82; Rochat-Massobrio, op. cit., p. 45). Si veda la tabella VI.
(64) F Torre, Sunto della relazione sulle leve eseguite in Italia dall'annessione delle varie Provincie al 30 settembre 1863, Torino, 1864, p. 80.
(65) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 165.
(66) A S Fo , Prefettura, b 771, cit , lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì Tirelli al ministro dell'interno, Forlì, 10 novembre 1860. Un così elevato numero di diserzioni caratterizzava solo la provincia forlivese e il circondario sardo di Lanusei (si veda la tabella VII) La media generale dei mancanti alla partenza dei contingenti fu del 6, 35%.
(67) Deve essere tenuto presente che in questa prima leva il numero degli arruolamenti volontari venne in certa misura artificialmente gonfiato dall'inserimento nei ranghi dell'esercito, con una ferma regolare, di tutti quei volontari che avevano partecipato alla II guerra d'indipendenza contraendo una ferma "breve o eccezionale" (Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 81).
(68) Si veda la tabella VIII. La medesima situazione è riscontrabile anche negli altri circondari delle Romagne e in particolare in quello di Ravenna, dove un tasso di renitenza del 20, 23% si accoppiava ad una quota di volontari pari al 6, 30%.
(69) A S Fo , Prefettura, b 771, cit , lettera dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 9 novembre 1860.
(70) Ivi, lettera del ministro dell'interno Farini all'intendente generale della provincia di Forlì, Torino, 25 novembre 1860.
(71) Ivi, relazione dell'intendente generale della provincia di Forlì..., 19 dicembre 1860, cit.
(72) Il confine con lo stato pontificio, fino all'annessione delle Marche, avvenuta nel novembre del 1860, corrispondeva sostanzialmente a quello che divide attualmente le provincie di Forlì e di Pesaro-Urbino
(73) A. S. Fo., Prefettura, lettera dell'intendente del circondario di Cesena..., 9 novembre 1860, cit.
(74) Ivi, b. 771, cit., lettera dell'intendente del circondario di Cesena Sazia all'intendente generale della provincia di Forlì, Cesena, 26 novembre 1860
(75) Torre, Sunto della relazione..., cit., p. 80.
(76) Si veda il capitolo IV.
(77) Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. VIII, pp. 564, 565-566.
(78) A S Fo , Prefettura, lettera del ministro dell'interno , 25 novembre 1860, cit ; si veda anche A. S. S. Ri., Carteggio..., tit. I, rubr. 6, lettera del commissario di leva del circondario di Rimini Stobbia al sindaco di Rimini, Rimini, 25 ottobre 1860: "la prego di esortare i Parenti degli Inscritti
[...] che si resero renitenti, a presentarsi immancabilmente [...] per non incorrere in maggiore penalità".
(79) A tutto il dicembre del 1860 si presentarono spontaneamente soltanto 7 renitenti (si veda la tabella IX) Questo dato, tuttavia, si riferisce unicamente ai due circondari di Cesena e Rimini, in quanto non si dispone, per le accennate lacune delle fonti nominative, di alcuna informazione sulle date delle presentazioni volontarie e degli arresti dei renitenti del circondario di Forlì. Le liste di leva e d'estrazione non forniscono inoltre notizie sui disertori E` tuttavia possibile ovviare in parte a questa carenza documentaria con i dati forniti da altre fonti: uno Stato numerico dei Renitenti alla Leva per le Classi 1839-42 nei tre circondari componenti la Provincia di Forlì che riporta il numero degli arresti e delle presentazioni volontarie al 30 agosto 1863 (A S Fo , Gabinetto riservato, 1863, b. 5, fasc. 113) e una statistica degli arresti di renitenti e disertori eseguiti dai carabinieri e dalle guardie di pubblica sicurezza nel quadriennio 1860-64 (Monografia statistica , cit , vol III, pp 134-135, 138-139). Va però sottolineato che le cifre indicate in quest'ultima fonte sono poco affidabili perché, mentre comprendono gli arresti di renitenti e disertori originari di altre provincie eseguiti nel territorio della provincia di Forlì, non considerano gli arresti di renitenti e disertori forlivesi avvenuti al di fuori dei confini provinciali.
(80) A. S. Fo., Prefettura, lettera del ministro dell'interno..., 25 novembre 1860, cit.
(81) Furono arrestati sette renitenti nel cesenate e nessuno nel riminese (si veda la tabella X) Nel 1860 nel circondario di Forlì furono arrestati 26 renitenti (si veda la tabella XI), mentre in tutta la provincia gli arresti di disertori ammontarono a 37 (si veda la tabella XII)
(82) Si veda il capitolo III.
(83) Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. VIII, p. 550. La Legge del 30 giugno 1860 (n. 4141) aveva autorizzato il governo ad effettuare anche la leva della classe 1840 "in tutte le Provincie dello Stato, nelle quali non fosse per anco fatta" (art 2) La chiamata coinvolse di fatto soltanto le "antiche provincie", la Lombardia, le Romagne e il territorio degli ex ducati di Modena e Parma.
(84) "L'Eco", a. I, n. 17, 23 febbraio 1861, p. 65. "L'Eco" (fino al n. 11 "L'Eco delle Romagne"), quotidiano cattolico conservatore, venne pubblicato a Bologna dal 5 febbraio 1861 al 31 dicembre 1863 La collezione del giornale è conservata alla B C A Bo
(85) "L'Eco", a I, n 74, 3 maggio 1861, p 295
(86) In realtà, il tasso di renitenza nei circondari di Forlì e Cesena registrò un leggero calo, controbilanciato a livello provinciale dal fortissimo aumento verificatosi nel riminese (si veda la tabella IV).
(87) A. S. Fo., Prefettura, b. 788, cit., lettere dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni all'intendente generale della provincia, Rimini, 28 maggio e 23 agosto 1861. L'"avversione per la leva di terra, come negli abitanti delle isole" è indicata anche dal generale Torre tra le cause della renitenza (M. d. G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1847..., cit., p. 64). Deve tuttavia essere segnalato che l'elevata renitenza dei pescatori riminesi segnalata dall'intendente non trova conferma nelle liste di leva e d'estrazione della classe 1840: soltanto tre renitenti esercitavano infatti una professione marinara (si veda la tabella XIX).
(88) "L'Eco", a. I, n. 172, 1 settembre 1861, p. 689.
(89) Si vedano la tabelle V-VI. Il limitrofo territorio emiliano degli ex ducati di Modena e Parma, che comprendeva anche la propaggine toscana del circondario di Massa, registrò un indice di renitenza del 4, 92%, collocandosi fin da questa prima leva al di sotto della media complessiva
(90) Sassi, Selva di memorie , cit , vol IX, p 17 Si veda la tabella VII
(91) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 165.
(92) A. S. S. Ri., Carteggio..., tit. I, rubr. 1, lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì Tirelli ai sindaci della provincia, Forlì, 16 settembre 1861.
(93) A. S. Bo., Gabinetto di Prefettura, 1861, b. 12 blù, lettera del ministro dell'interno all'intendente generale della provincia di Bologna, Torino, 28 maggio 1861
(94) Ibidem.
(95) A. S. S. Ri., Carteggio..., lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì..., 16 settembre 1861, cit Il distaccamento assegnato al comune di Rimini era forte di 50 uomini
(96) Ivi, tit. IV, rubr. 4, lettera dell'intendente del circondario di Rimini Mazzoleni ai sindaci del circondario, Rimini, 27 settembre 1861
(97) Ivi, lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì , 16 settembre 1861, cit ; si veda anche Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 166. Dal gennaio all'agosto del 1861 furono arrestati 8 renitenti, uno del circondario di Cesena e 7 di quello di Rimini, mentre se ne costituirono soltanto 2, uno per circondario (si vedano le tabelle IX-X)
(98) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , p 166
(99) Ibidem. In realtà, sembra che il governo avesse già fatto ricorso a questa misura nell'agosto del 1860 nel territorio di Cervia: "i militari a titolo di rappresaglia si stabilirono nel numero di tre per ognuna delle abitazioni medesime [delle reclute] esigendo il vitto giornaliero, e più bajocchi 30 per ciascuno di essi" (A. S. V., Segreteria di Stato, lettera del delegato apostolico di Pesaro..., 8 agosto 1860, cit , c 172r-v)
(100) La composizione numerica dei picchetti, in genere formati da bersaglieri, varia con il variare delle fonti: essi comprendevano 2 o 3 militi secondo il quotidiano "La Voce del popolo", 5 per il giornale "L'Eco", 7 secondo la testimonianza del canonico Sassi. Nella casa di un colono del cesenate fu addirittura imposto un picchetto forte di "quattordici bersaglieri a tutto carico di sua Famiglia" (Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p. 83).
(101) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 166. L'intendente di Faenza, ad esempio, inoltrò al governo la richiesta di "due compagnie di Bersaglieri" (L'"Eco", a. I, n. 19, 26 febbraio 1861, p 76)
(102) I picchetti si installarono il 12 ottobre nel circondario di Rimini (A S Fo , Prefettura, b 788, cit., lettera del sindaco di Saludecio all'intendente generale della provincia di Forlì, Saludecio, 14 ottobre 1861) e il 26 dello stesso mese in quello di Cesena (Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p 77) Il ritiro dei picchetti, almeno nel circondario cesenate, fu ordinato il 7 novembre (ivi, p 83) Non sono state reperite testimonianze relative al periodo di applicazione del provvedimento nel circondario di Forlì
(103) A. S. Fo., Prefettura, lettera del sindaco di Saludecio..., 14 ottobre 1861, cit. Il sindaco si lamentò inoltre che l'invio dei picchetti nel territorio comunale fosse avvenuto a sua insaputa
(104) "La Voce del popolo", a II, n 247, 23 ottobre 1861 Nei mesi successivi, tuttavia, la posizione del giornale mutò radicalmente In particolare, quando venne ordinata la cessazione degli "alloggi militari", un commento del direttore Luigi Scalaberni, plaudendo al ristabilimento della legalità costituzionale, chiedeva al governo che fosse assegnato "un equo indennizzo a chi ingiustamente è stato danneggiato" (ivi, a. III, n. 22, 19 marzo 1862). "La Voce del popolo", quotidiano, poi bisettimanale, di tendenza democratica, venne pubblicato a Faenza, e in seguito a Ravenna, dall'11 novembre 1860 al 19 giugno 1861 La collezione del giornale è conservata alla Biblioteca comunale Classense di Ravenna.
(105) Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p. 77
(106) "L'Eco", a I, n 191, 24 settembre 1861, p 765; si veda anche, sull'applicazione del provvedimento nel modenese, Ivi, n. 251, 5 dicembre 1861, p. 1016.
(107) Ivi, n. 257, 12 dicembre 1861, p. 1039.
(108) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , p 166
(109) Ibidem
(110) Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p. 77. Il canonico cesenate aggiungeva che gli arrestati "sono tenuti prigionieri duramente nelle carceri e di più i meschini sono trattati con un avarissimo vitto per cui mandano a suoi voci di compassione" (ivi, p. 83).
(111) Si veda il capitolo III
(112) A S Fo , Prefettura, lettera del sindaco di Saludecio , 14 ottobre 1861, cit
(113) Lo stesso sindaco di Saludecio assicurava però che i famigliari di alcuni latitanti avevano chiesto il "passaporto per Roma" per rintracciare i "figli lontani" (Ibidem) Questa notizia conferma indirettamente che una delle mete privilegiate dei fuggiaschi era lo stato pontificio.
(114) Dalla fine di ottobre ai primi di dicembre del 1861, nei due soli circondari di Cesena e Rimini, si erano costituiti ben 40 renitenti (si veda la tabella IX). Nel circondario di Forlì, a giudicare dal numero di processi istruiti presso il tribunale penale del capoluogo, se ne presentarono circa una trentina.
(115) Nell'arco di quattro mesi, dall'ottobre del 1861 al gennaio del 1862, furono arrestati 13 renitenti del circondario di Cesena e 16 di quello di Rimini (si veda la tabella X). Nel 1861 nel circondario di Forlì vennero eseguiti 64 arresti di renitenti (si veda la tabella XI) Nel corso dell'anno nell'intera provincia gli arresti di disertori furono 98 (si veda la tabella XII).
(116) Regio Decreto del 15 dicembre 1861. L'amnistia si applicava alle classi 1838, 1839 e 1840.
(117) Relazione rassegnata dal ministro della guerra Della Rovere al re per l'approvazione del Regio Decreto del 15 dicembre 1861, in Collezione Celerifera, 1861, t. II, pp. 2046-2047.
(118) Per la classe 1839 il deficit fu pari a 151 arruolamenti e in quella successiva a 266. Anche il circondario di Rimini somministrò per la classe 1840 un contingente inferiore di 6 unità rispetto a quello assegnato
(119) Analogamente, il crollo della renitenza nelle Marche e nell'Umbria si verificherà soltanto dopo il 1870 con l'annessione del Lazio (Del Negro, op cit , p 186)
(120) Si veda la tabella IV
(121) Si veda la tabella VII.
(122) A. S. Fo., Gabinetto riservato, 1862, b. 4, fasc. 43, relazione del prefetto della provincia di Forlì al ministro della guerra, Forlì, 22 agosto 1862
(123) Su un totale di 124 circondari quelli di Forlì e Rimini si collocavano rispettivamente al quindicesimo e al ventunesimo posto
(124) Le poche eccezioni erano rappresentate dai circondari di Comacchio, Cento, Borgotaro e Pavullo (si veda la tabella V).
(125) L'indice di renitenza delle provincie emiliane era leggermente inferiore (6, 29%) (si veda la tabella VI).
(126) Si veda la tabella IV.
(127) A S Fo , Gabinetto riservato, 1863, b 7, fasc 164, estratto della relazione del sottoprefetto di Cesena Pallotta al ministro della guerra, allegato alla lettera del sottoprefetto di Cesena al prefetto di Forlì, Cesena, 6 luglio 1863
(128) Ivi, b. 5, fasc. 42, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena Agnetta al prefetto di Forlì, Cesena, 26 gennaio 1863
(129) Del Negro, op. cit., p. 183.
(130) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., pp. 358-362. Si veda la tabella VI.
(131) Del Negro, op. cit., pp. 177-178; Oliva, Esercito, paese e movimento operaio..., cit., pp. 2021.
(132) Ivi, p. 21.
(133) M. d. G., Della leva sui giovani nati negli anni 1850 e 1851..., cit., p. 71.
(134) Nelle provincie emiliane la situazione, seppure caratterizzata da un livello di renitenza minore (4, 72%), era abbastanza simile. Ai circondari di Borgotaro e Pavullo, che denunciavano una percentuale di renitenti superiore alla media del regno, si contrapponevano 7 circoscrizioni comprese nell'area a bassa renitenza, tra cui il circondario di Borgo S. Donnino (l'attuale Fidenza) che poteva vantarsi di non avere renitenti nel suo territorio (si veda la tabella V).
(135) Legge del 20 marzo 1854..., cit, art. 68.
(136) Legge del 24 agosto 1862, art. 1.
(137) Regio Decreto del 23 novembre 1862
(138) Sassi, Selva di memorie , cit , vol IX, pp 174-175
(139) Si veda la tabella XIII. Il numero dei renitenti, oltre che dagli arresti e dalle presentazioni volontarie, era stato ridotto anche dalla cancellazione dei nominativi che appartenevano a persone già defunte, iscritte per errore o risultate già arruolate come volontari.
(140) Si veda la tabella XIII In particolare, nei due circondari di Cesena e Rimini, dal febbraio del 1862 all'agosto del 1863, vennero arrestati 60 renitenti, con una maggiore frequenza degli arresti nella seconda metà del 1862 (si veda la tabella X) Nel biennio 1862-63 i renitenti catturati nel circondario di Forlì furono complessivamente 87 (si veda la tabella XI), mentre gli arresti di disertori furono 201 in tutta la provincia (si veda la tabella XII).
(141) Si veda la tabella XIII.
(142) Nell'arco di venti mesi, dal gennaio del 1861 all'agosto del 1863, appena 16 renitenti si presentarono spontaneamente nei due circondari di Cesena e Rimini (si veda la tabella IX).
(143) A. S. Fo., Gabinetto riservato, 1864, fasc. 142, cit.: lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Bertinoro al prefetto di Forlì, Bertinoro, 11 ottobre 1863; lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella al prefetto di Forlì, Civitella, 12 ottobre 1863; lettera del sottoprefetto di Cesena Pallotta al prefetto di Forlì, Cesena, 31 ottobre 1863.
(144) Ivi, lettera del commissario di leva di Rimini Zafferoni al reggente la sottoprefettura di Rimini, Rimini, 20 ottobre 1863 Manifestazioni analoghe si verificarono a Coriano e a Civitella
(145) Ivi, 1863, b. 6, fasc. 146, lettera del prefetto Campi al ministro dell'interno, Forlì, 12 dicembre 1863
(146) Ivi, lettera del sottoprefetto di Rimini Viani al prefetto di Forlì, Rimini, 17 novembre 1863.
(147) Ivi, lettera del prefetto Campi al ministro dell'interno, Forlì, 8 ottobre 1863.
(148) Ivi, lettera del delegato centrale di pubblica sicurezza al prefetto di Forlì, Forlì, 4 dicembre 1863.
(149) Si vedano le tabelle IV-VI.
(150) Nel circondario di Rimini il numero di renitenti latitanti era sensibilmente più alto di quello degli altri due circondari forlivesi (si veda la tabella XIV).
(151) A. S. Fo., Gabinetto riservato, lettera del prefetto..., 12 dicembre 1863, cit. Anche un episodio successo a Bertinoro durante il sorteggio sembra testimoniare che le disposizioni dei coscritti verso il servizio militare erano migliorate solo in parte. Per un errore del commissario di leva furono inseriti nell'urna cinque biglietti in meno. A causa di questo incidente "qualcuno [ovviamente coloro che avevano avuto in sorte un numero basso] rimase mal contento asserendo che l'estrazione non fosse stata valida" (ivi, lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Bertinoro..., 11 ottobre 1863, cit )
(152) Ivi, 1864, fasc. 142, cit.: lettera del commissario di leva di Forlì Parraca al prefetto di Forlì, Forlì, 13 ottobre 1864; lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella al prefetto di Forlì, Civitella, 12 ottobre 1864.
(153) Si vedano le tabelle IV-VI
(154) Si veda la tabella XIV
(155) L'incremento degli arresti si verificò specialmente nella primavera del 1864 (si vedano le tabelle IX-X)
(156) A S Fo , Gabinetto riservato, 1864, b 8, fasc 17, lettera del sottoprefetto di Rimini Viani al prefetto di Forlì, Rimini, 15 agosto 1864.
(157) Ivi, 1864, b 10, fasc 146, lettera dell'avvocato fiscale del tribunale di Forlì al prefetto, Forlì, 7 ottobre 1864.
(158) Ivi, lettera del sindaco di Sant'Arcangelo al prefetto, Sant'Arcangelo, 3 ottobre 1864.
(159) Ivi, lettera del delegato centrale di pubblica sicurezza , 4 dicembre 1863, cit
(160) Ivi, fasc 17, cit , lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella al prefetto, Civitella, 1 aprile 1864. Analoghe notizie di guerra si erano già diffuse nella primavera del 1861 ("L'Eco", a. I, n. 262, 18 dicembre 1861, p. 1058).
(161) Si vedano le tabelle IV-V. In questa leva il circondario riminese, dimezzando la sua quota di renitenti, fu sopravvanzato da quello parmense di Borgotaro nella classifica regionale della renitenza
(162) Il generale Torre riconobbe che l'incremento della renitenza era stato inferiore alle attese: "non è da meravigliare se in questa Leva [...] crebbe alcun poco il numero de' renitenti, ma è invece da meravigliare che in paragone all'antecedente la differenza fosse lieve" (M. d. G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1845 , cit , p 94)
(163) A S Fo , Gabinetto riservato, lettera del delegato centrale di pubblica sicurezza , 4 dicembre 1863, cit. Diversa, ovviamente, era la descrizione del momento della partenza delle reclute nella cronaca del canonico Sassi: "Queste vittime sono state accompagnate alla Stazione col suono della Banda; mentre tanti genitori, fratelli e sorelle piangevano questa dipartita dolorosa del loro sangue A che barbarismo arrivati!" (Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p. 231).
(164) Ivi, 1864, b. 12, fasc. 282, Relazione del prefetto di Forlì G. Campi in ordine ai risultati della visita praticata in alcuni comuni della Provincia nel giugno ed agosto del 1864, allegata alla lettera del prefetto Campi al ministro dell'interno, Forlì, 19 ottobre 1864, p 47
(165) Il generale Torre, nella relazione sulla leva della classe 1845, sancì ufficialmente la fine della renitenza nelle Romagne accumunandole nell'encomio alle altre regioni quasi del tutto prive di refrattari: "i paesi d'Italia dove il numero dei renitenti è minore sono il Piemonte, la Toscana, la Lombardia, e le Provincie di Modena e Parma, alle quali tengono dietro subito le Provincie delle Romagne, sebbene nuove alla coscrizione militare" (M. d. G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1845 , cit , p 95) Le regioni, al contrario, in cui la renitenza era ancora elevata erano l'Umbria, le
Marche e la Liguria, seguite a più distanza dalla Sicilia e dalle provincie napoletane (si veda la tabella VI).
(166) Si veda la tabella XV.
(167) Si veda la tabella XIV
(168) Le due amnistie furono rispettivamente accordate con Regio Decreto del 22 aprile 1868 e con Regio Decreto del 9 ottobre 1870. Si vedano le tabelle XIV e XVI.
(169) Regio Decreto del 28 aprile 1872 Si vedano le tabelle XIV e XVI
(170) Regio Decreto del 5 giugno 1887
L'universo dei renitenti
1. Un'analisi quantitativa della renitenza
Nel descrivere l'andamento della renitenza post-unitaria all'interno della provincia di Forlì si è fatto riferimento all'indice riportato dalle relazioni annuali del ministero della guerra, ovvero alla percentuale dei renitenti sul totale degli iscritti nelle liste d'estrazione. Questa percentuale, che si è scelto di utilizzare per rendere possibili comparazioni con i dati nazionali o relativi ad aree limitrofe al forlivese, non è tuttavia priva di limiti.
Alcuni studi recenti sulle tematiche del reclutamento militare nell'Italia post-unitaria hanno sottolineato che l'indice ufficiale è uno strumento sostanzialmente inadeguato per valutare la reale incidenza della renitenza. Secondo Del Negro, in particolare, la percentuale calcolata dal generale Torre "disegna un'immagine riduttiva del fenomeno" (1) In primo luogo perché essa non considera la cosiddetta "renitenza borghese", cioè il peso percentuale di quegli istituti (liberazione, surrogazione e scambio di numero) che permettevano ai coscritti abbienti di sottrarsi legalmente all'obbligo militare. In secondo luogo perché il tasso di renitenza viene calcolato sull'intero universo degli iscritti, "senza prendere in considerazione l'opportunità" di sottrarre da questa cifra totale i cancellati dalle liste dopo l'estrazione, gli esentati, i riformati, i rivedibili e "altre categorie quantitativamente meno rilevanti" (i volontari, gli allievi negli istituti militari e i dispensati). Del Negro sembra pertanto ritenere che per ottenere un tasso più attendibile, questo debba essere calcolato sull'insieme più ristretto costituito unicamente dai renitenti e da coloro che furono dichiarati abili e quindi arruolati. Tuttavia, dopo aver suggerito l'opportunità di questa sottrazione, riconosce che "alquanto controverso, è stabilire la percentuale dei riformati e dei rivedibili, che è legittimo defalcare dal totale" (2).
Non è chiaro dalla sua esposizione perché Del Negro si ponga il problema della legittimità dell'operazione soltanto in riferimento ai giovani risultati definitivamente o temporaneamente inabili al servizio militare. Il fatto che egli riporti di seguito un'affermazione del generale Torre, secondo la quale i renitenti erano "persuasi" nella maggior parte che alla visita di leva "sarebbero stati dichiarati idonei", fa ritenere che questa remora sia dovuta all'impossibilità di stabilire se i renitenti fossero tutti potenzialmente abili (3). Da questo si deduce che, qualora fosse possibile dimostrare che i renitenti erano effettivamente tutti idonei al servizio militare, sarebbe legittimo defalcare interamente anche i riformati e i rivedibili. Del Negro rivolge infatti la sua attenzione ad un secondo indice elaborato da Torre nella sua prima relazione: la percentuale dei renitenti veniva calcolata, non in relazione al numero totale dei coscritti, ma alla somma dei contingenti di 1a e 2a categoria (4). Questo indice, nota Del Negro, "di fatto considerava abili tutti coloro che non si erano presentati all'esame dei consigli di leva" (5)
La seconda percentuale calcolata da Torre comporta ovviamente un sensibile innalzamento dei livelli di renitenza: per la classe 1842, ad esempio, la quota di renitenti sale a livello nazionale dall'11, 51% al 33, 64%. Del Negro, pur giudicando questo indice "forse troppo elevato", presumibilmente in quanto non teneva conto della possibilità che qualche renitente fosse inabile, lo considera "certamente più aderente alle effettive dimensioni del fenomeno" (6) Nel caso specifico della provincia forlivese il tasso di renitenza complessivo delle classi 1839-42, passando dal 16, 80% al 42, 28%, verrebbe ad essere più che raddoppiato (7)
Alcuni aspetti dell'analisi di Del Negro sono certo condivisibili, ma l'indice a cui propone di fare riferimento è senza dubbio ancora meno soddisfacente di quello solitamente utilizzato da Torre. Non ha infatti alcun significato statistico, qualora si voglia definire il peso di una certa grandezza (i renitenti), calcolarne la percentuale su un insieme (la somma dei contingenti di 1a e 2a categoria) di cui questa grandezza non fa parte Un esempio prova questa palese incongruenza: nel circondario di Rimini, per la classe 1840, la percentuale dei renitenti sul contingente totale di arruolati risulta pari al 106, 98%. Se questa percentuale rappresentasse realmente un tasso di renitenza si dovrebbe paradossalmente concludere che i renitenti di questa classe furono addirittura più numerosi dei chiamati alla leva. In realtà, questa percentuale fornisce semplicemente un'informazione, non priva di interesse, sull'andamento parallello della renitenza e degli arruolamenti. Per ritornare all'esempio riminese essa consente di verificare come in un'area caratterizzata da una forte renitenza (in questo caso pari al 32, 17% degli iscritti nelle liste d'estrazione) il numero dei renitenti fosse talmente elevato da superare quello degli arruolati L'interesse che spinse il generale Torre a istituire una correlazione tra i renitenti e gli arruolati era presumibilmente quello pratico di evidenziare, dal punto di vista dell'istituzione militare, il deficit di potenziali arruolamenti che si produceva a causa della renitenza In effetti, non si capisce perché Del Negro, dopo aver implicitamente proposto di calcolare il tasso di renitenza sull'insieme formato dagli arruolati e dai renitenti, ritenga sostanzialmente attendibile l'indice ottenuto da Torre sulla base di un criterio del tutto diverso (8) Ad ogni modo, non sembra neppure corretto limitare il calcolo del tasso di renitenza esclusivamente a quella parte di coscritti che furono arruolati o si resero renitenti. Questa operazione si basa infatti su una forzatura dell'assunto, sostanzialmente condivisibile, che i renitenti diventavano tali perché convinti di essere dichiarati abili. Se la scelta di intraprendere o meno la renitenza avesse effettivamente coinvolto solo i coscritti abili o potenzialmente tali (cioè gli arruolati e i renitenti) avrebbe allora senso defalcare dal totale dei coscritti tutti coloro che furono esonerati dal servizio militare. In altri termini, questa operazione sarebbe corretta se, per i coscritti che potevano vantare il diritto all'esonero (cioè gli esentati e i riformati), non si fosse posto il problema di decidere se presentarsi o meno davanti ai consigli di leva.
L'analisi nominativa condotta sulle liste di leva e d'estrazione ha consentito di verificare che la realtà del reclutamento non era così schematica In primo luogo, erano numerosi i renitenti che, sottoposti dopo l'arresto o la presentazione volontaria all'esame dei consigli di leva, venivano riformati, esentati o dichiarati rivedibili (9) La presenza tra i renitenti di coscritti che avrebbero avuto la possibilità di sottrarsi legalmente all'obbligo del servizio militare può essere dipesa da una scarsa conoscenza delle norme che regolavano il reclutamento, tanto più giustificata nella provincia di Forlì dove era recente l'introduzione della coscrizione In effetti, la renitenza nel forlivese, quantomeno limitatamente alle primissime leve post-unitarie, era soprattutto l'espressione di un rifiuto istintivo dell'istituzione militare che, certamente originato dal timore dell'arruolamento, prescindeva però da calcoli precisi sull'effettiva probabilità di essere dichiarati abili.
In secondo luogo, la dichiarazione di riforma veniva spesso pronunciata dai consigli di leva in assenza di una specifica richiesta del coscritto, il quale o non aveva coscienza di un suo difetto fisico o non sapeva che questo desse diritto all'esonero. Questa circostanza induce a ritenere che perlomeno una quota dei coscritti che furono riformati si sarebbe presentata comunque alla visita
Il tentativo di stabilire la reale valenza quantitativa della renitenza è ovviamente giustificato dallo scopo di verificare la diffusione sociale di questa forma di rifiuto dell'obbligo militare. Il tasso relativo, assumendo come elemento discriminante della renitenza la presentazione o meno davanti ai consigli di leva, dovrà allora essere calcolato sulla totalità dei giovani per i quali si poneva la necessità di operare questa scelta L'insieme su cui calcolare il tasso di renitenza sarà quindi dato dalla cifra ottenuta sottraendo dall'insieme totale dei coscritti unicamente i cancellati, perché risultati già defunti, doppiamente o indebitamente iscritti, e i rivedibili, perché rinviati per motivi di salute o di forza maggiore alla leva successiva (10) Al contrario di quanto ritiene Del Negro, i rivedibili non solo si possono, ma si debbono necessariamente defalcare dal totale se si vuole evitare che essi vengano conteggiati due volte nell'insieme di riferimento Soltanto in questo modo
sarà del resto possibile calcolare e mettere a confronto la rispettiva incidenza, all'interno dell'universo dei coscritti, dei comportamenti di rifiuto e di adesione di fronte all'obbligo militare, ovvero della renitenza e del volontariato (11)
E` tuttavia necessario tenere presente un altro elemento. La ricognizione sulle liste della coscrizione ha consentito di stabilire che il numero effettivo dei renitenti è inferiore a quello indicato nelle relazioni ministeriali Per molti nominativi di renitenti risulta infatti cancellata la dichiarazione di renitenza, in quanto si era successivamente appurato che appartenevano a persone defunte da tempo o a giovani già iscritti in altri mandamenti e regolarmente presentatisi ai consigli di leva (12). Questi errori erano dovuti alle già ricordate difficoltà che le autorità municipali incontravano nella compilazione delle liste. Le iscrizioni errate, qualora non fossero individuate prima della chiusura delle operazioni di reclutamento, davano luogo ad altrettante dichiarazioni di renitenza, facendo così artificiosamente crescere il numero dei renitenti. Il generale Torre, nella relazione sulla leva della classe 1849, affermava infatti che
il numero dei renitenti, quale risulta dagli atti ufficiali, potrà essere d'assai ridotto, sempreché i rispettivi Sindaci, e segnatamente quelli dei Comuni, nei quali la leva venne imposta per la prima volta dal Regno d'Italia, riandando con diligenza sugli atti dello stato civile giungano ad epurare le diverse liste di leva dalle doppie iscrizioni e da quelle per qualsiasi altro modo errate (13).
I dati ministeriali, inquinati da questa aliquota di renitenza burocratico-amministrativa, sono quindi poco attendibili anche sul piano strettamente numerico. Per ricostruire la reale estensione della renitenza è quindi necesario ricorrere ad un'analisi nominativa che consenta di aggirare i limiti delle cifre ufficiali (14).
Con riferimento alle tre classi di leva 1839-41, le più significative per quanto concerne i livelli di renitenza nel forlivese, è stato calcolato il tasso di renitenza mettendo in relazione i renitenti effettivi (cioè la grandezza ottenuta sottraendo dal loro numero totale quelli che furono cancellati dalla renitenza) e gli iscritti reali (cioè l'insieme ricavato defalcando dal totale degli iscritti nelle liste d'estrazione i cancellati dalle liste e i rivedibili) I valori ottenuti sono molto vicini a quelli riportati dalle relazioni ministeriali: in due dei tre circondari della provincia, quelli di Rimini e Forlì, il tasso di renitenza complessivo di queste tre classi sale leggermente, passando rispettivamente dal 23, 49% al 23, 61% e dal 22, 09% al 22, 58%, mentre nel circondario di Cesena scende, più vistosamente, dall'11, 68% al 9, 62%. Questa diminuzione del tasso nel cesenate è dovuta alla presenza di un elevato numero di renitenti che furono successivamente cancellati: in particolare, per la classe 1839, vennero annullate ben 56 dichiarazioni di renitenza su un totale di 122 (45, 90%), la maggior parte perché relative ad individui defunti nei primi mesi e anni di vita La sostanziale equivalenza del tasso ufficiale di renitenza e di quello ottenuto mediante l'analisi nominativa non deve tuttavia far dimenticare che i due indici sono qualitativamente diversi e che il secondo, rispetto al primo, fornisce un'immagine più vicina all'effettiva portata del fenomeno (15)
2. Un'analisi qualitativa della renitenza
Il principale vantaggio di un'analisi nominativa condotta sulle liste della coscrizione risiede, come si è già accennato, nella possibilità di spingere l'analisi della renitenza, come del resto di tutte le variabili connesse al reclutamento, ad un livello di maggiore profondità rispetto a quanto consenta il ricorso alle sole relazioni ministeriali Dalle liste di leva e d'estrazione è infatti possibile ricavare notizie puntuali sul luogo di domicilio e sul mestiere dei singoli coscritti. Grazie a queste due informazioni, che consentono di calcolare degli indici territoriali e professionali di renitenza, il fenomeno assume contorni assai più precisi
Nell'analisi geografica del fenomeno si è scelto di utilizzare un indice su base comunale. Seguendo il metodo precedentemente descritto è stato calcolato il tasso di renitenza per ognuno dei 40 comuni costituenti la provincia di Forlì. Dai valori percentuali ottenuti è emerso che all'interno di ciascun circondario esistevano realtà estremamente differenziate. Nel circondario di Rimini, ad esempio, l'altissimo numero di renitenti di Saludecio (42, 86%) conviveva con le basse percentuali di Monte Scudo e Poggio Berni (tra il 7% e il 9%). Situazioni analoghe si registravano anche nel cesenate (nessun renitente a Gambettola, Montiano e Roversano a fronte del 17, 86% di Mercato Saraceno) e nel forlivese (il 31, 19% a Forlì e appena il 2, 94% a Fiumana).
Per agevolare la lettura dei dati proposti conviene suddividere i comuni in tre fascie distinte, caratterizzate rispettivamente da un tasso di renitenza inferiore al 10%, compreso tra il 10% e il 20% e superiore al 20%. Nella prima fascia risultano compresi 14 comuni, dei quali 9 appartengono al circondario di Cesena, 3 a quello di Forlì e 2 a quello di Rimini Nella seconda sono inseriti 11 comuni, 5 del circondario di Cesena e 3 ciascuno di quelli di Forlì e Rimini. Della terza fascia fanno parte infine 15 comuni, quasi tutti del circondario di Rimini: 12 contro 3 del forlivese e nessuno del cesenate Questa distribuzione riflette ovviamente i diversi tassi di renitenza che denunciavano le tre circoscrizioni della provincia: vicino al 10% nel circondario di Cesena, pari a circa il doppio in quelli di Rimini e Forlì
Il maggior numero di renitenti veniva denunciato da alcuni comuni del riminese: Saludecio, Verucchio (40, 68%), Coriano (37, 04%) e Monte Gridolfo (33, 33%). Negli altri due circondari i valori più elevati erano quelli di Forlì, Bertinoro (24, 68%) e Mortano (22, 92%) nel forlivese, e quelli di Mercato Saraceno, San Mauro (14, 89%) e Sarsina (12, 90%) nel cesenate (16). Il minor numero di renitenti si registrava invece nel circondario di Cesena (ben 9 comuni su 14 rientravano nella fascia di renitenza più bassa), con qualche propaggine nel riminese e nel forlivese (oltre a Monte Scudo, Poggio Berni e Fiumana, anche Predappio e Teodorano avevano percentuali inferiori al 10%) (17)
Per approfondire l'analisi della renitenza i comuni sono stati identificati, oltre che in base alla loro dipendenza amministrativa da un circondario, anche in relazione alla loro prevalente fisionomia territoriale e insediativa I comuni sono stati cioè classificati, secondo la loro collocazione geografica, in comuni di pianura o di collina e, secondo la quota di popolazione concentrata, in comuni maggiormente urbanizzati o senz'altro rurali (18)
In riferimento alla prima variabile si ottiene, all'interno della tripartizione sopra descritta, questa distribuzione: partendo dalla fascia caratterizzata da un basso numero di renitenti troviamo 10 comuni di collina e 4 di pianura, in quella mediana rispettivamente 6 e 5, infine nella fascia con un elevato tasso di renitenza 11 comuni collinari e 4 pianeggianti. Da questo ultimo dato appare già evidente che tanto in alcuni comuni posti in collina quanto in altri della pianura i renitenti erano numerosi. Se i primissimi posti nella graduatoria della renitenza su scala comunale sono occupati in effetti da quattro comuni collinari (Saludecio, Verucchio, Coriano, Monte Gridolfo), nelle posizioni immediatamente successive compaiono infatti quattro comuni pianeggianti (Forlì, San Giovanni in Marignano, Rimini e Misano). Analogamente, i renitenti erano scarsi sia in alcuni comuni della pianura (Gambettola, Cesenatico, Gatteo e Savignano) che della collina (Montiano, Roversano,
Fiumana, Longiano e Teodorano).
Questa variabile territoriale non sembra quindi avere influito sui livelli di renitenza. In effetti, calcolando due tassi distinti, uno per il complesso dei comuni collinari e l'altro per l'insieme dei comuni pianeggianti, si ottengono due valori percentuali di fatto equivalenti: il 18, 46% della pianura era leggermente superiore al 18, 12% della collina E` tuttavia interessante segnalare una singolare circostanza Calcolando questo tasso territoriale per circondario emerge che mentre nel forlivese i renitenti erano più spesso originari dei comuni della pianura (27, 99% contro 15, 07%), nel riminese il serbatoio della renitenza era la collina (27, 74% contro 20, 43%) (19) Per la provincia forlivese non è quindi del tutto fondata l'ipotesi storiografica, provata per la vicina area bolognese, che le zone collinari o montuose, a motivo delle numerose possibilità di rifugio offerte dalla conformazione del territorio, abbiano dato nelle prime leve post-unitarie il contributo maggiore al fenomeno della renitenza (20). Per dare ragione dei valori di segno opposto riscontrati nei circondari di Rimini e Forlì è tuttavia possibile avanzare un'ipotesi diversa, che si fonda ugualmente sull'assunto che la renitenza sia influenzata dall'esistenza di zone franche vicine: nel forlivese il maggior numero di renitenti dei comuni di pianura potrebbe spiegarsi con la vicinanza della pineta di Ravenna, mentre nel riminese la maggiore renitenza della fascia collinare potrebbe ricondursi alle opportunità di nascondersi nel territorio sanmarinese o nella zona montagnosa al confine col Montefeltro
La variabile relativa alla tipologia insediativa della provincia aggiunge un elemento nuovo, e in qualche misura inaspettato, al quadro della renitenza. I valori ottenuti, calcolando le percentuali dei renitenti appartenenti ai comuni a più alta concentrazione urbana e a quelli prevalentemente rurali, sembrano infatti smentire la tesi, avanzata nell'esposizione precedente sulla base delle fonti coeve, che la renitenza fosse un fenomeno che interessava particolarmente le campagne I 9 comuni maggiormente urbanizzati (Cesena, Cesenatico, Savignano, Forlì, Forlimpopoli, Meldola, Rimini, Sant'Arcangelo e San Giovanni in Marignano) denunciavano complessivamente una percentuale di renitenti pari al 18, 99%, che era superiore, seppure di poco, al 17, 57% dei restanti comuni rurali (21). Alla formazione di questo valore sorprendentemente elevato contribuivano, unitamente a San Giovanni in Marignano (24, 18%), due delle tre realtà urbane più significative della provincia: se il tasso del comune di Rimini era del 22, 65%, quello del capoluogo provinciale superava addirittura il 30%. Considerata la minore incidenza della renitenza nel cesenate, anche la percentuale di renitenti del comune di Cesena era elevata (l'11, 88% rispetto alla media del circondario pari al 9, 62%) Gli altri 5 comuni si attestavano invece su un tasso di renitenza basso, compreso tra il 4, 19% di Cesenatico e il 12, 50% di Meldola.
La presenza di un alto numero di renitenti nei tre capoluoghi di circondario, facendo emergere una contraddizione nell'analisi della renitenza, ha reso necessario un supplemento d'indagine Le liste di leva, tra le varie informazioni che rendono disponibili, forniscono anche l'indicazione della parrocchia del coscritto. Si è quindi pensato di rilevare sistematicamente questo dato per i tre comuni maggiori (22). I comuni di Cesena, Forlì e Rimini, data la loro maggiore estensione, inglobavano, oltre alla città e ai rispettivi sobborghi, anche porzioni assai consistenti di territorio rurale. Il dato relativo al comune nel suo complesso non permetteva di distinguere queste diverse realtà territoriali Utilizzando invece il fitto reticolo di parrocchie che si stendeva dalla cinta muraria alle campagne più o meno adiacenti al centro urbano è stato possibile calcolare per ognuno dei tre comuni tre indici di renitenza relativi rispettivamente alle parrocchie interne, della città vera e propria, e a quelle esterne dei sobborghi e del forese (23)
L'analisi condotta sulle unità parrocchiali ha consentito di chiarire l'ambiguità emersa in precedenza Una più alta percentuale di renitenti caratterizzava infatti le parrocchie del forese rispetto a quelle della città e dei sobborghi. In particolare, per i comuni di Cesena e Rimini è riscontrabile chiaramente l'esistenza di una correlazione stringente tra la renitenza e la distanza dal centro cittadino: il numero dei renitenti, basso entro la cinta muraria (l'8, 46% a Rimini e addirittura soltanto lo 0, 81% a Cesena), cresce nei sobborghi (rispettivamente al 12, 00% e al 7, 59%), per impennarsi decisamente nel forese (raggiungendo nei due comuni il 29, 24% e il 14, 99%) Questa
distribuzione centrifuga della renitenza è meno evidente per il comune di Forlì, dove i tre indici sono assai vicini tra loro e il valore più alto appartiene ai sobborghi (20, 63%). Anche in questo caso però la percentuale di renitenti del forese (19, 88%) è superiore a quella della città (16, 67%) (24).
A conclusione di questo studio territoriale si può quindi affermare che se la renitenza non era una prerogativa solamente delle campagne, il fenomeno aveva una prevalente connotazione rurale. D'altra parte, i comuni che denunciavano il maggior numero di renitenti, i due terzi o più del totale dei coscritti, erano tutti spiccatamente agricoli
Per verificare l'effettiva esistenza di questo primato delle campagne l'analisi della renitenza ha successivamente preso in esame la variabile professionale. L'universo provinciale dei coscritti, in base al "mestiere, arte o professione" registrato dalle liste di leva, è stato suddiviso in 11 gruppi professionali. Le categorie individuate sono: addetti all'agricoltura, addetti alla marineria e alla pesca, addetti all'industria e all'artigianato, addetti al commercio, addetti ai trasporti, personale di fatica e di servizio, appartenenti alle classi medie, possidenti, religiosi, popolazione marginale, altri non diversamente classificabili (25). Relativamente a quest'ultimo raggruppamento si rende subito necessaria una precisazione: esso comprende i coscritti di cui non si conosce la professione e quelli che, essendo volontari nell'esercito nazionale o mercenari nelle truppe pontificie, compaiono nelle liste con questa attribuzione, senza che venga però indicata la loro condizione professionale originaria (26). All'interno di qualcuna delle 11 categorie sono state poi distinti, grazie alla sufficiente precisione che caratterizzava l'indicazione del mestiere svolto dal coscritto, alcuni sottogruppi, al fine di verificare l'esistenza di uno specifico comportamento verso l'obbligo militare da parte di nuclei professionali più individualizzati (27).
Limitando inizialmente l'analisi alle categorie principali il raggruppamento più attirato dalla renitenza risulta essere quello spurio ricordato più sopra, comprendente i coscritti senza indicazione professionale (38, 46%). A prima vista questo dato appare del tutto privo di significato, ma in realtà, anche se non aggiunge nulla al tentativo di comprendere chi fossero i renitenti, consente una riflessione. E` in certa misura scontato che il maggior tasso di renitenza si dovesse riscontrare all'interno di questo insieme di coscritti senza volto Se per alcuni di questi la mancata indicazione del mestiere era dovuta a dimenticanze o lacune più o meno ricorrenti nella compilazione delle liste da parte dei sindaci, l'assenza di questa informazione per la maggior parte dipendeva propriamente dalla scelta di non presentarsi alla chiamata di leva: la professione del coscritto divenuto renitente rimaneva infatti ignota se questi non era una figura conosciuta all'interno della sua comunità (28). Relativamente ai gruppi professionali veri e propri il tasso di renitenza più elevato si registra tra il personale di fatica e servizio, cioè i garzoni, i servitori, e i domestici (19, 01%), subito seguito dall'insieme indifferenziato degli addetti all'agricoltura (18, 64%) e a maggiore distanza dai religiosi (11, 76%) All'estremo opposto, con una percentuale di renitenti bassissima, si attestano i possidenti (2, 76%). Le restanti categorie si collocano con valori vicini tra loro in una fascia mediana che va dal 6, 06% degli addetti ai trasporti (vetturali, carrettieri, birocciai) al 9, 30% degli studenti, impiegati e professionisti (quelle che sono state definite classi medie) (29)
In primo luogo, è estremamente interessante il tasso relativamente alto dei religiosi: su 51 "alunni" che avevano intrapreso la "carriera ecclesiastica" 6 furono dichiarati renitenti, equamente divisi tra clero secolare e regolare. Questa renitenza ecclesiastica era originata dal minor numero di dispense che furono concesse dal ministero della guerra rispetto a quelle richieste dai vescovi delle tre diocesi di Cesena, Forlì e Rimini (30) La presenza di chierici e professi tra le fila dei renitenti conferma in modo inequivocabile la posizione assunta dal clero verso la coscrizione obbligatoria. L'azione propagandistica volta a fomentare la renitenza dei giovani coscritti aveva come ovvia conseguenza l'assunzione di comportamenti analoghi da parte di appartenenti al mondo ecclesiastico.
Tenendo presente che a livello provinciale il tasso di renitenza era pari al 18, 33%, da questa distribuzione professionale della renitenza emerge che soltanto 3 categorie professionali (o più propriamente 2) denunciavano un numero di renitenti superiore alla media (31) Se la maggioranza
schiacciante di addetti all'agricoltura sul totale dei giovani soggetti alla leva (60, 40%) provocava in certa misura un appiattimento della percentuale complessiva su quella propria del settore agricolo, i bassi indici di renitenza degli altri gruppi professionali riflettevano effettivamente una minore incidenza del fenomeno. All'interno di questi, tuttavia, alcuni sottogruppi si distinguevano per una percentuale di renitenti superiore a quella della propria categoria: tra gli artigiani spiccava il valore dei muratori e dei minatori (13, 82%) e tra gli appartenenti alle classi medie quello degli impiegati (12, 24%).
Al contrario, è la percentuale di renitenti agricoli ad essere sicuramente sottodimensionata Una quota, presumibilmente considerevole, di coscritti agricoli compare infatti anche in altre categorie. Se è solo probabile che la maggior parte di coloro la cui professione è ignota siano in effetti dei coltivatori o dei braccianti (32), è invece certo che tra il personale di fatica e di servizio sono stati inseriti molti "garzoni" o "servitori" che erano in realtà "garzoni di colono" o "servitori di campagna" (33) Queste due categorie, come si è visto, sono caratterizzate dai tassi di renitenza più alti. Essendo assai plausibile che alle loro elevate percentuali contribuisca in maniera decisiva la presenza di diversi renitenti agricoli sfuggiti forzatamente alla rilevazione, è lecito affermare che l'indice di renitenza calcolato per gli addetti all'agricoltura sia senz'altro approssimato per difetto Relativamente alla popolazione agricola è inoltre interessante osservare i diversi valori che assume la percentuale dei renitenti nei tre segmenti in cui si è deciso di distinguerla: 20, 00% per i coltivatori (affittuari) 16, 46% per i salariati (braccianti e garzoni campestri), 13, 03% per i coltivatori proprietari (34). All'interno del mondo rurale la renitenza era quindi maggiore tra i giovani delle famiglie coloniche e mezzadrili
A conclusione dell'analisi della variabile professionale l'ipotesi che la renitenza fosse una manifestazione spiccatamente rurale ha acquistato maggiore spessore Prescindendo dagli aridi dati percentuali alcune cifre assolute possono forse sintetizzare con maggiore evidenza questa indubbia realtà: su un totale di 884 renitenti effettivi nelle prime tre leve effettuate nel forlivese ben 543 erano coloni o braccianti Per converso i refrattari occupati in attività produttive che, con qualche eccezione, erano tipicamente urbane (artigianato, commercio, servizi) ammontavano complessivamente a 68 unità soltanto
E` interessante, tuttavia, rilevare come tra i gruppi professionali cittadini, anche se ovviamente soltanto in quelli economicamente più forti, fosse largamente praticata quella che Del Negro definisce "renitenza borghese" Non furono infatti pochi i coscritti abbienti che, pagando rispettivamente la somma di 3. 100 e 700 lire, riuscirono ad ottenere la liberazione o la surrogazione. Il ricorso a questi istituti che consentivano di sottrarsi legalmente all'obbligo militare vedeva protagonisti in primo luogo i possidenti (in questa categoria i surrogati e i liberati ammontavano al 10, 63%), seguiti dagli studenti, impiegati e professionisti (8, 53%) e dai commercianti (4, 32%) All'interno delle classi agricole soltanto gli appartenenti alla fascia superiore di reddito erano in grado di sborsare queste ingenti somme: il tasso di "renitenza borghese" dei coltivatori proprietari è infatti abbastanza elevato (3, 52%) (35). E` tuttavia logico supporre che soltanto i grandi possidenti agricoli potessero accedere a questa onerosa opportunità (36).
L'incidenza della "renitenza borghese" tra le classi urbane lascia intravedere che anche in questo settore di popolazione fosse diffuso uno scarso attaccamento verso l'istituzione militare che si manifestava con il ricorso alla liberazione e alla surrogazione invece che con la renitenza (37). La circostanza che, in assenza dei requisiti economici richiesti per evitare il servizio militare, i coscritti cittadini nella stragrande maggioranza si presentassero ugualmente ai consigli di leva e le alte percentuali di volontariato che, come si vedrà in seguito, caratterizzavano i gruppi professionali e le aree urbane, fanno tuttavia ritenere che l'avversione per la leva della popolazione concentrata nelle città fosse assai più circoscritta di quella esistente in ambito rurale.
L'analisi nominativa condotta sulle liste di leva e d'estrazione, oltre a consentire di delineare con maggiore precisione i connotati sociali della renitenza, ha permesso di verificare la contemporanea presenza di due atteggiamenti diversi verso la coscrizione all'interno della società
forlivese. Rifiuto e accettazione dell'obbligo militare caratterizzavano però realtà territoriali differenziate e strati sociali diversi.
In questa fase si sono scelti due indicatori: da un lato la renitenza come manifestazione dell'avversione per la leva, dall'altro il volontariato come espressione di un sentimento di affezione verso il servizio militare
Si è già visto come nella leva della classe 1839 la provincia di Forlì fosse caratterizzata da un alto numero sia di renitenti che di volontari. La medesima situazione è riscontrabile anche nella leva immediatamente successiva nel forlivese e soprattutto nel riminese (i volontari rappresentavano rispettivamente il 6, 83% e il 9, 88% della somma dei contingenti di 1a e 2a categoria). A partire dal 1861, invece, il tasso di volontariato scenderà in tutti e tre i circondari a livelli decisamente minori, compresi tra l'1% e il 4% Il tasso complessivo di volontariato per le classi 1839-45 è del 3, 80% per Forlì, del 3, 02% per Rimini e del 2, 32% per Cesena (38).
Prescindendo dalla valenza quantitativa del volontariato, che risulta comunque livellata ai valori nazionali (il 2, 99% della provincia a fronte del 2, 98% del regno), era interessante individuare quali settori di popolazione fossero attirati dalla professione militare. Continuando ad utilizzare i raggruppamenti territoriali e professionali stabiliti in precedenza sono state quindi messe a confronto le rispettive percentuali dei renitenti e dei volontari calcolate sul totale dei coscritti (39).
I risultati ottenuti mediante questa comparazione hanno permesso, come già è stato anticipato, di stabilire che esisteva una correlazione inversa tra renitenza e volontariato. Per quanto concerne i raggruppamenti professionali il maggior numero di volontari si riscontra infatti in quelli caratterizzati da una bassa renitenza: la media provinciale di arruolamenti volontari (2, 16%) viene superata dagli appartenenti alle classi medie (10, 08%), dai commercianti (9, 35%), dagli artigiani (5, 27%) e dai possidenti (3, 15%) (40) Per tutte queste categorie, ad eccezione degli artigiani, il tasso di volontariato è maggiore al corrispondente indice di renitenza. Al contrario, tra gli addetti all'agricoltura e il personale di servizio, ovvero i gruppi professionali con un'elevato numero di renitenti, la percentuale di volontari è infinitesimale (rispettivamente lo 0, 41% e lo 0, 70%) (41) Visto che ad intraprendere l'arruolamento volontario erano quasi esclusivamente gli appartenenti alle classi cittadine medio-alte è logico attendersi che, relativamente alla variabile territoriale, si riscontri una maggiore concentrazione di volontari all'interno dei comuni caratterizzati da una prevalenza della fisionomia urbana su quella rurale. I tassi più alti sono infatti quelli di Savignano (6, 84%), Sant'Arcangelo (4, 82%), Rimini (4, 80%), Cesena (3, 37%), San Giovanni in Marignano (3, 30%), Cesenatico (2, 99%) e Meldola (2, 98%) (42). Forlì e Forlimpopoli, con una percentuale di poco superiore all'1%, si attestano invece al di sotto della media provinciale (43) Per converso, su un totale di 31 comuni rurali non si verificò alcun arruolamento volontario in 21 di essi. La loro percentuale di volontari era pari allo 0, 75% a fronte di un tasso di volontariato urbano del 3, 15% (44) All'interno dei tre comuni maggiori l'analisi per ripartizioni parrocchiali omogenee ha posto in risalto che, su un totale di 58 volontari dei comuni di Cesena, Forlì e Rimini, 47 appartenevano a parrocchie della cinta muraria e dei sobborghi (rispettivamente 37 e 10) e nessuno a quelle del forese (per i rimanenti 11 la parrocchia è ignota) Contrariamente a quanto avveniva per la renitenza il tasso di volontariato decresce allontanandosi dal centro urbano: a Cesena, ad esempio, al 13, 71% delle parrocchie cittadine corrispondeva il 4, 14% di quelle dei sobborghi e l'indice nullo di quelle del forese (45).
3. Le molte facce della renitenza: i percorsi individuali, la latitanza e la repressione
Della renitenza si è data fin qui un'immagine in larga misura indifferenziata L'universo dei renitenti era in realtà estremamente composito: non tanto, come si è visto, sotto il profilo della loro estrazione sociale, quanto piuttosto relativamente ai percorsi decisionali dei singoli e alle diverse situazioni contingenti che erano all'origine della renitenza Le informazioni desumibili dalle liste di leva e d'estrazione, da un lato, e dagli atti dei processi celebrati a carico dei renitenti, dall'altro, consentono di delineare un certo numero di queste vicende di renitenza individuali, ma che al tempo stesso erano comuni a gruppi più ampi di coscritti (46)
Un'analisi delle modalità che caratterizzavano la renitenza deve preliminarmente verificare se essa sia sempre strettamente riconducibile all'avversione per il servizio militare Dallo spoglio dei fascicoli processuali è emerso un quadro parzialmente diverso (47).
Un contadino forlivese, renitente della classe 1839, depose davanti al tribunale penale di Forlì che egli non sapeva "di esser compreso" nella leva, "essendo a lavorare sempre in campagna" e "non conoscendo lettere" (48). Una deposizione analoga rese un bracciante di Mercato Saraceno appartenente alla stessa classe: "intesi che ero della leva militare e cercato dalla pubblica forza, cosa fino allora a me ignota". Quando il procuratore gli chiese se si era fatto iscrivere nella lista di leva del suo comune rispose: "No Signore, io non sapeva di avere quest'obbligo" (49).
Anche se è necessario considerare che gli imputati avevano ovviamente tutto l'interesse processuale a smorzare la gravità del reato commesso, la numerosità delle deposizioni di questo tenore e la circostanza che la coscrizione obbligatoria fosse entrata in vigore nel forlivese contemporaneamente all'effettuazione della prima leva post-unitaria fanno ritenere che, quantomeno in questa occasione, l'ignoranza del nuovo obbligo in alcuni strati della popolazione possa aver contribuito agli alti livelli di renitenza della provincia
Altri accusati giustificarono la loro renitenza con l'assenza dal territorio del comune al momento della chiamata della propria classe Un bracciante di Saludecio, processato nell'agosto del 1861, affermò che nei mesi precedenti era stato a lavorare nelle vicinanze di Roma, "ove niuno ebbe mai ad avvertirmi, che io fossi compreso nella leva" (50). Non si trattava di un caso isolato: numerosi coscritti delle classi 1839 e 1840 vennero dichiarati renitenti mentre erano temporaneamente emigrati fuori dalla provincia. Le prime due leve, succedutesi a breve distanza di tempo nell'autunno del 1860, furono infatti concomitanti al periodo in cui si verificava tradizionalmente la partenza dei braccianti della collina forlivese per i lavori stagionali nelle Maremme toscane e laziali. Nella primavera successiva, per molti di questi giovani, il ritorno in famiglia coincise con l'arresto (51)
La deposizione di un secondo bracciante di Saludecio sottolinea come la necessità di assicurarsi il sostentamento, unitamente alla scarsa conoscenza dei meccanismi del reclutamento, potesse influire sulla dinamica della renitenza delle classi agricole anche in assenza di una disposizione pregiudizialmente contraria alla coscrizione:
Nello scorso anno nel mese di Agosto fui invitato a presentarmi al Consiglio di leva per procedere all'estrazione del mio numero, come infatti l'eseguii [ ] Dopo scorsi venti giorni e altri senza che io fossi più chiamato a presentarmi all'assento, siccome mi avevano detto che avrei ricevuto un avviso, partii per le Maremme onde procacciarmi il vitto, e andai a Roma, ove restai fino alla fine circa di Febbraio (52).
L'esistenza di un'analoga costrizione economica è evidente anche nella vicenda di un contadino di Misano, il quale, pur presentatosi regolarmente alla visita di leva, fu successivamente dichiarato disertore perchè prima della partenza del suo contingente si era recato ai "lavori in Maremma" (53)
Nella prima leva post-unitaria furono inoltre dichiarati renitenti diversi giovani che al momento della chiamata si trovavano in Sicilia come volontari (54). Ovviamente, il ministero della guerra ritenne che non si potesse ravvisare in questi coscritti "il proposito deliberato di mancare ai loro doveri per riluttanza al militare servizio" e autorizzò i consigli di leva a cancellarli dalla renitenza una volta che costoro avessero intrapreso una ferma regolare (55)
In altri casi la responsabilità della renitenza sembra ricadere interamente sulla disorganizzazione che contraddistinse l'esecuzione delle operazioni di reclutamento. Durante l'interrogatorio molti renitenti negano di aver ricevuto gli avvisi che le autorità municipali erano tenute a recapitare ai coscritti in occasione del sorteggio e della visita di leva. Un contadino mezzaiolo di Civitella dichiarò che la sua assenza, "piuttosto che a delitto", doveva essere attribuita "alla circostanza che [io] riteneva per fermo che dovessi presentarmi a seguito di invito diretto che mai ho ricevuto da nessuno" (56). Un muratore forlivese, dichiarato rivedibile per difetto di statura nella leva della classe 1839, sostenne di non aver ricevuto alcuna comunicazione di presentarsi a quella successiva: "anzi da un mio amico letterato mandai a vedere se ero nella lista, ed egli mi assicurò che no" (57). L'esistenza di ritardi e omissioni nella consegna dei precetti venne riconosciuta dalle stesse autorità: riferendosi alla chiamata della classe 1843, il commissario di leva di Rimini deplorò infatti come
la rappresentanza Municipale [riminese] cercasse di renderla privata e di condurla a male; stanteché gli ordini di precetto a presentarsi non furono diramati che il giorno antecedente all'estrazione o non lo furono del tutto (58).
Il numero abbastanza elevato di queste diverse figure di refrattari inconsapevoli, o che quantomeno appaiono tali dagli atti processuali, se consente di correggere un'interpretazione troppo schematica della renitenza, non deve tuttavia far dimenticare che il grosso dei renitenti era costituito da chi sceglieva deliberatamente la latitanza per sottrarsi al servizio militare. Il renitente, tuttavia, raramente optava per la fuga in base ad un calcolo preciso delle sue probabilità di arruolamento Nel sistema di reclutamento piemontese, come si è già visto, l'aliquota di coscritti che venivano effettivamente incorporati nell'esercito era limitata a coloro che erano stati assegnati alla 1a categoria del contingente Per quelli compresi nella 2a categoria la permanenza sotto le armi era invece ridotta a poche settimane d'istruzione militare, a cui seguiva un lungo periodo in congedo illimitato. Sarebbe quindi logico attendersi che i renitenti nella maggior parte dei casi fossero coscritti che avevano avuto in sorte un numero basso, per i quali vi era la certezza o comunque un forte rischio di essere arruolati. Dallo spoglio delle liste di leva e d'estrazione emerge invece come diventassero renitenti non solo i coscritti che erano stati sfortunati nel sorteggio ma anche quelli che, favoriti da un numero abbastanza alto, erano relativamente al sicuro dall'inserimento nella 1a categoria. Questo comportamento può apparire incongruente, esistendo una sproporzione evidente tra il rischio dell'arruolamento e le pene previste per il reato di renitenza: il carcere da un mese a due anni, l'assegnazione alla 1a categoria indipendentemente dal numero estratto, due anni di ferma supplementare prima di ottenere il congedo illimitato (59) In realtà, l'incongruenza è solo apparente: i renitenti non erano semplicemente in grado di compiere una valutazione delle loro probabilità d'arruolamento perché nella grandissima maggioranza non si erano neppure presentati al sorteggio (60) Questa circostanza consente inoltre di spiegare perché tra i renitenti che successivamente si costituirono o furono arrestati fossero così numerosi coloro che avrebbero potuto far valere i propri diritti alla riforma o all'esenzione
Nelle liste di leva e d'estrazione si trovano appuntate assai di frequente, a fianco del nome dei renitenti, delle indicazioni relative al periodo in cui essi si erano resi irreperibili. Da queste informazioni, fornite dai sindaci o raccolte tra i coscritti che si erano presentati al sorteggio, l'ipotesi che la renitenza costituisse in molti casi una scelta operata già a monte del concreto impatto con l'istituzione militare viene confermata Diversi renitenti risultavano partiti "la notte antecedente
l'estrazione", molti altri erano "da vari giorni passati nello Stato Pontificio", altri ancora "si aggiravano per quelle campagne". Si è già visto inoltre come nelle settimane precedenti il sorteggio della classe 1839 si fosse verificato un notevole numero di espatri clandestini In molti casi, come conferma l'andamento irregolare che la renitenza registra nei singoli comuni da una classe all'altra, era un gruppo di coscritti dello stesso paese che intraprendeva la fuga collettivamente
Nel forlivese quindi, come anche nelle altre provincie nuove alla coscrizione, l'elevata renitenza registrata nelle primissime leve post-unitarie esprimeva soprattutto una reazione istintiva nei confronti di un obbligo fino ad allora sconosciuto e una fuga diffidente dall'istituzione militare
Probabilmente un fattore che rivestì un ruolo importante fu la scarsa conoscenza che i giovani soggetti alla leva avevano dei meccanismi del reclutamento. Non è da escludere infatti che la rapidità con cui si realizzò nella provincia di Forlì il ridimensionamento della renitenza dipendesse anche da un comportamento meno irrazionale dei coscritti: istruiti dall'esperienza delle leve precedenti, essi si resero conto che era preferibile operare la scelta della latitanza soltanto dopo aver preso parte all'estrazione.
Se la renitenza rappresentava la manifestazione più tipica del rifiuto dell'obbligo militare, la fuga dalla coscrizione assumeva però anche altre forme Si è già accennato in precedenza alla massiccia diserzione che caratterizzò il momento della partenza dei contingenti. Questo fenomeno è per molti versi più assimilabile alla renitenza che alla diserzione militare vera e propria Se infatti quest'ultima traeva origine dalla durezza della vita di caserma e dalla rigida disciplina cui i soldati erano sottoposti, la mancata presentazione dei giovani arruolati all'assento precedeva temporalmente l'incorporamento effettivo nell'esercito Esisteva tuttavia una differenza tra questa forma di diserzione e la renitenza: il fatto che i disertori, probabilmente nella speranza di non essere dichiarati abili, si fossero regolarmente presentati ai consigli di leva permette di riconoscere nella certezza dell'arruolamento l'elemento decisivo che ne provocò la fuga. Interessante al riguardo è la supplica redatta dal padre di un coscritto dichiarato disertore:
sebbene si presentasse alla visita, non seppe poi indursi ad obbedire all'ordine di partenza; e diedesi, come tanti altri, sconsigliatamente alla vita del profugo, che mena tuttora (61)
La testimonianza lascia anche intravedere come renitenza e diserzione potessero interagire tra loro: l'impunità di cui godevano i renitenti incentivava indubbiamente dei comportamenti emulativi nei giovani arruolati che erano in attesa di essere destinati ai loro corpi. Lo stesso generale Torre indicò infatti come causa principale della diserzione
il grave malcontento per vedere rimanere a casa tranquilli i renitenti, mentre quelli che ubbidirono alle Leggi, e si presentarono volenterosi per essere arruolati devono marciare in loro vece (62).
Accanto alla renitenza e alla diserzione, non mancarono tentativi dei coscritti di evitare il servizio militare ricorrendo alla simulazione di malattie o all'autolesionismo Due coscritti della classe 1839, ad esempio, furono processati dal tribunale militare di Forlì perche accusati l'uno di essersi "procurato ad arte" una piaga alla gamba sinistra e l'altro "di essersi tagliato la prima falange del dito indice della mano destra" (63) Altri casi di mutilazione volontaria si verificarono in occasione della chiamata della classe 1843 nel circondario di Cesena. Il sottoprefetto, informando il prefetto che alcuni coscritti si erano presentati all'estrazione "colla prima falange dell'indice della mano destra mutilato", espresse sull'episodio questa opinione:
sebbene non sia provato che il fatto è doloso, si ha tutta la presunzione per credere che sono stati mossi dalla speranza della esenzione (64).
Anche se il generale Torre dedicò molte pagine alla descrizione delle frodi messe in atto dai coscritti per ottenere la riforma, le relazioni ministeriali non forniscono alcun dato quantitativo sulla simulazione e l'autolesionismo (65) E` tuttavia possibile, utilizzando le fonti nominative, ovviare a questa mancanza di informazioni. Il regolamento sul reclutamento autorizzava i consigli di leva, al fine di accertare "la sussistenza o l'incurabilità" di una malattia, ad inviare i coscritti in osservazione presso un'ospedale militare (66) Nelle liste di leva e d'estrazione questa decisione viene scupolosamente annotata. I coscritti che dopo questo esame più accurato furono dichiarati abili rappresentano con buona approsimazione i simulatori smascherati Su un totale di 106 coscritti dei tre circondari della provincia appartenenti alle classi 1839-41 che furono inviati negli ospedali militari di Forlì e Rimini, coloro che vennero in seguito arruolati ammontavano a 38 unità. Le malattie più frequentemente simulate o artificialmente provocate erano la palpitazione di cuore, la sordità, la miopia, la balbuzie, l'epilessia, l'imbecillità, le piaghe e la tigna (67).
Non solo la riforma, ma anche l'esenzione per motivi di famiglia veniva talvolta strappata con la frode. Il caso di un contadino di Saludecio, processato per aver falsificato il proprio stato di famiglia (68), non doveva essere isolato se il ministero dell'interno con un'apposita circolare richiamò i municipi ad una maggiore attenzione nel rilascio degli attestati di esenzione ai coscritti (69).
In altre occasioni le frodi dei coscritti furono agevolate da complicità inaspettate Esemplare è la vicenda di un renitente di Mondaino. Dopo l'arresto venne misurato una prima volta dai carabinieri risultando di altezza pari a m. 1, 58. Successivamente venne visitato dal consiglio di leva di Rimini dal quale fu riformato per difetto di statura, essendo risultato alto soltanto m 1, 54 Della frode, presto scoperta dagli stessi carabinieri, furono accusati il segretario comunale di Mondaino e lo stesso commissario di leva di Rimini (70)
La meta dei coscritti fuggiaschi sembra essere rappresentata nella maggior parte dei casi dallo stato pontificio. La vicinanza del confine, che coincideva per un lungo tratto con quello della provincia di Forlì, la certezza di eludere le ricerche della forza pubblica, la possibilità di trovare in loco, probabilmente indirizzati anche da qualche parroco, appoggi e comprensione, erano tutti elementi che facevano preferire ai renitenti questo percorso di fuga Per i braccianti del forlivese questa meta coincideva del resto con quella dell'emigrazione stagionale E` quindi probabile che all'interno dei gruppi di fuggiaschi diretti verso le "inospitali Maremme" fossero numerosi coloro che avevano già sperimentato questo stesso percorso per altri scopi L'esistenza di questa correlazione tra renitenza ed emigrazione temporanea non sfuggì al generale Torre:
la maggior parte dei villici trovasi nell'Agro Romano: ivi sogliono trasferirsi ogni anno per accudire alle messi, ma in quest'anno [1861] prolungheranno certamente la loro dimora anche dopo il raccolto e sono inoltre raggiunti da moltissimi, pei quali la spedizione non ha altro scopo che di sottrarsi alla Leva (71).
L'annessione delle Marche, avvenuta nel novembre del 1860, rese indubbiamente più difficile il raggiungimento del territorio pontificio e, privando i renitenti di un agevole possibilità di fuga, contribuì a provocare un generale ridimensionamento dei livelli di renitenza del forlivese. I tentativi di raggiungere Roma continuarono tuttavia anche dopo questa data. Le autorità governative, per stessa ammissione di Torre, erano del resto sostanzialmente impotenti ad impedire il passaggio dei renitenti nello stato pontificio:
Il confine collo Stato Romano è oltremodo esteso: il Tevere stesso sarà presto in molte parti guadabile ed allora la vigilanza si renderà ancora più difficile (72)
I fuggiaschi, per eludere i controlli della forza pubblica e seguire un percorso sicuro, ricorrevano
spesso all'ingaggio di guide pratiche dei luoghi. Nell'agosto del 1863, ad esempio, un gruppo di renitenti e disertori forlivesi che un "certo Arceri Gaetano di Camerino conduceva nel Patrimonio" venne intercettato nei pressi di Fratta Todina, località lungo il corso del Tevere, da alcuni militi della locale guardia nazionale (73).
Se la fuga verso lo stato pontificio si configurava solitamente come una spedizione collettiva non mancarono anche tentativi isolati Un renitente di Monte Scudo venne arrestato nel 1864 dai carabinieri di Urbino mentre cercava di raggiungere Roma con un lasciapassare intestato a un cittadino sanmarinese (74) Nel febbraio del 1862 furono fermati nel pesarese due disertori che erano in possesso di un biglietto con l'indicazione delle diverse tappe da compiere per arrivare nello stato pontificio: "Penabili, S. Tagheta Feltra, S. Angelo in vada, Borgo santo sepolcro di arezo, Chiusi, Città delle Pieve, e viterbo" (75)
E` assai probabile che all'interno del mondo dei refrattari si verificasse uno scambio di informazioni sull'itinerario che, in base alla presenza e agli spostamenti della forza pubblica, era di volta in volta preferibile seguire. Le stesse località delle Marche, dell'Umbria e della Toscana in cui i renitenti forlivesi furono arrestati (Sant'Agata Feltria, Pesaro, Urbino, Arezzo, Radicofani, Siena, Fratta Todina, Perugia e Narni) consentono di tracciare, una volta messe in successione, le possibili varianti di un percorso verso Roma.
L'ampiezza assunta dal fenomeno della fuga verso lo stato pontificio, specie in occasione delle prime due leve post-unitarie, è confermata anche da fonti di ambito ecclesiastico. Il delegato apostolico di Pesaro scriveva infatti nell'agosto del 1860:
molte [reclute] si rifugiano in queste provincie preferendo il servizio militare pontificio, al quale vengono ascritti passando nel Battaglione ausiliarj: e siccome ho notizia e prevedo che tutti gl'individui che sono chiamati alla coscrizione, specialmente campagnoli, cercheranno confugio nel nostro Stato, così ho in mente [ ] di formare, completato che sia il Battaglione, una Compagnia ausiliari romagnoli (76).
La previsione del prelato si rivelerà in seguito decisamente ottimistica: furono assai pochi i renitenti forlivesi che entrarono nei ranghi dell'esercito pontificio (77). Per la quasi totalità dei fuggiaschi la renitenza non era infatti l'espressione di un dissenso connotato politicamente, quanto di un rifiuto dell'istituzione militare e dell'arruolamento qualunque esso fosse.
Se a sud il confine pontificio non era lontano, a nord la relativa vicinanza di quello austriaco, fissato lungo il corso del Po, rappresentava per i renitenti un'altra opportunità d'espatrio (78). La fuga verso il Veneto era agevolata dalla presenza lungo il percorso della pineta di Ravenna, la quale costituì a lungo un luogo di rifugio sicuro per i latitanti I tentivi fatti dalle autorità per "purgare" questa zona dai renitenti furono spesso infruttuosi:
Giorni addietro [marzo 1861] nella Pineta di Ravenna trovandovisi rifuggiati da qualche tempo un ottanta individui, refrattarii della leva passata [della classe 1839], furono circondati dai Bersaglieri per prenderli e condurli ai rispettivi Corpi. S'impegnò quindi seria lotta e dopo varie ore di fuoco, continuato da ambo le parti, i Bersaglieri dicesi che avessero cinque morti e feriti diversi, senza potere giungere ad impadronirsi d'uno neppure di quei fuggiaschi. Le tortuosità, le folte di quel bosco, conosciute dai refrattarii assai bene, prima di questi conflitti, porsero loro facilità di scampo; lasciando la forza sbalordita e confusa (79).
Il territorio austriaco, inoltre, poteva essere raggiunto anche per via marittima Un tentativo in questo senso venne compiuto da un gruppo di coscritti riminesi nel novembre del 1862. Il sottoprefetto di Rimini, informato della cosa, inviò al prefetto questo telegramma:
Risulta che su costa Riccione deve farsi in questi giorni un'imbarcazione inscritti leva per Trieste Interpellato Capitano porto dice difficile con barche a vela colpire fuggenti stante mare cattivo opinerebbe necessario presenza vaporetto per sorvegliare imbarco (80)
Dopo qualche giorno giunse da Ancona una "cannoniera" che incrociò a lungo al largo della costa, senza tuttavia intercettare alcuna imbarcazione sospetta Il sottoprefetto ritenne quindi di poter concludere che l'imbarco dei renitenti non aveva avuto luogo (81).
Un altro "santuario" della renitenza era rappresentato dalla repubblica di S. Marino, la quale, confinando col riminese, era facilmente raggiungibile dai coscritti di questo circondario Nel 1862, a causa dell'alto numero di refrattari che si era rifugiato nel territorio sanmarinese, il governo italiano stipulò con la repubblica una convenzione che prevedeva l'obbligo di consegnare i renitenti e i disertori senza che fosse necessaria una specifica richiesta dell'autorità giudiziaria (82). Il numero abbastanza scarso di arresti reso possibile dal trattato fece nascere qualche dubbio su una supposta complicità delle autorità sanmarinesi verso i latitanti Secondo il prefetto,
sebbene i Reggenti della Repubblica avessero ordinate delle indagini, e delle perlustrazioni pel rintraccio ed arresto delle persone loro date in nota, tuttavia persistevano sempre nel dichiarare che esse erano irreperibili (83).
Il ministero dell'interno, sollecitato ad intervenire, richiamò il governo sanmarinese ad un maggiore rispetto della convenzione e contemporaneamente consigliò di "inviare a San Marino qualche agente secreto, con l'incarico di appurare il numero, la qualità dei rifugiati, i luoghi e le persone che danno loro asilo" (84).
Se gli espatri clandestini, come confermano anche le informazioni desumibili dai processi di vane ricerche redatti dai carabinieri, furono indubbiamente numerosi, la decisione di rifugiarsi all'estero non coinvolse tuttavia la maggior parte dei renitenti Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, i latitanti furono arrestati all'interno della provincia, spesso nel territorio del proprio comune o addirittura nelle vicinanze della propria abitazione (85). Questa, ad esempio, è la descrizione del proprio arresto nella deposizione resa dal colono riminese Giovanni Semprini:
Io ero sulla porta di mia stalla, la quale colla mia casa è isolata in campagna, vidali approsimarsi a questa due Carabinieri, mi prese timore di essi, e fuggii per la campagna, ma venni da quelli raggiunto ed arrestato. Alle loro richieste sul mio cognome io loro risposi di chiamarmi Filippo ed inventai un cognome immaginario di cui ora non mi ricordo. Cosa vuole che le dica, è stato un sopra pensiero (86).
La geografia degli arresti, pur essendo ovviamente influenzata dall'impossibilità per la forza pubblica di catturare i renitenti che erano riusciti ad espatriare, rifletteva la scelta dei coscritti di non allontanarsi dalla propria comunità. Questa forma di latitanza era caratteristica dei renitenti rurali. L'avversione della popolazione agricola per la coscrizione, come si vedrà meglio in seguito, era soprattutto originata dalla consapevolezza che la prolungata assenza di un figlio arruolato nell'esercito avrebbe apportato alla famiglia colonica un notevole danno economico. Se uno dei motivi per cui il giovane contadino diventava renitente era quello di non privare la famiglia d'origine del suo contributo lavorativo, l'eventuale espatrio, non diversamente dall'arruolamento, avrebbe comportato per l'economia domestica una perdita secca di forza lavoro. La necessità di organizzare la propria latitanza in modo da soddisfare contemporaneamente due esigenze, quella di sottrarsi alle ricerche della forza pubblica e quella di contribuire al sostentamento del nucleo famigliare, spingeva quindi i renitenti rurali a cercare un nascondiglio che non fosse troppo lontano
dalla propria casa. Il latitante continuava di fatto a vivere in famiglia, allontanandosi soltanto quando la minaccia dell'arresto si faceva reale (87). Nel luglio del 1864 il delegato di pubblica sicurezza di Sarsina denunciò come nelle campagne vicine diversi renitenti andassero tranquillamente "a giornata per mietere" (88).
Le caratteristiche ambientali della provincia di Forlì erano del resto estremamente favorevoli alla latitanza La conformazione collinare e montuosa di gran parte del territorio provinciale e la presenza di vaste aree boschive offrivano ai latitanti numerose opportunità di rifugio e la possibilità di continuare a vivere in uno stato di semiclandestinità per periodi di tempo anche molto lunghi L'alta collina forlivese divenne infatti luogo di ricetto anche per i refrattari originari di provincie limitrofe. Il sottoprefetto di Cesena deplorò in più occasioni che diversi "renitenti stranieri" si fossero rifugiati nei comuni montuosi del circondario cesenate, "il quale ne ha abbastanza dei propri" (89).
I latitanti, oltre che sulle favorevoli condizioni ambientali, potevano inoltre contare sui legami di solidarietà esistenti all'interno della società rurale. Questi legami non erano stati recisi quando era il renitente aveva iniziato a vivere alla macchia. Pur collocandosi provvisoriamente ai margini della propria comunità egli continuava a farne parte a pieno titolo La scelta del giovane contadino di non presentarsi alla chiamata di leva, innestandosi su un sentimento di avversione per la coscrizione che era generalizzato nelle campagne, era largamente condivisa e giustificata Lo status di renitente trovava quindi all'interno del mondo contadino una sua legittimazione sociale (90).
La solidarietà verso i latitanti sfociò spesso in aperta complicità Le perlustrazioni della forza pubblica si rivelarono spesso inefficaci perché i renitenti venivano informati della presenza delle pattuglie dai vicini o dai contadini che abitavano nei pressi dei loro rifugi Le case coloniche rappresentarono inoltre per i giovani che vagavano nelle campagne dei luoghi privilegiati di sosta, in cui era anche possibile rifornirsi di cibo in cambio di qualche prestazione di lavoro occasionale. I latitanti, scriveva il sottoprefetto di Cesena, sono costretti
di abbandonare le grandi strade, per correre le strade meno battute, i siti più alpestri, di campare la vita limosinando il pane, ed il riposo negli abituri sparsi (91).
Numerosi furono del resto i processi celebrati dal tribunale penale di Forlì a carico di contadini colpevoli di aver dato asilo a renitenti e disertori (92).
In alcune occasioni la solidarietà popolare verso i renitenti giunse a sfidare apertamente la stessa forza pubblica. Nell'agosto del 1861, ad esempio, l'arresto di un latitante provocò un tumulto nel borgo agricolo di S Carlo, presso Cesena:
si sono sollevate -annotava il canonico Sassi nella sua cronaca- un numero grande di donne ragazzi ec gridando che volevano fuori il detenuto, e vedendo che la Forza non lo voleva cedere hanno queste incominciato a radunare intorno alla casa ove stava il detenuto una quantità di paglia coll'animo di appicarvi fuoco [...], ed alcune delle stesse più coraggiose sono sino salite sopra la casa stessa per discoprirla, per cui la Forza veduto l'animo risoluto di queste donne per non ritrovarsi in serii impicci ha lasciato in libertà il reffrattario, ed i Poliziotti si sono così fatti lo scherno delle donne medesime (93)
Uno scenario analogo si ripetè nel febbraio del 1863 nei dintorni di Cesenatico:
Ieri 23 [...] vi fu in quei villici un poco di sollevazione in causa di essere stato arrestato un renitente alla Leva Fu battuta la generale in quel paese e suonata
la Campana a Martello nella Parrocchia di Sala, ma poi tutto svanì, ed ora vengono arrestati molti di quei terrazani (94).
Se l'appoggio che la popolazione assicurava ai coscritti latitanti non venne meno lungo tutto l'arco degli anni sessanta, ciò dipese anche dal fatto che nella provincia di Forlì, contrariamente a quanto accadde in altre realtà territoriali, la renitenza e la diserzione non diedero vita a fenomeni particolarmente rilevanti di banditismo (95). Le cause del mancato affermarsi di forme significative di brigantaggio erano molteplici: l'assenza di bande organizzate preesistenti, la dimensione prevalentemente individuale che assumeva la latitanza, l'interesse che il renitente aveva a non caratterizzarsi come una figura pericolosa. Il sottoprefetto di Cesena osservava giustamente che i refrattari "si serbano innocui alle popolazioni, anche perché non tornerebbe loro conto inimicarsele" (96).
Seppure il banditismo non giungesse mai a rappresentare una pratica di massa, è indubbio che anche nel forlivese operarono alcune bande costituite in tutto o in parte da renitenti e disertori (97). In particolare, una "Banda di Disertori e Renitenti", composta "ora di venti ora di quindici individui", infestò a lungo le campagne di Mercato Saraceno e Sarsina, sfruttando la vicinanza del confine con le Marche e la Toscana per sfuggire alle perlustrazioni e agli appostamenti dei carabinieri e della guardia nazionale (98) Nella maggior parte dei casi, tuttavia, piuttosto che di vere e proprie bande, si trattava di gruppi di coscritti sbandati che per poter proseguire la vita alla macchia erano costretti a compiere furti e grassazioni. Nel dicembre del 1862 tutti coloro che transitano da Ronta per recarsi al mercato a Cesena sono aggrediti dai "Malandrini" e derubati dei "denari e quant'altro avevano". Lo stesso giorno viene anche ucciso un giovane del posto perché sospettato di essere una "spia dei renitenti alla Leva" (99) Nel gennaio successivo ad essere assaliti dai "briganti" sono i villici che percorrono la strada di Montereale, nelle colline del cesenate (100). Nel maggio del 1864 due individui vengono aggrediti nei pressi di Sarsina da alcuni renitenti: uno dei due è il fratello del sergente della locale guardia nazionale "che molte volte si è prestato all'inseguimento e cattura dei refrattari di Leva" (101). Nell'agosto del 1864 il parroco di Cerasolo, località presso Coriano, subisce una rapina nel suo domicilio ad opera di alcuni renitenti e disertori che poi si rifugiano nel limitrofo territorio sanmarinese (102) Sempre nello stesso mese un carabiniere viene ucciso nelle campagne di Predappio mentre è sulle tracce di una banda di refrattari (103)
La latitanza di renitenti e disertori si protrasse per periodi di tempo anche molto lunghi. Se talvolta essa fu un episodio destinato a concludersi nell'arco di pochi mesi, nella maggior parte dei casi i coscritti alla macchia riuscirono a sottrarsi alle ricerche della forza pubblica per diversi anni La durata della latitanza, infatti, su un campione di oltre 400 renitenti delle classi 1839-41 appartenenti ai circondari di Cesena e Rimini, era inferiore ad un anno soltanto per un quarto di essi, mentre superava i cinque anni in un terzo dei casi (104).
Questo dato, se da un lato conferma come la renitenza non fosse una vicenda che si potesse considerare conclusa con la caduta del suo tasso percentuale, dall'altro impone di formulare un giudizio articolato sui risultati conseguiti dalla repressione governativa. L'azione repressiva attivata dalle autorità contro i latitanti rappresentò indubbiamente uno dei fattori, se non quello decisivo, del crollo della renitenza. Tuttavia, essa palesò anche carenze di varia natura che impedirono di circoscrivere in un arco temporale più ristretto l'area della latitanza.
Le difficoltà incontrate nella lotta alla renitenza, oltre che da alcune cause oggettive quali la diffusa complicità della popolazione verso i latitanti, la vicinanza dei confini statali e l'abbondanza di nascondigli naturali nella provincia, dipendevano anche da limiti intrinseci alla stessa attività repressiva: in primo luogo, l'insufficienza numerica della forza pubblica disponibile e la sua scarsa conoscenza del territorio (105).
Per ovviare a questo duplice inconveniente le autorità governative avevano disposto che i carabinieri e le guardie di pubblica sicurezza fossero coadiuvati nell'opera di pattugliamento e perlustrazione dai militi della guardia nazionale che, essendo orginari del luogo, potevano inoltre
garantire una maggiore "cognizione" degli itinerari e dei possibili rifugi dei latitanti (106). Il ricorso a questa milizia territoriale fu però ostacolato dall'emergere al suo interno di numerose resistenze ad una mobilitazione permanente in questo compito d'ordine pubblico Un episodio emblematico di questo atteggiamento rinunciatario si verificò nell'agosto del 1864 a Predappio. Il capitano della locale guardia nazionale, al quale il sindaco si era rivolto per ottenere dieci militi che affiancassero i carabinieri in una perlustrazione da effettuarsi nel territorio comunale, non poté acconsentire alla richiesta per l'ostinato rifiuto dei suoi sottoposti di prestarsi a questo servizio:
questa Guardia Nazionale [è composta] la maggior parte di villici e braccianti, i quali hanno bisogno di attendere ai loro mestieri per sostentar loro stessi e le proprie famiglie Non torna in questo caso costringerli mentre sarebbero più inclinati a ricevere quelle punizioni che stabilisce la Legge, che perdere la giornata [ ] [ ] tali circostanze risulteranno sempre eguali per l'avvenire [...]. Se poi pel servizio in genere di latitanti vi fosse assoluta certezza di poterli rinvenire in un dato luogo, in questo solo caso i Militi stessi spontaneamente si presenterebbero (107)
Sebbene in altri comuni le guardie nazionali partecipassero attivamente ai pattugliamenti e alle perlustrazioni, distinguendosi anche nell'arresto di alcuni renitenti (108), la loro condotta fece spesso nascere il sospetto, probabilmente fondato, di una esplicita connivenza con gli stessi latitanti. Alcuni ufficiali della milizia cesenate, ad esempio, furono accusati dal sottoprefetto di arrecare "inciampi al servizio e scandalo all'intera Guardia Nazionale per la loro sfacciata relazione coi renitenti" (109) Se il comportamento ambiguo della guardia nazionale venne aspramente censurato dai funzionari governativi periferici, neppure l'operato dei carabinieri e delle guardie di pubblica sicurezza fu sempre esente da critiche e rimproveri:
la pochezza ed inefficacia dei mezzi del quale il sottoscritto può disporrelamentava il sottoprefetto di Cesena nell'aprile del 1864- non si èmai come al presente rivelata con tanta increscevole e scoraggiante evidenza Sulle Guardie di P. S. non può farsi verun positivo assegnamento. L'inettitudine, il mal volere e l'infedeltà sono l'impronta abituale d'ogni loro atto [ ] Non può neppure contarsi sulla cooperazione dei Reali Carabinieri (110).
Per ottenere che la forza pubblica impiegata nelle ricerche dei latitanti si dedicasse con maggiore impegno ed efficienza all'esecuzione di questo compito il governo aveva disposto di concedere una gratificazione in denaro agli autori dell'arresto di ciascun renitente (111) Grazie a questo incentivo monetario che moltiplicò gli sforzi profusi nell'attività di pattugliamento e perlustrazione, l'azione repressiva si concretizzò in un apprezzabile incremento del numero degli arresti (112) Le perlustrazioni e i pattugliamenti si rivelarono tuttavia uno strumento poco efficace e comunque insufficiente a fronteggiare il fenomeno della latitanza. La loro inefficacia, se era in parte dovuta all'improvvisazione che contraddistinse la strategia repressiva delle autorità governative, ovvero alla mancata organizzazione di un piano sistematico di rastrellamento dell'alta collina forlivese, e in secondo luogo all'esistenza di una controproducente rivalità, o quantomeno scarso coordinamento operativo, tra i diversi corpi mobilitati nella cattura dei renitenti, dipendeva essenzialmente dall'inadeguatezza di queste misure allo scopo che si voleva perseguire (113).
Un esempio significativo è fornito dall'esito conseguito da una "grande perlustrazione notturna" che venne effettuata nel gennaio del 1863 nel circondario di Cesena. Il progetto, elaborato direttamente dal sottoprefetto, si distingueva infatti dalla normale attività di pattugliamento per la sua ambiziosa portata e indubbia organicità La perlustrazione, condotta in collaborazione dai carabinieri, dalle guardie di pubblica sicurezza, dalle guardie nazionali e da fanti delle "truppe di linea", per un totale di oltre 100 uomini divisi in 10 pattuglie, interessò, partendo da quattro diverse
direttrici geografiche (Cesena e Cesenatico nella pianura, Longiano e Savignano nella collina), una porzione vastissima del territorio cesenate. Nel corso dell'operazione furono eseguite "esatte perquisizioni" in quasi 200 abitazioni di renitenti e sospetti "manutengoli" Questa capillare perlustrazione non ottenne però il successo sperato: se si eccettua che essa favorì indirettamente la cattura di tre renitenti che "allarmati" dalle pattuglie si erano "gettati nelli comuni vicini", neppure un latitante venne infatti arrestato Il sottoprefetto si dichiarò comunque ugualmente soddisfatto:
lo scopo fu attinto perché d'ora in avanti credo poter affermare che il Circondario di Cesena non darà più ricetto ai renitenti (114)
Gli scarsi risultati ottenuti da una operazione così minuziosamente organizzata prova la sostanziale inefficacia di questo strumento repressivo e giustifica la sconsolata ironia di un ufficiale dei carabinieri che, riferendosi alle perlustrazioni, le chiamava "ripetute gite" a causa della loro totale "infruttuosità" (115). I latitanti, infatti, grazie anche agli avvertimenti che ricevevano, si accorgevano tempestivamente della presenza delle pattuglie e facevano in tempo a spostarsi in una zona più sicura, o addirittura già perlustrata, riuscendo così ad eludere l'arresto (116)
Le difficoltà incontrate nel reprimere la renitenza dipendevano inoltre dallo scarso radicamento delle forze dell'ordine nella società civile e specialmente nell'universo rurale Se nelle campagne era assai diffuso tra la popolazione un atteggiamento di complicità con i latitanti, altrettanto generalizzata era infatti la volontà di non collaborare con le ricerche dei carabinieri e delle guardie di pubblica sicurezza Questa omertà popolare, motivata in primo luogo dall'esistenza di legami parentali, di vicinato o di solidarietà paesana con i giovani renitenti, era anche l'espressione dell'atavica e istintiva diffidenza contadina per tutte le incursioni estranee e minacciose all'interno del proprio mondo. Questo sentimento ostile, presente a priori, era stato tuttavia rafforzato dai numerosi abusi a cui aveva dato luogo la "tracotanza" delle forze repressive (117) Il sindaco di Monte Gridolfo, ad esempio, inviò nel maggio del 1864 una veemente protesta al sottoprefetto di Rimini per denunciare l'operato dei carabinieri di Saludecio:
[l'Arma] arbitrariamente viola il domicilio non solo di quanti porgono per uguaglianza di nome sospetto di renitenza alla Leva, turbando così il riposo di pacifiche famiglie; ma anche entrando capricciosamente in abitazioni scevre da ogni sospetto (118).
Giustamente il sindaco riteneva che il ripetersi di queste pratiche intimidatorie avesse alienato ai tutori dell'ordine pubblico ogni residua simpatia:
La frequenza di simili abusi produce sfavorevole impressione nell'animo di queste popolazioni, perché ricordano i soprusi dei Carabinieri Pontifici, e scemano la fiducia ed il rispetto che si deve all'Arma dei Reali Carabinieri (119).
Alla luce di questo e altri episodi analoghi non sembra azzardato affermare che la condotta tenuta dalle autorità municipali nei confronti della repressione governativa fu caratterizzata da una difficile equidistanza tra il dovere di fornire il loro appoggio ai tentativi di arrestare i renitenti e l'esigenza di difendere i propri amministrati dagli atti indiscriminati e arbitrari commessi dalla forza pubblica Un intervento concreto delle rappresentanze comunali per facilitare le ricerche dei latitanti era stato richiesto in più occasioni dai funzionari governativi periferici. Nel marzo del 1861, ad esempio, l'intendente generale della provincia aveva invitato i sindaci a fornire tutte le informazioni in loro possesso per "rendere più proficua l'azione dei Reali Carabinieri", assicurandoli
che non avranno in verun caso a soffrire né molestie, né danno per le notizie
che avranno somministrato all'arma suddetta, imperocché questa saprà valersene senza compromettere menomamente la persona dalla quale le abbia attinte (120)
L'atteggiamento sostanzialmente neutrale mantenuto dalle autorità municipali fa supporre che queste sollecitazioni siano state generalmente eluse Questo atteggiamento era tuttavia destinato a suscitare qualche dubbio sulla lealtà del loro comportamento. Il comandante provinciale dei carabinieri, avuta notizia del ricorso presentato dal sindaco di Monte Gridolfo, lo accusò infatti di favorire oggettivamente i renitenti con gli intralci che creava al servizio dell'arma:
l'Autorità che dovrebbe appoggiare i Carabinieri nell'esecuzione della Legge, facendosi invece essa stessa eco di malcontento e orditrice di calunnie contro i medesimi, tiene in apprensione i Carabinieri stessi nell'esecuzione delle loro funzioni da paralisarne le operazioni per tema di incontrare ostacolo per parte dell'Autorità (121).
L'impossibilità di contare sull'aiuto della popolazione e sulla fattiva cooperazione dei sindaci costrinse i funzionari governativi a ricercare altri canali per ottenere notizie sui luoghi di rifugio dei renitenti. Gli sforzi per rompere il muro di complicità da cui erano protetti i latitanti furono specificatamente rivolti alla creazione di una rete di informatori prezzolati. Se non si giunse all'organizzazione di una struttura "spionistica" stabile ed estesa in tutta la provincia, fu comunque frequente in alcune situazioni locali il ricorso a "sicuri confidenti" (122). Nel febbraio del 1864, ad esempio, la guardia nazionale di Civitella, grazie alla segnalazione di un informatore, fece irruzione in uno sperduto casolare della montagna sopra Teodorano dove erano "riuniti per una festa di ballo" diversi renitenti, ma non riuscì ad operare alcun arresto per la "precipitosa fuga" dei convenuti (123) A prescindere da questo episodio è indubbio che l'impiego dei confidenti, agevolando l'individuazione delle zone su cui far convergere le ricerche dei latitanti, consentì di rendere più incisivo l'operato della forza pubblica
Formulare un giudizio complessivo sull'efficacia della repressione governativa è quindi estremamente difficile. Se da un lato essa conseguì, almeno inizialmente, un limitato successo sul piano strettamente numerico degli arresti, dall'altro la continuità che contraddistinse l'attività di pattugliamento e perlustrazione, limitando le possibilità di libero spostamento dei latitanti, contribuì in prosieguo di tempo a rendere difficilmente sostenibile la prosecuzione della vita alla macchia. In secondo luogo, il progressivo inasprimento della repressione influì indirettamente sui livelli di renitenza, scoraggiando i potenziali refrattari ad intraprendere la scelta della latitanza.
Note al capitolo III
(1) Del Negro, op cit , p 176; si veda anche Oliva, Esercito, paese e movimento operaio , cit , pp 19-20
(2) Del Negro, op cit , pp 176-177
(3) M. d. G, Della leva sui giovani nati nel 1849..., cit., p. 23.
(4) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., tabelle IX, XXI, LVII, LXIX.
(5) Del Negro, op. cit., pp. 177.
(6) Ibidem Incidentalmente deve essere segnalato che Del Negro indica per la classe 1842 una percentuale di renitenti pari al 25% della somma dei contingenti di 1a e 2a categoria, probabilmente confondendosi con quella della classe precedente La precisazione non è priva di significato in quanto Del Negro propone, sulla base di questo valore errato, "di raddoppiare, perlomeno per il periodo che va dall'unità ai primi anni Settanta, gli indici ufficiali". Coerentemente con la sua analisi avrebbe invece dovuto suggerire di triplicarli
(7) Si veda la tabella IV
(8) Del Negro, spinto dalla volontà di dimostrare a tutti i costi la significatività quantitativa del fenomeno, che è comunque indubbia già sulla base del tasso ufficiale, considera la renitenza unicamente in funzione del reclutamento: con questa impostazione di fondo egli perviene, da un lato, ad assimilarla a una manifestazione analoga ma in realtà profondamente diversa quale la diserzione, e dall'altro, a fare propria la ristretta visuale dei responsabili del reclutamento
(9) Si veda la tabella XVI: su un totale di 427 renitenti dei circondari di Cesena e Rimini, appartenenti alle classi di leva 1839-41, che furono arrestati o si costituirono spontaneamente, 154 vennero riformati, 9 esentati e 10 dichiarati rivedibili (40, 52%). Non è possibile conoscere questo dato per i renitenti del circondario di Forlì in quanto le liste di leva non specificano quale fu l'esito della visita a cui essi furono sottoposti.
(10) Lo stesso generale Torre calcolò, per la leva della classe 1839, eseguita nelle "antiche provincie" e nelle Romagne, anche una percentuale dei renitenti che teneva conto delle "nuove cancellazioni" che avevano ridotto il numero reale degli iscritti nelle liste d'estrazione (Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 84).
(11) Del Negro tra le categorie che propone di sottrarre dal totale dei coscritti comprende anche i volontari, in quanto essi "sicuramente non provavano molta attrazione per la renitenza" (op. cit., p. 177) Egli non si accorge che è privo di qualsiasi significato sociale un tasso di renitenza calcolato su un insieme dal quale sia stata defalcata la categoria che era caratterizzata da un atteggiamento opposto (affezione per l'esercito) a quello (fuga dall'istituzione militare) che manifestavano i renitenti.
(12) Si veda la tabella XVI: le cancellazioni di nominativi dichiarati erroneamente renitenti ammontarono complessivamente nella provincia di Forlì, per le classi di leva 1839-41, a 182 su un totale di 1066 dichiarazioni di renitenza (17, 07%) Il numero di queste cancellazioni fu
particolamente rilevante nel circondario di Cesena (30, 51%), mentre in quelli di Forlì e Rimini risultò decisamente minore (rispettivamente il 13, 45% e il 13, 06%). Ricordiamo che, essendo dispersa la lista di leva del comune di Forlì relativa alla classe 1839, tra i dati nominativi e quelli ufficiali esiste una discrepanza non colmabile: le dichiarazioni di renitenza nelle tre classi considerate furono infatti in tutta la provincia 1107 Di queste, 41 riguardavano coscritti della classe 1839 domiciliati a Forli, dei quali però non è possibile sapere quanti fossero effettivamente renitenti. Analogamente, questa discrepanza sarà sempre riscontrabile per tutte le altre grandezze (volontari, surrogati e liberati) su cui si soffermerà l'analisi nominativa
(13) M. d. G, Della leva sui giovani nati nel 1849..., cit., p. 44.
(14) Le relazioni ministeriali non forniscono alcuna informazione sull'ammontare dei coscritti dichiarati erroneamente renitenti
(15) Si ritiene che l'analisi nominativa consentirebbe, se applicata a tutte le realtà territoriali del regno d'Italia, di pervenire al calcolo di un tasso nazionale di renitenza più attendibile
(16) Nei comuni in cui era maggiore la renitenza il numero dei refrattari superava quello degli arruolati: a Saludecio si avevano 45 renitenti e 32 abili, a Verucchio 24 e 17, a Coriano 40 e 34, a Monte Gridolfo 9 e 8.
(17) Si veda la tabella XVII/a.
(18) I comuni compresi nella fascia collinare erano 27: Borghi, Longiano, Mercato Saraceno, Montiano, Roncofreddo, Roversano, Sarsina e Sogliano nel circondario di Cesena; Bertinoro, Civitella, Fiumana, Meldola, Mortano, Predappio e Teodorano nel circondario di Forlì; Coriano, Gemmano, Mondaino, Monte Colombo, Monte Fiorito, Monte Gridolfo, Monte Scudo, Poggio Berni, Saludecio, San Clemente, Scorticata e Verucchio nel circondario di Rimini I comuni della fascia pianeggiante erano 13: Cesena, Cesenatico, Gambettola, Gatteo e San Mauro nel circondario di Cesena; Forlì e Forlimpopoli nel circondario di Forlì; Misano, Morciano, Rimini, San Giovanni in Marignano e Sant'Arcangelo nel circondario di Rimini I comuni a più alta concentrazione urbana erano 9: Cesena, Cesenatico, Savignano, Forlì, Forlimpopoli, Meldola, Rimini, Sant'Arcangelo e San Giovanni in Marignano (che conglobava nel suo territorio Cattolica). Questi ultimi comuni presentavano, al censimento del 1861, una percentuale di popolazione concentrata pari almeno al 30% e un numero di abitanti nel capoluogo superiore a mille unità.
(19) Nel cesenate, non diversamente da quanto avveniva su scala provinciale, le due percentuali erano invece vicinissime, con una leggera prevalenza di quella relativa ai comuni di collina (si veda la tabella XVII/b)
(20) Cammelli, Al suono delle campane , cit , pp 129-130, 163-164
(21) Si veda la tabella XVII/b.
(22) Si è ritenuto poco significativo rilevare il dato parrocchiale anche per tutti gli altri comuni, in quanto il loro territorio, assai meno esteso, era suddiviso in un numero esiguo di parrocchie o addirittura interamente compreso in una soltanto.
(23) Per l'individuazione della giurisdizione territoriale delle singole parrocchie si è fatto ricorso alla statistica ecclesiastica del 1886 riportata in E. Rosetti, La Romagna. Geografia e storia, Milano, 1894, pp 512-524
(24) Si veda la tabella XVIII.
(25) Questi 11 raggruppamenti sono stati stabiliti in maniera rigorosa. In particolare, anche in presenza di un nucleo numericamente esiguo di coscritti accomunati dalla stessa condizione professionale si è preferito creare una categoria autonoma Questo ovviamente comporta che per alcuni raggruppamenti (segnatamente gli addetti alle attività marittime e quella che si è definita popolazione marginale) gli indici ottenuti sono privi di qualsiasi significato, anche se sono stati ugualmente calcolati per completezza espositiva. Si è preferito questo modo di procedere alla forzatura di assegnare questi coscritti ad una delle altre categorie, dando così luogo a degli insiemi non omogenei
(26) L'indicazione del mestiere talvolta non viene riportata dalle liste Il numero di coscritti dei quali non si conosce lo status professionale è tuttavia abbastanza limitato: 597 su 4823 (12, 38%). E` inoltre da tener presente che anche al censimento del 1861 era risultata molto alta nella provincia di Forlì la quota di popolazione in condizione non professionale Secondo il prefetto Campi questo dato era dovuto alla presenza di molte persone che si dedicavano "a servigj indeterminati, e a lavori precarj" (Monografia statistica , cit , vol I, p 288)
(27) I sottogruppi sono: coltivatori proprietari e amministratori agricoli, coltivatori, salariati agricoli e addetti alla pastorizia per il settore agricolo; addetti all'edilizia e alle miniere, addetti alla lavorazione del metallo, addetti alla lavorazione del legno, addetti alla lavorazione della pelle, artigiani tessili, artigiani diversi per il settore industriale e artigianale; artisti e studenti, impiegati e professionisti per gli appartenenti alle classi medie.
(28) Su 597 appartenenti a questa categoria i renitenti erano 230
(29) Si veda la tabella XIX
(30) Secondo Torre, nelle Romagne, a differenza delle altre provincie non "educate" alla coscrizione, il numero degli "alunni ecclesiastici, massime di clero regolare" non risultò "strabocchevole" e in alcune diocesi le domande di dispensa furono addirittura inferiori a quelle che erano consentite dalla legge sul reclutamento nella proporzione di una ogni ventimila abitanti (Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , p 75) Non sembra quindi che nel periodo unitario, al contrario di quanto accadde durante la dominazione napoleonica, i coscritti romagnoli abbiano fatto largamente ricorso all'espediente di un'entrata fittizia in seminario o in convento per evitare il servizio militare. A livello nazionale i casi di questo genere non dovettero però mancare se Torre accennò in più occasioni alle frodi perpetrate in ambito ecclesiastico (M. d. G., Della leva sui giovani nati nel 1843 , cit , pp 50, 53-54) Nel luglio del 1864 gli articoli della legge sul reclutamento che concedevano la dispensa furono abrogati temporaneamente dalla camera e poi reintegrati dal senato nell'aprile successivo Sono interessanti al riguardo le notazioni del canonico Sassi: "I deputati vogliono veramente essere coerenti a sé medesimi: con questa nuova Legge hanno sancito ciò, che sostengono nella Camera che gli Stati non debbono aver religione. Infelici! [...] Un altro trionfo Il senato [ ] rigettava a gran maggioranza la Legge che strappava i chierici dai Seminari per incorporarli nella milizia" (Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, pp. 270, 330).
(31) In effetti, le categorie sarebbero 4: gli addetti alla marineria e alla pesca hanno infatti una percentuale di renitenti che non solo è maggiore di quella provinciale, ma è la più alta in assoluto (50, 00%) L'estrema ristrettezza del raggruppamento (6 coscritti) rende palesemente non significativo questo dato. Una situazione analoga, anche se di segno contrario, si registra per la categoria della popolazione marginale (nessun renitente su un totale di 8 coscritti)
(32) Tra gli sconosciuti erano senza dubbio più numerosi coloro che, abitando nelle campagne, avevano occasione raramente, o addirittura affatto, di intrattenere rapporti con il centro comunale
(33) Di fronte alla dizione generica "garzone", "servitore" o "domestico" si è preferito, anche quando l'indicazione della parrocchia attestava un domicilio rurale, classificare i coscritti nella categoria del personale di fatica e di servizio, al fine di salvaguardare nella raccolta dei dati un criterio omogeneo Al riguardo è ugualmente possibile che qualche piccolo proprietario agricolo, per l'indeterminatezza della denominazione "proprietario", sia stato erroneamente compreso tra i possidenti.
(34) Non sempre si è rivelata agevole la distinzione tra affittuari e piccoli proprietari agricoli. Il criterio seguito è stato quello d'inserire tra i coltivatori proprietari solo coloro per i quali un sostantivo generico (contadino o agricoltore) era accompagnato dall'aggettivo possidente o similari. Ne consegue che denominazioni quali "contadino" o "agricoltore", assimilate a quelle più specifiche quali "mezzadro" o "colono", sono state sempre inserite tra i coltivatori In questo sottogruppo è quindi possibile sia stato compreso anche qualche piccolo proprietario agricolo.
(35) Si veda la tabella XIX e il grafico II.
(36) A titolo esemplificativo si veda nello specchietto che segue l'ammontare del salario giornaliero e dello stipendio annuo di alcune categorie professionali alla metà dell'ottocento.
categoria professionale salario giornaliero stipendio annuo
operaio comune
bracciante
operaio scelto
1, 01 - 1, 50
1, 10 - 2, 00
1, 11 - 2, 50 minatore
falegname
muratore
fabbro
1, 59 - 3, 20
1, 86 - 3, 10
2, 00 - 3, 00
2, 50 - 3, 50 calafato
3, 20 - 4, 00 maestro 150 - 350 professore
fonte: Monografia statistica , cit , vol III, pp 314-315
700 - 1000
Una circostanza singolare conferma quanto fossero considerevoli le somme necessarie per ottenere la liberazione o la surrogazione. Il padre di un coscritto di Meldola fece istanza "di pagare in rate annue la tassa d'esonerazione dall'obbligo della leva". La richiesta venne però respinta dal ministero della guerra (A S Fo , Prefettura, b 771, cit )
(37) Dall'analisi nominativa è emerso solo un caso in cui il comportamento delle classi cittadine abbienti assumeva il carattere di un rifiuto assoluto della coscrizione: un coscritto possidente di Borghi, al quale era stata annullata dal ministero della guerra la surrogazione che aveva contratto, si rese successivamente renitente Probabilmente anche nel caso delle classi urbane medio-alte, non diversamente da quanto avveniva per gli artigiani e i coloni, la coscrizione agiva soprattutto sul piano economico, comportando un notevole differimento dell'inizio della vita professionale. La consapevolezza popolare che per i ricchi, mediante le sostituzioni a pagamento, era possibile evitare il servizio militare, trovava poi una dolente espressione nel proverbio
La guera e la cuscrizion
l'è fata pr'i puret e pr'i cojon
(Proverbi romagnoli, a cura di U Foschi, Rimini, 1980, p 755)
(38) Si veda la tabella VIII.
(39) La scelta di calcolare anche la percentuale dei volontari sull'insieme dei giovani soggetti alla leva, invece che sul contingente d'arruolati, oltre che dalla necessità di rendere accostabili i due valori, è stata fatta per valutare l'effettiva diffusione del volontariato all'interno dell'universo dei coscritti.
(40) Le percentuali più alte sono quelle degli impiegati (14, 29%), dei professionisti (10, 53%) e degli artigiani tessili (10, 29%). Un'elevato indice di volontariato presenta anche, per la ragione esposta in precedenza, il raggruppamento comprendente i coscritti di professione ignota (4, 52%)
(41) Si veda la tabella XIX e il grafico II
(42) Secondo Del Negro se il "volontariato sottolineava il ruolo delle grandi città", anche "in provincia la professione militare attirava soprattutto gli strati urbani" (op cit , p 179)
(43) Una seconda eccezione è rappresentata dall'alta percentuale di volontari del comune rurale di Gambettola (4, 35%).
(44) Si vedano le tabelle XVII/a e XVII/b
(45) Si veda la tabella XVIII
(46) I renitenti dopo l'arresto o la presesentazione volontaria venivano immediatamenti messi a disposizione del tribunale penale di Forlì o del tribunale militare territoriale competente per territorio (fino all'ottobre del 1864 quello di Forlì, poi quello di Bologna).
(47) Sulle potenzialità e i limiti delle fonti processuali si vedano: E Sori, Crisi economica e crisi sociale: economia politica del crimine nella prima metà degli anni Ottanta, in S. Anselmi (a cura di), Nelle Marche Centrali Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento: l'area esinomisena, Jesi, 1979, t. 2, pp. 1641-1730; M. Dean, Aspetti della condizione contadina nel Montefeltro alla fine dell'Ottocento attraverso i documenti del Tribunale di Urbino, in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi", a II (1980), n 2, pp 349-369; Id , Popolazione e territorio: la criminalità in un'area mezzadrile. Suggestioni e limiti delle fonti, in "Quaderni storici", a. XVI (1981), n. 46, pp 225-235; R Villa, Sullo studio storico della devianza: note su alcuni aspetti storiografici e metodologici, in "Società e storia", a. III (1981), n. 13, pp. 639-670. Quest'ultimo, in particolare, sottolinea che un fascicolo processuale "è il risultato della sovrapposizione successiva di tre livelli di mediazione Il primo, è quello di coloro che l'apparato giudiziario seleziona [ ]; il secondo è la selezione di ciò che viene ritenuto significativo dall'apparato stesso (interrogatorio, prove, testimonianze, eventuale confessione); il terzo è la selezione operata dal cancelliere che raramente riporta le testuali parole dell'imputato. Questi tre livelli di mediazione ci informano sull'apparata repressivo, ben poco sul referente del loro discorso" (p. 657).
(48) A. S. Fo., Tribunale penale, 1861, b. 6, fasc. 134.
(49) Ivi, 1861, b. 3, fasc. 34.
(50) Ivi, fasc 134, cit
(51) La medesima situazione caratterizzò anche l'area bolognese (Cammelli, Al suono delle campane , cit , pp 132, 164) Il censimento del 1861 fornisce una valutazione quantitativa e qualitativa dell'emigrazione periodica. I dati censuari tendono tuttavia a sottovalutare notevolmente la portata del fenomeno, che raramente dava luogo a registrazioni nelle statistiche ufficiali
L'emigrazione stagionale interessava unicamente forza lavoro maschile nel pieno della maturità fisica. Essa non era limitata al solo settore agricolo, ma coinvolgeva anche alcune categorie artigianali (in particolare fabbri ferrai e calderai) La date delle partenze si concentravano nei mesi di ottobre e novembre, mentre l'epoca del ritorno era compresa tra marzo e giugno.
A) sesso
femmine maschi 0 115
B) età 0-15 15-20 20-30 + 30 1 3
C) occupazione
IA MI MA IC PL PO PE SP 62 0 51 0 0 0 0 2
legenda:
IA = industria agricola
MI = industria mineraria
MA = industria manifatturiera
IC = industria commerciale
PL = professioni liberali
PO = possidenti
PE = poveri erranti
SP = senza professione
D) destinazione nel regno fuori regno 1 114
E) periodo mese partenza ritorno gennaio 4 0 febbraio 0 1 marzo 1 35 aprile 0 21
maggio 0 35
giugno 0 23
luglio 0 0
agosto 0 0
settembre 4 0
ottobre 57 0
novembre 49 0
dicembre 0 0
fonte: Direzione della Statistica Generale del Regno (d'ora in poi DIRSTAT), Popolazione Censimento Generale (31 dicembre 1861), Firenze, 1866, vol. III, pp. 163, 176-177.
(52) A. S. Fo., Tribunale penale, 1861, b. 2, fasc. 10.
(53) A S Bo , Tribunale militare di Forlì, b 7, fasc 430
(54) Su un totale di 378 coscritti dichiarati renitenti nella provincia di Forlì coloro che incorsero nella dichiarazione di renitenza mentre combattevano nella fila dell'esercito meridionale ammontavano a 60 unità (15, 87%). Di questi, a sottolineare la prevalente estrazione urbana dei volontari, 20 appartenevano al comune di Rimini e 18 a quello di Forlì (A S Fo , Prefettura, b 771, cit., Elenco degli inscritti della classe di leva 1839 dichiarati renitenti mentre si trovavano come volontari in Sicilia)
(55) Ivi, circolare del ministero della guerra ai presidenti dei consigli di leva delle antiche provincie e delle Romagne, Torino, 17 novembre 1860
(56) A S Fo , Tribunale penale, 1861, b 3, fasc 33
(57) Ivi, fasc. 134, cit. Numerosi furono i coscritti rimandati alla leva successiva che non presentarono, venendo così dichiarati renitenti In altri casi, i coscritti incorrevano nella renitenza perché, essendo affetti da "indisposizione di salute", non erano comparsi davanti ai consigli di leva (A S Fo , Prefettura, b 788, cit , supplica di Felicia Fiorini al prefetto, Rimini, 26 aprile 1861) Nel caso specifico di questa supplica, essendosi verificato l'arresto del figlio oltre sei mesi dopo la data in cui egli si sarebbe dovuto presentare, è tuttavia difficile credere che il motivo della renitenza fosse questa ragione di forza maggiore
(58) A. S. Fo., Gabinetto riservato, lettera del commissario di leva di Rimini..., 20 ottobre 1863, cit.
(59) Legge del 20 marzo 1854..., cit., artt. 163 e 176. I renitenti arrestati erano puniti col carcere da uno a due anni Per quelli che si presentavano spontaneamente la pena variava da due a sei mesi, se non era ancora trascorso un anno dalla dichiarazione di renitenza, o da sei mesi ad un anno dopo questa data. I renitenti risultati non idonei al servizio militare scontavano una condanna variabile tra un mese e un anno di carcere
(60) Per converso, sono poco frequenti i casi di renitenti che si presentarono regolarmente al sorteggio
(61) A S Fo , Prefettura, b 788, cit , supplica di Domenico Prati all'intendente generale della provincia di Forlì, 1861.
(62) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 165.
(63) A S Bo , Lista d'estrazione del mandamento di Cesena, classe di leva 1839, n 81; Lista d'estrazione del mandamento di Savignano, classe di leva 1839, n. 63.
(64) A S Fo , Gabinetto riservato, lettera del sottoprefetto di Cesena , 31 ottobre 1863, cit Numerosi casi di simulazione vengono denunciati anche dal quotidiano "La Voce del popolo": se alcuni alcuni coscritti tentavano "d'ingannare la misura [dell'altezza] rannicchiandosi con bell'arte", altri, "colla protezione di certi tali", speravano "mediante i raggiri" di essere riformati "sotto pretesto di difetti fisici" (a. II, n. 294, 14 dicembre 1861).
(65) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., pp. 257-258, 331-332; M. d. G, Della leva sui giovani nati nell'anno 1843 , cit , p 37 e segg ; M d G, Della leva sui giovani nati nell'anno 1844..., cit., p. 35 e segg.; M. d. G, Della leva sui giovani nati nell'anno 1845..., cit., p. 62 e segg.
(66) Legge del 20 marzo 1854..., cit., art. 80.
(67) Il frequente ricorso dei coscritti alla simulazione trova conferma nelle numerose pagine che il citato l'"Elenco delle infermità", allegato al regolamento sul reclutamento, dedica alla minuziosa descrizione di queste pratiche Sulla simulazione si veda anche l'abbondante letteratura medica che analizzò le problematiche sanitarie connesse alla coscrizione: F. Cortese, Malattie ed imperfezioni che incagliano la coscrizione militare nel Regno d'Italia Mezzi e provvedimenti atti a prevenirle, Milano, 1866, pp. 133-171; E. Franchini, La scelta del soldato. Considerazioni e proposte sulla coscrizione militare in Italia, Pisa, 1869, pp. 110-124; L. Tomellini, Delle malattie più frequentemente simulate o provocate dagli inscritti Memoria, Roma, 1875 Per una messa a punto storiografica si vedano: Pischedda, op. cit., pp. 57-64; Farolfi, Dall'antropometria militare..., cit., pp. 1070-1074; Oliva, Esercito, paese e movimento operaio , cit , pp 41-44
(68) A. S. Fo., Tribunale penale, 1862, b. 52, fasc. 1924. Un contadino di Sarsina fu invece inquisito perché accusato di aver "falsificato l'età per essere esonerato dalla Leva" (ivi, 1864, b 98, fasc. 3380).
(69) A S Fo , Prefettura, b 788, cit , circolare del ministero dell'interno ai governatori e agli intendenti generali e di circondario, Torino, 28 agosto 1861.
(70) A. S. Fo., Gabinetto riservato, 1864, b. 9, fasc. 87, lettera del comandante della divisione dei reali carabinieri di Forlì maggiore Muratori al prefetto di Forlì, Forlì, 7 giugno 1864.
(71) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., p. 165.
(72) Ivi, pp. 165-166.
(73) A S Fo , Gabinetto riservato, 1863, b 6, fasc 133, lettera della prefettura di Forlì al delegato centrale di pubblica sicurezza, Forlì, 3 settembre 1863.
(74) Uguccioni, art. cit., p. 18.
(75) Ivi, p 19
(76) A S V , Segreteria di Stato, lettera del delegato apostolico di Pesaro , 8 agosto 1860, cit , c
172r.
(77) Dallo spoglio delle liste di leva e d'estrazione risulta che soltanto cinque renitenti si fossero arruolati nelle truppe papali.
(78) "L'Eco", a I: n 219, 28 ottobre 1861, pp 885-886; n 228, 8 novembre 1861, p 922 Si veda anche A. S. Fo., Gabinetto riservato, lettera del sottoprefetto di Rimini..., 15 agosto 1864, cit. Gli espatri clandestini verso il Veneto, secondo una corrispondenza de "La Voce del popolo", erano favoriti da alcuni emissari austriaci che, offrendo "un premio di 4 marenghi", si incaricavano di condurre i renitenti oltre il confine (a. II, n. 290, 10 dicembre 1861).
(79) "L'Eco", a. I, n. 35, 16 marzo 1861, p. 139. Da questa testimonianza emerge con tutta evidenza come la conoscenza del terreno offrisse ai latitanti un decisivo vantaggio sulla forza pubblica I renitenti forlivesi arrestati nel ravennate furono una decina.
(80) A S Fo , Gabinetto riservato, 1862, b 4, fasc 46, telegramma del sottoprefetto di Rimini al prefetto di Forlì, Rimini, 24 novembre 1862. Verso Trieste era diretta anche la fuga di un renitente di Monte Colombo (ivi, 1862, b 4, fasc 47, lettera del prefetto di Forlì al sottoprefetto di Rimini, Forlì, 9 settembre 1862).
(81) La vicenda diede luogo alla formazione di un fascicolo riservato assai voluminoso (Ivi, 1862, b. 4, fasc. 29).
(82) La convenzione, stipulata il 22 marzo 1862, fu ratificata con Regio Decreto del 18 giugno 1862.
(83) A. S. Fo., Gabinetto riservato, 1864, b. 8, fasc. 22, lettera del prefetto di Forlì Campi al ministero dell'interno, Forlì, 24 settembre 1864
(84) Ivi, lettera del ministero dell'interno al prefetto di Forlì, Torino, 3 settembre 1864.
(85) Gli arresti di renitenti avvenuti al di fuori dei confini della provincia rappresentavano appena un decimo del totale.
(86) A. S. Bo., Tribunale militare di Forlì, b. 8, fasc. 484.
(87) La latitanza assumeva spesso le stesse modalità anche nell'area bolognese (Cammelli, Al suono delle campane..., cit., pp. 132, 135).
(88) A. S. Fo., Gabinetto riservato, 1864, b. 10, fasc. 143, lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Sarsina al sottoprefetto di Cesena, Sarsina, 12 luglio 1864
(89) Ivi, 1863, b. 6, fasc. 132, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena Agnetta al prefetto di Forlì, Cesena, 3 febbraio 1863
(90) Sotto questo profilo, pur con le ovvie distinzioni e a prescindere dalla circostanza che talora le due figure potevano di fatto coincidere, è possibile rilevare alcuni punti di contatto tra la condizione del renitente e quella del brigante. Si veda al riguardo il modello interpretativo proposto da E. J. Hobsbawm (I ribelli, Torino, 1966, pp 19-40; I banditi, Torino, 1971, pp 11-35)
(91) Archivio di Stato di Forlì, Sezione di Cesena (d'ora in poi A S S Ce ), Archivio storico
comunale, Carteggio amministrativo, 1862, tit. XVIII, rubr. 8, lettera del sottoprefetto di Cesena Casalis al sindaco di Cesena, Cesena, 9 maggio 1862.
(92) A. S. Fo., Tribunale penale, 1860: b. 71, fasc. 2688; 1861: b. 5, fasc. 107; b. 20, fasc. 698; b. 29, fasc 1169; b 31, fasc 1205; b 33, fascc 1304, 1309; b 34, fasc 1343; b 43, fasc 1591; b 87, fasc 3107; 1862: b 62, fasc 2308; b 89, fasc 3148; 1863: b 72, fasc 2710; b 80, fasc 2903; b 81, fasc. 2953; b. 94, fasc. 3304.
(93) Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p. 63.
(94) Ivi, p 183
(95) Prescindendo dal caso meridionale, anche nelle vicine Marche e nell'Umbria la massiccia renitenza alla leva incentivò il brigantaggio, di cui rappresentò il serbatoio naturale di reclutamento (Uguccioni, art. cit., p. 16; M. L. Buseghin - W. Corelli, Ipotesi per l'interpretazione del banditismo in Umbria nel primo decennio dell'Unità, in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi", a II (1980), n 2, pp. 265-279, 270).
(96) A. S. Fo., Gabinetto riservato, fasc. 143, cit., lettera del sottoprefetto di Cesena Pallotta al prefetto di Forlì, Cesena, 24 maggio 1864.
(97) Ivi, 1862, b. 4, fasc. 37; 1864, b. 8, fasc. 9.
(98) Ivi, fasc. 143, cit.
(99) Sassi, Selva di memorie , cit , vol IX, p 171
(100) Ivi, p 182
(101) A. S. Fo., Gabinetto riservato, fasc. 143, cit., lettera del sindaco di Sarsina al sottoprefetto di Cesena, Sarsina, 21 maggio 1864
(102) Ivi, lettera del prefetto di Forlì..., 24 settembre 1864, cit.
(103) Ivi, 1864, b. 9, fasc. 65.
(104) Il sottoprefetto di Cesena riteneva che difficilmente i carabinieri, "senza veruna conoscenza dei luoghi, senza notizia delle abitudini di questi montanari e de' loro mille accorgimenti", potessero svolgere un'azione "veramente utile e conducente al fine" Suggeriva quindi di ricorrere a "persone native e spertissime delle località che impone purgare" (ivi, fasc. 143, cit., lettera del sottoprefetto di Cesena Pallotta al prefetto di Forlì, Cesena, 25 giugno 1864)
(105) Si veda la tabella XX.
(106) La guardia nazionale era stata istituita in tutti i comuni delle Romagne con un decreto del 20 luglio 1859 del regio commissario straordinario Falicon Il reclutamento in questa milizia, posta alle dirette dipendenze dei municipi, era volontario.
(107) A S Fo , Gabinetto riservato, fasc 9, cit , lettera del capitano della guardia nazionale di Predappio Cagnoni al sindaco di Predappio, Predappio, 24 agosto 1864. La sconcertante vicenda provocò una vibrata protesta del comando provinciale dei carabinieri: "la Milizia Nazionale di
Predappio [riesce] affatto inutile dal momento che non concorre a garantire la Sicurezza Pubblica quando il bisogno lo esige" (Ivi, lettera del comando della divisione dei reali carabinieri di Forlì al prefetto di Forlì, Forlì, 31 agosto 1864)
(108) Non esiste, al contrario di quanto avviene per i carabinieri e le guardie di pubblica sicurezza, una statistica ufficiale degli arresti eseguiti dalla guardia nazionale E` tuttavia possibile indicare, sulla base delle notizie fornite dalle liste di leva e d'estrazione, una cifra approssimativa: i renitenti catturati dai militi nel quadriennio 1860-64, sia autonomamente che in collaborazione con gli altri corpi, furono circa una ventina.
(109) A S Fo , Gabinetto riservato, 1863, b 5, fasc 3, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena Agnetta al prefetto di Forlì, Cesena, 29 gennaio 1863.
(110) Ivi, 1864, fasc. 17, cit., lettera del sottoprefetto di Cesena Pallotta al prefetto di Forlì, Cesena, 1 aprile 1864.
(111) La concessione di una tale gratificazione era già prevista dal regolamento sul reclutamento, che fissava l'ammontare del premio in 50 lire (art 932) Nel forlivese, tuttavia, la somma accordata per ogni arresto fu di 25 lire (A. S. Fo., Prefettura, b. 788, cit., lettera dell'intendente del circondario di Rimini Gerenzani all'intendente generale della provincia di Forlì, Rimini, 22 febbraio 1861).
(112) Il tenente della guardia nazionale di Sarsina ottenne "una regalia di L. 200" per aver arrestato undici renitenti e disertori (A S Fo , Gabinetto riservato, fasc 143, cit , lettera del tenente della guardia nazionale di Sarsina Pennacchi al sottoprefetto di Cesena, Sarsina, 4 maggio 1864).
(113) Nel luglio del 1864, l'esecuzione di un "piano d'operazioni" approntato dal comandante della divisione dei carabinieri di Forlì per catturare i renitenti rifugiati sui "confini Toscani e Pesaresi" non viene considerata necessaria dal prefetto, propenso a ritenere che sia "sufficiente" soltanto una "maggiore sorveglianza" (ivi, fasc 143, cit , lettera del prefetto di Forlì Campi al sottoprefetto di Cesena, 15 luglio 1864).
(114) Ivi, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena..., 3 febbraio 1863, cit.
(115) Ivi, lettera del comando della divisione dei reali carabinieri di Forlì , 31 agosto 1864, cit
(116) Nel gennaio del 1864 un gruppo di renitenti ormai accerchiato dalla forza pubblica riesce a fuggire perché messo sull'avviso dal "grido della volpe" (ivi, fasc. 143, cit., lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Sarsina al sottoprefetto di Cesena, Sarsina 12 luglio 1864). Si veda anche Cammelli, Al suono delle campane , cit , p 134
(117) L'arroganza dimostrata dalle forze dell'ordine nella cattura dei renitenti trova espressione in un singolare deformazione semantica subita da una fiaba popolare diffusa in tutto il territorio nazionale. In una versione diffusa nel sarsinate, il "bastone castigamatti" viene infatti utilizzato per una finalità del tutto originale e inedita, quella di consentire al giovane renitente di sottrarsi all'arresto: "[...] Quando tornò a casa, ebbe una brutta sorpresa: trovò i carabinieri che lo volevano arrestare perché invece di andare a fare il soldato, era andato a cercare fortuna Quando stavano per mettergli le manette, gridò: -Baston baston, da' dò boti 't e' grupon!- E il bastone cominciò a bastonare i carabinieri che urlarono: -Giovanotto, ferma, ferma quel bastone!- Se lo fermi, ti lasceremo in pace!- Quel fortunato fermò il bastone e i carabinieri se ne andarono e non si fecero rivedere più. [...]" (trascrizione dattiloscritta di V. Tonelli di una testimonianza orale raccolta nel 1975 dall'ottantaduenne Zarina Locatelli Rigoni, la quale aveva appreso la fiaba da bambina da un
anziano contadino di Sarsina).
(118) A S Fo , Gabinetto riservato, fasc 87, cit , lettera del sindaco di Monte Gridolfo Masini al sottoprefetto di Rimini, Monte Gridolfo, 27 maggio 1864.
(119) Ibidem
(120) A S S Ce , Carteggio amministrativo, 1861, tit XVIII, rubr 8, lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì Tirelli ai sindaci della provincia, Forlì, 16 marzo 1861.
(121) A S Fo , Gabinetto riservato, lettera del comandante della divisione dei reali carabinieri di Forlì..., 7 giugno 1864, cit.
(122) A Predappio, ad esempio, non fu "fattibile avere confidenti che la diano sicura [la presenza dei refrattari] in un dato posto" (ivi, lettera del comando della divisione dei reali carabinieri di Forlì , 31 agosto 1864, cit )
(123) Ivi, 1864, b 8, fasc 8, lettera del capitano della guardia nazionale di Civitella Golfarelli al prefetto di Forlì, Civitella, 22 febbraio 1864.
L'evoluzione dell'atteggiamento della popolazione nei confronti dell'obbligo militare
1. La lettura ufficiale
Si è visto come nella provincia di Forlì l'introduzione della coscrizione obbligatoria dopo l'unità avesse suscitato un diffuso malcontento in larghi strati della popolazione. Le resistenze al nuovo obbligo, manifestatesi dapprima attraverso alcuni episodi di violenta ribellione collettiva, avevano poi assunto un carattere individuale e strisciante, concretizzandosi in massiccie ondate di renitenza e diserzione. Nel volgere di poco tempo, tuttavia, queste manifestazioni del rifiuto di ottemperare all'obbligo militare erano andate scemando, fino a diventare alla metà degli anni sessanta del tutto irrilevanti. All'iniziale atteggiamento antagonistico era subentrata una sostanziale accettazione del nuovo istituto.
Il tentativo di individuare quali fattori avessero influito sulla formazione e la successiva evoluzione dell'atteggiamento popolare verso la coscrizione non è agevolato dalle fonti ufficiali. Se gli atti processuali consentono di conoscere dettagliatamente il destino individuale di un renitente, essi rimangono però sostanzialmente muti sulle motivazioni che lo spingevano ad intraprendere la latitanza. Neppure l'abbondante carteggio prodotto da intendenti e prefetti, sindaci e commissari di leva, fornisce molti elementi utili per una conoscenza delle disposizioni dei giovani coscritti e delle loro famiglie nei confronti del servizio militare. Le autorità locali, fortemente condizionate da un'interpretazione riduttiva che faceva risalire quasi esclusivamente alle "mene clericali" le difficoltà incontrate nell'effettuazione delle prime leve post-unitarie, dimostrarono infatti una sostanziale incapacità a comprendere gli effetti sociali ed economici derivanti dall'introduzione della coscrizione obbligatoria Sul terreno della coscrizione, come mai in altre occasioni, i gruppi dirigenti palesarono tutta la distanza che li separava dal paese reale. Le relazioni ministeriali sulle leve, dal conto loro, se rappresentano una fonte preziosa per lo studio dell'universo dei coscritti, sono invece abbastanza deludenti quando dal piano strettamente numerico si calano a livello analitico. Il modello interpretativo proposto da Torre giustifica semplicemente con la progressiva propagazione dello "spirito militare" nelle provincie italiane la scomparsa dell'iniziale avversione nei confronti della leva. Meno reticente si rivela il generale beneventano quando deve indicare le cause della renitenza. Se in riferimento alle prime leve postunitarie Torre, non diversamente dalle autorità periferiche, sottolineava soprattutto il ruolo rivestito dalla propaganda clericale, egli accennava però stringatamente anche ad altri fattori: la "novità della misura" nelle provincie dove l'obbligo militare era sconosciuto prima dell'unità, l'"abborrimento" della coscrizione che continuava dai "tempi napoleonici", l'"indifferenza" e l'"ignoranza brutale" della popolazione, l'"emigrazione" dei circondari marittimi e l'"avversione per la leva di terra" negli abitanti delle isole (1)
2. Due atteggiamenti diversi verso la coscrizione: i centri urbani e le campagne
L'immagine della società forlivese di fronte alla coscrizione appare dominata da una profonda spaccatura: da un lato le campagne, dove il rifiuto della leva fu generalizzato e persistette più a lungo, dall'altro le città, caratterizzate da una quasi immediata accettazione del nuovo obbligo. Le fonti coeve all'esecuzione delle prime leve postunitarie sono concordi nel segnalare che l'avversione per la coscrizione non coinvolgeva con la stessa ampiezza ed intensità gli strati rurali e quelli urbani. Le autorità locali e gli osservatori riconoscevano infatti alla popolazione cittadina una maggiore disponibilità a compiere il dovere militare Il già ricordato Zanolini, ad esempio, affermava che
nelle città, ove sono in copia vagabondi e scapestrati, se le madri si eccettuano, pochi reputano la leva un malanno, un castigo di Dio: molti invece credono che sia un buon rimedio contro l'ozio e la scostumatezza (2)
La ragione di questo diverso atteggiamento dei ceti cittadini è indubbiamente da individuare in una loro maggiore integrazione sociale e politica, o quantomeno in una loro minore estraneità nei confronti del nuovo stato (3). Per larghi settori della popolazione urbana "la patria rinovellata, l'Esercito nazionale sorto per incanto, lo straniero fuggente" non erano "frasi vuote di senso" come per la stragrande maggioranza, se non addirittura la totalità della popolazione rurale (4). D'altra parte, l'ampia partecipazione di volontari romagnoli alle campagne risorgimentali aveva interessato unicamente le città e neppure marginalmente sfiorato le campagne (5). Se questa indifferenza palesata in passato dalla popolazione rurale suscitò alla vigilia della leva del 1860 la preoccupazione delle autorità politiche, al contrario, il concorso delle classi cittadine alle necessità militari del processo di unificazione nazionale faceva loro ritenere che l'introduzione della coscrizione non avrebbe incontrato difficoltà tra la popolazione urbana (6) Si legge, infatti, in un opuscolo propagandistico redatto da un ufficiale dell'esercito:
I numerosi volontari che le Città hanno fornito all'esercito nell'ultima guerra prova ad evidenza, che la chiamata sotto le insegne, non per essere soggetta a regole fisse, potrà mai ripugnare a questa brava e forte gioventù (7).
Un elemento, in particolare, differenziava l'assetto socio-politico delle città da quello delle campagne: nei centri urbani erano senza dubbio minori l'influenza e la presa sociale del clero
Il partito buono e affezionato al Governo -scriveva, ad esempio, il sottoprefetto di Rimini- è in maggioranza qui in Città e nei Comuni più popolosi del Circondario; solo in alcuni dei Comuni di Campagna è preponderante il partito affezionato al Governo cessato (8)
Nelle città le possibilità di intervento del clero erano più limitate, in quanto la popolazione urbana era riuscita in qualche misura ad emanciparsi dall'invadente tutela del prete o del parroco, che partendo dalla sfera religiosa e morale arrivava ad abbracciare quella politica (9). Se nelle campagne l'orizzonte della vita sociale dei contadini si esauriva molto spesso tra il campo, la famiglia e la chiesa (e qualche volta l'osteria), nelle città esisteva invece una pluralità di luoghi di aggregazione: le prime associazioni politiche e società di mutuo soccorso, i circoli ricreativi e i caffè
Ovviamente, agiva una relazione inversamente proporzionale tra l'influenza clericale e l'integrazione della popolazione nella nuova realtà statale Il clero era infatti impegnato in un'opera
sistematica di denigrazione del nuovo regime e non tralasciava in particolare
d'insinuare nella classe meno istruita la convinzione della ricostituzione di una Santa alleanza, e quindi dell'immancabile e non lontano ristabilimento dei caduti Governi in Italia (10)
La propaganda del partito clericale dovette essere coronata da un indubbio successo se ancora nel maggio del 1864 il delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella scriveva al prefetto di Forlì che le "Campagne si augurano sempre il Papa, si mantengono avverse al Governo, confermano devozione ai Preti" (11). La mobilitazione anti-unitaria del clero, che pure non disdegnava lo sfruttamento del malcontento popolare per la pesante tassazione, trovava il suo terreno privilegiato nel tentativo di ostacolare la leva obbligatoria, fomentando la renitenza dei giovani coscritti (12) Questa azione "sabotatrice", se riuscì ad essere incisiva nelle campagne, dove il clero esercitava ancora un forte controllo sui comportamenti dei singoli, al contrario nelle città non dovette coagulare un consenso significativo.
Il prefetto Campi, in occasione della chiamata alla leva della classe 1843, rivolse agli abitanti della provincia un proclama nel quale, affrontando il ricorrente problema della "perniciosa influenza" clericale sui coscritti e le loro famiglie, dimostrava una profondità di analisi maggiore rispetto a quella palesata dalle altre autorità locali, anche se non abbandonava l'usuale terminologia anticlericale e patriottica. Dal testo emerge con evidenza il differente ruolo che il clero era capace di svolgere nelle città e nelle campagne:
[ ] quel partito, che ammantandosi di carità e di Religione cospira ai danni d'Italia, ha ripreso fra le tenebre ed il mistero l'orditura del suo dissolvente lavoro onde togliere allo Stato quel contingente di forza, che è l'anima della sua esistenza
Ed è appunto contro le armi malvagie di questa casta incorreggibile che io sento il bisogno e il dovere di porre in guardia le povere ed illuse famiglie dei coscritti, e d'invocare l'ajuto di tutta l'onesta Cittadinanza per bandire l'indignazione ed il disprezzo contro le insidie di coloro che, involando alla Campagna il fior della sua gioventù, tentano di paralizzare le forze della potenza, forse per ingrossare altrove le file della reazione e del brigantaggio. Io non ho timori per i giovani delle Città della Provincia, e delle sue principali Borgate Quivi fiorisce la cultura dell'ingegno, e vi arde vivissimo il fuoco sacro di libertà e di amor patrio. Quivi la gioventù balda, robusta, fiorente respingerebbe sdegnosa il vigliacco consiglio, poiché comprende benissimo che il beneficio della libertà è vincolato dal dovere di concorrere alla difesa e alla conservazione dello Stato. Ma ben diverse sono le condizioni della Campagna dove i giovani sono fatti preda di colpevoli, e nascoste influenze, che la Legge non giunge a combattere, ed a punire Le famiglie del Contado vivono ancora sotto la pressione di quella setta, che si adoperò costantemente a rendere l'uomo infingardo, togliendoli ogni virile aspirazione, e spegnendo in lui ogni istinto generoso Il giovane bifolco, al quale non fu mai detto d'aver obblighi verso la Patria, risponde all'appello della Nazione con una fuga vergognosa e colpevole, ed inconscio dell'onta sua spinge il passo furtivo verso quelle inospitali Maremme, che furono già tomba di molti illusi, che li precedettero sul sentiero del disonore.
[ ]
Il pericolo è serio, turpe lo scandalo, grave il danno per la Nazione, quanto immondo per le famiglie dei molti obbidienti alla Legge cui torna esiziale
l'impunità di pochi riottosi.
Uniamoci tutti nel solo pensiero di fugare questa febbre di fanatismo, arde il cuore dei nemici d'Italia Quanto vi è nei paesi di sinceramente onesto, liberale, intelligente e devoto alla propria patria, si levi concorde in aiuto dei Municipj e dei pubblici funzionarj a combattere le fatali prevenzioni, la sinistra ed occulta influenza, l'urto di malvage passioni scatenate contro la incompleta unità della Patria.
Uniamoci onde consigliare ai giovani della Campagna il sacrificio e l'obbedienza alla Legge.
Uniamoci per dire alle masse del Contado, come e quanto sia necessaria e santa l'istituzione della Leva, poiché l'esercito che essa crea è il vincolo che affratella i diversi popoli della Penisola [...] (13).
Dai funzionari governativi veniva quindi stabilita una correlazione stringente tra l'azione del clero e l'avversione della popolazione per la coscrizione, al punto che questo elemento, come si è già ricordato, diventava esclusivo nella loro analisi: essi individuavano infatti nelle "mene clericali" la ragione decisiva, il fattore determinante delle difficoltà incontrate nelle operazioni di leva. Scriveva, ad esempio, il delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Meldola:
nel Comune di Teodorano serpeggia l'infuenza della clericale dottrina, e ciò provasi anche dal numero forte di renitenti (14)
Analoga era l'interpretazione dei responsabili nazionali del reclutamento:
soprattutto -scriveva il generale Torre, riprendendo una lettera dell'intendente provinciale di Ancona, - valgono a trattenere la gioventù i maneggi del clero e dei suoi aderenti; essi spaventano le famiglie sotto i rapporti di coscienza, spargono voci del prossimo ristabilimento del Governo del Papa, parlano di controrivoluzione, e di nuova guerra degli Austriaci come di cose imminenti e sicure. Queste fole, per quanto siano ridicole, pure non mancano di essere credute particolarmente dai villici disseminati nella campagna (15)
Se a livello nazionale l'elemento discriminante del comportamento militare dei giovani soggetti alla leva era rappresentato dalla distinzione tra "i paesi educati alla coscrizione" e le regioni "affatto nuove alla medesima", a livello periferico, quantomeno nel forlivese e nelle altre provincie prima soggette alla dominazione pontificia, la linea di divisione passava quindi tra la popolazione urbana e quella rurale.
Fu nelle campagne che l'opposizione all'introduzione della leva obbligatoria si sviluppò più forte e tenace Ricordando, a distanza di qualche anno, il clima che aveva caratterizzato il momento dell'entrata in vigore della coscrizione nel forlivese, il prefetto Campi scriveva nella sua monografia:
nessuna meraviglia, che se nelle città, dove fioriva la cultura dell'ingegno, e si è conservato il germe delle umili aspirazioni e degl'istituti generosi, vi fu esitanza ad accettare questo grave tributo di sangue, nella campagna vi fosse avversione decisa, vero abborrimento (16)
Il malcontento per la leva trovò immediata espressione nelle diverse manifestazioni della saggezza e della cultura popolare Un proverbio, contemporaneo all'introduzione del nuovo obbligo, sintetizza efficacemente il carattere di novità traumatica che la coscrizione, vista come effetto della "conquista piemontese", veniva a rappresentare per le classi agricole:
Vitori Emanuel l'ha fat la leva
chi puvar cuntaden ch'i n se cardeva! (17)
Più tarda è una "zirudella" del poeta dialettale riminese Giustiniano Bruno Villa, composta nel 1881 e intitolata significativamente "Le piaghe del giorno":
I fec l'Italia quasi unida
E tutt i geva, la è fnida
Sta cuccagna maledetta
Chi cià sgombre la sachetta
Di baioc, papet e pavle
Las chi vega tutt al Diavle
Da per tutta sa stli piaz
Urle, evviva gran schiamaz
Che pareva a me sentì
Con savis più da patì
Ne fredd ne fema ne dolur
Che tutt e fusme dvantè sgnur. I principiò ti nost pais
A fe al chert i Piamontis,
E popolac si prim mument
An fu contrerie e ne content
I feva i chsè una risarela
Poc d'gust non tenta bela;
Dop poc mis i fe la leva
Oh questa se nissun la vleva!
Pedre medre tutt i fiol
I ruggeva i feva i dol
I biastmeva contre e guerne,
Che sciopasse giù at l'Inferne!
In geva insomma d'ogni sorta
Pegg ch' caves d'andè alla morta [...].
Il componimento esprime le aspettative riposte dalla popolazione nell'unificazione italiana e la profonda delusione subito seguita: fu proprio l'introduzione della leva a rappresentare il primo momento di crisi acuta per il già limitato e fragile consenso su cui poteva contare il nuovo stato (18).
Se nel complesso le autorità politiche imputarono l'avversione del mondo contadino per l'obbligo militare alla forte influenza del clero nelle campagne e all'inferiorità morale ed intellettuale delle classi agricole, alcuni osservatori più attenti si accorsero che all'origine di questo atteggiamento agiva soprattutto una motivazione di carattere economico (19) Secondo Zanolini non costituiva
maraviglia che i nostri contadini abborrano la leva militare, la quale portando via i giovani, che sono il nerbo delle famiglie, le scema e le impoverisce (20).
Analogamente, il canonico cesenate Sassi affermava che il "malumore" era forte soprattutto tra i "terrazani", i quali "si vedono mancargli le braccia pei lavori" (21). Anche altri proverbi testimoniano come l'avversione della popolazione rurale fosse originata dalla consapevolezza che la coscrizione apportava un notevole danno economico:
La guera l'arvena i cuntaden i fiul la i mena veia ben.
Pedar e medar la guera in la pò sintì arcurdé parché i su fiul u i toca ad mandé (22)
L'arruolamento di un figlio significava per la famiglia colonica la perdita di un'aliquota di forza lavoro pregiata, quella maschile nel pieno della propria vigoria fisica e quindi ad alta capacità lavorativa, che all'interno della divisione famigliare del lavoro svolgeva un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell'unità produttiva domestica (23). L'importanza rivestita da questo fattore trova una conferma nelle risposte che, nella seconda metà degli anni settanta, i sindaci dei comuni romagnoli daranno al quesito dell'"Inchiesta agraria" riguardante le influenze del servizio militare sulla condizione dei contadini (24) La maggior parte di essi individuava infatti nel danno derivante dalla prolungata assenza delle forze di lavoro più produttive il motivo principale della perdurante ostilità della popolazione rurale per la coscrizione:
L'obbligo del servizio militare [...], dal lato materiale ed economico il più delle volte torna alle famiglie coloniche di svantaggio, privandole delle migliori loro braccia.
Ad alcune famiglie apporta danno, perché spesso toglie i più atti al lavoro
Scema generalmente l'aiuto nei lavori agricoli, ed apporta conseguentemente un qualche danno notevole (25).
La struttura della famiglia contadina è ben conosciuta Al suo interno le mansioni erano distribuite in base ad una precisa e razionale divisione del lavoro, secondo il tipico modello della famiglia patriarcale: i componenti maschi in età adulta si dedicavano alla coltivazione del fondo, proprio o preso in affitto, ed alla cura del bestiame grosso; alle donne, le quali generalmente prestavano il loro aiuto nei campi soltanto quando lo richiedevano le necessità della coltivazione, era invece affidata la responsabilità della conduzione della casa e l'esecuzione di alcune attività integrative del magro bilancio famigliare: la cura dell'orto, il piccolo allevamento, e, dove era possibile, la lavorazione dei vimini, la filatura o la tessitura domestica. Alle attività produttive del nucleo famigliare contribuivano poi, seppure in modeste proporzioni data la loro bassa capacità lavorativa, anche i vecchi e i bambini. La maggior richiesta di prestazioni di lavoro agricolo, seguendo l'andamento dei cicli stagionali, si concentrava in pochi momenti dell'annata agraria: l'aratura, la semina e il raccolto. Nei lunghi mesi invernali la famiglia contadina, in assenza di un ciclo di coltivazione reso più complicato dall'introduzione, accanto ai cereali, di altre colture che richiedevano prestazioni lavorative addizionali proprio nel periodo morto dell'inverno (ad esempio, la vite o la canapa), restava relativamente inoperosa e poteva quindi incentivare la sua quota di lavoro extra-agricolo La conservazione di un rapporto equilibrato tra il numero dei componenti il nucleo famigliare e l'estensione del fondo coltivato era l'obiettivo primario della famiglia contadina, il presupposto fondamentale della sua indipendenza economica. Gli strumenti che essa poteva utilizzare per cercare di mantenere inalterato questo rapporto, o di apportarvi degli aggiustamenti in base alle nuove esigenze che emergevano, erano però quasi tutti sottratti al suo controllo. La famiglia contadina quindi viveva continuamente sulla soglia della sussistenza: un cattivo raccolto o un susseguirsi di annate sfavorevoli, la nascita o la morte di un membro erano tutte variabili indipendenti che potevano compromettere una condizione di stabilità faticosamente conseguita e tenacemente difesa (26)
Con la partenza del giovane coscritto all'interno dell'azienda agricola famigliare si produceva uno squilibrio tra la terra e le risorse umane disponibili, cioè tra la quantità di lavoro che
la famiglia riusciva ora a fornire e quella che era necessaria per la coltivazione del fondo. Il deficit di capacità lavorativa era temporaneo ma non di breve durata: se il giovane veniva arruolato nella prima categoria del contingente la sua assenza da casa si sarebbe protratta per cinque lunghi anni La chiamata alle armi del coscritto rurale, sottoponendo a dura prova la capacità della famiglia di riuscire a conservare una posizione di equilibrio, si configurava quasi come un evento congiunturale, assimilabile entro certi limiti ad una cattiva annata agraria, ad un'insorgenza epidemica o ad una nascita indesiderata. La coscrizione obbligatoria poteva quindi assottigliare i margini di sussistenza della famiglia colonica, mettendone in pericolo la sua sopravvivenza
Sono estremamente interessanti al riguardo due suppliche rivolte alle autorità da genitori di figli dichiarati renitenti. La prima venne presentata da un colono di Civitella per ottenere l'esenzione dal servizio militare del figlio ancora latitante Nel documento viene infatti indicata la composizione della famiglia del supplicante, con l'età dei rispettivi membri:
"1. di sé stesso, che conta anni 57, 2. di sua moglie, d'anni 55, 3. della moglie del condannato Luigi [primogenito], d'anni 36, 4. di Emilia d'anni 8, 5. di Vincenzo d'anni 4, 6 e di Pietra d'un mese, figli dello stesso condannato"
La sopravvivenza di questa famiglia colonica, con la chiamata alle armi del secondogenito, che si era sommata alla precedente condanna ai lavori forzati a vita comminata al primogenito, diveniva difficilmente sostenibile: "è facile il convincersi come in essa famiglia manchino le braccia a procurarne il sostentamento" (27) Ancora più drammatica era la situazione documentata dalla seconda supplica, inoltrata dalla madre di un renitente da poco arrestato: il figlio "è l'unico sostegno della povera Vedova Esponente Madre, avendo altri due figli d'anni 6 e 12 inatti al travaglio, ed al guadagno" (28).
Il danno che con l'introduzione della leva militare veniva arrecato all'economia famigliare non era tuttavia della stessa intensità per la generalità delle famiglie contadine In particolare erano quelle di piccole e medie dimensioni che rischiavano di vedere compromesso il loro già precario livello di sussistenza:
L'influenza [...] che la Leva esercita sulla famiglia è varia secondo che i membri che la compongono difettano o sopravvanzano al bisogno pel lavoro
L'influenza che l'obligo del servizio militare esercita sulle famiglie dei mezzadri se poco numerose è dannosa Meno assai o quasi punto quando le forze abbondano (29).
Per le famiglie più numerose, spesso polinucleari, all'interno delle quali le forze maschili erano abbondanti o esistevano riserve di forza lavoro ancora relativamente sotto-utilizzate, era infatti possibile superare senza grossi traumi la perturbazione che si era creata nell'equilibrio famigliare aumentando la quota di lavoro pro capite erogabile dai singoli membri. Per queste famiglie era soltanto necessario operare una redistribuzione dei compiti tra i componenti il nucleo famigliare Per le famiglie mononucleari e di piccole dimensioni la partenza di un figlio, specie se si trattava del primogenito, rappresentava invece uno squilibrio notevole difficilmente riassorbibile:
Risente la piccola coltura un pò di conseguenza essendo le famiglie composte di un capo e di 2 figli ne nasce che dall'assenza di uno di essi si risenta un danno mancando l'aiuto delle braccia gli unici fattori.
[ ] il primo nato d'una famiglia viene sempre tolto ai lavori campestri con molto danno di questi rimanendo il più delle volte in aiuto dei genitori piccoli fanciulli inabili ancora alle dure fatiche dei campi (30)
Certo, il capofamiglia, se non era in età troppo avanzata, poteva aumentare il proprio autosfruttamento, oppure potevano essere impiegati a tempo pieno, anche nei lavori campestri più faticosi, le donne, i fanciulli e i vecchi. Ovviamente però le possibilità di accrescere il carico di lavoro somministrato dai membri della famiglia non erano illimitate, scontrandosi con precisi limiti fisici e biologici
Il sindaco di Savignano proponeva, allo scopo di limitare il danno arrecato dal servizio militare alle famiglie coloniche, di apportare una "riforma radicale" alla legge sul reclutamento, ampliandone le possibilità d'esenzione:
i primogeniti anche di padre vivente dovessero essere esentati [ ], perché in questo modo sarebbe mantenuto alle famiglie un valido sostegno nel caso che il padre per avanzata età o per incomodi di salute da quella inseparabili non potesse più prestare coll'opera sua un'efficace aiuto (31).
Una proposta analoga, tendente ad assegnare i primogeniti alla categoria che non veniva incorporata, venne formulata dall'estensore di una delle due monografie sul circondario faentino: converrebbe [...] che passasse dalla prima ad altra categoria chi si trova solo a reggere il peso d'un azienda agricola tra vecchi donne e fanciulli (32).
Nelle famiglie in cui anche la forza lavoro meno pregiata era già sfruttata al massimo livello, l'unica risorsa possibile consisteva invece nell'assumere dei garzoni o dei salariati esterni al nucleo famigliare:
Molte famiglie mezzadre quanto uno dei loro è obligato al servizio militare sono costrette a prendere un garzone e così cresce loro la spesa del salario annuo Questi garzoni poi non sempre sono a vantaggio della quiete delle famiglie, specialmente se vi sono giovani donne Oltre che quando un contadino ha un figlio nella truppa, facendo anche privazione, si sforza mandargli L 5 o 10, perché possa avere qualche denaro in tasca (33)
Prescindendo dagli inconvenienti di carattere morale, il ricorso a forza lavoro sostitutiva comportava un aggravio notevole, e a volte insostenibile, per il bilancio domestico Poteva quindi anche accadere che talvolta l'equilibrio della famiglia colonica vennisse irrimediabilmente spezzato. Nel caso di conduzione mezzadrile poteva subentrare l'escomio da parte padronale, vista l'impotenza dell'affittuario a fornire la quantità di lavoro necessaria per la coltivazione del podere. Il commissario Tanari, nella sua relazione, riteneva che questo caso fosse "straordinario" ma "non infrequente", in quanto
la ragione, o scusa che si voglia, dell'insufficienza al lavoro causata dalla partenza del coscritto, è occasione propizia per decidere, per esempio, il cambiamento di una mezzadria in boaria, o la presa di altra famiglia più confacente alle viste del proprietario" (34)
Ad aumentare le difficoltà delle famiglie coloniche contribuiva inoltre la struttura assai rigida della distribuzione annuale del lavoro agricolo, che si concentrava da aprile a ottobre (35). Era appunto in questo periodo che si faceva maggiormente sentire l'assenza della forza lavoro sottratta dalla coscrizione, mentre nel periodo morto invernale questa era meno avvertibile D'altra parte, specialmente i giornalieri e i contadini poveri dell'alta collina e della montagna, per far fronte alla disoccupazione nei mesi invernali, ricorrevano all'"espediente" dell'emigrazione temporanea
(36).
E` tuttavia necessario considerare l'azienda agricola domestica nella sua duplice veste di luogo di produzione e di consumo Con la chiamata alle armi del giovane contadino si allegeriva di un membro la famiglia colonica e diminuiva conseguentemente la quota dei consumi familiari. Questo risparmio avrebbe però potuto prodursi soltanto se il deficit che parallelamente si creava dal lato della forza lavoro non era tale da impedire alla famiglia colonica di somministrare la quantità di prestazioni lavorative necessarie per la coltivazione del fondo. In caso contrario non si sarebbe originato alcun surplus di reddito di cui appropriarsi: la perdita di capacità lavorativa avrebbe vanificato il possibile vantaggio sul versante dei consumi derivante dalla partenza del giovane coscritto e l'equilibrio famigliare si sarebbe spezzato oppure stabilizzato ad un livello più basso di reddito
La leva militare, quindi, non comportava necessariamente un danno per l'economia della famiglia colonica In particolare, quando la famiglia era troppo numerosa, o comunque il fondo coltivato era insufficiente al suo sostentamento, la fuoriuscita di un membro dal nucleo famigliare consentiva di alleviare l'eccessiva pressione sulla terra. Si è già accennato al riguardo alla risposta rappresentata dall'emigrazione temporanea In un assetto agrario afflitto da una forte disoccupazione stagionale e da una cronica situazione di sovrappopolazione relativa, la chiamata alle armi del giovane contadino, quasi una forma di emigrazione involontaria, poteva pertanto comportare addirittura un vantaggio per la famiglia colonica (37). Analogamente, in concomitanza con una cattiva annata agraria era senza dubbio preferibile avere meno braccia a disposizione che più bocche da sfamare
L'influenza più o meno sensibile che la partenza del coscritto rurale aveva sulle sorti della famiglia colonica dipendeva quindi da un insieme di variabili: in primo luogo la dimensione del nucleo famigliare e la sua struttura per età e per sesso, il tipo di conduzione agraria e di avvicendamento colturale, la possibilità di ricorrere a forze di lavoro sostitutive, sia interne che esterne all'unità produttiva domestica, o eventualmente di trovare un podere di ampiezza diversa, la massimizzazione dell'auto-sfruttamento contadino. Questi ultimi due erano sostanzialmente gli unici strumenti di cui disponeva la famiglia colonica per riassorbire lo squilibrio e per riconquistare al più presto una nuova condizione di stabilità
Se si considera che l'assetto agrario delle campagne romagnole era caratterizzato dalla netta prevalenza di una conduzione mezzadrile depauperata da una situazione di quasi cronico indebitamento, accanto alla quale vivacchiava una piccola proprietà coltivatrice i cui membri erano spesso costretti ad integrare il magro bilancio famigliare con i proventi del lavoro salariato (i casanti), l'introduzione della leva veniva indubbiamente a minacciare l'indipendenza economica di gran parte della popolazione rurale.
Si è fin qui sostenuto che all'origine dell'avversione della popolazione rurale per la coscrizione obbligatoria agiva in primo luogo una motivazione di carattere economico. La leva, tuttavia, aveva sulle famiglie coloniche anche un'influenza di segno diverso: essa rappresentava un elemento estraneo all'orizzonte della vita sociale delle campagne che veniva a turbare consolidati ritmi vitali, sistemi di valori tradizionali e consuetudini profondamente radicate. La famiglia colonica è tendenzialmente chiusa verso l'esterno, tenacemente impegnata a conservare una stabilità che è non solo economica, ma anche morale e ideologica (38). La leva veniva pertanto considerata, indipendentemente dal tipo d'influenza che poteva esercitare il periodo passato sotto le armi, come una fonte di corruzione, come una turbativa al modo di vivere tradizionale Per molti coscritti rurali, d'altra parte, il servizio militare rappresentava la prima occasione di uscire dai confini del proprio comune:
il servizio militare può essere considerato come il solo caso in cui il colono abbandonava temporaneamente la propria casa (39)
Da questo punto di vista, quando Torre indicava tra le cause della renitenza anche il "soverchio
attaccamento ai focolari, ed alle abitudini domestiche", egli individua certamente un motivo non trascurabile (40). La chiamata alla leva, talvolta, poteva anche influire sulle strategie matrimoniali: nel novembre del 1862 un giovane cesenate si suicida per "essersi invaghito in una giovane, che i suoi genitori non vogliono che la sposi, perche ora è incluso nella Leva militare" (41).
L'avversione della popolazione rurale per la coscrizione era quindi l'espressione di un rifiuto largamente istintivo, tipica manifestazione della diffidenza contadina verso il nuovo o l'ignoto Questa reazione, rafforzata dalla consapevolezza del danno economico apportato dalla leva, fu probabilmente il fattore determinante dell'elevata renitenza contadina che si verificò nel forlivese nelle prime leve post-unitarie.
3. L'azione "sabotatrice" del clero
Su questo atteggiamento popolare, sensibile alle suggestioni che esercitava la renitenza, si innestò la propaganda clericale
Scorrendo l'abbondante corrispondenza prodotta dalle autorità locali negli anni strategicamente importantissimi seguiti all'unificazione, il ruolo rivestito dal partito clericale, come si è già visto, sembra essere stato decisivo. L'ossessione per le "mene clericali" che caratterizza questa documentazione pare tuttavia eccessiva rispetto alla loro effettiva portata. E` quindi legittimo dubitare che questa convinzione radicata nei funzionari periferici riflettesse una situazione reale, pericolosa per il consolidamento stesso del neonato stato unitario, e invece ritenere che essa corrispondesse alla necessità di addossare al clero la responsabilità del fallimento delle prime leve postunitarie, giustificando in questo modo l'incapacità di suscitare il consenso delle masse attorno ad un istituto peraltro impopolare come la coscrizione. Se l'interpretazione ufficiale che imputava alla mobilitazione clericale tutte le difficoltà incontrate dalle operazioni di reclutamento era certamente semplicistica e riduttiva, è ugualmente indubbio che il clero svolse un'azione significativa e, in certa misura, coronata dal successo
L'esistenza e la portata di un'azione specifica del partito clericale sul terreno della coscrizione è d'altra parte confermata dalle fonti giudiziarie. Sono abbastanza numerosi, nel quadriennio 1860-63, i procedimenti istruiti dal tribunale penale di Forlì contro parroci, prelati e regolari accusati di reati diversi contro la legge sulla leva militare, o inquisiti perché colpevoli di oltraggio al governo e alle istituzioni (42) Un'informazione diretta e illuminante sulle disposizioni del clero verso la coscrizione è inoltre fornita dalle frequenti annotazioni contenute nella già ricordata cronaca di Gioacchino Sassi. Il canonico cesenate, esponente di primo piano della reazione clericale, condusse una tenace battaglia polemica contro il "presente Governo", accusato di aver introdotto l'ingiusto "tributo di sangue".
E` tuttavia difficile stabilire se questi comportamenti individuali erano il risultato di iniziative autonome e sporadiche, oppure se rappresentavano l'esecuzione di precise direttive superiori, rientrando per questa via in un più vasto e concertato progetto clericale di opposizione al consolidamento del nuovo stato Nel luglio del 1863 il sottoprefetto di Cesena comunicò al prefetto che a Longiano, nel convento dei frati minori e nella casa del canonico, operava un "comitato reazionario", in collegamento con alcuni "mestatori" residenti nel limitrofo territorio di S. Marino, che si sospettava "latore di ordini ed accordi segreti" e le cui "mire" erano rivolte
più particolarmente sui Parroci, onde imprimere una certa uniformità e simultaneità di movimenti all'azione occulta che questi ultimi sono chiamati ad esercitare sulle coscienze per mezzo del confessionale e dei catechismi. Può parer quasi superfluo lo aggiungere che la resistenza agl'obblighi della leva e il disprezzo della legge è uno dei più importanti precetti e forse il principale di questa tenebrosa propaganda (43)
Lo spoglio delle "visite ad limina" redatte dai vescovi delle diocesi della provincia di Forlì non ha purtroppo fornito altri elementi al riguardo In queste fonti, infatti, se vengono lamentati con insistenza i "calamitosa et mala tempora" e il "lagrimevole stato" in cui versavano le diocesi dopo l'avvenuta cessazione della dominazione pontificia e si accenna alle diverse forme di resistenza approntate a difesa della "società cristiana" in pericolo, non si fa mai riferimento esplicito ad un specifico intervento in tema di leva militare (44). Un qualche coinvolgimento diretto delle gerarchie ecclesiastiche sul terreno della coscrizione è tuttavia attestato dall'estremo interesse con cui a Roma, attraverso i puntuali e informati rapporti inviati dal delegato apostolico di Pesaro al segretario dello stato pontificio, fu seguita l'esecuzione della prima leva postunitaria nelle Romagne, nonché dal
compiacimento che venne manifestato dopo il suo sostanziale fallimento. E` necessario inoltre stabilire se l'avversione popolare nei confronti della coscrizione obbligatoria fu una manifestazione spontanea, soltanto successivamente strumentalizzata dal partito clericale ai fini della sua reazione anti-unitaria, oppure se essa venne in qualche modo sollecitata e condizionata fin dal suo nascere dall'azione "sobillatrice" del clero Certamente, la propaganda clericale riuscì ad essere efficace perché si innestava su un terreno già fertile e ricettivo, su un sentimento di rifiuto che la popolazione aveva autonomamente maturato (45). Il clero, infatti, come lamentava il prefetto Campi, faceva leva sulle ragioni profonde e obiettive dell'avversione popolare per tentare di organizzare una resistenza di massa al nuovo obbligo:
una gran parte della giovinezza e della forza delle nostre campagne s'invola[va] all'Esercito ed ai lavori del campo, spintavi dall'ignoranza, dall'egoismo e dalle perfide insinuazioni di coloro, che ardenti di fanatismo abusavano della pietà del credente, per istillare il dubbio nei cuori e nelle coscienze del colono, ed ingrandire a quelle immaginazioni ardenti e facilmente eccitabili i danni derivanti all'agricoltura, alle arti ed alla prosperità interna delle famiglie dalla temporanea assenza dei loro cari (46).
Il clero riuscì a raggiungere i suoi scopi grazie alla forte presa sociale che continuava a detenere su larghi strati della popolazione, specie rurale. La mobilitazione contro la leva offrì anzi al clero l'opportunità di rinsaldare quel legame con le masse che durante il processo d'unificazione nazionale aveva quasi completamente perduto (47).
Il clero disponeva di strumenti assai efficaci per esercitare un rigido controllo sulla società, non solo relativamente al sentimento religioso e alla moralità dei singoli fedeli, ma anche riguardo alle loro disposizioni politiche e ideologiche. A questi stessi strumenti il clero fece ricorso nella sua opera sistematica di denigrazione del nuovo stato e d'incitamento alla renitenza e alla diserzione: il confessionale è il campo ordinario dei preti, è là che agitano le coscenze, è là che fan vedere provvisorio, e di nessuna consistenza il Governo di Sua Maestà il Re; è là che eccitano i nuovi inscritti alla renitenza, è là che agiscono sulle famiglie dei giovani soldati, per indurli alla diserzione (48)
Se il confessionale era il luogo più indicato per una propaganda incisiva, in quanto capillare e sottratta alla vigilanza delle autorità, altri momenti ugualmente efficaci, anche se più pericolosi, erano rappresentati dalle prediche e dalle benedizioni domenicali. Il caso del padre cherubino del convento dei minori osservanti di Sogliano, che "più ardito e spacciato di suoi compagni ardì dal pergamo vomitare ingiurie contro la Sacra Persona del Re, e contro le leggi", non fu certo isolato (49).
In particolare, secondo i funzionari governativi, erano i frati, "tutti nemici aperti del nuovo ordine di cose" e "attivissimi Agenti" del "partito nero", che si distinguevano in questa azione propagandistica, "approffitando delle occasioni, che loro somministrano le questue, la predicazione, ed altri ufficj religiosi per percorrere in ogni senso il territorio" e introdursi "nelle famiglie degli agricoltori". Nei numerosi rapporti prefettizi aventi per oggetto le "mene del clero", i diversi conventi sparsi sul territorio della provincia erano infatti considerati i principali centri di diffusione della reazione clericale (50).
L'azione del clero, d'altra parte, riusciva ad essere incisiva per la sostanziale incapacità delle autorità di arginarla efficacemente. Il sottoprefetto di Cesena, ad esempio, nel tentativo di far cessare la "perniciosa influenza" svolta dal clero "in pregiudizio delle operazioni di leva", aveva disposto che la "più attenta vigilanza" venisse esercitata "sui detti e sulle azioni del clero, e di quelli fra i laici che sono in voce di clericali". Lo stesso funzionario era però costretto a riconoscere a priori l'inefficacia dei provvedimenti adottati:
per quanto il sottoscritto si lusinghi di venir assecondato con zelo ed accortezza in quest'opera di sorveglianza, ei confessa tuttavia di riporre ben poca fiducia nell'efficacia di tali mezzi. Preti e Claustrali, sia pel facile adito che loro offre l'esercizio del proprio ministero per entrare in intimi e molteplici rapporti con chiunque, sia per effetto di loro abituale scaltrezza, anche quando non si sottraggono alla vigilanza degli agenti del potere, riescono però quasi sempre a tener lontane da loro le conseguenze di un procedimento criminale (51).
La difficoltà di esercitare una stretta vigilanza sulla propaganda clericale dipendeva, oltre che dalla pratica impossibilità di controllare i canali personali e in genere semiclandestini che questa utilizzava, anche dalla mancanza di un'estesa rete di informatori:
la parola sorveglianza è illusoria poicché mal fornito il Governo di utili Agenti di Pubblica Sicurezza non può scuoprire le fila immense tessute dal Clero (52).
Inoltre, anche se i responsabili della propaganda antigovernativa venivano individuati e sottoposti a procedimento penale, era poi estremamente difficile ottenere la loro condanna:
questo genere di propaganda [...] sfugge facilmente all'azione della punitiva giustizia, non potendosi, che difficilmente radunare prove sufficienti a constatare legalmente l'esistenza di tali fatti criminosi (53).
La sensazione d'impotenza nutrita dai funzionari periferici di fronte alla mobilitazione clericale, giocando a favore dell'adozione di provvedimenti drastici, faceva individuare, ad alcuni di essi, in una legge di generale soppressione degli ordini religiosi il "solo proporzionato rimedio a questa piaga":
Il Governo allorché si è sentito minacciato nella propria vita dall'elemento ultra-rivoluzionario ha colpito di interdizione le società democratiche; non si saprebbe ora comprendere qual serio ostacolo si opponga a che lo stesso divieto non sia posto alla esistenza civile delle associazioni monastiche, che ugualmente pericolose alla sicurezza dello stato sono assai più di quelle irreconciliabilmente avverse ad ogni principio di civiltà e di libertà (54)
Il clero, d'altra parte, non si limitava soltanto a svolgere un'opera di propaganda e istigazione verbale (55) La sua strategia, infatti, si concretizzava anche nell'adozione di un comportamento ostruzionistico durante l'esecuzione delle operazioni di leva. Si è già accennato alle difficoltà incontrate dalle autorità municipali nella formazione della liste di leva a causa del rifiuto dei parroci di permettere la visione dei loro registri e di compilare le note dei nati. I parroci non disdegnavano di praticare, oltre a questa, anche altre forme di resistenza burocratica: rilasciavano ai giovani parrocchiani attestati di nascita falsi o non regolari per consentire loro di evitare il servizio militare e non segnalavano che molti degli iscritti nelle liste di leva risultavano dai registri parrocchiali morti da tempo per esagerare artificiosamente il numero dei renitenti (56)
Parallelamente, il clero dimostrava una fattiva solidarietà e complicità con i giovani renitenti e disertori. I parroci fornivano spesso assistenza e ospitalità ai numerosi renitenti e disertori che erano latitanti nelle campagne del forlivese Le canoniche isolate rappresentavano infatti nei percorsi dei giovani fuggiaschi un luogo privilegiato di rifugio o di sosta temporanea (57).
All'azione svolta dal clero si saldavano poi i progetti assai più ambiziosi perseguiti da alcuni
emissari pontifici di favorire l'arruolamento di renitenti e disertori nell'esercito papale o di costituire, reclutando i giovani latitanti, delle bande dedite al brigantaggio (58). Se il primo tentativo ottenne qualche risultato positivo, è invece da escludere che il secondo fosse coronato dal successo. Certamente nella prima metà degli anni sessanta operarono sul confine tosco-romagnolomarchigiano alcune bande composte in tutto o in parte da renitenti e disertori, ma queste formazioni, piuttosto che a un brigantaggio connotato politicamente in senso anti-unitario, si dedicavano, come si è già visto, a una più redditizia attività di furti e grassazioni.
Accanto alle "mene clericali", negli anni immediatamente successivi all'unificazione, anche i "maneggi del partito d'azione" assorbivano la preoccupata attenzione delle autorità locali. Sul terreno della coscrizione, tuttavia, mentre l'azione del clero si sviluppò massiccia e ottenne il risultato d'intralciare non poco l'esecuzione delle operazioni di reclutamento, il ruolo svolto dai democratici e dai mazziniani fu al contrario limitato (59). L'assenza di una specifica iniziativa del partito d'azione appare tanto più sorprendente alla luce di alcuni interventi dello stesso Mazzini, seppure successivi al periodo in cui si dispiegò la resistenza alla leva nella provincia di Forlì, che erano volti a sollecitare gli attivisti ad inserire anche questa direttrice di lotta nell'azione repubblicana In una lettera diretta nel 1867 a un organizzatore mazziniano del cesenate egli affermava infatti:
L'Apostolato fra gli agricoltori è santo, è vitale. [...] Bisogna dire agli agricoltori che nessuno sogna immischiarsi, se non ragionando, colla loro credenza: che la Repubblica non tende che a fare una Nazione libera potente, prospera per tutti: che una delle prime conseguenze sarebbe la ricerca dei modi di migliorare la loro condizione economica: che le due prime misure da adottare sarebbero l'abolizione della coscrizione e quella dei dazi di Consumo (60).
La stessa posizione radicale, venata da una nota di opportunismo politico, veniva ripresa in una lettera dell'anno successivo ad un militante fiorentino:
Tutte le cagioni che fanno le rivoluzioni esistono in Italia: il malcontento universale diffuso: nelle classi agricole che seguirebbero un moto retrogado purché accennasse all'abolizione del macinato, della coscrizione e del caro del sale e seguiranno noi se veniamo primi a promettere (61).
Le difficoltà incontrate dal proselitismo repubblicano all'interno delle classi agricole, anche per la concomitante e concorrente propaganda clericale, contribuirono probabilmente alla sostanziale inerzia del partito d'azione.
Nel comportamento dei militanti del partito d'azione sono riscontrabili d'altra parte contraddizioni stridenti: se da un lato essi non rifiutarono compromissioni col ribellismo contadino, dall'altro non mancarano neppure episodi di complicità con la repressione governativa (62). Alcuni ufficiali della guardia nazionale di Cesena, "legati al partito Rosso", furono accusati di connivenza con i renitenti e disertori del circondario, i quali a loro volta, secondo il reggente della sottoprefettura cesenate, erano probabilmente organizzati da un noto agitatore mazziniano: "parea che costoro obbedissero ad una parola d'ordine e questa parola (per me) è Valzania" (63) Al contrario, un altro esponente repubblicano di primo piano, seppure dissidente, quale Giuseppe Comandini si offrì con alcuni compagni di collaborare, nei ranghi della guardia nazionale, con la sottoprefettura cesenate per sgominare le bande di renitenti che infestavano il cesenate:
Sarebbero costoro un gruppo di persone [ ] che sono oggi intimiditi dalle minaccie del così detto partito rosso [...], i quali van chiamando quest'individui spie e cagnotti perché si prestano alla ricerca ed arresto dei
renitenti. Una volta mobilizzati [...], e con una paga di 1 lira al giorno sarebbero in misura di prestare utili servizi, molto più che una volta compromessi sarebbero sempre dalla parte nostra (64)
4. L'azione persuasiva delle autorità politiche
Si è già visto come verso la metà degli anni sessanta le disposizioni dei coscritti verso la leva fossero decisamente migliorate: il numero dei renitenti era notevolmente diminuito e diventato quasi irrilevante, le operazioni di reclutamento avevano assunto, almeno esteriormente, l'aspetto di un momento di festa e di partecipazione collettiva Se l'avversione della popolazione per la coscrizione non era ancora stata vinta completamente, il comportamento meno antagonistico dei giovani soggetti alla leva testimoniava comunque come al rifiuto fosse subentrata una certa rassegnazione
Quali fattori avevano originato questo mutato atteggiamento? Nella lettura proposta dalle autorità politiche locali, esse tendevano ad attribuire un'importanza decisiva all'opera di sensibilizzazione da loro svolta per convincere la popolazione della necessità e dell'utilità della coscrizione. Il prefetto Campi, ad esempio, scriveva nella sua monografia che all'"azione perversa funesta dissolvente" del clero
altre e ben più nobili influenze si opposero: quanto avvi nei paesi di sinceramente onesto liberale intelligente e devoto alla propria patria, si levò a combattere le fatali prevenzioni contro la leva. I migliori cittadini si studiarono di spandere in terra tanta luce di verità, quante furono le tenebre d'ignoranza che si vollero lungamente addensate fra le popolazioni rurali. E si deve appunto a questo generoso apostolato di patriottismo, se colla dolcezza e colla persuasione furon tolte di mezzo le seduzioni di perniciosi esempi, e ridotti molti colpevoli nel dritto cammino della legalità e del dovere; se seminando anche nelle campagne il sentimento di ciò che ogni cittadino deve al proprio Paese, e consigliando il sagrifizio ed il rispetto alla Legge, le operazioni di Leva procedettero non solo sicure e spedite, ma raggiunsero ormai risultati, quali non è dato sperarli migliori in molte fra quelle antiche Provincie Subalpine (65).
In effetti, nel debellare la resistenza alla leva obbligatoria, l'impiego della forza pubblica e il ricorso a misure eccezionali rivestì senza dubbio un ruolo assai maggiore. Delle due "vie" che il sottoprefetto cesenate Pallotta indicava per "menomare" la renitenza,
1 procurando che i renitenti non abbiano tregua dall'inseguimento della Forza, tanto che o cadano in suo potere quanto meno sel pensano, o per instanchezza di quel vivere al bando della Legge si costituiscano volontari; 2 controbilanciando le triste, ed ostili influenze del Clero con quelle pacifiche ed incivilitrici delle autorità Municipali, era la prima ad essere più spesso praticata (66). La repressione fu sempre anteposta al tentativo di suscitare il consenso verso la coscrizione, o perlomeno l'osservanza del nuovo obbligo, mediante un'azione persuasiva Era proprio il limitato successo conseguito da quest'ultima, infatti, che contribuiva parallelamente a rafforzare la scelta delle autorità governative di privilegiare nella loro strategia complessiva una risposta essenzialmente poliziesca al problema della renitenza
L'analisi degli strumenti e degli argomenti ai quali fece ricorso la propaganda governativa riveste comunque, a prescindere dai risultati ottenuti, un'indubbio interesse.
L'organizzazione di uno specifico intervento volto a sensibilizzare i giovani coscritti e le loro famiglie, oltre ad essere sollecitata da precise direttive del potere centrale, rispondeva anche alla necessità di contrastare efficacemente sullo stesso terreno la mobilitazione clericale contro la
coscrizione, attivissima specie nelle campagne.
Gli abittanti delle Città -scriveva, ad esempio, l'autore di un opuscolo propagandistico- ben sanno cosa sia la Leva [...]. Nei villaggi e nei campi ove con più difficoltà possono combattersi le tristi insinuazioni de' partiti avversi, ed ove le antiche preoccupazioni son più difficile a sradicare perché meno contraddette è dove conviene mostrare la verità ed il senso pratico della legge Ai nobili ed onesti abitanti del contado sono specialmente dirette queste parole, poiché essi più d'ogni altro potrebbero preoccuparsi d'una istituzione che non conoscono, che ad alcuni torna il conto di travisare, e che presentandosi come cosa nuova in queste contrade è per certuni ragione sufficiente per avversarla (67).
L'azione propagandistica attivata dalle autorità utilizzava essenzialmente due canali distinti e complementari. Il primo canale, mediato, era rappresentato dalla pubblicazione di opuscoli e articoli propagandistici che si proponevano l'obiettivo di volgarizzare per la massa della popolazione i vantaggi derivanti dall'introduzione del servizio militare obbligatorio. Questa ricca produzione cartacea, redatta da militari o da personalità di area liberale, presentava caratteristiche comuni ed era speculare, nella scelta degli argomenti presi in esame, alla propaganda clericale, alla quale cercava di controbattere punto su punto (68).
Un primo elemento, di carattere generale, che contraddistingueva questa letteratura filogovernativa era quello di mostrare l'irreversibilità del processo unitario:
non rimane dubbio veruno sulla stabile separazione di queste provincie (69).
In secondo luogo, veniva sottolineata con altrettanza forza la necessità che l'esercito del nuovo stato si fondasse sulla leva militare:
Le nazioni abbisognano di una milizia, che le difenda dai nemici di dentro e di fuori, ed una milizia ordinata e valente non si può comporre di volontari e mercenari (70)
In questa posizione si nota la presenza di un duplice motivo polemico: da un lato, verso la tesi democratica della leva in massa basata sul volontariato, dall'altra, nei confronti dell'esercito pontificio reclutato su base mercenaria.
Affrontando poi la principale motivazione dell'avversione popolare per la leva veniva negato che essa arrecasse un danno economico alle famiglie dei coscritti e all'attività produttiva complessiva. All'obiezione che la leva "spopola Città e Campagne, fa deperire l'industria e l'agricoltura, e toglie per intiero ai padri di famiglia l'aiuto de' figli", si rispondeva facendo notare come la "legge provvida e giusta" contemplasse un tale ventaglio di possibilità di esonero da obbligare di fatto al servizio militare solo un numero assai limitato di giovani (71)
Il maggiore impegno era posto tuttavia nella descrizione dei molteplici miglioramenti, d'ordine fisico, intellettuale e morale, che il coscritto poteva acquisire durante gli anni della ferma. Se i giovani arruolati erano
spessissimo ignoranti, dediti alcune volte all'infigardaggine [ ]; con poche o nulle cognizioni,
il soldato congedato, al ritorno in famiglia,
condurrà l'abitudine al lavoro ed all'attività; al rispetto [ ], deferenza ed
obbedienza [...], ricondurrà un ordine perfetto in tutte le sue azioni, ordine a cui deve lo svolgimento delle sue facoltà intellettuali e delle forze fisiche (72)
Il servizio militare veniva equiparato ad una scuola
in cui si apprende l'ordine, la subbordinazione ed il rispetto ai superiori, in cui l'infingardo e scioperato si abitua alla fatica; l'arrogante e presentuoso si doma (73).
Sul piano morale veniva inoltre respinta l'accusa che il servizio militare fosse un incentivo alla irreligiosità: non solo il soldato
è essenzialmente religioso; rispetta i buoni ministri dell'Altare attento e deferente ai suoi morali consigli,
ma nell'esercito
si temperano colla disciplina i costumi, e si osservano indeclinabilmente i comandamenti della Chiesa, ed il culto cattolico (74).
Il periodo passato sotto le armi consentiva inoltre di acquisire utili nozioni sul piano professionale A secondo della loro assegnazione ai vari corpi dell'esercito i coscritti rurali avrebbero potuto "perfezionarsi" nella propria attività, o "iniziarsi" in un mestiere. Gli arruolati in fanteria, muovendosi "dall'una all'altra Provincia", usufruivano di un'esperienza "pratica interessantissima sui vari metodi di Coltivo ne vari luoghi usati"; coloro che entravano in cavalleria imparavano "per assimilazione la cura e l'igiene" non solo dei cavalli ma anche di tutti gli altri animali "necessari ai campestri lavori"; quelli destinati al genio e all'artiglieria, esercitando "le arti del carraio, del fabbro, del falegname", diventavano esperti nel riparare gli attrezzi agricoli (75)
Per il contadino, i vantaggi arrecati dal servizio militare potevano addirittura concretizzarsi in un miglioramento della sua condizione sociale Se una qualche mobilità ascendente non era preclusa all'artigiano, che dalla qualifica di garzone aveva la possibilità, acquistando una bottega propria, di elevarsi al rango di padrone e di raggiungere una certa agiatezza, il contadino era invece ancorato alla sua posizione di subordinazione e sfruttamento:
Raro è che egli ascenda al grado di fattore, più raro ch'entri in denari tanto da comperare un podere per coltivarlo di sua mano (76).
L'unica sua opportunità di avanzamento sociale era rappresentata dalla carriera militare:
L'aspettativa del contadino sta nel cammino delle armi Di costumi semplici ed onesti [...], docile, operoso, sofferente alla fatica, egli è più ch'altri atto a farvi buona riuscita. I migliori soldati, i più robusti e meglio disciplinati si traggono dalle campagne; que' che appresero a leggere ed a scrivere possono salire di grado [...], ed ove, per la ignoranza delle lettere, non sia dato loro di uscire dalle file dei soldati, possono, dopo un certo numero d'anni, deporre le armi e ripigliare ancora giovani le cure domestiche nelle loro famiglie (77).
Questa argomentazione d'ordine economico-professionale merita una riflessione Il servizio militare, in una situazione rurale caratterizzata da una forte disoccupazione stagionale e da una cronica sovrappopolazione relativa, poteva indubbiamente esercitare una qualche attrazione sui
coscritti contadini, garantendo per alcuni anni un lavoro sicuro. L'arruolamento in questi casi si configurava come una soluzione meno rischiosa e drammatica rispetto alla renitenza (78). La stessa rilevanza che nel forlivese ebbe, accanto a questa, anche il volontariato lascia poi intravedere come il basso tenore di vita della popolazione potesse contemporaneamente agire nelle due direzioni della fuga e dell'arruolamento Pur caratterizzandosi come un comportamento tipico delle classi urbane medio-alte, il volontariato trovava infatti qualche appendice anche tra gli strati artigiani più bassi
Prescindendo dall'eccentricità di talune sue affermazioni, il limite maggiore della propaganda governativa consisteva propriamente nel vettore cartaceo che utilizzava Se è lecito avanzare qualche dubbio sull'effettiva circolazione che avevano questi materiali, era comunque l'altissima percentuale di analfabeti denunciata dalla provincia di Forlì, ancora superiore all'80% al censimento del 1871, a privarla di qualsiasi efficacia (79) Lungi dal raggiungere la popolazione rurale, che nelle intenzioni doveva rappresentare il destinatario privilegiato di questi messaggi, questa propaganda rimaneva quindi confinata nelle classi letterate medio-alte, che, appartenendo allo stesso segmento sociale degli autori, erano presumibilmente già "educate" all'obbligo della coscrizione.
Una maggiore efficacia, almeno in linea di principio, avrebbe dovuto rivestire il secondo canale, diretto e non mediato. L'esecuzione di un'azione persuasiva più capillare venne infatti affidata alle autorità municipali, confidando nell'esistenza di uno stretto legame con la popolazione I sindaci furono invitati a mettere
a partito la loro influenza per imprimere nell'animo dei giovani quei generosi sentimenti di Patrio amore e d'abnegazione che rendono forte e civile una Nazione, e che concorrono potentemente a cancellare ogni preconcetta e vieta idea di avversione ai sacrifizj che le Leggi impongono ai cittadini (80).
Nel complesso tuttavia il ruolo che i sindaci furono in grado di esercitare sulle disposizioni dei coscritti si rivelò modesto e il loro legame con i propri amministrati assai precario. Sul versante di un rapporto personale e continuato con la popolazione, essi erano inoltre costretti a subire l'ingombrante concorrenza dei parroci Consci della maggiore presa sociale del clero, le autorità municipali non disdegnarono, come si è già visto, di richiederne la collaborazione, senza ottenere peraltro risultati tangibili Gli errori commessi nella compilazione delle liste di leva alienarono poi ai sindaci una parte di consenso, minandone l'attendibilità e favorendo anzi l'insorgere di un diffuso sentimento anti-municipale (81).
Accanto alle autorità municipali, anche i proprietari agricoli furono sollecitati dai funzionari governativi a svolgere un'azione di convincimento presso la popolazione rurale.
Io raccomando a questi possidenti -scriveva, ad esempio, il delegato di pubblica sicurezza di Civitella- di illuminare i loro coloni onde sventare possibilmente i lavori del partito retrivo (82)
Indubbiamente, il forte controllo sociale che i "padroni" esercitavano sui contadini, contemplando anche la possibilità del ricatto economico, può aver rappresentato in qualche caso un deterrente alla renitenza delle campagne. Assai interessante al riguardo è la vicenda di un disertore di Poggio Berni Il giovane, già incitato dal sindaco a presentarsi alla partenza del suo contingente, non recede dal suo proponimento neppure quando il proprietario del fondo che la sua famiglia conduce a colonia minaccia "di cacciarli tosto dal podere se venissi a sapere che gli dessero ricetto" La singolarità di questo caso, tuttavia, non consiste tanto nella circostanza che la minaccia dell'escomio non impedì la fuga del coscritto, quanto nella figura del proprietario: il parroco di S. Maria di Camerano (83)
5. I prodromi del consenso
La resistenza alla leva obbligatoria, piuttosto che dall'azione persuasiva delle autorità politiche, fu quindi vinta, pur con tutte le sue carenze, dalla repressione governativa Ovviamente, interagirono anche altri fattori: in particolare, il carattere individuale, e pertanto più facilmente circoscrivibile, che assumeva nella stragrande maggioranza dei casi la renitenza e la diserzione, e una maggiore conoscenza, dopo le prime chiamate, dei meccanismi del reclutamento e delle opportunità che esso offriva per sfuggire legalmente all'arruolamento.
L'azione svolta dalle autorità municipali si rivelò tuttavia incisiva sotto un aspetto Affinché la chiamata alla leva fosse "giustamente apprezzata" dai coscritti come un momento "solenne", i funzionari governativi avevano invitato i sindaci ad organizzare delle "manifestazioni esteriori che attestino l'alto concetto in che è tenuta presso il Pubblico quella eletta parte di gioventù". Tra queste venivano suggerite l'affissione di manifesti "per eccitare gli inscritti a presentarsi spontanei", l'organizzazione al momento dell'estrazione sorte di una "refezione" con l'intervento della "Banda Nazionale, o del Concerto Comunale, ove esistano, ed in difetto dei Tamburi della Guardia Nazionale" perché i giovani fossero "convenientemente festeggiati" (84)
Questo tentativo di far assumere al reclutamento le caratteristiche di un momento di festa e di partecipazione collettiva fu coronato da un certo successo e rappresentò un primo sintomo che le disposizioni dei coscritti verso la leva andavano mutando Certamente nel lungo periodo, come è stato recentemente sottolineato, la graduale accettazione del peso della coscrizione fu favorita dall'emergere di un "consenso prepolitico" verso il servizio militare che era alimentato dal significato di "rito di passaggio" assunto dalla leva all'interno della "cultura popolare". Le feste e le dimostrazioni spontanee in occasione dell'estrazione a sorte e della visita di leva rappresentavano appunto i tipici comportamenti rituali che sancivano l'abbandono della giovinezza e l'approdo alla maturità, il passaggio dalla famiglia alla società (85). Questa ipotesi suggestiva, per quanto concerne il caso forlivese, deve tuttavia essere quantomeno sfumata o differita nel tempo Prescindendo da una valutazione dell'attendibilità delle descrizioni delle autorità in cui le masse di coscritti si recano "pieni d'entusiasmo e d'allegria" al sorteggio, e difficile riconoscere in questo atteggiamento un carattere di assoluta spontaneità All'affermazione della ritualità della coscrizione, infatti, non furono probabilmente estranee, come dimostra l'azione specifica svolta dai sindaci del forlivese, anche sollecitazioni esterne alla cultura popolare (86).
Una maggiore importanza rivestì probabilmente un altro fattore Dopo qualche anno di concreta sperimentazione della leva la popolazione maturò una certa consapevolezza degli effetti positivi che il servizio militare aveva sui giovani coscritti e le loro famiglie L'esame dei questionari e delle monografie dell'"Inchiesta agraria" conferma, per quanto concerne le classi rurali, il ruolo svolto da questo fattore nel suscitare un qualche consenso nei confronti della coscrizione (87).
Se la leva, come si è già visto, era di grave pregiudizio economico per la maggioranza delle famiglie coloniche, questa influenza negativa era controbilanciata da altri influssi di segno contrario:
E` lamentata la tolta alle famiglie di una parte delle migliori loro braccia e del miglior elemento; ciò costituisce economicamente un aggravio La maggioranza paga però volentieri questo tributo non fosse altro perché il giovine va per qualche tempo a vivere meglio che in casa propria, e riede dirozzato ed istruito (88).
Il sindaco di Riolo forniva un elenco dettagliato degli effetti positivi che il servizio militare aveva sulla persona del coscritto:
Le influenze in genere che si riscontrano nei nostri giovani coloni congedati dal servizio militare possono riepilogarsi in una maggior istruzione, disciplinatezza e civilizzazione; ed in genere in un maggiore sviluppo delle facoltà fisiche ed intellettuali (89).
Federico Masi, estensore di una monografia sul circondario cesenate, manifestava un ottimismo ancora maggiore e riteneva che la sperimentazione delle influenze positive della coscrizione avesse ormai vinto l'avversione della popolazione agricola:
I giovani compresi nella Leva quando ritornano dall'aver compiuto il servizio militare abituati alla disciplina rigorosa del campo e della caserma conservano nelle loro azioni un certo ordine e si distinguono per modi più urbani, sanno leggere qualche volta scrivere e fare un pò di conti cose tutte che loro concigliano la stima degli eguali, tanto che nelle campagne si incomincia a persuadersi che il servizio militare pel contadino è una scuola, un periodo di tempo passato in luogo d'educazione (90)
I progressi registrati dai giovani arruolati sotto il profilo dell'istruzione erano indubbi Durante il periodo della ferma essi avevano la possibilità di imparare a leggere e a scrivere frequentando le scuole istituite presso i corpi. Le informazioni rese disponibili, a partire dalla classe di leva 1846, dalle relazioni ministeriali testimoniano una sensibile riduzione del tasso di analfabetismo: la percentuale di coloro che non sapevano leggere e scrivere, che all'atto dell'incorporamento si attestava a livello nazionale vicino al 50%, scendeva al momento del congedo sotto il 10% (91). Una conferma indiretta dell'influenza del servizio militare sul grado d'istruzione dei giovani coscritti viene fornita anche dai dati censuari: nella provincia di Forlì, le classi d'età maschile comprese tra i 26 e i 31 anni presentavano al censimento del 1871 un tasso di analfabetismo sensibilmente inferiore a quello fatto registrare dagli arruolati delle classi di leva 1841-1845 (92) Secondo alcuni sindaci, inoltre, il servizio militare contribuiva al miglioramento del livello complessivo d'istruzione della popolazione rurale: le nuove acquisizioni non restavano infatti confinate ai soli coscritti, in quanto essi, una volta ritornati a casa, contribuivano "a diffondere qualche cultura nelle famiglie coloniche" (93)
Il servizio militare favoriva, oltre al miglioramento intellettuale, anche lo sviluppo fisico del giovane arruolato. Nonostante la situazione igienico-sanitaria delle caserme fosse assai carente e l'alimentazione inadeguata, i soldati durante il periodo della ferma registravano spesso un aumento del peso e della statura (94). Al ritorno in famiglia i coscritti, diventati "più amanti della pulizia", potevano inoltre favorire l'osservanza e la diffusione di alcune nozioni igieniche elementari (95) Mentre i sindaci erano concordi nell'inserire tra gli effetti positivi del servizio militare i progressi nell'istruzione e nell'igiene, assai contrastanti erano invece le posizioni relativamente all'influenza che il periodo passato sotto le armi aveva sulla moralità dei coscritti Se alcuni consideravano la leva una "potente molla di moralità e di educazione civile", altri temevano invece che proprio le influenze positive sul piano dell'istruzione e dell'igiene fossero controbilanciate da un peggioramento sul piano morale dei giovani contadini: "Dio non voglia che acquistino queste buone tendenze a scapito della moralità" (96). Se per i primi il servizio militare rendeva i contadini più docili e laboriosi, "assuefandoli alla disciplina, al rispetto delle Leggi e al mantenimento dell'ordine", per i secondi "li fa[ceva] disamorati dal lavoro" e "piuttosto presentuosi e prepotenti", diffondendo in essi la tendenza al libertinaggio e "il desiderio di combriccole, di giuoco, di bettola" (97).
In particolare, emergono due posizioni del tutto contrastanti relativamente al reinserimento nell'attività lavorativa dei giovani congedati dall'esercito Alcuni sindaci che sostenevano che il servizio militare "rende malvolenterosi a continuare le fatiche dei campi", togliendo ai coloni "l'attitudine" ai lavori agricoli (98) Gli estensori delle monografie erano invece di parere diverso Il
già ricordato Masi negava infatti che il servizio militare influisse negativamente sulla laboriosità dei coscritti, polemizzando apertamente su questo punto con i proprietari agricoli:
Vuolsi che i reduci si trovino alquanto sconcertati avanti alla durezza del lavoro dei campi, e che incontrino difficoltà prima di ripigliare le abitudini agricole; proprietari di quelli che non sanno mai nulla approvare, mai di nulla chiamarsi contenti, li accusano addirittura di poltroneria, noi preferiamo di credere che queste osservazioni sieno piuttosto da altre cause anziché motivate dal fatto che si vuole lamentare (99).
Sostanzialmente dello stesso avviso era anche Filippo Ghini, estensore di un secondo studio sul circondario cesenate:
nella generalità ritornati i giovani campagnoli alle loro case ben presto si rimettono alle abitudini campestri, e sebbene si verifichi che alcuni di essi si mostrino malvolenterosi a riprendere e continuare le fatiche dei campi, ciò deve ritenersi come una eccezionalità (100).
Addirittura, secondo la monografia dell'ingegnere Luigi Biffi, nelle campagne del faentino
i proprietari accordano una preferenza ai reduci della leva, non solo prescegliendoli come semplici lavoranti, ma ben anche come assistenti agli altri lavoratori (101)
Tra gli altri effetti negativi del servizio militare i sindaci individuavano soprattutto una serie di turbative che si creavano all'interno delle famiglie con il ritorno a casa del coscritto Il giovane congedato non era soltanto strumento di diffusione di nozioni culturali, tecniche e igieniche, ma anche portatore di tendenze disgregatrici per la compattezza dei nuclei familiari Egli ritornava a casa svogliato, meno legato ai costumi tradizionali, imbevuto "di idee e tendenze non tutte appovabili né utili" (102), e, "per la presunzione d'avere imparato assai", con "la pretensione e burbanza di dirigere e comandare in famiglia, con detrimento della gerarchia", che è "il fondamento del buon regime della famiglia medesima" (103).
Se dopo un ventennio dalla sua introduzione il malcontento per la coscrizione aveva ancora radici profonde nelle campagne, dove, anche se "i contadini sono rassegnati", la leva militare non è in genere gradita", essa, tuttavia, era ormai entrata stabilmente nei costumi e nelle abitudini della popolazione agricola: il servizio militare veniva accettato, non solo "con abbastanza indifferenza e senza contravvenzioni", ma addirittura "volentieri" (104). Masi, nella sua monografia sul circondario di Cesena, ammetteva che la coscrizione "nel principio della sua applicazione" aveva incontrato "anche da noi le sue difficoltà", ma subito precisava che "oggi non [ci sono] più renitenti" e che il giorno della partenza è diventato
un giorno d'allegria: le giovani reclute senza pianti od altre esagerazioni partono per loro destino (105).
Note al capitolo IV
(1) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , p 165; M d G , Della leva sui giovani nati nell'anno 1844 , cit , pp 89, 359; M d G , Della leva sui giovani nati nell'anno 1847 , cit , p 64. L'emigrazione, nonostante la forte migrazione stagionale verso le Maremme, non ebbe mai nel forlivese l'influenza che questo fattore rivestì, specie a partire dalla fine degli anni sessanta, in altre realtà territoriali: le provincie romagnole "tutte di sangue caldo, ma senza emigrazione" denunciavano ormai pochissimi renitenti (E. Arbib, L'ordinamento dell'esercito e la leva del 1869, in "Nuova antologia", a XXVI (1891), fasc V, p 132)
(2) Zanolini, art cit , p 15 Il liberale bolognese, se vede profilarsi i primi germi di una degenerazione della convivenza urbana, continua però a vedere con gli occhi del romanticismo agrario la situazione delle campagne: qui "è assai diversa la qualità del vivere e dei costumi; pochissimi oziosi, braccianti che lavorano a giornata, e quantità grande di contadini che coltivano poderi a mezzadria e si pigliano la metà della rendita. Questi non istanno in ozio, ed anche i piccoli garzoni hanno le loro incumbenze rurali e pastorecchie" (ibidem) La posizione di Zanolini, che considerava la leva militare alla stregua di un mezzo per inculcare nei giovani l'amore per il lavoro e una sana moralità, era comune agli altri articoli e opuscoli propagandistici che furono pubblicati nei primi anni sessanta
(3) Questa estraneità appare addirittura assoluta per quei coscritti che furono dichiarati renitenti perché ignoravano l'entrata in vigore della leva obbligatoria.
(4) Monografia statistica , cit , vol III, p 38
(5) Tra gli oltre 200 volontari cesenati che nel settembre del 1860 si recarono nelle Marche e nell'Umbria per aggregarsi all'armata del generale Cialdini non era compreso "un solo contadino" (S. Sozzi, Breve storia della città di Cesena, Cesena, 1972, p. 233).
(6) Si riporta, per fornire un'idea quantitativa del fenomeno, una statistica dei volontari forlivesi che parteciparono alle campagne risorgimentali del 1848-49 e del 1859-60.
comuni 1848-49 1859-60 totale
Forlì 2763
Bertinoro 120
Forlimpopoli 155
Meldola 193
circondario di Forlì 1547 1811 3358
Cesena 831
Cesenatico 154
Savignano 248
circondario di Cesena 740 865 1605
Rimini 949
Sant'Arcangelo 166
circondario di Rimini 646 709 1355
fonte: Monografia statistica..., cit., vol. III, p. 55
(7) Stefanoni Simonetti, La leva nelle Romagne. Brevi considerazioni alle famiglie dei coscritti, s. l., s. d. [ma 1860], p. 3 (opuscolo conservato in A. S. Fo., Prefettura, b. 771, cit. ). L'autore era maggiore del 21 o reggimento di fanteria
(8) A S Fo , Gabinetto riservato, fasc 17, cit , lettera del sottoprefetto di Rimini Viani al prefetto di Forlì, Rimini, 2 aprile 1864 I comuni "propensi" al clero erano quelli di Gemmano, Scorticata e Verucchio (ivi, lettera del sottoprefetto di Rimini Viani al prefetto di Forlì, Rimini, 17 marzo 1864).
(9) A parte le campagne, soltanto con alcuni strati urbani più bassi il clero aveva instaurato un legame resistente: "Le campagne e parte del minuto popolo dei murati sono ancora pei Preti" (ivi, fasc 146, cit , lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella Baccarini al prefetto di Forlì, Civitella, 16 ottobre 1863).
(10) Ivi, fasc. 17, cit., lettera del sottoprefetto di Rimini Viani al prefetto di Forlì, Rimini, 15 luglio 1864.
(11) Ivi, lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella Baccarini al prefetto di Forlì, Civitella, 15 maggio 1864 Il prefetto Campi, in alcuni rapporti inviati l'anno precedente al ministro dell'Interno, aveva invece affermato che il "partito retrogado piuttosto scarso ed inoperoso non dà preoccupazioni" e "scema d'influenza", assicurando che i "pochi uomini del partito retrivo sono impotenti ad attrarre colle usate arti, nell'orbita delle loro aspirazioni le masse delle popolazioni, perché queste servono tuttavia vivo e fresco nella memoria il doloroso esperimento lungamente fatto della mala Signoria di Roma" (ivi, fasc 146, cit : lettere del prefetto di Forlì Campi al ministro dell'Interno, Forlì, 21 settembre e 21 ottobre 1863).
(12) "Il partito clericale [ ] non è alieno dal soffiare, specialmente nelle campagne, il malumore per le tasse" (ivi, fasc. 17, cit., lettera del sottoprefetto di Rimini Viani al prefetto di Forlì, Rimini, 1 novembre 1864)
(13) Manifesto della Regia Prefettura di Forlì indirizzato agli "Abitanti della Provincia", a firma del prefetto Giuseppe Campi in data 14 novembre 1863 Il manifesto è trascritto in Gioacchino Sassi, Documenti, ms. XIX sec., 2 voll., vol. II, doc. n. 404. Il manoscritto è conservato all'Archivio del Capitolo della Cattedrale di Cesena. Il canonico cesenate nella sua cronaca annota che in città questo manifesto "tutto incendiario contro il clero" fu "dai stessi costituzionali subito levato ove ritrovavasi affisso" (Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p. 231). Il prefetto Campi, che resse la prefettura di Forlì dal giugno del 1863 al maggio del 1866, caratterizzò il suo mandato con un acceso anticlericalismo (Sozzi, Democratici e liberali..., cit., p. 59).
(14) A S Fo , Gabinetto riservato, fasc 146, cit , lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Meldola al prefetto di Forlì, Meldola, 15 agosto 1863.
(15) Torre, Relazione al Sig. Ministro della Guerra..., cit., p. 165.
(16) Monografia statistica , cit , vol III, p 37
(17) U Foschi, Par mod d'un di Modi di dire romagnoli, Ravenna, 1975, p 15
(18) G. B. Villa, Poesie dialettali (1874-1919), a cura di G. Quondamatteo, Bologna, 1971, pp. 187188 Su questo poeta dialettale dai forti contenuti sociali si vedano: G Quondamatteo - G Bellosi, Cento anni di poesia dialettale romagnola, Imola, 1976, 2 voll., vol. I, pp. 8-9, vol. II, pp. 665-667; G Quondamatteo - G Bellosi, Romagna Civiltà, Imola, 1977, 2 voll , vol I, pp 350-352
Ugualmente esplicita è "una infame canzone che s'ode tutto giorno in bocca ai ragazzi da strada" trascritta dal cronista forlivese Guarini:
O bela Italia vestita da suldè con Garibaldi a Roma prest a' vlen' andè. O mamma mi dasim un bon curtel par piantel in te col a Vitori Manuel [ ]"
(Filippo Guarini, Diario forlivese [1863-1920], ms XIX-XX secolo, 16 voll , vol I, p 111; il manoscritto è conservato presso la B. C. S. Fo. ).
(19) Il prefetto Campi nella sua monografia riprende un articolo di un giornale marchigiano, pubblicato nel 1863, nel quale viene dipinto un quadro della condizione contadina che rappresenta un esempio particolarmente offensivo di tarda satira del villano: "Il contadino non ebbe mai l'onore di indossare altra assisa che il sacco, nel suo petto non ha buttato che lo scapolare, la sua mano non strinse che il bordone, il suo capo non si coperse che del cappuccio d'una di quelle confraternite che marciano all'acquisto delle sante indulgenze Aggiogare i giovenchi, coltivare il campo, custodire le vigne, riassumeva il tutto quanto eragli consentito dai suoi reggitori. Alieno da ogni idea di libertà di cittadinanza e di patria, educato alla sofferenza ed alla rassegnazione alimentate da un sensismo di religione sterile ed agghiacciante, egli non andava oltre il desco ed il talamo, il campo e la Chiesa" (Monografia statistica..., cit., vol. III, p. 37).
(20) Zanolini, art. cit., p. 15.
(21) Sassi, Selva di memorie , cit , vol IX, p 175
(22) Proverbi romagnoli, cit , p 759 Altri proverbi sulla coscrizione sono riportati in Questa Romagna. Storia, costumi e tradizioni, a cura di A. Emiliani, Bologna, 1963, 2 voll., vol. I, p. 329.
(23) Cammelli, Al suono delle campane , cit , pp 128, 163-164; Marginalità, spontaneismo, organizzazione..., cit., pp. 8-9 (premessa di P. Sorcinelli); Uguccioni, art. cit., p. 15. Una ragione della minore resistenza opposta dalla popolazione urbana all'introduzione della coscrizione può forse essere individuata anch'essa all'interno della sfera economico-produttiva. Se l'introduzione della leva veniva indubbiamente a turbare la vita produttiva tanto degli agricoltori quanto degli artigiani e piccoli commercianti cittadini, il danno economico che l'assenza di un figlio coscritto apportava a queste ultime famiglie era senza dubbio minore. Lo squilibrio che si veniva a creare era infatti più facilmente neutralizzabile per l'esistenza di una differenza di fondo tra l'esercizio dell'artigianato o del commercio e le occupazioni agricole: mentre queste erano pesantemente condizionate dai tempi dell'annata agraria, con dei picchi di prestazioni lavorative e dei periodi di relativa inoperosità, l'attività artigianale o commerciale era sostanzialmente costante nell'arco dell'anno e quindi esente dal rischio che a causa della coscrizione si producessero, come nelle campagne, deficit e strozzature drammatiche sul versante della forza lavoro
(24) L'"Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola" promossa dal parlamento nel 1877, fonte indispensabile di conoscenza della situazione sociale e produttiva delle campagne italiane nella seconda metà dell'ottocento, fornisce anche delle informazioni preziose sull'influenza esercitata dalla coscrizione sulla popolazione rurale A questo tema era infatti dedicato il quesito
XXIII ("Servizio militare. Svariate influenze di esso sulla condizione dei contadini"). Ovviamente l'inchiesta si riferisce all'atteggiamento nutrito dalle classi agricole verso la coscrizione a circa vent'anni dalla sua introduzione Non manca tuttavia in questa fonte uno sforzo di sintesi di più ampio respiro, un tentativo di ricostruire la genesi e la storia di questo atteggiamento. Oltre alla relazione del marchese Tanari sulla VI circoscrizione, comprendente le provincie di Forlì, Ravenna, Ferrara, Bologna, Modena, Reggio Emilia e Parma (in Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma, 1881, vol. II), sono stati utilizzati anche i materiali preparatori, cioè le risposte dei sindaci al questionario dell'inchiesta e le monografie compilate su base circondariale da esperti in agricoltura o da associazioni di settore quali i comizi agrari, che costituirono l'insostituibile documentazione di base per la redazione della relazione. Sull'inchiesta si veda A Caracciolo, L'Inchiesta agraria Jacini, Torino, 1973 I questionari e le monografie relativi alle provincie romagnole di Forlì e Ravenna, conservati all'Archivio centrale dello Stato, Archivi parlamentari, Inchieste parlamentari, Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, sono disponibili in fotocopia presso l'Istituto storico della Resistenza di Rimini (d'ora in poi I. S. R. Ri. ). Dei 61 comuni delle due provincie 47 risposero al questionario. Le monografie redatte furono sette, di cui due edite: due per i circondari di Cesena e Faenza, una per quelli di Rimini, Lugo e Ravenna. Si è ritenuto legittimo utilizzare anche i materiali relativi al ravennate, dove la coscrizione, seppure con minor intensità rispetto al forlivese, incontrò difficoltà analoghe
(25) I. S. R. Ri., Inchiesta agraria Jacini: vol. II, Savignano, p. 369; Sarsina, p. 357; vol. I, Scorticata, p 221 Certamente, dopo l'introduzione della leva obbligatoria, non si manifestarono mai nelle campagne romagnole delle carenze di forza lavoro tali da comportare un arretramento nella produzione di certe colture come invece sembrerebbe essersi verificato, a causa delle massiccie requisizioni di coscritti e dell'altissino numero di refrattari, nel periodo napoleonico (Tonelli, op. cit., p. 88). L'influenza della coscrizione rimane limitata al piano microeconomico (l'azienda agricola famigliare) e non giunge a perturbare quello macroeconomico (la produzione agraria complessiva).
(26) La bibliografia sulla struttura della famiglia contadina è ormai imponente Si segnalano soltanto alcuni studi sulla famiglia emiliano-romagnola, ai quali si rimanda per una esposizione più approfondita dei suoi caratteri costitutivi e per ulteriori informazioni bibliografiche: C Poni, La famiglia e il podere, in Strutture rurali e vita contadina, Milano, 1977, pp. 99-119 (ripubblicato in una nuova versione e con il titolo La famiglia contadina e il podere in Emilia Romagna, in C. Poni, Fossi e cavedagne benedicon le campagne Studi di storia rurale, Bologna, 1982, pp 283-356); C Poni - S. Fronzoni, L'economia di sussistenza della famiglia contadina, in Mestieri della terra e delle acque, Milano, 1979, pp 11-41 Si possono utilmente consultare anche il breve ma denso articolo di F. Cazzola, La formazione di una popolazione marginale in agricoltura: alcune ipotesi di lavoro, in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi", a. II (1980), n. 2, pp. 79-86, e l'agile volume di P. Macry, Introduzione alla storia moderna e contemporanea, Bologna, 1980, pp 91-120 Di Poni si veda anche la premessa al fascicolo di "Quaderni storici" dedicato alla Protoindustria, a. XVIII (1983), n 52, pp 5-10 Sull'industria tessile casalinga nel forlivese alla fine dell'ottocento si veda Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Statistica industriale. Notizie sulle condizioni industriali della Provincia di Forlì, Roma, 1900, 2a ed., pp. 46-48.
(27) A. S. Fo, Prefettura, b. 788, supplica di Domenico Prati..., 1861, cit.
(28) Ivi, supplica di Felicia Fiorini all'intendente generale della provincia, Rimini, 26 aprile 1861. Analogamente un renitente di Sant'Arcangelo, interrogato dal procuratore del tribunale penale di Forlì, giustificava la sua fuga con queste parole: "Non mi presentai al servizio militare perché la mia persona era troppo necesaria alla mia famiglia composta tutta d'impotenti e di piccoli" (A. S. Fo., Tribunale penale, 1862, b 40, fasc 1529)
110
(29) I. S. R. Ri., Inchiesta agraria Jacini: vol. III, Cotignola, p. 662; D. Ghetti, Monografia sulle condizioni dell'agricoltura e della classe agricola del Circondario di Faenza, 1879, p 94 Il danno, secondo Tanari, era quindi "piuttosto relativo che assoluto", in quanto colpiva la "condizione economica delle famiglie, secondo la composizione loro" (Atti della Giunta , cit , vol II, fasc II, p 364)
(30) I S R Ri , Inchiesta agraria Jacini: vol I, Gemmano, p 58; vol II, S Mauro, p 345
(31) Ivi, Savignano, p. 369. La legge piemontese del 20 marzo 1854 stabiliva, come si è già visto, che fossero esentati i figli unici di padre quinquagenario e i primogeniti di madre vedova o di padre entrato nel settantesimo anno d'età. La legge del 24 agosto 1862 apportò una modifica alla legislazione precedente, accordando l'esenzione a tutti i figli unici Il generale Torre giustificò questa importante innovazione con la volontà del ministero della guerra "di non portare col reclutamento il disordine e la dissoluzione nelle famiglie", in quanto in alcune parti del paese "la ripartizione del terreno è fatta tra i coloni in guisa che il concorso del figlio unico vi è realmente necessario" (Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., pp. 304-305).
(32) I. S. R. Ri., Inchiesta agraria Jacini, Ghetti, op. cit., p. 95. Il generale Torre, riferendosi all'aumento del contingente di prima categoria che si verificò nella leva della classe 1843, affermò che questa maggior richiesta di arruolati non "sarebbe riuscita più onerosa" alle popolazioni, "anzi sarebbe tornata loro di qualche grado più lieve". Infatti, a motivo di questa "contribuzione", il Governo non era più obbligato ad "esigere la immediata e permanente presenza sotto le armi degli uomini di 2. a categoria" e quindi "minori per conseguenza averanno ad essere gli affetti domestici contrariati, minori le industrie disertate dalle braccia operose, minori i mestieri abbandonati e i guadagni sospesi" (M d G , Della leva sui giovani nati nell'anno 1843 , cit , pp 1-2)
(33) Ivi, p 94
(34) Atti della Giunta..., cit., vol. II, fasc. I, pp. 246-247.
(35) Rosetti, op. cit., pp. 102-104.
(36) Secondo Tanari "l'emigrazione temporanea era "normale ed estesissima" La destinazione era quasi sempre rappresentata dalla maremma toscana e dall'agro laziale e più raramente anche dalla Corsica, la Sardegna e la Lombardia (Atti della Giunta , cit , vol II, fasc I, pp 247-248) Al contrario, l'ingegnere Biffi, estensore di una seconda monografia sul circondario faentino, affermava che non esisteva "emigrazione né precaria, né stabile" (L. Biffi, Memoria intorno alle condizioni dell'agricoltura e della classe agricola nel Circondario di Faenza, Faenza, 1880, p 168)
(37) Nel bolognese "per le grandi famiglie bracciantili della bassa la partenza di un figlio per il servizio militare poteva essere vissuta anche come momentaneo sollievo" (Cammelli, Al suono delle campane..., cit., p. 131).
(38) "Il mondo contadino ha una sua autonomia e una alta compattezza interna, ma non è -di necessità- un microcosmo, chiuso ad ogni rapporto con l'esterno Di necessità: in effetti la comunità contadina subisce, più che scegliere, i propri contatti con [...] istituzioni diverse da sè" (Macry, op. cit., p. 117). Il rapporto del mondo contadino con l'istituzione militare è da questo punto di vista illuminante Non è poi senza significato che i contadini romagnoli imputassero la colpa dell'introduzione della coscrizione ai ceti cittadini. Il delegato mandamentale di pubblica sicurezza di Civitella faceva infatti risalire le difficoltà di scoprire gli autori di numerosi furti campestri al
"mal'inteso principio di questi montanari di occultare ciò che sanno onde non essere indotti a testimoniare pel timore che hanno dei ladri, e per antipatia contro i paesani ai quali attribuiscono il peso della leva" (A S Fo , Gabinetto riservato, lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella..., Civitella, 16 aprile 1864, cit. ).
(39) Biffi, op cit , pp 167-168
(40) Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , p 165
(41) Sassi, Selva di memorie..., cit., vol. IX, p. 167.
(42) In questo quadriennio il tribunale celebrò sette processi contro ecclesiastici colpevoli di aver contravvenuto alla legge sulla leva I reati contestati andavano dalla falsificazione dei fogli di nascita dei coscritti al rifiuto di consegnare i registri parrocchiali, dall'incitamento alla renitenza all'occultamento di renitenti e disertori. Per quanto concerne invece i reati di oltraggio e di ingiurie al governo e alle istituzioni gli ecclesiastici sottoposti a procedimento furono sei
(43) A S Fo , Gabinetto riservato, 1863, b 5, fasc 52, lettera del sottoprefetto di Cesena Pallotta al prefetto di Forlì, Cesena, 13 luglio 1863.
(44) A S V , Sacra congregatio Concilii, Relationes: b 163 C, Relazione sullo stato della diocesi di Cesena, Cesena, 27 settembre 1865, cc. 264r-276v; b. 343 C, Relatio status dioecesis foroliviensis, Forlì, 5 dicembre 1863, cc 116r-124r
(45) Farolfi, Dall'antropometria militare..., cit., p. 1077; Uguccioni, art. cit., p. 15; Cammelli, Al suono delle campane , cit , p 131
(46) Monografia statistica , cit , vol III, p 38
(47) S. Sozzi, Da Quarto all'Aspromonte (Cesena 1860-1862), Faenza, 1961, p. 53.
(48) A. S. Fo., Gabinetto riservato, fasc. 132, cit., lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena Agnetta al prefetto di Forlì, Cesena, 3 febbraio 1863.
(49) La predica di questo "indemoniato satellite del Papa" aveva avuto luogo il giorno di Ognissanti del 1862 a Sogliano, "con grande scandalo del paese" Contro il frate, al secolo Isaia Sabbatini, furono istruiti a breve distanza di tempo due distinti procedimenti presso il tribunale penale di Forlì (ivi: 1862, b. 4, fasc. 75, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena Agnetta al prefetto di Forlì, Cesena, 7 novembre 1862; lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena..., 26 gennaio 1863, cit. ). Altre tre prediche "sediziose" furono perseguite penalmente: nella prima il parroco di Diegaro Paolo Abbondanza aveva rivolto ingiurie alla guardia nazionale (A S Fo., Tribunale penale, 1860, b. 29, fasc. 1162); nella seconda, tenuta in una chiesa di Bertinoro, il prelato bolognese Gaetano Golfieri aveva offeso il governo (ivi, 1861, b. 35, fasc. 1376); nella terza, pronunziata a Ronta il 26 gennaio 1862 dal padre guardiano del convento dei cappuccini di Cesena, erano state ugualmente indirizzate ingiurie all'"attuale Governo" (ivi, 1862, b. 98, fasc. 3375)
(50) A. S. Fo., Gabinetto riservato, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena..., 26 gennaio 1863, cit In particolare, il già ricordato convento dei minori osservanti di Sogliano e quello dei mendicanti di Montiano erano considerati un "focolare d'intrighi". L'importante ruolo svolto, sul piano pastorale, dalla predicazione dei regolari è attestato anche dalle fonti ecclesiastiche (A S V ,
112
Relationes, Relazione sullo stato della diocesi di Cesena, cit., c. 267r). Un altro centro di "attività cospirativa" veniva individuato nella "Società S. Vincenzo de' Paoli" (A. S. Fo., Gabinetto riservato, 1864, b 9, fasc 57)
(51) Ivi, fasc 164, cit , lettera del sottoprefetto di Cesena Pallotta al prefetto di Forlì, Cesena, 6 luglio 1863
(52) Ivi, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena , 3 febbraio 1863, cit I rapporti dei funzionari periferici sono tutti concordi nel segnalare il carattere di estrema segretezza della propaganda del clero: il partito clericale "freme nella sua cerchia, e sta ben guardingo a non compromettersi", "non osa agire apertamente" e "si tiene riservatissimo"
(53) Ivi, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena , 26 gennaio 1863, cit
(54) Ivi, lettera del sottoprefetto di Cesena..., 6 luglio 1863, cit. In precedenza anche il reggente Agnetta aveva sollecitato un maggior rigore nei confronti dell'azione clericale: "tra i partiti ostili al Governo, [...] lasciato sin oggi con incuria somma, arbitro assoluto di fare e sfare a modo suo, è il partito nero [ ] che bisogna attaccare circuire spaventare" (ivi, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena..., 3 febbraio 1863, cit. ).
(55) Si veda il processo celebrato contro il prete Angelo Chiarucci di Ronco, frazione del comune di Forlì, per incitamento dei giovani alla diserzione (A. S. Fo., Tribunale penale, 1862, b. 62, fasc. 2289) Anche l'arciprete di Monte Colombo, in uno strano connubio col sindaco e un consigliere municipale, fu sospettato di aver istigato e favorito la fuga di due giovani del comune (A. S. Fo., Gabinetto riservato, fasc. 47, cit., lettera del sottoprefetto di Rimini al prefetto di Forlì, Rimini, 27 settembre 1862)
(56) Ivi, estratto della relazione del sottoprefetto di Cesena , cit Si veda anche il processo celebrato contro Luigi Baronio, parroco di Diolaguardia, località del comune di Roncofreddo, per falsificazione dei fogli di nascita (A. S. Fo., Tribunale penale, 1863, b. 40, fasc. 1548).
(57) Si vedano i processi celebrati contro Michele Nanni, parroco di Spinello, frazione del comune di Mortano, per ricovero e occultamento di renitenti (Ivi: 1861, b. 22, fasc. 791; b. 26, fasc. 1042), e Luigi Pedriali, economo del seminario di Rimini, per ricettazione di disertore (ivi, 1862, b 29, fasc 1153). L'arresto di Pedriali, avvenuto l'8 novembre 1861, viene ricordato anche da Tonini (op. cit., p 111) L'attività del parroco di Spinello dovette continuare anche negli anni successivi se nel 1864 egli era ancora oggetto delle attenzioni della prefettura di Forlì: "Don Michele Nanni è tenuto universalmente come uomo di perversi costumi, di tendenze affatto contrarie ai principi liberali [...], fanatico alla follia per tutto ciò che tende alla civiltà, ed al progresso, astuto istigatore contro la leva militare alla quale si oppone con tutti i mezzi da lui dipendenti prevalendosi della ignoranza di suoi montanari dipendenti, in una parola infame gesuita!" (A S Fo , Gabinetto riservato, 1864, b 9, fasc. 115: lettera del giudice mandamentale di Civitella Passega al prefetto di Forlì, Civitella, 20 dicembre 1864; lettera del procuratore del Re al prefetto di Forlì, Forlì 9 dicembre 1864).
(58) Nell'ottobre del 1864 il ministero dell'interno avvertì il prefetto dell'imminente arrivo nelle Romagne di "quattro individui reazionarj" incaricati di "cercare gioventù per condurla a Roma al servizio della Santa Sede" (ivi, 1864, b. 8, fasc. 31, lettera del ministero dell'interno al prefetto di Forlì, Torino, 24 ottobre 1864).
(59) Il partito d'azione, piuttosto che sfruttare il malcontento popolare per il nuovo obbligo, privilegiava il tentativo di reclutare giovani per l'armata garibaldina ( Ivi: 1862, b 4, fasc 65; 1864,
b. 8, fasc. 34). Si veda anche il processo celebrato contro Domenico Coatti, segretario comunale di Saludecio, per aver procurato arruolamenti clandestini per Garibaldi (A. S. Fo., Tribunale penale, 1862, b 76, fasc 2821)
(60) G Mazzini, Scritti editi e inediti, Imola, 1906-74, 98 voll , vol LXXXV, lettera di Giuseppe Mazzini a Gerolamo Gusella, Lugano, 8 dicembre 1867, p 298
(61) Ivi, vol LXXXVII, lettera di Giuseppe Mazzini ad Adriano Lemmi, Londra, 19 agosto 1868, p 157.
(62) S Sozzi, Gli inizi del movimento socialista a Cesena (1866-1870), Forlì, 1969, p 161
(63) A S Fo , Gabinetto riservato, lettere del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena , 29 gennaio e 3 febbraio 1863, cit. Si veda anche: ivi, 1864, b. 13, fasc. 327.
(64) Ivi, 1863, b 5, fasc 4, lettera del consigliere reggente la sottoprefettura di Cesena Agnetta al prefetto di Forlì, Cesena, 5 febbraio 1863.
(65) Monografia statistica..., cit., vol. III, p. 38.
(66) A S Fo , Gabinetto riservato, lettera del sottoprefetto di Cesena , 6 luglio 1863, cit
(67) Stefanoni Simonetti, opusc cit , p 3
(68) Tra i molti esempi disponibili di questa letteratura propagandistica è stata privilegiata, nell'esposizione che segue, l'utilizzazione dell'articolo del deputato liberale bolognese Zanolini e dell'opuscolo del maggiore Stefanoni Simonetti, in quanto queste due fonti si riferiscono esplicitamente alle Romagne Si segnala tuttavia anche altri due opuscoli: C F Porro, Dei doveri e dei diritti d'ogni giovane cittadino, dei loro parenti o tutori verso la Leva Militare, Cuneo, 1863; G Archieri, Trenta situazioni di famiglia spiegate al popolo per conoscere i diritti alla esenzione dal militare servizio spettanti alli giovani concorrenti alla Leva, Pavia, 1865
(69) Zanolini, art. cit., p. 16.
(70) Ivi, p. 15.
(71) Stefanoni Simonetti, opusc. cit., pp. 4-5.
(72) Ivi, pp 5-6
(73) Zanolini, art cit , p 15
(74) Stefanoni Simonetti, opusc. cit., p. 7; Zanolini, art. cit., p. 16.
(75) Stefanoni Simonetti, opusc. cit., pp. 6-7.
(76) Zanolini, art. cit., p. 15.
(77) Ibidem
(78) Uguccioni, art cit , pp 14-15; Cammelli, Al suono delle campane , cit , pp 130-131
(79) DIRSTAT, Popolazione. Censimento Generale (31 dicembre 1871), Roma, 1876, vol. II, p. 313 Il prefetto Campi, nella sua monografia, giudicava "enorme" e "angosciante" la cifra degli analfabeti della provincia, facendo risalire l'"insigne abbruttimento morale ed intellettuale delle nostre tribù campagnole e montanare, che pur troppo trapassò di padre in figlio, come la schifosa eredità di una malattia" all'interesse dell'"antico regime" di lasciare le masse popolari nell'ignoranza (Monografia statistica..., cit., vol. III, pp. 40-41).
(80) A. S. Fo., Prefettura, b. 788, cit., lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì ai sindaci dei comuni del circondario, Forlì, 22 ottobre 1861.
(81) Cammelli, Al suono delle campane..., cit., p. 129. Sull'"incuria" e la "svogliatezza" dei sindaci e dei segretari comunali si veda anche Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra , cit , p 139.
(82) A S Fo , Gabinetto riservato, lettera del delegato di pubblica sicurezza del mandamento di Civitella..., 1 aprile 1864, cit.
(83) A. S. Bo., Tribunale militare di Forlì, b. 112, fasc. 7790.
(84) A S Fo , Prefettura, lettera dell'intendente generale della provincia di Forlì , 22 ottobre 1861, cit.; A. S. Fo., Gabinetto riservato, fasc. 142, cit.: lettera del commissario di leva di Rimini..., 20 ottobre 1863, cit ; lettera del reggente la sottoprefettura di Rimini Rossi al prefetto di Forlì, Rimini, 21 ottobre 1863; A. S. S. Ri., Carteggio..., classe di leva 1841, tit. V, rubr. 2, lettera del sottoprefetto di Rimini Veglio ai sindaci e ai delegati mandamentali di pubblica sicurezza del circondario di Rimini, Rimini, 20 febbraio 1862
(85) Del Negro, op cit , pp 186-187; Oliva, Esercito paese e movimento operaio , cit , pp 56-63 Si vedano anche: M Bozon, Les conscrits, Paris, 1981 (la situazione della coscrizione in Francia descritta dall'autore presenta molte analogie con quella italiana); P. Clemente - F. Dei - P. De Simonis - G P Gri, Studi e documenti demologici sul militare: un approccio bibliografico, in "Movimento operaio e socialista", n. s., a. IX (1986), n. 1, pp. 59-87. Nessuna notizia sulla coscrizione fornisce invece M. Turci, I riti di passaggio riferiti al ciclo della vita (nascitamatrimonio - morte) nella realtà culturale romagnola, in "Studi romagnoli", vol XXXIII (1982), pp 367-382.
(86) L'affermarsi della coscrizione come rito di passaggio era legato al carattere di prova di virilità che la visita di leva rivestiva. Anche nella provincia forlivese, come nel resto d'Italia, questo elemento viene recepito dalle diverse manifestazioni della cultura popolare L'appellativo "Schert ad leva", rivolto ai riformati, costituiva un'offesa molto grave. Al noto proverbio
Chi ch' n'è bon pr'e' Re u n'è bon gnaca par la Regina faceva poi da contraltare la canzone del giovane riformato:
Su la riva ad che fiom, fin a quand e' sol u fa lom, chenta chenta a gola piena una allegra cantilena: Né moglie, né Re,
perciò a pens sol par me!
(Proverbi romagnoli, cit , p 279; V Tonelli, Medicina popolare romagnola Testimonianze della Valle del Savio, Imola, 1981, p. 144).
(87) Altri fattori del consenso che va acquisendo la coscrizione presso le masse popolari sono da individuarsi, secondo Del Negro, nel "fascino dell'ideologia nazionalista" e, per Oliva, nell'affermazione dell'esercito come "spettacolo" e nel "fascino della divisa" (Del Negro, op cit , p 186; Oliva, Esercito paese e movimento operaio..., cit., pp. 66-68).
(88) Atti della Giunta , cit , vol II, fasc II pp 586-587
(89) I S R Ri , Inchiesta agraria Jacini, vol III, Riolo, p 549 L'estensore della monografia sul circondario ravennate ribadiva questa convinzione alla luce di un confronto: "è manifesta la differenza che passa fra il giovane, che prestando servizio sotto le armi, visitò città e paesi e conobbe costumi altrui, e sentì la militare disciplina, e quelli che non andarono più in là dei vicini mercati" (Comizio agrario di Ravenna (relatore G. Barberi), Delle condizioni economicorurali del Circondario Ravennate, Ravenna, 1880, pp 295-296)
(90) I. S. R. Ri., Inchiesta agraria Jacini, F. Masi, L'agricoltura nel circondario di Cesena, 1879, p. 196
(91) M d G , Della leva sui giovani nati nell'anno 1846 [-1860], cit
(92) Nello specchietto che segue sono posti a confronto, per la provincia di Forlì, i tassi di analfabetismo degli arruolati appartenenti alle classi di leva 1841-1845 (sono stati omessi i dati relativi alle classi di leva 1839-1840 perché privi di attendibilità) con quelli delle rispettive classi d'età al censimento del 1871
classe di leva % classe d’età % 1841 87, 17 30-31 73, 92 1842 82, 69 29-30 67, 24 1843 82, 51 28-29 73, 01 1844 80, 08 27-28 71, 02 1845 77, 00 26-27 71, 52
fonte: Torre, Relazione al Sig. Ministro della Guerra..., cit.; M. d. G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843 [-1845], cit ; DIRSTAT, Censimento 1871, cit , vol II, p 93
(93) I. S. R. Ri., Inchiesta agraria Jacini, vol. III, Massalombarda, p. 677. Singolarmente, l'estensore della monografia sul circondario lughese sembra sottovalutare l'importanza dei miglioramenti acquisiti dai giovani dal lato dell'istruzione: "i più tornano come sono andati colla sola differenza di saper leggere, se non lo sapevano prima" (ivi, Direzione del Comizio agrario di Lugo, Sulle condizioni agrarie del Circondario di Lugo, s d , p 94)
(94) Del Negro, op cit , pp 188-189
(95) Biffi, op. cit., p. 167.
(96) I. S. R. Ri., Inchiesta agraria Jacini, vol. I, Saludecio, p. 179. Per altri ancora poi, l'eventuale miglioramento morale acquisito dal coscritto durante il periodo della ferma svaniva rapidamente:
qualche tempo dopo il ritorno a casa egli si uniformava "alle abitudini ordinarie della famiglia" (ivi: Sant'Arcangelo, p. 190; vol. III, Bagnara, p. 475).
(97) Ivi: vol. I, Rimini, p. 33; Verucchio, p. 235; vol. II, Savignano, p. 369. Il sindaco di Conselice affermava al riguardo che "il ladrocinio, i furti, gli assassini, le invasioni ormai sono scomparsi, o pure si verificano in una proporzione molto minore di fronte a quella che si aveva prima dell'obbligatorietà del servizio militare" (ivi, vol. III, p. 625).
(98) Ivi: vol. II, Sogliano, p. 387; vol. I, Verucchio, p. 235.
(99) Ivi, Masi, op cit , p 196
(100) Ivi, F Ghini, Memoria sul Circondario di Cesena, 1880, p 212
(101) Biffi, op. cit., p. 167.
(102) Tra queste anche quelle "socialiste" (I. S. R. Ri., Inchiesta agraria Jacini, vol. II, Gambettola, p 258) Altri effetti negativi erano rappresentati dalla diffusione della prostituzione (Atti della Giunta..., cit., vol. II, fasc. II, p. 607: "il servizio militare, insegnando a valersi della corruzione cittadina, il vizio per contagio si diffonde nei campagnuoli"), dall'incremento dei furti campestri (ivi, p 365: "le maggiori esigenze dei reduci obbligano le famiglie a maggiori spese, e queste inducono all'indelicatezza, o più esattamente al furto, per parte dei giovani a danno della propria casa, per parte dei vecchi a danno dei padroni") e dall'abbandono delle campagne (ivi, vol II, fasc I, p. 247: "i giovani [...] si determinano qualche volta a cercar fortuna pel mondo, a ridursi nelle città e nei centri urbani").
(103) Ibidem. Veniva lamentato inoltre che il coscritto perdesse "l'amore alla famiglia" (ivi, vol. II, fasc II, p 325) Sugli effetti negativi del servizio militare sulla coesione della famiglia colonica non era concorde l'estensore di una delle due monografie sul circondario faentino, il quale affermava invece che i giovani contadini congedati "sono più assennati, giudizievoli e più atti a dare consiglio, a reggere un azienda, ed una famiglia agricola" (I S R Ri , Inchiesta agraria Jacini, Ghetti, op cit , pp. 94-95). Secondo Poni, l'insieme di tensioni innescate dal ritorno in famiglia del coscritto, minando l'autorità del capofamiglia e rendendo conflittuale il rapporto padre-figli, mette in crisi l'unità del nucleo famigliare ed è sostanzialmente all'origine, intrecciandosi con la modificazione del sistema ereditario e il mutamento dell'assetto agrario, della disgregazione della struttura tradizionale della famiglia contadina (Poni, La famiglia contadina e il podere in Emilia Romagna, cit., pp. 334-335).
(104) I S R Ri , Inchiesta agraria Jacini: vol I, Verucchio, p 235; vol II, Civitella, p 400; Montiano, p. 287; vol. III, Cotignola, p. 662.
(105) Ivi, Masi, op. cit., p. 195.
Appendici
Tabella I: Esiti di leva
Tabella II: Composizione dei contingenti di 1a e 2a categoria
Tabella III: Percentuale dei cancellati sugli inscritti nelle liste d'estrazione
Tabella IV: Percentuale dei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione e sulla somma dei contingenti
Tabella V: Percentuale dei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione (circondari delle Romagne e circondari emiliani degli ex ducati di Modena e Parma)
Tabella VI: Percentuale dei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione (aree regionali italiane)
Tabella VII: Mancanti alla partenza dei contingenti di 1a e 2a categoria
Tabella VIII: Percentuale dei volontari sulla somma deincontingenti di 1a e 2a categoria
Tabella IX: Presentazioni volontarie di renitenti
Tabella X: Arresti di renitenti
Tabella XI: Arresti di renitenti eseguiti dai carabinieri e dalle guardie di pubblica sicurezza
Tabella XII: Arresti di disertori eseguiti dai carabinieri e dalle guardie di pubblica sicurezza
Tabella XIII: Renitenti presentatisi volontariamente, arrestati, cancellati e latitanti al 30 agosto 1863
Tabella XIV: Renitenti latitanti ad alcune date significative
Tabella XV: Percentuale dei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione
Tabella XVI: Esiti della renitenza
Tabella XVII/a: Renitenti, volontari, liberati e surrogati classificati secondo il comune di residenza
Tabella XVII/b: Renitenti, volontari, liberati e surrogati classificati secondo la tipologia del comune di residenza
Tabella XVIII: Renitenti, volontari, liberati e surrogati classificati secondo la parrocchia di residenza
Tabella XIX: Renitenti, volontari, liberati e surrogati classificati secondo la categoria professionale
Tabella XX: Durata del periodo di latitanza dei renitenti
Tabella I: Esiti di leva
circondari della provincia di Forlì classi di leva 1839-1845
di Cesena
legenda:
ILE = inscritti nelle liste d'estrazione
CAN = cancellati dalle liste d'estrazione
RIF = riformati
ESE = esentati
RIV = rivedibili e mandati alla prima leva
CON = somma dei contingenti di 1a e 2a categoria
REN = renitenti
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., e M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843...[-1845], cit.
Tabella II: Composizione dei contingenti di 1a e 2a categoria
circondari della provincia di Forlì classi di leva 1839-1845
di leva
di 1a categoria
di Forlì
legenda:
SNU = scambi di numero
LIB = liberati
SFR = surrogati di fratello
SOR = surrogati ordinari
VGS = arruolati volontari già al servizio
AIM = allievi negli istituti militari
AED = alunni ecclesiastici dispensati
RAS = renitenti assentati
di 2a categoria
AMM = ammogliati
IAS = inscritti assentati
CO1 = contingente di 1a categoria
VFE = arruolati volontari con ferma eccezionale
RAA = renitenti assolti assentati
CO2 = contingente di 2a categoria
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., e M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843...[-1845], cit.
Tabella III: Percentuale dei cancellati sugli inscritti nelle liste d'estrazione
circondari della provincia di Forlì classi di leva 1839-1845 classi di leva
di Cesena
di Forlì
circondario di Rimini
provincia di Forlì
legenda:
ILE = inscritti nelle liste d'estrazione CAN = cancellati dalle liste d'estrazione
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., e M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843...[-1845], cit.
Tabella IV: Percentuale dei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione e sulla somma dei contingenti
circondari della provincia di Forlì classi di leva 1839-1845
Cesena
di Forlì
circondario di Rimini
legenda:
provincia di Forlì
ILE = inscritti nelle liste d'estrazione
CON = somma dei contingenti di 1a e 2a categoria
REN = renitenti
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., e M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843...[-1845], cit
Tabella V: Percentuale dei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione
circondari delle Romagne e circondari emiliani degli ex ducati di Modena e Parma classi di leva 1839-45
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., e M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843...[-1845], cit.
Tabella VI: Percentuale dei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione
aree regionali italiane classi di leva 1839-45
legenda: le regioni "educate" alla coscrizione sono il Piemonte, la Liguria, la Sardegna, la Lombardia, gli ex ducati di Modena e Parma, la Toscana e le provincie napoletane; quelle "non educate" sono le Romagne, le Marche, l'Umbria e la Sicilia
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., e M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843...[-1845], cit.
Tabella VII: Mancanti alla partenza dei contingenti di 1a e 2a categoria
circondari della provincia di Forlì classi di leva 1839-41
classi di leva
circondario di Cesena
circondario di Forlì
di Rimini
di Forlì
legenda:
CON = somma dei contingenti di 1a e 2a categoria (esclusi i liberati, gli arruolati volontari già al servizio, gli allievi negli istituti militari, gli arruolati volontari con ferma eccezionale, gli alunni ecclesiastici dispensati, gli ammogliati)
MAN = mancanti
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit.
Tabella VIII: Percentuale dei volontari sulla somma dei contingenti di 1a e 2a categoria
circondari della provincia di Forlì e Italia
classi di leva 1839-1845
legenda:
CON = somma dei contingenti di 1a e 2a categoria
VOL= volontari (nei volontari sono compresi gli arruolati volontari già al servizio, gli allievi negli istituti militari e gli arruolati volontari con ferma eccezionale)
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., e M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1843...[-1845], cit.
Tabella IX: Presentazioni volontarie di renitenti
circondari di Cesena e Rimini
classi di leva 1839-41
anni 1860-67
legenda:
CES = Cesena
RIM = Rimini
TOT = totale
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Tabella X: Arresti di renitenti
circondari di Cesena e Rimini
classi di leva 1839-41 anni 1860-67
legenda:
CES = Cesena
RIM = Rimini
TOT = totale
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Tabella XI: Arresti di renitenti eseguiti dai carabinieri e dalle guardie di pubblica sicurezza
provincia di Forlì anni 1860-63
legenda:
RC = carabinieri
PS = guardie di pubblica sicurezza TOT = totale
fonte: elaborazione da Monografia statistica..., cit., vol. III, pp. 134-135, 138-139
Tabella XII: Arresti di disertori eseguiti dai carabinieri e dalle guardie di pubblica sicurezza
provincia di Forlì anni 1860-63
legenda:
RC = carabinieri
PS = guardie di pubblica sicurezza
TOT = totale
fonte: elaborazione da Monografia statistica..., cit., vol. III, pp. 134-135, 138-139
Tabella XIII: Renitenti presentatisi volontariamente, arrestati, cancellati e latitanti al 30 agosto 1863
mandamenti della provincia di Forlì classi di leva 1839-42
legenda:
REN = renitenti
PRV = renitenti presentatisi volontariamente
ARR = renitenti arrestati
CAN = renitenti cancellati
LAT = renitenti latitanti
fonte: elaborazione da A.S.Fo., Gabinetto riservato, Stato numerico dei Renitenti alla Leva..., cit.
Tabella XIV: Renitenti latitanti ad alcune date significative
circondari della provincia di Forlì classi di leva 1839-45
circondari REN
al 30.04.1864
al 30.09.1871
al 30.09.1874 1839
Cesena 122 25 20,49 19 15,57 11 9,02 0 0,00 Forlì 137 40 29,20 30 21,90 22 16,06 0 0,00 Rimini 119 69 57,98 57 47,90 26 21,85 0 0,00 1840
Cesena 87 26 29,89 17 19,54 6 6,90 0 0,00 Forlì 143 27 18,88 17 11,89 11 7,69 0 0,00 Rimini 184 100 54,35 75 40,76 26 14,13 0 0,00 1841
Cesena 27 14 51,85 7 25,93 4 14,81 3 11,11
170 84 49,41 91 53,53 55 32,35 51 30,00
118 84 71,19 61 51,69 16 13,56 16 13,56 1842
Cesena 74 39 52,70 22 29,73 6 8,11 5 6,76 Forlì 51 23 45,10 16 31,37 2 3,92 3 5,88
1843
1844
1845
Cesena 23 10 43,48 9 39,13
Forlì 9 7 77,78 6 66,67 Rimini 51 18 35,29 17 33,33 1839-42
Cesena 310 104 33,55
Forlì 501 174 34,73 Rimini 556 357 64,21 totale 1367 635 46,45 1839-44
Cesena 330 83 25,15
Forlì 518 167 32,24 Rimini 809 453 56,00 totale 1657 703 42,43 1839-45
Cesena 353 46 13,03 25 7,08 Forlì 527 98 18,60 61 11,57 Rimini 860 223 25,93 164 19,07
legenda:
REN = renitenti
LAT = latitanti
fonte: elaborazione da Torre, Relazione al Signor Ministro della Guerra..., cit., M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1849...[-1854], cit., e Monografia statistica..., cit., vol. III, p. 76
Tabella XV: Percentualedei renitenti sugli inscritti nelle liste d'estrazione
circondari della provincia di Forlì e Italia
classi di leva 1846-60
classi di leva Cesena Forlì Rimini Italia 1846 1,37 0,84 9,17 4,23 1847 0,23 0,14 2,59 4,30 1848 0,59 2,85 4,06 1849 0,13 0,67 4,20 1850 0,13 0,93 4,19 1851 0,11 0,39 3,85 1852 0,24 3,72 1853 0,87 3,86 1854 0,18 1,27 3,95 1855 0,13 0,30 1,34 3,50 1856 1,62 3,32 1857 0,24 0,13 0,78 3,21 1858 0,14 0,62 3,36 1859 0,22 0,13 0,31 3,28 1860 0,75 0,15 1,01 3,23 1846-60 0,26 0,15 1,74 3,73
fonte: elaborazione da M.d.G., Della leva sui giovani nati nell'anno 1846...[-1860], cit.
Tabella XVI: Esiti della renitenza
circondari della provincia di Forlì classi di leva 1839-41
dichiarati renitenti dopo la chiusura della propria leva
legenda:
CES = Cesena
RIM = Rimini
FOR = Forlì
TOT = totale
REN = renitenti
REE = renitenti effettivi (compresi coloro che furono dichiarati due volte renitenti e coloro che furono dichiarati renitenti dopo la chiusura della propria leva)
REV = renitenti visitati
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Tabella XVII/a: Renitenti, volontari, liberati e surrogati classificati secondo il comune di residenza
percentuale sugli iscritti reali comuni della provincia di Forlì classi di leva 1839-41
Fiorito R/C 56 15 26,79 1 1,79 Monte Gridolfo R/C 27 9 33,33
Scudo R/C 65 5 7,69 1 1,54 Morciano R/P 32 5 15,63 3 9,38
Poggio Berni R/C 36 3 8,33
521
R/C 105 45 42,86 San Clemente R/C 58 8 13,79 1 1,72 San Giovanni M. U/P 91 22 24,18 3 3,30 1 1,10
U/P 166 20 12,05 8 4,82 5 3,01 Scorticata R/C 19 4 21,05 Verucchio R/C 59 24 40,68 1 1,69
circondario di Rimini
legenda:
R = comune rurale
U = comune urbanizzato
P = comune di pianura
C = comune di collina
ISR = iscritti reali
REE = renitenti effettivi
VOL = volontari
L+S = liberati e surrogati ordinari
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Tabella XVII/b: Renitenti,volontari, liberati e surrogati classificati secondo la tipologia del comune di residenza
percentuale sugli iscritti reali provincia di Forlì classi di leva 1839-41
L+S comuni di collina 10,38 0,35 1,21 comuni di pianura 9,23 3,46 1,33 comuni rurali 9,47 0,68 0,95 comuni urbanizzati 9,73 3,73 1,55 circondario di Cesena 9,62 2,40 1,29 comuni di collina 15,07 1,37 1,52 comuni di pianura 27,99 1,32 0,77 comuni rurali 15,95 0,82 0,82 comuni urbanizzati 25,58 1,58 1,20 circondario di Forlì 22,58 1,34 1,08 comuni di collina 27,74 0,89 0,74 comuni di pianura 20,43 4,11 2,40 comuni rurali 26,68 0,78 1,04 comuni urbanizzati 20,57 4,63 2,31 circondario di Rimini 23,61 2,71 1,68 comuni di collina 18,12 0,89 1,15 comuni di pianura 18,46 2,99 1,48 comuni rurali 17,57 0,75 0,95 comuni urbanizzati 18,99 3,15 1,63 provincia di Forlì 18,33 2,16 1,35
legenda:
REE = renitenti effettivi
VOL = volontari
L+S = liberati e surrogati ordinari
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Tabella XVIII: Renitenti, volontari, liberati e surrogati classificati secondo la parrocchia di residenza
percentuale sugli iscritti reali comuni di Cesena, Forlì e Rimini classi di leva 1839-41
legenda:
ISR = iscritti reali
REE = renitenti effettivi
VOL = volontari
L+S = liberati e surrogati ordinari
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Tabella XIX: Renitenti, volontari, liberati e surrogati classificati secondo la categoria professionale
percentuale sugli iscritti reali provincia di Forlì classi di leva 1839-41
legenda:
ISR = iscritti reali
REE = renitenti effettivi
VOL = volontari
L+S = liberati e surrogati ordinari
I.1 = agricoltore possidente, colono possidente, contadino possidente, contadino mezzaiolo possidente, fattore, mezzadro possidente, possidente di campagna, villico possidente
I.2 = affittuario, agricoltore, agricolo, agricoltore mezzaiolo, campagnolo, colono, colono a mezzadria, colono mezzaiolo, contadino, contadino mezzaiolo, mezzadro, ortolano, pigionante, vignaiolo, villico
I.3 = bracciante, canapino, casante, domestico agricoltore, domestico colono, famiglio, garzone agricoltore, garzone bracciante, garzone di colono, garzone coltivatore, garzone contadino, garzone di campagna, garzone fuori di casa, giardiniere, giornaliero, servitore agricoltore, servo agricolo, servitore bracciante, servitore colono, bracciante nullatenente, servitore di campagna, vallerino, pastore, pecoraio
II = marinaio, navigante, pescatore
III.1 = fornaciaio, gessaiolo, muratore, minatore, pietraio, pittore, scalpellino, selcino, zolfataro
III.2 = armaiolo, fabbro, fabbro ferraio, magnano, meccanico, ottonaio, ramaio, stagnino
III.3 = calafato, carrozzaio, ebanista, falegname, legnaiolo, perticaiolo, segantino
III.4 = calegaro, calzolaio, conciapelli, sellaio
III.5 = cappellaio, cordaro, sarto, sartore, pianetaro, tessitore
III.6 = argentiere, artigiano, barbiere, broccaro, carbonaro, fabbricatore d'amido, indoratore, legatore di libri, orefice, orologiaio, pentolaro, spazzolaro, stampatore, stracciaio, tappezziere, teggiaio, tintore, vasaio, verniciatore, vetraio
IV = crivellino, granatino, setacciaro, valatore, molinaro, mugnaio, mugnaio possidente, fornaro, pristinaio, pastarolo, beccaro, macellaro, beccaio possidente, macellaio possidente, erbaiolo, pescivendolo, pizzicagnolo, bettoliere, caffettiere, caffettiere possidente, cantiniere, cuoco, oste, oste possidente, locandiere, assistente di appaltatore, bottegaio, bottegaio possidente, libbraio, mercante, merciaio, negoziante, negoziante di granaglie, negoziante in bovini, negoziante possidente, sensale, sensale di bestiame, trafficante, possidente trafficante
V = barocciaio, carrettiere, cocchiere, postiglione, stalliere, garzone stalliere, vetturale, vetturino, vetturale possidente
VI = domestico, facchino, garzone, garzone farmacista, operaio, ordinanza, servitore, servo, servente, cameriere di locanda, giovane di negozio, magazziniere, sagrestano, donzello comunale, inserviente comunale, guardiano, portiere della giunta municipale, secondino carcerario, tamburo della guardia nazionale
VII.1 = artista, comico, filarmonico, musicante di banda, suonatore, allievo geometra, studente, studente di filosofia, studente di legge, studente di matematica, studente filarmonico, studente farmacista, studente in chirurgia, studente in medicina, studente possidente
VII.2 = amanuense, appuratore, calligrafo, finanziere, maestro elementare, impiegato, impiegato civico nel catasto, impiegato civico nel registro, impiegato nel dazio consumo, impiegato nel genio, impiegato possidente, impiegato postale, impiegato privato, impiegato telegrafista, scrivano, scrittore, scritturale comunale, vice console marittimo
VII.3 = dottore in legge, farmacista, farmacista possidente, flebotomo, maniscalco, veterinario
VIII = possidente, nobile possidente, renditiere possidente
IX = alunno ecclesiastico, alunno ecclesiastico possidente, chierico, chierico beneficiato, chierico ecclesiastico, chierico possidente, chierico tonsurato, ecclesiastico, frate cappuccino, frate laico, gesuita, laico cappuccino, professo nei minori osservanti, religioso
X = discolo, giornaliero mendicante, girovago, industriante, ospite nell'orfanotrofio, senza mestiere, vagabondo
XI = milite, milite volontario, soldato, soldato volontario, volontario, sergente nei bersaglieri, sottotenente, ufficiale nell'armata, carabiniere pontificio, milite pontificio, soldato pontificio
X = professione ignota
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Tabella XX: Durata del periodo di latitanza dei renitenti
circondari di Cesena e Rimini
classi di leva 1839-41
mesi REN %
0- 3 20 4,91
4- 6 7 1,72
7-12 76 18,67
13-18 31 7,62
19-24 23 5,65
25-30 19 4,67
31-36 21 5,16
37-48 44 10,81
49-60 15 3,69
61-72 12 2,95
73-84 21 5,16
85-96 29 7,13 + 97 89 21,87
totale 407
legenda: REN = renitenti
fonte: elaborazione da A.S.Bo.: Ufficio Circondariale di Leva di Cesena, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, cit.; Ufficio Circondariale di Leva di Rimini, cit.
Bibliografia
1. Fonti inedite
Archivio Centrale dello Stato di Roma:
- Archivi parlamentari, Inchieste parlamentari, Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola (si veda Archivio dell'Istituto Storico per la Resistenza di Rimini, che conserva le riproduzioni in fotocopia)
Archivio dell'Istituto Storico della Resistenza di Rimini:
- Inchiesta agraria Jacini, questionari, voll. 3
- Inchiesta agraria Jacini, monografie:
Direzione del Comizio agrario di Lugo, Sulle condizioni agrarie del Circondario di Lugo, s. d.
Ghetti D., Monografia sulle condizioni dell'agricoltura e della classe agricola del Circondario di Faenza, 1879
Ghini F. Memoria sul Circondario di Cesena, 1880
Masi F., L'agricoltura nel Circondario di Cesena, 1879
Archivio di Stato di Bologna:
- Ufficio Circondariale di Leva di Cesena: Liste di leva, Liste d'estrazione, Registri sommari delle decisioni del Consiglio di Leva, classi di leva 1839-1841
- Ufficio Circondariale di Leva di Forlì, Liste di leva, classi di leva 1839-1841
- Ufficio Circondariale di Leva di Rimini: Liste di leva, Liste d'estrazione, Registri sommari delle decisioni del Consiglio di Leva, classi di leva 1839-1841
-Prefettura, Gabinetto riservato, 1861
- Tribunale militare di Forlì, bb. 7 (430), 8 (484), 112 (7787, 7788, 7790)
Archivio di Stato di Forlì:
- Prefettura, tit. XVII, 1860-1866
- Prefettura, Gabinetto riservato, 1860-1866
- Tribunale penale, 1860-1863
Archivio di Stato di Forlì, Sezione di Rimini:
- Carteggio dell'Ufficio Leva, classi di leva 1839-1845
Archivio di Stato di Forlì, Sezione di Cesena:
- Carteggio amministrativo, tit. XVIII, 1860-1866
Archivio segreto vaticano:
- Segreteria di Stato, rubr. 165, fascc, 62, 82
- Sacra congregatio Concilii, Relationes: b. 163 C, Relazione sullo stato della diocesi di Cesena, Cesena, 27 settembre 1865; b. 343 C, Relatio status dioecesis foroliviensis, Forlì, 5 dicembre 1863
Archivio del Capitolo della Cattedrale di Cesena:
- Sassi G., Documenti, ms. XIX sec., 2 voll.
Biblioteca comunale Malatestiana di Cesena:
- Sassi G., [Cronaca intitolata] Selva di memorie e di fatti riguardanti la città di Cesena [dalle origini all'agosto 1880], ms. XIX sec., 11 voll., voll. VIII e IX
Biblioteca comunale Saffi di Forlì
- Calletti G., Storia della città di Forlì [dalle origini all'anno 1862], ms. XIX secolo, 5 voll., vol. V
- Guarini F., Diario forlivese [1863-1920], ms. XIX-XX secolo, 16 voll., vol. I
2. Fonti edite
Arbib E., L'ordinamento dell'esercito e la leva del 1869, in "Nuova antologia", a. XXVI (1891), fasc. V
Archieri G., Trenta situazioni di famiglia spiegate al popolo per conoscere i diritti alla esenzione dal militare servizio spettanti alli giovani concorrenti alla Leva, Pavia, 1865
Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma, 1881, vol, II
Biffi L., Memoria intorno alle condizioni dell'agricoltura e della classe agricola nel Circondario di Faenza, Faenza, 1880
Comizio agrario di Ravenna (relatore Barberi G. ), Delle condizioni economico-rurali del Circondario Ravennate, Ravenna, 1880
Cortese F., Malattie e imperfezioni che incagliano la coscrizione militare nel Regno d'Italia. Mezzi e provvedimenti atti a prevenirle, Milano, 1866
Direzione della Statistica Generale del Regno, Popolazione. Censimento Generale (31 dicembre 1861), Firenze, 1866
Direzione della Statistica Generale del Regno, Popolazione. Censimento Generale (31 dicembre 1871), Roma, 1876
L'Eco, a. I: n. 17, 23 febbraio 1861; n. 19, 26 febbraio 1861; n. 35, 16 marzo 1861; n. 74, 3 maggio 1861; n. 172, 1 settembre 1861; n. 191, 24 settembre 1861; n. 217, 25 ottobre 1861; n. 219, 28 ottobre 1861; n. 228, 8 novembre 1861; n. 251, 5 dicembre 1861; n. 257, 12 dicembre 1861; n. 262, 18 dicembre 1861
Franchini E., La scelta del soldato. Considerazioni e proposte sulla coscrizione militare in Italia, Pisa, 1869
Legge e Regolamento sul Reclutamento dell'Esercito e disposizioni di attuamento, Torino, 1855
Magri P. - G. B. Negro, Manuale del sindaco per l'esecuzione della Legge sulla Leva Militare, Bologna, 1861
Mazzini G., Lettera a Gerolamo Gusella, Lugano, 8 dicembre 1867, in Scritti editi e inediti, Imola, 1906-1943, vol. LXXXV
Mazzini G., Lettera ad Adriano Lemmi, Londra, 19 agosto 1868, in Scritti editi e inediti, Imola, 1906-1943, vol. LXXXVII
Ministero della Guerra, Della leva sui giovani nati nel 1843 [-1860] e delle vicende dell'esercito dal 1 ottobre 1863 [-1880] al 30 settembre 1864 [-1881]. Relazione del Maggior Generale Federico Torre al Signor Ministro della Guerra, Torino, 1865 [Firenze, 1866-71; Roma, 1872-82]
Ministero di Agricoltura, Industriae Commercio, Statistica industriale. Notizie sulle condizioni
industriali della Provincia di Forlì, Roma, 1900, 2a ed.
Monografia statistica, economica, amminitrativa della Provincia di Forlì, a cura del Prefetto Giuseppe Campi, Forlì, 1866-67, voll. 3
Pagnati P., Prontuario contenente le istruzioni per le operazioni della leva militare, Alba, 1860
Porro C. F., Dei doveri e dei diritti d'ogni giovane cittadino dei loro parenti o tutori verso la leva militare, Cuneo, 1863
Relazione rassegnata dal ministro della guerra Della Rovere al re per l'approvazione del Regio Decreto del 15 dicembre 1861, n. 367, in Collezione Celerifera, 1861, t. II, pp. 2046-2047
Rosetti E., La Romagna. Geografia e storia, Milano, 1894
Stefanoni Simonetti, La leva nelle Romagne. Brevi considerazioni alle famiglie dei coscritti, s. l., s. d. [ma 1860]
Tomellini L., Delle malattie più frequentemente simulate o provocate dagli inscritti. Memoria, Roma, 1875
Tonini L., Cronaca riminese (1843-1874), a cura di C. Curradi, Rimini, 1979
Torre F., Relazione al Signor Ministro della Guerra sulle leve eseguite in Italia dalle annessioni delle varie Provincie al 30 settembre 1863, Torino, 1864
Torre F., Sunto della relazione sulle leve eseguite in Italia dall'annessione delle varie Provincie al 30 settembre 1863, Torino, 1864
Torre F., La legge del 20 marzo 1854 sul reclutamento dell'esercito ridotta colle successive modificazioni all'unica lezione ora vigente, Firenze, 1871
Trovanelli N., Storia di Cesena. 1a lezione, in "Il Cittadino", a. XV, n. 14, 5 aprile 1903, pp. 2-3
Villa G. B., Poesie dialettali (1874-1919), a cura di G. Quondamatteo, Bologna, 1971
La Voce del popolo, a. II: n. 247, 23 ottobre 1861; n. 290, 10 dicembre 1861; n. 294, 14 dicembre 1861; a. III, n. 22, 19 marzo 1862
Zanolini A., Leva militare, in "La Favilla", a. I, n. 2, 18 febbraio 1860, pp. 15-16
3. Studi
Aron J-P. - Dumont P. - Le Roy Ladurie E., Anthropologie du conscrit français, Paris-La Haye, 1972
Antonielli L., I prefetti dell'Italia napoleonica, Bologna, 1983
Atlante per il dipartimento del Rubicone, numero monografico di "Romagna arte e storia", a. II (1982), n. 6
Barile L., Editoria fine secolo, in "Nuova antologia", a. CXVI (1981), vol. 547, fasc. 2140, pp. 176207
Battaglia R., Esercito e unità nazionale, in Problemi dell'unità d'Italia. Atti del secondo convegno di studi gramsciani, Roma, 1962
Bozon M., Les conscrits, Paris, 1981
Buseghin M. L. - Corelli W., Ipotesi per l'interpretazione del banditismo in Umbria nel primo decennio dell'Unità, in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi", a. II (1980), n. 2, pp. 265-279
Cammelli S., Prima del macinato. Proteste contadine nel bolognese nel primo decennio unitario, in "Società e storia", a. IV (1981), n. 11, pp. 67-93
Cammelli S., Al suono delle campane. Indagine su una rivolta contadina: i moti del macinato (1869), Milano, 1984
Caracciolo A., L'Inchiesta agraria Jacini, Torino, 1973
Cazzola F., La formazione di una popolazione marginale in agricoltura: alcune ipotesi di lavoro, in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi", a. II (1980), n. 2, pp. 79-86
Cesena e la Romagna nel Risorgimento (1831-1870), Faenza, 1960
Ceva L., Le forze armate, Torino, 1981
Clemente P. - Dei F. - De Simonis P. - Gri G. P., Studi e documenti demologici sul militare: un approccio bibliografico, in "Movimento operaio e socialista", n. s., a. IX (1986), n. 1, pp. 59-87
Dean M., Aspetti della condizione contadina nel Montefeltro alla fine dell'Ottocento attraverso i documenti del Tribunale di Urbino, in "Annali dell'Istituto Alcide Cervi", a. II (1980), n. 2, pp. 349369
Dean M., Popolazione e territorio: la criminalità in un'area mezzadrile. Suggestioni e limiti delle fonti, in "Quaderni storici", a. XVI (1981), n. 46, pp. 225-235
Del Negro P., La leva militare in Italia dall'unità alla grande guerra, in Esercito, stato, società. Saggi di storia militare, Bologna, 1979, pp. 167-267
Farolfi B., Dall'antropometria militare alla storia del corpo, in "Quaderni storici", a. XIV (1979), n. 42, pp. 1056-1091
Farolfi B., Una critica antropometrica dell'industrialismo: i riformati alla leva di Bologna (18621866), Bologna, 1979
Farolfi B., L'antropologia negativa degli italiani: i riformati alla leva dal 1862 al 1886, in Salute e classi lavoratrici in Italia dall'unità al fascismo, a cura di M. L. Betri e A. Gigli Marchetti, Milano, 1982, pp. 165-197
Farolfi B., Antropometria militare e antropologia della devianza, in Malattia e medicina, Storia d'Italia "Einaudi", Annali 7, Torino, 1984, pp. 1179-1219
Foschi U., Par mod d'un di. Modi di dire romagnoli, Ravenna, 1975
Gooch J., Soldati e borghesi nell'Europa moderna, Bari, 1982
Hobsbawm E. J., I ribelli, Torino, 1966
Hobsbawm E. J., I banditi, Torino, 1971
L'indagine sociale nell'unificazione italiana, numero monografico di "Quaderni storici", a. XV (1980), n. 45
Le Roy Ladurie E., Études sur un contingent militaire (1868): mobilité géographique, délinquance et stature, mises en rapport avec d'autres aspects de la situation des conscrits, in Le territoire de l'historien, vol. I, Paris, 1973, pp. 88-115
Le Roy Ladurie E., Anthropologie de la jeunesse masculine en France au niveau d'une cartographie cantonale (1819-1830), in Le territoire de l'historien, cit., vol. II, pp. 98-135
Le Roy Ladurie E. - Bernageau N. - Pasquet Y., Le conscrit et l'ordinateur. Perspectives de recherche sur les archives militaires du XIXe siècle français, in "Studi Storici", a. X (1969), n. 2, pp. 260-308
Le Roy Ladurie E. - Zysberg A., Anthropologie des conscrits français (1868-1887), in "Ethnologie Française", a. IX (1979), n. 1, pp. 47-68
Macry P., Introduzione alla storia moderna e contemporanea, Bologna, 1980
Mambelli A., La popolazione romagnola dall'età romana all'unità d'Italia. Note storiche-statisticheeconomiche-sociali, Forlì, 1964
Mazzetti M., Dagli eserciti preunitari all'esercito italiano, in "Rassegna storica del Risorgimento", a. LXII (1975), n. 4, pp. 563-592
Mazzonis F., L'esercito italiano al tempo di Garibaldi, in Garibaldi condottiero. Storia, teoria, prassi, Milano, 1984, pp. 187-251
Monticone A., La storiografia militare italiana e i suoi problemi (1866-1918), in Ministero della Difesa, Atti del primo convegno nazionale di storia militare (Roma, 17-19 marzo 1969), Roma,
1969, pp. 99-122
Oliva G., La coscrizione obbligatoria nell'Italia unita tra consenso e rifiuto, in "Movimento operaio e socialista", n. s., a. IX (1986), n. 1, pp. 21-34
Oliva G., Esercito, paese e movimento operaio. L'antimilitarismo dal 1861 all'età giolittiana, Milano, 1986
Pieri P., Guerra e politica negli scrittori italiani, Napoli, 1955
Pieri P., Le forze armate nell'età della Destra, Milano, 1962
Pieri P., Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino, 1962
Pischedda C., L'esercito Piemontese: aspetti politici e sociali, in Problemi dell'unificazione italiana, Modena, 1963, pp. 7-101
Poni C., La famiglia e il podere, in Strutture rurali e vita contadina, Milano, 1977, pp. 99-119 (ripubblicato in una nuova versione e con il titolo La famiglia contadina e il podere in Emilia Romagna, in Fossi e cavedagne benedicon le campagne. Studi di storia rurale, Bologna, 1982, pp. 283-356)
Poni C. - Fronzoni S., L'economia di sussistenza della famiglia contadina, in Mestieri della terra e delle acque, Milano, 1979, pp. 11-41
Protoindustria, numero monografico di "Quaderni storici" a. XVIII (1983), n. 52
Proverbi romagnoli, a cura di U. Foschi, Rimini, 1980
Questa Romagna. Storia, costumi e tradizioni, a cura di A. Emiliani, Bologna, 1963
Quondamatteo G. - Bellosi G., Cento anni di poesia dialettale romagnola, Imola, 1976, voll. 2
Romagna. Civiltà, Imola, 1977, voll. 2
Rochat G. - Massobrio G., Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino, 1978
Sori E., Crisi economica e crisi sociale: economia politica del crimine nella prima metà degli anni Ottanta, in Nelle Marche Centrali. Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento: l'area esino-misena, a cura di S. Anselmi, Jesi, 1979, t. 2, pp. 1641-1730
Sozzi S., Da Quarto all'Aspromonte (Cesena 1860-1862), Faenza, 1961
Sozzi S., Democratici e liberali a Cesena (1863-1866), Santa Sofia, 1965
Sozzi S., Gli inizi del movimento socialista a Cesena (1866-1870), Forlì, 1969
Sozzi S., Breve storia della città di Cesena, Cesena, 1972
Tonelli V., Sarsina napoleonica, Imola, 1980
Tonelli V., Medicina popolare romagnola. Testimonianze della Valle del Savio, Imola, 1981
Turci M., I riti di passaggio riferiti al ciclo della vita (nascita-matrimonio-morte) nella realtà culturale romagnola, in "Studi romagnoli", vol. XXXIII (1982), pp. 367-382
Uguccioni R. P., Contro l'esercito di Vittorio Emanuele. Resistenze al nuovo regime e renitenza alla leva dopo l'unità, Marginalità, spontaneismo, organizzazione, 1860-1968. Uomini e lotte nel Pesarese, a cura di P. Sorcinelli, Pesaro, 1982, pp. 11-23
Varni A., Gli anni di Napoleone, in Storia di Cesena, Rimini, 1987, vol. IV, t. 1, pp. 5-118
Villa R., Sullo studio storico della devianza: note su alcuni aspetti storiografici e metodologici in "Società e storia", a. III (1981), n. 13, pp. 639-670
Villani P., La storia sociale: problemi e prospettive di ricerca, in Società e cultura dell'Italia unità, a cura di P. Macry e A. Palermo, Napoli, 1978, pp. 69-87
Whittam G., Storia dell'esercito italiano, Milano, 1979
Zaghi C., L'Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, in Storia d'Italia, Torino, 1986, vol. XVIII, t. I, pp. 539-563
Zanni Rosiello I., Gli Archivi di Stato: una forma di sapere "segreto" o pubblico?, in "Quaderni storici", a. XVI (1981), n. 47, pp. 624-638