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CAPITOLO SECONDO
Il Regno del Sud e L'Impero del Nord
Gli antefatti
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Intorno all'VIII secolo, mentre nelle regioni rivierasche del Mediterraneo la sovranità dell'imperatore bizantino, significativamente definito 'dei Romani', costituiva la tangibile conferma della continuità dell'Impero, quasi più nulla ne sopravviveva nelle restanti aree continentali. In particolare, nelle immense pianure dell'Europa centrale, aleggiava soltanto la suggestiva memoria di quella grandiosa realtà, entrata ormai nel mito col suo retaggio di vestigia architettoniche imponenti quanto fatiscenti.
Dovunque, infatti, i ruderi delle città, dei loro acquedotti, delle loro fortificazioni testimoniavano gloriosi ed inimitabili splendori, dovunque gli eruditi rievocavano la civiltà romana, dovunque la Chiesa ne riproponeva la lingua e il cerimoniale.
Paradossalmente i più affascinati da tali reminiscenze apparivano proprio i massimi artefici di tanta devastazione, ovvero gli innumerevoli capipredoni che erano riusciti violentemente ad accaparrarsi qualche brandello del lacerato impero, spesso definendolo enfaticamente 'regno'. La facilità dell'impresa li aveva indotti ad interpretare delle semplici scorrerie come vere e proprie conquiste; la totale ignoranza della complessità organizzativa ed istituzionale dell'estinto impero li aveva portati a sentirsene in qualche modo 'eredi', essendo l'elemento territoriale l'unica connotazione per loro comprensibile. Per molti aspetti ricordavano i tanti miserabili precariamente insediatisi negli anfratti delle rovine dei grandi edifici romani. Anche quelli, infatti, si erano battuti con i vicini per l'appropriazione della maggiore porzione possibile di macerie, tentando, una volta assicuratasela, di ripristinarne l'antico splendore, ispirandosi unicamente ai frammenti ancora visibili. Difettandogli, però, oltre la capacità culturale, la potenzialità economica e tecnica i risultati si confermavano sempre grotteschi.
In realtà la stragrande maggioranza dei capi barbari non giunse mai ad equiparare, persino quando si definirono pomposamente re, il ruolo e l'importanza neppure dell'ultimo proconsole romano, propriamente detto. La loro autorità, infatti, non disponeva, ad eccezione del territorio, di nulla che lontanamente somigliasse all'organizzazione che supportò quella carica. Non un esercito regolare, non un diritto codificato, non un apparato amministrativo, non una rete logistica: soltanto una primi ti va corte , il cui effettivo potere non eccedeva l'orizzonte. A dimostrarlo basterebbe la necessità del continuo errare di tali assemblee , da un punto all'altro di quegli evanescenti aggregati , cercando di sopperire direttamente alle peggiori carenze di sicurezza e di giustizia e ammantando spesso i propri membri di tronfie designazioni gerarchiche prive, però, di qualsiasi analogia con le omonime imperiali. Ed è senza dubbio in quello scimmiottare un mondo, di cui subivano il fascino , l'inequivocabile conferma della incessante aspirazione dei Germani alla sua ricostituzione. Il che determinò, sistematicamente, il progressivo rigetto del rozzo diritto consuetudinario in favore delle leggi di Roma ed il ripristino, o addirittura il mantenimento, di tante sue istituzioni.
In pratica, come già accennato, nonostante la fin troppo rapida confusione delle due società, i vincitori avevano compreso immediatamente i vantaggi della superiore civiltà romana al punto che: " ... nella fretta di goderne, ne hanno preso i vizi e i Romani, non più tenuti a freno dalla mano dello Stato, hanno imparato la brutalità dei barbari. È uno scatenarsi generale delle passioni più grossolane e degli appetiti più bassi, con le perfidie e le crudeltà che necessariamente ne conseguono.
Ma per quanto decadente, per quanto barbarizzata, l'amministrazione resta tuttavia romana. Solo a nord troveremo ufficiali regi dai nomi germanici ... Le finanze, anche quelle, restano romane. Il patrimonio privato dei re è nettamente separato dall'erario. Il sistema monetario e fiscale è sempre alla base della potenza regia. Ovunque viene mantenuto in uso il soldo d'oro. Anzi si continua a battere moneta d'oro " 1 11 • Va tuttavia osservato che se ciò accadde , non fu solo per una passiva imitazione dei modelli precedenti, che indubbiamente esercitavano le loro suggestioni, quanto piuttosto per I' inesistenza di soluzioni altrettanto valide. Del resto, ancora oggi, la maggioranza di quelle istituzioni permangono sostanzialmente immutate: magari adottiamo un supporto monetario elettronico , ma si tratta, in ultima analisi, di un più pratico trasporto dell'oro di cui siamo detentori. Analogo discorso va fatto in materia di diritto, di tributi e di difesa, sistemi in cui, al di là degli ovvi aggiornamenti, ben poco è mutato rispetto all'impostazione romana confermatasi finora la più efficace e razionale possibile. Logico, pertanto, che: " tutti i regni barbari che si spartiscono l'Impero d'Occidente presentano una serie di tratti comuni che fanno di loro non Stati barbari, ma regni romani barbarizzati. Tutti hanno abbandonato la propria lingua nazionale e i propri culti pagani. Una volta diventati cristiani, sono per ciò stesso diventati sudditi fedeli della Chiesa , che trasuda civiltà romana. Ma, come l'impero, questi regni sono sostanzialmente laici ... Questi regni sono romani non soltanto perchè la civiltà romana ha dato loro strutture nelle quali e grazie alle quali banno potuto formarsi, ma anche perchè vogliono essere romani ... " 12 i Ed infatti , malgrado la loro: " origine teutonica, i primi re merovingi erano disposti a considerarsi generali o magistrati romani. Usavano le insegne e le monete romane e, con vero spirito imperiale, rifiutavano di riconoscere frontiere ai loro domini ... " <1 >
Disgraziatamente le connotazioni statuali derivate dall'ispirarsi, e dall ' aspirare, ad un modello tanto complesso, senza disporre dei mezzi congrui per rigenerarlo , determinarono , nell'inevitabile confusione con seguente, l'alienazione dei precipui e basilari criteri di stabilità di successione. Si avvicendarono, perciò, dinastie sempre più effimere , minate dall'anarchia interna e dalle dispute fratricide, causa ed effetto del1' assenza di un potere centrale solido e chiaramente distinto da quello puramente personale del sovrano di turno. Persino i re merovingi, senza dubbio i più ambiziosi al riguardo: " non avevano la più pali ida idea di quella che fosse la responsabilità politica o la tradizione storica e applicavano alla monarchia franca i princìpi che nella società teutonica governavano la proprietà privata. L' eredità era divisa tra i figli , e poichè i figli invariabilmente litigavano , il paese fu per cinque generazioni tormentato da inutili guerre civili ... " H•.
Nono s tante ciò , fu proprio la dinastia dei Meronvingi quella che si protrasse più a lungo, riuscendo ad ampliare a dismisura il suo regno, fra il V e l ' VIII secolo. Rappresentò, perciò, se non la prima in assoluto, di certo l'unica che si cimentò, non del tutto utopisticamente, nella ricostituzione dell'Impero. Le già ricordate offensive franche, abbattutesi sul ducato longobardo trentino , ne costituirono, per molti aspetti, i prodromi estrinsecativi espliciti , reputandosi , infatti, indispensabile, per l'ambizioso obiettivo , in virtù della sua valenza politica la conquista di Roma. Ma quelle premesse non ebbero ulteriore seguito, esaurendosi rapidamente l'offensiva lungo la direttrice mediteITanea.
E mentre i Longobardi si radicavano nell'Italia meridionale, i re merovingi, e s autorati dalla nobiltà e dai suoi massimi rappresentanti, i cosiddetti 'maggiordomi', iniziarono a brillare per impotenza, scadendo la loro autorità a vuoto formalismo. La sopraggiunta, ed imprevedibile , espansione islamica compromise irrimediabilmente il disegno di un ' avanzata verso sud, obbligando Dagoberto, ultimo rappresentante della dinastia , ad una netta diversione. Da quel momento, pertanto , le sue iniziative militari si spostarono ad est, verso la Germania ed il Danubio, dove ottennero alquanti successi. Disgraziatamente essi non bastarono a conservare quella rudimentale monarchia e, del resto, non bastarono neppure a cancellare l'idea di uno Stato indiviso di grande estensione.
Per la storia, quel mesto tramonto fu provocato dalla comparsa di Pipino II di Héristal ( +714), nipote per parte materna di Pipino di Landen (+639) e per parte paterna di Ansegiso di Metz (+685), già maggiordomo dell' Austrasia nel 681 e padrone della Neustria nel 687. Da lui trarranno origine i Carolingi ed il loro Impero: dinastia nuova e miraggio vecchio! Per il resto del mitico capostipite sappiamo soltanto che si battè valorosamente contro i Frisoni, le cui incursioni martirizzavano il Nord del paese, che ebbe un figlio illegittimo , di eccezionali capacità militari, Carlo Martello (+741), e che lo incoraggiè) ad incrementare la guerra contro quei barbari pagani.
Quanto al giovane Carlo, grazie alle innumerevoli vittorie conseguite, ben presto si guadagnò un ruolo di netta preminenza nell ' ambito della dirigenza del regno, assimilabile, secondo diversi studiosi, ad una reggenza. A distanza di pochi anni la sua rinomata esperienza militare si dimostrò provvidenziale, permettendogli di selezionare un contingente di guerrieri temprati , mobilissimi e disciplinati , perfettamente idonei ad impieghi antincursivi, proprio al momento opportuno. I Musulmani di Spagna, infatti, dopo un decennio cli piccole razzie a ridosso del versante francese dei Pirenei , cominiciavano ad ampliare il loro raggio d'azione spingendosi, con crescente violenza, verso la Francia centrale, inequivocabile premessa di una loro imminente ulteriore espansione.
Se è fuor di dubbio che l'irruzione dei Musulmani sul teatro europeo stroncò sul nascere i tentat1v1 merovingi di aggregazione imperiale, peraltro embrionali ed approssimati, è altrettanto assodato che, proprio la crescente minaccia, da essi rappresentata, svolse un ruolo coagulante intorno alla dinastia carolingia. Era ormai perfettamente risaputo che le conquiste islamiche si differenziavano nettamente da quelle di matrice occidentale per la serie di irreversibili sovvertimenti che comportavano ed, in particolare , per la non integrabilità dei vincitori. Infatti per gli assoggettati che fossero sc ampati agli abituali massacri e brutalità che la guerra dell 'e poca implicava, le possibili opzioni contemplate, nella migliore delle ipotesi, si riducevano a due: o rinunciare alla propria fede o rinunciare alla libertà. Di fronte a siffatta prospettiva, ovviamente, le contese intestine decaddero e, quando nel 732 una grossa formazione musulmana , valicati i Pirenei e sbaragliati gli scarni contingenti cristiani che avevano tentato di resisterle, fra la Garonna e la Dorgona, puntò verso Tour s, le forze occidentali si coalizzarono e si aggregarono agli ordini di Carlo. La reazione vio lentissima si manifestò poco dopo sui campi di Poitiers '5 \ dove, in una domenica di ottobre, la leggendaria ed inarrestabile cavalleria leggera dell 'em iro Abel al-Rahman, si imbattè nei corazzati guerrieri cristiani in assetto da battaglia e ben decisi a non indietreggiare di un palmo.
Dispostisi in formazione quadrata, i fanti ge rmanici attesero l'impatto dei nemici, trafiggendoli e disarcionandoli. Secondo le risicatissime cronache coeve, l'epico scontro si protrasse per alcuni giorni, in un susseguirsi di ondate di cavalleria, sistematicamente schiantatesi su quella muraglia d'acciaio , finchè, costretti i Musulmani ai ferri corti, la superiorità tattica occidentale potè imporsi pienamente. I fanti, infatti, a quel punto, abbandonato l 'ordine chiuso si gettarono sugli appiedati attaccanti sbranandoli con le grandi spade e le pesanti asce, perfezionando così la procedura già impiegata, con successo, contro i Mori a Toulouse nel 721. Alla fine i:" ... teutoni ... vinsero questa battaglia non soltanto grazie alla loro indole, ma anche per la loro superiorità fisica che si affermava sempre nei combattimenti corpo a corpo. Quando, dopo l'ultimo giorno di lotta, in cui i musulmani avevano perso il loro capo , i teutoni cercarono di riprendere il combattimento si avvidero che gli arabi erano fuggiti, abbandonando l'intero campo, con tutto il materiale bellico ... " 16 )
L'esito della battaglia fu epocale sotto il profilo morale e sotto quello strategico. I Musulmani, reputati sino a quel momento praticamente inarrestabili, erano stati, invece, massacrati ed i pochi malconci superstiti costretti ad un precip itoso sganciamento. La loro iniziativa infranta sangu in osamente, la loro tatt ica di combatti mento annientata, l'orgogliosa destrezza dei cavalieri trasformata in estrema risorsa per la fuga dei fortunati. Carlo, proprio per la dimensione schiacciante della vitto r ia, ricevette l'appellativo di 'Martello'. Restava, pur sempre sotto il dominio islamico la cittadina di Narbonne, ma pure da lì, nel 759, i Musulmani sarebbero stati sloggiati dall'esercito di Pipino il Breve. Per l'Occidente continentale fu l 'inizio della rinascita. Disgraziatamente qvello straordinario successo ebbe anche una seconda, e negativa, conseguenza.
Carlo Martello, divenuto l'indiscusso signore del regno, trasse le debite conclusioni istituz ionali dalla nitida constatazione dell'immenso potere che derivava dal disporre di una forza armata regolare, addestrata e fedele.
L'avvento della cavalleria
Fino ad allora, qualsiasi sovrano aveva potuto disporre soltanto di truppe raccogliticce ed eterogenee, composte da uomini liberi arruolati nelle contee in occasione, o al profilarsi, di una campagna. Per la modestia degli scontri e del sistema di reclutamento, ne risu ltava, in pratica, una formazione di fanteria approssimativamente armata, essendo l'equipaggiamento a spese dei combattenti, e per nulla addestrata essendo la prestazione limitata alla sola buona stagione e ad un preciso obiettivo. Senza co ntare che, per le medesime ragioni, la manovra di radunata si confermava inevitabilmente complicata e di esasperante lentezza e pertanto inidonea a fornire qualsiasi certezza preventiva sull'ammontare degli uomini e sulla loro concreta operatività. Uno strumento militare del genere, quindi, riusciva utile, nella migliore delle ip otesi, per ridurre alla ragione un vassallo ribe ll e. M a anche in tale contesto quelle sgangherate formazioni, non incutevano eccessivo terrore ai riottosi e, meno che mai, li dissuadevano dallo sperimentarne l'offesa, per c ui più che limitare l'insubordinazione sembravano l'ideale per in crementarla(7) .
Il trionfo di Poiters, come accennato, convinse Carlo Martello ad istituire una forza armata permanente e regolare. Emblematicamente la s trutturò fondendo insieme la saldezza della fanteria pesante franca e la manovrabilità della cavalleria leggera musulmana. Ne scaturì, perciò, un esercito di cavalieri catafratti, mobili ss imo e micidiale, capace di raggiungere in breve tempo ogni punto del regno e di schiacciarvi ogni resistenza In: " ... verità i Franchi già impiegavano la cavalleria pesante in modo diverso. Invece di armarsi d'arco, i Cavalieri della Cristianità latina, preferivano il combattimento ravvicinato con lancia, mazza e spada, distaccandosi dalle tattiche orientali, quasi omericamente disdegnando l'uso di arco e frecce. La tecnica differiva però dall'evidente irrazionalità dell'uso del carro in tempi omerici nel senso di una netta superiorità tattica, giacchè la carica di cavalleria medievale, lanciata al gran galoppo concentrava tutto l'impeto su lla punta delle lance. E soltanto una formazione identicamente equipagg iata poteva sperare di rintuzzare tale concentrazione di forze ... " < 3 > _ L'utilizzo ottimale della suddetta modalità di combattimento fu però possibile soltanto dopo il genera li zzarsi dell'uso della staffa, introdotta in Europa dalle invasioni mongole del V-VI seco l oC9> , ma diffusasi solo a ridosso del Mill e Senza quel se mpli ce dispositivo, mai un cavaliere avrebbe potuto rimanere in sella dopo l'urto della s ua lancia!
Al di là della pura fattibilità, una manovra di unità del genere implicava un costante addestramento dei suoi membri ed un omogeneo armamento, dai cavalli alle corazze alle lance, tutti costos iss imi . In particolare, in: " ... uno sco n tro tra forze montate così come più tardi fra carri armll-ti oppure in una battaglia naval e la superiorità si otteneva combinando ins iem e gittata, protezione e velocità. La gi ttata dipendeva dalle lan ce più lunghe e quindi più pesanti. La protezione e ra assi- curata dalle armature, rappresentate in un primo tempo da cotte di maglia, lunghe dal collo alle ginocchia: un articolo di equipaggiamento molto costoso e, dopo il cavallo, l'oggetto di maggior valore che il cavaliere possedeva .. . " <10l Per farsi una vaga idea di quale fosse lo sforzo economico richiesto per una simile dotazione basti pensare che ancora due secoli dopo: " ... l'allevamento ... dei cavalli, è poco svil upp ato. In Francia, nell'XI seco lo, un cavallo costa 100 sous; un contadino servo vale 38 sous. Una corazza ha un prezzo pari al reddito annuale di un terreno di media grande zza... " <1 1l
Occorreva, inoltre, risolvere il problema del mantenimento di quegli uomini che, proprio perchè imp egnati a tempo pieno, non potevano più espletare alcuna attività remunerativa. Ovvio quindi che l'aspetto finan ziario complessivo apparisse, se non l'unica, la principale difficoltà del progetto. Soppesata la questione, rifacendosi alla tradi zio ne germanica, Carlo Martello istituì una apposita classe di guerrieri, scelti fra i s udditi più prestanti. Ad essi ve nn e affidata una propri e tà terriera, in genere ricavata dai possedimenti della Chiesa, il cui reddito avrebbe dovuto consen tire a ciascun membro di provvedere all'armamento e alla sussistenza. Non si trattava ancora di un fe udo nella pienezza del termine, ma di un beneficio personale, in cambio del quale il designato accettava l'obbligo della prestazione , o servizio , militare ogni qualvolta il sovrano lo avesse ri c hie sto, con la dotazione e l 'equ ip agg iamento d'ordinanza. A rendere ulteriormente vincolante l'accordo fu imposto il giuramento di fedeltà. In pratica nella : " ... prima età feudale, col termine «cavaliere» s' indicava, anzitutto, talora una condizione di fatto, talaltra un vincolo giuridico, ma puramente personale. Ci s i diceva «cava]jere» perchè s i combatteva a cava l10... "<•2> .
Le conseguenze, come era avvenuto già 1800 anni prima con l 'avve nto del carro da guerra, furono ril evanti e, paradossalme nte, no n tanto s ul campo di battaglia quanto nella socie tà. Infatti: " .. .ogni volta c h e una forza s uperiore finisce nelle mani di un gruppo di individui complessamente equipagg iati e addestrati, diventa difficile per il potere centrale impedire a queste persone l'intercettazione della maggior parte delle eccedenze agricole per il consumo sul posto. La conseguenza di tale situazione è il 'feudalesimo' " <13 l Quanto all'ambito militare, e sempre per i cospicui oneri che tale istituzione comportava, anche lo sfruttame nto del successo subì vistose modifiche poichè: " ... all'ucc isione del nemico subentra la cattura. Ora interessano il prezioso cava ll o, le armi, gli ornamenti dell'avversario, e poi anche il denaro per il riscatto del prigioniero. La massa armata non nobile , gli avversari di stirpe e di fede diversa e di origine diversa, vengono abbattuti o impiccati come i contadini del proprio paese... " <14l
Il che, implicitamente, significò un diverso valore della vita a seconda della classe di appartenenza, disparità peraltro già esistente nella normativa legale vigente all'interno della società, e che trovava la sua ragion d'essere originaria nella dissimile esposizione ai rischi bellic i e nei relativi obblighi comportamentali , supposti ineludibili. Infatti, la preminenza accordata ai guerrieri era in una certa misura, una sorta di compenso per il potenziale estremo sacrificio che implicava la loro attività a difesa della comunità. Da quel momento, invece, i privilegi di classe si confermarono anche sul campo di battaglia, dove chi rischiava maggiormente la vita era appunto il non •professionista! Progressivamente l'intero Occidente adottò tale differenziazione sociale, anche se in tempi diversi: in Francia può ritenersi esaurita già intorno al 1100, allorquando il feudalesimo divenne ereditario.
I presupposti dell'Impero
Ad una più accorta analisi risulta inne gabile che l'espan sio ne is lami ca in Europa non fu arrestata dalla vittoria di Poitiers, o alm e no non soltanto, ma piuttosto dal ven ir meno della concordia fra Arabi e Berberi. Pur avendo scatenato la violenta scorreria del 732, i Musulmani di Spagna, in realtà, non disponevano delle forze suffic ienti per co nqui stare, e mantenere, altri territori senza l'ulteriore apporto dei Berberi, per cui:
" il saccheggio delle città della Gallia meridionale non si sarebbe certo tramutato in un ' occupazione permanente della Gallia ad opera dei saraceni ... " ('5l
Pochi anni dopo , infatti, il Nordafrica si affrancò dalla dominazione araba, dando vita ad una miriade di potentati, la cui capacità offensiva si dimostrò soprattutto di tipo incursivo navale. Da quel momento, mentre l'aggressione terrestre dei Mori spagnoli fu definitivamente stroncata in Francia, quella marittima dei Berberi nordafricani, prendeva l'avvio ed avrebbe portato in breve volgere alla conquista del]' intera Sicilia(16' Per ironia della sorte sarà proprio un pugno di avventurieri della Francia del Nord a restituire l'isola alla cristianità, alcuni secoli più tardi!
L'assurda condominianza di sovranità, instaurata da Carlo Martello, si accentuò con suo figlio Pipino il Breve (+768). Ufficialmente a regnare sui Franchi provvedeva un legittimo ma impotente sovrano, ufficiosamente però governava un potente ma illegittimo reggente. Che la situazione fosse, a quel punto, paradossale lo conferma la missione diplomatica inviata a Roma, nel 751, dallo stesso Pipino per ricevere, al riguardo, il consiglio da papa Zaccaria. In pratica si trattava di stabilire: " ... se fosse giusto o no che un uomo portasse il titolo di re mentre a regnare di fatto era un altro ... " n 11 • La questione, in realtà, era probabilmente molto più capziosa e tendenziosa di quanto possa sembrare, poichè anche il papa governava di fatto uno stato di cui non era il legittimo sovrano. Ovvio, quindi, che entrambi mirassero a ricevere da quel chiarimento un reciproco riconoscimento , una sorta di 'tienimi che ti tengo ' !
Purtroppo non si conosce con certezza la risposta del pontefice: per contro è talmente noto ciò che accadde da lasciarcene ipotizzare la sostanza. Il sovrano Merovingio e suo figlio, vennero scacciati e costretti a ritirarsi in un monastero, mentre Pipino fu solennemente incoronato nel mese di novembre del 751. Il che non significò affatto la restituzione alla Chiesa della piena proprietà sulle teITe le cui rendite erano state destinate dal padre al mantenimento della cavalleria, ma soltanto l'avvento di una nuova dinastia.
Pipino morì nel 768: secondo la prassi vigente l'intero regno avrebbe dovuto spartirsi fra i suoi due figli, ma la prematura morte del minore, Carlo Manno , nel 771 evitò quel nefasto smembramento. Entrambe le porzioni finirono perciò concentrate nelle mani del primogenito Carlo, poi detto Magno, allora ventiseienne restandoci per i successivi 43 anni. Di spirito avventuroso e semplice Carlo si sentiva pienamente responsabile della difesa della Chiesa e della religione cattolica, per cui, quando si verificò una ennesima penetrazione longobarda nel territorio pontificio, rispose prontamente alla richiesta papale di aiuto, scendendo in Italia nel 773. Sconfisse Desiderio e ne acquisì il trono nel 774 , divenendo così, oltre che re dei Franchi, anche sovrano dei Longobardi. Seguirono decenni di campagne militari, cui la storiografia successiva ha attribuito una antesignana motivazione crociata, sebbene, ad un meno apologetico esame, esse risultino orientate al ben più prosaico e terreno obbiettivo del consolidamento dinastico. Infatti la: " ... spinta all'espansione del potere carolingio non fu certo la religione, bensì un ideale secolare: la lotta per il potere che sempre ha dominato uomini e nazioni. L'ideale cristiano rimase perciò subordinato e spesso nobilitò o mascherò tale brama di potere. Solo più tardi ebbe un ruolo essenziale nella fondazione dell ' impero che portò a compimento il processo di affermazione di un'autorità universale in occidente " (18)
11 perchè di tale tardiva ortodossia è abbastanza semplice da spiegare: reputando che la sua sovranità provenisse direttamente da Dio , l'essere infedele significava automaticamente non riconoscerla, esentando perciò dal vincolo di obbedienza e fedeltà. A questo punto per gli assoggettati non cristiani restavano due sole alternati ve, ancora più spietate della consuetudine islamica: o accettare la conversione con il battesimo, senza però alcun tentennamento futuro in materia di credo e di pratica, o l'eliminazione fisica. Tra i primi a sper1mentare siffatto integralismo furono i Sassoni a nord, subendo spaventosi massacri. Seguirono gli Avari ad est, che si erano insediati nella valle del Danubio: la loro fiera resistenza valse solo a provoca- re il radicale sterminio dell'etnia, che scomparve così dalla storia. Per rendere la situazione irreversibile Carlo istituì nella regione una marca, ovvero, un ben definito territorio, posto a guardia della stessa, sogge tto ad una amministrazione militare: era in sostanza una riproposizione dell'antica concezione romana delle colonie, appena aggiornata dall'adozione della cavalleria. Nella fattispecie fu la premessa istitutiva dell'Austria , coincidente appunto con la marca orientalis: negli anni seguenti altre analoghe 1'affiancarono.
Anche contro gli Slavi Carlo Magno condusse una gueITa spietata, durante la quale i prigionieri, sistematicamente venduti come bestie, furono talmente numerosi che dall 'e timo di slavo derivò quello di schiavo. Dal canto loro: " ... gli slavi cominciarono a considerare il Cristo come un teutonicus deus e il cristianesimo come una religione estranea impo sta loro sulla punt a della spada. Per i tede sc hi le spe dizioni di saccheggio contro gli slavi assunsero il carattere di crociate: ai vantaggi materiali poteva combinarsi la salvezza delle loro anime, poichè le gesta perpetrate contro un nemico pagano sa rebbero state ben accette agli occhi di Dio. Nel corso di due o tre seco li, i tede schi, aiutati dai missionari della Chiesa , riuscirono ad imporre la loro religione agli slavi ... " u9 > _
Ovviamente gli infedeli per antonomasia stavano ad occidente, al di là dei Pirenei, ed anche in quella direzione l'offensiva di Carlo Magno si estrinsecò con l 'ormai sperimentata efficienza. Ma , proprio quella campagna dimostrò quanto lontana fosse la motivazione religiosa dai campi di battaglia. li pretesto scatenante, ammesso pure che ce ne fosse bisogno , fu la richie sta di aiuto fatta pervenire a Carlo Magno, nel 777, dal governatore di Barcellona e di Gerov , lbn-Arabi incapace di ridurre all'obbedienza il califfo di Cordova. Nella primavera seguente un grande esercito franco, strutturato s u due distinte di visioni , valicata la formidabile catena, penetrò nella Spagna s imultaneamente da est e da ovest. Contrariamente a quanto era logico aspettarsi, la prima città ad essere investita con la massima violenza cd espugnata d ' impeto fu la cristianissima Pamplona. Del resto anche gli altrettanto cristiani montanari baschi, durante il supera mento dei Piren ei, era no stati considerati, e trattati, alla stregua dei più iITiducibili pagani s ubendo le abituali strag i.
Con altri assedi e con altre conquiste l'avanzata proseguì fino a Saragozza s ull 'E bro, che riuscì però a re sis tere , dimostrando, se non altro, l'inutilità e il velleitari s mo dell ' intera operazione. L'armata di Carlo Magno , in quella stessa estate, abbandonò le inviolate mura della città s pagnola per rientare in patria. Agli inizi di agosto le anguste valli dei Pirenei furono nuovame nte attraversate, senza eccessive difficoltà. Il giorno 15, mentre anche le sa lmerie lentamente s uperavano la gola di Ronci svall e, un manipolo di Basch i , decisi a vendicare le recentissime violenze, piombò loro addosso all'improvviso. Nella scara muccia intervenne il comandante della retro g uardia , Orlando , prefetto della marca brit annica, restandovi ucciso. L a morte non ebbe alcuna ri sonanza al di fuori dei suoi con terranei n el paese di Coutances: biso g na attendere il furore retorico della prima crociata affinchè quelI ' insi g nificante episodio trovi un'epica riproposizione assurgendo ad eroico sacrificio ne ll 'a mbito della imman e lotta condotta da Carlo Ma g no contro l'Islam.
Nei decenni s ucc ess ivi tuttavia si ebbero altre ini zia tive di Carlo a sud dei Pirenei che si conclusero nel 795 con l ' istitu zio ne di una ennesima marca , quella di Spagna, estendentesi dalle montagne all'Ebro. Di lì a breve anche le iso le Baleari gli si sottomisero spo ntaneamente.
TI Sacro Romano Impero
Allo sca dere del l' V I li secolo, la ricostitu z ione dell'Impero romano ad opera di Carlo Magno, almeno p e r i più ottimisti, non è ormai un irraggiungibile miraggio ma un'imminente realtà In effetti: "allargata dalla conquista a est, fino all'Elba e al Danubio , a sud fino a Benevento e all ' Ebro , la monarchia franca ingloba pressappoco tutto l'Occidente cristiano Non ci si può quindi stupire, in que ste condizioni, che alle deliberazioni del papato si sia presentata spo ntaneamente l'idea di approfittare di un momento così favorevole per ricostituire l ' Impero romano, ma un Impero il cui capo, incoronato dal Papa in nome di Dio, dovrà il proprio potere solo a ll a Chiesa e vivrà so l o per aiutarla nella sua missione; un Impero che, non avendo origine laica, non dovendo niente agli uomini, non formerà uno Stato nel vero senso del termine, ma si confonderà con la comunità dei fedeli di cui sarà l'organizzazione temporale, diretta e ispirata dall'autorità spiri tu ale del successore di san Pietro ... " '20'
È diffici l e stabi lire quanto di quel sofisticato disegno sia stato compreso e co ndiviso da Carlo: di certo il ruolo riservatogli lo gratificava, apprezzava molto meno quella sorta di tutela da parte della Chiesa. E quando, sceso a Roma nell'anno 800 per dirimere una ennesima controversia interna al papato, si ritrovò al termine della messa di Natale, nella basilica del Laterano, incoronato ed acclamato imperatore da Leone III non parve affatto entusiasta dell'iniziativa. Comunque sebbene territorialmente mutilo, sebbene cu ltura l mente e s trutturalmente inconsistente, in quel preciso momento fu sa ncita la rinascita dell ' Impero romano, tramite l'intervento della Chiesa di Roma: sarebbe stato perciò il Sacro Romano Imp ero. A rendere ulteriormente sgradita la vicenda agli occhi di Carlo era l ' improvviso trasformarsi del pontefice da suo protetto a suo s up eriore: non a caso nell'813 stabilì che, per l 'avvenire, l'unico cerimonia le possibile sarebbe stato quello dell 'a utoincoronazione.
In pratica, però, quella nuova realtà istituzionale altro non era se non l a concretizzazione di un ideal e politico e religioso nella figura di Carlo Magno, re dei Franchi, dei Longobardi e dei Sassoni. E, forse a causa di tale motivo, qu ella aggregazione ostentava una ev id ente artificiosità ed una intrinseca debolezza. Lo stesso potere dell'imperatore, senza dubbio il m aggiore concentrato nelle mani di un singolo indi viduo dalla dissoluzione dell'Impero romano, ri sultava privo di un adeguato raggio d 'az ione, esaurendosi a breve distanza dalla sua persona, nonostante l a sudd ivisione del territorio in contee e l'azione inces s ante dei funzionari imperiali. Ma proprio questi ultimi erano inadeguati al compito e lo stesso Carlo: " non poteva non rendersi conto dell'impossibilità di mantenere l'unità amministrativa del suo immenso impero, dove s i parlavano tanti dialetti , per mezzo di funzionari illetterati, che conoscevano so ltanto la lingua del proprio paese ... Ma Carlo fu ben lontano dal riuscire a creare quella classe di funzionari i struiti , latinizzati, che avrebbe voluto lasciare in eredità ai propri successori. Il compito era troppo pesante e troppo vasto ... " ' 2 1 J In ultima analisi Carlo Magno: " non riuscì a rendere omogenee le differenze materiali e intel1ettuali dei vari popoli soggetti al suo dominio. Come non riuscì a creare una burocrazia forte di una forza propria e non alla merc è delle mutevoli si tuazioni della corte. Una burocrazia è certo che venne creata, ma si trattò di una burocrazia di tipo s peciale, di una burocrazia patriarca l e. Una burocrazia del genere non ha una forza s ua ma condivide in genere il de s tino della famigl ia regnante e s i regge principalmente sulla capacità del sovrano. Se questo cade, cade anche lo stato. Ma creare un qualcosa del genere in grado di durare era al di là d elle poss ibilità anche di un Carlo Magno. " <22>
Per l' incredibile ripeters i della già singo lare circostanza che aveva visto Carlo Magno unico erede dell'intero regno, la prematura scomparsa di due dei suoi legittimi eredi, all'indomani della sua morte, avvenuta ad Aquisgrana il 28 gennaio dell'814, consentì a ll 'Impero di passare nella sua in terezza, tranquillamente, al fi glio trentaseienne Ludovico. Anche sotto il profilo militare, il nuovo sovrano sembrò, per i primi tempi , un mero prosecutore della concezione paterna. Una minaccia inedita, tuttavia, rapidamente andava prendendo consisten za: quella degli uomini del nord , aggressivi predoni c he agivano lungo due opposte direttrici: verso la Francia e verso la Russia . Per con tro la coesione all 'interno dell'Impero , nonostant e i disperati sforzi di Ludovico per garantire la legalità e la sicurezza, prese rapidamente a dissolversi. A partire dall'817 iniziarono a manifestarsi le prime discordie , innescate dalla mai risolta questione della successione ered itaria: la soluzione da lui escogitata di favorire il primogenito dei suoi tre figli non incontrò, ovviarnpnte, il gradimento di questi ultimi. La nascita, dal suo secondo matrimonio, di un altro maschio e le trame della madre tendente a garantirgli la maggior quota ereditaria possibile, determinarono la formazione di due fazioni con la conseguente rovinosa contesa fra padre e figli e fra fratelli che fin) per scol volgere 1' intero Impero. Dopo la morte di Ludovico, nell' 840, e dopo una serie di battaglie, finì diviso in tre unità distinte, ciascuna retta da un re di pari dignità: fu quella l'origine della Germania, della Francia e dell'Italia. L'Impero, nell'arco di meno di un secolo e mezzo, era già scomparso e le incursioni vichinghe infersero i colpi decisivi alla sua disgregazione. Le scorrerie di anno in anno divennero più violente e devastanti spingendosi sempre più verso l ' interno e dimostrandosi imbattibili. anche misere: qualche recinto, qualche torre , caseforti ormai sparite Ma l'incastellamento di quasi tutta l'Italia settentrionale [avvenne] al tempo del regno italico indipendente, e soprattutto degli Arduinici: seconda metà del X secolo. Si sommano in questo periodo tre element i concorrenti: instabilità e lotte di potere interne ed esterne, quindi frammentazione politica e necessità di difendere in proprio domini continuamente insidiati; invasioni esterne devastanti (Saraceni e U ngheri) cui il potere centrale non era in grado di opporsi, quindi richiesta di potersi difendere autonomamente; debolezza regia, quindi difficoltà a negare privilegi e concessioni ...Tra il 1000 e la metà del XIV secolo la topografia castellana del territorio assume quasi la s iste m azione attuale, per stratificazioni successive ... " <24) _ Il fenomeno descritto, in ultima analisi, non differiva, sostanzialmente, da quanto già si era verificato nell'Italia meridionale, con fasi ancora più violente ed instabili, dalle quali sarebbe scaturito
A quell'epoca il regno d'Italia, già longobardo, si anche in quella zona il primario reticolo fortificatorio , riduceva alla parte settentrionale e ce ntral e della destinato a permanere fino al1 ' avvento dell'età moderPenisola, ad eccezione di Venezia sempre bizantina. na.
Da quel momento subì per oltre: " un secolo, il più tempestoso destino. Più Case si disputarono la corona: i duchi di Spoleto e, soprattutto, i signori di quei Il Sacro Romano Impero Germanico colli delle Alpi donde era così facile e allettante piombare sulla pianura: marchesi del Friuli o d'Ivrea .. .Molti di quei pretendenti si fecero, inoltre, consacrare dal papa imperatori: giacc h è dopo la prima spartizione dell'Impero sotto Ludovico il Pio, il possesso dell'Italia ... [e il] dominio su Roma ... sembrava la condiz ion e necessaria di tale prestigiosa dignità .. . Già nel 894 e 896, Arnolfo, forte della sua origine carolingia, v i era disceso e si era fatto riconoscere re e vi aveva ricevuto l'unzione imperiale " <21>
Quel cruciale sno do storico, dal punto di vista fortificatorio, ebbe no tevo lissime ripercussioni nell 'Italia del nord Con la cessazione della dominazione longobarda e con l'avvento dei conti franchi: " .il territorio riceve quella divisione in comitati che doveva durare fino all'XI-XII secolo ...Pare comunque probabile che scarse fossero le fortificazioni di codesti comitati. E
Per la stor ia, la dinastia caro lingia si esaurì nell ' 888 con la morte dell' ultimo legittimo discendente, Carlo il Grosso. Appena un paio di anni prima, dal 885 al 887, i Vichinghi avevano vanamente stretto d'assedio Parigi, con una forza di 40.000 uomini e 700 navi. La scomparsa del sovrano ne riacutizzò l'offensiva e, so lo nell'892, il nuovo re Arnolfo riuscì a sco nfiggerli su ll e rive del Dyle in Germania. Per molti aspetti, però, quel successo g iun se troppo tardi: già da anni, infatti , gli uomini del Nord si erano sta bilmente insediati nella Francia settentrionale. Falliti tutti i suc cess i vi tentativi di sloggiarli condotti da Carlo il Semplice, ma anche g li sforzi degli stess i Vichinghi di ampliare ulteriormente la loro enclave, nel 911 a:" Saint-Clair-sur-Epte s i convenne di lasciare agli scand inavi parte del bacino della Senna comp rendente le provincie di Rou en,
Lisieux e Evreux, nonchè la regione che s i stende tra il Bresle , l'Epte e il mare, a patto che ess i difendessero il regno contro qualsiasi attacco, ricevessero il battesimo e rendessero omaggio a Carlo. Oltre a questi territori nel 924 gli scandinavi ebbero i distretti di Bayeux e di Séez, e nel 933 quelli di Avranches e di Coutances, arrivando così proprio al confine bretone. Con la creazione della Normandia, i vic hin ghi praticamente cessarono ogni loro attività nel regno franco " <251 _
Sempre nel 911 si estinse pure il ramo germanico della dinastia carolingia e, secondo le consuetudini locali, i grandi del regno sce ls ero quale erede un nobile franco ad essa imparentato: Corrado I. Il sovrano, a sua volta, designò a succedergli il duca di Sassonia Enrico, che, nono s tante la ostilità del suo rivale il duca di Baviera fu accettato senza difficoltà. D a allora: " ... mentre il regno d'Occidente si dibatteva in una lunga controversia dinastica, i sovrani della casa sàssone si sussegu irono , per più di un secolo (919 -1024) , di padre in figlio , financo di cugino in cugino. L'elezione, che continuava a venir effettuata regolarmente, non sembrava che confermare l'eredità. " <26>
Se nel regno franco furono le incurs ioni vichinghe a destare le massime apprensioni, ed a infliggere le peggiori devastazioni , nel regno germanico furono in vece quelle deJJe orde magiare. Ancora una volta una stirpe di origine mongola premeva su JJ e frontiere orientali deJl 'E uropa ed ancora una volta le popolazioni locali dovettero farsi carico della sua eliminazione. Non diversamente dai loro lontani antenati: " i membri deJle tribù germaniche di Sassonia, Franconia e Svevia si mantennero nello stato di liberi contadini usi a combattere a piedi con ascia e picca corta finchè nel X secolo, non si rovesciò sulle loro terre l'uragano delle incursioni magiare: orde di arcieri a cavallo dilagarono , verso ovest, attraverso le pianure deJJa Germania settentriona le. Anche se un pò tardi, i germani si affrettarono a ll ora a coJlegarsi con i loro cug ini occidentali, organizzando una cavalleria e il sistema sociale capace di sostenerla e infine, guidati da Enrico ed Ottone di Sassonia, ottennero a M erseburg nel 933 e a Lerchfeld nel 955 quelle vittorie c he permisero alla dinastia degli
Ottoni di succedere ai Carolingi e aJJo stesso Ottone di cingere la corona imperiale. Una parte della nuova nobiltà feudale seguì i propri signori imperiali nelle loro disastrose avventure in Italia. Altri si unirono al nuovo ordine crociato, i Cavalieri Teutonici, alla ricerca di avventure, terre e salvezza per la propria anima a ll 'est, fra le pianure e le foreste di Curlandia, Polonia e Prussia, dove le loro rapine e i loro massacri furono santificati da una Chiesa indulgente. " <27 >
Ottone I era sceso già nel 95 l nella Penisola, dove aveva ricevuto, a Pavia, l'acclamazione a re d'Italia, ma fu solo il 2 febbraio del 962 che venne incoronato a Roma imperatore dal pontefice Giovanni XII, avviando una nuova fase del Sacro Romano Imp ero, quella germanica. Pertanto: " da allora in poi , salvo che in brevi periodi di crisi, l'Italia, così intesa, non avrà, sino al cuore dei tempi moderni, altro monarca di diritto che quello di Germania. " 128> . I n ogni caso la sua concezione imperiale era sostanzialmente simile a quella di Carlo Magno, ma i centossessantadue anni trascorsi dalla notte di Natale dell '8 00 avevano accentuato le diversificazioni fra il coacervo di popoli che componevano quella compagine. La sua visione fu perciò anacronistica ed inadeguata, eminentemente restaurativa e conservativa, a differenza di quella dei suoi eredi, che iniziarono a perseguire traguardi più co n soni ad un impero propriamente detto. E quando quel sogno , con Ottone III , sembrò ormai a portata di mano, svanì miseramente con la s ua mo1te nel 1002, rientrando nel tradiziona le ambito di un regno italo-tedesco. Il nuovo sovrano Enr ico II (1002-1024 ), ultimo imperatore di stirpe sassone, non potè far altro che preservarne l'ideale.
L'avventura normanna in Italia
Con l'avvento dell'anno mille, in Occidente e nella cristianità, si registrò dopo oltre sette seco li , una improvvisa esplosione di benessere. E ssa viene fatta discendere da varie cause, prima fra tutte la diminuzione dell'insicurezza. Il fenomeno a sua volta, forse, non fu altro: " che una conseguenza del desiderio da parte di larghi strati della società cristiana di salvaguardare il progresso nascente. «Tutti erano sotto il terrore delle calamità dell'epoca precedente e attanagliati dal timore di vedersi portar via in avvenire le dolcezze dell 'abbondanza» ... La protezione accordata soprattutto ai contadini, ai mercanti, alla soccida, alle bestie da soma e da tiro è significativa: la pressione esercitata dal progresso economico fa indietreggiare le armi, impone un disarmo limitato e controllato ... " <29 > _
Ma una società intrinsecamente violenta non poteva in pochi anni trasformarsi nel regno della pace. Non a caso la: " ... violenza era nell 'economia: in un'epoca di scambi rari e difficili , quale mezzo migliore per arricchire del bottino o dell'oppressione? Tutta una classe dominatrice e guerriera viveva specialmente di ciò La violenza era nel diritto: a causa del principio consuetudinario che, alla lunga, conduceva a legittimare quasi ogni usurpazione La violenza era, infine, nei costumi: perchè gli uomini erano proclivi a mettere il loro punto d'onore nella manifestazione quasi animale della forza fisica ... " <30l
Il contrarsi dell'insicurezza potrebbe anche spiegarsi come esito del rigido controllo del territorio imposto dal feudalesimo e dal reticolo di fortificazioni conseguenti. La trasformazione del feudo, da beneficio personale ad ereditario, aveva comportato una proliferazione di residenze fortificate. Infatti: " ... nell ' istituzione o nel consolidamento di quelle dominazioni, di titolo e di raggio d'azione variabili, risulta una caratteristica comune: l'azione esercitata, come punto di cristallizzazione, dai castelli ... C' era sì la torre , a un tempo dimora del signore e ultimo ridotto della difesa; ma intorno a essa, uno o più recinti circoscrivevano uno spazio abbastanza vasto, dove si raggruppavano gli edifici ri se rvati sia agli alloggiamenti delle truppe, dei servitori, degli artigiani, sia ai depositi di censi o di provviste e mai, in seguito, l'idea che il diritto di fortificazione era, nella sua essenza, una prerogativa della potenza pubblica scomparve interamenle ... Fatto ancora pili grave: i re e i principi, impotenti a impedire la cost ruzione di nuove fortezze, non riuscirono meglio a conservare il controllo di quelle che, dopo aver costruite essi stessi, avevano affidato alla guardia di fedeli, a titolo di feudi " < 3 1)
In quel contesto il processo di trasformazione dei rozzi Vichinghi insediatisi in Normandia, e definiti ormai correntemente Normanni, fu straordinariamente rapido. Basti pensare che, abbandonato il paganesimo per il cristianesimo ed il danese per il francese , già intorno al 940, tutti professavano il monoteismo e quasi più nessuno parlava la lingua originaria: per il resto l'intera loro soc ietà appariva rigidamente feudale. Unica connotazione residua la permanenza nei comportamenti, pubblici e privati, dell'atavica intraprendenza ed aggressività. Ovvio , pertanto, che riuscissero ad unire:" ... alla abilità marittima degli scandinavi ... quanto allora si conosceva di arte di guerra della cavalleria e di arte poliorcetica ... Nessuno, tra i suddi ti nominali del re di Francia, era potente come il capo di questa razza forte e assimilatrice ... " m) _ Nessuna meraviglia, quindi, che in meno di un secolo il ristretto territorio della valle della Senna fosse ormai insufficiente per le ambizioni dei tanti rampolli delle casate normanne. Ben presto molti di quei giovani, ampiamente dotati di capacità combattive, approfittando dello stato endemico di belligeranza della cristianità iniziarono ad offrirsi come mercenari sia ai potentati occidentali sia ai bizantini, cercando di rHagliarsi fortune e feudi sotto il caldo sole del Mediterraneo , in particolare in Italia.
L'insediarsi dei Normanni in Italia ebbe un andamento talmente dissimile da tutte le precedenti penetrazioni nordiche , da non potersi in alcun modo equiparare ad un'ennesima invasione. Non consistette, infatti, in una calata in massa, nè in un unico episodio, ma si attuò attraverso modestissime infiltrazioni, numericamente insignificanti, in un arco temporale di circa mezzo secolo e, per giunta, interessò soltanto il Meridione prima e la Sicilia poi. In particolare s i trattò di: " gruppi d 'in dividui d 'ogn i età e co ndi zione, che abbandonavano alla spicciolata il loro paese, troppo povero e angusto, e s i tra sferivano nel no stro, attratti dalla fama della fortuna che vi avevano trovato passandovi e s tabilendovi s i , molti loro conterranei. Vi emergevano i cadetti di casate feudali, bramosi di posizioni economico-sociali che in patria non potevano raggi un ge re. fn terzo luogo , la fecondità, il dolce clima e le altre attrattive delle terre della Campania e della Puglia, e, per dippiù , le guerre locali che domandavano di continuo uomini d'arme , bastavano per accendere l a fantasia, l 'a mbizione e l 'av idità di quei discendenti dei Vichinghi, che per due seco li avevano vagato, in cerca di sedi confacenti, per i mari e per le terre de l nord. " <33 >
Secondo una prima ricostruzione , all'origine della migrazione c i fu la funz ione di caposcalo per la Terrasanta<34> soste nuta da i porti pugliesi, tappa obbligata per i guerrieri delle potenti dina st ie dei conti d'Angiò e dei du ch i Normanni <35 > _ All'epoca le cond izioni politiche in cui versava il Mezzogiorno erano quanto mai frammentate ed in stabi li : " .la frontiera dell'Impero bizantino uffi cia lmente andava da Terracina ... a Termoli; ma all'interno di questi confini so ltanto le province di Puglia e di Calabria, abitate in prevalenza da greci, erano sotto il governo diretto di Bi sa nzio. Sulla costa occidentale c'erano le tre ci ttà-stato mercantili di Gaeta, Napoli ed Amalfi, nominalmente vassalle dell'imperatore... L' interno del paese era in mano ai principi longobardi di Benevento e di Salerno .. .! mu s ulmani dominavano a ncora la Sicilia nonostante i molti tentativi dei bizantini per riconquista rl a; e le incursioni che partivano dall ' iso la e dall'Africa contro le coste italiane aumentavano il caos nel pae se In queste regioni erano arrivati in gran numero avventurieri normanni dalla Francia settentrionale, in viaggio come pellegrini per Gerusalemme molti di loro erano so ld ati di ve ntura che rimanevano al se rvi zio dei principi longobardi .. .Il di sordine del paese offrì loro un ' occasione favorevo le. " <36>
Nelle pagine di Guglielmo di Puglia, lo storico dell'epopea normanna, si trova conferma esplicita di quanto delineato, allorchè si narra di quaranta cavalieri normanni , pellegrini verso la Terrasanta . Contattati da un nobile, pugliese, che ne sollec itò l'aiuto per abbattere il g iogo bizantino, essi avrebbero acconsentito, rinviando però l'impresa a dopo il loro rientro. Curiosamente, anche in una tradizione sa lernitana, si parla di un gruppo di quaranta cavalieri normanni che, appena tornati dalla Terrasanta, riuscirono con il loro provvidenziale intervento ad infrangere l 'assedio saraceno alla città. In alcuni memoriali francesi, invece, s i tramanda di un g ruppo di cavalieri normanni , che es pulso dalla propria regione, per gravissimi mi sfatti, si diresse verso il Sud!
Quale che s ia la verità in queste sos tanzialmente concordanti leggende, è certo che la presenza normanna, sporadica e di scars iss ima entità , a partire dal 1015-16 tese rapidamente ad incrementarsi nel meridi one italiano. È pertanto possibile individuare, negli ste ssi anni, due distinti nuclei in sediativi, s ignificativamente a Salerno il primo ed a Bari il sec ondo , entrambi confluiti al serv izio di Melo, eroe dell'irredentismo pugliese<31> Intorno a l 1030 i membri della famiglia di Altavilla rappre sentano ormai in Campania ed in Puglia una realtà sta bile e potente, capace di fondare pers ino nuove città, quali Aversa nel 1047. Sterili, a quel punto, i tardivi tentati vi di estrometterli con le armi, come quello es ploso nel l 050, antesignana sommossa popolare contro i brutali dominatori che lo stesso pontefice non disdegnò di appoggiare, intervenendo militarmente.
L'incredibile scena di Leone IXC38> , prigioniero dei Normanni, in quanto capo di un eserc ito sconfitto, nella brulla distesa del Tavoliere, dopo la battaglia di Cividale il 18 giugno del 1053, ma, al contempo riverito dai vincitori, umilmente genuflessi al suo cospetto, in quanto capo spirituale della cristian ità, fa da prologo alla nascita del primo grande stato peninsulare. Nonostante ciò, la bramosia di conquista dei guerrieri del nord no n era affatto placata, provocando, anzi, la loro in gerenza in ulteriori belligeranze intestine.
In Sicilia, da seco li ormai is lamizzata, divampava una violenta contesa fra i diversi pasc ià e l'emiro , pedissequa replica della più remota contrapposizione tra i baroni bizantini e l'imperatore , che era stata astutamente sfruttata dai s araceni per so ttrarre l ' intera isola ai due conten d enti. E così nel 1030 , ripercorrendo quel dimenticato copione, l 'e miro, di s perando di ridurre all'obbedienza i s uoi riotto s i vass alli, s ollecitò a Bisanzio l'invio di un corpo di spedi zione che lo aiutasse a riaffermare la sua compromessa sov ranità<39> _ D opo breve tempo un esercito imperiale, agli ordini del generale Maniace, s barcò a Messina , accolto, se non amich evolmente di certo non ostilmente, dagli estemporanei a ll eati musulmani. Tra le s ue file , o ltre ai militi della guardia varega, spiccava un con tingente di indisciplinati me rcenari dai biondi capelli : i Normanni. Stando alle fonti, essi non eccedevano le 500 unità; era infatti la prima vo lta che Bisanzio arruolava, per una s ua ca mp agna medi terranea, tra quella genia di rinomati razziatori.
Alcune sag he vichingh e ri evoca no co nfu sam e nte l 'e pi so dio , tramandando che un celebre m e rce nari o, di nom e Harald, nel 1034: " ... con un seg uito personale di cinquecento guerrieri, s i re cava a Bisanzio ed entrava nel se rviz io imp eriale Era un profess ionista che combatteva s u qual s ias i teatro di operazio ni do ve lo mandasse il s uo datore di lav oro [e] l ' imperatore .. .lo inviò con la s u a compagnia in Sicilia perchè l 'esercito bi zantino stava conduce nd o una guerra in quell ' is ola . Ed egli vi andò e fece posse nti imprese ... "<40> . Anche il fratello di Harald seguì la mede s ima strada c he così ricordava: " ... anch ' io combattei per l'imperatore . ..appena raggiunta M ess ina... [fui nominato ] 's patharokandates ' [condottiero] ... " <41 l
Ov viame nte, come era g ià accaduto ai loro predece ss ori arruolati dai bizantini , nell'occa s ione oltre a spe rim e nta r e l ' inconsistenza difen s i va dell ' iso la ebbero modo di valutarne anche le immense ricchezze, ulteriormente acc resc iute s i durante la dominazione araba Nessuna meraviglia, quindi , se una volta radicatisi n e l Me zzogiorno, non più di trent 'a nni dopo , alcuni ~ormanni , al comando di Ruggero di Altavilla , fratello del più celebre Roberto, detto il
Guiscardo, furono indotti, dal ricordo della non lontana esperienza a tornare a Messina per intraprendere, in propri o la co nqui sta d ell' iso la.
Il giorno di Natale de l 1130 la temeraria i mpresa dei due frate lli attingeva la sua impre ve d ibile concl usione: il loro di sce ndente Rug gero II s i proclamava so lennemente re di Sicilia, d e finizione geografica c h e in realtà includ eva anche buona parte d e l M ezzogiorno penins ulare , l'altra Sicilia. Qu e llo che , pur se tra a lterne vicende, s i sarebbe affermato per i s uccessivi sette seco li come il magg iore Stato italiano , il R egno appunto delle Due Sicilie, assumeva, così, il s uo originario stabile assetto. L' intraprend ente ed ambizioso sovrano iniziò se nza indugi a cementare quel disomogeneo Stato, assicura nd o, inn anz itutto, l 'ordin e pubblico ed organizzando un credib ile e poderoso apparato militare. La validi tà della sua visione politica è tangibilmente testimoniata dall 'estendersi delle conq uiste: un a ven tin a di anni dop o l'incoronazione, infatti , anche il Nordafrica, d a Tripoli a Tunisi , era sotto la sua sovranità<42>
Tuttavia l 'eso rdi o del nuo vo regno fu caratterizzato da incessan ti ribe lli o ni feudali, c h e ne ritardarono la normalizzazione. Molti Normanni, dei tanti nel fratte mpo so prag giunti, n on riconoscevano 1' as setto monar c hico. Motivatamente s i reputavano comunque " ... uguali fra loro [po ic hè ] ... so lo per motivi conti ngenti ... nel 104 2, nel corso de11a lotta co ntro i Bizantini , s i ... [erano convinti] ad eleggere un co n te nella p e r so na di Gugl ielmo d'Altavilla. Questi fu considerato, e in effe tti era, so lo un primus inter pares e tale gli altri capi normanni tesero se mpr e a co n s id erare i s uoi s u ccesso ri anche quando, attraverso qu e lli c h e so no s tati defin i ti colpi di s tato costituzion ali, R oberto il Gui scardo p rim a e Ruggero II poi trasformarono il loro titolo di c onte in quello di duca e di re ... " <43l _
La log ica delle armi, cos trin se in breve tempo anche i più recalcitranti d ei capi norm a nni a11a totale obbedien za; non marginal e fu, in tale contesto il ricor s o alla fortificazione, che ini z ia così ad esercitare a pieno titolo la s ua altrimenti margi n a le fun- zione repressiva. Non a caso : " ... cronache dell 'e poca ... riportano che i Normanni , soprattutto Ruggero II , fecero edificare numerose fortezze, sia torri che castelli, man mano che occupavano nuovi territori. Studiosi che citano cronisti tedeschi, contemporanei alla campagna dell'imperatore Lotario contro i Normanni, accennano al considerevole numero ed alla grandezza degli impianti difensivi normanni Gli stessi autori, trattando della tipolo gia costruttiva normanna, citano alcuni esempi costituiti da semplici torri isolate «non di rado con la forma dei donjons patri » " <44 >
I dongioni normanni
La concezione di tali modeste fortificazioni introdotte dai Normanni, sebbene fosse di tipo ancora estremamente rudimentale, rappresentava , comunque, già una rilevante rielaborazione dei loro più grezzi archetipi, spesso addirittura in legno. Si trattava, infatti , di appross imate strutture utili soltanto nell'ambito del loro primitivo contesto di provenienza, basato sulle razzie e s ulle sopraffazioni. Furono infatti: " .. .le scorrerie normanne a far sorgere dovunque dal!' Adriatico alle pianure dell'Inghilterra settentrionale .le fertès o fortezze rurali ... Le guerre intestine non tardarono a moltiplicarle Ri spondevano a bisogni elementari , spo ntan eamente se ntiti e soddisfatti . Un agiografo lo ha sp iegato con molta esattezza, se pure senza simpatia: «Per quegli uomini se mpr e impegnati in ri sse e in massacri, ripararsi dai nemici, trionfare degli eguali, opprimere gli inferiori » ...
Generalmente erano edifici di tipo assai semplice. Il più diffu so, a lungo, almeno al di fuori dei paesi mediterranei, la torre di legno ... [al suo interno] al primo piano, una sa la dove il «potente», «con la sua masnada , viveva, conversava, mangiava, dormiva»; al pianterreno, il celliere per le provviste. Ordinariamente , ai piedi della torre era scava to un fossato. Qualche volta, una cinta di pali e di terra battuta, c ircondata a sua volta da un altro fossato , correva a una certa di s tanza. Essa permetteva di mettere al sicuro vari edifici e la cucina, che il pericolo d 'i ncendi consigliava di collocare in di s part e ; serviva al bi so gno di rifugio ai dipendenti ; evitava alla torre di essere investita s ubito e rendeva meno facile , nei confronti di tale ridotto, il mez zo d 'a ttacco più efficace: il fuoco Torre e cinta sorgevano, infine , abbastanza di frequente s u di una altura, talvolta naturale , talaltra, almeno parzialmente, opera dell ' uomo [detta motta] ... " 145l _
Agli inizi dell'XI seco lo , tuttavia , i Normanni le impiegavano ormai sporadicamente, forse s olo come opere campali nel corso di scorrerie più prolungate. L'ampliarsi del loro raggio d ' azione li aveva, senza dubbio, posti di fronte alle fortifica zioni in muratura, delle quali immediatamente recepirono i vantaggi e le caratteristiche fondamentali , adattandole al poveri ss imo repertorio tradi zionale. Sorsero allora i primi dongioni in pietra, che s pess o sosti tuivano qu e lli lignei s ulle medesime ' motte'.
Molto probabilmente anche iI Meridione conobbe siffatte fortificazioni lignee, almeno durante i prodromi della penetrazione normanna, ma la loro estrema deperibilità ne ha impedito la conservazione. È emblematico, al riguardo , ricordare che anche il te rmine 'motta' è scomparso da secoli dall ' italiano corrente, contrariamente alla voce verbale derivata, 'smottare', che definisce , appunto, il disgregarsi di una modesta altura. È pertanto credibile che, conclusasi la fase pioneristica e consolidatasi stabilmente la conquista, anche a s ud i Normanni iniziassero a sostituire le prime effimere difese con altre più evolute e resistenti, sebbene strutturalme nte e concettualmente simi li. Comparvero allora i menzionati dongioni in pietra , massicce torri quadrilatere di discreta superficie i nterna, case-torri parallelepipede che vantavano all'epoca una collaudata esperienza. Poichè l ' assemblaggio dei tronchi di legno co nsentiva so l ta nto stru tture quadrilatere, la predilezione per i dongioni in pietra della planimetria quadrata deve imputarsi soltanto alla estrema conservazione di tale tradizione , non manifestandosi alcuna valenza difensiva a s uo carico.
Sembra che il più antico dongione sia stato innalzato dal conte d'Angiò, verso la fine del X secolo, a Langeais.
Da allora, in sequenza accelerata, ne sorsero innumerevoli, tutti fra loro sostanzialmente simili. In dettaglio si tratta, abitualmente, di un edificio: " ... a pianta rettangolare ... con un grande stanzone per piano e altezza di due, tre o, più raramente, più piani. Scale retrattili, o più comode scale fisse, garantiscono i collegamenti verticali. L ' altezza può raggiungere dimensioni imponenti, dell ' ordine dei 30 m. Di solito l'accesso avviene al livello del primo piano: il piano terra viene utilizzato come magazzino, cantina, deposi to , ed è accessibile solo dall'alto, sotto il controllo del proprietario della fortificazione .I modi in cui questo accesso sopraelevato può essere raggiunto sono notevolmente variati .IJ sistema più semplice consisteva in una ripida rampa di scalini di pietra, larghi a sufficienza per lasciar passare solo un uomo, cosicchè i difensori della porta potessero essere impegnati da un solo nemico per volta, il cui cadavere, poi creasse un ulteriore ostacolo alle forze attaccanti ... Dongioni di pietra erano, nell'XI secolo, piuttosto rari ... poichè richiedevano l ' impiego di esperti ... muratori professionisti e un largo uso di pietra da taglio Tuttavia, con il passar del tempo, sia le maestranze sia la pietra divennero meno difficili da ottenere e le fortificazioni di legno vennero sostituite da più solide e durature strutture di pietra ... " (46 )
In ogni caso, anche nella tipologia in muratura , i dongioni rappresentavano fortificazioni primordiali, di elementare concezione e di rapida costruzione, e pertanto perfettamente idonee a fornire, nel contesto estremamente fluido della dilagante occupa z ione, la soluzione per antonomasia ai problemi cli difesa avanzata, derivanti dalla astiosità degli asserviti e dalla rissosità dei conquistatori! Essi, però, se tecnologicamente rappresentano un piccolo passo in avanti della fortificazione medievale, richiedendo una indubbia capacità costruttiva, sotto l'aspetto militare non ostentano alcun significativo progresso rispetto ai masti longobardi dei quali riproducono, inalterati , connotati residenziali ed espedienti difensivi, di tipo sempre eminenteme nte passivo.
In lin ea di larga schematizzazione, un'idea : " ... sia pur approssimata, dell'architettura militare normanna ci è data dalla torre fortezza che costituì il tratto caratteristico di alcune costruzioni sacre di Sicilia, quali le cattedrali di Catania, di Cefalù e di Palermo. Qui la torre fortezza si inserisce nell'organismo architettonico come strumento di difesa e, solo in via eccezionale, è stata trasformata in torre campanaria. L'esempio di Catania dimostra come l'impianto di possenti torri quadrate, poste a protezione dei lati più vulnerabili, doveva corrispondere, quasi ce rtamente , ad un concet- to normativo l a rga me nte applicato nelle costru zioni militari de l tem po. Si tratta , co munque , di ri cost ruzioni approssimative, anche se possiamo affermare che la torre s u pianta quadrata è se mpre prese nte nelle opere di impianto o rifaz ion e normanna... " <41> .
La dominazio ne normanna nel Meridione si protra sse p er oltre un seco lo, favorendo il radicarsi del feudalesimo. In pochi dec e nni anche qui i dongioni s i moltipli caro no , presidiando ogni sia pur modesto ce ntro abitato.
In seg uito molte di tali fortificazioni si trasformarono in caste lli propriamente d etti, altre finirono di strutte ne l corso delle co ntese fratricide, altre ancora vennero abbandonate o ri s trutturate: pertanto quasi ne ss una ci è pervenuta integra, il che non esclude c h e sia possib ile di sporre di significativi esemp lari , appena mutilati in altezza.
Il dongione di Pietramelara
U n interessante esempio di dongione , in discrete condizioni di conservazione , è quello che s ovras ta il centro antico di Pi e tramelara , in provinci a di Caserta. Dalle fonti stori che si apprende c he, dopo una piima fase di possesso longobardo , 1'intera co ntrada passò al monastero di M o ntecassi no in virtù di una donazione<48> . Poss iamo quindi motivatamente pres um e re l' es is tenza di un borgo cintato , d el tipo di qu e lli lon go bardi innan zi de scritti, caratterizzato dalla so lita prees is ten za di mura poli go nali sann ite e so rmontato da un a modesta rocca.
Il Muratori, infatti, nel s uo R e rum ltali ca rum scripto res<49> , riferi sce, s ulla base di autori medievali , che Petra Mellara nel 900 era inclu sa nel Principato longobardo di Capua, come c ittà fortificata. È tuttavia estremamente probabile che la co nqui sta normanna si fos se estrinsecata anche lJ con le immancabili distru- z ioni e deva s tazioni, obbligando i successivi feudatari
64 Pietramelara , viab ili tà medi eva le. a rico s truirne le fortificazioni. Da altre fonti apprendiamo dell'esi ste nza di un tal:
·•... Va seo capitano famoso, c he con buon numero di cavall i, di Francia passò in I talia co n il Conte Guido [Filippo n. d. A.] da Monforte, l'anno 1265 , all'acquisto del Reg no di Napoli per Carlo figliuolo di Luigi Re di Francia contro Manfredi, il qual e prese una grossa terra , e forte. detta Pietram elara , lontana da Napoli trenta miglia , e cinque da Calvi, e da Theano in Terra di Lavoro , res tand ovi Capitano , e per gratitudù1e del Re avendone avuto in do no alcuni be ni , c he p1ima erano de' baro ni che seguitavano Manfredi, vi fondò la Ca sa Vasea .. . " t!IO ,.
Quindi, tanto nel 900 quanto nel 1265 , Pietramelara dispone di una fortificazione di discreta consistenza, molto verosimilmente una rocca con relativo borgo cintato. Fra le due date va ipo tizzata una sua distruzione , operata da Ru ggero II nel 1229 e una successiva ricostruzione, ovviamente seco nd o schemi e concez ioni normanne. Di certo il 13 marzo del 1496 il piccolo centro fu nuovamente attaccato, per ordine di Federico d'Aragona , e bestialmente devastato con l'eccidio dei s uoi difensori e la deportazione dei pochi sopravvissut i. Il legittimo feudatario, Federico di Monforte, costretto ad a ss istere impotente alla tragedia, non più tardi di un anno dopo , però , riuscì a ricostruire quanto distrutto , a cominciare dalla grossa torre quadrata sommitale .
Ma, come più volte ribadito in circostanze analoghe, è più plausibile che, in rea ltà, proprio: " .. .la torre s ia il re s iduo del precedente nucleo ... rnentre il conte di Moofort e ne avrebbe attuato so lo il restauro La s ua base a 's carpa', mo stra , nel taglio delle grosse pietre, la robustezza di [un fortilizio] tuttavia giudicato non 'abbasta difeso' ."<rn.
L'appare nte paradosso di una robusta opera difensiva valutata, però, di scarsa re s istenza, è facilmente spiegab ile qualora si riguardi una so lidi ssima fortificaz ione del XII-XIII seco lo alla luc e della poliorcetica maturatasi alla fine del XV, dopo il petfezionamento delle artiglierie!
Di certo il torrione di Pi e tramelara conserva ancora , e ben evidenti , le caratteristiche dei dongioni normanni, nonostante le tante alterazioni e mutilazioni successive. In dettaglio alla base, che insiste su di una piccolis sima scarpa, mi s ura m 9 per lato , con uno spessore murario di circa 2 m che si riduce in sommità, alla quota di m 15, a m 1.7. Quanto all'altezza , in origine, doveva attestarsi intorno alla trentina di metri, caratteristica che conservò fino al I 800 , con una suddivisione interna su due piani: è credibile, tuttavia , che impalcati lignei intermedi ne formassero di ulteriori , serviti da scale volanti. in Puglia si incontrano alquanti dongioni in discreto stato di conservazione; in particolare ricordiamo quelli di Deliceto , di Bisceglie, di Conversano, di Ceglie Messapico, tutti ovviamente inglobati in altr~ttanti castelli di epoca posteriore, ma sempre perfettamente identificabili'52>
Il dongione di Caia z zo
Una fortificazione sostanzialmente simile alla precedente, e ad essa abbastanza vicina, si ritrova pure a Caiazzo. Si tratta, infatti , di un altro torrione a pianta quadrata anch'esso su base leggermente scarpata e con ingresso soprelevato , tuttora esistente, anch'esso sicuramente mozzato in altezza ed affiancato da un più recente castello che domina il sottostante borgo.
Stando alla tradizione, la costruzione del torrione di Deliceto deve attribuirsi ad un tal Tristai nus, signorotto normanno del seguito di Roberto il Guiscardo, che intorno al 1073, lo edificò a quota 621, su di un picco dell'estremo contrafforte del subappennino Dauno, ad una trentina di chilometri da Foggia. Consiste in un massiccio corpo quadrato , alto 30 metri, diviso in tre piani, fra di loro comunicanti.
L'accesso situato al livello intermedio , avveniva originariamente tramite una rampa di gradini in pietra ed un ponte levatoio, al presente tramite una snella scala di ferro. Il dongione è forato da diverse sottili feritoie e da alquante piccolissime finestre. Anche il coronamento, in leggerissimo aggetto su aTchetti e beccatelli, è di epoca posteriore , lasciando ipotizzare un intervento più consistente a carico della sommità del torrione.
Simile per molti aspetti si presenta la vicenda del dongione di Bisceglie, eretto intorno al l 060 da un tal Pietro, vassallo di Roberto il Guiscardo. Di pianta quadrata raggiunge l'altezza di 24 metri: in epoca sveva, dopo la costruzione di un adiacente caste1lo, finl aggregato allo stesso tramite un ponte levatoio. Anche in questo caso sono presenti diverse sottili feritoie e poche finestre: l'ingresso, ancora perfettamente visibile, è ad una decina di metri da terra.
I dongioni pugliesi
Come in precedenza accennato , i prodromi dell'epopea normanna ebbero per teatro la Campania e, soprattutto, la Puglia, regioni che, nonostante i successivi riassetti difensivi , hanno conservato un gran numero di quelle primitive fortificazioni. Soprattutto
A Conversano i Normanni eressero la loro tipica fortificazione impiantandola, intorno al 1054, sui ruderi di una più antica opera bizantina, probabilmente del VI secolo. Di certo il primo ad esserne signore fu un tal U mfredo al quale successe, poco dopo, lo stesso Roberto il Guiscardo. Attualmente può identificarsi abbastanza chiaramente tra le strutture che costituiscono il raffazzonato castello aggregatoglisi intorno a partire dal XIII-XIV secolo.
A Ceglie Messapico, su uno de i due colli che sovrastano l'abitato si sco rge un ennesimo dongione, innalzato agli inizi del1'XI seco lo da un normanno di no me Sirepagano. Di pianta quadrata, raggiunge 34 metri d'altezza ed ostenta un evide ntissimo apparato a sporgere, in forte aggetto. L'anacronistica agg iunta deve ascriversi a Francesco Sanseverino, e risale a dopo il 1361.
1 Dongioni Cilindrici
In merito alla configurazione geometr ica dei dongioni va osservato c he, sebbene p er quella quadrata s ia indubbia una matrice normanna, essa non pu ò au tomat icame nt e escluders i in presenza di conformazioni di verse<53> . Secondo a ut orevo li studi osi, infatt i, in numerose circosta nze i Normanni non disdegnarono la pianta circo lare con a lzato c ilind rico . Ciò forse avvenne ogni qualvolta che capitò loro di co nqui s tare un mastio longobardo particola rm e n te soli do , che necessitava so lo, e non sempre, di un miglioramento della trama muraria dell 'es tradosso.
La supposizione trova si gnificativa conferma nella disposizione interna di questa ano mala tipologia, perfettamente anal oga al la precedente appena de scritta , nonchè nella documentazione sto ri ca e, soprattutto, archeologica.
Senza contare c he i dongioni ci lindri ci non so l o co ndi vidono la logica insediativa apicale dei coev i parallelep ip edi, cosa abbas tanza ovvia, m a persino l'adozione di un recinto murario a pp e na più re go lare , spesso quadr i latero, di costruz io ne vistosa ment e meno arca ica. Per una vasta serie di concause, di s iffatti dongioni sono sopravvissuti solta n to sparu ti esempi, che rivestono p erta nt o un indubb io interesse tipologico, tale comunque d a giust ifi care una meno schematica esposizione
Ingegno E Paura T Renta Secoli Di Fortificazioni In Italia
L o mb ard i ', non implica alcun preci so riferimento crono lo gi co ai Lon gobardi ma ri e ntra nella mi gl iore definizione d ei toponimi adottata dopo il 1862 per evitare ogni omonimia fra i tanti paesi italiani. Quanto alla fortificazione in esame, che sov rasta il piccolo centro avellinese, si tratta di un torrione di forma: " ... cilindrica, privo di sc arpa , fondato s ul ban co di arenaria e s ui terreni (11] donjon è costruito in opus caementicium e ntro cortine in conci di calcare ad opus incertum, seco ndo la tecnica di tradizione romana; letti di posa e g iunti hanno lo spes s ore da 1 a 4 cm. La s truttura ri s ponde al modello del donjon residentiel ... " <54 > _
E, come già nei casi innanzi descritti , anche in quest'ultimo alla s truttura cilindrica si affiancò, in epoca posteriore, un corpo di fabbrica abitativo for tifi ca to. In parti co lar e la: " ... costruzione del palatium, nel XIV-XV seco lo, indica l'instaurarsi di una dinamica re si de n ziale de s tinata a svo lger s i per qualche tempo s u due poli int egrat i ; tuttavia il palatium i ncorporò il donjon e s' impose come residenza abituale .. .Come nel caso di Mont e lla ciò integra, in base a li ' esperienza archeologica, la tesi dell 'i mpiego secondario dei torrioni ri s petto al palacium castri, c h e co n serv a la propria validità.
D 'altra parte la ricerca s tratigrafica s uggeri sce esempi di donjon a pianta circolare s orti in Italia prima che il modello , affermatosi in Francia già nel XH sec., venisse imposto dag li architetti di Filippo Augusto diffondendo s i anche nella penisola.
Torella dei Lombardi e Mantella
Va innanzitutto precisato che lo spec ifi ca ti vo 'dei
Le trasformazioni s ubite dal donjon d .i Torella , e il crollo provocato dal terremoto del 1980 consentono di riconoscere s olo in parte le originarie s trutture. Dotati di servizi e co mfor ts che individuano funzioni di re s idenza, torrioni come questo s i sv iluppavano s u tre o quattro piani; nel donjon di Montella cisterna e lo cali di depo s ito occupano primo e secondo piano , mentre ter zo e quarto svolgevano funzioni abitative. Camini, serv izi igienici, lavabo, finestre e vani-muro pe r il deposito di oggetti e lucerne sono al terzo , ove s i trova anche la porta d'ingresso che veniva raggiunta mediante una sc ala lignea fis sata alla muratu -