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e Paura

e Paura

fu racchiusa da una cinta che le è tangente ... Un tipico manufatto quindi di natura prettamente militare... LLa toITe èJ alta 19 m. e ha muri di 2 m. di spessore per l'intero svi lupp o ve1ticale. Internamente iJ diametro è di m. 4,5. Alcune file di fori per l'alloggio di travature determinano un a divisione in tre piani. La porticina d'accesso è a circa sette metri dal terre no, a tutto sesto co n la cornice mi sta di granito e di arenaria. Solo due feritoie con strombatma inclinata verso il basso all'i nt erno, prendono luce da ovest, aperte c io è sul co1tfle, cosicché agli assal itori la torre presentava una muratura compatta e continua. Ln cima termina piatta e senza segrti di merlature, c he sono assenti a nc he sul bordo della ci nta... " 081

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l3 Val Venosta, castel Frolich: planirnet1ia.

numero, d el re sto , delle pres unte fortezze è una ulteriore confe1ma indiretta della loro modestia struttw·ale che almeno in Val Venosta trova espliciti riscontri architettonki. In particolare per quanto riguarda il caste llo di Appiano se mbrere bbe trattarsi originariamente dj un recinto iITego lare: " ... c he abbraccia un a stretta lingua di ten-a in leggero pe ndio , precipite su tre lati in ripidi scosce ndimenti rocciosi, è distin g uibil e quind1 come più antica la zona delimitata dall'ingente mole 30 metri di altezza del mastio pe ntagonal e ... " t371 _

Sempre nella stess a valle si può osservare Tschengelberg Castello, impiantato a quota 1250. n: "... segno distintivo del venostato castello Tsc hen gelsberg è il mastio c ircol are che s i aggiunge ai pochi esemplari di toITi di tal forma prese nti in territorio ates ino ma be n quattro in Val Venosta tutte rite nute solo pe r questa loro caratte1istica morfologica di origine romana. L'assunto è possibile, anche perch è l e rovine mos trano chiaramente che la torre so rgeva ini zialmente isolata e so lo in un seco ndo tempo

Analogo al precedente anche il castello di Fro li c h, sem pre in Val Venosta , l a cui cos truzione primi ti va era: "composta dalla toITe, isolata e libera, all'in te rn o di una cinta... si deve ammettere che datare la costruz ione, su ll a scelta della soJa tecn ica costru tt iva, come probabile del 13 ° secolo non è sufficiente per considerare risolto il problema. Nell'impianto, del tutto anomalo per l'architettura fortificata di quel pe1iodo in questa zona, si deve infatti ravvisare una destinazione d'uso strettamente militare una sede di guarnigione cioè o un acquartierame nto fisso poichè sol o con l'ipotesi di un uso del ge ne re si può giustificare la scelta di una zona che mai un signorotto dell'epoca avreb be e le tto a sua dimora e rifugio. Nè d'altra parte Malles aveva in sè le caratteristiche di fa r nascere nel s uo interno un caste ll o urbico. Ne deriva che i] disegno costruttivo va fatto risalire ad una matrice senz'altro precedente ...La torre è alta 33 metri e per la s ua forma è sta ta più volte parago nat a a quella detta di Druso alla periferia di B olzano ... Il coro namento merlato, segnato da pochi sassi emerge nti a intervalli re go lari , è mancante da secoli ... Lo spesso re del muro alla base è di 2 metri, alla sommità di m. 1,60... La porticina di accesso è ve rso oves t e d a lta d a te1Ta circa sette metri. A metà a ltezza una seco nda po rta p ennetteva l ' uscita s u un ballatoio li g neo che girava tutto at torn o all'inte ro pe1imetro. I fori non passanti c he ospitavano le travi sono di dimension i eccezionali: rettangolari e alti sessanta ce ntim etri. Si deve s uppoITe una costruzion e a s balzo di du e o tre

CRO GIOLO ETNICO

travi sovrapposte di notevole robustezza. Fo,i più piccoli, e sovrastanti di circa quattro metri , servivano per l'ancoraggio del tetto che proteggeva il ballatoio ... Le mura del primitivo recinto sono in parte crollate...La cinta che corre ad una distanza variabile tra gli otto e i dieci metri dalla torre aveva l'accesso ad ovest come indicano tracce di un portale ad arco pieno ... " (19 • n criterio info1matore di tali elementari fortificazioni, pienamente recepibile nelle opere descritte e riproposto in altre ancora, non è una peculiarità nordica, poichè , anche molto più a sud, se ne rintracciano di si.miliari sebbene in numero di gran lunga minore. Un esempio del genere, ancora pertèttamente identificabile, è quello che si staglia al dì sopra dell'autostrada A3 , nei pressi di Pontecagnano, in provincia di Salerno. Si tratta anche in questo caso di un tonione cilindrico, un mastio, impiantato all'interno di un recinto murario approssimativamente quadrilatero. li che induce a ritenere tale soluzione tipicamente etnica, circoscritta cioè cronologicamente ma estesa geograficamente an · intero territorio conquistato , caratteristica che cont1ibuisce a rendere la datazione meno arbitraria. In ogni caso il mastio recintato emblematizza pe1t'ettamente la miseria e lo stallo culturale della società altomedìevale in cui la quasi totalità dei feudatari non disponeva delle risorse , economiche, tecniche e militari , per difendere i propri averi e la propria vita senza doversi rinchiudere in quelJa sorta di sarcofagi cilindrici, e. soprattutto, nessuno degli stessi aveva la capacità di distruggerli. Ovvio che appena possibile si riadattasse una qualsiasi struttura romana, dalla torre semaforica aJla tomba nobiliare , a siffaua destinazione.

Intorno alla seconda metà o, più verosimilmente, verso la fine del 600 i Longobardi riuscirono gradatamente a maturare strutture difensive meno approssima- te delle descritte che, sebbene di modestissima aiticolazione e consistenza, meritavano più propriamente la definizione di castello. Disgraziatamente, però, quasi tutte quelle costruzioni a seconda che il sito d'impianto godesse di rilevanza strategica, o, al contrario rivestisse assoluta marginalità finirono ripetutamente aggiornate o radicalmente disgregate, impedendoci così una sia pur schematica descrizione tipologica. Soltanto i brandelli risparmiati ed inglobati nelle successive riqualificazioni consentono una vaga valutazione di tale evoluzione, come nel castello di Arechi che sovrasta il golfo di Salerno. Al riguardo va osservato che per la sua arroccatissima posizione, di per sè di straordinai'ia valenza ostativa, conservò, molto probabilmente, sostanzialmente inalterata la sua configurazione fin quasi al XV secolo, senza nemmeno allora perderla del tutto.

Dal punto di vista storico nel: " 640 inizia la dominazione longobarda che segna la rinascita e il rapido ripopolamento di Salerno, dapprima parte del ducato di Benevento e poi principato autonomo.

Salerno crebbe s icura nelle fortificazioni longobarde arricchita da un « palacium» che il «Chronicon >> , citando i versi di Paolo Diacono, definisce mirabile e decorato.

Il circuito delle mura longobarde che doveva restare quasi intatto fino al XVI secolo , nasce e muore a ridosso del castello con uno svolgimento triangolare ... " 140 > _ lo dettaglio il perimetro murato si originava dal castello , in posizione vertici s tica ed apicale, ed era costituito da due lunghe cortine rettilinee che scendevano, divaricandosi, sino alla riva del mare. La soluzione appare di notevole semplicità e non priva di analogie locali, come ad esempio a Castellammare di Stabia' 4 1 , e doveva essere conclusa da una murazione corrente lungo la linea di costa , magari potenziata da due torri alle estremità. Non può escludersi che le rimarcate somiglianze derivassero da pree s istenti caposaldi bizantini , disposti in tale maniera per interdire l'itinerario litoraneo, evitando qualsiasi penetrazione al]' interno della penisola sia dal versante sorrentino che da quello amalfitano, ambedue territori longobardi. Quanto alle permanenze s trutturali l'analisi: " ... della muratura della torre «Mastra>> che presenta precise analogie con coeve murature di fortificazioni beneventan e, fa ritenere necessaria una più accurata datazione ...

La muratura della enorme massa trapezoidale (ambiente della Torre Ma stra) ad un esame accurato della tecnica costruttiva, presenta grossi blocchi tufacei, provenienti chiaramente dalla parziale distruzione della muratura a filari squadrati.. .immessi a funzione statica nella massa più minuta, determinando una tecnica longobarda di cui abbiamo vasta documentazione. Chiari esempi di tale tecnica sono rilevabili a Benevento, dove le mura urbane e la torre della Catena, presentano grossi blocchi calcarei provenienti dalle parziali distruzioni di edifici classici.

Re stringendo l'area della fo1tificazione pre]ongobarda alJa so la zona sottostan te la «Comanda», situata nel punto più alto della collina, si può avanzare l' ipotesi che la cortina longobarda si estende dalla zona più a nord del castello fino alla grande massa rocciosa che delimita il «cacumen montis» disponendosi come un aggere naturale verso oriente

Duran te la dominazione longobarda il Castello di Salerno ri s ultò una rocca im prendibile, non solo per la cura dedicata al miglioramento delle s ue postazioni, ma anche per la s ua posizione naturalmente inaccessibile.

Il disegno dell'accesso sv iluppa un percorso lungo un'ascesa ripidissima e facilmente ostacolabile dall'alto , con tiri piombanti, scagliati dalla sovrastante torre «Pentuclosa» . Il percorso , obbligato, fino all'ingresso è serrato in una vera e propria tenaglia di tiri radenti, provenienti sia dalla «Pentuclosa» che dalla torre di «Mezzo»

Tale funzionalità planimetrica offrì una tenace re s istenza al conquistatore Normanno. Il castello non capitolò ma i suoi occupanti furono presi per fame e per patteggiamenti nel 1077:«Coepit Gisulfum principem qui fame coactus se eidem duci tradit, atque turrim maiorem in qua se rutabatur» ... "142 )

I horghi longobardi

Il trascorrere del tempo ed il radicarsi della prese nza longobarda non determinò soltanto un evolversi dell'architettura militare, ma innescò , come accennato, soprattutto un sistematico rifiorire della vita civile. E proprio le tante fo1tificazioni , che si ergevano sulle cime delle colline , assursero a nuclei di condensazione dei nascenti borghi, che per intuibili esigenze di protezione vi si addossarono il più possibile. Per meglio avvalersi dell ' impervietà del sito e per se ntirsi più s icuri, gli spamiti abitanti finirono per edificare le loro miserabili stamberghe s trettamente connesse fra loro , secondo circuiti concentrici progressivamente degradanti, scanditi da strettissimi vico li anulari. Giustamente un s iffatto impianto viene atn1alment e definito a 'pigna', 1icordando ogni casa una squama del noto frutto e la rocca il suo apice.

In breve alle cittadine pianeggianti ed ortogonali romane, ormai deserte e fatiscenti, s ubentrarono i borghi collinari e conoidi longobardi. Alcuni autori hanno ravvisato nell 'av volgimento c ircolare delle abitazioni la riproposizione della disposizione dei carri dei nomadi adottata nel corso della notte: a nelli chiusi con al centro il bivacco, facili da organizzare e facilissimi da difendere, nei quali ogni s ingolo elemento è essenziale per la s icurezza collettiva. Logico, infatti, che ciascun membro del gruppo , tentando di salvaguardare la sua proprietà, finisse col proteggere stren uamente anche l'intera comunità. L'osservazione non è priva di sensatezza specialmente per i coevi insediamenti di pianura, certamente meno frequenti, ma di identica impo stazione sebbene scev ri da qualsiasi condizionamento orografico. Del resto, come già ribadito dagli urbani sti greci, la trama viaria curvilinea ed angusta fungeva da deterrente contro gli assalti dei predoni.

Di que s ta elementare impostazione difensiva , che poi sarà quella medieval e per antonomasia, ci sono pervenuti alquanti esempi, in particolare nella Longobardia meridionale , scampati più che altrove alla distruzione per il minor benessere degli abitanti, ma , per lo stesso motivo, quasi mai alle riqualificazioni delle epoch e successive. 11 grado di s icurezza che quel tipo di disposizione urbanistica poteva garantire , tuttavia, restò sempre modestissimo, ed il trascorrere dei secoli, se rese a sud la dominazione lon go barda più stabile, non significò au tomati ca me nte 1' esau rirsi delle scorrerie e della co nfli ttualità minore. Di anno in anno, infatti , le in c urs ioni saracene non si esaurivano più a pochi chilometri dalla riva ma penetravano sempre più profondamente nel territorio , a vol te persino per un centina i o di chi lometri, con razzie e saccheggi spie tati . Lun go l e coste tirrenica ed adriatica l'abbondanza d elle prede favor1 l'insediarsi di alcuni caposaldi musulmani c h e vaname nte le forze lon gobarde tentarono di annientare o rigettare in mare. In seg uit o al1' ampliarsi del raggio d ' azione dei predoni ed al co nsegue nte in cre me ntar si dell'insicurezza, gli sparuti abi tati di pianura s i spopo la ron o ed i terrorizzati superstiti fuggirono verso le montagne, i n ce rca di scampo. L 'i n gen uo dispositivo difensivo dei borghi a quel punto non forniva alcuna protezione, e la stessa rocca non sempre riusciva ad accogliere al suo interno, in tempo utile, i disgraziati abita nti. assaliti nel corso della no tte . Fu necessario perciò condu n- e int o rno alle case più basse un a di s tinta cerch i a con molte to rri e poche porte. La desolazione e l 'ab bandon o instauratis i lungo le marine divennero da que i g iorni assoluti l a d esert ific az ion e totale, ad eccezio ne d elle c ittà bizantin e, vere iso le murate , che a ltre ttanto vana m e nte e reiteratamen te i Lon gobardi continuarono a tentare di conquistare, ricavandon e so ltanto una co ntroffensiva deva s tante.

N e l fratte mpo con Arechi, che s ucce sse a Zotone, il ducato di Benevento raggiungeva una : " ... notevol e espansione: confinava a nord col Garigliano, l'a lt o Sang ro , la Maiella ed il Pescara, compreso Chieti , a s ud con la penisola Salentina , poichè l e città di Brindi s i e Taranto riman ev ano in possesso d ei Greci, e con la Calabria Meridionale e s ui due versanti marittimi il confine longobardo era continuo salvo i porti di Cuma, Napoli , Sorre nto ed Amalfi col retroterra ... " 143 >

Ad onta dei reciproci sfo rzi: " ... .i duchi Lon go bardi non riescono a venire a capo de i pochi generali bizan -

20 Salerno, panoramica della città t ini che tengono le coste, né i bizantini rie scono a spuntarla da part e loro co i duchi Longobardi radicat i aJl'interno della Peniso la

Questi Longobardi, s i badi bene, sono i soli, nel pae se autorizzati e adatti a portare le armi, né immaginano minimamente di armare i loro suddi ti. P o ichè Bi sanzio non aveva i nteresse e mezzi per riconquistare a di s tan za, le battaglie si riducono ad operazioni di quasi brigantaggio l ocale, a gratu ita scorreria c h e ness ua strategia, ne ss un concetto di sfruttamento dell'urto e de l terreno , ne ss una visione s trategica o tattica superiore , guida e gi u st ifica. Né tre secol i di g uerra di qu esto tipo si proporranno più co mple ss i obiettivi .''144 1 •

La murazio ne perimetrale con la quale da un certo momento in poi i borghi longobardi , come, più in ge nera le, tutti quelli med ievali, impararono a difenders i più accortamente, provocò una ne tta differenziazione fra gli abitanti c he potevano risiedere a l loro inter - no e quelli che, inv ece, per vari m otiv i, se mpre però riconducibili alla co ltiva zione d ei camp i ed all' a llevamento de l bestiame, ne res tavan o escl usi Anche la definizione aggregativa s i arricchì di nuo ve s uddivisioni c he lasciano intrav edere una s ocietà s tratifi cata e ancora di somogenea. Sign ificati vamente : " ... il termine «Casale» c h e compare in un contratto dell'800 è spesso nominato insieme a «Vico», « il c he potrebbe dar presa alla s uppos izion e che le du e stirpi (c io è dei sogg io gati e d eg li inv asori) avessero divi so le terre e le a bita zion i , e preso s tanza i Romani nel Vico, e i Longo bardi nel casale>>.

Un in s ieme di casali ve niva a cos tituire il feudo: espress ion e territoriale presieduta da uno o più castelli alle dipendenze di un governatore, co nte o gas taldo , a sua volta s ubordinato a ll 'a utori tà di un duca o di un principe.

Negli an nali criti co- diplomatici d el regno di Napoli si legge: «I Longobardi intendevano per castello ' l' arces' dei latini, ossia le rocche. Qui credo che per castello si intendono paesi forniti di rocche, o queste con molte abitazioni ad esse congiunte o in poca distanza Nelle opere dei giuristi tale significato è confermato, ma talora essi serbano il nome di Castrum con preferenza alla terra principale, dando a tutti gli altri castelli uniti e soggetti piuttosto l'appellazione di Casale» ... " <4 5 > _

Dalla evidenziata confusione tra definizioni difensive ed urbanistiche è facile ricavare la connotazione dei ducati longobardi, in cui non era più distinguibile il civile dal militare, la pace dalla guerra. È indubbio che l'introduzione nel repertorio fortificatorio di espedienti tanto elementari, quanto arcaici, nel mentre ne confem1a indirettamente la validità. testimonia l'insufficienza perdurante dell'apparato milita.re, incapace di reperire i mezzi e le forze per averne ragione. Unica contromisura per incrementarne se non altro gli organici, peraltro stentatamente elaborata ed ancora più stentatamente applicata , I' obbligatorietà di una esplicita autoiizzazione reale per l'edificazione di una qualsiasi fortificazione (l 'heribanno regio) subordinandone la concessione ali' accettazione del servizio militare. La sicurezza del singolo in cambio di quella dello Stato, fingendo di ignorare che con tale facoltà si sarebbe piuttosto incrementata l'impunità dei feudatari: ma è anche probabile che si stimasse quel rischio meno grave delle scorrerie saracene. I documenti, infatti: " ci informano su moltissime concessioni date per l a costruzione di casteJli da innalzare in luoghi opportuni ... Si iniziò, così, ad intendere le fortificazionì come un insieme organico per la difesa di interi territori contro i saraceni e non più come singoli posti muniti ... ''<461 • È probabile, però, che in realtà tale esito fu conseguito casualmente, riuscendo difficile credere ad un piano difensivo organico prestabilito in un contesto tanto arretrato ed anarchico. Qualcosa del genere, del resto, era avvenuto già con i nuraghi, e poi con le cerchie sannite, ed ancora si sarebbe verificato nel XV e XV l sec. con la proliferazione delle masserie fortificate, opere tutte erette autonomamente e per finalità difensive familiari. ma nel loro insieme cooperanti alla interdizione del territorio nei confronti di un aggressore esterno.

Circa le connotazioni difensive attive di tali fortificazioni, va ribadito che contemplavano esclusivamente il tiro piombante, ovvero il lancio di dardi, di massi o di liquidi ustionanti dall'alto delle cortine, senza un consapevole ed accorto ricorso al fiancheggiamento, peraltro scarsamente conciliabile con l'impianto apicale. Pertanto: scansione rada delJe torri, prive per giunta di una razionale configurazione geometrica, lungo il perimetro dei borghi; tracciati estremamente irregolari con mura di modesto spessore , erette con i materiali più disparati, spesso cavati da costruzioni monumentali romane senza alcun discernimento; approssimata merlatura con rudimentali e sporadiche bertesche; rari fossati.

Disgraziatan1ente, come già precisato per i protocastelli longobardi e per l'edilizia dei borghi, anche quelle cerchie, pur sopravvivendo in discreto numero, raramente scamparono alle successive ristrutturazioni che comunque ne conservarono sia la concezione d'impianto sia il tracciato e sporadici episodi costruttivi originali. Fatte salve tali limitazioni, un interessante esempio tipologico, lo si può individuare nel borgo di Vairano Patenora, in provincia di Caserta.

Vairano Patenora

Secondo la tradizione il nome del piccolo centro deriva da un antichissimo possidente romano, tal Vario, sebbene il nucleo abitato originario risulti ancora più antico, rimontando all'iniziativa dei Sidicini, che per primi fortificarono la sommità de l colle. Da allora, attraverso continue trasformazioni ed adattamenti, il centro si ampliò, differenz iandosi ed articolandosi, mantenendo immutato soltanto l'impianto an·occato e la sua propensione difensiva. Nonostante l'ininterrotta sequenza di distruzioni - ricostruzioni, le diverse impronte architettoniche, di volta in volta avvicendatesi, non sono scomparse integralmente, sovrapponendo- si e fondendosi fra loro in un pittoresco aggregato. In dettaglio, al: " primitivo insediamento sulla collina deve essersi aggiunto, o sostituito nel periodo romano, un nuovo insediamento con caratteri edilizi ed urbanistici meno strategici, e più adatti all'agricoltura ed al commercio. I ritrovamenti e la vicina via Patenaria lo dimostrano ampiamente; purtroppo di questo primitivo insediamento in pianura non rimane alcuna vestigia nè edilizia nè urbanistica.

Nel medioevo si verificò il fenomeno opposto: guerre, invasioni e scorrerie, da una parte, ed il contrarsi delle attività economiche, dall'altra, dovettero far sì che gli abitanti di Vairano abbandonassero l'insediamento in pianura per tornare sulla cima della collina ed ivi fortificarsi. A tale epoca risale l'originario castello e la primitiva cinta delle mura, probabilmente molte delle costruzioni all'interno del pe1imetro fortificato hanno la loro remota origine in questo pe1iodo. Non è facile però individuare le più e le meno antiche, cioè detenninarne la stratificazione. Infatti l'omogeneità quasi assoluta del materiale impiegato ed il perdurare di certi tipi e tecniche di cosu·uzione, hanno reso l'ambiente medievale piuttosto uniforme; in ogni caso il suo carattere risulta chiarissimo sia nell'ambiente edilizio che nel tessuto urbanistico delle strade. Ad ogni modo dobbiamo tener presenti le complesse vicende dell'alto medioevo in Campania per poter valutare il significato di questo insediamento difensivo il cui nucleo originario sorse, probabilmente nel IX secolo e cioè quando Vairano apparteneva ai conti longobardi di Teano " <41 >

Anche ai piedi della collina di Vairnno si formarono alquanti casali, toponomasticamente e strutturalmente soprawissuti fino ai nostri giorni. Ovviamente essendo esterni al circuito murario, patirono ogni sorta di devastazioni, ragion per cui nulla o quasi è rimasto del passato. Quanto al castello ed al sottostante borgo murato, pur risalendo quasi sicuramente all '800, non se ne iiscontrano notizie certe prima del Xn secolo. Sappiamo infatti che nel: " ... 1193 il castello e la cinta muraria dovevano essere abbastanza muniti perchè resistettero validamente aU'assedio di Roffredo dell'Isola e, probabilmente, fu in quella occasione che si ebbe la prima distruzione dei casali. Altra devastazione avvene in occasione della lunga ed accanita guerra per la successione al trono di Napoli allorquando il duca Francesco d'Aquino feudatario di Vairano paiteggiò per gli Aragonesi e Je milizie mercenarie del Yitellesco (che combatteva per gli Angioni) saccheggiarono la città ( 1428) demolendola insieme al castello ; nuove distruzioni avvennero nel 1463 " (4si Tuttavia le menzionate distruzioni, quando riferite al medioevo , debbono sempre intendersi come molto relative, poichè abitualmente, si limitavano all ' apertura di vaste brecce nelle mura , che venivano rese in tal modo praticamente inutilizzabili per periodi più o meno lunghi. in specie dopo la deportazione o la strage degli abitanti. Si spiega così il rapido risorgere di castelli e cerchie io epoche successi ve, premessa di immancabili e più celebrate devastazioni. Anche dopo l ' ultima distruzione citata, rintracciamo una ennesima riedificazione, più solida ed effo.:ace , al profilarsi della calata di Carlo VIIJ nel 1494. Difficile però ravvisare nel castello e nella cerchia, sopravvissuti fino ai nostri giorni, caratteristiche significati ve dell ' architettura militare della neonata età moderna , proprio per la loro evidentissima arcaicità appena mitigata da espedienti posticci, tanto più che proprio allora iniziò lo spopolamento del borgo e la contestuale riappropriazione della pianura.

Tornando alle caratteristiche del borgo, l ' abitato: " ... compreso fra Je mura costituisce il più antico casale, denominato «la Terra». Questo occupa, sulla collina detta «del pesco» , la zona che si estende da piazza Mercato al piazzale S.Lucia, dove fu costruita la chiesa di S.Maria di Loreto. «La Tena» , i cui fabbricati iniziano a metà della collina, era circondata da sedici torri, che sono tuttora visibili e che, per la maggior parte, sono state trasfom1ate in abitazioni private ... " <49 > Ovviamente non si tratta di quelle originarie, di cui è impossibile precisare la forma e Ja connotazione esatta, ma di quelle che, con molta probabilità, le sostituirono nel medesimo sito in periodi successivi.

Significati vainente: " .lo schema urbanistico che ritroviamo a Vairano appaitiene ad un insediamento prece- dente a quello deJla trasformazione del d' Avalos; quel feudatario , infatti, si limitò a ricostruire, con i nuovi criteri del suo tempo, il castello e la cinta muraria, senza alterare il primitivo impianto planimetrico.

La morfologia del luogo aveva dettato queUa disposizione ... irregolare che noi oggi notiamo e che non fu alterata; essa doveva adattarsi al terreno per la più efficace difesa del luogo già strategicamente forte per condizioni naturali ... " c5oi _

Più in dettaglio: " la cinta difensiva , che si concludeva nel castello posto nel punto più alto, allineava tratti rettilinei e torrette cilindriche su un perimetro murario a doppia s carpa tipico dell ' architettura militare meridionale del XVI secolo. In essa si aprivano tre porte: porra Oliva a ponente, porta di me zz o a mezzogiorno e porta S.Andrea (ora porta Castello) a levante. Le ultime due rivestono un normale carat- tere difen s ivo, mentre la prima presenta la caratteristica di e ss ere rinserrata tra una cortina muraria che s i allunga ortogonalmente di fianco, ed una toretta cilindrica

All'esterno delle mura ebbero vita gli altri tre raggruppamenti di case: «Greci », << Piazza » e «S.Maria a Fratta» che formavano i casali della Vairano medievale e che si s tendevano, più a valle, sulla stessa pendice della collina " 15 11 • Quanto al castello, nonostante la presunta e radicale ricostruzione della fine del '400, è ancora perfettamente riconoscibile nella sua architettura il criterio informatore s quisitamente medievale, e nella s ua ubicazion e la remota origine longobarda.

Simile , sotto il profilo storico e struttural e, anche il centro antico di Monresarchio che ulteriormente conferma il dipanars i cronologico dei borghi longobardi.

Montesarchio

Anche in questo caso troviamo co m e nucleo 01iginario un massiccio torrion e cilindrico eretto su preesistenti fortificazioni italiche , nella fattispecie sann ite . Quanto però s i mostra oggi ai nostri occhj è l 'esito delJa ristrntturazione aragonese, che trasformò quella elementare fortificazione in due e laborate torri cilindriche coassiali, sol uz ione che, quand'anche non rara , è priva di analogie limitro fe .

Dall e sc arn e fonti apprendiamo che un ta l Arcole , vassallo di Arecbi II , s i fece carico, a ridosso del 700, di rifortificare la s ommità del Mons Arcis, in previsione di un imminente attacco dell'esercito di C arlo M agno proveniente da Capua. Te nendo presente la logica insediativa longobarda è estremamente probabile c he , allorquando si pro s pettò il potenziamento, sul cocuzzolo già svettasse un so litario torrione, con il s uo immancabile recinto. La novità , pertanto, sa rebb e consistita nell 'affiancargli una seconda opera, magari più massiccia, una rocca per quanto rudimentale. Le solile laconiche fonti, infatti, ci informano che, ne l periodo dell 'affem1azio ne normanna, il 'castello' di Montesarchio subì danni gravi, particolarmente ne l 1073, quando l' erede a l tron o beneventano cadde combattendo contro i Normanni 152 ' E c he si trattasse di un cas tello e non di una sem pli ce torre lo confermano ancora le fonti, precisando che nel 1137 i militi di Ruggero II iiuscirono a conquistar lo, a1Tecandogli però numerose e più gravi devas tazioni. No n ricevette negli anni seguenti l'abituale 1ipristin o, o almeno non se ne trova riscontro fino alla prima metà del XUI secolo, allorchè la fortificazione fu res taurata per ordine di Federico II di Svevia. La riqual ifi cazione dovette conseguire un es ito Lalmenle efficace che il

O 5 10 m rinato complesso entrò a far parte dei possedimenti deHa corona, sino a quando Manfredi non lo cedette ai d' Acquino, nel primo dei tanti passaggi di proprietà che da allora lo videro protagonista.

26 Montesarchio, planimetria.

I ricordati episodi bellici provocarono un esodo in massa della popolazione del borgo, aggregatosi nel frattempo alle pendici del castello, che tornò indietro soltanto dopo la conclusione degli scontri. Di tale vicenda permane memoria nella bipartizione del borgo stesso, nel quale la: " ...zona più antica ... detta ancora oggi Latovetere, sorse presso ]a torre, sul colle roccioso, secondo una conformazione che, senza assumere un andamento planimetrico propriamente radiocentrico, denuncia tuttora chiaramente la tendenza ad una concentrazione delle fabbriche nei pressi dell'opera fortificata; è chiara la subordinazione, in egual misura, di tutte le parti 1ispetto all'episodio saliente costituito dalla torre e dal castello, con evidente riferimento alla tradizione instaurata dal feudalesimo. lJ nucleo medievale doveva presentare già nel Xll secolo, una s is temazione organica. Il caste11o con la sua torre di avvistamento. separata, si affacciava verso la valle, mentre sui fianchi sorgevano le due borgate protette da mura. L'espan sione che l 'a bitato ebbe nei secoli s ucces s ivi si sviluppò verso il basso permettendo la conservazione del profilo antico di Montesarchio che ci è pervenuto fortunatamente intatto .. : '<531 •

Il borgo era racchiuso dalla solita muraglia di modesta fattura scandita da torri circolari di ampio intervallo , diverse delle quali, sebbene tra s formate in abitazioni , son giunte sino a noi.

Dal punto di vista architettonico il castello e la torre, pur formando un unico episodio, non sono strutturalmente altrettanto coesi, mantenendo anzi ben distinte le rispettive peculiarità, al di là dell'immancabile leggenda di camminamenti sotterranei di incerta memoria. li castello infatti: " occupa sulla preminenza roccio sa la parte opposta a quella prospiciente la valle e sulla quale la torre si ergeva [isolata]. La primitiva fabbrica è stata quasi del tutto di s trutta; sulle sue rovine nell'Ottocento, fu costruito un grande edificio adibito a carcere fino al 1936 Qualche Lraccia del1'originaria opera fortificata la notiamo solo nel basamento di grandi blocchi , squadrati e ben disposti a filari paralleli con una sp artizione di ordini sovra pposti, a risalti torici " <54l _

Ampie analogie con i descritti castelli e borghi apicali di origine longobarda, immancabilmente costituiti, o dotati , di un mastio, si rintracciano pure nel pittoresco abitato di Casertavecchia , l'antica Case Herte di longobarda memoria. Essa costituì infatti, con buona probabilità, il centro della conlea istituita ne]l ' VIII seco lo , e rappresentò con le sue fortificazioni , in particolare il castello eretto nel IX secolo, il principale caposaldo difesivo dell'intera regione. Per meglio valutare quanto precisato , basti considerare che le strutture che attualmente sco rgiamo nei pre ss i del borgo non hanno avuto bisogno di subire: '· modifiche al tempo degli Aragonesi, cioè quando l'impiego delle artiglierie modificò in maniera notevole l'architettura di[ensi va medievale. Articolato con sei torri ed un mastio .il castello assolveva al duplice compito di difesa e di residenza del feudatario. Non siamo in grado di poter definire quale potesse essere la sua completa configurazione spaziale, ma alcuni particolari ci permettono di inserire questo episodio in quella continuità espressiva che caratterizzò l'architettura civile e militare del Medioevo ... " ' 55 l loro approssimata tecnica edificatoria e roaezza concettuale, mai sopravvissero alle dinastie successive ed alla dinamica evolutiva delle fortificazioni. Complice anche il vistoso incremento demografico , finirono infatti radicalmente ablase, ad eccezione di una unica rappresentante, quella di Benevento loro capitale meridionale. li suo singolare destino dipese dalla marginalizzazione geografica e politica della città, dopo il suo fagocitamento nei possedimenti pontifici, avviatosi nel I 05 I' 5 " e conclusosi con l'Unità d'Italia.

La cerchia urbica di Benevento

La conflittualità incessante con i Bizantini, la percezione della loro superiorità culturale e la indifferibile necessità di concentrare in precisi centri l'autorità politica ed economica, costrinsero, nell'arco di pochi anni, i nuovi dominatori a rivalutare, a pieno titolo, le città. Pertanto il: " cemro urbano acquista .. . nel diritto pubblico longohardo, una speciale consistenza giuridica di fronte a tutti gli altri centri, sì che, sia pure involontariamente il legislatore longobardo, viene a convalidare in modo mirabile il concetto giuridico della città, e le antiche tradizioni, che rendevano le mura cittadine oggetlo di un vero e proprio culto ... "'5 6i La città, da quel momento, superate ]e iniziali difficoltà, continuò ad èsistere. spesso immutala nel suo assetto. Come già nel contesto gotico, le st rutture presenti, appena rimaneggiate e riattate, apparivano infatti assolutamente congrue ai bisogni, ad eccezione delle fonificazioni perimetrali, per lo più gravemente danneggiale nel corso delle guerre pre cedent i o da secoli di assolula incuria. E, per la prima vol ta nel corso della loro sloria, i barbari guerrieri dovettero farsi carico di costruzioni difensive relativamente imponenti nonostante fossero estranee alla loro tradizione.

Oltre ai torrioni isolati ed alle piccole murazioni d ei borghi, i Longobardi eressero, perciò, anche cerch i e urbiche di considerevole estensione, che per la

Tralasciando di riassumere il glorioso e movimentato passato sannita e romano dell'antichissima cillà, impiantata su di un colle alla confluenza dei fiumi Sabato e Calore, è fuor cli dubbio che, allo sfaldarsi dell'Impero, disponesse di una Ji~creta cerchia urbica, sulla cui natura ed elltità tuttavia sus si s l0110 considerevoli incerteae. Probabilmente intorno al 490, Benevento cadùc sotto il Jominìo th::i Goti e si innescò così una sciagurata sequenza di 'passaggi di proprietà' tra essi ed i Bizantini. Nel 536, infalli. Belisario riconquistò la città , pa perderla nuovamente. appena nove anni dopo, ad opera di Totila. Stando alla testimonianza di Procopio di Cesarea, a quesl'ultimo deve imputarsi la distruzione radicale delle mura urbiche: I' ipotesi è, però, ancora una volta poco convincente, per la difficoltà di portare a termine tale impresa in tempi ristrelli. Più plausibile, invece. che si trattasse della solita demoliLione partialc , con apertura cli alquanle brecce, in sezioni già compromesse dal tempo e dai terremoti. Nel 555 Narsete 'liberò' la disgraziata Benevento, facendosi carico nella circostanza, sempre secondo la tradizione, della ricostruzione della cerchia. Ma anche in questo caso la notizia appare scarsamente credibile: si trattò, quasi certamente e più semplicemente, di una modestissima riparazione, forse proprio delle tratte danneggiate dal goto.

Di sicuro dopo: " .. .il loro arrivo i Longobardi compirono diversi interventi. Crearono nuovi quartieri e ricostruirono le difese distrutte durante la guerra goto-bizantina trasformando in parte l'assetto della città romana ... Per quanto costoro, a conoscenza del fenomeno urbano dal1'epoca dello stanziame nto sud-danubiano, riutilizzarono edifici romani, dovettero adoperare anche abitazioni più semplici, molto simjli alle capanne in legno e paglia Un rinvenimento beneventano di alcuni anni fa purtroppo non compreso potrebbe aver 1iguardato prop1io una costruzione del genere " 1581 •

Nel 571 Benevento è uno dei maggiori ducati longobardi stabi lmente retto da Zotone, che per la sua 1ilevante dimensione, nonchè per la distanza dalle sede del potere centrale, gode delle più ampie libertà, almeno relativamente ai coevi.

Forse proprio per tale ragione, le condizioni in cui versano gli abitanti ri s ultano tra le peggiori della loro storia, vittime come sono di spietate repressioni e di massacri indiscriminati perpetrati dai barbari conquistatori per cancellare irreversi bilmente ogni loro residua identità sociale. Scriveva S.Gregorio Magno allo stesso Zotone:

" Ubique fuctus auspicimus, undiqu e gemitus audimus. Distructa e urbes, m •e rsa, sunt castra, depopufari agri, in solitudi11em terra redacta est. ·• , 59 ,

Nonostante quel tragico preludio, Benevenlo in pocru decenni iniziò a prosperare. attingendo sotto il lungruss imo regno di Arechi II, l'apogeo del s uo splendore , d egno della cap itale della Longobardia meridionale. Assurto a principato indipendente, s i estese fino ad includere tra i suo i possedimenti anche le città di Taranto e di Brindisi, con un contestuale evolversi ed ingentilirsi dei costumi longobardi , favorilo dalle massicce conversioni al cristianesimo. Ma la prosperità incrementava pure le mire stran iere che s i materializzarono in incursioni, assedi e campagne militari , tutte per lungo tempo vanificate, tangibile certificazione dell'esistenza di una valida fortificazione perimetrale.

In larga approssimazione, per quanto consentito dagli attuali resti: '' la cinta, che racchiudeva l'anli- co centro romano e la successiva espansione longobarda, si articolava con l'alternarsi di torri, quadre e cilindriche, in saliente sulla cortina muraria; è presumibile, però, che in origine le torri fossero tutte cjJindriche secondo la tecnica costruttiva altomedievale che presentava manufatti con superfici alquanto rozze e con impiego di materiale di spoglio ... Tra gli elementi salienti del perimetro difensivo sono stati individuati il castrum sorto sulla preesistente aree romana, la Porta Arsa e la Torre Catena; quest'ultima venne eretta in un punto strategicamente molto importante tra i lati occidentale e meridionale " <60 Circa l'andamento delle mura partendo lungo la via S.Filìppo e: " procedendo in direzione dei due monumenti romani [teatro ed edificio termale] è dato di vedere una sorta di terrapieno che muove dall'area di Porta S.Lorenzo. È molto probabile che le mura della città siano state dove si trova ora la struttura di contenimento ... Dopo questo tratto, con un andamento che è solo possibile indicare perchè manca qualsiasi resto, le mura si spingevano fino a Porta Rufina. che era sensibilmente arretrata rispetto all'omonima porta moderna ... Da Porta Rufina le mura risalivano a Porta Somma lungo il costone meridionale della collina della Guardia ove ne restano lunghi tratti articolati da torTi a base quadrangolare. Anche Porta Somma nei primi secoli della dominazione longobarda... doveva sorgere più a occidente e anche la cinta non doveva spingersi sul lato orientale fin dove oggi se ne vedono i resti o se ne ricostruisce il percorso ... la prosecuzione dopo Porta Somma doveva portare le difese alla prima torre rilevabile lungo il tratto orientale della cinta ampliata ... quella che è circa all'altezza dell'ex Palazzo De Simone, oggi Conservatorio sull'attuale viale dei rettori. Come la successiva torre a sezione circolare segna la conversione delle mura verso ovest, in direzione dell'arco di Traiano trasformato nella Porta Aurea delle fonti medievali, analogamente questa torre a base quadrata e a sezione circolare nell'alzato doveva essere il punto di svolta delle difese verso nord . . . Dopo l'arco ... le difese proseguivano lungo il costone della collina in direzione ovest, poi volgevano verso nord e infine piegavano a sud-ovest per aprirsi a Porta S.Lorenzo. Come nella sezione precedente, ben conservata . anche in questa. che è molto danneggiata, erano varie le torri due delle quali so no tuttora visibili ... Nel tratto da Porta Aurea a Porta S.Lorenzo, oltre ad una posterula cli cui è problematico determinare l'epoca si apri vano la Porta Gloriosa sul Ponte di S.Onofrio e forse la Porta Rettore di incerta datazione ... Entro l 'a mpia muraLione di m 2750,50 di lunghezza, realizzata fra la seconda metà del VI e gli inizi del Yll secolo, vennero a trovarsi il tratto maggiore del decumanus maximus della citt~l romana, parti di alcuni cardine.,· e numerosi isolati " 10 1>.

Un particolare interesse riveste la tecnica muraria con cui venne edificata la cerchia, chiaramente molto arcaica ed affrettata. Infatti, i: ' ' ... notevoli avanzi delle cortine longobarde denunziano i molti rifacimenti dovuti alle iniziative, anche private, che si sono succedute nel tempo e che hanno contribuito all'alterazione e al decadimento dell'opera tanto che in alcuni tratti si è arrivati perfino ad includere le mura nelle nuove costruzioni. La tecnica di esec uzione della fabbrica ci permette di individuare lungo le mura i tratti originali di pietra e ciottoli, posti senz'ordine uno sull'altro, misti a resti di colonne, lastre di marmo e frammenti di sculture inseriti liberamente nel tessuto mura1io .. .' '<62>

La cerchia: " proteggeva l'abitato e . si ch iud eva in alto nel punto di uno degli accessi alla città, e cioè alla porta Somma. Qui vi era probabilmente solo un nucleo. maggiormente difeso, dell'intero perimetro e tale considerazione deve ritenersi valida per tutto il periodo antecedente alla costrn7ionc della rocca. Solo nel medioevo l'opera fo11ificata si trasformò assumendo i caratteri difensivi peculiari di quell'epoca e cioè il palazzo con l'annessa torre costituente il mastio per l 'estrema difesa, circondati da mura e fossati con i relativi ponti levatoi. Di tali opere, che più non sussisto no è rimasta la citazione in documenti, mentre il pala zzo ha un aspetto comp letamente diverso dal la forma originaria.

L a sola torre, l'attuale rocca, ci è pervenuta, anche se trasformata, quasi integra ... Riteniamo che questa sia l a parte superst ite del fortiJjzio costruito dal Rossemanno e destinato allo smantellamento per ordine del papa; evidentemente ne rimasero alcune strutture che costituisco no, oggi, il nucleo primitivo di tutto il castello. La più antica fabbrica è individuabile all'esterno in quella parte scarpata c he rivela differente tecnica costruttiva e numerosi frammenti di materiale di spoglio provenienti da fabbriche romane " 163 •

Tornando alla cerchia urbica la grande fortificazione fu costruita: " .in opus incertum con riuso di pezzi antichi in funzione di sostegno e forse anche di ornamento , [e] va detto che la tecnica è più accurata nelle ton-i. In queste i blocchi romani sono impiegati come elementi portanti agli angoli. Lo s i riscontra molto bene nelle due toJTi a sezione quadrangolare del lato nord-oc c identale, la terza e la quinta dopo Porla Somma.

Il riuso di frammenti scu ltore i è particolarmente vistoso nel fortilizio che muniva la più recente Porta Somma e nella torre che seg na la svo lta della c inta verso nord-ovest dopo questo accesso. Sia nell e mura, s ia nelle torri, soprat tutto dove non sono s tati eseguiti restauri , si nota la presenza di fori a distanze regolari s u file parallele. Dovreb be tra ttars i di ancoraggi dell'impalcatura. Nono stante la distruzione dei coronamenti e la sopre levazione del piano di campagna, il più delle volte ri scontrabili insieme, è possibile indicare in circa 12 m lo sv iluppo verticale della cinta.. . Le uniche porte superst iti ... a parte l'Arco di Traiano<64 >, sono l'Arco del Sacramento e appunto Porta Somma. Non s i sa se in origine gli accessi alla ci ttà sia no s tati tutti quelli prima enumerati "c 65l

Dopo una strenua opposizione alle mire dei Franchi prima. e dei Normanni poi, nel 1077 la città passò sotto il dominio della Chiesa che, con alterne vicende, si sarebbe protratto fino al 1861 <M,> L'ampiezza di tale lun ghissimo arco storico garantì. senza dubbio , una stabile tranquillità a Benevento ed ai suoi abitanti, ma finì per emarginarli dalla c irco stante dinamica socio-culturale. Per le fortificazioni, tuttavia, ciò significò se non proprio l'abbandono, la scelta di una semplice attività di manutenzione, non ritenendos ene indispensabile l'aggiornamento. In data 23 agosto del 1597 la Camera Apostolica , tramite il s uo rappresentante beneventano di stanza a Roma, diffidava i consoli della città dal consentire, o tollerare, che lungo la cerchia. che era regalia Longobarda , si aprissero finestre o vani luce, altrimenti: " ... le signorie Vosn·e ne haveriano scorno et danno" "''\ fornendoci così una indiscutibile testimonianza della menzionata opzione puramente conservativa nei confronti di quel cimelio difensivo.

Le conquista araba della Sicilia

A contendere ai Longobardi il possesso della Peni so la, in pa1iicolare nel Meridione, fino alla conclusione della loro vicenda sto rica, come abbiamo più volte evidenziato, furono i Bizantini. In particolare all'epoca: " ... della sua massima espansione, la provincia bizantina in Italia è delimitata a Nord e ad Ovest dai principati longobardi di Capua-Benevento e di Salerno, a est dal mar Adriatico, a Sud dallo Jonio, a Ovest dal Tineno. La frontiera bizantino -logobarda, spesso non ben determinata e non di rado superata dal1'uno o dall'altro degli Stati confinanti, non ha mai dovuto oltrepassare il corso del Fortore: essa, seguendo il crinale dei monti Dauni , passava tra Bovino e Ariano per raggiungere il corso superiore del!'Ofanto a Ovest di Melfi; quindi aggirando il monte Vulture. correva a Est di Potenza e poi raggiungeva il Tanagro non lontano da Polla; infine costeggiando la Valle di Diano. discendeva a Ovest di Lagonegro per sboccare probabilmente nel Tirreno col corso del Noce ... " 168 > La Sicilia, invece, restò, almeno fino all'arrivo dei Musulmani, interamente bizantina, per cui all'assoggettamento longobardo di gran parte della Penisola e all'insediamento a Ra venna della capitale, fece da contrappunto , nell'isola, l'ascesa di Siracusa a metropoli primaria dei domini imperiali occidentali. La c itt à divenne, per conseguenza, la base navale avanzata di Bisanzio per antonomasia, dotandosi di tutte le necessarie strutture, marittime e militari. Una conferma di quanto accennato può essere colta nel trasferimento operato, intorno alla metà del VII seco lo , da Costante

Il figlio di Costantino III ed imperatore dal 630 della sua corte proprio a Siracusa, nel quadro di una vaghegg iata ennesima riconquista dell'Italia.

Lo straordinario, quand'anche transitorio, 'trasloco' della sede imperiale, non rappresentò, purtroppo, il maggior evento del suo regno. Pochi anni dopo la sua ascesa al trono. infatti , per l'esattezza nel 632, si mate1ializzò sullo scenario mediterraneo un imponderabile avvenimento , destinato a sconvolgere, in pochi lustri, tutti g l i equi I ibri così faticosamente conseguiti: in una remota località mediorientale moriva Maometto Sino ad allora quel nome risultava assolutamente ignoto alla quasi totalità delle cronac he occidentali , per cui nulla lasciava presagire la travolgente ava nzata islamica che di lì a breve si sarebbe scate nata<69i Del resto, è a ncora oggi difficile realizzare la subitanea vio len za della espansione araba, proiettatasi contemporaneamente verso l'Asia e verso l'Europa. Indubbiamente lavorava a favore dei fanatici eredi del profeta un particolarissimo contesto sto rico , caratterizzato dalla inusitata, reciproca spossatezza dei due grandi imperi persiano e bizantino, entrambi incapaci di valutare e, meno che mai, d i stroncare la perniciosa potenz ialità emergente. E se nell'inarrestabil e espansionismo arabo, s i possono, con sufficien te aderenza, cogliere strette analogie con l 'effimero dilagare delle orde di un Attila o, più tardi, di un Gengi s Kan , di ben più tenace natura s i dimostrò il radicamento del dominio e, soprattutto, del credo islamico nei tenitori conquistati, tanto da sopravvivere quasi inalterato fino ai giorni nostri. Giocò un ruolo basilare al riguardo la perfetta calibrazione della precettistica coranica, alla tradizione araba ed all ' indole orgogliosa e bellicosa delle instabi Ii tiibù. Nessuna invasione barbarica , nell'ambito socio-economico dell'Impero romano, aveva mai avuto lo stesso impatto scardinante sul suo tessuto sociale, proprio perchè mai erano state messe in discussione la superiorità culturale e morale dei s uoi cittadini, cosa che accadde, invece, con l'avvento dell ' I slam. Il Mediterraneo, quindi, da crogiolo di civiltà ormai sos tanzialmente omogeneizzate ed amalgamate, si tramutò in una so rta di frontiera fra due universi profondamente antitet1c1 ed irriducibilmente ostili fra loro. Nessun tipo di rapporto, al di fuori dello scontro armato, sarebbe stato perci ò possibile per il futuro, fra i due blocchi incomunicanti, almeno a livello ideologico.

Il ritrovarsi geograficamente ubicata lungo la direttrice di massima sollecitazione , implicò per la Sicilia la immediata sperimentazion e dell'aggressività musulmana e della sua brama di conquista. Per quanto c i è dato conoscere dalle fonti, l a prima incursione araba si abbattè sulle coste dell'isola g iu sto vent'anni dopo la morte di Maometto, nel 652 , gettando nel terrore gli abitanti, completamente ignari dell'esistenza del nuovo feroce nemico. La base di partenza per quel1' iniziale raid non fu la prospiciente costa nordafricana, ma quasi certame nte la Siria, vanamente difesa dalle truppe di Bi sa nzio nel biennio 634-635, e sottratta all'Impero, integralmente ed in-eversibilmente, agli ini zi degli anni '40.

Secondo altri autori, invece, quella remota incursione, foriera di infinite sciagure per l ' isola e per le coste peninsulari in genere, si originò dalla Pentapoli170> Resta comunque significativo, ed emblematico, che capofila dei bersagli oltremare dei musulmani s ia stata principalmente la Sicilia. Con due immediate conseguenze per gli attaccanti: 1a verifica di una capacità nautica, affatto sco ntata e sperime ntata per l'innanzi, e, cosa ancora più grave per gli Occidentali, la constatazione dell'inimmaginabile inettitudine bizantina a salvaguardare quell'estremo quanto strategico lembo dell'Impero.

L'invio da parte di Roma, tenuta alla salvaguardia dell'isola, formalmente patrimonio di S. Pietro 0 1l, di un contingente agli ordini dell'esarca Olimpio, nel 649, testimonia , indirettamente. l'abnorme protrarsi nel tempo del drammatico contesto. Per giunta, allorquando, finalmente le truppe entrarono in contatto con i predoni, non riuscirono a ributtarli a mare, nè quelli, a loro volta, ad annientarle. Il tragico stallo si risolse soltanto con la morte, di peste, di Olimpio e con il reimbarco dei musulmani, resi pavidi dal diffondersi di voci circa un imminente sopraggiungere dei dromoni di Bisanzio. La squadra imperiale, disgraziatamente, non comparve mai nè ali' orizzonte nè sulla rotta di rientro delle imbarcazioni arabe cariche di bottino e di prigionieri, incrementando così negli aggressori la presunzione di impunità e la certezza di ingentissime prede. Le razzie iniziarono da quel momento a succedersi incessantemente con andamento stagionale, e quella che si abbattè sull'isola nel 699, ricordata dai memorialisti come la seconda, in realtà fu tale solo relativamente alle maggiori. In quella circostanza, una poderosa formazione, forte di 200 vele, attaccò la stessa Siracusa, devastandola atrocemente. Gli abitanti, che nel frattempo avevano avuto modo cli apprendere le caratteristiche delle scorrerie, in buona parte riuscirono a scampare alla cattura rifugiandosi, al profilarsi della sciagura, nelle tante fortificazioni limitrofe che, in quei frenetici anni, erano state rapidamente erette, o riattate, soprattutto sulle impervie cime interne dell'isola. Il che non impedì ai razziatori di trarre alle loro navi, dopo un mese di permanenza, oltre ad una ingentissima quantità di oggetti preziosi, alcune migliaia di disgraziati siciliani da vendere schiavi.

Fino a quel momento, però, pur osservandosi una progressi va dilatazione dei tempi di durata delle razzie, e, per contro, una netta riduzione degli intervalli fra le stesse, non si ravvisavano nei musulmani nè un esplicito disegno nè la forza sufficiente per una conquista permanente. Manifestatasi, senza la benchè minima attenuante, 1· inadeguatezza bizantina a contrastare le incursioni, la sopravvivenza degli abitanti dipese esclusivamente dalla loro capacità di sottrarsi alla cattura, ovvero daJla disponibilità di fortificazioni. Anche la più scalcinata recinzione, infatti, si dimostrava per i predoni praticamente inespugnabile, in assenza della competenza tecnica e del tempo necessario all 'espugnazione nonchè dell'interesse a cimentarvisi.

Stando alle cronache, in quei terribili anni i Siciliani cercarono salvezza: " . .. fuggendo per munitissima castra et iuga montium, come ripetono le fonti latine che hanno tramandato ricordo del1' episodio. Si tratta evidentemente di un ' espressione fin troppo generica e ricorrente, il cui uso appare ancor più topico in fonti non contemporanee ai fatti narrati. Si può però almeno ipotizzare che antichi centri della Sicilia sud-orientale, come Mineo, Lentini, Akrai, Caltagirone, per la loro stessa posizione topografica e per la soprav viven z a probabile di fortificazioni d ' età indigena o greca , abbiano potuto offrire un minimo di protezione a chi cercava scampo allontanandosi da Siracusa espugnata e dalle coste aperte e indifese " C72•

Nel mentre le navi bizantine e siciliane si logoravano in estenuanti ed inconcludenti crociere costiere, nella vana illusione di contrastare i raid corsari arabi m' , sullo scenario internazionale l'avanzata islamica terrestre non concedeva tregua. La Siria non era stata ancora completamente conquistata, che già le armate musulmane, scavalcato Suez, dilagavano nella valle del Nilo. Alessandria capitolò nel settembre del 642, Tlemenc nel 677, e, tra il 680 ed il 683, caddero Tangeri ed Agadir. Allo scadere del VII secolo l'intera fascia litorale nordafricana era quindi saldamente nelle mani musulmane. Le conseguenze per la Sicilia, come per la Spagna, non si fecero attendere<74 J _

La dinamica espansiva islamica, infatti, lungi dall'essersi appagata dei tanti successi, si cimentò in una nuova strabiliante impresa, avviata agli albori del VIII secolo: la conquista della penisola iberica. I prodromi consistettero in un grande assalto anfibio, condotto da un contingente berbero di 7.000 uomini sbarcati. agli ordini di Gebel el Tariq, da cui lo stretto trarrà il nome di Gibilterra, nella baia di Algesiras nel 711. In pochi mesi Cordova e Toledo capitolarono e nell'anno successivo, sopraggiunti i rinforzi dall'Africa, Ja conquista si ampliò rapidamente per poi stabilizzarsi per i successivi sette seco li.

Ovviamente, nel frattempo, in Sicilia si moltiplicavano le incursioni, sem pre più pesanti: " .. .il fatto però che in almeno tre casi (nel 704, nel 705 e nel 729-30) i musulmani siano sbarcati con forze ingenti, ponendo anche l'a ssed io a città murate, potrebbe far ritenere che fin dal primo quarto dell'VIII secolo, sull'onda dei successi travolgenti ottenuti in Africa e Spagna, la strategia dell'espansionismo islamico non escludesse l'ipotesi di conquista della Sicilia. Assediare città fortificate e non evitare lo scontro campale con le truppe nemiche sono scelte tattiche che male s i addicono a bande di predoni , interessati in primo luogo alla razzia e al bottino; mentre servono certamente alle avanguardie di un esercito di conqu i- s la per sagg iare le possibilità difensive del nemico, impegnandolo a fondo ... " 17si

Il problema musulmano per Costantinopoli divenne, a quel punto, assillante, essendosi ormai compreso che non si trattava di un effimero episodio, ma del sorgere di una nuova potenza meditenanea. Non a caso fra i primi provvedimenti militari, spiccano quelli relativi al potenziamento della flotta.

Occorreva, infatti, un'arma non solo possente, ma anche e soprattutto rapida , pronta ad intervenire, su brevissimi allertamenti, contro un nemico insidio so e sfugge nte. Il trasferimento anche alle regioni costiere del sistema dei 'temi' parve allora la soluzione per antonomasia.

L'Impero bizantino: " molto più dell'impero romano, era uno Stato marittimo, profondamante interessato ai problemi deJ commercio e dell'industria. Le strutture militari rese necessarie dalle quasi continue guerre difensive erano molto costose, così come molto costose erano le esigenze della corte imperiale e della burocrazia e, infine, della diplomazia bizantina

L ' importanza del commercio spiega l 'interesse dedicato ai problemi della marina. Compito della marina imperiale era quello di vigilare non su grandi territori ma su importanti centri commerciali bizantini e sulle rotte che li collegavano con aree commerciali straniere. Ciò significava il controllo, diretto o indiretto, della costa della Crimea, dello s tretto di comunicazione, vitale tra il mar Nero e il Mediterraneo , delle città portuali dell'Adriatico

Nell'ottavo seco lo l 'estensione dei temi alla marina diede al sistema navale bizantino la sua forma finale. La marina permanente contava allora cinque flotte: la imperiale di base a Costantinopoli, e flotte provinciali di stanza sulla costa meridionale dell'Asia Minore, a Ravenna, in Sicilia e nelle isole dell'Egeo. Come nei temi terrestri, ogni distretto navale, comandato da uno strategos, pagava la maggior parte dei costi della flotta assegnatagli " <161

Quest'ultima precisazione mette a fuoco un altro grosso problema bizantino: l'esasperato ed inumano fiscalismo, che pur inad eguato a reperire le enormi ri sorse monetarie necessarie ad alimentare un insipiente quanto costoso apparato difensivo , alienava definitivamente le residue simpatie imperiali. In ogni caso la fonnazione ufficiale del tema di Sicilia, che fra il 692 ed il 695 finì per comprendere anche una parte del meridione continentale, segnò l'abbandono bizantino del Nordafrica e l'avvento di una strategia navale centro-occidentale.

In effetti la logica i s titutiva dei temi marittimi rispondeva ad un criteiio di decentramento delle forze, per meglio adeguarle alle diverse esigenze dell'Impero.

Pertanto , per concretizzare l ' intento , il: " ... comando unico della flotta fu soppresso e si crearono i comandi marittimi regionali indipendenti, ma che dipendevano da Costantinopoli nelle regioni minacciate dagli Arabi. Si tratta della flotta dei temi, di stinta da quella di stanza a Costantinopoli. Ogni flotta reg ionale è sotto il controllo dello stratega del tema , se questo è unicamente marittimo (flotta tema- tica), o di un ufficiale subalterno, il drongario, che dipenderà in questo caso dallo stratego del tema (flotta provinciale). Le flotte tematiche per la maggior parte sono equipaggiate e mantenute (uomini e denaro) dalla provincia, mentre le flotte provinciali, meno importanti, sono essenzialmente a carico del potere centrale.

Questa riforma modifica quindi la struttura della marina bizantina di fronte alla flotta araba: a) la flotta imperiale , composta di navi pesanti, è riservata alle spedizioni lontane e al controllo delle vie marittime internazionali; b) la flotta provinciale, costituita da battelli leggeri, è addetta alla guardia delle coste; c) la flotta tematica che comprende navi di ogni sorta, armate di fuoco greco, protegge il proprio paese d'origine e attaca il nemico in largo raggio d'azione ... " (771

In virtù del dispositivo citato, e forse addirittura prima della sua effetti va e piena attuazione, intorno alla metà dell'VHl secolo, la Sicilia sembra disporre di una sua considerevole flotta , di tipo tematico. La soluzione , tuttavia, valse appena ad alleviare l'offensiva musulmana di tipo incursivo ma nulla potè contro quella invasiva. Infatti nell'827 si ebbe il primo poderoso tentativo di conquista dell'isola: gli aggressori, favoriti forse da un alto ufficiale bizantino, sbarcarono a Mazara, dirigendosi verso Siracusa.

Per una serie fortuita di circostanze, almeno per quella volta, la città scampò all'attacco. Ma, diversamente da quanto avveniva nelle tradizionali scorrerie, i musulmani non ripresero il mare, preferendo accamparsi in una vasta testa di ponte, da dove, sopraggiu nto un secondo cospicuo contingente, nella primavera del '30, avviarono sis temati came nte l'assoggettamento della Sicilia, prendendo innan zitutto Palermo.

Tralasciando di addentrarci ulteriormente nei dettagli della travol gente avanzata, ricorderemo soltanto che ne11'843 capitolò M essina e nel1'859 Enna. Siracusa riuscì a re sistere ancora per altri diciannove anni. Taormina, ultima sp lendida capitale bizantina, si arrese nel 902; nel 965 la conquista di Rometta, estre- mo lembo cristiano sull'isola ne sancì il completo assoggettamento dominio musulmano.

L'arco cronologico schematicamente ricordato fu caratterizzato da una straordinaria proliferazione delle fortificazioni. lnfatti il disperato tentativo di: " ... consolidamento del potere imperiale di Sicilia passava ... obbligatoriamente attraverso il rafforzamento della potenza militare del thema: e questo si concretizzò in primo luogo con un grande impegno di fortificazione del territorio cui fu abbinato anche un tentativo, rivelatosi alla lunga fallimentare di maggior controllo dei mari siciliani.

Di contro al silenzio delle fonti bizantine ed occidentali, le testimonianze di parte araba sulle misure difensive allora adottate dai rum sono estremamente vivaci. Secondo lbn al Athir, storico musulmano vissuto fra il XII e XIIJ secolo, i bizantini, approfittando della rivolta berbera I metà dell'Vlll secolo] e quindi della stasi nelle incursioni, «ristorarono ogni luogo dell'isola, munirono le castella ed i fortalizii e incominciarono a far girare ogni anno nella stagione intorno alla Sicilia delle navi che la difendevano».

Un altro scrittore musulmano del Xlll secolo, An Nuwayri, con toni ancora più incisivi riferisce che «il paese fu ristorato d'ogni parte dai Rum i quali vi edificarono fortalizi e castella, nè lasciarono monte che non v'ergessero una rocca».

L'esagerazione è probabile, ma al di là dei toni iperbolici emerge ugualmente in maniera drammatica l'immagine di un grande e precoce fenomeno di incastellamento originato da una situazione di conflittualità mediterranea che la deflagrazione araba aveva innescato. E di cui lo scontro musulmano-bizantino duramente combattuto in Sicilia rappresenta un grande e tardivo episodio.

Questa realtà è confermata senza incertezze dagli avvenimenti degli anni successivi. L'armata musulmana condotta da Asad ibn al Furat iniziò nell'827 la conquista di un paese notevolmente diverso dalla terra impunemente saccheggiata dai primi incursori nel corso del VII ed V III secolo. La Sicilia è ora difesa da decine di abitati fortificati che i musulmani dovranno assalire e conquistare o costringere alla resa uno per uno, durante una serie di campagne protrattesi complessivamente per più di settant'anni... " 08 •

Le fortificazioni bizantine ed arabe in Sicilia

La proliferazione delle fortificazioni bizantine in Sicilia, come già a suo tempo osservato, non derivava dalla tardiva constatazione della loro efficacia, ma dalla comprovata incapacità degli aggressori ad averne ragione. Logicamente, con il trascorrere dei decenni e con il molti pi icarsi dei confronti ossidionali, tale inettitudine scemò, fino ad esaurirsi del tutto, vanificando l'apporto delle opere meno elaborate.

Da quel momento i musulmani, ormai edotti dall' esperienza acquisita nel settore, mentre decurtavano sensibilmente i tempi di resistenza degli ultimi caposaldi, iniziarono ad erigere anche loro nuove fortificazioni, o a riattare quelle conquistate, per meglio radicarsi in Sicilia. Qualche secolo dopo, di fronte ali ' intensificarsi della riconquista cristiana il ricorso alle strutture difensive attinse il suo acme. In molti casi ciò equivalse alla semplice riparazione delle sezioni danneggiate delle più antiche fortificazioni, o alla costruzione di modestissime opere su alture naturalmente impervie, ma non mancarono in alcune circostanze apporti originali attinti dalla tradizione etnica araba. Ma i bizantini prima, e i musulmani dopo, edificarono quelle strutture, in contesti di estrema contingenza per cui esse raramente sopravvissero; le poche rimaste in piedi, d'altra parte, in epoca posteriore, finirono per lo più ridotte dai locali a modestissime cave di pietra o disgregate dalla natura. Pertanto è possibile fornire su di esse appena alcuni ragguagli tipologici, estrapolandoli dalle più emblematiche.

Tra quelle di matrice bizantina:

Cefal ù fu a lungo una delle loro principali piazzeforti è descritta dagli autori arabi come città dotata cli mercati, bagni, mulini e di una grande rocca, ovvia- mente installata sulla singolare formazione rocciosa che sovrasta l'abitato. In patticolare secondo un autore arabo coevo, di origine andalusa, la rocca in questione era talmente fonnidabile, nella sua quasi assoluta inviolabilità , da non trovare equivalenti. Di certo: ·'.. .il castrum di Cefalù continuò ad essere uno dei più importanti fortilizi demaniali dell ' isola fino al XV secolo. Sorgeva sulla Rocca: attualmente sopravvive in parte la grande cinta muraria che chiudeva tutto il vasto terrazzo superiore del rilievo seguendo il ciglio delle pareti. Rimangono inoltre tratti delle mura che cingevano la vetta della Rocca e alcuni avanzi del mastio , sempre in cima. Questi pochi re sti architettonici non sono databili con precisione. " 09 )

Taormin a fu descritta dai geografi arabi come una importantissima fortezza e città bizantina, operando una puntigliosa differenziazione fra la sua fortificazione perimetrale e la rocca. ln dettaglio: ·'.. .il castello di

Taormina, conservatosi in discrete condizioni, sovras ta la città dalla cima del monte Tauro (rn. 398), tradizionalmente identificato con l'acropoli della città antica. Nella sua configurazione attuale consta di un ampio cortile cintato a pianta irregolrumente rettangolare e di un mastio articolantesi i.n vari ambienti. Il complesso non presenta parti che po ssa no essere attribuite con certezza ad età normanna e per la sua persi ste nte rilevanza subì ce1iamente ripetuti interventi di modifica e restauro .'''~0 ' Più in dettaglio la fortificazione bizantina era ubicata in modo da poter controllare il valico s tradale fra la valle dell 'Alcantara e la costa 01ientale, e probabilmente si disponeva su diverse quote. La più bassa coincideva con l'attuale abitato, J' intermedia, in grado di dominare la precedente, corrispondeva al caste1Jo ed ai suoi dintorni, mentre la sommitale va identificata con l'odierno Castelmola, picco quasi inaccessibile la cui interdizione difensiva può ascriversi so ltanto ad una fase di e~trema res istenza.

Castrogiovanni i suoi iuderi si rinv e ngono impiantati a circa 1000 mdi quota, non lontano da Enna. Per quanto s toricamente accertato fu la: " roccafo1te della resis tenz a bizantina e quindi fortezza mu s ulmana [e] continuò ad avere una notevole impo,tanza militare anche in età no,manna. L e s ue poten z ialità difen s ive e strategiche erano ben evidenti ad Idri s i che cosl la descrive: «c ittà posta s ulla sommità d ' una montagn a, racchiude un forte castello e saldo f01tilizio . .. insomma il più forte dei paes i. » ... Ha pianta irregolarmente poligonale, mw-a esterne che s i s nodano per ca 500 m. ed è s uddiviso da mura interne in tre grandi coitili per una superficie complessiva di quasi 30.000 mq. Cinque ton-i proteggevano la cinta esterna ed altre cinque sono disposte s ui punti più rilevanti delle mtu-a inteme " (8 1> Sebbene non se ne conoscano con certe zza le caratteristiche difensive, è assodato che l 'abitato ris ultava nettamente se parato dalla rocca, al punto che essa, nell'837 , co ntinuò a resistere a lungo dopo la conquista del borgo.

Monte Cassar so pra Castronovo di Sicilia, ad onta del toponimo da] chiaro significa to arabo qasr, (castello ) conserva rud e1i che so no con-entemente attribuiti a ll e dife se bizantine. In particolare nella murazione che s i s noda s ulla s ua so mmità: " .. .il muro , che prese nta lo spessore costante di ca. 3 rn ., è costitu ito da due paramenti di spezzami di calcare locale grezzi o solo parzialmente sgrossati, di piccole e medie dimens ioni , po s ti in opera a filari sen z a molta regolarità. Le pietre del paramento esterno, inoltre, laddove l'assenza di interramento permette l'o ss ervazione, appaiono prevalentemente disposte di taglio, in senso ortogonale ri spetto ali ' andamento del muro s tesso. La malta adoperata, piuttosto friabile, è s tata in gran parte asportata dagli eventi atmosferici Di una prima toITe esistente su questo tratto iniziale di muro esistono solo scarsi ss imi resti.

A questo primo tratto segue una seconda torre assai ben conservata; a pianta rettangolare , essa aggetta totalmente dal muro per ca . 5.80 m. ed è lun ga ca. 8.60 m. Le cortine della toITe s i so no conserva te in alte zza nel punto mas s imo per più di m 1.50. Anche la tone presenta riempimento di emplecton e paramento esterno realizzato in filari di blocchetti calcarei più sgrossati di quelli messi in opera nelle cortine del mmo. Da questa torTe la muraglia prosegue per ca. 65 m. con andamento simile ad una doppia curva assai larga [quindiJ un 'al tra torre o meglio una sot1a di bastione lungo apparentemente ca. 18 m. ed aggettante per 6. Il muro pro seg ue per altri 60 m Si incontra quindi una qum1a torre dalla pianta difficilmente precisabile, ma forse poligonale o semicircolare. Da questa il muro prosegue per ca. 50 m. fino ad una quinta torre molto rovinata Seguono altri 120 111. di muro ... e quindi una sesta torTe apparentemente rettangolare, lunga quasi 10 m. ed aggettante per 7. Ancora un tratto di murario di ca. 80 m. e ancora una setùma torre ... Da que s to punto il muro si inerpica bruscamente ... per uno sviluppo lineare di ca. 80 rn ... Superato il dis livello, il muro si ripresenta in tutta la sua evidenza e segue per più di 100 111., con due t01Ti molto rovinate. Dopo la seconda di esse la cinta compie un'ampia cu rva e quindi tira dritto in dire z ione N per ca. 120 m., andandosi a saldare ad un massicc io torTione quadrangohu-e (10 m. xll). Dallo spigolo opposto di questo un altro tratto di muro rientra in direz ione S, correndo parallelo al primo alla distanza di ca. 20 m È ques to il tratto meglio conservato della fortificazione ed anche il più particolare, presentando una struttura di versa da quella già descritta. Il muro, il cui spessore è costantemente di 3 m., presenta anche qui due paramenti e riempimenlo interno. La particolaiità sta, in entrambe le cortine, nell'impiego di grossi monoliti grezzi messi in opera verticalmente o di pilastri formati di alcuni blocchi più piccoli sovrapposti: si fomiano così specchiature di paramento lunghe in media 3 m. 1iempite con pietre e spezzami di dimensioni diverse e alcune volte sommai·iamente sbozzate "•&2 )

La singolare tecnica appena descritta somiglia moltissimo a quella utilizzata dai Fenici, quasi un millennio prima, sempre in Sicilia. Tuttavia la: " struttura muraria a telaio trova un parallelo immediato in quella utilizzata nei paramenti di alcune fo1tezze bizantine d'Africa, come Teboursouk. ..Tifich o Timgad, in Numidia. Si tratta, com'è noto, di una tecnica costruttiva rapida ed economi - ca, molto diffusa in ambito punico, quindi passata nell ' architettura dell'Africa romana, fino ad età esai·cale (o pus africanurn) [Nel caso in questioneJ è da segnalare l'utilizzazione come rinzeppamento... dei soliti frammenti di tegole a superficie esterna sedata , tardo romane o bizantine. Questi elementi pennettono di propoffe ragionevolmente c he la cinta del Cassar sia in effetti una realizzazione di età bizantina... [forse] la località fo1tificala bizantina chiamata da Ibn al Athir qasr al gadid ('castello nuovo' ) da cui Ca,tronovo "(83 ,.

I ruderi delle fortificazioni edificate dai musulmani in Sicilia , nel corso della loro relativamente lunga dominazione, appaiono ancora più incon s is tenti di quelli bizantini. Infatti, evitando di dilungarci in tentativi di identificazioni eccessivamente ipotetich e, s i deve: " ... escludere che la lunga guerra di conquista inziata ne11'827 abbia provocato in gran numero distruzioni ed abbandoni completi di centri abitali rilevanti e comunque caratterizzati. in età tard o antica o bizantina, dallo s1a1us di città o fortezza. Un invasore relativamente numeroso. deci so ad impadronir si di una terra p er insediarvisi e colonizzarla, non n e sconvo lge le strutture portanti dell'in se diamento, accanendosi contro le città conquistate spianandole ed arando le rovine .''<~4>_ Ne deriva che la maggior parte dei centri s iciliani di epoca musulmana continuò ad avvalersi delle precedenti forlificazioni, non subendo alcuna sensibi le alterazione d'impianto. Senza dubbio furono erette anche nuov e strutture difensive ma è credibile che per lo più si attenessero alla tipologia locale, reputata motivatamente superiore. In un caso almeno, però , è possibile, con tutte le dovute riserve, individuare in una enigmatica fortificazione sopravvissuta un criterio inforn1atore di tradizione squisi t amente araba, per quanto di remota matrice romana nella cosiddetta 'fortezza araba' di Mazzallacar, ubicata s ulle s ponde del lago ai·rificiale di Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento.

Jn dettaglio s i trarra di uno s trano: " ... recinto quadrangolare (5 I .60x 54.20 m. ) con agli spigoli quattro toITette c irco l ari (diametro m. 5) ad un so lo vano coperto da calotta mascherata ali' esterno dalla muratu- ra. Nelle torrette si aprono alcune feritoie circolari intagliate in blocchi di pietra, sfr uttabili evidentemente solo con armi da fuoco e certamente non con archi come ritenuto da chi per primo s i è occupato del munomento. Il muro di cinta è, a tratti, molto rovinato, ma doveva presentare un'altezza di ca. Sm: lo spessore e di 1.1 O m, ma si riduce a m. 0.76 nelle quattro torrette. Al recinto si accedeva mediante due porte aprentesi sui lati Ne S: al s uo interno non esistono tracce apprezzabili di edifici, se si esclude un ambiente rettangolare addossato all'angolo SE. La coJlocazione cronologica del recinto di Mazzallacar è piuttosto problematica ... " <ss > .

L'anoma lia rappresentata dalle feritoie per armi da fuoco, che potrebbero però essere s tate inserite successivamente, ed ancor più dall 'i ns ignificante spessore dei muri porterebbe ad escludere un'origine medievale e quindi musulmana della costruzione. Altri fattori, per contro, sembrano inve ce confortarla, in spe- cie se la si colloca nella fase ini ziale della conquista, quando la :fluidità degli scontri e la necessità di disporre sull'isola in tempi necessariamente brevissimi di basi s ia pur blandamente fortificate, costrinse senza dubbio gli invasori a reaJizzare un 'opera del genere di quella in esame attingendo alla loro esperienza in materia. Nessuna meraviglia allora, che il recinto appena descritto ricordi , in maniera estremamente significativa, i tantissimi e ben noti ribat: " fortini la cui costruzione accompagnò, in età abbaside, la progressiva conquista e l'assetto territoriale dell'Africa settentrionale. Le loro guarnigioni pare fossero formate da volontari a forte ispirazione religiosa, organizzati in una disciplina di vita paragonabile a quella degli ordini monastici , o, meglio ancora, degli ordini cavallereschi occidentali. Tale organizzazione appare rifle ssa dall'articolazione interna dei ribat ... La più ampiamente motivata proposta di datazione riferisce il ribat di Susa ancora all'VIII seco lo , segnatamente agli anni

775-788, quando in nome dei califfi abbasidi, governava l a ffriqiya l 'e nergico Yazid ben Hatim, ricostruttore anche della moschea di Kairouan, mentre alla iniziati va di Ziyadet Allah, che in una iscrizione a11 ' ingresso dell'alta torre di guardia, insistente sullo zocco l o quadrangolo che prende il posto della torre rotonda nell'angolo sud - occidentale, si proclama costruttore dell'edificio nel1'821. viene attribuita solo la costruzio ne della torre medesima, primo rimaneggiamento di molti c he hanno adeguato la forma e le caratteristiche del ribar al vari are delle funzioni "(86>

Simili ai ribat sono, del resto, anche le qala: " villaggi di 50-100 meni di lato, cli pianta quadrata, con torri di difesa agli angoli. Le celle di abitazione so no addossate alle mura, mentre nello spazio interno si trovano i magazzini, le stalle, i recinti per l a raccolta del bestiame. Nel complesso possono far pensare a dei fortini come quelli diffusi in tutto il mondo arabo-romano, oppure a caravanserragli . Molti dei loro caratte1i snutturali e difensivi derivano sicuramente dai castra romani. Si situ ano prevalentemente nelle piane aperte, nelle aree pedemontane, attingendo l 'acqua per l 'irrigazione delle oasi circostanti dalle falde alla ba,:;e dei ri liev i attraverso i qanat, i canali sotterranei <81> Dal punto di vista difensivo sono organismi fragili cons iderando il l oro rifornimento idrico dall 'es terno e la precarietà della costruzione fatta di argilla impastata . .. " ( 88 )

Le fortificazioni pedemontane di Amalfi

A differenza della Sicilia, irrimediabilmente persa per Bisanzio già nel X secolo , la Puglia ed alc uni centri costieri campani e calabri rimasero ancora a lungo fra i suoi possedimenti , nonostante i ripetuti attac c hi lon gobardi e sarace ni , g razie so prattutto alle loro fortificazioni . Si trattò , indubbiamente, di una sovranità eminentemente formale e quasi mai s upportata da una precisa guida p o liti ca, c he rimase quindi dovunque più o men o autonoma, a] punto di dare origine, in un caso almeno, persino ad una si ngo lare repubbli ca marinara, quella di Amalfi. La collocazione di 'frontiera' di quest'ultima finì col renderla un rarissimo esempio di sintesi storico-culturale delle maggiori civi ltà del Mediterraneo.

La prima occasionale menzione di un borgo marinaro, insediato in una piccola insenatura della frastagl iatissima pen isola che delimita a nord il golfo di Salerno, risa le a l 596 . Oltre un seco l o dopo le fonti, includendolo fra le dipendenze del ducato di Napoli, ne rico rdano anche la cerchia muraria. Stando alla tradizione più acclarata:

" .i Romani vennero ad abitare in questi luoghi per la fortezza del Sito ne' tempi, che Roma stava sossopra dagl'insulti de ' Goti. Li quali per s icurtà della lor vita abbandonando la propria patria sù questi monti , ricov e roron s i: cosa che viene approvata da molti Scrittori, e tra gli altri dal Surnmonte, il quale in far parola delle guen-e di quei tempi. così scri sse Per raggiane delle suddette guerre ira ' Goti, e Imperiali essendo Roma di amhe due gli eserciti, h or perdura. e hor recuperala, non potendo i Romani far più le loro abitazioni in Roma, molti d'essi come vuole l'Ammirato ad abitare nelle nwrine di terra di Lavoro ne vennero, che da una parre di costoro ebbe origine la piccioi,a Republica Amalfitana, sincomè quella di Aquilea fecero di Venezia. Con tutto ciò !'eruditissimo Dottor Francesco di Pietro dopo aver riferito dietro ciò varj oppinioni, mosso dall'autorità di a ltri scrittori, questo istesso viene a confitmare: Stabilendo che in niun altra parte d'Italia il sangue de' Romani se hà possuto conservare salvo in questa Costa " ,891_

Così scriveva, al la fine del ' 600, il sacerdote Francesco Pansa, riproponendo una leggenda o rmai scontata in Amalfi, c he però, ad una più attenta analisi, non risu lta destituita di c red ibilità storica. È molto probabi le, infatti, che un gruppo di atterriti fuggiaschi difficilmente cittadini di Roma ma più verosimilmente c ittadini romani abbandonata l a pianura campana, dove imperversavano implaca bili orde barbare cli ogni risma, cercasse scam po inerpicandosi sui mon ti Lattari . Guadagnatane fati cosamente la cresta, ai loro occhi apparve allora, al di là dello spartiacque, il ripidissimo versan te me ridi o nale , ricco di piccole cale, angusti fiordi e capaci anfratti: rifu gio ideale per superare quei terribili momenti . Qu anto alle risorse, il mare avrebbe compensato in abbondanza quelle che l a terra les ina va. Per l'inaccessibilità dei luog hi , sinonimo di s ic urezza e u·anquillità, l'asilo da temporaneo s i trasformò in definitivo , determinando la fo1mazione di un borgo e, forse, la c osll1lzio ne di alcune fo1tificazioni. Qu est'ultime di sicuro, comunque, vennero erette dopo la conqujsta longobarda di Salerno. Nel Pacrum. Sicardi dell'836. un accordo di non aggressione tra Amalfi ed il principe dj Benevento Sicardio, si fa infatti inequivocabile riferimento aJI 'esistenza di un castello. Nè patti nè difese valsero però a rispaimiare all'abitato amalfitano l'assalto dei bellicosi vicini, che si concluse con l'immancabile distruzione del castello.

Significativamente, tuttavia, proprio a quel medesimo scorcio storico rimontano le prime informazioni sull'organizzazjone politica della cittadina: dal Chronicon Salemùanum, infatti, risulta che, all'indomani del rapidissimo recupero deJJ ' indipendenza, venne eletto suo capo, con il titolo di comes, un tal Petrus. La vicenda conferma esplicitamente l'affrancamento di Amalfi da ogni residua sudditanza aj bizantini cli Napoli conseguenza forse della mancata protezione militare ed implicitamente, la già rilevante potenzialità economica degli ainalfitani, unica spiegazione del ritiro longobardo. In ogni caso, a partire dall'896, si avvicendarono alla guida di Amalfi, prefetti di estrazione ereditaria, i quali dal 957 assumeranno il titolo di duchi, ulteriore riscontro della maturata autonomia.

Da un punto di vista aggregativo la cittadina, nel frattempo, si era articolata in una serie di insediamenti satelliti, quali Atrani, Minori, Maiori, Ravello, Scala e Positano, assetto logicamente imposto dalla paiticolarissima conformazione geomorfologica dei luoghi che. impedendo l'espansione urbanistica, costringeva al decentramento residenziale ed alla compartimentazione difensiva. Nello stesso periodo, nonostante la ricordata autonomia amministrativa raggiunta, non si coglie alcuna interruzione dei rapporti con Bisanzio, sebbene sulla base dei pochi documenti rimasti, sembrerebbe che: " ... si svolgessero sul piano privato anzichè su quello istituzionale " <9<'). Si spiega così l'utilizzazione di una monetazione occasionale, inizialmente longobarda e successivamente siciliana, ma mai bizantina, fino alla coniazione di una propria moneta. Del resto anche nelle questioni internazionali, Amalfi ostentò sempre una non allineata scelta di campo, spesso diametralmente opposta a quella imperiale. comportamento precipuo di uno stato sovrano. È emblematico che nella sua opera, il già citato geografo arabo Ibn Hawqal, descrivesse Amalfi come la città:

" più prospera di quelle abitate della Longobardia, la più nobile, la più illustre per condizioni, la più ricca. la più opulenta. Il territorio di Amalfi è vicino a quello di Napoli. che è una bella città ma non importante come Amalfi ... " '" ''.

In verità. se rapportato alla rilevanza economica di Amalfi, esito dei lucrosissimi traffici fra i suoi innumerevoli scali commerciali, disseminati lungo le coste del Mediterraneo, in regioni sia cristiane che musulmane, il teffitorio che la piccola repubblica, gradatamente, riuscì a ritagliarsi e, soprattutto, a rendere inviolabile appare inusitatamente risicato. Si trattava, in estrema sintesi, di una frazione della già strimenzita penisola amalfitana, stretta per giunta a nord-ovest dal ducato di Sorrento ed a sud-est dal principato longobardo di Salerno. Nel periodo della sua massima espansione, infatti, Amalfi si estendeva sul versante costiero della catena dei Lattari, da Cetara a Positano, compresi gli inospitali scogli dei Galli e la splendida, e semjdeserta Capri, mentre su quello campano si arrestava alle loro basse falde, inglobando i villaggi di Lettere, Gragnano e Pino.

Nonostante l'evidente modestia del] ' espansione territoriale, per rendere inattaccabile quel!' enclave occorse una catena di massicci caposaldi che vennero impiantati proprio nei menzionati villaggi pedemontani , trasformati così nel fronte a terra della Repubblica. Per la loro ubicazione essi vennero definiti correntemente castelli stabiensi, senza però che se ne conosca con certezza, antecedentemente al Mille, nè i I numero nè la dislocazione. Più precise informazioni, invece, si rintracciano per il periodo successivo, anche sulla scorta di permanenze architettoniche: il che ci consente di analizzare, con sufficiente attendibilità. non solo la concezione di tale sistema interdittivo concatenato , ma anche quelJa fortificatoria dei singoli casteJli che lo costituivano.

Sebbene la nostra analisi si limiti ai soli castelli di Pino e di Lettere , è comunque sufficiente per comprendere il disegno strategico complessivo e le caratteristiche strutturali dei suoi caposaldi , sostanzialmente simili fra loro.

Castello di Pino

In base al1e fonti disponibili , dovrebbe es sere stato il più antico, rintracciandosene menzione già nel 940: in ogni caso rappresentava il caposaldo nodale verso settentrione , al quale mai si lesinarono aggiornamenti e guarnigioni. Persino dopo la perdita delJ'indipendenza del ducato, conservò a lungo la sua importanza, venendo abbandonato soltanto in età vicereale, quando ormai la logica difensiva era diventala as solutamente diversa. Da allora subì la devastazione del tempo e degli uomini. con esiti immaginabili.

D suo sito d'impianto si conferma di straordinaria validità, consistendo nella sommità di una collinetta di circa 570 m. appena di s taccata dalla catena principale e pertanto al riparo da possibili attacchj dal1'alto. Da lì si riusciva perfettamente a controllare l'adiacente valico Pino-Agerola, uno dei due acces s i montani alla costiera amalfitana. Del castello propriamente detto non rimane quasi nulla , mentre è invece ancora possibile identificare le sezioni basamentali della murazione turrita del borgo, che gli si addossò secondo la prassi dell ' epoca

In dettaglio: " .. .l'andamento del circuito murario è anche ricostruibile nel lato occidentale della collina dove, adattandosi alla morfologia del suolo. segue le curve di livello.

Nel lato orientale le mura sono conservate fino ad una torretta pentagonale .T n questa zona, immediatamente all'interno del circuito muratio , si notano i resti di una robusta struttura nel punto più elevato della collina e che potrebbe essere identificata con il torrione o il mastio del castello.

Di questo edificio resta, parzialmente conservato in alzato , solo l'angolo occidentale e parte dello zoc- colo perimetrale, su cui sono nati molti alberi e una rigogliosa vegetazione, che rende impossibile una più accurata valutazione.

Si tratta di una struttura realizzata con pietre calcaree spaccate, cementate con una malta grossolana ma piuttosto resistente. Il paramento è stato realizzato in maniera irregolare utilizzando pietre di circa 20x30 cm., miste ad altre di minori dimensioni, con rari tentativi di regolarizzare il piano di posa ... La pianta di questa struttura è in parte ricostruibi1e ... [e] mostra un impianto poligonale, con almeno tre ... [puntoni] terminanti ad angolo acuto ... " '92 '

Castello di Lettere

Il sito d'impianto del castello di Lettere già all'epoca della sua primitiva edificazione era probabilmente occupato da una precedente fortificazione, forse di origine romana, con un adiacente villaggio di modesti ssi- ma entità, probabilmente un vicus. Dal punto di vista geomorfologico, anche in questo caso, si tratta di una falda pedemontana che s i protende autonomamente sulla piana sottostante solcata dal corso del Sarno, all' epoca confine fra i Longobardi di Salerno ed i Bizantini di Sorrento. Sulla sua sommità a 340 m di quota, si stagliano i mae stos i ruderi di un possente castello che ingloba, tra le sue murature , inequivocabili e significative testi monianze dell'antica rocca stabiense.

Planimetricamente: " ... ha forma trapezoidale e conserva quattro torri di cui la più alta ha funzione di mast io.

L a cortina muraria è conservata solo su due Jati mentre nel terzo lato , verso nord è quasi totalmente scomparsa ... [del restoJ il ripidissimo declivo della collina [ne] rende ... quasi imp oss ibil e l 'a ttacco ... Proprio per questo motivo la porta della rocca era stata posta da questo lato, a fianco del mastio . Di essa restano ancora gli stipiti. solcati dai binrui di una saracinesca cli chiusura...

57 Lette re, planim etria del cas tell o.

Un secondo ingresso è presente nella cortina fra il mastio A e l a torre B, ha dimen s ioni più limitate ed è oggi ridotto ad un semplice varco ... Lungo il lato meridionale l a cortina è stata rifoderata con un paramento a sc arpa di pietre calcaree spaccate, me sse in opera con molta malta ed in maniera piuttosto irregolare ... Lun go tutto il perimetro della rocca è possibile individuare, oltre alla fodera di cui si è detto, complesse stratificazioni e ripetute sopraelevazio nj della cortina muraria , c he corr is pondono a divers i momenti ili evo lu zione e restauro deJla struttura

Uno degli elementi più antichi delJa rocca è il mast io ... [che] presenta una base poligonale a scarpa con cornice in tufo nel punto d'attacco fra la scarpa e la parete verticale .. ."c 9~i

Logicamente que s te ultime connotaz iom rappresentano g li adeguamen ti apportati alla s truttura dopo l'avvento de ll e artiglierie, e , non a caso, trovano significative so mi g lian ze nell e mastodontiche falsebrache d e l Castelnuovo di Napoli, edificate nello stesso periodo. Circa le alt re tre toni, di dimensioni considerevolmente minori , la prima ha una pianta semicircolare allungata, ed è inn estata aJ vertice di un angolo molto ottuso, in posizione mediana alla cortina, mentre alle estremità le restanti due sono circolari.

Le fortificazioni cos ti ere di Amalfi

Ovviamente , o ltre alle fortificazioni del fronte a tena, Amalfi disponeva di difese anche lungo la costa e s ulle isole di Capri e dei GaJJi, certamente di minore e ntità, non fosse altro che per la presenza de lla s ua battagliera flotta, ma non per questo in s ignificanti.

In particolare s ulla s plendida isola: " ... si conservano .. .i due castelli di Capri (Castiglione) e di Anacapri (Ca s tello Barbarossa). L'o pera fortificata sul monte Cas tiglione [mantiene quaJe] unico elemento originario l ' impianto planimetrico con torri quadrate innestate nella cortina setten trional e [mentre] del Castello Barbarossa, costitui to dal corpo centrale ...è ancora visibile un 'a lta torre quadrata. e ... una cortina esterna ad a ndamento planimetrico irregolare ... " 194 > Anche a Capri il borgo , aggregatosi nei press i del castello, ru s poneva di una s ua cerchia turrita di cui rimangono ridottissirru avanz i. L'es igenz a per gli Amalfitani di fo rtifi care un ' iso la, praticamente di sabitata e forse inabitabile per gli enormi rischi delle incurs ioni saracene, s i spiega con la nece ss ità de l controllo marittimo della zona ad occidente del loro territorio e dello stretto che immetteva al golfo di Napoli. Per gli s tessi motivi anche gli iso lotti dei GaJli r icevettero, intorno all'XI secolo, alcune difese, forse tre torri , menzionate in epoca successiva, di cui sopravvivono oggi scarsissimi ruderi. Le fortificazioni di Amalfi dislocate lungo la costa, oltre ad un numero imprecisabile di strutture minori, per lo più torri. consistevano essenzia lment e nel castello di Pogerola, nel fortil i zio di Santa Sofia e nella rocca di San Felice, ed , ovviamente, nelle mura urbiche correnti lungo la riva del mare e radicalmente schianta te dal catastrofico maremoto del XIV secolo( 9}>. A testimoniare tanta produzione restano .i ruderi del torrione dello Ziro, che sovrasta il centro urbano , e all'estremità meridionale della in senatura quello di S. Francesco, entramb i ripetutan1ente e vistosamente trasfom1ati dagli Angioini prima e dag li Aragonesi poi. Altre fortificazioni vennero erette a Mai01i , come l'imponente castello di S. Angelo, so rto nell'VIU secolo, forse in abbinamento con un tonione distaccato posto in luo go più elevato e come il baluardo di S. Sebastiano, sorta di sbm-ramento lungo circa 300-400 m e munito, lungo la cortina. di ben sei torri cilindriche, nonchè di un fossato antistante. n castello fu demolito alcuni secoli dopo, ufficialmente per far posto alla erigenda chiesa di S. Maria a mare, ma molto più verosimilmente perchè ormai giubilato e cadente, per cui nulla più se ne rintraccia. Del baluardo, invece, sopravvivono alcuni estremi segmenti, mentre le toni so no state trasformate in abitazioni. In epoca più recente, fu costru ito, sul co lle retrostante il piccolo centro, un nuovo castello, detto di S. Nicola de Toro Plano, capace di ospitare all' interno della sua cerchia, in caso di emergenza, tutta la popolazione, oltre 7000 abitanti. Di esso permangono cospicue rovine.

Che l'intero dispositivo difensivo amalfitano, appena riassunto, vantasse una ragguardevole validità lo dimostra non tanto l'incapacità longobarda ad averne ragione. quanto la lunga resistenza che fu in grado di opporre anche ai più evoluti Normanni. Tuttavia , agli inizi del XII seco lo Amalfi dovette cedere ai loro attacchi, ma solo perchè i suoi castelli investiti contemporaneamente da mare e da terra finirono col cedere uno ad uno alle soverchianti forze.

Le fortifica zioni bizantine di Scala

A brevissima distanza da Amalfi, quasi sulla montagna che ne sovrasta l'abitato, sta insediato Scala, piccolo paese le cui origini sembrano contemporanee a quelle della più celebre Repubblica marinara. Al riguardo, di recente, è stata formulata una interessante tesi che consente una suggestiva interpretazione dei resti delle sue fortificazioni. In particolare: " si ritiene che Amalfi e poi gli altri centri della Costiera siano stati fondati da Romani che qui naufragarono; cosa possibile ma che non spiega perchè poi Scala viene considerata come il più antico insediamento della zona. Le due tesi possono essere ritenute valide se consideriamo come Amalfi abbia avuto una direttrice di arrivo dal mare, mentre a Scala ci si sia arrivati da terra ...

L ' analisi dei manufatti murari del Castrum Scalae maio,;s avvalorerebbe l'ipotesi di uno stanziamento di genti che erano state a contatto c on i Bizantini e che co struivano secondo i loro sistemi. L'osservazione poi di stanziamenti difensivi (con caratteristiche analoghe a quelle di Scala) da me notati a Cipro (rocca di S. Hilarion) e , ancor più, in Turchia (cittadella di Ankara) , dovuti ai Bizantini, induce a considerare come Scala possa aver subito una notevole influenza bizantina (non determinata da via marittima) di diretto contatto con i dominatori delle Terre del Mezzogiorno prima delle guerre contro Goti e Longobardi.

Se l'impianto su terreno roccioso e scosceso, in vista del mare, trova riscontro neJl'insediamento di Cipro, un particolare maggionnente emblematico è dato, invece, dal lisalto del muro sulla cortina, che presenta notevole analogia con simili risalti ancora presenti sulla cortina difensiva della cittadella di Ankara.

Queste sono osservazioni basate sulla forma (connessa a relativi s ignificati) di ciò che ancora rimane; una conferma potrebbe scaturire dopo aver eseguito ~m e s atto rilievo, con opportuni saggi, contemporaneamente a ricerche storiche mirate in tale direzione. " <%)

Etnico

Note Capitolo Primo

1 Così è sintetizzata la loro vicenda storica da G.C.KoHN, Dizionario delle guerre, Milano 1989. p.628: ..Gli Unni. un popolo nomade asiatico, discesero dalle steppe del nord del Mar Nero per invadere e saccheggiare l'Impero Romano. dove rimasero per circa 80 anni prima di tornare verso nord . Nel 375 si batterono contro i Goti e sconfissero gli Ostrogoti (Got i dell'est) cacciando i Visigoti (Goti dell'ovest, ariani , cristiani) sempre più verso oves t, avvicinandosi alla loro base danubiana. In seguito gl i Unni assoggettarono altri gruppi barbarici e gradualmente svilupparono il concetto di re come unificatore tribale. Attila (406 ?-53), il loro capo più famoso ... [attaccò1quando i compensi monetari non bastavano. Nel 441-42 -47 devastarono le province balcaniche... Ad ovest... Attila attaccò la Gallia sacc heggiando Metz e alcune città in Belgio, quindi si diresse verso Orlean s. Nel 451 le sue orde vennero bloccate da un'armata alleata di Romani della Gallia. Visigoti ed Alani al comando di Flavio Ezio ... Gli Unni si dires se ro in Italia e saccheggiarono Aquileia [i cui] fuggiaschi fondarono Venezia Ne l 452 gl i Unni misero a sacco Milano e Pavia; per evitare la distru1,ione di Roma. papa Leone I ·i] Grande'(390? -461) capeggiò una delegazione che si recò da Attila; non è noto cosa si siano detti in quell'occasione. ma gli Unni risparmiarono Roma e, carichi di bottino, attraversarono le Alpi. Nel 45 I Attila morì. I suoi figli furono battuti da tribù di Germani ribelli nel 454 fla sconfittal causò la ritirata degli Unni verso le loro terre di 01;gine.''

2 Per ulteriori notizie sulla vicenda cfr. E.PrROVINE, Napoli e i suoi Castelli, Napoli 1974, pp.JJ - 24.

J Ricostruisce la vicenda H.SCHREIBER. /goti.Milano 1981 , p. 199, in questi te1mini: "Poichè Odoacre 11011 cambattè mai contro l'impero d'oriente. non fu facile trovare un pretesto per orchestrare una campagna militare contro l'Italia Ma Teodorico era vissuto abbastanza a lungo a Bisanzio [e] conosceva il mondo di intrighi e di sca ltrezze in cui era immerso , tanto che con l'imperatore Zenone e un principe rugio scacciato da Odoacre racimolò abbastanza cavilli da ottenere che lo stesso imperatore d'oriente gli ordinasse di conqu istare la penisola italiana.. :·.

1 Da E.GIBBON. Storia della decadenza e caduta dell'/111pero rvnul!w, rist.Torino 1967 , voi.I 1. pp.1441-1443.

5 H.M.GwATKJN, L'aria11esi1110 , in Storia del Mondo Mediem/e , Milano 1978, vol.l, pp.143 e sgg così sintetizza le caratteristiche dell'arianesimo: "La controversia ariana prese spumo dalla conv inzione di un Dio puramente trascendente , che da tempo s i faceva strada , sia pure in modo diverso. in Grecia ed in fsraele Poichè i c1;:,Liani accettavano qualsiasi c redo che non fosse in palese contradd izione con la dottrina dell'incarnazione storica, s i può Jire che, verso la fine ciel 11 secolo. si era raggiunto un accordo generale sulla trascendenza ... La controversia ebbe inizio intorno al 3 18. Ario non era un fanatico, ma un serio e irreprensibile presb itero della chiesa di Alessandria, discepolo del dotto Luciano di Antiochia; solo, non era in grado di riconoscere una metafora. Come poteva un figlio non essere posteriore al padre e non essergli inferiore? ... lper cuij egli concluse che: il Figlio di Dio non poteva essere nè eterno nè eguale al P adre ed era quindi so ltanto una creatura, indubbiamente elevata. creata prima di ogni tempo per essere a sua volta creatrice di ogni altra cosa. ma che, essendo creatura, non poteva manifestare la pieneu.a della divinità ... Ario non intendeva iniziare un'eresia ma cercava solo di dare una risposta sensata al fatto che se Cristo è Dio, è un secondo Dio Cercando una 11ia media tra l 'i nterpretazione c1istiana e quella unitaria del vange lo , Ario dalle due prese tutte le diffic o ltà se111.a !-.frullarne i vantaggi. Se Cristo non è vero Dio. i cristiani sono colp evoli di idolatria: se non è vero uomo. le prete se degli unitari sono infondate. In entrambi i casi per Ar io c·cra la condanna ".

• Circa il mausoleo di Teodorico va ricordato che il monolito che l o ricopre in fom,a di cupola schiacciata ha un peso di oltre 300 t., con un diametro di circa 9 m., e non si ha nessuna informazione in che modo sia stato trasportato per o ltre un centinaio di chilomet,i , dall ' Istria, e soprattutco come sia s tato issato e posLo in opera.

7 La citaz io ne è tratta da P.GJM'NONE, Istoria civile del Regno di Nopoli, rist.Como 1970, vol.l.p.243. Circa l a penetrazione nella città attraverso l'acquedotto cfr. B.M1 cc10. U.POTENZA. Gli acquedotti di Napol i. Napoli 1994 , p 28.

Precisano R .FOLZ, A.G u tL LOU . L.MUSSET , D.DOURDEL. Origine e formazione dell'Europa Medievale. Bari l 975. pp.94-95: "Se Teodori co aveva rispettato con convinzione e scrupo lo i quadri dell'Italia romana. la stessa cosa non puè) dirsi degli ultimi re goti. Stretti in una situazio ne senza uscita dagli eserciti « romani» ancor più barbari dei loro, Totila... e poi Teia... accum ul arono rovine intorno a loro Roma privata dei s uoi acquedotti, non era più che un campo di rovine dove vegera,,a il papato, la classe senatoria era dispersa , l 'esercizio delle principali magistrature interrotto .''.

Q Cfr.B.MONTGOMF.RY. Storia delle guerre, Milano 1970, pp. 138 - J 41.

10 Della avveniris tica istituzione se ne ravvisano i criter i in formato1; già in un rapporto di Belisario a Giustiniano. Ricordano , infatti, R.A PR..ESTON. S.F.W1SE, Storia sociale della guerra, Verona 1973. p.69, che: il grande generale così si espresse a l rigurado: "«La principale differenza che ho trovat o u·a i goti e noi consiste nel fatto che i nostri cavalieri romani e i nostri foederati unni sono Lutti esperti arcieri a cavallo, mentre il nemico ha scarsa conoscenza di tutto quanto 6guarda il tiro con l'arco. I cava li eri goti usano infatti so lo s pade e lance, mentre i loro arcied a piedi vengono sempre in retroguardia. Così i loro arcieri non possono c~&ere usati con cffi - cacia finchè non si arriva alla battaglia corpo a corpo e possono essere colpiti facilmente quando si presentano schierati per la ballaglia fino al momento del contatto». Nello schieramento bizantino gli arcieri a cavallo erano appoggiati dalla fanteria pesante e dai lancieri di cavalleria: ma era proprio l'arciere a cavallo a costituire la differenza p1incipale tra l'esercito imperiale e gli altri eserciti.".

11 Da H.SCHREIBER, / Goti , cit., pp.235 -23 6.

12 Da E.ZANINI, Introduzione all'archeologia bizantina, Roma J 994. pp.196- I 97.

11 Da E.GIBBON. Storia cit.. voi.I I, p.1642.

1 • Da G. V.CIARLANTI, Memorie istoriche del Sannio, rist. 1992, voi.III. p.57

1 ' Da D.MARROCCO, Sull'origine del nome di Sani "Agaw dei Goti, in La rassegna storica dei Comuni, anno II, num.2, Piedimonte Malese 1970, pp.4-8.

11 Da L.R.CIELO, Monumenti romanici a S.ARata dei COii, Roma l 980, p. I 7.

17 Cfr.A.MEOMARTINI, / comuni della provincia di Benevento, rist. Benevento I 970, pp. 3 I 7-325.

1 • Da M.COLETTA, Il Sannio beneventano, Napoli 1968. p. JOl.

1 • Cfr D.OBOLENSKY, li Commonwealth bizanti110 -L'Europa orientale dal 500 al 1453, Bari 1974, pp.61 -64.

20 Da D.OBOLENSKY, li Commonwealt.... c it. , p.67.

21 Da E.GmBON, Storia , cit., voi.li, p.1493.

22 Ricorda al riguardo G.CACJAULI , Il cas1ello in ltalia, Firenze 1979, pp.82 -88: "fl ma~tio così chiamato da maitre francese, nel significato di padrone (donde il tedesco meister), o da maschio, per indicare la tone più alta e robusta, è da considerarsi il primo e più importante e lem ento architellonico del castello, anche se proprio per questo il piL1 soggetto a trasformazioni o restauri. Altri nomi per questo elt:mento architettonico sono torrione, o torre-maestra (dei ivando l'aggettivo di nuovo dal francese «maitresse», oppure cassero per l'o riginaria funzione di vedetta. o per la sua diretta derivazione dalle torri di legno costruite appositamente durante le operazion i belliche e che. particolarmente in Toscana, presero nome in diretta analogia con le gabbie di vedetta sugli alberi delle navi. CoJ11unque venga chiamato, il mastio consiste in una torre che, pur i11 seguito a successive elaborazioni, rimane la più massiccia e la più alta dell'intero complesso. Più alta per mole ed anche per dislocaL.ione in quanto situata nel punto più sopraelevato del rilievo s u cui poi è stato erecto il castello, nell'interno del quale il mastio ha continualo a rappresentare il baluardo estremo, il simbolo concreto dell ' autorità ivi dominante, la sua conquista decretando il decisivo possesso dell'intero fortiliL.io. Nei tempi più remoti il mastio costituiva scolta avanzata ed in s ieme abitazione, si cchè propose subito la necessaria sohtL.ione di importanti esigenze logistico -militari. Perciò era suddiviso, già allora, in vani sovrapposti. con scarsi disimpegni oriaontali, che comun icavano fra loro per mezzo di botole in colonnate ... " .

23 Da A.GUILLOU, Aspetti della civiltà bizantina in Italia , Bari 1976, p.90

24 Cfr.P.DrACONO, Storia dei Longobardi, a cura di F.Roncoroni, Milano 1974. p.50. Il tennine/ara è una tran sletterazione latina di un termine germanico derivante a sua volta dafaran,fahren, che significa «v iaggiare » «s postarsi », e si riferiva pertanto ad interi gruppi dotati di mobilità e di comandanti, completi di guerrieri e relative famiglie. In essi possono ravvisarsi, perfettamente definiti, i singoli presidi di ogni futura guarnigione.

25 Cfr.P.DJACONO, Storia , cit., pp.41-43.

26 Da L.M.HARTMANN, L 'lraliu sotto i Longoba rdi, in S10ria del Mondo Medievale c ii., voi.I, p.783.

17 Da G.GALASSO, Ca/tra Europa, Cunei) I 982. p.22.

'" Sull'argomento cfr. E.CiccoTn, li tramonto della :,chiavitù nel mondo antico, Bari I 977. voi.li, pp.312 -3 17.E anche cfr. E.M.STAERMAN, M.K.TROMFTMOV/\, La schiavirù n ell'Italia imperiale. Perugia 1975. pp.336 -347 .

29 Da F.BARBAUALLO, Storia della Campania, Napoli 1978 , voi.I., p. I 13.

1° Cfr.E.ENNEN, Storia della c ittà medievale. Bari 1975, pp. 23 - 40; ed ancora cfr.J.HUBERT, J.PORCHER. W.F.YoLBACH, L 'Euro pa delle invasioni barbariche, Milano 1980, pp.1 - 102.

·'' Da L.SANTORO , 1ìpologia ed evoluzione dell ' architettura militare in Campania. in Arch.Stor.Prov.Nap., terza serie, voi. VII-VHI (J 968 -69), Nao li 1970, p.84.

12 Da L.SA NTORO. Tipologia , cit., pp 85 -86 n Da LSANTORO, Castelli Campani, in/ corso di storia dell'architettura castellana, Milano 1971 , p.49.

34 Da A.CASSI RAMELLJ, Dalle caverne ai rifugi blindar i, Milano 1964, p. l 08.

35 Da G.M.TABARELU, Castelli Trentini, in/ corso , cit ., p. 41.

36 Da P.DIACONO, Storia , cit., p.107.

37 Da G.MARlA TABARELLI , Custelli dell 'Alto Adige. Milano 1974 p.57.

3

• Da G.M.TABARELLJ, Cas,elli , cit.. pp.39 -40.

Il Crogiolo Etnico

3 • Da G.M.TABARELLI, Castelli... , cit.. p.43.

40 Da M.DELL' ACQUA, Salerno il castello, Salerno 19[?], p.1.

41 Cfr.GENUINUS, Il castello a mare di Stabia, Napoli 1970. pp. 9- 12.

42 Da M.DELL.ACQUA, Salerno , cit., p.4.

43 Da HIRSCH, Il duca/o longobardo di Benevento, Torino 1890 , pp.23 -24. La citazione è tratta da M.COLETTA, Sannio , cit., p. 47, nota 38.

44 Da A.CASSI RAMELLI, Dalle caverne . .. , cit., p.88.

15 Da M.COLETTA, Il Sannio , cit., p.54.

46 Da LSANTORO, Tipologia ... , cit., p.94.

• 1 Da L.SANTORO, Vairano Patenora borgo fortificato della Campania: ipolesi di restauro. Roma 1979, pp.8 -9.

48 Da L.SANTORO, Vairano ... , cit., p.11.

49 Da L.SANTORO, Vai rano , cit., p.16.

so Da L.SANTORO, Vairano ... , cit., p.23.

51 Da L.SANTORO, Vairano , cit., p.23.

52 Cfr.A.MEOMARTINI , l comuni della provincia di Benev en10, rist. Benevento 1970, pp.75-87. Circa l'episodio della morte di Pandolfo, erede al trono così la cronaca coeva redatta da un monaco di S.Sofia di Benevento: "Pando(fusfìlius eius Occisus est a Mormannis ad montem sarchum VII die infrante mense februario ann. dom. 107J."

53 Da L.S ANTORO, La torre e il castello di Montesarchio, in Napoli Nobilissima, voi.V, fase.IV. luglio-agosto 1966. Napoli , pp.139 - 140-

54 Da L.S ANTORO, Le opere forrificate della Campania, in Le opere di fortificazione nel paesaggio e nel contesto urbano , Conv.Naz.Napoli 25-27 aprile 1969, n ediz. Napoli 1972, pp.19-20.

55 Da LSA NTORO, Il recupero di Casertavecrhia: analisi dei significali e indiriz.z,i di conservazione, in Tavola Rotonda 28.2.1987, Caserta, p.11.

56 Da M.COLETTA, Il Sannio , cit., p.50.

51 Cfr.G.VERGINEO, Storia di Benevento e dintorni. Benevento 1985, pp.190 e sgg.

58 Da M.ROT!Ll, Benevento romana e longobarda. L'immagine urbana. Benevento 19 , p.86.

19 La citazione è tratta da M.Cou:TTA, Il Sannio ... , cit., p.46 n Da F.MAURICT, Castelli medievali in Sicilia. Dai bizantini ai normanni, Palermo 1992, p.15. ll1 Jn merito ai qanat cfr.F.Russo, Faicchio fortificazioni sannite e romane, Piedirnonte Matese 1999. pp.137-152. Ed anche M.A.Burrt.ER, lrrigation in Persia by Kanat s, in Ci vi i Engenering, 33, 2. I 933. Ed ancora H.E.WtJLFF, / qanat dell'Iran, in Paleontologia e Archeologia dal Paleolitico all'Amichitù Classica. Milano 1973, p.114.

00 Da L.SANTORO, Tipologia .... cit., p.92.

6 1 Da M.ROTlLl , Benevento ... , cit., p.95. Circa la 'Porta Aurea' cfr A.MEOMARTINI, / rnonumenti e le opere d'arte della cit tà di Ben.evento, rist. Benevento 1979, pp. 11-218.

62 Da L.SA NTORO . La rocca dei Rettori e la cinta fort(fìcata di B eneven10. in Studi in onore di Rob erto Pane, Napoli l 971 , p. 137 .

63 Da L.SA NTORO. La rocca cit., p. 138.

64 Per approfondimenti sul celebre arco di t1ionfo cfr.A . MEOMARTtNI, I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento , rist. Benevento 1979, pp.l l -2 16.

M Da M.Rcrnu, Benevento , cit.p.106.

66 Cfr.A.MELLUSI, L'origine della provincia di Benevento ( 1860-/861 ), rist. Benevento 1975, pp.87 - 118.

67 La citazione è tratta da V.MAZZACCA , Mura e sentieri, Benevento 1994, p.42.

6 ~ Da A.GU ILLOU. Aspetti , cit., p.169.

119 In merito cfr.H.P JRENNE. Maometto e Carlo Magno , Bari 1976, pp.136-139.

7°Cfr.C.H.BECKER. L'espansione dei saraceni in Africa e in Europa, in Soria del Mondo Medievale , cit.vol.11 , p.86. Più in dettaglio cfr.M.AMARl, Storia dei musulmani in Sicilia, rist.1986, pp 59 e sgg.

71 Sull'argomento cfr F.Russo, La d(fesa costiera dello Stato Pontificio dal XVI al XIX secolo, Roma 1999, pp.9 - 16.

73 Per ulteriori approfondiment i cfr. F.Russo. La difesa costiera del Regno di Sicilia dal XVI al XIX secolo, Roma I 994. tomo I , pp.15 -2 4.

74 Cfr.C.MANFRONI, Storia della marina italiana, Livorno 1899, vol.l, pp.33 e sgg.

75 Da F.MAURIC!, Castelli , cit.. p.17.

16 Da A.PRESTON, S.F.WrsE, Storia sociale della guerra, Verona 1973, pp.71 -72.

71 Da R .FOLZ, A.GUILLOU, L.MUSSET, D.DO UROEL , Origine e formazione , cit., p.294.

7 ij Da F.MA URJCI, Castelli... , cit.. pp. 18-19.

1<i Da F.MAUR 1c1, Castelli... , cit., p.287.

8/.J Da F.MAURICI, Castelli cit., p.373.

~ , Da F.MA URICI, Castelli , cii., p.282.

Rl Da F.MA UR1c1, Castelli cit.. p.41.

RJ Da F.MA UR1c1 , Castelli. cit.. p.4 l.

Il, Da F.MAURIC I, Castelli cit., p.48.

85 Da F.MAURICI, Castelli ... , cit., pp.84-89.

86 Da A.CADEI, Architellura federiciana. La questione delle componenti islamiche, in Nel segno di Federico Il, Atti del IV Conv.lnternaz. Fondaz. Napoli Novantanove, Napo Ii 1989 p.150.

88 Da E, TURRl, Fortifica zion i e nomadismo. in Castellum riv. lst.lt. dei Castelli, n° 24, 1984, pp.69-86.

89 Da F.PANSA, Istoria dell'antica Repubbli ca d'Ama(fi, Napoli 1724, p.8.

'IO Da V.VoN FALKENHAUSEK, Il ducato di Amalfi e gli Ama(fìtani fra Bi-;.antini e Normanni. in Istitu zioni civili e organizza:-,io11i ecclesiastica nello stato medievale amalfitano, Atti Conv. Intem.Studi Amalfitani 3 -5 luglio 1981, Amalfi 1986, pp.15-16.

91 La citazione è tratta da R.S.LOPEZ, J.W R AYMOND, Medieval Trade in rhe Mediterranean World, New York 1955, p.54.

92 Da D.CAMARDO, / castelli stabiani dal ducato indipendente alla dominazione angioina. Amalfi 1995, pp.47-49.

9 Da D.C AMARDO, / castelli , cit .. pp.57-58.

90 Da L.SANTORO. / castelli del ducato ama(fitano. in Studi in onore di Pietro Ga-::,zo la. Roma 1979 , vol.2, pp.4-6.

91 l n quella tragica circostanza, secondo la tradizione Ja parte più bassa di Amalfi finì sommersa. Al 1iguar<lo G.GARGANO, La città dal'Gnti al mare. Aree urbane e storie sommerse di A11,aljì nel Medioevo, Amalfi 1992, pp.177 e sgg .. precisa: ·'Nel tentativo di verificare la valid i tà dcli' antica tradi.lione popo lare. fu organizzata, nel corso <lei I 970, una campagna di ricerche archeologiche nello specchio d'acqua antistante la città ... fchel permisero la scoperta di una specie di 'arco', probabilmente in muratura, s ituato a circa 50 m. dalla riva, ad una profondità di quasi 6 m. , in direzione dell'antica foce del fiume A nove anni dalla prima esplorazione subacquea, furono organ izzate nuove ricerche archeologiche lungo la costa da Maiori a Positano [ej nell'area portuale di Amalfi, furono individuate due interessanti stru tture ... ". Ma tali rimlvamenti non confermavano alcun fenomeno cata~Lrofico od improvviso, ma semplicemente, la lenta sommersione del litorale che si sarebbe peraltro verificata prima del 1343, molto probabilmente tra il XII ed il Xlll secolo, tant 'è che se il celebre maremoto riuscì a distrnggere Je mura della città fu proprio perchè queste erano ormai lambite dal mare!"

116 Da L.SANTORO, Le fortificazioni di Scala nel contesto dell'arrhitettura difensiva del territorio amalfitano, in Scala nel Medioevo, Atti Conv.Stud. 27 -28 ottobre 1995 Scala, Amalfi 1996, pp.258-262.

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