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4. Gli anni della rassegnazione

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Bibliografia

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4. Gli anni della rassegnazione

A partire dalla leva indetta nell'autunno del 1863 incominciò a prodursi, quantomeno a giudicare dai rapporti inviati dalle diverse autorità periferiche al prefetto, un progressivo miglioramento nel comportamento dei coscritti. La chiamata della classe 1843 sembrò infatti caratterizzata, in diverse situazioni locali, da un clima che testimoniava una maggiore disponibilità ad ottemperare all'obbligo militare. A differenza di quanto era accaduto nelle leve precedenti, non solo i giovani si presentarono "quasi tutti" all'estrazione, ma essi si dimostrarono anche "pieni d'entusiasmo", "volenterosi a partire" e "conscj che da quell'urna sorte la civiltà, l'indipendenza e l'unità della nazione" (143). In alcuni comuni il sorteggio si svolse addirittura in un una cornice di festa e di grande partecipazione collettiva. A Saludecio, ad esempio,

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il paese era tutto in festa, le bandiere nazionali sventolavano dal Palazzo Municipale; la banda cittadina rallegrava de' suoi concerti l'operazione [...], ed infondeva nell'animo degli inscritti allegria e spirito marziale (144).

Il "numeroso e spontaneo concorso" dei giovani all'estrazione provava, secondo il prefetto Campi, che nella provincia "l'avversione al servizio militare [era] grandemente scemata se non intieramente dileguata" (145). Analogamente il sottoprefetto di Rimini scriveva che il positivo andamento dalle operazioni di leva lasciava

arguire d'un miglioramento nei sentimenti delle popolazioni campagnole, vedendosi in esse una maggiore disposizione all'osservanza della Legge, e lo sviluppo di un sentimento patrio, quale non si verificava in addietro (146).

I progressi registrati sul versante del reclutamento si accompagnavano, del resto, ad un più generale "miglioramento dello spirito pubblico". Nonostante l'influenza del clero fosse ancora notevole in alcuni comuni rurali, ormai anche nella "parte più rozza e più ignorante" della popolazione si andavano "sempre più generalizzando l'affetto al Re ed alle Patrie Istituzioni" e il "favore per l'attuale politico ordinamento" (147). Questo maggiore consenso che circondava la classe politica nazionale aveva impedito che il "persistente lavorio dei preti" per boicottare la coscrizione conseguisse gli stessi successi riportati in passato:

Se le perfide e latenti insinuazioni non saranno mancate per parte del partito clericale onde dissuadere i Coscritti dal presentarsi alla visita pella leva, sembra abbiano naufragato contro lo scoglio del buon senso che ogni dì più va formandosi nelle masse anche campestri (148).

A conferma di questo clima mutato il tasso provinciale di renitenza, proseguendo la sua graduale caduta, scese in questa leva sotto la soglia del 10% (7, 53%). La riduzione del numero dei renitenti non fu tuttavia generalizzata in tutta la provincia. Mentre nei circondari di Cesena e Forlì si verificò un sensibile calo dei valori percentuali, passati rispettivamente dall'8, 47% all'1, 31% e dal 7, 09% al 1, 92%, nella circoscrizione di Rimini la quota di renitenti rimase quasi inalterata e ancor assai elevata (17, 12%). Dalla leva del 1863 emerge pertanto un quadro estremamente contraddittorio, all'interno del quale le differenze già esistenti all'interno del territorio provinciale risultano ulteriormente accentuate. Da un lato, Cesena e Forlì, con una percentuale attorno all'1%, eguagliano i bassissimi livelli di renitenza propri dei circondari piemontesi o lombardi. Dall'altro, Rimini, con un tasso pari a tre volte la media nazionale (scesa in questa leva al 5, 80%), continua a collocarsi tra i circondari del regno che denunciano il maggior numero di renitenti (149). Se nel 36

cesenate e nel forlivese la chiamata della classe 1843 segna quindi la conclusione della parabola della renitenza post-unitaria, la riduzione del numero dei refrattari nel riminese appare invece caratterizzata da una vischiosità assai maggiore, di cui è tuttavia difficile indicare le cause. Probabilmente l'impunità di cui godettero a lungo i renitenti di questo circondario rappresentò un notevole incentivo alla renitenza (150). La permanenza di un così alto numero di renitenti nel riminese smentisce, almeno in parte, i toni trionfalistici sul miglioramento delle disposizione dei coscritti che i funzionari periferici avevano usato in occasione del sorteggio. Lo stesso prefetto fu costretto ad ammettere che allo "splendido risultato" conseguito dalla leva della classe 1843 non aveva contribuito il circondario di Rimini (151). Anche nella leva successiva, sui nati nel 1844, i rapporti inviati al prefetto sono concordi nel segnalare "la spontaneità e l'allegria" con cui i giovani si erano presentati ad estrarre il proprio numero. I funzionari periferici assicuravano che "tolte pochissime eccezioni ebbe a ritrovarsi nell'inscritti eccellenti disposizioni per la Leva" e che dal loro "contegno, e linguaggio si può pronosticare che di questa leva non si verificheranno renitenti" (152). La renitenza, ormai limitata a pochissimi casi nel cesenate e nel forlivese, registrò una riduzione significativa anche nel circondario di Rimini: il tasso del riminese passò infatti dal 17, 12% al 12, 43%. A partire da questa leva la percentuale di renitenti della provincia (4, 69%) scese stabilmente al di sotto della media nazionale (4, 79%) (153). A questa diminuita incidenza della renitenza fece riscontro anche una contrazione della quota di coscritti latitanti. La percentuale di renitenti alla macchia che nell'agosto del 1863 sfiorava il 60% scese nell'aprile dell'anno successivo al 46, 45% (154). Questa riduzione, come confermano le poche presentazioni volontarie che si verificarono nel biennio, era stata resa possibile da una maggiore efficacia della repressione rispetto al passato. L'impiego di informatori, la concessione di premi agli agenti della forza pubblica e l'esecuzione, di concerto con le autorità delle confinanti provincie di Pesaro e Firenze, di alcuni capillari rastrellamenti nelle zone di rifugio dei latitanti consentirono di incrementare il numero degli arresti (155). L'impossibilità di estendere questa azione repressiva ai "santuari" della renitenza posti al di fuori dei confini nazionali fece tuttavia emergere nelle autorità la convinzione che soltanto la promessa di un'amnistia generalizzata avrebbe persuaso i coscritti ancora latitanti a costituirsi. Scriveva, ad esempio, il sottoprefetto di Rimini nell'agosto del 1864 che se il governo

venisse nella determinazione di promuovere da S. M. un'amnistia ai renitenti delle antecedenti Leve, questi, i quali nella maggior parte trovansi nello Stato Pontificio, ed alcuni nel Veneto, si costituirebbero sollecitamente, e tali assicurazioni vengono uniformemente date allo scrivente dai pochi renitenti che vennero a quando a quando presentandosi spontanei, reduci da quelle provincie (156).

Allo stesso scopo le autorità giudiziarie furono spesso invitate dal governo ad usare nei confronti dei refrattari processati "tutta quella mitezza che la Legge consente" (157). La "clemenza in fatto di simili reati commessi per inesperienza e per effetto di perverse insinuazioni", assicurava il sindaco di Sant'Arcangelo, avrebbe certamente convinto "altri disertori e renitenti a presentarsi" (158). In effetti, l'applicazione del minimo della pena, seguita spesso dalla concessione della grazia prima che essa fosse interamente scontata, contraddistingue la quasi totalità dei procedimenti istruiti dal tribunale di Forlì. Unitamente all'ampia estensione che conservava la latitanza un altro elemento suscitava la preoccupazione delle autorità. L'insistenza con cui circolavano nella provincia le notizie di un'imminente "lotta europea" faceva temere che la chiamata alla leva della classe 1845 potesse dare luogo ad una ripresa su larga scala della renitenza, essendo questa "sempre in proporzione diretta della maggiore probabilità di guerra" (159). Furono numerosi al riguardo i rapporti allarmistici 37

inviati al prefetto. Scriveva, ad esempio, il delegato di pubblica sicurezza di Civitella:

l'opinione, e le voci sparse che vadasi contro una guerra ha posto in apprensione questi campagnoli; [...] io stesso ho avuto luogo sentire tali opinioni in questi stessi montanari, come del pari uomini ben'intenzionati hanno meco esternati gli stessi timori che nell'accennata contingenza si verifichi una troppo estesa, e organizzata renitenza. L'azione dei Preti di questi monti favorita dalla pusillanimità di villani ignoranti e abborrenti ogni idea di guerra, tanto più perché creduta vicina, può tornar loro coronata di effetto (160).

Nonostante questi timori, nella leva del 1865 non si verificò nella provincia alcun incremento della renitenza. Al contrario, la notevole diminuzione del numero di renitenti nel circondario di Rimini provocò un ulteriore abbassamento del tasso provinciale che passò dal 4, 69% al 3, 19% (161). Una qualche influenza della concomitanza tra la chiamata di leva e i preparativi di guerra contro l'Austria è tuttavia riscontrabile nel leggero innalzamento della percentuale di renitenti dei circondari di Cesena e Forlì. Questa tendenza era del resto coerente con l'andamento dell'indice nazionale, salito dal 4, 97% al 5, 24% (162). La leva della classe 1845 rappresenta quindi un'interessante occasione di verifica dei progressi compiuti dai coscritti nell'ottemperare all'obbligo militare. I giovani, assicurava il delegato di pubblica sicurezza di Forlì,

obbediscono alla chiamata e dichiarati abili si recono gajamente ai reggimenti di loro destinazione, addimostrandosi per nulla intimoriti, anzi contenti delle notizie belligere che circolano (163).

Se questa testimonianza è palesemente inverosimile, la mancata recrudescenza della renitenza in una situazione che contiene tutti gli elementi atti a suscitarla costituisce indubbiamente una prova decisiva che la coscrizione era ormai accettata come una realtà inevitabile dalla stragrande maggioranza della popolazione. Il prefetto Campi, dopo aver compiuto una visita nei diversi comuni della provincia, aveva infatti scritto in una relazione redatta nell'ottobre del 1864:

Solo la leva, continua, fra le popolazioni rurali ad essere argomento di malcontento; ma se non può dirsi che questo sia in qualche modo scemato, è però vero che la resistenza è minore, e direi quasi subentrata a questa una forzata e dolorosa rassegnazione (164).

Certamente, è all'emergere di questo sentimento di passività, nato dalla consapevolezza di una lotta impotente contro lo stato, piuttosto che all'affermarsi del "senso dell'onore" e dell'"amor patrio" tra i coscritti, che bisogna fare riferimento per spiegare la conclusione della vicenda della renitenza postunitaria nel forlivese (165). Dopo il 1865, se si eccettua una risalita del tasso del circondario di Rimini nella leva della classe 1846 da imputare all'emergenza bellica, l'incidenza della renitenza nella provincia di Forlì diventerà del tutto irrilevante. Nelle quindici leve eseguite posteriormente a questa data la percentuale di renitenti dei tre circondari si attesta attorno ad un livello fisiologico dell'1%, e più spesso al di sotto di questa soglia. In diverse chiamate, inoltre, i circondari di Forlì e Cesena non denunciano la presenza di alcun refrattario: sette volte il primo e sei il secondo (166). La renitenza, tuttavia, per quanto fosse scomparsa al momento della chiamata di leva, continuò ad essere presente per tutti gli anni sessanta nelle preoccupazioni delle autorità. Assai numerosi erano infatti i renitenti delle classi precedenti che risultavano latitanti: nel giugno del 1865 quattro refrattari su dieci si trovavano ancora alla macchia (167). Soltanto dopo la concessione di 38

due amnistie, la prima nell'aprile del 1868 e la seconda nell'ottobre del 1870, la quota di latitanti si ridusse considerevolmente (168). Nel settembre del 1874, tuttavia, dopo che due anni prima era intervenuta una terza amnistia, il nocciolo duro della renitenza poteva ancora contare sul 15% (169). Gli ultimi intransigenti saranno infine cancellati dalla renitenza con un decreto del 1887 che prescriveva il reato (170).

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