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2. Il difficile avvio della macchina del reclutamento

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Bibliografia

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2. Il difficile avvio della macchina del reclutamento

L'esecuzione di questa azione persuasiva venne demandata alle autorità municipali. I sindaci, che almeno in linea di principio intrattenevano un rapporto più diretto con la popolazione, sembravano maggiormente in grado di esercitare una qualche influenza sulle disposizioni dei propri amministrati. Ottimisticamente l'intendente del circondario di Rimini riteneva che le difficoltà insite nella "novità" della coscrizione

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mercé il buon volere delle Autorità Municipali e il patriottismo delle popolazioni saranno di leggieri vinte sicché [il governo] otterrà quel soddisfacente risultamento ch'è nel desiderio suo, ed anche nell'interesse delle popolazioni (24).

Contemporaneamente, la strategia seguita dalle autorità per avvicinare i giovani coscritti e le loro famiglie al nuovo istituto prevedeva il ricorso all'affissione di manifesti e alla pubblicazione di articoli ed opuscoli propagandistici. Questo sforzo di sensibilizzazione, che spesso si esauriva in generici richiami al senso del dovere e all'amor patrio, era tuttavia destinato, per l'impiego di strumenti inadeguati, a conseguire scarsi risultati. Da un lato il ruolo che i sindaci rivestivano all'interno della propria comunità si rivelò assai limitato, dall'altro l'utilizzo di vettori cartacei, in una realtà sociale dominata da un livello di analfabetismo che coinvolgeva la quasi totalità della popolazione, era privo di qualsiasi efficacia (25). Il riconoscimento della manifesta impotenza a suscitare autonomamente un qualche consenso attorno alla coscrizione costrinse i funzionari perifici a ricercare altre forme di comunicazione con la popolazione. Le autorità locali pensarono pertanto di richiedere la collaborazione dei parroci, riconoscendo implicitamente la debolezza della classe politica nazionale e il decisivo ruolo sociale che il clero, grazie alla sua capillare presenza sul territorio, continuava a rivestire. Secondo il commissario di leva del circondario di Rimini se fosse

attendibile una zelante cooperazione per parte dei [...] Parrochi nella esposizione delle agevolezze come dei castighi in fatto della Leva si potrebbe avere fin d'ora fondata fiducia che molti fra i malintenzionati farebbero senno, e ben limitato sarebbe forse il numero di coloro che si propongono di essere ostili alla Leva medesima (26).

In precedenza anche Zanolini aveva individuato nello stretto legame esistente tra il clero e la popolazione la possibilità di fare accettare in modo indolore il nuovo obbligo:

i parrochi specialmente delle campagne [...] vorranno, spero, da qui innanzi insinuare ai villici la obbedienza alla legge, che è un precetto del Vangelo, mostrando loro la necessità e l'utilità della leva militare (27).

Questa strategia, in paradossale contraddizione con l'interpretazione governativa che vedeva nel clero il principale responsabile della propaganda contro la coscrizione, era destinata ad un sostanziale insuccesso. Gli inviti rivolti ai parroci "di adoperare la loro influenza" per "spiegare e fare intendere agli inscritti loro parrochiani, ed ai congiunti" l'obbligo di presentarsi alla leva furono generalmente elusi o incontrarono forti resistenze. A Cesena, infatti, i parroci della città e del contado furono infine obbligati dalle autorità ad "annunziare dall'altare ai loro popolani" la "buona novella" della leva (28). Il ricorso alla cooperazione dei parroci si rendeva necessario anche per fare fronte ad un 20

esigenza di carattere pratico: la compilazione delle liste dei giovani soggetti alla leva. I comuni, ai quali spettava il compito di redigere questi elenchi nominativi, erano impossibilitati a "corrispondervi esattamente" per la mancanza di una "regolare statistica" (29). Fino al 1866, anno in cui venne affidata ai comuni la rilevazione del movimento dello stato civile, le uniche statistiche di flusso disponibili erano rappresentate dai registri parrocchiali. I sindaci, per ottenere le informazioni indispensabili alla compilazione delle liste, erano quindi costretti a rivolgersi ai parroci (30), ricevendo in non pochi casi un fermo rifiuto alle richieste di consultare i libri dei battesimi e di trasmettere le note dei nati (31). Tra le autorità politiche, sostenitrici dell'obbligo che i parroci avevano di rendere disponibili le informazioni contenute nei loro registri, e il clero, impegnato a difendere la propria autonomia dalle ingerenze laiche, si sviluppò una lunga vertenza che sfociò anche nell'istruzione di alcuni procedimenti penali a carico dei parroci più intransigenti (32). All'origine delle resistenze del clero vi era probabilmente un'esplicita presa di posizione da parte delle gerarchie ecclesiastiche. In occasione della leva della classe 1840, ad esempio, il vescovo di Forlì Trucchi si oppose all'autorità municipale, rifiutandosi di acconsentire alla richiesta che i parroci della sua diocesi redigessero gli elenchi dei nati. E` interessante notare come il prelato si appellasse alla stessa legislazione sul reclutamento, nella quale non era "espresso in verun modo l'obbligo ai Parrochi di compilare essi stessi gli elenchi". Il sindaco forlivese individuava il "movente" del comportamento del vescovo nel tentativo "di avversare, per quanto è in Lui, le operazioni del reclutamento" (33). La controversia venne risolta da un intervento governativo sollecitato dallo stesso prelato: il ministro degli affari ecclesiastici Miglietti, specificando come i parroci fossero tenuti per legge unicamente a dare visione dei loro registri, riconobbe l'illegalità della disposizione del sindaco forlivese (34). Le difficoltà incontrate dai municipi nella compilazione delle liste di leva, oltre a fornire un esempio delle forme che assumeva la mobilitazione clericale contro la coscrizione, sottolineano anche la generale improvvisazione che contraddistinse l'avvio delle operazioni di reclutamento. A giudizio dei funzionari periferici la responsabilità di questa situazione era interamente del governo. A distanza di due settimane dall'indizione della prima leva, l'intendente del circondario di Rimini deplorava infatti

l'assoluto silenzio mantenuto fin qui dal Superiore Governo sopra tutto quanto concerne le operazioni di Leva, come se si trattasse di metter ad effetto qui una disposizione già conosciuta, mentre è affatto nuova per queste Provincie [...], circostanza, credo, non mai abbastanza ricordata quanto conviene.

Il funzionario sollecitava pertanto l'invio delle

Leggi e stampe relative [...], essendomi impossibile invitare i Comuni a compilare le indicate Liste, mancando io stesso delle necessarie istruzioni (35).

Al ritardato invio d'istruzioni puntuali da parte del potere centrale si sommava poi la mancanza nella maggior parte delle autorità locali incaricate dell'esecuzione della leva di una competenza specifica per i problemi del reclutamento. Il generale Torre lamentò esplicitamente l'"assoluta ignoranza in cose di leva" dei consiglieri provinciali, dei sindaci e dei segretari comunali (36). La disorganizzazione che caratterizzò le fasi preparatorie della leva non produsse soltanto un notevole rallentamento nello svolgimento delle operazioni di reclutamento, ma fu anche all'origine di una serie di errori che penalizzarono i coscritti (37). Nel compilare la lista di leva del loro comune i sindaci erano tenuti a controllarne scrupolosamente l'esattezza, per evitare che si verificassero delle iscrizioni errate. Questo controllo rivestiva una grande importanza perché il contingente di arruolati che ogni mandamento di un circondario doveva somministrare veniva assegnato, secondo la percentuale fissata annualmente dal parlamento, sulla base del numero di 21

iscritti nella sua lista d'estrazione. Questa lista veniva redatta dal commissario di leva unificando le liste dei singoli comuni compresi nel mandamento (38). La verifica delle liste, resa obiettivamente difficile dalla già ricordata assenza di statistiche sul movimento della popolazione, non venne svolta dai sindaci con la dovuta attenzione e in esse furono inseriti un numero assai elevato di nominativi che dovettero successivamente essere cancellati dai consigli di leva ad estrazione già avvenuta: alcuni perché erano defunti in anni precedenti, altri perché non appartenevano alla classe chiamata o risultarono di sesso femminile, altri ancora perché, essendo emigrati, erano stati inscritti due volte, nel comune di nascita e in quello di residenza. La conseguenza dell'approssimazione dimostrata dalle autorità municipali nell'operare i necessari controlli fu che i singoli mandamenti si videro assegnare un contingente notevolmente superiore rispetto a quello dovuto. Alla luce di questa grave manchevolezza appare perlomeno inopportuno l'encomio che venne formulato dall'intendente provinciale a conclusione delle operazioni di reclutamento della classe 1839: "i funzionarj tutti incaricati della leva rivaleggiarono di zelo" (39). L'alto numero di cancellazioni, che continuò a verificarsi anche nelle leve successive (40), venne aspramente deplorato dal generale Torre e dai funzionari governativi (41). Secondo il prefetto Campi, che ne individuava i motivi nel "disordine in cui sono tenuti dai Parrochi i Registri di Stato Civile" e nella "nessuna o pochissima cura che i più fra gli Ufficj Municipali si prendono per diminuire le conseguenze di quel disordine", i sindaci con la loro condotta erano "causa immancabile di danno certo ai propri amministrati" (42). Accanto a questa cronica negligenza le autorità locali si resero anche responsabili, in questa prima leva come in quelle seguenti, di altri comportamenti censurati dal potere centrale: i commissari di leva commisero inesattezze nella procedura del sorteggio (43), alcuni sindaci disertarono l'estrazione a sorte (44), la maggior parte dei consiglieri provinciali intervennero assai raramente alle sedute dei consigli di leva (45).

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