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COMUNI E CANNON I

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COMUNI E CA,'JNONI

COMUNI E CA,'JNONI

Castel Nuovo di Napoli

A distanza di tredici anni dalla conquista del regno , agli inizi del1a primavera del 1279, Carlo d'Angiò stabilì di edificare, poco discosto dal1e mura di Napoli, un grandioso castello, del tipo di quelli già numero sissimi Oltralpe. La decisione fu prontamente tradotta in pratica, complice l'inasprirsi dell'intolleranza dei s udditi e la constatazione dell'eccessiva vulnerabilità da mare della città. La sua ubicazione , praticamente sulla spiaggia, ne rappresenta, infatti , la più eloquente testimonianza.

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In dettaglio , il: " ... luogo prescelto fu nel bel mezzo del campus oppidi, quell'ampio pianoro che si stendeva tra le mura occidentali della città e le rovine de]]' antico castrum o oppidum Lucullanum tra le pendici del colle Paturcium detto poi di Sant'Elmo, ed il mare. Su quel punto della costa, che sovrastava Porto Pi sano, sorgeva una piccola altura, che scendeva ripida al mare , declinava con dolce pendio verso la città e si allargava pianeggiando verso il Lucullano Dal 16 maggio cominciarono a partire gli ordini per apprestare il materiale: il giustiziero di Terra di Lavoro (Gentile) inviava gli operai, quello di Principato la calce, quello di Calabria il legname dei bo schi silani .... " <18> Per l'accennata rilevanza guadagnata dagl' ingegneri, del castello sapp iamo che Ja direzione dei lavori: " ...fu assunta da Pierre de Chaule, che terminò l'opera nel 1284; primo castellano fu Philippe de Vi11ecublayn ... " 09 i _

Il brevissimo intervallo tra l 'avvio della costruzi on e e la pre s unta ultimazion e ci conferma, oltre al carattere volitivo del sovrano, il precipitare degli eventi, culminato nella guerra dei Vespri, che finiro- no col rendere il castello indispensabile. È probabile però che la sua configurazione, tanto frettolosamente conseguita non fosse pienamente soddisfacente, forse perchè troppo modesta, forse perchè non realmente ultimata: di certo l'effettiva conclusione dei lavori avvenne sotto Carlo II (1285-1309) e Roberto d'Angiò ( 1309-1343), in epoca cioè sensibilmente posteriore. Della originaria impostazione quasi nulla rimane attualmente: " la più cospicua testimonianza ... è la cappella Palatina ... unico elemento superstite della reggia angioina. La prima notizia della sua costruzione risale al tempo di Carlo II (I 307) ... Non abbiamo alcuna fonte figurativa della primitiva costruzione ... e non siamo in grado di formulare una qualsiasi ipotesi sul suo aspetto, possiamo solo supporre in base ai confronti con analoghe costruzioni della Provenza, che si trattasse di un castello-palazzo avente la duplice caratteristica di difesa e di magnifica dimora del signore. I documenti ci informano soltanto che vi erano utilizzati tutti gli accorgimenti difensivi adottati in quell'epoca: alte torri e cortine, coronamento con merli e caditoie, base scarpata delle murature, fossato. Secondo il Finò i costruttori si ispirarono al castello di Angers, ascrivibile ai primi decenni del XIII secolo; è certo, comunque, che esisteva un'analogia planimetrica tra l'episodio napoletano ed i coevi castelli di Anjony e di Villandraut. Quest'ultimo castello di pianura, costituito da una cinta su impianto rettangolare rinforzata da torri cilindriche angolari ed il mastio sostituito dalla coppia di torri fiancheggianti la porta, con l'intero organismo costruttivo gravante sul cortile centrale costituisce !"anello di congiunzione tra il modello delle costruzioni difensive islamiche e le numerose costruzioni che sorsero in Provenza e in tutta 1'Europa ... " <~0'

Nonostante le successive profonde trasformazioni, però, con sufficiente probabilità è lecito presumere che l'impianto planimetrico del Castel Nuovo sia sostanzialmente rimasto inalterato, riducendosi, in estrema sintesi, ad un trapezio irregolare con quattro torri cilindriche ai vertici, ed alcune intermedie. Altrettanto probabile è che le stesse, originariamente altissime, abbiano subito soltanto una insignificante cimazione, provvedendo la rilevante spessorazione del loro corpo, e soprattutto le immense falsebrache apposte alle basi, a renderle a lungo invulnerabili alle offese balistiche. Di certo le suddette torri, come del resto l'intero circuito delle cortine, terminavano con un apparato a sporgere in muratura, su archetti e beccate] I i.

Più complesso, invece, stabilire, oltre alle quattro torri d'angolo d'impianto canonico, il numero e la posizionatura delle altre che sicuramente vennero costruite. Infatti è: " ... fuor di dubbio che quattro torri fossero negli angoli, ma non erano queste le sole. Almeno tre stavano dalla parte del mare. Una era la torre del Beverello, che stava press'a poco dove sta la omonima torre aragonese, nell'angolo nord-est del castello, ed era parimenti la torre maestra. Con questa s'identifica quella torre che stava sul

Porto Pisano, di cui sappiamo che re Carlo sospese la fabbrica il 14 settembre 1279 ... Anche sul mare stava un'altra tone situata presso la cappella palatina, dal lato meridionale, sulla quale Roberto fece sopraelevare una camera nel 1317. Ed è questa con quasi certezza quella famosa Torre Bruna, nella quale il re conservava il suo tesoro Ugualmente sul mare, presso la Bruna, era una Turris inferior, ove era una camera della Grotta marina, che conteneva un'altra parte del tesoro regio. Essa però poteva essere anche la parte inferiore della torre Bruna. Un'altra torre anche sul mare, doveva occupare l'angolo sud-est: ma di essa non è notizia nelle fontj. Doveva sorgere dove ora è la Torre dell ' Oro o in quei pressi. Sul lato settentrionale del castello, quello che guardava la città, stava la porta , ed era, secondo lo schema tradizionale, affiancata da due torri , di cui è esplicita notizia nelle fonti. Un'altra torre doveva infine occupare l'angolo nord-ovest, presso il luogo dove oggi sta la Torre dì San Giorgio ... Le cortine, che racchiudevano gli appartamenti della real famiglia e dei cortigiani, dovevano essere abbastanza ricche di vani di luce con finestre ogivali, talora bifore , riccamente adorne, come attestano i numerosi frammenti ... Queste cortine erano ricoperte da terrazze, ed a volte anche da tetti. Sul loro margine esterno, come in cima alle torri , erano i tradizionali coronamenti merlati in aggetto sul muro esterno, con sottostanti caditoie.

Il fossato , che cingeva il castello dai tre lati di terra, è spesso nominato nelle fonti [che] ci assicurano che non vi fu mai portata l'acqua del mare. La sua larghezza doveva essere cli circa sette canne [ 14 m circaJ, perchè tale era la lunghezza delle travi adoperate nel 1281 per la costruzione del ponte levatoio.

La porta del castello ... era chiusa da un cancello ricoperto di lamine dì ferro.

Davanti le stava il gran ponte levatoìo ... [che] si abbassava mediante un congegno di ruote e di catene sul ciglio esterno, dove era un'altra porta. Questa era aperta in un recinto murato e merlato, detto balium, il quale , mediante due muri s barranti il fossato, e paralleli all'interposto ponte, si congiungeva d'ambo i lati con le due torri fiancheggianti la porta del castello. Di questo piccolo antemuraJe è dettagliata notizia in un documento del 1283 ... " <~11 •

A partire dal 1443 il castello , appena descritto , subì radicali riqualificazioni ad opera di Alfonso d'Aragona, nuovo s ovrano di Napoli, con interventi tanto estesi e complessi da protrarsi per ben 15 anni. Attinse così la connotazione architettonica difensiva più avanzata del momento , s ostanzialmente quella che ancora oggi conserva.

Il castello di Gaeta

Sul promontorio di Gaeta spiccano ben due castelli affiancati: la disposizione è assolutamente insolita e priva di ana logie. Di essi, che pur ostentano alquante affinità architettoniche e d ' impianto , uno è di epoca angioina e 1' altro aragonese.

I n quello angio i no è ancora perfettamente evidente la planimetria rettangolare con tre torri cilindriche sopravvissute in corrispondenza dei vertici e cinque massicci speroni volti verso la città.

Ovviamente, come tutti i castelli coevi , non sfuggì ag l i adeguamenti aragonesi subendo 1a solita vistosa trasformazione alla quale peraltro va imputata la somiglianza con il vicino più recente che, se lo rese più resistente agli insult i balistici, ne cancellò quasi completamente la connotazione angioina, fatti salvi lo schema d ' imp ianto e la configurazione delle toni.

li torrione di Mola

Poco discosto da Gaeta , per l'esattezza sul porticciolo di Mola, nell'ambito del ricordato programma di difesa costiera, gli Angioini eressero uno dei loro più robusti caposaldi, costituito da un alto ton-ione cilindrico circondato da un recinto. 11 toponimo tramanda l'esistenza di un grande stabilimento molitorio, che già intorno al X-Xl secolo, per la sua rilevanza economica venne debitamente fortificato, assumendo l'aspetto di un piccolo castello. Agli inizi del '200 lo si potenziò ulteriormente, e verso la fine dello stesso secolo: " ... Carlo II cl' Angiò fece erigere al centro .... [del] recinto fortificato, un 'alta e possente torre circolare: in tal modo si venne a creare un vero e proprio fortilizio che per la sua posizione a rido sso del mare ed accanto alla via Appia, poteva assolvere alla funzione di vigilanza e, in caso di necessità, di difesa attiva del territorio " <82 '

Nel corso dei seco li il complesso difensivo sub ì numerosi attacchi e ripetute riqualificazioni, conservando dell'originaria impostazione so ltanto il vetusto torrione.

Que sto, infatti: " unica parte superstite dell'antica fortificazione, appare in numerose stampe ancora con le sue opere esterne. Il corpo cilindrico , coronato dal solito motivo archeggiato su mensole, è chiaramente un'opera angioina, voluta da Carlo II d'Angiò (1289) per la difesa del litorale; qui però il coronamento presenta gli archetb ogivali invece che a tutto sesto ... " <83 > . La modestissima singolarità costituisce forse l'estremo retaggio architettonico dell ' epoca di costruzione, dominata ancora dai canoni gotici.

Siffatti torrioni, intorno alla fine del XIII secolo, vennero edificat i in discreto numero e molti di essi ancora sopravv ivono , se bben e inglobati in fortificazioni più recenti, per lo più aragonesi. È questo il caso di quello di Fondi, a poca distanza dal precedente , fuoriuscente dalla massiccia mole quadrata del mastio del castello.

Similmente fagocitato da una fortificazione posteriore, in questo caso una torre costiera vicereale napoletana del 1563, è quello di Cas tallabate , nei pressi di Salerno. Fu de1 re sto proprio in quel drammatico scorcio storico che la maggior parte delle torri costiere angioine , grandi e piccole , vennero trasfo rmate in caposaldi per la difesa della frontiera marittima dagli attacchi corsari turco-barbareschi.

Le Caste/la di Capo Rizz uto

Un notevole esempio del genere è rintracciabile presso Iso la di Capo Rizzuto , do ve tra i rud e ri d e lla fortifica z ione aragonese-vicereale di Le Cas te lla s i erge, in tutta la s ua impon e nza , ed in di sc re te condizioni di conservazione, un altro torrione cilindrico di matrice angioina<s4 >

Trascurando la s toria antica che ricorda il toponimo di Caste l/a s in dal 304 a.C , in occasione della s tipula del trattato tra Roma e Taranto re sos i nece ssa rio per definire i limiti di na v iga z ion e delle ri s petti ve flotte <85 \ le fonti iniziano a menzionarlo a p a rti re dal 1290 , ne l cont es to della guerra dei Vespri. In quell'anno, infatti, ai primi di luglio, l 'a mmiraglio

Ru ggie ro di L a uria v i s barcò , in nome e per conto del re di Sicilia , Giacomo d ' Ara go n a , figlio dì Pietro. J1 piccolo ce ntro fu investito violentemente, e: " non se n za st ra ge de gl i abitanti e iattura di cose, dopo un ' oppugnazione continua dì quasi otto gio rni ... " <86!, costretto a capitolare.

Le cro nache tramandano che nella circos t a nz a l ' ammiraglio ebbe ra g ione di un'i soletta: " ... se u locus qui dicitur Li Caste lli ... " <81 > . Lo g ico , pe rta nto , credere che una t a nto prolun gata re siste nza potesse dipendere so lo da una robusta fortificazione, tale comunque da giustificare il toponimo.

E che il sito venisse ritenuto di rilevanza strategica lo conferma il verificarsi, appena due a nni più tardi , di un altro attacco , co ndotto dallo stesso ammi- raglio nei suoi immediati paraggi e risolto s i ancora una volta in un disastro per gli Angioinic ~g>.

Dopo quest'ultimo episodio le notizie sulla fortificazione cessano completamente, per riprendere nel 1380 , allorquando Alessandro Malena acquista: " il Castello della Torre, e l'isola nelle pertinen ze di Cotrone ... ' ' 189 > .

Il nome del castello ribadisce, se nza alcuna ambiguità, il ruolo in esso preminente di una toITe. Logico, quindi , presumere che il complesso avesse nel frattempo assunto le caratteristiche di un recinto. serrante al s uo interno una torre di notevoli dimensio ni , di tipica fattura angioina, esattamente come verificatosi a Gaeta.

In epoca aragonese prima e vicereale poi, il caposaldo si poten ziò ed articolò, acquisendo le connotazioni di una fortezza bastionata, il cui perimetro coincideva con quello dell'i so lotto d'impianto.

La torre continuò a sve ttare al suo interno, segno inconfondibile della funzione anticorsara dell'intera st ruttura, implicante il raccordo se maforico con la linea di dife sa costiera.

Da allora Le Castella non subirono più alterazioni, ma solo rifacimenti e re s tauri , peraltro scarsi, imposti soprattutto dalle mareggiate. Verso la metà del XIX seco lo era ancora possibile individuare un forte: " ... con tre baluardi [chel doveva essere di molta importan za, e la sua vastità mostra che doveva co nten ere numerosa guarnigione .''1<>01 •

Quanto alla torre angioina, che rappresenta l'elem ento meglio conservato del complesso, è: " ... «Divisa internamente in tre piani di diversa altezza e collegati, in origine, da una ripida chiocciola in pietra ricavata nello spessore del grosso muro perimetrale , essa supera dimensionalmente tutte le altre torri del litorale crotonese».

L'attribuzione, del resto , trova conferma nel fatto, che anche questa località , assediata ed espugnata da Ruggiero di Lauria... fu, come molti altri luoghi calabresi e del Principato Citra, maggiormente fortificata paventando gli Angioini nuove minacce ... "'9 1>

Il crescente flagello delle incursioni da mare, perpetrate dai Pisani, dai Genovesi, dagli Aragonesi, ed ovviamente dai Saraceni, come più volte accennato, costiinse la dinastia angioina a varare un programma di difesa costiera impostato su torri da erigersi sulle propaggini più sporgenti della costa. Loro tramite si sarebbero potute continuamente sorvegliare sia le retrostanti insenature sia le potenziali spiagge di atterraggio. In caso di avvistamento di imbarcazioni sospette, le vedette, con concordati segnali acustici avrebbero perciò immediatamente fatto evacuare le popolazioni limitrofe, per l'epoca unico rimedio praticabile contro le incursion1.

Tanto la torre di Mola di Gaeta quanto quella di Le Castella. appartennero a quella particolare tipologia di fortificazioni, formanti nel loro insieme estese catene difensive. Dal punto di vista strutturale possono rite- nersi, come molte altre analoghe, i caposaldi principali, insistendo l'intera teoria su torri notevolmente più piccole, sebbene di gran lunga più numerose, tutte, comunque, otticamente collegate fra loro. Pur non avendosi alcuna documentazione certa circa la continuità per l'intero perimetro del Regno di tale sistema di vigilanza costiera - ed è estremamente probabile che in realtà si sia trattato piuttosto cli diversi segmenti autonomi limitali ai soli settori critici - è indubbio che torri del genere venissero erette lungo ogni marina meridionale, con minore o maggiore frequenza in rapporto alla vulnerabililà Jocale.

Il servizio di guardia, e forse la costruzione stessa delle torri, ebbe una vistosa intensificazione a partire dal 1282, in concomitanza con la guerra dei Vespri, quando anche i castelli litorali della Puglia e della Calabria furono posti in stato di allerta. Infatti: " ... è in tal senso l'ordine di Carlo, principe di Salerno, inviato (1284) ai 'Giustizieri' del regno di far custodire con somma diligenza le torri del litorale «e che gli uomini di guardia siano attenti a so llecitamente avvertire l' avvicinarsi al lido delle navi nemiche e dei ribelli, con il segno di fumo di giorno e col fuoco nella notte, e nel modo consueto per indicare il numero delle navi» ... Ma già all'inizio del regno di Carlo J era stata data particolare attenzione alle difese costiere. Da Napoli, infatti, il sovrano, sin dal 1269 ordinava (18 novembre) <<di munire con sentinelle, riparare e fortificare le torri di tutto il Regno per difesa contro i pirati e contro i nemici» e, a distanza di dieci anni, venivano impartiti analoghi ordini; un documento del 19 aprile del 1279, indirizzato al 'Giustiziere' del Principato , per la custodia del suo territorio, cita le torri di Caricla (Roccacilento), Licosa (Castellabate), Tresino (Agropoli), lssica (Castellammare della Bruca) , Conca (al Capo di Conca sulla stessa costiera), Palus Nudus (torri di San Severino di Camerota), An~forisca (San Giovanni a Piro) , Capo d'Orso (costiera amalfitana), Montes Plagij e Torricella di Sopramonte (Vico) , Corvo e Montemaggiore (Son-ento ). Di queste la torre dell 'Assi ola esiste ancora, utilizzata nel programma vicereale, ridotta in altezza, secondo una tipologia riportata in disegni del secolo scorso "(92>

Considerando che proprio l'attivazione di un dispositivo continuo di difesa costiera fu tra le più interessa nti ed innovative realizzazioni fortificatorie angioine, ci è parso coerente riproporre qualche significativo esempio di opere del genere ancora presenti sulla costa 169 dibile e congrua quindi, alla men peggio, a] programma anticorsaro vicereale del 1563. È a base circolare Torre Assiola con alzato tronco-conico: originariamente si deve presumere che su questi si innestasse un corpo cilindrico Si erge nei pressi di Praiano, e la s ua esistenza è di notevole altezza. Due ambienti sovras tanti , dei storicamente certificata sin dal 1269-70. La località in quali l'inferiore accessibile da un ingresso rialzato, cui fu innalzata viene ricordata, già in un documento coperti con volte a calotta eseguite a getto, la s uddividei J202 , come Scio/a, toponimo , peraltro, tuttora dono internamente , probabili permanenze della primivigente. La torre presenta a carico della s ua sezione tiva impo stazio ne. Lo s pessore murario alla base rags ommitale una evidentissima alterazione imposta dal- giunge quasi i 3 m , rastremandosi progressivamente l'esigenza di renderla meno vulnerabile e più difen- fino ai 2 della cima. Il materiale impiegato è la pietra calcarea locale in piccoli conci irregolar i. All'interno del muro a monte si ricavò la scala c he co ll egava i diversi pian i fino alla copertura c'1 11 •

Torre dello Ziro

Domina dall'alto l'abitato di Amalfi: è raggiungibil e da Ra ve11o e di lì per Pontone, attraverso un percorso di avvicinamento percorribile esclusivamente a piedi. Faceva parte delle fortifica7ioni del fronte a terra di Amalfi, per l'esattezza della Ro cca di San Felice, di cu i restano all' intorno testimonianze di mura merlate. Circa la sua vice nd a s tori ca sembra accertato che possa attribuirsi al 1278, ovvero al contesto dell'Assiola e della cerchia di Positano.

Subì restauri ad opera della c it tà nel 1292 ed ancora nel 1305, nel 1355, nel 1440 , conservando tuttavia fino ad oggi la sua configurazione originaria, almeno per grandi linee. Analogamente alle coeve torri costiere non presenta vano di accesso a ll a quota di campagna l asciando supporre l'impiego di una scala volante. Id entica la scansione con basamento scarpate ed alzato cilindrico'9 4 '.

La cerchia di Positano

Le torri appena delineate, giova rip ete rlo , grandi o piccole che fossero, non era no finalizzate a difendere. in se nso lettera le, gli abitati limitrofi e, del resto, non lo avrebbero potuto fare con l e armi a di s po s izion e in alcun modo ma so lo a favorirne l 'evac uazione al profilarsi di un avvistamento sospe tto. Poich è una siffatta evenienza non riusciva sem pre attuabile, nè peraltro era compatibile co n un minimo di sic urezz a, la sopravv iven za dei paesi rivieraschi, dal XIII seco lo , dipese, più che mai, dalla presenza di fort ificazioni perimetrali di maggior respiro. Tuttavia, per l ' abnorme protrarsi della minaccia corsara, cessata definilivamente soltanto nel 18 30, quelle strutture ri cevettero, nelle epoche successive, reiterate riqualificazioni e potenziamenti perdendo ogni connotazione ongrnaria. Pertanto , anche nel contesto della pur abbondante produzione angioina è possibile so ltant o individuare dei frammenti e dei brandelli: e, fra i tanti, il caso della cerchia di Pos itano.

170 Positano: dettaglio di un a torre.

L'antico borgo abbarbicalo aJ1a costa rocciosa di fronte alle isolette d e i Galli, costitu iva l'ultimo nucleo residenziale stab il e ad ovest del ducato amalfitano. La sua oiigine viene attribuita ad alcuni cittadini di Paestum miracolosamente scampati a ll e incursioni saracene dell'Vlll-IX secolo . Grazie a ll ' in accessibilità dei luoghi è probabile c he il piccolo v illaggio non avesse avuto immediatamente bisogno di massicce fortificazioni, tanto più che la crescente potenza navale di Amalfi costi- tuiva già di per sé un discreto deten-ente. Con il trascorrere del tempo , ed il declinare della Repubblica, la costruzione di una solida cerchia divenne inevitabile, essendosi moltiplicato il numero dei potenziali aggressori e la violenza degli assalti. Stando ai rarissimi documenti pervenutici al riguardo sappiamo che intorno al 1268:

"Universitati Po sitani asserenti faci sse muros et fortilitios iuxta mare propriis s umptibus ut tuerentur ad insultibus hostium ... "'95

Logico supporre che si trattasse di un circuito murario turrito eretto intorno ali' abitato. Di tale fortificazione sopravvivono appena due snelle torri cilindriche. Ed anche queste sono alquanto alterate rispetto alla p1imiti va configurazione, condizione indispensabile, del resto, per la loro conservazione. In ogni caso: " ... presen tano ancora l'aspetto tipico delle torri de] XIII secolo e caratterizzano le spo rgenze rocciose sulle quali s'innestano: l'una (della trasita) che si sprofonda nel mare tra le spiagge della Marina e di Fomillo, e l'altra (de lla sponda) oltre la marina, verso Praiano " (96>

L'avvento dell'artiglieria

Nelle fortificazioni angioine abbiamo ri scontrato, da un certo momento in poi, l'adozione sis tematica della scarpatura alla base delle torri e dell e cortine. In quanto tale non costituiva una eclatante novità, rintracciando sene analogie strutturali, a partire dal II millennio a.C, in conseguenza della comparsa del!' ariete. Anche trascurando quelle premesse, e le più recenti romane , la scarpatura si ritrova ancora ai piedi dei dongioni normanni. ln questi però è insensato presumere che servisse a scongiurare gli impatti di improbabili macchine ossidionali, laddove è più plausibile, invece, imputarla all'esigenza di ridurre la rilevante pressione esercitata sul terreno da siffatte costruzioni alte e massicce. Essendo, però, muniti di scarpa pure i toITioni impiantati sulla roccia occorre ricercarne altre finalità, quali, ad esempio, impedire agli attaccanti di aderire alle Ioro pareti, per poterli bersagliare dall'alto con i dardi , essendo impraticabile il fiancheggiamento. Una indiretta conferma di tale s piegazione la s i può cogliere nell'assenza della scarpa nei più evoluti castelli svev i, che proprio perchè capaci di tenere sotto tiro, piombante e fiancheggiante l ' intero perimetro di base, non necessitavano di quel 'distanziatore ' .

Siffatta capacità sembra, però, stra namente cessare sul finire del XIII seco lo. Infatti , mentre nel descritto castello di S. Felice a Cancello, eretto intorno alla metà del '200, nonostante le tante evidenziate sofist icazioni difensive, le mura sono perfettamente a piombo fino al terreno, meno di cinquant'anni dopo, invece, in tutte le fortificazioni angioine la scarpatura è immancabile, perdurando nel repertorio architettonico-militare fin quasi ai no stri giorni. Di più: nel medesimo snodo sto rico , la scarpa s i ritrova costruita in aderenza anche alla base di castelli c he ne erano originariamente privi , ma ancora reputati di valenza s trategica , a patto ovviamente di adottare tale accorgimento. Sensato concludere che, in quel breve intervallo, nelle procedure ossidionali debuttò qualcosa di stravolgente, che attinse, molto lentamente , una condizionante valenza distruttiva: l ' artiglieria. Nel corso di quel lungo processo evolutivo la sca rpa , a sua volta , s ubì un progressivo incremento dimensionale , divenendo talmente massiccia e caratterizzante, da originare, pur nell 'a mbito d e ll'ultramillenari a concez ione fortificatoria, una particolare tipologia architettonica , destinata a dipanars i per oltre duecento anni. Sarà, infatti, etichettata architettura di transi z ione , la cui massima espressione, quantitativa e qualitativa , e l'irreversibile abbandono, coincideranno con l'ultimo scorcio del Medioevo, nell'intera Europa e con quello della dinastia aragonese ne l regno di Napoli. La definizione di ' transizion e' nasce appunto dal rappresentare il tormentato passaggio dalla fortificazione in grado di resistere alle artiglierie elastiche a quella, totalmente diversa, in grado di re sistere alle artiglierie a polvere: in altre parole, dalle cortine turrite al fronte bastionato.

Per la Storia della Poliorcetica, come più in generale della tecnologia e della civiltà, l 'invenzione e, soprattutto, l'impiego propulsivo della polvere pirica rappresenta un pun to nodale, equiparabile forse alla scoperta del fuoco. Di certo per la prima volta l'uomo potè padroneggiare energie notevolmente superiori a quelle fino ad allora disponibili che, per un verso o per l 'altro , erano riconducibili alla forza muscolare più o meno ingegnosamente accumulata, più o meno rapidamente liberata, ma mai eccedente la somma delle potenzialità di pochi individui. Da quel momento, invece, le energie impiegate in ambito militare, ed ossidionale in particolare, non avranno alcun limite insormontabile e tenderanno continuamente a crescere, rendendo necessari a un' altrettanto si m metrica c r escita delle strutture passive delle fortificazioni, nel disperato tentativo di neutralizzarne gli effetti. Quando , però, s iffatta ingenua contromisura si confermerà insuffi ciente, costringendo al l 'adozio ne di una concezione architettonica radicalmente diversa, la transizione finirà e con essa il Medioevo. In pochi decenni i castelli e le cerchie turrite di verranno le s uggestive reminiscenze di un mondo e di una soc ietà definitivam e nte tramontati.

Come accennato, i prodromi della vicenda, per quanto è possibile arguire dalle incerte fonti, sembrano rimontare agli inizi del XIII seco lo. In un manoscritto arabo dell'epoca si rintraccia una dettagliata relazione circa un miscuglio composto di dieci parti di salnitro, due di carbone ed una e mezzo di zo lfo. L 'a utore precisa che, per ricavarne un impiego propulsivo , una volta messe insieme, le tre sostanze andavano pestate e triturate , in granuli sottilissimi, e quindi costipate all'interno di un tubo , per un terzo della sua lun ghezza. Riusciva possibile, a quel punto, provocandone la deflagrazione per mezzo di una fiammella, far espellere violentemente dal tubo stesso una pall a, o una freccia, in precedenza inseritavi. È innegabile che l'ignoto trattatista abbia così fornito la de scrizione di una rudimentale bocca da fuoco: disgraziatamente però è improbo appurare con assoluta certezza la data del documento e la sua effettiva originalità. Una indiretta conferma cronologica, tuttavia, si coglie propno nell'approssimazione del congegno, simile ad altri coevi, che per la scriteriata composizione della polvere, per la discrezionalità della quantità impiegata e per l'imponderabile resistenza del metallo sarebbe risultato estremamente pericoloso per chi avesse osato anche soltanto maneggiarlo. Nessuna meraviglia, quindi, che per un lungo periodo, pur risapendosi perfettamente dell'effetto pirotecnico, lo si relegas se al ruolo di strana curiosità, evitandone qualsiasi utilizzazione pratica come arma.

Unica eccezione, forse, lo sfruttamento della funzione terrifica conseguente al rimbombo prodotto tanto simile al tuono: probabilmente ad esso deve ascriversi la continua spe rimenta zione di polveri esplosive sempre più potenti. Infatti: " ... come tutti i ritrovati bellici , anche quello della polvere nera passò attraverso stadi successivi prima di giungere ad una reale applicazione militare, ed in senso artiglieresco. Sin dal 1230 si trovano in Pisa degli stromboli nei quali. in primo tempo, si credette scorgere un artificio destinato alle luminarie, ma indagini più accurate e diligenti linducono a ritenereJ che appartenessero al genere delle trombe a fuoco, o pigna/le artificiate di cui si fece in seguito pure larghissimo uso ... La polvere pirica non era certo diffusa in Europa nel 1230, ma nuJla vieta di supporre che essa, in modo rudimentale, costituisse la carica degli s tromboli , così come, più tardi, fu adoperata nelle pignatte artificiate, in unione con la pece greca, alla pece di nave ed all'olio di trementina. In tale ipotesi, la polvere nera costituiva effettivamente il mezzo di propulsione del cartoccio di papiro contenente la mistura incendiaria ... " <m .

In effetti nella vicenda storica delle sostanze combust ibi li , dette anche pirofori, oltre a quelle allo stato liquido se ne rintracciano anche di solide. Allorquando: " poco prima del 673 l'architetto Callinico, profugo dalla Siria, inventò il fuoco greco, avviò i tecnici militari , non solo di Bisanzio, ma anche dell'Islam, della Cina, dell'Occidente, sulla strada della scoperta di miscele sempre più combustibili. Alcune erano liquidi altamente infiammabili, altre pol- veri. Fra queste ultime una combinazione di carbone, zolfo e salnitro, divenne d'uso sempre più frequente la polvere da sparo; ma essa aveva due difetti: in primo luo go le tecniche di purificazione del salnitro erano imperfette, in secondo luogo la polvere non conteneva spaz i di aria, che permettessero una combustione tanto rapida da divenire un 'esplosione. Gli esperimenti con queste miscele ed i miglioramenti nei metodi di purificazione del sa lnitro, giunsero tuttavia a tal punto in tutta l'Euras ia durante il XIII secolo, che la conversione della polvere in gas avveniva tanto rapidamente da rendere in evitabile l'invenzione dei fuochi d'artificio. Le «lance di fuoco volanti>> usate nel 1232 nell'assedio di Loyang e di K 'ai-feng-fu , non devono essere s tate niente più che delle candele romane perchè lanciavano fiamme so lo a qualche decina di passi. Nel 1258 vengono m enzionati a Colonia oggetti che probabilmente erano dei veri e propri razzi, ed intorno al 1260 Ru ggero Bacone li conosceva già ... Sicchè la confusa storia della nascita degli esplosivi e delle armi da fuoco è spiegabile solo come un complesso di esperimenti regionali paralleli, basati essenzialmente sulle varie forme di fuoco greco, con scambi occasionali di miglioramenti tecnici, man mano che i metodi chimici venivano perfezionati. " <<>s)

Al riguardo, però, bi sogna aggiungere che in molti memoriali e cronache del XIII e del XIV secolo si fa riferimento a 'tor menta' tonanti: la precisazione è estremamente significa tiva. Le prime artiglierie, infatti, non godettero di una precisa designazione, come del resto di un precipuo impiego, rispetto alle più sperimentate e funzionali macchine da l ancio: scag liavano comunque palle di pietra contro fortificazioni e, per conseguenza, si chiamarono anch'esse 'tormenta '. La sola differenza, sensibilissima, consisteva nell' assordante fragore prodotto dal loro impiego. Ragion per cui i cronisti più scrupolosi iniziarono a precisare se, nel particolare assed io, erano stati impiegati congegni silenz io si o tonanti. Per lungo tempo quella nota distintiva rimase l'unica traccia dell'impiego della nuova arma. Quanto tale diversificazione fosse reputata basilare lo dimostra il fatto che ancora intorno alla metà del

Ingegno E Paura Tre Ta Secoli Di Fortificazioni In Italia

'300, in alcuni manoscritti se ne individuano gli estremi echi. Nel 1340, ad esempio, nel corso dell ' assedio di Tarifa in Spagna, condotto dai Mori , si utilizzarono da parte di quest'ultimi:

'' ... rnaquina s y in ge nios de truenos que lan za ban bala s de hicrro "199 1

Un paio di anni dopo sono i so ldati di Alfonso XI ad essediare i Mori in Algesiras , ed in tale circostanza ancora una volta:

" los Moros de la ciudad lançaban muchos trueno s contra la hueste en que lançaban pallas de hierro tan manas co rno mançanos may grandes ... " ncx,,

Fatta salva l'incertezza linguistica, secondo alcuni memorialisti italiani il primo impiego di armi da fuoco , più o meno di questo genere, avvenne in Europa intorno al 1212 ad opera dell'imperatore Ottone IV, dando per buono che si sia trattato di una vera arma e non piuttosto di un sem plice segnale acustico. Stabilire, infatti, quando il cannone sia comparso significa, innanzitutto, stabi lire esattamente cosa debba intendersi per cannone. In ogni caso, con l 'a vanzare del XIII secolo, i riferimenti ad armi da fuoco impie gate negli investimenti ossidionali divengono sempre più frequenti ed espliciti, lasciando motivatamente concludere che qualcosa di molto simile ad una sia pur rudimentale artiglieiia doveva ormai essere comparsa. Del resto, come innanzi accennato, le scarpature che iniziano a munire sistematicamente le basi delle fortific azioni, proprio in quel medesimo scorcio storico, sono già di per sè una indubbia testimonianza.

Per l ' Italia i primi incerti ssimi accenni a non meglio precisate, e precisabili, artiglierie rimontano al 1216, allorquando i Bolognesi andarono: " ad assediare Santo Arcangelo in serv izio di quei di Cesena , et ivi stette ro sei settimane et colle bombarde buttarono le mura a terra .. . " cloll _Similmente, nel 1239, nel corso dell'assedio del castello di Vignola si parla ancora di bombarde, e più esp licit amente, add irittura nella stessa

Bologna, nel 1274 dove si fa riferimento all'impiego di armi da fuoco in uno dei tradizionali scontri fra opposte fazioni. A loro volta i Fiorentini, stando all' Historia Fiorentina di Leonardo Aretino, nel 1253: " ... si fermarono colla gente a Tizano, il quale luogo perchè era forte di sito, sostenne più dì la forza del campo, e finalmente, vinto dalle bombarde, si diede nelle loro mani " (1021 • Sempre nella stessa storia si può ancora leggere che nel 1261, nell'assedio di Facchio furono impiegate nuovamente le bombarde, delle quali, pochi anni dopo, si avvalse pure Carlo d'Angiò a Poggi Obizzi. Tuttavia anche riguardo ai suddetti brani dell'Aretino, occorre ribadire, come più in generale innanzi precisato, che: " ... la versione dell 'Acciaiuoli fu fatta nel 1473, quando cioè l 'uso delle bombarde era già diffuso , e che essi non corrispondono al testo latino, dove è adoperata la parola tormentum, la quale ... era generica ed adoperavasi a significare qualunque sorta di macchine guerresche " 003 i Conclude, pertanto, scetticamente il Montù affermando che: " ... notizie sull'impiego delle armi da fuoco nel secolo Xlii , a voler tener conto delle testimonianze non controllabili, se ne trovano a josa anche per quanto riguarda l'Italia... " <104 i_ La sincronicità e la molteplicità dei riferimenti, lasciano però presumere che qualcosa di molto simile ad una rudimentale artiglieria, a partire dalla seconda metà del XIII sec., doveva saltuariamente impiegarsi. E soprattutto, ciò avveniva in maniera progressivamente meno sperimentale ed episodica, a differenza di quanto era accaduto nei decenni precedenti, in varie parti d'Europa, e specialmente in Italia.

Per restare al Regno di Napoli, nei registri angioini, nell'ambito delle disposizioni per la gue1ra dei Vespri, si rintraccia un significativo riferimento ad armi da fuoco. Il documento, redatto il 12 maggio del 1284, ordinava al castellano di Castel Capuano in Napoli 1105i di consegnare al vice-ammiraglio della flotta:

"Belistas, quarellos , cannunculos pro projicendo igne s ilvestro, lanceas , lancione s, rampiculos, scu tos, squarzave l a, pavensa et alia arma pro armatione galearum " <106

Il brano, sebbene s ia indubbiamente relativo ad un congegno funzionante a polvere pirica, ancora una volta, è alquanto indeterminato. Infatti: " ... molti storici , fra i quali il Guglielmotti , ritengono che i cannunculos pro projicendo igne silvestro fossero armi da fuoco rudimentali, ma potrebbe anche dars i che fossero null'altro che le canne da volare e far tuono del libro di Marco Greco. Si oppone da molti, ai suddetti documenti che autorevoli scrittori di quel tempo non hanno fatto parola dell' artiglierie; citando s pecialmente Dante, Egidio Colonna e Marin Sanuto, e facendo caso singolarmente di questi ultimi due, i quali scrissero diffusamente delle armi in uso ai loro tempi e del fuoco incendiario da gettare sui nemici ... " c1011 • Per lo stesso motivo, del resto, è difficile credere che un ' intelligenza disinibita e speculativa come quella di Federico 11 , circolando da tempo s imili allusioni a miscele esplosive, non se ne sia in qualche modo occupata, incentivandone magari la sperimentazione diretta. È, tuttavia, anche probabile, proprio per le intuibili implicanze militari e , in ultima analisi, per la supposta origine diabolica del fenomeno, che ogni ricerca in materia avvenisse nel più assoluto segreto. Basti considerare al riguardo che i Bizantini comminavano la morte a chiunque avesse, in qualsiasi modo , divulgato persino marginali accenni sulla composizione del 'fuoco greco': ed il segreto rimase talmente ben custodito, nonostante l'ultrasecolare impiego, che non ne conosciamo gli effettivi ingredienti.

Non a caso, proprio in quegli enigmatici sifoni lanciafiamme alcuni studiosi hanno intravisto lo spunto del cannone, affermando che: " mentre la polvere da sparo ed i razzi hanno avuto, a quanto sembra, uno sviluppo internazionale, i cannoni hanno un 'o rigine occidentale , e derivano dalla tecnica bizantina di lanciare il fuoco greco con tubi di rame. Che tubi di questo tipo venissero usati in occidente anche dopo l ' inven zio ne della polvere da sparo è indicato dalla distinzione fra baston àfeu e baston à pouldre, nei quali ultimi veniva impiegato il ben più esplosivo fewe volani invece del fewe gregois. Furono gli occidentali che cominciarono a lanciare con questi tubi palle di pietra e di ferro invece del fuoco, anche se la prima raffigurazione di un cannone (1327) mostra il lancio di un'enorme freccia e non di una palla ... " 008 )

Per avere, però, la certezza dell'avvento delle bocche da fuoco dobbiamo attendere i primi decenni del XIV seco lo , ed in particolare il 1322, anno in cui fu fuso a Mantova un vaso di bronzo, una sorta di mortaio completo di foro focone, nonchè di gioia di bocca e di culatta. Si trattava, stando ali' Angelucci, di un: " ... cannone ... del peso di libbre I 5, once 11 di Mantova (chilog. 49,41) ed in mezzo a fogliami rozzamente imitanti l'alloro e l'acanto, aveva la croce di quella città, comune a molte altre di Lombardia. Le iniziali P. P. P. F. (forse Petrus Paulus P. ? Fecit) che stanno ad indicare il maestro gittatore, e l'anno 1322, costituiscono il pregio incontestabile di questo monumento , perchè operate di rilievo nel getto e non incise posteriormente. Le dimensioni di quest'arma sono le seg uenti: lunghezza ... dell'anima m. 0.740, diametro interno alla bocca m. 0.055, al fondo m. 0.45 [0.045). La portata poi era: col proietto di ferro, di chilog. 0.343 Lcorris pondente ad una libbra , pari al calibro di m. 0.0541; col proietto di pietra, di chilog. 0.120; la proporzione tra il peso di questo colla bocca da fuoco nel primo caso: 1/14.4 , nel secondo: 1/41.17.

Disgraziatamente questa preziosità fu nel 1849 tolta insieme con altre armi, come questa inutili, dai cessati dominatori stra nieri ed ora ornerà forse qualche privata raccolta od avrà fatto la fine dalla quale l'intelligente possessore l 'aveva liberata... " <um_

Al di là delle caratteristiche fom1ali, il disperso reperto sembrerebbe, se non altro, accreditare un ruolo primario all'Italia nella produzione delle bocche da fuoco. Di sicuro a partire dalla s ua data di fusione, le notizie sulle artiglierie, e sul loro impiego, divengono innumerevoli ed estremamente circostanziate. E, paradossalmente, proprio dalla pedantesca precisione con cui i trattatisti si dilungano circa le loro connotazioni e prestazioni in ambito ossidionale traspare, implicitamente confermata, l 'origine di siffatte armi nel seco lo precedente, non potendosi in alcun modo credere all'avvento improvviso, e al corretto impiego , di un'arma tanto rivoluzionaria. Ovvio , perciò, concludere che l'ampio lasso di tempo intercorso fra i primi incerti riferimenti e le prime concrete testimonianze corrisponda alla fase di perfezionamento tecnico-operativo, sia pure rudimentale, delle bocche da fuoco. In ogni caso va ribadito che l 'amb ito d ' impiego delle stesse fu per quasi due secoli esclusivamente quello degli assedi, ovvero finalizzato alla demoli zione a distanza delle fortificazioni, divenute om1ai invulnerabili alle coeve macchine da lancio, ad onta della loro ulteriore evoluzione. Non è, perciò, affalto casuale che le bombarde, fino alla conclusione del Medioevo, continuarono a scagli are palle di pietra, esattamente come le antiche artiglierie meccaniche, sebbene di dimensioni mag giori.

La novità era, invece, l'energia con la quale quelle andavano a percuotere le mura, essendosi ben presto reso attuabile il tiro teso al posto di quello arcuato. Dai reperti disponibili, infatti, s i ri cava che dopo una serie di pezzi sostanzialmente s imili a rozzi mortai, corti di anima e grossi di calibro, capaci perciò soltanto di lanci fortemente parabolici, a partire dalla seconda metà del XIV secolo la produzione.si orientò verso bocche notevolmente più lunghe e sottili in grado di tirare, ad alcune centinaia di metri di di stanza, palle di calibro più modesto ma con traiettoria quasi orizzontale. Il perfezionamento consentiva impatti con energie cinetiche re sidue di gran lunga s uperiori, con esiti devastanti inu si tati. Infatti , mentre nel tiro parabolico le pall e percuotevano con una modesta frazione della velocità iniziale , perchè ampiamente decurtata dalla resistenza dell 'aria nella lunga traiettoria ascendente e discendente, in quello brevi ss imo teso la perdita era insignificante. Senza contare che, avvenendo la percussione quasi perpendicolarmente alle bas e delle mura riusciva della massima violenza, assolutamente in sos tenibile per le fortificazioni dell'epoca, che finivano per crollare verso l'esterno , colmando per g iunta il fossato, con esiti immaginabili. Fu questa l a sp iegazione balistica della scarpa, impi egata come primo rimedio sia per incrementare la resis ten za p ass iva d e lle fortificazioni sia per deviare le traiettorie dalla normale. Inutile , per allora, spessorare le strutture esposte per la loro intera altezza, tanto più che se anche i cannoni avessero potuto tirare più in alto, gli impatti sarebbero stati comunque obliqui.

La scarpatura che restituì alle fortificazioni la capacità di resistere aJle prime artiglierie, provocò, però, in quest'ultime un vistoso incremento dimensionale. Essendo, infatti, l'energia cinetica residua funzione della velocità e della massa delle palle, il suo potenziamento dipendeva esclusivamente dalla maggiorazione di quest'ultima, ovvero dalla grandezza delle palle, che, a sua volta, implicava un proporzionale accrescimento dei pezzi. L'impossibilità di conseguire velocità di lancio superiori dipendeva, come accennato, dalla cattiva qualità delle polveri, resa anche peggiore dal fatto che: " le scosse, durante il trasporto, portavano il salnitro, più pesante, sul fondo, ed il carbone, più leggero, in superficie ... [provocando] una combustione lenta e relativamente inefficiente [che] costringeva gli artificieri a pressare la polvere nel cannone con un blocco di legno, e chiudere quindi il colpo con stracci o creta allo scopo di contenere il gas finchè non raggiungesse la pressione necessaria per il tiro ... " 0 10J Ma la definitiva soluzione di quella grave limitazione fu conseguita soltanto dopo il 1420, con l'invenzione della polvere in grani. Pertanto, fino ad allora, solo con palle più grandi era possibile arrecare danni maggiori. Il che finì per rendere i cannoni talmente pesanti ed ingombranti da doverli costruire in più sezioni da assemblare al momento dell 'impiego Nonostante tali enormi inadeguatezze le conseguenze delle artiglierie furono stravolgenti, sulle fortificazioni prima e sulla politica poi.

I feudatari, infatti: " sono in grado di armarsi individualmente, ma è assai difficile che riescano a disporre di pesante e non nascondibile materiale d'artiglieria; e tanto meno possono averne i popolani .. .! villaggi e le città, sì, ne posseggono; ma man mano, i primi si arrendono alle seconde, e queste fanno atto di soggezione al Signore o al Governo centrale, i quali così, poco a poco , dispongono di tutte le forze militari, e quindi anche delle bocche da fuoco già feudali e comunali ... Il processo storico e politico di cui si è fatto cenno si svolge in It alia con assai maggior lentezza che non in altri Paesi e soprattutto con ritmo diverso da zona a zona " <11 1 ) Nessuna meraviglia, quindi, che la comparsa di un'artiglieria veramente funzionale, quella che poi dominerà s ui campi di battaglia fino alla metà del XIX secolo, coincise con la conclusione del Medioevo e la formazione dei grandi stati nazionali.

N O Te Capitol O T E R Zo

1 Da E.C.LODGE, li movimen/o comunale specialmente in Francia. in Sloria del Mondo Medievale. Milano 1980. voi.V, p.764.

1 La citazione è tratla da G.YOLPE, li Medioevo, Firenze 1933 , p.214.

3 Da H.P IRENNE. Le città del Medioevo, Bari 1980, p.97.

• Da G.CACIAGLI, li castello in Italia, Firenze 1979, pp.103-104.

' Da H.PlRENNE, Le citrà. ... cit.. p. I02.

6 Da H.PIRENNE, Le città cit., p. I03.

' Da G PROCAC'CI. Sroria degli italiani. Palermo I 971. vo i. I. p.23.

" Da E.SESTAN, Le origini delle signorie cirradine: w1 problema storico esaurilo?. in !rafia medievale. Napoli I 967, pp. 209-21 O.

9 Da E.C.LODGE. li movimento .... cit.. p.740.

"' Da E.C.LODGE, Il movimento cit., p 758 i i Da H.A.L.FISHER, Storia d'Europa, Bergamo 1964, pp.316-3 I 7. u Da H.P IRENNF. Storia d'Europa dalle im •asioni al XVI secolo, Ro ma I99 I, p.179.

" Da L.SALVATORELLI, C!raliu comunale dal secolo XI alla metà del secolo XIV, in Storia d'Italia illustrata. Milano 1940, pp.315 - 317.

12 Da G.GALASSO, Potere e istilu~ioni in Italia dalla caduta de/Umpero romano ad oggi , Milano 1976. p.29.

1 ' Da E C.LoDGE, li movimenlo , cii.. p.742.

"Da E.C.LODGE, li movimenlo , cii. , pp.757 -758.

16 Da G.PROCACCI, Storia cit., pp.19 - 20.

" Da G.GAL\SSO, Potere cit., p.39.

18 Da E.ENNEN. Storia della cirtà 111ediel'(i/e, Ba1i 1975. pp.157 - 158.

19 Da E.ENNEN, Sroria cit.. p. 129.

10 Da R.AJELLO, // problema storico del Mezzogiorno. L'anomalia socio-istitu z ionale napoletana dal cinquecento al ser1ece1110. Napoli 1996. p.34.

21 Da R.AJELLO , // problema , cit. , p.35. Precisa ancora I' A.: " ... nel valutare il peso della feuda lità nel Mezzogiorno è fuorviante s ia riferirsi ad avveniment i mo lto lontani. come quelli normanno-svevi (Putnarn). sia immaginare l'esistenza di una sorta di «patto» stipulato tra monarchia e baroni (Galasso). Gli avvenimenti che hanno influito di più sono a noi mo l to più vicini cd hanno operato sulla rea ltà storica socio -istituzionale del Mezzogiorno in modo assa i p iù complesso di quanto queste forme cli sempl ificazione lascino intendere. La esposizione costante del Mezzogiorno sul fronte delle a rmi, le ristrettezze economiche dei governi stranieri e l'esigenza delle monarc h ie dominant i di realizzare il controllo e la d ifesa dei loro domini con i l minimo impegno mi litare. imposero una pol itica duplice e contraddittoria nei confronti dt:!l baronagg io. ossia cons igliarono d i conservar lo, sia pur politicamente depresso. ne ll e province, d i demolirne il peso nella capitale e di esalta re il ceto antagonista, la burocraz ia di toga secondo un criterio di controllo endogeno e autarchico della società meridiona le, che fu esemplificato e volgarizzato da tutt i gli osservatori come app l icazione della formu la antica del divide ef impera. Tn realtà in questo modo fu alimentato l'affermarsi di strutture economiche e socia li sta talistiche e parass i tarie strapotenti. entrambe nella capitale e nelle province fortemen te coattive e di carattere vert icale, tirann iche. che stroncarono la p roduttività e divennero a loro volta i ncoercibili nella loro vocaz ione a d ifendere la status quo.

22 La citazione è tratta da F.GAETA. P.Y JLLANI. Documenli e testimonianze, Milano 1967, p .1 20.

11 Da G.CACIAGLI, li castello. .. , cit., p.174.

2 J Da E.GUIDONI, la città dal Medioevo al Rinascimento, Bar i 1981. p 114.

2 ' Da E.GUIDONI. La citrà ... , cit.. p. 115.

2 " Da E.GUIDONI. la cillà ci t. pp. 124-128.

27 Da E.GUIDONI . la ci11à ... , cit., p.131 .

28 D a G.CACIAGLI, Il cas1ello cit., p.176.

2 " Da G.CACIAGLI, li castello ... , cit.. p.176.

30 Da G.BASSI, G.C111urN1 A.D I LORENZO. Todi l'organizza zione del con/culo tra espansione comunale e «periferie » feudali, in Ci11à contado e feudi nel/'urbanisrica medievale, Roma I 974. p. l 58.

11 Da G.BASSJ, G.CHIUINI, A.D 1 LORENZO. Todi cit., p.162 .

12 Da G.BASSI, G.CHIUINI, A.DI LORENZO. Todi cit., p.170.

" Da G.CACIAGLI, li castello cit., p.128.

; 5 Da H.PIRENNE, Storia d'Europa , cit., p.180.

; 6 Da G.P.CHIODINI, R.TOSTI , Panicate comune rurale. Lo statuto del /484 e gli atti del notaio Cristoforo di Pietro del 1312, Perugia 1989, p.XV.

·" Da N.D.VINCIARELLI, Storia e paesaggio: i castelli e le ville. in Trasimeno lago d'arte, Roma I 994, p.52.

'" Da L.LEPRI, Alla scoperta di Panica/e, Perugia 1994, p.24.

'" N.D.VtNCIARELLI, li territorio della val/e del Nestore, in Da edicola campestre a santuario mariano, att i del conv. l 995, Perugia 1998, p.58.

0 Da O.GRIFONI, Memorie istoriche su ?emica/e terra etrusco- umbra. Città di Castello 1918, pp. 18-19.

" N.D. VtNCIARF.LLI, Il territorio del Trasimeno. Ventiquattro insediamenti minori. in Storia della Cittcì. Electa Ed it.19 , 1982, p. I 08.

"

2 Da O.GRIFONI, Il territorio , cil., pp. I0-11.

,; Da N.D. VtNCIARELLI, Storia e paesaggio , cit., p.57.

-1-1 Da G.P.CHtODINl. R.TOSTI, Panirale comune , cit.. p.69.

45 Da G.P.CHJODINJ, R.TOSTI. Panica/e comune ... , cil., p.69.

46 Cfr.L.LEPRI, Pcmicale e i Cappuccini dei secoli XVI e XVII, in Silvestro Pepi da Panica/e e il suo atlante, Perugia 1993, p.36.

47 Da F.GUERRIERI, Dalila casa-torre al castello murato, in L'uomo, le armi, le mura, Varese 1974 . p.12.

48 Da PECCI, Monteriggio11i, Ms. D.70, nel!' Archivio di Stato di Siena. Trascriz ione di F.Guerrieri in Dalla cit.. p.12.

49 Da F.GUERRIERI. Dal/a ' cit.. p. I3

50 Cfr.F.Russo, fo difesa costiera del Regno di Sardegna dal XVI al XIX secolo, Roma 1992, pp.30-31.

51 Cfr.I.PRtNCIPE, Iglesias. in Ci1tà da scoprire, Milano I 985, pp.361-367.

'~ Cfr.F.Russo, fo difesa delegata. Ragguaglio storico sulla difesa civile armata in Italia, Roma 1995, pp. I49 - 190.

5 ' La citazione è tratta da F.Guerrieri, Dalla , cit., p.8, da J.M.FlORAVANTI , Memorie storiche della città di Pistoja, Lucca 1758.

54 Da G. VILLANI, Storia di C. V. ci tiadino fiorentino. Firenze 1587 .li b. TII, p.64.

" La citazione è lralla da F.GUERRtERI, Dal/a cit.. p.7. da R.MALASPINJ. Storia fiorentina di R.M. daWed(fica zione di Firenz.efìno al 1282, seguita poi da Giacotto Malaspinijìno al 1286, Livorno 1836.

'" Da F.GUERRIERI. Dalla , cit., p. IO.

7 Da P.GUF.RRJERI, Dalla , cit.. p.9. Da C.MELI, La Va/del.sa , lotta economico-militare e dinamica degli insediamenti nel baricentro viario della Toscana. in Città. contado , c it.. p.40.

''' Da E.ENNEN, Storia ... , cit.. p. I 57.

"'' Da E.ENNEN, Storia cit., p.157.

61 Da A.CASSI RAMELLI, Dalle caverne ai rifugi hlindati, Milano I964, p.282.

61 Da Y.RE NOUARD. Le città italiane dal X al XIV secolo, Milano 1976 , p.217.

6-' Da C.W.PREV!TÈ-OtffON, L'Italia nel/a seconda metà del Xlii secolo, in Storia del Mondo ... , cit., voi. V, pp.227-228.

""' Precisa J.L EHMANN, / crociati, Milano 197 8, p.325: " Luigi IX aveva preparato la s ua seconda sped izione in Terra Santa cd era partito nel colmo dell'estate ciel 1270. Egli però non approdè\ come ci si allcndcrcbbe, in Palestina o almeno in Egitto. bensì in Nordafrica, essendosi las cia to persuadere dal fratello Carlo d'Angiò di poter convertire l'emiro di Tunisi e di poter qui tentare poi qualcosa contro Baibars. Il piano della crociata del 1270 è tanto folle, che viene se riam ente da domandarsi perchè mai essa rimanga tuttora nei libri di s tori a come «Scuima Crociata». Tanto più che essa fallì fin dall'ini1 io: subito dopo lo sba rco , il 19 luglio. Luigi e i suoi caddero infatti preda di un'epidemia (si parlò, anzi, di peste). e quattro settimane più tardi. il 25 agosto del 1270, il santo di Franc ia moriva sotto Tunisi ... ".

~· Ricorda C.MANFRONI, Storia del/a Marina Italiana, Livorno 1902, voi.Il, pp.48 -48, l'emblematic.:o comportamento tenuto da Carlo d'Angiò nella circostanza. Il re: " vendette ali' emiro la pace. ottenendo oltre ad un'indennità di g uerra di 2 I 0.000 onze, iI pagamento del tributo di Sicilia raddoppiato. e il rimborso delle annualità arretrate, raddoppiate anch'esse. Ai valorosi marinai che avevano fedelmente servito suo padre. egl i nulla diede; anzi mostrando un 'avidità che difficilmente potrebbe giustifica rsi, spogliò degli averi e delle merci i molti genovesi. le cui navi, sbattute da una formidabile procella, erano venute a frangersi presso la costa della Sicilia, allegando l'iniqua e barbara legge de naufragiis che mal poteva applicarsi a compagni di viaggio e di sofferenze , a fedeli alleat i di suo fratello."

"'' Cfr. F.Russo, i Turchi e fa diaspora albanese, in Studi storico-militari /996. Roma 1998, pp.35 -36. ,,; Da C.W.PREV!TÈ-ORTON, L'Italia , cit., p.231.

(>l\ Da D.M ACK SMtTH, Swria del/a Sicilia medievale e moderna, Bari I 971. pp.91-92.

ING EGNO E PA URA TRENTA SECOLI DI FORTIFI CAZION I IN !TALIA

69 La citazione è tratta eia O.PROCACCI, Storia ... , cii., voi. I, p.59.

70 Da D.MA CK SMTTH. Storia , cit., p.93.

71 Da L.SANTORO. Tipologia ed evo luzione dell'architellura militare in Campania, in Arch.Stor.Prov.Nap., terza se1ie, vo l.VII-VTTT (1968-1969), Napoli 1970. p.118.

12 Cfr. B.GILLE, Leonardo e gli ing egneri del Rinascimento, Varese 1972, pp.25-30.

73 Da A.VENDITI!, Napoli angioina. Urbanistica e architellura, in Storia di Napoli, Napoli 1976. pp.820-822.

74 Da LSANTORO, Castelli angioini e aragonesi nel regno di Napoli. Segrate 1982, p.80.

7 Da A.YEND!TTI, Napoli , cit., p.824.

1 • Da J.HOGG, Storia delle fortiflcazimzi, Novara 1982, p.47.

77 Da L.SANTORO. Tipologia , cii., p.12 I.

78 Da R.FILANGERI, Castel Nuovo, Napoli 1964. p.4.

19 Da L.S ANTO Ro. Castelli cit., p.66.

''" Da L.SANTORO, Castelli cit., p.67.

8 Da R.FrLANGERI, Castel cit., p.16.

81 Da G.M.DE Rossi, Torri costiere del Lazio. Roma 197 I , p.113.

8 -' Da L.SANTORO, Castelli , cit., p.73.

"'Cfr. O.VALENT E. Una storia millenaria, Le Castel/a. Catanzaro I 993, pp.30-3 I.

~, Cfr. T, MOMMS EN, Storia di Roma antirn. 1ist. Bologna 1979, lib.11, pp.487-488.

~ 6 La citazione è tratta eia O.VAI.ENTE, Una storia cit. , p. 30, nota 32.

87 Da E.PONTIERI, Ricerche sulla crisi d ella Monarchia siciliana nel secolo Xlii, Napoli 1958, p.215.

811 Cfr. M.AMAR!, La guerra del Vespro Siciliano, Firenze 1866, pp.6-7.

89 Da F.CAMP/\NILE, Dell'armi overo insegne de' Nobili, Napoli 1680. p.92. La citazione è tratta da O.Valente, Una storia , cit., p.32, nota 34.

9 " Da G.F.PUGUESE. Viaggio dalle Castel/a a Crotone per capo Colonna, in Il Piwgora, a.I, 1845. p.178 La citazione è tratta eia O.Valente. Una storia ... , cit., p.16 nota 7.

9 ' Da L.SANTORO, Castelli , cii., p.1 14.

92 Da L.SANTORO, Castelli... , cit., p.93.

"

1 Cfr. L.SA NTORO, Le torri costiere in Campania, in Napoli Nobilissima, Napoli 1967, n° 4, pp.45 -46.

''J Cfr. L.SA NTORO, I castelli del ducato ama(fìtano , cit., pp.1-20.

"' Da M.CAMERA , Memorie storico-dip/0111atiche dell'antica c illà e ducato di Amalfi, Salerno 1876-1881, Il, p.592.

96 Da LSA NTORO, Castelli.... cit., p.93.

97 Da C.MoNTÙ, Storia de/l 'artiglieria italiana, Roma I934. vol.l, p.89.

911 Da L. WHJTE Jr., Tecnica e società nel Medioevo. Firenze 1976, p.159.

99 La citazione è tratta da E.BRAVETTA, L'artiglieria e le sue meraviglie, Milano 1919, p.67.

"

10 Da E.B RAVETrA, L 'artiglieria , c il. , p.67.

'" ' Da C.MONTÙ, Storia , cit.. voi.I. p.93.

'"

2 Da E.BRAYETrA, L'artiglieria , cit.. p.57.

10 ' Da E.BRAVEITA , L'artiglieria , cit., p.57.

,OJ Da C.MONTÙ, Storia cil., vo i.I p.93.

,os Cfr. F.FASCIA, Castel di Capuana, Napoli 1996. pp.25-61.

106 Da E.BRAVETTA, L'artiglieria , cit., p.58.

'°' Da E.BRAVETTA, L'artiRlieria ... , cit., p.58

IUIJ Da L.WHITE Jr. , Tecnica , cit., pp.160-161.

1011 Da E.BRAVETTA, L'artiglieria ... , ci t. , p.85.

11 0 Da L.WHJTE Jr., Te cn ica , c it., p.162.

111 Da C.MONTÙ, Storia ... , cit., p.97.

Capitolo Quarto

La fine di un'era

L'abbondanza delle permanen ze

li XII ed il XIII secolo videro il proliferare abnorme della fortificazione , applicata in ogni settore ed in qualsiasi possibile variante. Dai castelli alle cerchie urbiche, dalle torri gentilizie alle torri costiere, dalle dimore patrizie ai monasteri, dai ponti alle masserie e, addirittura, ai pozzi, nessun edificio, o struttura pubblica di una qualche importanza, ne andò esente. La spiegazione del fenomeno deve attribu irsi, ovviamente, alla contestuale incapacità di espugnarle. La deficienza, oltre a renderle garanti indiscusse della sicurezza , ne prolungò vistosamente la longevità, ammortizzandone i costi e saturando il territorio. Per conseguenza finirono col divenire, relativamente parlando, un'architettura infestante e solo l'affermarsi dell'artiglieria valse ad invertire la tendenza.

In definì ti va , in quell'arco storico, nella millenaria dialettica militare fra la difesa e l'offesa: " ... la prima era divenuta chiaramente predominante. Vi fu quindi momentaneamente ben poca necessità di cambiare l a progettazione delle fortificazioni .. .Inoltre le operazioni richieste per espugnare queste fortificazioni, sia per assedio , sia per lancio di missili o per assalto, cambiarono anch'esse relativamente poco. Nelle zone contro llate da castelli o da città fo rtifi cate, la guerra rimase a lun go un affare di manovre, di scaramucce e assedi prolungati. L'invenzione di potenti cannoni d'assedio nel secolo XV pose temporaneamente fine a questa situazione dì stallo. Ini zia lm ente l'apparizione di un so lo cannone poteva portare alla resa immediata di una guarnigione " (' )

In breve volgere: " ... le mura delle fortificazioni medievali più alte che spesse, e p ressocchè inespugnabili da parte dei cava li eri appiedat i o dei poco effic ienti fanti dell'età feuda le, venivano ora cìnte d'assedio da truppe che, se pagate bene e puntualmente, riconosce- vano una sola autorità e non si scioglievano nella cattiva stagione o nei periodi cruciali dei lavori agricoli, e potevano essere rase al suolo con facilità da artiglierie di grosso calibro. Non esistevano più castelli imprendibili, mentre la superiorità dell'attacco sulla difesa, sancita dallo svi luppo delle tecniche ossidionali, si tradusse in un duro colpo per i nobili , ed in un vantaggio politico per il loro sovrano. "12 > La principale conseguenza politica che ne derivò: " ... fu la riduzione, non soltanto delle città-Stato italiane , ma anche d'ogni altra signoria minore a dimensioni insignificanti ... Ne seguì, tra le potenze di nuova costruzione, un ' ondata di conflitti europei destinata a durare per la maggior parte del sedicesimo secolo, con l ' umiliazione dell e città-Stato italiane al rango di semplici pedine di un più va s to scacchiere. "'3 >

Simile, e per molti aspetti concordante, lo s travolgimento dei rapporti sociali inferto dalle armi da fuoco individuali: un qualunque bifolco in possess o di un rudimentale archibugio era in grado di eliminare il più valoroso e corazzato cavaliere, sintesi professionale di una vita trascorsa nell'addestramento al combattimento <4 > _

La mutazione epocale a l pari di quella periodica dei crostacei, anch'essa provocata dalla crescita, avrebbe dovuto lasciarci una miriade di fortificazioni arcaiche , vecchi esoscheletri dismessi perchè onnai palesemente in suffic ienti e giubilati. Invece, come stigmatizzato nel precedente capito lo , di tanta straordinaria e variegata produzione se ne rintracciano pochissime enigmatiche vestigia. E, persino tali estreme testimonianze, nella stragrande maggioranza dei casi , appaiono frammentate ed inglobate nelle più evolute opere del XV secolo , quelle della 'transizione', che sembrano essere le rappresentanti per antonomasia dell'intero medioevo.

L a ragione dell'apparente paradosso è nella dinamica evo luti va dell'artiglieria, talmente graduale e lenta, da suggerire, e consentire, l'adeguamento progressivo di quasi tutte le fortificazioni , di volta in volta, ritenute con modesti interventi ancora utilizzabili. Pertanto: " molto tempo ancora trascorse prima che la fortificazione prendesse nuove forme , atte a renderla più resistente alle nuove armi, ed appropriata all'uso delle medesime nel la difesa. Imperocchè la sola esperienza poteva dimostrare 1'insufficienza delle disposizioni allora usate, e vincere da una pa1te l 'avve rsione alle innovazioni, ben naturale in un genere di costruzioni che richiede ingenti spese, e dal1' altra da un certo rispetto per l'antichità che forma uno dei caratteri di quei secoli del rinascimento della arti e delle scienze. " '51

In pratica, la cosiddetta architettura militare di transizione, più che una riqualificazione concettuale dei precedenti criteri fortificatori consistette in una loro dilazionata maggiorazione dimensionale. Non si può, in generale, attribuire questa utopica procedura all ' incompetenza dei progettisti o, peggio ancora, alla sottostima delle potenzialità dell'artiglieria, ma soltanto all'errata valutazione dei tempi necessari per il loro pieno conseguimento.

Forse a causa della difficoltosissima sequenza di postazione e d ' impiego delle bombarde , dell'in significante violenza d'impatto dei loro rozzi proietti di pietra , nonchè della scarsa conseguenzial ità per l' imprecisione del tiro e per l'irrisoria cadenza, nessuno, nemmeno i più attenti osservatori e tecnici militari dell 'epoca , riuscì a prevederne, dopo quasi un secolo e mezzo di trascurabili progressi, l'imminente balzo evolutivo. Perchè stupirsene quando lo stesso Machiavelli, ancora al principio del XVI secolo, considerava le artiglierie campali un gravoso e costoso impedimento più che una te1Tibile arma? Scriveva infatti:

'" so no molte più le volte. e sanza comparazione, che l'artiglierie grosse non percuotono le fanterie, c he quelle ch'elle perc uotono; perchè la fanteria e tanto bassa e quelle sono così difficili da trattare, c he, ogni p oco che tu l'alzi, e lle passano so pra la te s ta dei fanti; e se l'abba ss i, dann o in terra, e il co lpo non perv iene a quegli " 16>

Quindi , pur non escludendosi in assoluto migliorie per le bocche da fuoco , le si s uppo sero sempre in un futuro remoto. Per l'immediato l'unica evoluzione credibile, e verificabile, concerneva soltanto l'incrementarsi delle loro dimensioni. Fidando su di un simile postulato gli ingegneri e gli architetti si limitarono ad un simmetrico accrescimento delle resistenze passive delle strutture difensive maggiormente esposte. Quando però , allo scadere del XV secolo, le artiglierie attinsero all ' improvviso un notevole grado di efficienza, trasformandosi nell'arma che s ostanzialmente permarrà immutata fin quasi alla metà del XIX sec., l ' ingenua contromisura non bas tò più.

Dopo un'arco d'impiego di quasi seimila anni, al dissolversi del Medioevo l ' impianto difensivo impostato sulla cooperazione torri-cortina, esaurì improvvisamente, ed irrimediabilmente , la sua validità e venne abbandonato. A differenza di quanto fino ad allora verificatosi non fu più attuabile alcun adeguamento, per cui proprio da quel cruciale momento ci perviene la miriade di cerchie e di castelli, tutti, quand'anche non coevi, ormai con connotazioni s imilari: massicci gusci di pietra pateticamente fragili agli insulti balistici!

In conclusione, il castello: " ... aveva dominato le guerre medievali, quando le uniche risorse a disposizione clell' attaccante erano quelle ereditate dall' antichità classica: catapulte, arieti, assalti con scale e, soprattutto, fame. Le grosse artiglierie posero fine a tutto ciò: la demolizione delle mura di Cos tantinopoli l 1453] effettuata dall ' a11igl ieria turca, fu , sotto questo e sotto molti altri aspetti, il simbolo della fine di un'era nella storia dell'uomo occidentale ... " m .

E che l'ultramillenaria vicenda delle cortine turrite, al crollare di quella mitica cerchia, fosse pervenuta ad una soluzione di continuità lo dimostrano i criteri base , assolutamente inediti , che si adotteranno a partire dai decenni successivi. Alla corazzatura lapidea delle mura subentrerà il paramento tenero , in tufo o in mattoni , alla loro compatta massa cementizia la soffice terrapienatura , alle loro ton-i il bastione. Ora essendo tale impostazione totalmente divergente dalle precedenti non fu più praticabile alcun utilizzo delle preesistenti strutture. La modernissima concezione, che in breve sarà definita la trace italienne, per fornire il suo pieno apporto difensivo obbligava a realizzazioni interamente nuove ed omogenee. Disgraziatamente, però, implicava: " ...costi ... sbalorditivi. Il progetto di cingere Roma con una cerchia di diciotto possenti bastioni fu abbandonato nel 1542 quando si accertò che la costruzione di un solo bastione era costata 40.000 ducati Siena aveva perso la sua indipendenza quarant'anni prima in gran parte perchè i suoi governanti si erano imbarcati in un programma di fortificazioni che non potevano permettersi finanziariarnente ... " <8> Assurdo, pertanto, incrementarne ulteriormente gli oneri demolendo, le mastodontiche fortificazioni tardo medievali! Per cui si adottarono, al riguardo, due opposte tendenze: laddove il loro valore di posizione fu reputato insostituibile le si conservò, racchiudendole in una cerchia bastionata, trasformandole così in cittadelle, ridotti o ricoveri protetti. A rendere tale procedura meno episodica contribuì l'orientamento prevalente ad aggiornare: " ... le piccole fortezze più che [la] lunga cinta muraria delle città come era naturale che accadesse in un periodo di innovazione. Quindi, a subire trasformazioni furono le rocche che costituivano il fulcro delle difese che proteggevano le città italiane... " <9> In tutti gli altri contesti, invece, vennero semplicemente abbandonate al loro destino.

In entrambe le situazioni, comunque, sopravvissero, più o meno fatiscenti, più o meno deturpate, ma mai stravolte radicalmente. Considerando, infine , che nella seconda metà dell'Ottocento si demolirono moltissime cerchie bastionate , specie quelle ormai interne alle città per la loro presunta insignificanza e per il loro concreto ingombro, isolandone perciò la rocca, è facilmente desumibile il prevalere delle opere di transizione su tutte le precedenti tipologie architettoniche.

Nessuna meraviglia, pertanto, che gli esempi relativi siano talmente numerosi ed abbondanti da costringere ad una inevitabile selezione, basata più che sulle caratteristiche strutturali, sostanzialmente sempre simili, sul ruolo storico che la particolare opera sostenne. A rendere possibile questo criterio subentra un fattore in precedenza insignificante e scarsamente attendibile: la disponibilità delle fonti scritte. Con il XV s ecolo, infatti, la burocrazia iniziò a costituirsi dando origine a carteggi complessi ed articolati, soprattutto in ambito militare. Dal canto suo la progettazione adottò la rappresentazione grafica moderna, con piante, prospetti , sezioni ed assonometrie, corredando gli elaborati di dettagliati computi metrici. Senza contare, infine, che con l'avvento della stampa un gran numero di tecnici avvertì l'esigenza di divulgare e tramandare le proprie conoscenze, fornendo così la chiave di interpretazione oggettiva delle sue scelte. La ricerca storica, perciò, da questo momento cessa di essere deduttiva per divenire analizzati va.

Tuttavia, prima di procedere all ' approfondimento delle fortificazioni di transizione, in base a quanto appena delineato, è indispen s abil e per vagliare la ]oro ottimale connotaz ione una s intesi dei p e rfe z ionamenti conseguiti dall ' artiglieria nella seconda metà del XV secolo.

L'artiglieria dalla compars a alla metà d el XV s e colo

Riuscendo fin troppo ovvio che le gro s se artiglierie d'assedio ebbero facilmente ragione di criteri fortificatori estremamente remoti, ciò che stupisce, di primo acchitto, non è il loro abbandono ma, piuttosto, l'abnorme protrarsi della loro agonia! In realtà , però, la vicenda si dipanò in maniera alquanto più compless a e meno scontata.

Innanzitutto bisogna osservare che, al di là dei rudimentali ordigni brevemente tratteggiati nel capitolo precedente, e della cui concreta efficacia ben poco si sa, l'avvento delJe armi da fuoco fu , per un discreto numero di anni, caratterizzato dalla prevalenza quasi assoluta dei piccolissimi calibri, ovvero delle cosiddette armi ' manesche'. Infatti: " è assai probabile che all'inizio quas i tutte le armi siano state di piccole dimensioni, tanto piccole che un solo uomo poteva reggerle con una mano , mediante un manico, e applicare con l'altra un ferro incandescente al focone.All'occorrenza si poteva piantare il manico per terra, dandogli l ' inclinazione voluta, e dar fuoco alle polveri evitando di assorbire sul corpo il contraccolpo dello sparo. Comunque ci si rese conto assru presto che sj potevano realizzare pezzi d' aitiglieria di dimensioni notevoli, per i quali in Italia si usava di preferenza la definizione di 'bombarde'. Questo tipo di artiglieria, che oggi potremmo definire 'pesante', poteva essere molto utile durante glj assedi, anche se per molto tempo non riuscì a superare in efficacia le catapulte e le altre macchine nevrobalistiche ... " 0 0>

In particolare, le: " .. . armi da fuoco portatili si imposero molto più rapidamente. Meno costose e più maneggevoli delle balestre, benchè non potessero produITe un volume di fuoco equivalente. contro un caval iere corazzato avevano un'eguale efficacia distrutti va "( 1)).

Quindi tra la supposizione del ruolo risolutore della bombarda e la sua concretizzazione già intercorse un discreto intervallo, speso in continue migliorie all'arma ma non alle fortificaz1oni. Una eloquente testimonianza può ravvisarsi nell'originaria vastissima diversificazione dei pezzi, a partire dai metalli impiegati nella loro fabbricazione. Al riguardo occorre fare subito una netta distinzione fra quelle gettate in bronzo e quelle forgiate e, successivamente colate, in ferro. Dal punto di vista cronologico sembrano essere sostanzialmente coeve, sebbene destinale a predominare nel corso della storia alternativamente: le prime fino al XV ll seco lo, e le seconde d'allora in poi.

Circa la rea l izzazione dei pezzi in ferro, si adottò la tecnica di assemblaggio del bottaio, non riuscendo praticabile la fusione, omogenea ed abbondante. del minerale almeno fino alla metà del '500. In me1ito si sa che so ltanto : " ... tra il 1490 ed il 1510, accanto alla fabb ri caz ione d i proietti, fu tentata la fusione di ca nnoni in ferro, e sappiamo che attorno a l 1509-1513 furono fabbricati pezzi in ferro colato. Non c'è modo di sapere quale fosse la qualità di questa artiglieria, ma è improbabi le che sia s ta ta molt o soddisfacente .. .Nel 1543, quando il re lEn rico d' l ngh i lterra j ebbe bisogno di cannoni [nel produsse con successo un certo nume - ro L'avvenimento segnò l'inizio di un periodo di prosperità per l'industria metallurgica del Sussex e inaugurò un nuovo capitolo della storia dell'artiglieria. Nel 1545 fu ordinato di fabbricare altri 120 cannoni in f f L d · j ' ' d · " <Pt erro uso... pro ott1 in circa ua anni....

Pertanto , per oltre due secoli, l'unica maniera dicostruire pezzi in ferro consistette nel saldare, longitudinalmente fra loro, numerose doghe intorno ad un nucleo centrale cilindrico, che, asportato al termine della lavorazione, sarebbe stata l 'a nima della bocca da fuoco. Per fornire alla canna così assemblata, definita 'volata', una sufficiente solidità la si cerchiò, forzandovi diversi anelli roventi di ferro. Ne risultava un tubo aperto, caratteristica che diede origine ad una peculiarità pressocchè esclusiva delle artiglierie di fen-o, ovvero il caricamento dalla culatta. La so luzione , propriamente detta 'retrocarica', scaturiva dall'incapacità di chiudere, con pari solidità, un'estremità della canna, per cui si preferì, abitualmente, ostruirla con un ' tappo ' di ferro ad incastro, detto 'mascolo', bloccandolo in una robusta staffa, fissata alla canna, mediante un mass iccio cuneo sempre di ferro. In breve in quel rudimentale otturatore si ricavò una 'camera' per la polvere e. più tardi anche per la palla, e lo si munì per un più agevole maneggio di una grossa maniglia: la forma ottenuta ricorda un grosso boccale da bi1Ta.

La costruzione, ad oma della sommaria descrizione fornita, presupponeva , in realtà, una eccezionale competen7,a artigiana. La fucinatura di verghe di notevoli dimensioni , infatti, 1iusci va perfettamente so ltanto ai migliori fabbri dell'epoca, gli stessi capaci, senza l' ausilio del carbon fossi le, di ottenere ferro malleabile di eccel lente qua lità.

In dettaglio, l a fabbricazione di una bombarda fucinata iniziava con l'approntamento delle doghe e dei relati vi aneli i. Co ntemporaneamente si forgiavano l'otturatore camerata, o tappo di culatta, e la relativa staffa di bloccaggio. Seguiva la saldatura delle doghe, che supponeva una straordinaria perizia e precisione, rive landosi estremamente deleterio ogni sia pur minimo interstizio. Nonostante ciò, al termine dell'operazione per rendere il pìù possibile omogeneo l'insieme canna, anelli e staffa dell'otturatore, si poneva l'intero pezzo in un apposito forno a riverbero. La temperatura co nseg uibile no n bastava a provoc arne la comp le ta fu sio ne ma solta nto un modesto avvio, formando perciò un a patina su tutta la superficie , ottima per s i g ill are qual sias i fessura.

Un interessante: " ... st udio recente di una bomba rda di c irc a du e me tri di lun g he zza ha fatto e merge re la possibilità di varianti circa il s iste ma di fabbricazione ... descritto. Sembrerebbe c he in quella bombarda le doghe fossero s tate stre tt e, dagli anelJì di rinforzo. attorno ad uno spesso tubo formato da una lamiera avvolta su se stessa.

S e così fosse, ci trnveremmo a ll a presenza di una sofist i cat issima tecnica di cos tru zione, non impossibile de l res to per la capac it à dei fa bbricanti di quel tempo, che sapevano costruire mostri feJTei del tipo di Mon s Meg, pesante 50 quintali, e della D ulle Griette pesante ben 150 quinta li , ancora visibili rispetti vame nt e a l castello di Edimburgo e nella c ittà di G a nd in Svizzera. Nella quasi totalità queste gra ndi bocche d a fuoco erano costituite da due parei: il mascolo e l a ca nna.

Il mascolo cons isteva in una porzione di circa un terzo della lungh ezza cotale de ll 'aima, sfi labil e dalla canna vera e propria ed amovibile per pot e rvi facilmente a llogare la carica di polvere. La palla, di ferro ma più spesso di pietra, veniva posta nella parte posteriore della canna: s i aveva cos ì una rudimental e retrocaiica. Il masco1o aveva se mpre una sez ione es terna ed int e rna i11feriore a queJla della canna, pur avendo pareti più spesse per meglio resistere allo scoppio deJla polv e re. La canna, o cannone, restava fissa sul ceppo di legno che fungeva da affusto, me ntre il mascolo ne veniva totalmente rimosso con l 'aus ilio di argani, se molto pesa nte " ll 31

Le artiglierie in fe rro cerchiato a retrocarica, nonos tante la loro rudimentale co nc ez ione, fornivano alcuni vantaggi fun?.ionali c he s i dimostrarono talmente convenienti da prolungarne l 'adozio ne fino al secolo XIX. Tra que s ti , in particolare. la possibilità di ricaricarle se nza estrarre la volata dalle cannoniere, dettag lio utili ss imo neg li ambienti molto ri st retti, conve- ni enza che si accentuò allorquando anche il proietto fu posto nella ca m era. Onde evi tare c he durante l'inse rim e nto del mascolo nella c ul atta fuoriuscissero la polvere e l a palla, spesso sostituita da frammenti di fe1To o di pietra, da cui il nome di 'petriero' al pezzo, se ne c hiud eva la camera con un tenero diaframma di legno. Grazi e a quel se mpli ce accorgimento la bombarda a retrocarica poteva perciò tirare anche con forti a ngoli di depressione, prossimi alla normale, a differenza di qual s ias i altra bocca d a fuoco, riu scendo così a 'spazzare' efficaceme nte il piede della fortificazione con una micidiale mitraglia. Per sfruttare a pieno tale prestazione i petrieri vennero sospesi in una forcella, o 'braga', fissata a sua volta su di un caval let to, c he g li co nse ntiva un 'ampio basculamento. In o ltre, disponendo ciascu n pezzo, normalmente, di almeno tre masco li precaricabili. era agevol e sostit uirli rapidamente, dopo ogni colpo. incrementando l a cadenza di fuoco, fino a cinque volte quella d e ll e norm a li a rt iglierie. Scriveva nel 1621 il Sardi nel suo celebre trattato al riguardo:

·'Si trovano ak:uni Pezz i che si dicono a Braga, quali si caricano con i scrven tori, o vero Mascol i ; quest i si usavano anticamente di fcn-<> battuto et in questi nostri tempi si usano di ferro e di Bronzo p uro Ma molto diffe renti da que lli an ti c hi nella grandèzza. e portata d i palla. perchè anticamente si usavano che tirava no ce nto e più libre di palla di Pietra. tutte di Ferro battuto, come ne ho vedute due nella città di Gantes lsi tratta del la To ll e Grete di Gand] in Fiandra. in una piazzetta vicina alla gran Pia7,7a, di s tese in terra scavalcate con i suo i Ma~coli. tanto smi s urata una cli quelle. che ogni grosso homo sar ia potuto passar per dentro la sua canna, benchè r a lt ra non fosse tanto smisurata

Et la Serenissima e Potentissima R epubb li ca di Yent tia s opra le sue Galere, ed altri Va-;seli, oltre ag li a ltri smisurat i peLZi di cinquanta e sessanta libre di Pa ll a di ferro. dispensa per armargli buon num ero di questi tali Pezzi, ma molto più gagl itmli e rinforzat i, ricchi di Metallo. et di Canna più lunga , che i Provenziali.

Questi non s i cav a lcano sopra a Ru ote. ma sopra a lcuni gro s si ferri a forcella. ficcati sopra il Bordo del Yassel lo. di maniera che con una co d a lunga cli ferro di dietri alla Braga s i possono volgere et girare da qual parte r uomo vuole. con molta facilità e pres tezza.

Tirano Balle di Pietra; et spesso si caricano con Pezzetti di Ferro, et scaglie di Pietra, et catenette. e nello abbordare i vasselli le sca1icano con grande mortalità, et danno dei nemici.

Si caricano con i suoi Mascoli di Bronzo. e di l'e1TO. et p,ima di mettere per di dietro la Palla, si mette un buon Boccone (stoppaccio) e Coccone di legno dolce, e per di dietro si fa tener forte alla Braga con buoni cugni di Ferro. e deve il Bombardiere quando dona il fuoco. satre a parte. e non di dietro immediate per ogni buon rispetto. et i Mascoli doveriano essere per lo meno tre per ciascun pezzo per non dar tempo al nemico di riposo, pcrchè nella prestezza el numero grande di tiri consi~te il Fatto.

Tali Peni in difesa di castelli. Torri. Frnti e simili, contro battaglie cli mano et scalate, non ponno fare se non grandissimo effetto. dispen s andogli ai fianchi, quantunque piccoli. et altri luoghi, o posti convenienti. "o1, ,

A fronte di tanti vantaggi, che rendevano il petriero sostanzialmente simile ad una grossa lupara, il difetto principale era rappresentato dalla scarsa tenuta dei gas al momento dello sparo. Ne conseguivano da qui l'avvertimento del Sardi a non porsi immediatamente dietro al mascolo ampie sfiammate e, non di rado, violente rotture della staffa. Per contenere al massimo quei temutissimi incidenti, la carica di lancio di siffatti pezzi si mantenne sempre notevolmente inferiore a quella deJle bombarde di bronzo tradizionali di pari calibro, la cui costruzione fu, comunque, di gran lunga più semplice, sia per il minor punto di fusione della lega e sia per la ultramillenaria esperienza sul getto. ed il maneggio più sicuro.

Non a caso, ed è per molti versi paradossale, i primi costruttori di pezzi in bronzo furono gli stessi artigiani che producevano le campane. In pratica: " I' artiglieria di bronzo fuso comparve molto presto, e incontrò subito grande favore, non solo perchè il bronzo è meno soggetto alla corrosione, ma anche perchè il procedimento di fusione rendeva possibile la fabbricazione dì cannoni ad avancarica ed eliminava così tutti i pericoli e le difficoltà connesse con il problema del l'otturazione posteriore. Quanto al l'aspetto economico dell' alternati va. non c'è dubbio che come materia prima il ferro costava molto meno del bronzo. Tuttavia , sino a quando non si sviluppò la tecnica per colare canne cli ferro resistenti, l'alternativa rimase tra bronzo fuso e feITo battuto. Ora, il procedimento di fucinatura assorbiva più lavoro e di conseguenza costava di più di quello di fusione. La differenza tra i prezzi finali si riduceva quindi notevolmente. Benchè si continuasse a costruirne, i cannoni in ferro battuto vennero sempre più considerati come un malagevole ripiego.

Il rame , la materia prima fondamentale per la fabbricazione dell'artiglieria in bronzo, proveniva principalmente dall'Ungheria , dal Tirolo, dalla Sassonia e dalla Boemia. Lo stagno, il metallo che va unito al rame, proveniva principalmente dall'Inghilterra, dalla Spagna e dalla Germania. Quantunque le materie p1ime provenissero da un limitato numero di regioni, la fusione dei cannoni in bronzo veniva praticata quasi dovunque da artigiani che non avevano alcuna difficoltà ad alternare la produzione di campane con quelle dei cannoni e viceversa. Ques ti artigiani lavoravano su commissione o venivano ingaggiati per determinati periodi di tempo. Più tardi furono anche creati arsenali governati vi più o meno pcrmanenti ' 15 ' dove i cannoni venivano fabbricati da personale qualificato stabile o da esperti assunti temporaneamente. Bisogna aggiungere che a quell'epoca la divisione del lavoro fra artiglieri e fonditori non era sempre ben definita e molto del lavoro di fusione era in realtà svolto da artiglieri che prestavano regolare servizio negli eserciti " 111 ''

L'enorme richiesta di artiglierie in bronzo provocò una fortissima domanda del metallo: basti considerare che per oltre tre secoli il termine metal lo definiva per antonomasia il bronzo. ln pochi decenni gli approvvigionamenti di rame, di stagno e dì z inco: " ... assunsero un'importanza critica per i signori d ' Europa. E quando le nuove artiglierie si diffusero anche in Asia ebbe inizio la seconda età del bronzo

A rigor di termini ... la seconda età del bronzo non ... lduròJ neppur un secolo (1453 - 1543) lma] modificò radicalmente l'andamento delle economie: per esempio accrebbe a dismisura l'importanza delle miniere di rame e argento dell'Europa centrale, come s ta a dimostrare l'esplosione di prosperità che sul finire del quin- dicesimo secolo investì la Germania meridionale, la Boemia e le regioni adiacenti. e come dimostra anche l'impero finanziario creato dai Fugger e da altri banchieri tedeschi-meridionali ... Arrivò però il momento in cui la sm.tituzione dei peui in feITo a quelli in bronzo e in ottone determinò la crisi della prosperità mineraria ... " , il•.

Dal punto di vista esecutivo la realizzazione dei cannoni in bronzo prendeva l'avvio dalla formazione di uno stampo. Questo " ... veniva ottenuto avvolgendo attorno ad un nucleo di legno trecce di paglia su cui veniva spalmato uno strato di argilla, polvere di mattoni e grn...,so per rendere plastico il miscu lgio. Mentre alcuni operai giravano su se stesso il nucleo, appoggiato su icfont'i supporti. altri ne formavano il profilo servendosi d1 :-.agome gil1 pronte. Su questo finto cannone veni\a formato lo :-.lampo, a segmenti separati che veni vano successivamente uni li e solidalmente trattenuti tra loro da un· i ncastcllatura di bande di ferro. Al centro di questo stampo sì infila\a un nucleo cilindrico che, una volta raffreddala la fusione e rimosso, lasciava il vuoto della canna. Lo stampo, o gli stampi per la fusione contemporanea di più pezzi, venivano infilati verticalmente in buche nel terreno e lo spazio tra l'uno e l'altro ben costipato di terra. Occorrevano alcuni giorni perchè la fusione si raffreddasse, dopodiché si provvedeva alla rimozione delle forme e si estraevano le bocche da fuoco che venivano pulite, lisciate. lu cidate, mentre l'anima poteva anche essere alesata con macchine idrauliche ... "•1 ~'.

Circa il muni1.ionamento di quei cannoni, sia in ferro che in bronzo. come incidentalmente accennato più volte, si utilizzavano palle di pietra calcarea, meno frequentemente- di granito. Va precisato che non esistendo una ngida unificazione dei calibri, in pratica ogni cannone richiedeva una sua palla, incongruenza chè ne rendeva estremamente complicato l'approviggionamcnto. Quanto fosse difficile destreggiarsi tra sfere appro~simativamente identiche lo dimostra che, fino all'avvento dei proietti cilindro-ogivali. il calibro non designava il diametro dell'anima del pezzo ma il peso della palla, di più facile accertamento. Pertanto, uno stesso cannone quando tirava palle di pietra aveva un calibro pari ad un terzo di quando tirava palle di ferro! In fase cli costruzione gli sca lp ellini valutavano la dimensione delle palle mediante una coppia di crivelli, rispettivamente uno di poco più grande del necessario e l'altro invece di poco più piccolo: la pietra doveva perciò passare il primo ed arrestarsi al secondo. Intuibili le approssimazioni geometriche: ovvio che per compensarle si lasciasse fra la palla e l'anima una notevole tolleranza, definita 'vento', che si cercava, in fase di caricamento, di ridurre mediante l'interposizione di slracci fungenti da guarnizione. Intuibili, pure, le ragguardevoli perdite di compressione e la conseguente fiacchezza dei tiri.

Scriveva, ad esempio, a ridosso del 1480 Francesco di Giorgio Martini circa le bombarde:

"È da sapere che le macl'hinc delle bombarde con più varie e diver'ie misure e forme ~i fanno. Anco è da vc:dere di che materia sieno... La bombarda dia e~~erc Ji rame o dì ferro fatta, quantunque el più di brorvo ~ieno, e queste più facilmi.::nte si rompano: per la corruzione della materia frangibili sono. E quando di rame sieno. essendo tenacissimo, per qualche strano caso o incovcnicntc si speZLeranno ... E perchè ciascuna di yucste misura richiede. è da sapere che quando le bombarde. spingarde e cerbottane piLr Jonghe sono. tanto più con furia e lontan gilla. e massime la tromba sua col cannone a e~~a conveniente. Poniamo sia una bombarda che tragghi di pietra lire (libbrej cento. eJ cannone ~uo non dia essere manco di pietre due Idue diametri della palla di lunghea.aj. e la tromba d·cssa pietre cinque. Sia una che la pietra di dugento pesi, el cannone due pietre e mezzo è da fare e la tromba cinque e mez70 E quando la tromba di troppo pondo fosse. a vite di più pezzi far si puè,. Anco è da !>aperc che I i I cannoni la quinta parre più stretti in fondo che in bocca e a forma di piramide son da fare E la bocca d'esso cannone in suo diametro el quarto del diametro della tromba overo el ter1.o. E molti sono che la quinta parte fatto l 'hanno. " " '''

Per l'illustre tecnico, quindi, i cannoni sono ancora composti di due parti assemblate insieme, con diametri diversi e configurazione conica, molto simili a quelli dell'inizio del X IV secolo, destinati a scagliare esclusi- vamente palle di pietra. Epp ure, ad onta di tanta arcaicità, quei pezzi avevano già raggiunto sign ifi cative velocità di lancio, come dalle parole dello stesso autore s i può inequivocabilmente riscontrare:

"E certamente tutte le altre macchine all/iche per cagione di questa potentissima chiamata bombarda vane e s uperflue si possono appe ll are; lo impeto della q uale solo a chi con li sensi lo comprende è credibile, perochè più veloce è el moto della pietra impul sa da quella che del orrendo s trepito da quello causaro alle urecchie dell i c ircus t anti " ;w,

Nella st o ria dell'uomo quei proi etti avevano s uperato per l a prim a volta la 'barri era d el suo no ', ovvero i 340 rn/sec. Ma s i trattava dell'unico ap prezzab il e progresso per arn1i che esistevano ormai da quasi due secoli!

Sensato perciò s timare che anche per neutralizzare tale potenziamento sare bbe ba s tato un ulteriore incremento degli spessori d elle fo rtifi cazioni ed una maggiore inclinazi o ne delle loro s upe rfici esposte . Il c h e fu, per l'ennesima vo lt a, prontamente attua to.

Li Sa Lto Tecnologico

Ne ll ' ultim a metà d e l XV seco lo una se n e di pe rfez ion amenti , s in go larment e già da anni adottati, venne ro applicati tutti contemporaneamente a ll e ar1iglierie frances i, determinandone un improvviso salto tecnologico, assolutamente inimma ginabil e fino a quasi pochi mesi p1ima. L 'e quilib,io fra offesa e difesa, fa ticosamente 1incorso dall a trans iz io ne, fu annienta to ed il canno ne div e nn e d a qu e l mom ento una terribil e macchina esotermica per demoli zio ni a di stanza. Ecco in dettag lio i punti qualificanti della rivolu z ionaria mutazione. Innar1zitutto il si stema di costruzione di artiglierie in doghe cerc hiate ve nne quasi completamente abbandonato, riservandolo ad una mode s tiss ima tipologia s pecializzata, a favore d ei pezzi monoblocchj genati in bronzo. Del res to i vantaggi offerti dal bronzo non s i limitavano alla minor temperatura di fu s ione ed alla pass ivaz ion e alla corros ion e, ma in s is tevano , prioritariame nte, s ull a sua maggiore elasticità alle sollecitazioni, dalla quale, in ultima analisi, scaturiva Ja caratteristica sonorità delle campa ne . Questa basilare peculiarità rese i cannoni di bronzo, anche nei secoli successivi, sempre superiori a quelli di fe1TO colato, più fragili e pe1ico]osi per c hi li adoperava . Conoscenze più precise sulla proprietà e sul corn prnta rn ento del metallo avevano po1tato a ll'indi vidu azio ne di leghe co n titoli più idonei al gravoso impiego, sebbe ne, ancora nella prima metà del XV seco lo, la tecnica del getto non si discostasse, sensib ilmente, d a quella adottata per le ca mpa ne.

Come accennato, il metallo liquido ,rndava a colmare un a matrice provvista di ·nocciolo·, originando una sorta di tubo c hiu so ad un a estre rnità. Tal e procedura provocava, inevitabilmente. una a ppro ssimata coassialit à fra le pareti interne ed esterne delle bocche da fuoco, oltre naturalmente ad una più o meno grave cavitazione dell'anima. Ne derivavano anomalie funzionali c he decurtavano vistosamente l'efficienza dell 'arma, minandone pericolosamente l a tenuta a l cimento dinamico e privandola di una precisa punteria. Qu est'ultimo difetto, c he nei casi più gravi rendeva inutilizzabile la bocca da fuoco , si orig inav a dal fatto c h e la mira veniva presa traguardando una copp i a di risalti posti sopra la vo l ata del cannone in corrispondenza della 'g ioia di bo cca' e di 'cu l atta', ri nfor zi applicati alle sezioni più tormentate. Ora esse ndo la superfici e esterna non coassial e a quella interna, la linea di mira divergeva da que ll a d ella traiettoria dei proietti. l trattatisti del XVI secolo c hi a ma va no qu ei tiri 'costieri · cioè di cos ta , di fianco, ovvero di var-ica ti rispetto alla direz ion e del pe zzo La disfunzione che in effetti affliggeva , sebbe ne in misura di ve rsa, tutti i cannoni d e ll' epoca, in fase di co llaudo, se di piccola entità, s i compensava alla meglio, ma l a punteria restava comunque compromessa.

A partire dalla seconda metà del XV secolo , s i iniziò a co lar·e il bron zo in forme prive di noccio lo. Preca u z ion e abituale consisteva nel posizionarle con la bocca verso l'alto , onde aumentare l a d ensità del m eta llo in 'culatta', scong iurando così il formarsi di cav ità in quella parte c ritica. I pezzi ottenuti erano quindi co mpl e tame nte pieni. per cui l 'an ima s i ricavava pe r trap ana- zione mediante apposite alesatrici idrauliche. Una conferma in merito si riscontra allorquando: " ... nel 1479, il 27 di ottobre, un tale Paolo Niccolini, del contado lucchese, espone ai Magnifici Signori Anziani e Gonfalonieri di Giustizia di Lucca: «corno lui intenda fare uno edificio da trapanare spingarde ad acqua in nel Comune di S. Quirico a Petronio». ''(2 1' I maggiorenti, apprezzata l'uti lità della macchina, perciò già ben nota, diedero parere favorevole e relativa licenza.

Di analoghe macchjne, peraltro, se ne rintracciano alquanti disegni nei codici di Leonardo, come pure nei taccuini di altri tecnici deU 'epoca. In breve iI proced imento ili venne canonico per tutti i tipi e calibri di aitiglierie.

Il cilindro generato dall'alesatrice, oltre ad una assoluta regolarità geometrica risultava anche perfettamente coassiale poichè, abitualmente, non era l ' utensile a ruotare ma l'intero pezzo , fungendo in tal modo da volano: estremamente semplice, quindi , controJJarne il centraggio con appositi traguardi fissi.

Grazie alla precisa lavorazione la tolleranza fra proietto ed anima poteva di conseguenza ridursi, favorendo e provocando, l'utilizzo di palle a loro volta geometricamente regolari, quali so lo una fusione in stam pi garantiva. Ed appunto, proprio in quegli anni comparvero i proietti s ferici di ferro, spesso temperato. L ' impiego generalizzato per tutti i calibri anticipa di poco la calata di Carlo VIII del 1494. Non a caso molti storici militari sono portati ad attribuirne J' invenzione agli artiglieri francesi, ma le palle di ferro non erano, anche in questo caso, una novità assoluta, pur apparendo tali per la rapidissima diffusione. Già da diversi decenni, infatti, i piccoli calibri le utilizzavano correntemente. In particolare: " le pal le di ferro e di piombo non erano ignote in Italia, e anzi alcuni dei primi cannoni usati nel Trecento avevano sparato proietti del genere, ma si era trattato sempre di palle piccole. I cannoni pesanti del Quattrocento s paravano tutti palle di pietra che venivano o trasportate insieme ai pezzi o apprestate sul luogo da tagliapictrc ... Le palle potevano essere del peso di 150 chi Ii di qui si capisce che il problema di mettere a punto un· artiglie1ia mobile ed efficiente non era affatto legato [soltanto J alla fabbricazione dei cannoni .. .'' 1 '

L·introduLione della palla di ferro ehbe immediate ripercussioni sulla loro produzione che superò. finalmente, l'anarchia vigente determinando l'esigenza della standardinazione dei calibri. premessa per approvvigionamenti abbondanti a costi unitari inferiori. Dal punto di vista balistico, grazie sempre alla palla ùi fen-o, la violenza del tiro subì un formidabile incremento. Che la portata dell'innovazione sia stata recepita nella sua piena conseguenzialità si evince facilmente datranalisi strutturale dei cannoni dell'epoca: quasi lutti ostentano un vistoso aumento differenziato degli spessori della canna in funzione delle accresciute sollecitazioni assumendo la configurazione rastremata che da allora non avrebbero più dismesso.

Ma il vero salto di qualità si manifestò negli investimenti ossidionali. nei quali la palla di fetTo sostituiva quelle gigantesche di pietra, eliminandone drasticamente le inadeguatezze. Prima fra tutte rinLrinseca fragilità di siffatti proietti che costringeva a limitare le caiiche di lancio per evitarne la frantumazione nell'anima. Il che non evitava, però, una jdentica frantumazione in minutissime schegge al momento dell'impatto, di scarsissimo danno per le murature rivestite di grossi conci di duro basalto o cli granito. Per rimediru·e all'esasperante deficienza gli espedienti non erano mancati, tra i quali quello di cerchiare le palle con anelli di fen-o, soluzione che in pratica serviva solo ad usurare maggiormente la bombarda ed al pari delle consimili si dimostrò di dubbia efficacia.

Va ancora osservato che la bassa densità delle palle di pietra, la loro necessariamente modesta velocità iniziale e l'assenza di rotazione. causavano delle traiettorie poco stabili, per cui bastava una leggera inclinazione delle superfici battute per deviarle decurtandone fortemente la già scarsa energia cinetica residua. Si risapeva, infatti, empi1icamentc da oltre un secolo che rimpatto era tanto più violento e devas;tante quanto più il suo angolo d'incidenza si avvicinava alla perpendicolare. Come pure, e sempre empiricamente. che ammetteva un valore limite al di -:otto del quale il proietto rimbalzava, e che la dure/La de1t·estradosso del bersaglio lo accentuavano. Tanto per esemplificare, per le moderne artiglierie contro il cakestn11.Lo è di circa 30° e di 40° contro le blindature metalliche, ovviamente con proietti ogivali ruotanti '''' . Con proietti sferici, relativamente lenti, i valori scendono ulteriormente: ciò ~piega il perchè. almeno ini7ialmentc. il rimbalzo o la deviazione delle palle di pietra rappresentasse la neutrali7Zazione per anlomasia degli impatti.

Con le palle di fen-o !' energie cinetiche residue registrarono un enorme incremento . Fu la conseguenza delradoLione di cariche di lancio polen;,.ìale. della maggiore accelerazione dei proietti per la supe1iore compressione consentita dalla riduzione del ·vento·. e della uipJjcata densità degli stessi. La concornitann1 delle tre concause fornì ri~ultati sbalorditivi. per cui in breve: '·...i fonditori di cannoni delle Fiandre e della Francia avevano ... scoperto che anni molto più piccole potevano anecare gli stessi danni di bombarde tre vo lte più grosse se so lo si fossero rese le canne ahbastanLa resi-:tenti da lanciare, invece di pietre, palle di ferro con fuoco di batteria... "' 2~> E cannoni molto più piccoli significavano più numerosi a pmità cli costo. più facili da Lrasportare e pit1 leggeri e rapidi da maneggiare. All'identico risultato contribuì un·altra innovazione divenuta. in quel medesimo scorcio storico, di uso universale nelle artiglie1ie: quella dei cosidetti ·orecchioni·.

Erano questi i supporti trasversali, gettati in s ieme al pezzo, che ne permettevano il bascol amen to, oltre ad un più razionale e solido incavalcarnento sull'affusto. La rotazione della canna nel piano \'erticale, definita comunemente ·aJzo', è quella c he, in pratica, com.ente di vaiiare la gittata del cannone, variando la c.; ua inclinazione: da quella minima con angolo di O°, a quella massima teorica con angolo di 45°. Fino ad allora, so ltanto inclinando l'intera imbracatura alla quale era avvinta la bombarda, si perseguiva il medesimo scopo, con quante difficoltà, lentezze ed imprecisioni, è però facilmente immaginabile,

Dal punto di vista geometrico gli orecchioni si innestarono in conispondenza del baricentro del pezzo, avendo cura di lasciare una leggera preponderanza in culatta, quanto bastasse per mantenerlo, anche con lievi inclinazioni dell'affusto. stabile su di esso, Una pari stabilità, ma in fase dinamica, venne conseguita abbassando l'asse degli orecchioni Lispetto a quello dell ' anima, rendendone quasi complanari le rispettive supe1fici. Si ingenerava, pertanto, al momento dello sparo una coppia di reazione, dal basso verso l'alto, che inchiodava la culatta contro la robusta traversa sottostante, più spesso un cuneo , rendendo il complesso affusto-cannone rigidamente solidale. Ne risultava, così, del tutto soppressa ogni deleteria oscillazione che altrimenti avrebbe inficiato la punteria. Al contempo si smorzava la corsa retrograda dell'arma, propriamente detta ' rinculo', scaricandosi una consistente :frazione dell 'energia cinetica di reazione verticalmente, tramite l'affusto, sul terreno.

Una magistrale esemplificazione di quel basilare perfezionamento può ravvisarsi negli splendidi cannoni gettati da Sigismondo Alberghetti, per la Repubblica di Venezia. I loro orecchioni sono perfettamente idonei allo scopo sia per consistenza meccanica sia per posizionatura, garantendo infatti la preponderanza di culatta e la stabilità di tiro.

Sempre nel quadro di radicale pe1fezionamento e potenziamento dell'artiglieria non sfuggì, alla vasta rielaborazione, anche la sua componente più spiccatamente attiva, ovvero gli esplosivi, e la maniera di confezionarli per l'impiego balistico. A partire daJla metà del XV secolo si produssero e si diffusero le polveri granulari che consentivano una deflagrazione ottimale con pressioni specifiche di gran lunga superiori alle precedenti, a parità di peso. Il fenomeneo dipendeva dalla: " più rapida combustione; dal momento che le superfici esterne dei grani potevano prendere fuoco nel medesimo istante, rendendo più potente la detonazione grazie al minor lempo di passaggio (e quindi minor dispersione) dei gas rapidamente combusti in accelerazione intorno alla palla e lungo la canna... " (25 >

Persino il dosaggio deJle componenti delle polveri divenne sufficientemente costante, e meno scriteriato, differenziandolo in funzione dello specifico impiego. in stretta correlazione con i calibri. Verso la fine del secolo si osserva una riduzione percentuale del carbone nelle miscele esplosive, ennesima conferma della aumentata energia potenziale impiegata, ed un accurato dimensionan1ento ponderale delle cariche di lancio in rapporto alla massa dei proietti. A dimostrare la rilevanza di quella che apparentemente sembrerebbe una ovvia disposizione, basti considerare che la maniera più spiccia fino ad allora utilizzata per aumentare la gittata consisteva nell'aumentare la quantità di polvere!

Senza dilungarci eccessivamente s ui metodi di caricamento e sulle loro procedure, c he videro comunque una ragguardevole semplificazione ed accelerazione, va ricordata soltanto la comparsa delle cariche di lancio standardizzate e preconfezionate. Esse furono costituite da appositi sacchetti di lela, riempiti sempre con lo stesso quantitativo di polvere, detti ' scrutocci'. Al momento dell'impiego si incidevano, onde esporre la polvere, e si inserivano nell ' anima, spingendoli con una apposita asta, detta ' calcatoio', fino alla sua estremità in corris pomlenza del focone, facendovi quindi aderire la palla. Dall'esterno si provvedeva a colmare il focone con del polverino, e suo tramite con un attizzatoio si comunicava l'accensione alla caiica. Le cadenze di tiro conseguite con simili accorgimenti furono impressionanti per l'epoca. Se nel 1453 le grandi bombarde impiegate contro Costantinopoli, sostanzialmente simili a quelle in uso in Italia ancora nel 1490, non 1iuscivano a tirare più di due o tre colpi al giorno, i cannoni reali zzati secondo gli accennati canoni sostenevano la terrificante cadenza di due o tre colpi l'ora.

Non ultimi tra i pertezionamenti apportati alle artiglierie, allo scadere del Medioevo, quelli inerenti ad un loro più razionale affustamento , ravvi s andosi giustamente in esso sia la rapida mobilità dei pezzi sia l' ottimale messa in postazione. Dal!' epoca della comparsa sino ad allora. infatti, il loro tra sferimento e la loro movimentazione in batteria erano stati attuati <.:aricandoli .,cmplicernente su delle normali carrette. posizionandoli alla men peggio. una volta giunti a destina,ione, con ceppi, cunei e funi su rudimentali culle di legno. Con l'introduzione dell'affusto a ruote per bocche da fuoco dotate di orecchioni, schematicamente composto di due robuste travi, assoni, distanz.iate da traverse, ca/mtrelli. quanto bastava per accoglierli. oltre a risolversi il problema esasperante del trasporto, lento, logorante cd onerosissimo. si disponeva, in qualsiasi istante, del supporto ideale per l'immediato impiego delr artiglieria. 11 passaggio dalla configurazione cli traino e quella di batteria richiedeva poc.:hissimi minuti. il tempo di caricare i peni. attingendo le munizioni dai rispettivi cassoni!

178 Aornbarda a doghe di ferro su affu~to statico del XV scc:.

Quanto condizionante fosse lo spostamento dei cannoni lo si può agevolmente dedurre considerando che persino dopo l'adozione degli affuc;ti a ruote, nel 1554, gli Spagnoli per metterne in movimento i 50 di cui di- spongono nei Paesi Bassi, hanno bisogno di: " ... un «piccolo treno» di 473 cavalli per i soli ca\alieri. più un «gran treno» di I074 cavalli, più 575 carri con quattro cavalli ciascuno, ossia in tutto 4777 cavalli, il che fa 90 cavalli per ogni peno .. .'°"'. Se questa risulta la situazione per una singola bocca pesante circa IO quintali e perfettamente affustata. è facile immaginare quale fosse stata per pe, ,i di 50 quintali senza alcun tipo cli supporlo: comprensibile l'impossibilità d'impiegare i cavalli per i traini. Nel 1472, il parco dell'artiglieria milanese. forte di appena 16 pevi. richiedeva per spostarsi 227 carri e 522 pariglie di buoi! Il bue, infatti: " era l'animale da traino a cui si ricorreva comunemente in Italia anche se allora l'esercito pontificio faceva un uso notevole di bufali per muovere le proprie artiglierie. Sia il bue sia il bufalo erano lenti, soprattutto se dovevano procedere \U ~trade malagevo1i. Molti dei peni più grossi di artiglieria per essere trasportati dovevano essere prima smontali e il tra<,porto delle gro.,sc palle di pietra poneva quasi altrettanti problemi quanto lo spostamento dei cannoni che le dovevano sparare .. .! pesantissimi cannoni di grosso calibro richiedevano settimane di lavoro per essere messi in posizione di tiro e per essere pronti al tiro "' ''> E non era ancora finita, poichè. anche dopo la messa in posizione. modificare la punteria o, addirittura, cambiare bersaglio, costituiva per i serventi di quelle artiglierie una fatica improba e spossante. Quanto appena e<.,posto spiega a perfezione perchè nel 1499 i Veneziani, nel corso dei combattimenti in Romagna spesso: " ... dovevano rompere i cortaldi in peai o ...deciderc se «li ca1111011i hisoRnava mmpere... per farli cond11re con mino spe:w ». " •~K>

Tornando all'affustamento dei pezzi. l'incavalcamento avveniva poggiando i loro orecchioni sugli appositi alloggiamenti ferrati, detti ·orecchioniere', ricavati sulla sommità degli assoni. Per la preponderanLa del peso in culatta, con l'affusto su te1Teno discretamente piano, il cannone si adagiava subito con una linea di tiro appros<;imatamente orizzontale. tale, comunque, da richiedere, per entrare in a?ione, soltanto una minima correzione di alzo. Le ruote. dai mas- sicci e tozzi raggi. pesantemente cerchiate di ferro e molto più larghe di yuelle dei normali carriaggi. espediente indispensabile per attenuarne la pressione specifica sul terreno, venivano ulteriormente rinforzate con handelle chiodate in corrispondenza di ogni incastro. Il loro profilo era conico. per l'esattezza a campana, con il vertice costituito dalla faccia interna del mozzo aderente all'assone. La strana configurazione dipendeva dall'esigenza di ampliare la distanza tra i cerchioni in modo di aumentare la stabilità laterale del cannone affustato. che per la posizionatura sommitalc del baricentro. risultava estremamente critica. Senza tale precauzione, un'inclinazione su di un fianco di una ventina di gradi sarebbe bastata a provocarne il rovesciamento. Normalmente l'affusto era dotato di due ruote per i calibri piccoli e medi, e di quattro per quelli maggiori: in questo caso però le due supplementari costituivano un avantreno che si aggiungeva soltanto durante gli spostamenti.

L'introduzione degli orecchioni. come più in generale la trapanazione dell'anima, la spessorazione differenziata della volata. nonchè la palla di ferro e gli affusti. oltre ad eliminare i relativi peggiori difetti delle arcaiche artiglierie. erano prodromici. in ultima analisi, alraumento della carica di lancio. La manifestazione più eclatante di tale evoluzione fu l'inusitata capacità demolitrice attinta dai cannoni d'assedio, contro la cui violenza non esisteva ormai alcuna contromisura difensiva. A quel punto le bombarde del Martini, cli appena pochi anni prima, come osservato, apparivano anacronistiche. Infatti: " ... bisogna notare che quando il Martini scriveva, era cambiato il sistema delle artiglierie non solo per le forme, ma eziandio per le grossezze delle parti dei diversi pezzi ... "' ""'. Per cui, ad onta della sua indiscussa genialità e competenza: ·•... i cannoni di Francesco di Giorgio sono ancora molto simili a quelli del Taccola (morto prima del 1458). Si riesce a mala pena ad avere sentore. in qualche abhozzo, della trasformazione che si sta producendo. Lo stesso Leonardo non segnerà alcun progresso degno cli nota. Pare che in questo campo gli italiani manifestino un certo grado cli ruTetratezza: quest'arretratezza spiega, in una certa maniera, il rapido successo degli eserciti francesi che invasero l'Italia negli ultimi anni del Quattrocento. ''110 >

I cannoni di Carlo VIII

L'insieme dei perfezionamenti descritti si ritrova nelle artiglierie di Carlo VIII che, come presumibile, al loro primo apparire nel 1494, sollevarono la generale costernazione. Scriveva, infatti, il Guicciardini che:

·· le bombarde che per tutta ltalia s'adoperavano nelle oppugnazioni delle terre. erano grossissime in modo che per la macchina grande e per la imperizia degli uomini c allitudine mala degli instrumenti, tardissimamente e con grandissima difficollà si conducevano. piantavasi alle terre c:o· medesimi impedimenti, e piantate, era dall"uno colpo ali" altro tanto intervallo che con piccolis~imo frutto a comparazione di quello che seguitè> da poi, molto tempo consumavano; donde i difensori de' luoghi oppugnati avevano spazio di potere 01iosa111ente fare di dentro ripari e fortificat.ioni Ma i frarJLesi. fabbricando pezzi molto più espediti nè dalJ'altro che di bronLo, i quali chiamavano cannoni, e usando palle di feno, dove prima di pietra e senza comparazione più grosse e di peso gravissimo s'usavano. gli conducevano in sulle carrcllc. tirate non da buoi, come in Italia si costumava. rna da cavalli. con agilità tale d'uomini e di instrumenti deputati a questo s ervigio che quasi sempre al pari degli eserciti camminavano. e condotte alle muraglie erano piantate con prcstea.a incredibile: e interponendosi dall'un colpo all'altro piccolissimo intervallo di tempo, ~ì spe<;so e con impeto \Ì veemente percotevano che quello che prima in Italia fare in molti giorni si solcva, eia loro in pochi'>sirne ore si faceva: usando ancora questo piL1 tosto cliaholico che umano instrumento non meno alla campagna che a c ombattere le terre. eco· mecle'>imi cannoni e con altri peui minori. rna fabbricati e condotti. secondo la loro propor1ionc. con la medesima clestreaa e celerità .,,

L'epoca della generica bombarda era a quel punto terminata, mentre iniziava quella del cannone, subito diversificatosi in relazione agli ambiti d'impiego. Le palle cli ferro imponendo la razionalizzazione e la limitazione dei calibri, avevano favorito tale specializzazione. Nell'arco di una cinquantina di anni tutte le artiglieri e furono suddivise dai trattatisti in tre ampi generi. In realrà. però, la stessa suddivisione. sia pure in maniera meno rigida e convenziona le, se mbra già in auge ver o la fine del XV secolo, quando ancora si usava de ignare i pezzi con no mi di a nim a li , pe r lo più uccellì rapaci o serpe nti vele no si, per meglio sotto linearne la rapidi ss ima letalità.

Nel primo ge nere ricordato dalla trattalistica coeva, co me delle 'c o lubrine ' rientravano Lutti i ca nn o ni a grande rapporto lra la lunghezza dell'a nim a ed il diametro d el la pall a, modulo dimensionale del pezzo, impropri ame nte d efi nito ca libro. Generalizzatosi l 'impiego d ei proietti sfe rici di ferro, infatti, il calibro, es presso in libbre, mediamente g. 336 cadauna, corrispon deva al diam etro della palla ave nt e quel peso.

Appartenevano a l primo genere anche i cannoni d i piccolo cal ibro , quale il 'sagro' da 8, il 'mczzosagro' da 4, il 'falcone' da 6, il 'fa lconeuo· da 3. lo 's me rig li o' da 2 cd ultimo il 'moschetto' da I , nome che de s ig na va la più minu sco la artiglieria affus tala 1 21 • Bisog na agg iun gere c he questi pezzi vantava no un rapporto lunghezza/diametro dell'anima uperiore a quello delle colubrine propriame nt e dett e, di calibro compreso fra le 24 e le 50 libbre. e s pessori di bronzo s urdimen ionati. li loro pc o può essere st im ato, sta ndo agli ese mplari perv en ulici , intorno a ll e 220-250 vo lte quello della palla. che saliva a 380-450 per qu e lli prolun gati e rinforzati, altri menti de tti 'con ricchezza di m e ta llo '.

Nel secondo genere erano so lit ame nt e inclusi i cannoni d'assedio e da fortezza, di ca libro cioè fra le 50 e le 120 li bbre, artig li eri e specia li zzate nell e demo li z ioni di mura, o ne ll a d ifesa delle piazzefort i, in og ni caso do tate di minore mobilità.

Infin e ne l terzo genere s' in cludevano i cos idd e tti ca nnoni petrie ri cd i m ortai. D ei primi , e de l loro ru o lo su ll e fort i ficazioni, abbiamo già fo rnito una esa urient e de scr iz ione. D ei secondi è s uffici e nt e rico rd a r e che ce nsi tevano in pezz i ad anima corti ss ima, di e nor me cali bro, capac i di scagl ia re, co n pa r abole fortemente arcuate palle, giga nte sc he e, dall a seco nd a me tà del XVI sec olo. a nc he esp los i ve'" : val idi ss imi, quindi , negli assed i per il bombardame nto al di là deJJe mura.

! limiti della transizione

Ogni innovazione tecnologica, dopo la sua introduzione, subisce un continuo sviluppo: in ciò ricorda la crescita degli organismi viventi. Le artiglierie, però, per circa un secolo e mezzo più che divenire grandi erano soltanto divenute grosse, lasciando così presumere che, con un identico processo di surdimensionamento, anche le fortificazioni avrebbero potuto continuare a fronteggiarle. Pertanto come l'incremento delle potenzialità distruttive delle bombarde si perseguì aumentandone, soprattutto, il calibro della palla e la relati va carica di lancio così la resistenza delle mura si maggiorò aumentandone lo spessore e I' inclinazione. In definitiva, come accennato, nessuna novità concettuale riducendosi la vicenda ad una rincorsa tra due esagerazioni. Non mancarono in quell'ampio contesto ingegni più acuti che tentarono di escogitare, sia pur confusamente e contradditoriamente, soluzioni meno ovvie, intuendo che quell'infantile confronto non poteva protrarsi all'infinito, in specie nelle fortificazioni, non fosse altro che per gli oneri rapidamente crescenti, e per la durata, rapidamente decrescente.

Non a caso l'architettura militare di lransizione appare caricaturale, incapace di infrangere gli schematismi arcaici e di crearne di sostitutivi altrettanto validi, pur tradendo, in alcuni significativi dettagli, una percezione della immjnente risoluzione tecnica. Tra questi, in particolare ed abbastanza chiaramente, la tendenza alla s istematica abolizione delle merlature e della difesa piombante, o comunque ravvicinata; lo spostamento verso il basso, radente il terreno, dell'interdizione attiva; la terrapienatura dei volumi supportan ti le art iglierie; l'unificazione della quota degli spalti, indispensabile per la loro movimentazione spedita, e, soprattutto, l'adozione di perimetri ad andamento spezzato per favorire il reciproco appoggio delle singole sezioni. Si trattava, in ogni caso e senza dubbio, di adeguamenti imputabili alle artiglierie ma, paradossalmente, non del nemico ma proprie, ovvero non per ridurre la vulnerabi lità della fortificazione ma per incrementarne il rispetto, non per accrescerne la prestazione passiva ma quella attiva. Jl che contribuì a prolungare la sopravvivenza di concezioru strutturali altrimenti inadeguate.

Curiosamente, infatti, il potenziamento delle bocche da fuoco, perseguito per demolire le mura finì per rivelarsi ancora più conveniente per difenderle. Per una serie di ottime ragioni, ben presto: " .. .l'artiglieria servì forse di più alla difesa che ali' assalto delle città e delle fortezze. I cannoni collocati in postazioni stabili sulle mura di una città potevano essere riforniti con maggiore speditezza ed essere usati più rapidamente e con maggiore etficacia dei cannoni collocati dagli assedianti in postazioni provvisorie, dopo essere stati trascinati sul posto da località lontane molti chilometri. Per questi motivi ... l'arte delle fortificazioni, pur dovendo rispondere alla nuova minaccia dell' artiglieria campale, conobbe un processo innovativo assai lento " <34 > _

Il parere è condiviso daJJa maggioranza degli studiosi. Per essi le conseguenze più rimarchevoli prodotte dall'avvento dell'artiglieria sulle fortificazioni vanno ricercate non tanto nelle loro reiterate modifiche per sostenerne l'offesa, senza dubbio vistose, quanto piuttosto in quelle necessarie per consentirne il razionale impianto in funzione difensiva, culminate proprio nell'andamento spezzato delle mura e nella loro te1Tapienatura. Quanto inadeguato risultasse per l' armamento balistico la pedissequa riproposizione di un circuito tradizionale lo si può desumere da un rapporto, inoltrato nel 1496, dal governatore veneziano della città di Otranto, la cui cerchia era stata ricostruita appena pochi anni prima. L'ufficiale, infalti, giustificava l'abnorme esigenza di artiglierie, precisando che:

" anchor non se di manda per tanto quanto è al bisogno, perchè questa ter ra vuolsi più de mezzo miglio [perimetro della cerchia]. et va per la mazor parte al tondo LcircolareJ et taliter che le co1tine non se puoi soccorrere l'una cum l'altra però bi s ogna grande offes a per ogni parte .. .'')~•.

Eppure fra i primi propugnatori del perimetro difensivo a salienti e rientranti spicca, Francesco di Giorgio Martini, non del tutto estraneo alla rifortificazione della disgraziata città, implicita conferma che l'ecces-

!->i\O onere dei nuu, i criteri fini\ a, spesso, per imporne la rinuncia . Del resto, nonostame le sue sensalissime intui.lioni. non riesce a liberarsi dei coslosissimi, ed om1ai inutili torrioni, che colloca ai \ertici dei salienti. Così dal suo trattato al riguardo:

··10 pe1 me. quanto c.:on,ideran: ho potuto in nelle difc,e delle homhardt:. a,,i diffo.:il mi pare da es,e poteN d1tendare. ~1a de' più salullkri modi che \ eder c1 posi-.u, ,ie da fan: g.1w,:,e cd amprie mura con alte e dt:pend.:nti scarpe, tonde. arntc. facciale. e ,rni ,urati torroni E nu,,,ime in :,ullt: fronti e Mremità degli angoli. aci:iò che le 11pp<Ne mura da e-..-.1 d1te,e e cuperte ,,eno. I:: in nella ,ommita <l .:,,i i ~opra pmti cahc.:1 colle loro d1tese lii coronamento a :,porgerel Po~,am,i .farc alcune ocn1ltc Jifc!,C in ne ll e loro ba~,c11e o,ern 111fra gh angoli. m:c.:iò che due facce d1klllkrc po,-.,no :· sia dinamica. contro le sollecila11oni impresse dalle bombarde. Pertanto progressivamente le mura e le torri si spessorarono. munendole di grandi scarpe. e si riem pirono, in parte o completamente, di terra per consentire l'istallaLionc sulla loro sommità delle bocche da fuoco. ln falli: " essendo, da principio. limitato l'uso delle artiglierie nella d1 fesa. non erano esse piantate che sulla piattaforma delle torri Però in hancia dal 1400 almeno eravi usann1 di terrapienare un trailo della cortina per piantarvi le artiglierie: Mct7 erane munita nel 1444. mentre dello slc..,,o secolo furono. fra le altre, fornite di terrapieno le citti1 di Bologna (ove fu fatto largo metri .5 ). Ca..,almaggiore, Piacen1a e I' antica cittadella o· Anversa. Fccensi nel ... egu1to. miglior<1ndosi le ar11glie1ie, terrapieni più ampi,. capaci di sostenerle ", ~ 1 •

In pratica si incominciò ad intervenire sulle fortific,11ioni giù e..,i..,tenti abba..,sandonc innai11itu1to l'a1te11a delle torn e delle Cl>rtine. La sagoma tanto elevata tipica dell'an.:hitellura mililare del X tl -X lrI secolo si trasforma\'a in un. fin troppo. facile bcr..,aglio per le bombarde. O,, iamentc la 'cimatura· comportava anche delle rinuncie, non sempre affrontate a cuor leggero. Jnfatti: ··... se la difesa si abbassa divema meno vulnerabile ... contt:mporaneamcnte. diminuisce il ,uo dominio e il raggto d1 avvistamento e quello della Mione utile con la quale tener lonlano l'approccio e il lavoro di mina nemico. Se la dilesa invece si al.la. il 111:mico, da posi,ioni ben più lontane. gode l'offerta di un maggior bersaglio e piu comodamente. e meno penrnlosamentc, lo può colpire ... "•!'.

Pre, alse. logicamente. l'c-.igenLa di ridurre la \ ulnuabilnà. e rapidamente tulle le strutture si ahha'>:-iarono, mutando vis tosamente l'originaria connow1ione. Ma quel sofferlO rimedio era di tipo poten1iale. o, \'ero finalizzato a ,opprimere una e\ idcnte debolc,La, mentre se ne imponevano e.li più consistenti d1 tipo concreto, ovvero finalizzati ad incre111entare la resi'>tenza passi, a delle opere, sia statica, contro le ol'le'>e.

Tale e:-ipcdienle fu, in bre\e volgere di tempo. ""tematicamente ri enato alle ton i che per il costante incremento di diametro cd abbas:-iamento c.lell'altc1.la, nel frallcmpo. erano divenute dei torrioni. Per cui :-iehbene: .... nei ~ecolr >..IV e XV c:ont111uo..,,i a far uso frequente delle torri rotonde furono abbassate al livello delle mura, ed aumenlato sino a 20 metri il diametro loro. affinchè la piattaforma fosse capace dcli' artiglieria.

Però i volti sostenenl i la piallaforma non potevano a lungo re'-)i-;tere alle scosse prodotte dallo sparo de ll e bombarde .. ,<così nel 1440 una grossa bombarda piantata sulla torre maestra di Peschiera al decimo colpo intronolla per modo che a l colpo seguen te la sco!->sa fella cadere in fascio. Videsi allora che per 1iparare tale inconveniente era necessario un piantato di terra, e pcrchè tcrrapienavansi le cortine onde fossero più solide, così viepp iù abbisognava nelle torri per questa e per la ragione anzidetta. ed ancora perchè il tarle tutte dt muraglia sarèbbc stala spc..,a intollerabile.» Fra i primi torrioni terrapienaLi citansi quello di Rimini nel 1437, e di Castel Numo di Napoli nel 1450 ... "

L. abbas ... amc11to e la scarpalura rendevano del lutto impraticabile il tiro piombanle. sen1a conlarc che l'ap paralO a !->porgere ad L'S'>O de..,tinato. ,i conferma, a troppo fragile ai colpi di bombarda trasformandosi in una micidiale fonte di schegge. In pochi decenni fu drasticamente ridimensionato, riducendone gli sporti ed incrementando la solidità delle sovrastanti merlature. Nonostante ciò, le: " .. .innovazioni che precedettero il secolo XV sono di lieve importanza e poco note ... Cercossi di aumentare la resistenza del muro col dargli esternamente una scarpa assai pronunciata (da 1/4 al 1/5) ... Continuavasi dapprima a fare i parapelti merlati ad imitazione degli antichi: ma poichè per la violenza delrartiglieria, le schegge staccatene dai merli maggior danno cagionavano ai difensori che non i proietti stessi, convenne aumentare la grossezza dei merli, e nel seguito costruire i parapetti smerlati. con banchina per r uso delle armi della difesa .. :·,.m,.

L'abolizione della difesa piombante produceva, però. dinanzi al piede delle mura una fascia pericolo:::.amente defilata, non potendo le bombarde tirare in depressione , per cui la sua interdizione dipendeva dai pochi cannoncini petrieri disponibili. assolutamente insufficienti per J' intero perimetro. Indispensabile , perciò. portare in basso i grossi calibri in modo da poter tirare radente il terreno. La soluzione, tuttavia, non fu di facile attuazione, proprio per l'enorme spessore che a tale livello avevano raggiunto ormai le mura munite di scarpa, non di rado di una decina di metri. lmpossibik praticarvi una feritoia. simile ad una galleria e, necessariamente, priva di strombatura. Unico rimedio ricavare proprio nella massa muraria degli appositi locali destinali ad ospitare i pezzi, limitando così la sezione attraversata dalla troniera a poco più di un metro: le casamatte.

L'accorgimento. però, se risolveva un problema ne creava immediatamente un secondo: occorreva escogitare un sistema di ventilaLione delle casarnatte per evacuare rapidamente i gas di sparo che altrimenti le avrebbero saturate con pochi tiri. Dopo alcuni tentativi di scarso successo ci si avvalse, probabilmente, dell 'esperienza maturata nei domestici forni per il pane. Sul cielo della troniera si praticò una s olla di cappa portandola a sfiatare, con una lunga canna fumaria nello spessore delle mura. sulla copertura dell'opera. Un ottimo esem- pio di siffaui 'sfiati' è ravvisabile nella rocca di Ostia , forse il primo sicuramente funzionante.

Utilizzando le bombarde sempre palle di pietra , per neutralizzarne gli impatti, oltre alla scarpatura, si ricorse alla corazLatura degli estradossi delle fortificazioni con grossi conci di roccia durissima La soluzione, peraltro costisissima. si confennò, per nn discreto arco di tempo , senza dubbio efficace. Le palle tirate al di sopra della scarpa si fracassavano su quella blindatura lapidea , disperdendosi in una rosata di schegge, innuocue per le mura ma micidiali per chiunque si fosse sporto dalle stesse. Il cordone a profilo torico, detto ·reclondone', che si interpose, da un certo periodo in poi. tra la base inclinata e l'alzato verticale di ogni fortificazione, se rviva appunto ad impedire c he le suddette schegge, od anche i frammenli della mitraglia del fiancheggiamento a tiro incrociato. falcidiassero i difensori raggiungendoli attraverso le buche delle piombatoie. Non di rado di siffatti cordoni ne vennero impiantati addirittura due:, con il secoudo appena al di sotto dell'apparato a sporgere.

Ad ogni buon conto, per ridurre al massimo le superfici \ erticali più vulnerabili e pericolose, la scarpa prese a salire, mentre i coronamenti assunsero il tipico profilo sfuggente destinato a permanere nei secoli successivi. Per la :::.tessa ragione i torrioni furono realizzati esclusivamente su pianta circolare. o ricondotti comunque ad essa. Ricorda va. infatti. Francesco cli Giorgio nei suoi trattati che:

··... la ro1undi1à dellt: torri ... io confirmo cs:-.ert: utile e necessaria, pcrchè pili re:,1ste e menu ricevt: le percosse dt:11<1 bombarda ..... ,

E quando anche tale rimedio si dimostrò insufficiente si escogitò un ulteriore potenziamento passivo. In pratica: " ... come già nell'ultimo Medioevo si era procurata alle torri e alle cortine la scar patura delle mura verticali. con camiciature inclinate aggiunte contro la base del muro per evitare il gioco delle mine e l'approccio delle torri d'as sa lto , si ritenne utile duran- te la trans1Z1one generalizzare l'analogo concetto di ·camiciatura' bassa distanziata e parallela al muro con caratteristiche di rinforzo contro tiro, riempendo una strisc ia del fosso e contenendo il rinten-o con un secondo argine in muratura. Nel basso antemurale così ottenuto a spese dell'ampiezza del fossato, si riunivano in tal modo parecchi vantaggi, perchè a una più valida sede guadagnata alla difesa leggera vicina e radente del fosso e della controscarpa, si aggiungeva un cuscinetto di ammortamento e di difesa del muro. Tanto da meritare facile adozione in quasi tutte le fortificazioni europee, col nome di 'falsabraca' ... " 142>

In co nc lusione nell'architettura di transizione gli interventi principali, e le caratteristiche salienti da intendersi soprattutto come tendenze, possono schematicamente così rubricarsi: l3 Abbassamento delle cortine e delle toITi, preferibilmente non assoluto, perchè la fo11ificazione doveva pur sempre conservare una sua emergenza per controllare la zona ad essa circostante e garantirsi dalle faci l i scalate. Pertanto lo si ottenne incrementando la profondità dei fossati. Il dislivello , in sostanza, restò di poco alterato, pur esponendosi l'intera opera per un a minore s upe rficie fuori terra.

2a Aumento consistente degli spessori delle cortine e delle ton-i, che divennero, progressivamente, i massicci torrioni e le mastodontiche muraglie delle stru tture pervenuteci. L a concezione passiva restò però vi ncolata al contrasto netto ag l i impatti dei proietti non metallici, per cui si rivestirono i loro estradossi con grossi e spess i co n ci di durissima pietra, fungenti da corazze fracassapalle .

3 a Sostituzione a parit à di moda lit à d'impiego de ll e antiche artigl ie ri e neurobalistiche con quelle a polvere, postandole perciò sempre su ll a sommità delle strutture, in particolare, sulla copertura dei torrioni, detta piazza d'armi. La sol u zione si rivelò dal punto di vis t a balistico est remamente infelice e richiese, inoltre, un rafforzamento de ll e murature per sopportare le crescenti sollecitazioni. Verso la conclusione della transizione le artiglierie si piazzarono nelle basse casamatte , recuperando una maggiore efficienza. sa Accrescimento e perfezionamento delle opere antemurali, quali fossati e scarpature, che in maniera identica alla rotondità dei torrioni ed ai profili dei merloni, favori vano la deviazione dei proietti.

4a Sostituzione della fragilissima merlatura , con robusti merloni dal profilo trasversale sfuggente , propriamente detto 'balistico ', per agevolare la deviazione dei proietti.

Tenendo conto che i parametri dimensionali dell'architettura di tran s izione clipesero dalla valutazione dei progettisti, certamente condizionata, ma soggettiva, è possibile individuare, nel suo arco esi s tenziale, più che dei valori limite ottimali delle significative tendenze i cui estremi corrispondono ai criteri più avanzati. I n particolare:

1° - Rapporto altezza-diametro dei torrioni

Costituisce forse la più ev id en te connotazione della trans izione, anche perchè è re l ativa alle componenti strutturali pervenuteci in maggior numero. Per il M artini il suo valore ottimale, per eleme n ti non isolati, si attestava intorno ad 1-0.8. Tende comunque a diminuire sensibilmente col trascorrere del XV seco lo.

Nelle fortificazioni del XV secolo il diametro dei torrioni appare relazionato a lla loro espos izione. In pratica un torrione posto al ve11ice di un angolo ottuso ostenta un diametro minore di uno posto a l vertice di un angolo acu to. La ragione deve attri bui rsi, oltre aJla superiore vu l nerabi lit à del secondo, a lla necessità cli postare su ll a sua piazza un maggio r numero di can n oni indispensabili per battere il settore di teITeno antistante più ampio.

Ovviamente tale esigenza divenne basilare soltanto dopo l'adozione massiccia dell'artiglieria in difesa, per cui il valore tende a diminuire lentamente.

3° -Rapp o rto vuoto-pi e no n ei torrion i

Come delineato, per sostenere le sollecitazioni delle artiglierie postate sulla piazza si costruirono dapprima torrioni con le volte rinforzate, poi, crescendo a dismisura il loro diametro, interamente pieni, fatti salvi i vani per le casamatte e per le scale a chiocciola. Il valore pertanto tende a ridursi fin quasi a zero.

4° -Rappo rto larg hezza-a ltezza d ell a cortina

Al pari di quanto rilevato per i torrioni, anche nelle cortine si registra una netta tendenza alla diminuzione.

5 ° -Rap po rto a ltezza sca rpa -cortina

Con il trascorrere dei decenni, incrementandosi lo spessore della scarpa per evitare che assumesse angoli troppo acuti, facilitando perciò la scalata, se ne aumentò l'altezza lasciandone praticamente immutata l'inclinazione. Gradatamente, pertanto, la scarpa s'innalza fino ad estendersi, in alcuni casi quali le torri cost iere vicereali napoletane, all'intera struttura Il rapporto quindi tende a decrescere lentamente.

6° -Rappo rto alt e zza st rutture-em e rgenz a dal terre no

Scriveva il Martini al riguardo, precisando un criterio ormai già d'impiego generalizzato : " ... le mura del c ir cuito siano alte per sè, ma in «basso loco situate» dal che ch i ara apparisce l'idea di sacrificare il comando sulla campagna con tanta cura cercato dagli antichi, per so tt rarre una maggior parte di muro ai tiri diretti dell' artig l ieri a; e mentre eglì assegna alle torr i ed al recinto 16 in 20 metri d'altezza, dà al fosso 13 a 16 metri di profondità ( e larghezza doppia), prescrivendo inoltre lo spalto per viemeglio ricoprire le murature. " '43 > [I che farebbe assegnare, in fase già matura, al rapporto il valore 4-5: la tendenza sarà di aumentare ancora, sebbene di poco.

7 ° - Ra p por to fronte corti ne -fro nte co m p less ivo

Nella fo11ificazione antecedente alle arrni da fuoco tale rapporto oscillava mediamente, nelle migliori realizzazioni, intorno al valore di 0.5. Nella transizione , per la maggiore gittata delle artiglierie, se ne osserva un significativo incremento con la tendenza ad aumentare ulteriormente , sebbene di poco.

8 ° -Rap p o rto s up erficie d efila ta -b attu ta

Esaminando i castelli federiciani se ne è evidenziato il costante impegno teso ad eliminare, entro il raggio d'azione delle balestre, qualsiasi settore defilato. In rarissimi casi l'intento fu conseguito quasi completamente, mentre in tutti i rimanenti il valore si attesta intorno a 0.15-0.1. Nella transi z ione la tendenza è verso una ulteriore diminuzione: solo con l'avvento del bastione toccherà sistematicamente lo zero.

Oltre ai precedenti parametri, gli studiosi del settore ne hanno individuati altri ancora, senza dubbio emblematici ed indicati vi dell'evolversi della transizione. Tra questi, in particolare :

"Uso di artigli eri e in cas amatta ... nelle rocche della transizione si ricorre in larga , quasi preponderante, misura all'uso di artig l ierie in casamatta.. .ln aumento.

Uso d el tiro rad ente .. .in tutte le rocche più evolute si pongono le bocche da fuoco, per loro natura a tiro teso , in posizioni ta l i da spazzare tangenzialmente le posizioni di un eventuale attaccante, così da aumentare enormemente la probabilità di colpi a segno .ln aumento

Quota unica del cammino di ronda. Realizzata al fine di facilitare lo spostame n to delle forze difensive uomini e pezzi d'artiglieria nel punto di volta in volta più minacciato " ' 111 •

L'ingegnere della transizione

Vagliando le aitiglierie e le fortificazioni della seconda metà del '400, sono stati citati numerosi brani dei trattati di Francesco di Giorgio Martini, non a caso definito il 'Leonardo senese' per il suo ampio coinvolgimento nella produzione artistica e scientifica dell'epoca. La celebrità. tuttavia, gli derivò dal ruolo sostenuto nell'architettura militare di transizione, di cui, universalmente, è ritenuto il massimo esponente. Di lui, infatti, il Vasari scriveva che: " nell'architettura ebbe grandissimo giudizio, e mostrò di molto ben intendere quella professione ... Fu Francesco grandissimo ingegnere, e massimamente di macchine da guerra ... merita che gli sia dovuto grande obbligo, per aver facilitato le cose dcli' architettura e recatole più giovamento che alcun altro avesse fatto da Filippo di ser Brunellesco insino al tempo suo " H 5>

Proprio per tanta poliedrica e dimostrata competenza, la sua parabola professionale, dipanatasi nell 'ultimo scorcio del XV secolo, coincide dapprima con l'affermarsi dei più avanzati criteri della transizione, quindi con l'intuizione preoccupata della loro insufficienza di fronte all'incombente rivoluzione tecnologica ed, infine, con la scoraggiata delusione conseguente al concretizzarsi della stessa. Attraverso le sue costruzioni, ed i suoi trattati, siamo perciò in grado di ripercorrere quel cruciale momento storico che concluse il Medioevo.

Il grande architetto ebbe i natali a Siena. nel settembre del 1439, da modesti genitori, percorrendo, molto probabilmente, le tipiche fasi dell'apprendistato presso qualche maestro del suo tempo: non caso, intorno al 1464, i più antichi riferimenti lo qualificano 'pittore'. Sposatosi nel '67 e rimasto vedovo due anni più tardi, lo si ritrova: " tra il '69 e il '70, addetto alle fonti di Siena e attivo in lavori di sbarramento idrico ... nel novembre del 1477 ... era già a Urbino ... al soldo di Federico di Montefeltro ... " i-*<,> Al ' 79 risalgono i primi contatti con la dinastia aragonese, inerenti però ad una prestazione artistica: si suppone, tuttavia, che il re di Napoli già si fosse avvalso della sua collaborazione tecnica in occasione della guerra in Toscana, a partire dal 1478 e per i due anni successivi. Di certo al termine del presunto rapporto lo rilroviamo al servizio di Siena, occupato in fabbriche militari quali i casseri di Sesta, di Cen-eto e di Casole. Lavorò, quindi , ancora ad Urbino , finchè, nell'87, il nuovo governo capeggiato da Pandolfo Petrucci, si prodigò per riaverlo stabilmente a Siena, dove a partire dalla metà de11'89 si trasferì definitivamente.

Ma, paradossalmente, proprio da allora inizia la sua vicenda professionale più movimentata e frenetica in tutt'Italia e nel regno di Napoli in particolare. È ormai un architetto militare talmente apprezzato e rinomato che Virginio Orsini, capitano generale dell'esercito ai·agonese, ne suggerisce al sovrano la convocazione. Ed infatti. nel 149 l, l'erede al trono, il duca di Calabria, fa formale richiesta alla Signoria di Siena affinchè gli conceda di recarsi a Napoli. Vi soggiornerà alcune settimane, il tempo strettamente necessario per studiare i necessari adeguamenti ad alcune importanti fortezze. I suoi suggerimenti dovettero dimostrarsi acutissimi, tant'è che: " .febbraio del ·94 fu autorizzato a recarsi nuovamente a Napoli, e per circa due anni dovette rimanervi lavorando al servizio degli Aragonesi , intenti a ricacciare i Francesi di Carlo VIII ... li 27 maggio del 150 I lè] ... dalle parti di Senigallia ... [dove vi aveva disegnato] le fortezze di Mondavio e Mondolfo ... !che] probabilmente giunse a compierle nelle parti essenziali Tornato a Siena spirò probabilmente il 28 novembre del 1501 . " < 4 71

Al di là delle scarne notizie biografiche, la presenza fattiva del grande ingegnere nel regno di Napoli è abbastanza ben documentata sia prima del 1484 sia. soprattutto, fra il 1491 ed il 1497, periodi spesi nella riqualificazione delle principali piazzeforti meridionali, in particolare in Puglia. Di certo gli vengono attribuiti il Puntone di Gallipoli e gli aggiornamenti di Taranto <~ 8 ) : è, tuttavia, estre- mamente probabile che la sua consulenza si estendesse, in realtà, all'intera linea difensiva costiera, stante la incombente minaccia turca. In quell'immane compito, che comportava tra l'altro continui spostamenti di migliaia di chilometri, fu validamente coadiuvato da allievi ed assistenti fra i quali si distinsero Antonio Marchesi da Settignano e Baccio Pomelli per non parlare di Ciro Ciri !~ 9 > Una grande intesa personale, inoltre , lo dovette legare al duca di Calabria, che ne ammirava incondizionatamente la perizia, fino a divenirne quasi un discepolo. Curiosamente, però, l'apice della sua celebrità coincise con il totale superamento della sua dottrina!

Il grande maestro, infatti, a quel punto rappresentò il canto del cigno della difensiva medievale, sebbene alcune sue geniali intuizioni appaiono gravide di successive implicanze. Nell'ultimo periodo della sua attività, a ben vagliare i suoi progetti, appare innegabile una grave arretratezza, quasi una ritrosia a voler ammettere e considerare le innovazioni che avvenivano nel settore degli armamenti, per cui: " ... se l'architettura militare di Francesco di Giorgio seg na una certa evoluzione, se nuove idee emergono in essa, il suo 'stile' non è tuttavia molto rivoluzionario ... Le fortezze di Francesco di Giorgio non presentano forse più l'aspetto della fortezza medievale: tuttavia non presentano ancora quello delle fortezze moderne. Torri merlate, mura a caditoie, presenza di una rocca, tutta la disposizione generale sembra di spirito medievale, fatta eccezione per l'altezza delle mura ... la principale novità [èJ il disegno con salienti e rientranti ripreso a partire dalla prima metà del Cinquecento. Conosciamo i castelli costruiti da Francesco di Giorgio.

Essi seguono una tradizione che a questa data appare già antiquata. Analogamente, e sarebbe stato strano altrimenti, l'artiglieria di Francesco di Giorgio, rimane sempre molto tradizionale. Vi si scorge appena il passaggio dall'artiglieria in ferro all'artiglieria in bronzo.

Pare che in questo campo gli Italiani manifestino un certo grado di arretratezza. Meccanico di talento, dun- que, apprezzato costruttore di fortezze Francesco di Giorgio non fu forse un grande ingegnere... " < 5m.

Il giudizio, per quanto critico, alla luce degli avvenimenti successivi e della insignificante durata militare delle tante opere erette su suo disegno, o su suo consiglio, non appare gratuito o infondato. La stretta subordinazione, infatti, della catena delle fo1tificazioni costiere del regno di Napoli ai criteri di Francesco di Giorgio, per l'accidentale scelta infelice del periodo, si risolse in un assurdo e drammatico paradosso:· le nuovissime imponenti costruzioni non appena ultimate , risultarono irrimediabilmente giubilate! Pertanto fu indispensabile, già dall'inizio del secolo successivo, rimettervi le mani sopra, e non già per aggiornamenti fisiologici ma per una radicale rielaborazione, con costi aggravati dalla loro condizionante presenza. Il Regno, quindi, effettuò un pessimo investimento militare, imputabile alla presuntuosa competenza in materia della sua dirigenza. Lo stesso ingegnere al tramonto della sua vita e della sua straordinaria carriera scriveva sconsolato, constatando la ormai palese inadeguatez za delle sue concezioni:

·'Ma li moderni ultimamente hanno trovato uno istrumento cli tanta vioenza, che contra a quello non vale gagliardia, non armi. non scudi, non fortezza di muri, perocchè con quello ogni grossa torre in piccolo tempo è necessario si consumi " <m_

Quasi per voler meglio ribadire il concetto ne precisava ulterionnente le estreme conseguenze, in una sorta di testamento spirituale:

·'Sono s tati alcuni [però l che per defendere le mura dalla potenza della bombarda e per più offendere li nimici, hanno fatto le mura grosse e con più torroni con difese ed offese per fianco. Le quali più per grossezza che per ingegnoso remedio fanno alquanto maggiore resistenzia che le altre antiche, niente di meno per spazio di tempo infine sono superate.

Onde considerati le edifici per fortezze fabbricati in Italia massimamente se può dire con verità che el non sia rocca alcuna o fortezza che per via di bombarde, gittando le mura a tena, ovvero almeno le offese [e le difese], non si possi espugnare e debellare " "12 nea infrangendo irrimediabilmente i resti della sua precaria stabilità: la potenza ottomana.

Il che soprattutto per il regno di Napoli era disgraziatamente vero , in uno snodo storico estremamente critico e gravido di tragedie imminenti, le cui fasi prodromiche possono individuarsi nella caduta di Costantinopoli nel 1453 e nella conquista di Otranto nel 1480.

Negli anni '80 del XIV secolo l ' espansione turca nei Balcani dilagò inarrestabile, nonostante la disperata resistenza delle popolazioni locali. Ve rso la fine del decennio si rinnovò un estremo tentativo di ribellione al giogo ottomano, capeggiato dal principe serbo Lazzaro , alleatosi nella circostanza con la Bulgaria e la Bosnia. Il sultano affrontò allora, personalmente alla testa delle sue truppe , gli insorti ed , il 15 giugno del 1389, nella piana del Campo degli Uccelli Neri , Campomerlo, più nota da quel tragico giorno con il toponimo turco di Kosovo , li sbaragliò<54 l _ Venne però ferito a morte da un serbo: il che non gli impedì di far giustiziare in sua presenza, prima di spirare, il principe Lazzaro.

Situazione geopoliti c a mediterranea

A partire dal 1350 gli equilibri che in qualche modo si erano affermati in Italia, tradiscono un progressivo esaurimento e degrado. Il processo non dipese: " ... da un arresto, e tanto meno, fda] un'involuzione della naturale formazione e sviluppo delle forme statali, anzi dello Stato che tende sempre più ad emanciparsi dalle classi e dai partiti, dalla monarchia universale e da quella teocratica, e neppure perchè venga meno il fiorire della cultura. Ma il raggio d'azione dell'attività degli Italiani , intesa nel suo più ampio significato, si accorcia. E ciò mentre la capacità creativa e la vigoria degli altri popoli aumenta. Di fronte alla nuova forza espansiva di questi, al loro dilatarsi e progredire, la forza espansiva italiana tende lentamente a cedere: condizioni esterne meno favorevoli o più ostili, e diminuita capacità ed energia nella società italiana ... " <rn , sembrano esserne le principali concause. Come se non bastasse un nuovo è più temibile protagonista debutta sulla scena mediterra-

Secondo la prassi tradizionale dei Turchi, alle vittorie sul campo seguivano le stragi e le deportazioni dei prigionieri destinati alla schiavitù. Per le popolazioni balcaniche assoggettate le condizioni esistenziali divennero, in breve, terribili: catture di familiari, imposte gravosissime, intolleranza religiosa, espropri delle terre, sequestri di bestiame e di raccolti , annientamento dei commerci e crollo di qualsiasi reddito rappresentarono lo scenario dei primi anni della dominazione ottomana. Senza contare la crescente conflittualità interna aizzata dalle frequenti abiure di comodo e dalle conseguenti discriminazioni. Molti albanesi, rimasti di fede cristiana, iniziarono perciò ad abbandonare le loro terre, dirigendosi parte verso nord, nel Kosovo, parte verso est e verso sud in Grecia ed in Argolide, parte, infine, verso Durazzo e da lì verso l ' Italia!55 l _ Nonostante ciò la pace non regnò affatto nei Balcani, anzi , a partire dal 1430 la lotta contro i dominatori , sempre serpeggiante e spesso sfociata in sanguinose azioni di guerriglia, prese a coordinarsi e ad organizzarsi in una vera resistenza ad oltranza. Pochi anni dopo una fortunata circostanza bellica le fornì un capo leggendario: Giorgio Castriota Scanderbeg.

Nel frattempo, il regno di Napoli, il più minacciato daJJa espansione ottomana, viveva il travaglio della successione dinastica. A renderla ulteriormente più grave contribuì l'ascesa al trono di Spagna di Alfonso V d'Aragona nel 1416' 56', che aveva ereditato dal padre Ferdinando: " gli stati riuniti di Aragona, Catalogna, Maiorca, Valencia e Sicilia. All'epoca la Sicilia era governata dall'altro figlio di Ferdinando, Giovanni, che i siciliani, nel loro desiderio d'indipendenza, avevano tentato cli eleggere loro re. Per sventare questo pericolo, Alfonso richiamò Giovanni in Spagna. Ben presto, anch'egli si trovò trascinato nel vortice degli affari italiani, specialmente a causa della vecchia disputa fra l'Aragona, Genova e Pisa in merito alla Sardegna e alla Corsica. Alfonso si trovava appunto in Sardegna quando ricevette un'ambasciata dalla regina di Napoli, Giovanna II, la quale chiedeva il suo aiuto contro i numerosi nemici che tentavano di sottrarle il regno di Napoli. Essa promise ad Alfonso il titolo di duca di Calabria, e la successione al trono di Napoli, al momento della sua morte. Il nemico più potente della regina era il duca francese Luigi III d'Angiò che, come suo padre Luigi II prima di lui, accampava diritti sul trono di Napoli. Alfonso rispose all'appello di Giovanna, accettando i tennini della proposta. Inviò quindi una squadra navale contro Luigi, che minacciava Napoli con una flotta, riportando una vittoria schiacciante .. .Ma Giovanna era alquanto incostante e cambiò di nuovo idea; su istigazione del suo amante diseredò Alfonso, e trasferì il diritto di successione al trono a Luigi d' Angiò .. . " '571 •

Ovviamente, secondo la logica dell'epoca, la doppia adozione di Giovanna, che nonostante i suoi q uattro matrimoni non aveva avuto alcun figlio, scatenò una guerra tra i due pretendenti. L a morte della regina nel 1435, acuì la contesa tra Aragonesi ed Angioini che cessò soltanto nel 1442 dopo la vittor ia dello spag no lo(58l _

Nei Balcani, frattanto, l a resistenza contro i Turchi continuava a divampare e, proprio in quel 1442, un'armata ungherese al comando del re Ladi slao sconfisse un esercito ottomano presso Sofia. Tra le truppe catturate si trovava un certo Scanderbeg, il cui nome originar io era invece

Giorgio Castriota, di fede cristiana e di famiglia albanese, arruolato forzatamente dal sultano(59> Pur non appartenendo alla maggiore nobiltà locale i Castriota, all'epoca, vantavano già una lunga tradizione di intensi legami con Venezia, tant'è che Giovanni Castriota, padre dello Scanderbeg , ne ricevette il 19 maggio 1413 la cittadinanza onoraria. Quanto al figlio Giorgio ed al fratello Stanissa l'otte1Tanno a loro volta nel 1445. È però presumibile che intrattenessero rapporti anche più intensi con la dinastia aragonese di Napoli, alla quale infatti sei anni dopo offriranno, con un apposito trattato, la città di Croia appena strappata ai Turchi. La spiegazione deve ricercarsi nella diversa posizione assunta nel frattempo dalle due capitali in politica orientale. Venezia, infatti, si era persuasa che l'unica speranza di conservare le sue colonie ed i suoi commerci dipendeva da un accordo con i Turchi e che qualsiasi violazione, anche indiretta, ne avrebbe determinata l'inevitabile perdita.

A Napoli, invece, Alfonso d'Aragona tentava di riavviare la visione normanna e sveva circa i Balcani, ritenendoli, non a torto, di interesse strategico primario per il Regno. Il che si coniugava perfettamente con le mire della resistenza albanese. Non può escludersi, peraltro, che il sovrano cercasse di interporre una sorta di stato-cuscinetto filoaragonese, fra la costa adriatica prospiciente la Puglia e l'Impero ottomano, capace di frustrarne le ulteriori iniziative espansive e nessuno meglio degli insorti a lban esi poteva contribuire a concretizzare il progetto.

Di certo lo Scanderbeg, riacquistata la libertà, riconvertitosi al cristianesimo e recuperato il vero nome, intraprese una incessante guerriglia contro i Turchi che si sarebbe protratta, irriducibile, per i successivi 24 anni. Ma la consacrazione deJle sue doti militari si ebbe nel 1450 allorq uando lo stesso Murad II, con il figlio Maometto II, dovette rinunciare a protrarre l'assedio alla sua roccaforte stremato dalle implacabili controffensive guerrigliere: il sultano sopravvisse appena un anno alla umili ante sconfitta. 11 giovane erede, pertanto, preferì indirizzare la sua ambizione ad un più remunerativo obiettivo, la con- quista di Costantinopoli. Dal 1451 g li eventi presero a precipitare irrefrenabilmente verso quella drammatica conclusione.

Ad una pedante ricerca, però, non sfuggono alcuni acuti osservatori i quali, sin dal 1428 , avevano evidenziato, giustamente allarmati, che persino il semplice istaurarsi di una talassocrazia ottomana avrebbe costituito, già di per sè, una gravissima minaccia e non certamente per la sola Costantinopoli, ma per l'intera Cristianità.

La loro disperata invocazione, peraltro continuamente reiterata negli anni successivi, affinchè le potenze europee si coalizzassero superando ogni fratricida astiosità , non riscosse purtroppo alcun significativo consenso. Ancora nel 1452 scrivevano, atterriti dai rapidi progressi dell 'artiglieria turca, in cui acutamente individuavano la punta di diamante dell 'apparato militare destinato ad aver ragione della mitica Città, scongiurando le nazioni occidentali a non disinteressarsi della sua difesa , poichè nella sua inviolabilità stava collocata, senza alcun dubbio, la loro futura indipendenza e sicurezza. Ma l'accorato e lungimirante appello rimase , al pari dei consimili precedenti, assolutamente inascoltato!

Il principio della fine: Costantinopoli 1453

Le operazioni dirette per la conquista di Costantinopoli presero avvio proprio in quegli stessi mesi. In marzo il sultano Maometto II raggiungeva il Bosforo con al seguito un esercito di oltre 50.000 uomini ed una flotta di una trentina di navi di varia tipologia.

Tra i tanti rinnegati che erano affluiti presso le sue armate, attratti dal miraggio di copiose ricompense e favolose carriere, spiccava un certo Urban.

L' individuo, alquanto celebre nella sua professione, era d'origine ungherese, provetto costruttore di possenti bocche da fuoco. Dietro un lautissimo ingaggio elargitogli dal sultano, l'artigiano realizzò delle masto- brecciare le leggendari e fortificazioni di Costantinopoli. Le maggiori avevano le seguenti caratteristiche <()()) : la Bombarda:

Peso del pezzo: tra le 20 e le 48 tonnellate

Lunghezza dello s te sso: tra i 5 ed i 7 metri

Calibro: tra gli 800 ed i 1200 mm

Peso della palla: tra i 400 ed i 500 kg

23 Bombarda:

Calibro: circa 710 mm

Peso della palla: intorno ai 440 kg

3a Bombarda:

Calibro: circa 670 mm

Peso della palla: oltre 300 kg dontiche bombarde d'as s edio, le uniche in grado di 182

Quanto ali' entità complessiva delle artiglierie schierate, gli osservatori coevi concordano in circa 50 pezzi, tra grossi e medi calibri, oltre a 500 di piccolo.

Al 55° giorno d'assedio, al terzo attacco generale, dalle brecce delle mura schiantate dalle mostruose palle di bombarda, irruppero i giannizzeri: per la capitale orientale dell'Impero romano fu la fine. Per comprendere il clima di terrore che di lì a breve si abbattè sull'Occidente occoITe, sia pur succintamente, citare una delle innumerevoli, e sostanzialmente identiche, relazioni su quanto accadde subito dopo nella disgraziata città. Così Isidoro di Kiev:

"Yiae quidem omnes strale ac angiporti sanguine

Tutte le vie, le strade ed i vicoli erano pieni di sangue e di umore sangu igno che colava dai cadaveri degli uccisi e fatti a pezzi. Dalle case venivano tratte fuori le donne, nobili e libere, legate tra loro con una fune al collo, la se rva assieme alla padrona e a piedi nudi. per lo più, e così pure i figli rapiti con le loro sorelle. separati dai loro padri e dalle loro madri, erano trascinati via da ogni parte " '"''

In poche ore della numerosa popolazione di Costantinopoli, secondo attendibili stime almeno 200.000 persone, non ne restò più nessuna al suo interno. Tutti i sopravvissuti finirono deportati e venduti come schiavi.

La funesta notizia s'abbattè sul mondo occidentale circa un mese dopo, raggiungendo ogni angolo abitato e suscitando dovunque un'ipocrita e sterile costernazione, mutando l'imbelle apatia or i ginaria in una isterica attesa delle ulteriori immancabil i conquiste turche. Circolavano di bocca in bocca notizie, più o meno attendibili, circa le imminenti iniziative del sultano. Tra queste, quella che più atterriva le popolazioni meridionali del regno di Napoli, recitava che Maometto Il:

"Primo enim triremes centum septuaginta... ha approntato centosettanta triremi tra grandi e piccole, e le ha inviate nel Mar Egeo in direzione delle isole Cicladi per sottometterle al suo impero: si s ta poi preparando con un esercito immen so verso tre città... poste sul Danubio allo scopo di espugnar- le ... si propone di attraversare l'Ungheria, di devastarla ... ha deciso di passare in Italia il prossimo anno e così pensa di passare per mare da Durazzo a Brindisi ... " 0 10 •

La stessa allarmante diceria veniva proclamata anche da Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio Il, che così scriveva il 25 settembre 1453:

" .ltaliam anno proximo invadere stat uit... Ha deciso di assalire l'anno prossimo l'Italia, sta preparando una flotta immensa. procura anche ciò che è necessario alla guerra. Ha scelto come punto di transito il tratto da Durazzo a Brindisi

GraL di Stiria, 25 settembre 1453. '% ·''

Ma, dopo un primo sommario aggiornamento delle tante fortificazioni sparse lungo la costa pugliese, il trasco1Tere tranquillo degli anni indusse gli Aragonesi a dimenticare la minaccia, sospendendo gradatamente tutti i lavori.

Mura e bombarde ad Otranto

Stando alla maggioranza dei testimoni sopravvissuti, la squadra ottomana, circa 150 imbarcazioni, comparve dinanzi alla cittadina di Otranto il 28 del mese di luglio del 1480. 11 contingente messo a terra, e sul dettaglio le fonti non sono pienamente concordi, contava almeno I 0.000 uomini, con 5 grosse bombarde, oltre ad un numero non trascurabile di artiglierie minori<6-l> . Già la stessa sera i turchi occupavano le adiacenze di Otranto, iniziando i preparati vi per l ' investimento della cinta. Alcuni giorni dopo:

'· assestate le bombarde per far la battaglia incominciarono a battere la città da più bande, cioè <la levante da un alto dove erano certe calcare antiche distante dalle mura 540 passi, et un altro monte chiamato il monte di S. Francesco per ponente distante passi 80 dalla banda di scirocco, d ' un largo dove si diceva il monastero della Candelora distante dalle mura 60 passi et anco tenevano dalla parte cli ponente da un luogo detto la Rocca matura distante dalla città 200 passi. Però primo colpo fu tirato , fu eia questa banda di Roccamatura e diede la palla ad una finestra d'una casa che stà alla strada di mezzo che era della famiglia del li

Garbotti et andrà scorrendo per della strada fino ad un largo che si dice la piazzella quasi in mezzo alla città

Or questa balleria facevano con certe bombarde grosse di gran meraviglia c he parevano essere botti e vi erano alcune di ferro et altre dell'uno e dell'altro metallo e tiravano palle di pietra viva di smisurata grandezza meucndole dentro coli' ingegno perchè alcune erano di circuito cli dicci palmi, altre d'ouo e t a ltre di sei che ancora se ne vede per la città una quantità che tutte le strade ne sono piene [ve ne erano all'epoca anche moltissime di quelle aragonesi n.d.A.J così di dcnLro come cli fuora e le rive del mare: benchè li Signori Veneziani, quando ebbero questa città in pegno di Ferdinando II ne portorno in Venezia un a quantità grande le più bdle. più g rosse, e più meravigliose, quali posero nel loro arsenale per un t rofeo e m emor ia et erano di peso dette palle alcune di sci cantare, alcune più et alcune meno , secondo la gra nd ezza e vo lum e loro; che quando dette palle sparavano. era tanto il terrem o to c he pareva che il cie lo e l a terra si volessero a bbi ssa re. e che le case et ogni edificio per il gran terrore pareva c he allora cascassero ...

Tutti gli animali così agresti c he domestici se n'erano per la gran paura fuggiti dal tenitorio e per l' aria non si vedeva un uccello. Di piL1 usavano certi s trum enti chiama ti mortari, quali tiravano palle di pietra grossissime in alto verso l 'a ria , sp inte daHa vio lenza della polvere e cloppo cadevano dette palle in mezzo della c ittà sopra delle case, talché non s i poteva camminare per le s trad e. nè meno stare in casa laonde si pigliò espediente d'abbandonare le case e ridurre tulle le donne e figlioli nella Chiesa Maggiore sotto la co nfessione di quella con alcun i altri vecchi decrepiti. ""'''

Grazie alle gigantesche artiglierie i Turchi riuscirono a conquis tare la città il 12 agosto, dopo soli tre giorni di furiosi bombardamenti. Aperta la breccia per Otranto e la sua popolazione fu la fine: occorrerà un contrassedio di oltre un anno e mez zo per recuperarla, ormai ridotta ad un cumolo immenso di macerie. Dei s uoi abitanti, oltre 6.000, ne erano rimasti meno di 300!

Evacuati i Turchi sopravvissuti (('6l, sì provvide senza indugio alla rico s truzione delle s ue fo11ificazioni , premessa inevitabile per ripopolarla e, soprattutto, per evitare pericolose repliche della tragedia. Incaricato deJJa direzion e tecnica fu il nobile napoletano Mé:u-cello Arcamone: verosimilmente si limitò a tradurre in pratica le indicazioni architettoniche espresse dallo s tesso duca di Calabria c he si dilettava in materia, e molto aveva appreso dalla frequentazione del Martini. La consistenza dell'int ervento è te stimoniata dall a sua strao rdinaria durata: ancora nel 1492 i l avo ri ri s ultano in corso, e questa volta so tto la supervi sio ne dello stesso Francesco di Giorg io. AJcuoi anni dopo, finalmente com pletati, rispecchiavano i più avanzati criteri della transizione.

Pe r quanto acce11abile, il: " ...recinto dell e mura di Otranto ha un tracciato poligonale c he s i può di stinguere in quattro fronti. La fronte a N o rd , in cui è la porta della città, va dalla toITe Ippolita fino al Bast ione della porta s tessa. La fronte ad Es t è costituita dall'alto muraglio ne di s ponda battuto dal mare: aveva tracciato poligonale con ripi egamenti ad angolo retto ; i quali, peraltro in seguito, furono tolti in gran parte, e sostituiti con tratto rettilineo, come oggi si vede.

La fronte a Sud è chiusa da tutto il castello ed ha una cort in a appoggiata ad un bastione, dalla parte del mare, e ad una faccia del s alient e esterno del castello, dalla parte di terra ; innanzi ad essa è un larghissimo fosso. La fronte ad Ovest è costituita, verso l'estremità meridionale da due cortine e due torri-del castello, ne ll a parte centrale , da una lunga cortina rettilin ea appoggiata ad una totTe del castello, da un lato, ed alla torre Du c hesca dal1' altro; verso l'altro es tremo da una altra breve cortina fra le due torri Duchesca ed Ippolita.

La torre Ippolita fa parte delle opere che furono costruite da Re Ferrante d ' Aragona, subito dopo aver scacc iato i Turchi da Otranto. Ebbe il nome di Ippolita in onore di Ippolita Sforza , figlia del duca di Milano e s posa di Alfonso duca di Calabria. IL suo diametro, alla sommità, è di m. 12 circa ; e l'altezza pareggia quella delle mura. Sulla sua s uperficie cilindrica, al di sopra del cordone si vede l ' arma dei re aragonesi .. .1 beccatelli che coronano la torre , e sorreggono il parapetto sovras tante, hanno sagoma composta di gusci ed ovoli dritti separati da li s telli

Dalla torre Ippolita il tracciato delle mura ripiega ad angoli molto ottu s i verso est, sino alla po11a della città. La dispos izione di que s ta porta è un caratteristico esempio de ll'architettura militare dell'epoca. E ss a è collocata in una ton-e, o meglio tra due mezze torri del diametro di m. 1O circa. Porta e ton-e hanno la deno1ninazione di Alfonsina... Alla torre a sinistra della porta si appoggia col fianco un ampio baluardo che protegge la porta stessa con offesa di fianco, e la copre con un orecchione arrotondato, impedendo che potesse esser battuta da tiri d'infilata.

Innanzi la po,ta Alfonsina ... esiste tuttora ... un'altra porta praticata nel muro, che... costituiva una linea di difesa più avanzata a proteggere l'ingresso della città. Dinanzi a questo muro correva il largo fosso ... L'asse della porta esterna è molto spostato ed obliquo rispetto a quello della porta Alfonsina; in guisa da ottenersi più 'entrate reverse · come diceva Francesco di Giorgio Martini .11 castello giace nel l'angolo sud-ovest della città .'"°7)

Per una serie di osservazioni sulla struttura delle mura e sui nomi dei torrioni è lecito concludere che la cittadina apparve ai Turchi serrata da una cerchia non molto dissimile da quella descritta, con un circuito sostanzialmente identico, ma con torri e cortine senza dubbio più sottili e più alte, attribuibili alla fase intermedia della transizione. Quanto. poi. fosse gravoso l'adeguamento di siffatte fortificazioni alla fase finale della transizione lo testimonia pienamente il lentissimo avanzamento dei lavori ad Otranto. nonchè un significativo dettaglio: dopo sedici anni, molti dei pezzi destinati all'armamento della cerchia e del castello stavano ancora custoditi nelle cripta della Cattedrale. Il luogo, uno dei pochi scampato alle distruzioni, e reputato più di ogni altro sacro per l'indiscriminato eccidio dei cittadini che vi si svolse '(,N ), avrebbe potuto solo in forza di una esigenza non altrimenti soddisfacibile trasformarsi in deposito di artiglieria. Ovvio, quindi, presumere che, a quella data, facevano difetto tanto le strutture del Castello come i locali destinati alla conservazione delle munizioni e delle armi, ai quali in ogni costruzione militare si destinò una comprensibile priorità. L'emblematica constatazione ci è consentita eia un inventario dell'armamento esistente. redatto nel 1496 in occasione della cessione temporanea di Otranto a Venezia. Lo stesso prezioso documento ci permette di vagliare quanto tradizionale fosse rimasta l'artiglieria aragonese rispetto a quella di Carlo Vlfl, e per estensione la coeva architettura militare.

Artiglierie dei forti e del castello di Otranto consegnate dal Comm;ssario del Re al Governatore Veneto il 25 marza del 1496.

''Serenissimo Principi et Exccll. mo

D. D. Augustino Barbadino. Dic XXV Mensis Ma1i lndictione Xliii, in civitate ldrunti.

Bona reperta in civilate ldrunti et per magnificum D. Aloy si urn dc Caxali Novo. Comrnis~ariurn et Deputatum specialem nuncium Serenis. mi Regi s Neapoli. clc. Magnificoquc Domino Petro Superantis pro 111. mo Ducali Domino Yeneratirum Guberna101i diete civitaLis consignata, et primo: Videlicet.

Una bombarda de bronzo nominata la Rognosa con lo mascolo a viola. la u·omba larga palmi 4 I /2. et lo muscolo longo palmi 4 1/2, larga de bocca palmi 2 J/3 posta a la cortina de Grissolio. Item una bomharda de fc1TO nominata Yìceopinione. longa palmi 4 1/2, larga in bocha cum uno mascolo Je bronzo. longa palmi 4 l/4. larga in bocca palmi doi.

In la dieta cortina: ltcm una bombaJda de bronzo. nominata la Famata, senza anelli, longa palmi 5. lo rnascolo de bronzo a vita longo palmi 3 1/4, larga dc bocca palmi 2, sc hienzata lscheggiatal in bocha desoto, posta in la dieta cortina. ltem una bombarda dc ferro nominata Miser in po, longa palmi JJ • la tromba cum anelli 6. lo mascolo lungo palmi 4. larga in bocha palmi I 1/2. lo mascolo e l'imbocatura è rota . ltem un mortarello de bronLo, lun go palmi 3 et dea 4, cum lo canone in la torre del Centener: larga in bocha tre dea. ltem una bombardella de ferro. cun uno focardo de ferro. senza mascolo. longa palmi 3 et dea 4 in cavaleto e in zoccada.

Item una bombarùella de ferro cum doi ane lli , cum uno mascolo inzocada vecchia. cum tuta palmi 7. nella dieta co11ina, larga quatro dea rdi La l in boe ha.

Jtem una bombarda de ferro de reparo, longa palmi 9 cum el mascolo con doi anelli, larga in bocha do dea, susu la torre.

Item un mortaretto de bronzo d'un pezo, longo palmi I 1/4, largo in bocha tre dea .

Item un mortaretto de bronzo senza mascolo cum una forcada. in cavaleto senza pironi, longa palmi I et deda rdita I 4.

In la forre Maistra della porta

Item una bombardclla de fcm> cum forcada in cavalleuo et pironi, longa palmi 3 senza mascolo. larga in bocca dcc.la 3, so pra la po1ta.

Item una bombarde ll a dc feJTo cum forcado in cavalletto et pironi, longa palmi 3 senza mascolo , larga in bocca deda 3, sopra la porta.

Item una bombardella de ferro cum uno forcado e pironi in cava ll etto et pironi, longa palmi 3, larga in bocca 3 deda, sopra la dicata toJTe.

Item una bombardella de ferro rota , non val niente.

Item tre mascoli de ferro. longi palmi do. r uno cun anello. uno per mascolo sopra la dieta totTe.

Item una bombarda de fetTo lunga palmi 4 l/2 cum anelli 4 in suso caro inazzo se nza mascolo, larga in bocca mezzo palmo curo so forcacla et pironi posta al Maistro Campaner.

Item un passavolante de bronzo , longo palmi 13 de l Signa! della covezza in un pezm, largo in bocha deda 4 suso uno carro roto cun suo forcado et pironi al dicto campaner.

Alla torre de la Canronada

Una bombarda de fetro cum anem 3. longa palmi 6, larga in bocca deda 6.

Item un bombardella de ferro in cavalleno com forcada et pironi, longa palmi 4 e decla 3, larga in bocha deda 3. rota in boca.

Alla forre Duchessa

Quattro bombarde de ferro in cava lletto. cum forcadc et pironi. longa palmi 4 e dea 3 l'una , larga in bocca 3 dea.

Item una bombardella de ferro senza forcade c pironi , longa palmi 3 1/2.

A la torre Hipolita

Quattro bombarde de ferro in cavalletto cum forcade e pironi. longa palmi 3 l/2, larga in bocha 3 dea.

Item un passavolante di feJTo cum anelli 4 in cavalletto cum forcade et pironi, lungo palmi 9, largo in bocha 3 dea.

A la torre sopra lo Portone

Tre bombarde ll c con cavallclli forcade et pironi, longe pa l mi 3 l'una, larga in bocha 3 dea, cum uno masco lo per una bombarda.

Su la rorre del Ma zzamne

Tre bombardelle de ferro in caval letti cum una forcada sola. longa pa lmi 6, l'una , larga in bocca 3 dea cum li canoni ftem una bomba rdella de bronzo in cavalletto cum forcade et pironi. cum el suo mascolo, lon ga cum lo mascolo palmi 4, larga in bocha 4 dea

Item un mortaretto de bronzo de uno pezzo, longo palmi doi e mezo, larga in bocca 4 dea

Item una bombarda nominar.a S. Maura de bronzo foderata de ferro. lunga palmi 5, cum uno mascolo de feJTo longo palmi 31/2. larga in bocha palmi I et dea 4 cum el suo lecto.

Item una bombarda de ferro cum anelli 4 susu un carro rotto cum forcada et pironi, longa palmi 7. larga in bocha dea 6

Item un carro cum due rote cerchiare de fcno per passavolante ...

Item doy cannoni da bombarda da reparn de ferro rotti , longi palmi 2

In la rorre del Ma zzamne

Item un canone da bombarda de ferro com suo anello bono longo palmi 2

Item 29 masco li de sp ingardelli de ferro boni cum soi maneggi. et alcuni senza maneggi, longi palmi 1 sotosopra

Item doi mascoli de spi ngarde de ferro curn li soi anelli longi palmi do l'uno.

Al Celso

Una bombarda de bronzo nominata la Rufiana longa palmi 5. cum li soi mascoli.

Alla cortina Duchesca et alla torre Hipolita

Do bombarde de fem) cum cavalletti in forcade et pironi, longa palmi 3 l' una. larga in bocha tre dea. larga in bocha palmi I. cum doi ,mclii de ferro.

In caxa de Maesfro G11lielmo Bombardiere

Sette mascoli de bombardelle de ferro, longi un palmo l'uno

Item 3 mascoli de ferro da passavolante cum anelli 2 l'uno , longi palmi 2 l'uno

Item doi mascoli de ferro da bombarda cum li so i anelli. longi palmi 2 l'uno

Item dt1e mortarelli dc bronzo cum due doi anelli de ferro, longi pa l mi 2 1/2 l'uno. largi i n bocca dea 4.

Sotto la Confessione della Chiesa

Cannoni I8 de bronzo cum soi manegi longi palmi 11 /4 so!osopra

Undexe bombarde de bronzo mm anelli 2 e 4 per una. longa palmi 3 sotosopra, larga de bocca dea 4 in 6

Sy IseìJ archi bus i de bronzo cun so i forcade. longi palm i S l'uno

Quattro forcade de bombarde cum 3 p ironi

Una bombardella de ferro et guasta picola.

U luno] pa<,,avolanre dc ferro longo palmi IO largo in bocha dea 4, sen1.a mascolo e t sen t a so ca rro Quat o rd ex an.:hibusi clc ferro cum w i manegi. l ongi pa lmi 4 l'uno

Una bombardclla de bronzo cum uno ma,;colo, longa palmi 2 el mascolo I palmo. larga in bo c ha 3 dea. U na forcacla dc ferro curn pirone " 1 '.

L ' inventario s i dilun ga quindi nelle munizioni , che risultano se mpre di tipo tradiLional e se nza a lc una palla di ferro. Eppure. se mai fosse s tata dis ponibile un'artiglieria più mod e rna proprio ad Otranto se ne s arebb e trovata tra cci a in quel fine seco lo. Del res to una identica architettura e, se n La dubbi o, un id e ntico armamento s i riscontrano pure nelle ma gg iori piazze aragon es i dell a Sicilia e d e lla Sardegna.

Mila =:.zo

Nel medesimo contes to di paura e di fren e ti ca riorganiz zaL ionc difensiva del dop o Otranto deve co llocarsi anche la riqualificazion e della c ittadella di Milano. Dal punto di v is t a morfologic o il s uo promontorio d 'im pianto ricorda quell o di Gaeta, ergendos i per un cen tinai o di metri s ul mare con pareti a picco , a ppena meno ripide verso l'istmo che lo co llega alla t e rraferma. Analoga pure , per molti aspetti, la sua vicenda s torica. Infatti , per il naturale arroccamento , e per la sottos tant e prese nza di un ottimo port o, il si to ris ulta con tinuam ente abitato s in d a ll a più re mota antichi tà. Al vi llaggio preistorico si sostituì, alcuni millenni dopo . una so rta di acropoli, se mpre prot etta da fortificazioni dipanante s i s ul medesimo tracc iato e con la medesima logica ostativa.

Con l'ellenizzazione di Mylai: " avvenuta tra J'VII1 ed il VII secolo, racropoli greca assunse nuova dimensione, che non mancò di accrescersi nei secoli successivi, con il «castrum» romano bizantino espugnato e raso al suolo. netr843 dal condottiero arabo Fadhl Ibn Giàfar. Su queste antiche fondamenta i nuovi conquistatori non tardarono ad innalzare un loro fortilizio dando così inizio al nucleo più antico dell'attuale Castello coll'integrare (soprattutto sul fronte est, sud-est) le difese già predisposte dalla natura.

Nel medioevo la funzione fo>trategica del Castello di Milazzo ... Lqualc] antemurale di Messina, acquistò un significato ed un valore più rìmarchevoli ... divenendo, poi, la chiave della difesa del settore orientale della Sicilia .. .'''701 • li che comportò un susseguirsi di consistenti potenziamenti ed aggiornamenti alle fortificazioni. l'ultimo dei quali rimonta al periodo vicereale, procedendosi, da allora in poi. alla semplice manutenzione delle strutture. rimaste in servizio anche dopo l'Unità d'Italia.

La vera peculiarità, quindi, della Cittadella di Milazzo è nella invarianza della sua destinazione, per nùllenni esclusivamente militare. e. sostanzialmente preclusa agli insediamenti civili. Non essendoci, pertanto, alcuna pressione residenziale interna , nè a ridosso della cerchia, al momento di riqualificarla la soluzione più semplice fu quella di duplicm"la erigendone una più evoluta a breve distanza. Per l'identico motivo, un volta ultimata non fu necessario demolire la più vecchia onde recuperarne l'ingombro. Al termine della lunghissima vicenda, si ebbe un sistema concentrico con opere tanto più antiche quanto più vicine alla sommità del promontorio.

Il borgo racchiuso in una sua autonoma cinta muraria, si articola alla sua base, sulla streua lingua dell'istmo, ottimamente servito da un capace porto, già famoso caricatore di grano nel Medioevo. Le acque ad esso antistanti furono testimoni di grandiosi eventi storici, a riprova della rilevanza strategica del luogo. Tra questi, spicca, la mitica battaglia navale tra Romani e Cartaginesi, svoltasi nel 260 a.C., nel corso della la Guerra Punica, che vide la vittoria del console Caio Diuilio' 711 •

La spianata apicale del promontorio fu ritenuta in epoca sveva ideale per rimpianto di un ennesimo castello: forse a suggerirlo contribuì il grande dongione quad1ilatero normanno che già vi sveltava da oltre un secolo e mezzo.

Di ce110 quando l'architetto Riccardo da Lentini, d'ordine di Federico TT, ne elaborò la planimetria in virtù della sua solidissima muratura e ragguardevole mole, pensò bene di inglobarlo nell'erigenda castello, assegnandogli il ruolo di mastio. Probabilmente a quella scelta progettuale va ascritta la singolare pianta trapezoidale assolutamente inedita nella produzione federiciana, ma che neUa fattispecie meglio aderisce al ciglio tattico del promontorio. Ne conseguì perciò un maniero i cui due prospetti principali appaiono di dimensioni diverse, il maggiore sul fronte a tcn-a cd il nùnore a mare. Immutate rimasero le connotazioni accessorie. quali le torri quadrate angolai·i e <li mezzeria, e la loro tetra severità accentuata dagli scuri conci lavici dei cantonali e dalle archeggiature ogivali. Ma laddove il protomastro accentuò la sua libertà creativa fu nel!' inserimento del dongione al centro del prospetto minore.

Formalmente quest'ultimo si presenta, pur tenendo conto dei molteplici interventi successivi, adattativi ed integrativi. come un tipico prodotto dell'architettura normanna, forse uno dei migliori, munito di possente scarpatura basamentale su tutti e quattro i lati. Va, inoltre. osservato che la scai-patura per il suo inserimento nelle cortine del castello svevo deve necessariamente supporsi antecedente allo stesso e, quindi alle anni da fuoco, emblematica conferma di quanto in precedenza supposto al riguardo. Nei rilievi del Negro<12 > redatti nel XVII secolo, il mastio domina ancora vistosamente la massa del castello, mentre al presente eccede di pochi metri le sue cortine ed ostenta, per giunta, un parapetto a profilo balistico con una cannoniera strombata per lato. Ovvio, pertanto, ritenere che la sua cimatura avvenne solo nel corso di quello stesso secolo, in notevole ritardo con la prassi, grazie alJ'avanzamento della linea difensiva sulla pendice del promontorio che lo poneva al riparo dai tiri d'artiglie1ia. Essendo la scarpa del don-

190 Mi lazzo , panoramic a gione alta circa 10 m , sui 14 residui , è credibile che lo stesso originariamente attingesse la trentina di metri , caratteristica che, tenendo conto della quota d ' impianto. doveva renderlo estremamente importante per i collegamenti a distanza con gli altri caposaldi della Sicilia orientale , spiegandosi così la riluttanza ad abbassarlo. Al presente è correntemente definito come ' toITe saracena ' o 'araba ' , appellativo che gli derivò più che dalla finalità, dal contes to in cui sorse, ovvero della conquista nom1anna dell ' isola dagli ::u-abim• .

In età aragonese, iniziatosi a manifestare pienamente il devastante ruolo delle artiglierie negli assedi, anche a Milazzo fu giocoforza procedere alla riqualificazione del castello. La soluzione adottata fu di tipo canonico, ovvero si circondò la vecchia opera con una possente muraglia scandita da mastodontici torrioni fortemente aggettanti verso l'esterno e la si chiamò, ovviamente, 'la cinta aragonese·. In realtà, però, più che di una cinta vera e propria, si trattava di uno sbar- ramento fortificato, correndo da un estremo all ' altro del promontorio, in maniera da isolarne la s ommità s u cui s orgeva il castello e su cui già svettava il dongione. Il restante perimetro non richiedeva nulla del genere in quanto naturalmente inaccessibile: per puro scrupolo lo si serrò. comunque, con una leggera murazione condotta in aderenza al suo ciglio, senza particolari accorgimenti interdittivi, ad eccezione di un paio di piazzole per artiglierie.

In dettaglio l'opera aragonese constava di una robustissima cortina, vistosamente scarpata per l'intera altezza, daUa quale fuoriuscivano , più del rispettivo raggio , cinque torrioni di notevole diametro, con basamento scarpato e corpo cilindrico. Su di essi nessuna traccia di coronam,ento , forse eliminato in seguito, forse mai costruito: la loro sommità è risolta da un parapetto a profilo balistico in cui si aprono diverse cannoniere fortemente strombate. La porta di accesso alla cittadel.la si ricavò in prossimità del versante settentrionale. fra gli ultimi du e torrioni impiantati apposita m en te a breve intera sse.

Sebbene il potez iam e nto aragonese vada asc1itto, co n buona probabilità, al co ntesto della g uerra otrantina, e comu nque in epoca posteriore a l 1470, l ' interesse di re Alfonso p e r Milazzo risulta di gran lun ga antecedente, esse ndo quel castello uno dei ve rtici del sistema Mess ina-Taormina-Siracusa, da cui ne] XV seco lo dipendeva il contro ll o d e ll ' intera isola . Un diplo ma del 1444, infatti, così lo certifica:

t;ALFONSUS DEI GRATIA ARAGONIS ET SICILIA REX.

AJfon so per grazia di Dio re d'Aragona e di Sicilia

Cons id erando dunque il sit o e la dispo sizione del luogo della Città di Milazzo, che è pross ima e di fronte ai nemici e cons iderando sopra ttutto come sovrasti il pericolo su Jl e altre parti indi fese dell'intero Regno: perciò, essendo nostra volontà p revedere e provvede re pèr il futuro, e poichè l a s uddetta argomentazio ne c i rende favorevoli aJla cus todi a ed al rafforzamento delle fortificazioni della s te ssa Milazzo , c he i naturali vo Jlero difendere intrep idamente e con fe 1mezza, crediamo e siam fenni su tal proposito. qui da noi attestato dal presente privilegio"11•>

La cinta arago nese no n fu l'ultimo avanzamento della line a dife ns iva d ella cittadella di Milazzo. Il rapidissimo progredire dell'artiglieria ne van ifi cò ben prest o l ' apporto , ad onta della sua imponenza. Agli inizi del XVI secolo s i stimò, pe11anto, indispensabile procedere ad una ulter io re riqualificazione del caposaldo La so lu zio ne escogitata , significativame nte, fu id entica: erigere un nuo vo sbarrame nto, questa volta bastionato, più avanzato, ma sem pre corren te da un estremo all'altro del promontorio in modo di poITe fuori tiro, tanto il dongi o ne quanto il castello e la stessa c inta aragonese. L' opera s i avviò a partire dal 1523 ed ebbe, l ogicamente, l a d efinizione di 'ci nta s pagnola '<75 , _ I l av01i s i protrassero p er c irca un a ve ntin a d 'a nni , sotto la dii-ezione . dell ' in geg nere militare Antonio Ferramolino.

Castel/aragonese, attuale Castelsardo

Un'altro interessante caposaldo riqualificato nel corso della transizione dagli Aragonesi, e che ricorda sia pure in tono minore jl precedente, è quello di Castellaragonese, già Castel Genovese , ed attualmente Castelsardo. Costituì a lun go il polo difensivo settentrionale della Sardegna, ed in quanto tale 1icevette per diversi secoli costanti cure ed attenzioni tese a potenziarne ed a migliorarne le fortificazioni Come la sua movimentata vicenda toponomastica sottintende, la costr uzione originaria va attribuita ai Genovesi , agli inizi del XD secolo, quando: " il castello e più tardi la ci ttà con la sua cinta fortificata, venivano elevati di fronte al mare , in una singolare e meravigliosa posizione, disposti quasi ad arco sulla vetta e sul ripido fianco di un promontorio , alta l 14 metri, a picco verso il mare e digradante verso la terra dove tende a formare un piccolo istmo.

È certo che la cinta fo rtifi cata raggiungeva il s uo massimo sviluppo molto tardi, giacchè, dal principio non vi doveva essere altro che il 'cas tello', circondato dalle case e dalle capanne, sotto la cui protezione erano state edificate ... " 1761

• Per quanto è ormai assodato furono i Doria a creare: " due punti d'appoggio da una parte e dall'altra di Sassari: Alghero e Castelsardo, dal semplice scalo di Fruisano. Le due rocche sì pensa, risalga- no all'incirca all'anno 1100: si tratta di realizzazioni rapide, che attestano una ferma volontà di colonizzazione e di intervento ... " <rn

Il sito d 'i mpianto di per sè già inattaccabile, uno scoglio di granito circondato quasi interamente dal mare, fu reso del tutto inaccessibile con opere concettualmente simili a quelle di Gaeta e cli Milazzo. Al pari delle due celebri piazze, anche Castellaragonese godeva di un sottostante approdo, la Cala di Frigiano o di Fruisano, che gli forniva il basilare accesso da mare, improbo da recidere in caso di assedio. Una pressocchè totale oscurità avvolge le prestazioni militari del1a minacciosa rocca durante i primi tempi de11a s ua esistenza. Di assedi, senza dubbio, ne avrà sostenuti diversi ma di espugnazioni, probabilmente, nessuna come l'immutata sovranità genovese lascia motivatamente presumere: dal che la consolidata fama di inviolabilità.

La conquista aragonese della Sardegna, attuatasi nel corso del 1323 , rappresentava la premessa indi spe nsabile per la restituzione della corona di Sicilia, secondo gli accordi di Anagni accettati da Giacomo II suo re '181 • L'impresa fu diretta dall'infante Alfonso, futuro Alfonso III-IV, il Benigno. I D01i a, i Malaspina, Sassari ed Ugone d'Arborea, consci della ineluttabile conclusione della vicenda, strinsero su bito accordi con gli Aragonesi, ottenendone un 1iconoscimento feudale.

Pisa, invece, affrontò il combattimento, ma soccombette rapidamente: Iglesias cadde il 7 febbraio del 1324, Cagliari si arrese il 19 giugno, e poco dopo la sfortunata Repubblica dovette cedere al re d ' Aragona ogni suo diritto sull'isola. Grazie alla lungimirante alleanza

Castel Genovese, restò nelle mani dei Doria, tant'è che gli stessi, in data 1336, ne accettarono gli statuti del borgo. Soltanto nel 1448 re Alfonso, dopo un asprissimo e lungo a s sedio , riuscì ad averne ragione strappandolo alla potente casata: per meglio sotto lin eare la rilevanza dell'evento lo ribattezzò Castellaragonese , nome che manterrà fino al 1767.

È probabile che la conquista: " sia avvenuta con notevoli danni e distruzioni ... [ma] la ripresa deve esse- re stata abbastanza facile , sia per la compatte z za del1' abitato in relazione alla limitata estensione, sia soprattutto per la posizione e le caratteristiche morfologiche del sito, fattori che avevano contribuito alla s ua fortuna ma anche all'inevitabile incapsulamento entro una forma urbana che richiama più il castelliere preistorico se non proprio il villaggio nuragico che la fortezza medievale. L' impressione che si ricava già all ' inizio del XIV secolo è quella di un borgo ordinato , praticamente autosufficiente entro le sue mura e il s uo territorio " (79) , P ertanto , quasi certamente, dall ' indomani della conquista iniziarono i lavori di ammodernamento e potenziamento dell'arcaico, ma coriaceo , fortili z io.

Si trattò, comunque, dj interventi integrativi , tipici della fase intermedia della transizione , poichè ben presto il ruolo di principale piazza fu acquisito da Alghero, con conseguente decadimento strategico di Castellaragonese. Nel 1543, infatti, i pochi abitanti del borgo lamentavano che le mura ormai si sg retolavano per vecchiaia ed incuria. Tuttavia l 'agg ravars i dell'incursività turco-barbaresca determinò l 'es igen za di mantenerlo ancora in servizio, dotandolo di un minimo di artiglieria, senza però aJcun ulteriore significativo intervento sulle fortificazioni.

Roma in una moschea; nessuno ignorava l e tenibili conseguenze della impreparazione. Pertanto come accennato, a partire dal 1481, s i avviò una radicale riqualificazione delle fortificazioni di Gallipoli , di Taranto e di Brindisi , in particolare, dove s i edificò s ull'i s ola di S. Andrea un forte a forma di grossa torre quadrata , chiamato Castello Ro sso<80 > Sempre alla stessa epoca , e per il medesimo fine, rimonta la costruz ione del Caste llo di Baia presso Napoli 1811 , a difesa del golfo di Po zz uoli , di cui il Sumrnonte nella s ua Cronaca dice:

La. mura zio ne aragonese di Napoli

Riconquistata Otranto il tardivo programma di rifortificazione del regno di Napoli fu alacremente portato avanti. Nessuno ormai reputava millanterie le ambizioni ottomane di trasformare anche S. Pietro in

" ... (Alfon s o Il) fè una fortezza sopra il porto di Baia per defenzione di Pozzuoli , la quale fin' à nostri tempi s i vede e s i chiama il Castello di Baia " '82 '.

Tuttavia, le motivazioni che costrinsero la dinastia aragonese a quell 'i mmane programma difen s ivo non vanno individuate esc lu s ivamente nella minaccia turca, che indubbiamente restava la principale, ma anche nella crescente ostilità della Francia di Carlo VIII, che non lasciava presagire un futuro tranquillo. Si spiega così che nel 1484 si avvertì impellente la necessità di provvedere a rifortificare la stessa Capitale'83 ' Pure in questo caso si seguirono identici criteri architettonici, sebbene logicamente su scala ben diversa e significativa: una sorta di ve1tice massimo della transizione.

Esauriti i complessi preliminari. con l'avvento dell'estate, la grandiosa fortificazione venne finalmente iniziata:

"Hoggi che sono 15 jugno 1484 si è posta la prima preta de le mura nove di Napoli con le tun-e, et s 'ei posta innaiui lo Carmine present.e la maestà dc lo signore re Fen-ailte, et lo capo dc delle mura e i messer Francisco Spiniello .' ""')

Così nella scarna cronaca del Passaro la descrizione della cerimonia della posa della prima pietra della erigenda murazione di Napoli. Al di là di alcune conte- stazioni sulla data del!' effettivo inizio dei lavori, può ritenersi certo che, nell'estate del 1484, con grande solennità e sotto la diretta supervisione del Re, si pose mano all'ampliamento della sezione orientale della cerchia urbana, a partire dallo 'spigolo del Caimine'. La fastosità della cerimonia meglio sottolineava la tilevanza della costruzione e, soprattutto, il suo ingentissimo onere: quasi trentamila ducati reperiti mediante l'imposizione di ulteriori gabelle.

L 'o pera, senza dubbio fra le maggiori del secolo in Italia, aveva avuto una lunga incubazione. Già nel 1463 infatti si era proceduto ad un ridotto ampliamento della tratta prospiciente la marina' 85 ' Ma , nei termini di un programma organico ed esecutivo, quale fu poi concretamente realizzato, non si può retrodatarla oltre il 1483.

La murazione di Ferrante era destinata a snodarsi lungo la direttrice Forte del Carmine-Castel Capuano-Foria. Po sta la prima pietra. e l'immancabile iscrizione comme- morativa dell ' avvenimento still a facciata del vecchio torrione dello Spero ne (s u ccess ivam e nte detto del Carmine per la vicinanza dell 'omonima chiesa), i lavo1i s i arrestarono per circa cinque mes i. La costruzione riprese nel novembre dello ste sso anno , quando iniziarono ad operare contemporaneamente diversi cantieri. Il Fo1te de llo Sperone, baluardo di rilevante importanza tattica, in quanto simm etrico del rinnovato ed aggiornato Castel Nuovo , fin} per e ssere incastonato fra i torrioni chiamati ' La B rava' e 'Trono'. Quest'ultimo costituiva il vertice di un angolo approssimativamente retto fra la direttri ce parallela alla marina e quella orientale. Poco o nulla risulta delJa tratta meridionale, ossia costiera: di s icuro all'inizio del l 500, prima quindi che fosse edificata quella vicereale ad occidente, essa esisteva con le relative p01te ed era oggetto di regolare manutenzione.

Alla fine del seco lo , tutta v i a. la murazione non era ancora totalm e nt e ultimata . La sezio ne orientale , utili zza ta int eg r a a nche nel s uccess ivo a mpliamento vicereale , ed alcune altre a nord e lun go la marina dovett ero essere fra quel l e portate a termine. Il co mple t ame nto del pe rim etro difensivo ebbe, per direttore dei lavori, Antonio Marchesi e s i ri so ls e proprio ne gl i ultimi mesi di reg no della din astia aragonese.

La direzione ini zia le , invece , seppur limi tatamente a ll a so la componente architettonica, era s tata sostenuta da Giuliano da Mai ano (1432-1490), se mpre sotto la sovrinte ndenza d e llo Spinelli. Gli succe sse il verone se Fra Giocondo<x 6) , rinomato tecnico , che ri sul t a operante a Napoli alla fine d e l 1489: a lui si de bbono, tra l 'altro , molti ss imi disegni reda tti per il trattato di arc hi tettura ed in gegneria militare di Francesco di G iorg i o Martini , che a partire dal 1491 compare ad intervalli regola1i a Na po li (lo s i era visto , co mu nque. fino a quel momento, con una ce rta frequ e nza , se bbene in maniera occasionale). Ciò l ascia fondatamen te supporre eh' eg li ab bi a av ut o un ruolo tutt 'altro che seco ndario nella progettazione e nella d irezione delle e rigende mura aragonesi. Confermere bbe l'a sse rto la s ua presunta presenza a Napoli in occasio n e della cer im on ia di po sa della prima pietra , come ri s ulta da cronache contemporanee. Non è, infine, da escludere che lo stesso duca di Calabria, abbia partecipato all 'ideazione <~11

La poderosa fortificazione, snodantesi originari amen te per quasi due chilometri, era costituita, in sintesi, da una massiccia cortina ad andamento rettilineo-spezzato , difesa da ben venti tonioni lungo la direttrice orientale, più uno lungo la marina, tutti di mastodontiche dimensioni, fuoriuscenti in saliente dal filo esterno della cortina. Un ampio e profondo fossato debitamente controscar pato, impediva l'ac- costamento alla muraglia; quattro ponti, in corrispondenza di altrettanti varchi, di cui tre a carattere monumentale , le famose porte del Carmine , Nolana e _ Capuana, ed uno di tono minore. detto di S. Sofia, assicuravano l'accesso alla città.

La struttura muraria deJla cortina s i componeva di una so lidi ssima massa passiva, con spessore oscillante fra i cinque ed i se tte metri , edificata impiegando blocchi di tufo giallo di estrazione locale, ben cementati. La sua faccia esterna era rivestita di una durissima corazza lapidea di basalto grigio, realizzata con conci parallelepipedi di circa cinquanta centimetri di spessore e di equivalente altezza, dispo s ti in corsi regolari magistralmente giuntati. Verticalmente, in stretta osservanza dei canoni martiniani , essa appariva divisa in due sezioni di cui l'inferiore scarpata, con discreto angolo di abbattimento, e la supe1iore, invece, perfettamente a piombo: in mezzo il redondone

Il diametro dei torrioni ostenta una vistosa escursio ne fra la decina di metri e gli oltre venti. La loro massa era interamente piena: cavi erano solta nto, e parzialmente, quelli che fiancheggiavano le porte. Le esigenze della funzione avevano imposto alcuni vani, dove erano aJJoggiati il corpo di guardia ed il presidio per la manovra della chiusura. Sulla terrazza di copertura di tutti i torrioni erano postate le artiglierie, al riparo de11a semp lic e merlatura, s ia pure di tipo più robusto, a merloni. di quella medievale. Tale di spos izione poco felice delle batterie difen s ive sulla 'piazza d'armi', ad un so l o o rdin e di fuoco scoperto, "in barbetta ' , è tipica della tran s izione ancora in capace di s fruttare a pieno i nuo v i armamenti. Questa valutazione è confermata dalla presenza in diversi torrioni di anacronistiche ca ditoie , utili esclusivamente per la difesa ravvicinata ed in netto contrasto. quindi, con quella a di s tanza imposta da ll e artiglierie: è in pratica un ultimo retaggio della guerra ossidionale dei seco li precedenti.

Il coronamento dei merloni non presenta criteri di uniformità: infatti in alcuni è sorTetto da una teoria di archetti poggianti su mensoloni che fuoriescono dal corpo cilindrico dei torrioni, dietro i quali si aprono le famose caditoie: in altri, invece, ampi lastroni aggettanti sostituiscono gli archetti, formando così una sorta di ballatoio, completato sempre dai merloni. In que- sf ultima configurazione manca il secondo coronamento torico ritenuto, logicamente, inutile. Le significative differenze potrebbero essere imputale sia ad un adeguamento alle rapide evoluzioni tec1ùche, che si andavano elaborando mentre la murazione era in corso, sia più semplicemente al diverso avviso dei vari tecnici che nel tempo diressero i lavori.

Dei ventuno torrioni aragonesi ne restano oggi soltanto quattordici, più o meno deturpati e fagocitati da una squallida edilizia abitativa. Della poderosa cortina soltanto radi lacerti di poche decine di metri, e per giunta I imitatamente alla sola sezione scarpata, ci permangono, anch'essi molto manomessi ed alterati. Sono scomparsi del tutto i I fossato, che doveva misurare oltre venti metri di larghezza ed almeno sei di profondità, ed i ponti antistanti alle porte. Identica sorte per l'ampia strada di circonvallazione interna, che assicurava la perfetta agibilità della fortificazione, il munizionamento e la manovra delle artiglierie. Essa formava, inoltre, una vistosa fascia di rispetto, che impediva, o meglio avrebbe dovuto impedire, il progressivo costipamento delle difese da prute dell'edilizia civile. Le strutture murarie delle porte Nolana e Capuana ci sono pervenute fortunatamente abbastru1za integre: quella del 0U"mine, invece, fu vandalicamente demolita nel secolo scorso.

Della quarta, la cosiddetta di S. Sofia, riesce difficile persino stabilire l'ubicazione, che doveva approssimativamente essere nelle immediate vicinanze del ton-ione ' S. Michele ' , sull'attuale via Rossarol.

A proposito dei torrioni, abbiamo precedentemente sottolineato la variabilità dei loro diametri, che doveva però necessariamente 1ientrare anch'essa in una logica strutturale di stretta osservanza dei dettami dell'ingegneria militare. I criteri di dimensionamento per l'epoca in questione , come accennato, possono essere ricondotti fondamentalmente a due. Il p1imo di essi vede il diameu·o funzione dell'angolo esposto, il secondo funzione dell'aimamento. Nel nostro caso deve essere stato adottato senza dubbio il primo, poiché non si riscontra dalle dimensioni dei torrioni e dalla loro posizione planimetrica alcuna significativa logica di armamento. Analogo discorso va fatto per gli interassi dei tonioni, la cui escursione esula da qualsiasi plausibile scopo difensivo. Infatti essi non sono costanti, come sarebbe stato normale in una fortificazione perimetrale urbana di questo tipo: dai 55 m dei segmenti cli cortina compresi fra i torrioni Duchesca-S. Efremo-S. Giovanni, si passa agli oltre 150 fra 'Fortitudo ' -'Fedelissima'-'Cara Fè'. Jn generale si osserva un addensamento a nord di porta Nolai1a, fino al torrione ' S. Michele'. Nei primi 300 m, fra le p01te del Carmine e Nolana, ad esempio. ve n ' è uno solo, mentre nei successivi 450 se ne contano ben cinque.

Anche a carico del tracciato, lungo cui si snoda la fortificazione aragonese, è possibile riscontrare I' identica discontinuità rilevata per gli interassi dei torrioni. Infatti, rifacendoci alla planimetria, possiamo osservare che, mentre le tratte di cortina a sud di porta Capuana sono perfettamente rettilinee ed allineate (chiaro indice, se non altro , di una predeterminazione e libertà coerentemente perseguita in fase esecutiva) a nord di essa la situazione è completamente diversa. Più che di un allineamento , sarebbe esatto parlare di una spezzata casuale, priva di ogni appiglio teorico di natura militare, quale, ad esempio, l'aderenza al ciglio tattico od al tracciato a salienti e rientranti. Si deve pertanto dedurre che la murazione, almeno nella sua tratta settentrionale, fu pesantemente condizionata da favoritismi ed interessi privati , oltreché da complessi edilizi inamovibi1i<881 •

Un'ultima significativa osservazione è possibile compiere sulle mura a partire dall'undicesimo torrione, 'Partenope', dove si manifesta una deviazione della direttrice, che viene quasi a fonnare un doppio salien- te con una rientranza nella quale è ubicata oculatamente la porta Capuana. Pur essendo una disposizione difensiva altai11ente valida e funzionale non può essere considerata un sicuro prodotto della concezione fortificatoria delJ ' intera opera, non 1iscontrandosi niente del genere per le altre tre. Tuttavia, proprio in virtù di questa efficacissima disposizione planimetrica, il terreno immediatamente ad essa antistante risulta essere battuto dal tiro incrociato di cinque torrioni, esempio precursore dei prossimi orientamenti in materia di architettura militare rintracciabili nel fronte bastionato.

La muraz ione aragonese alla prova d el fuoco

Appena undici anni dopo l'impostazione, nel 1495, la murazionc napoletana ebbe il suo battesi mo del fuoco, o per l'esattezza, avrebbe dovuto averlo. Per le vaste conseguenze che l'avvenimento produsse nel campo dell'ingegneria militare si trattò di qualcosa di più: il confronto fra l'estremo perfezionamento delle fortificazioni di transizione e la nuova artiglieria di cui era dotato l'esercito di Carlo VIII 189>

Com'è noto, il 2 settembre 1494 il re francese varcava le Alpi con la sua 'multinazionale ' armata. Il 5 era a Torino; il 25 dicembre a Roma. I Napoletani verso la fine dell'anno si ritirarono, prudentemente, a difesa del loro confine militare.

Ma in gennaio le sorti del conflitto apparvero decise: l'Abruzzo era perso definitivamente ed il 21 dello stesso mese il re Alfonso fuggì in Sicilia. dopo aver abdicato in favore del figlio. La mitica artiglieria francese ancora non aveva avuto modo di estrinsecare la sua potenza. Si deve attendere il 9 febbraio quando, su ordine dello stesso Carlo, venne assalito il Castello di San Giovanni, minacciosa fortezza sulla linea del Liri, che, appena pochi anni prima, aveva vittoriosamente resistito ad un assedio protrattosi per sette anni.

Dopo quattro ore di cannoneggiamento la cortina cedette sbrecciata e spianata in almeno tre punti. frustrando ogni ulteriore difesa. Un'altra ora ancora e tutto fu finito: i settecento uomini della guarnigione giacevano massacrati. [I pan.ice dilagò: Capua si atTese il 18 febbraio, non osando opporsi. Lo stesso accadde a Napoli, dove il 20 l'avanguardia francese entrò senza aver sparato un colpo. Il 22 Carlo VITJ sfilò per la città dopo il solenne ingresso alla testa della sue truppe da Porta Capuana, abbastanza simile-ironia della sorte-ad un arco di trionfo.

Il tempo storico delle mura aragonesi era irreversibilmente scaduto. Con una cadenza di fuoco di due colpi l'ora i grossi cannoni d'assedio, in grado di sparare addirittura al di fuori della gittata del tiro di controbatteria, in meno di mezza giornata avrebbero potuto, agevolmente, sgretolare ampi tratti della fortificazione.

A Napoli la murazione ru·agonese non subì alcun smantellamento: sopravvisse restando in un certo senso i I monumento di se stessa.

La d(fesa costiera aragonese

Le apprensioni aragonesi su possibili ulteriori aggressioni ottomane, intorno alla fine del XV secolo, non erano affatto immotivate, non manifestandosi la benchè minima attenuazione della spinta espansiva islamica. Le sue terribili incursioni, infatti, si abbattevru10 ormai anche su località ritenute geograficamente sicure e militarmente protette, come ad esempio il Friuli, abbastanza lontano dalla sponda del!' Adriatico , da secoli considerato l'inviolabile golfo di Venezia. Al riguardo le: " prime vere minacce si ebbero nel giugno 1499, col guasto del territorio di Zara. Pure i provvedimenti difensivi furono lenti e scru·si. L'attenzione del Senato era troppo assorbita dal teatro di guerra milanese e da quello sud-orientale, ove nell'agosto cominciavano presso Modone le ostilità! Ai 3.000 uomin.i del presidio di Gradisca si aggiunsero 1.300 cavalli, e solo all'ultimo, con l'acqua alla gola, dall ' occupata Cremona si fecero partire altri 600 cavalli e 1.000 fanti che non poterono giungere in tempo... Il 28 settembre la tempesta ottomana, da 7 a I 0.000 uomini, si rovescia sul Friuli. Il provveditore veneto Andrea Zancati non osa uscire dalla ben munita Gradisca e i Turchi possono dilagare indisturbati fino alla Livenza ... [el dopo aver distrutto ben 132 villaggi e aver uccise o fatte prigioniere I 0.000 persone, possono il 15 ottobre ripassare indisturbati l ' Isonzo ... " 1<xn _

Se questa era, alla fine del '400, la situazione ai piedi delle Alpi ed alle spalle delle temutissime navi veneziane, è agevole immaginare quale dovesse essere lungo i litorali più a sud, dove non esisteva alcuna flotta propriamente detta, a poche decine di miglia dalla sponda ottomana. A rendere ancora pi C1 tragica l 'esposizione, contribuiva la crescente offensiva dei corsari barbareschi nordafricani che da Algeri, Tunisi e Tripoli, con una pletora di imbarcazioni , si producevano in inces s anti razzie. Per tentare, se non altro, di arginare il teITore e la desertificaz ione delle marine gli Aragonesi si videro costretti ad adottare un sistema di torri costiere, posizionandole, come già gli Angioini due secoli prima , in corrispondenza dei siti più a rischio. A differenza, però, di quelle e delle tante altre coeve, i nuovi caposaldi erano, finalmente, in grado di interdire attivamente gli sbru·chi, mediante le artiglierie , rivoluzionando il concetto stesso di ' difesa costiera'. Infatti sino ad allora: " .l'idea di colpire e disorganizzare il nemico prima che sbru·casse non era presa in considerazione, poichè non esistevano armi a lunga gittata che potessero assolvere questo compito .. .la presenza di un'artiglieria relativamente affidabile, capace di colpire a qualche centinaio di metri di distanza, rendeva possibile danneggiare, e persino affondare, un'imbarcazione prima ancora ch'essa fosse in grado di iniziare le operazioni di sbarco ... Se a questo primo vantaggio si aggiunge quello di una piattaforma di tiro ... stabile ... ce n'è abbastanza per fare della difesa costiera mediante batterie d'artiglieria una tattica difensiva formidabile , che durò a lungo, fin quasi ai nostri giorni. " 191 >

Ovviamente la dimensione dei pezzi non riusciva assolutamente compatibile con le snelle torri precedenti , per cui fu indispensabile progettarne, ed erigerne, di apposite anch'esse sostanzialmente coerenti con i cru1oni della transizione. Comparvero perciò dei mastodontici torrioni, quasi dei fo1tini a pianta circolare, cospicuamente armati, ma per il loro ingentissimo costo, di numero necessariamente limitato. fn ogni caso costituiscono una basilare tappa della difesa costiera. ed anticorsara, presente lungo le marine italiane.

Il torrione di Basa

Un interessante esempio del genere si rintraccia poco più a sud di Castelsardo, per l'esattezza a Bosa, presso la foce del Temo, dove domina con la sua enorme massa cilindrica l'estremità rocciosa di una lingua di sabbia, protesa nel mare per circa 400 m. Al l'epoca della costruzione il piccolissimo promontorio appariva nettamente staccato dalla terraferma, essendo ancora l'Isola Rossa. Circa la precisa collocazione cronologica della fortificazione, sebbene venga correntemente attribuita al cinquecento, è più sensato ravvisarla nell'ultimo scorcio del XV secolo, o, al più tardi, nei primi anni del successivo. Conforta tale supposizione la vicenda dell'ostruzione del Temo attuata, nel 1528, quale estrema difesa contro la paventata risalita del suo corso da parte delle imbarcazioni francesi. 11 rimedio, si dimostrò ben presto peggiore del male: il fiume, infatti, si impaludò irrimediabilmente m> privando la cittadina del suo porto-canale, approdo abituale delle coralline, e fonte di cospicui introiti. Impensabile, pertanto, che in un contesto cosl degradato si sarebbe innalzata un'opera di tanta imponenza, in gran parte a spese degli abitanti limitrofi. Del resto le connotazioni architettoniche sono al riguardo inconfondibili. La scansione volumetrica rispecchia perfettamente i canoni martiniani , con basamento scarpate e terrapienato, cornice torica, corpo cilindrico ed una caditoia sull ' ingresso.

L'acces so al piano agibile, posto al di sopra del redondone, avveniva mediante una scala volante e s terna, attraversando un doppio ordine di serramenti con intercapedine di sicurezza. In dettaglio un portone all'esterno. sormontato da una vistosa bertesca, e, dopo un risicatissimo veslibolo a sua volta dominato da una piombatoia ricavata nell'enorme spessore del muro. una saracinesca all'interno.

Nel vasto locale la pianta da circolare diviene ottagona con, al centro di ogni lato, una profonda e strombatissima troniera, per selle pezzi di piccolo calibro, essendo l'ottavo vano occupato dall'ingresso. Si tratta in definitiva di una enorme casamatta ad otto appostamenti, ridondanza consentita soltanto dal rilevante diametro del torrione. Per lo stesso motivo. però. non era adottabile una coperlura formata da una volta a calotta. troppo debole per sostenere le sollecitazioni statiche e dinamiche impresse dai grossi calibri che avrebbero dovuto istallarvisi sopra. La loro presenza è certificata dalle sette cannoniere in barbetta, a doppia stromba mm, ricavate nel massiccio parapetto: r ottava è sostituita deJl'imbocco della piombatoia e della bertesca. La soluzione elaborata consistette nel suddividere rintcro ambiente in otto spicchi uguali, ciascuno dei quali concluso da una volta a vela triangolare, convergente su di un grande pilastro centrale, anch'esso ottagono, sul quale scaricava. L'insieme determinava una struttura estremamente solida e compatta, eseguita con eccezionale maestria.

Al livello dell'imposta delle vele si scorge ancora una teoria di gattoni destinati a sorreggere un impalcato ligneo che suddivideva ve1ticalmente il locale in due ambienti, riservando la parte superiore ad alloggio della guarnigione e quella inferiore alla batteria. Un grosso camino. le cui tracce sì scorgono sul pilastro, fungeva da cucina e da riscaldamento nonchè da indispensabi l e complemento per il servizio ai pezzi. L'accesso alla piaaa d'armi somnùtale avveniva attrave rso una scala ricavata ne llo spessore del muro.

Dal punto di vista offensivo i l torrione di Bosa si conferma quasi isotropo. La leggera, ed ineliminabile, asimmetria relati va al vano d'ingresso ed alla bertesca, fu orientata verso terra, da dove l'offesa si presumeva trascurabile.

Assurdo, pertanto. tentare di attaccarlo da mare esponendos i al tiro senza dubbio più preciso e pesan- te dei suoi pezzi. E forse proprio per la comprovata validità si ricavò da quella tipolo gia una variante di dimensioni appena più modeste. e quindi meno costosa, da sc hierare sia nel regno di Napoli, sia di Sicilia, s ia in Corsica. Proprio una di siffatte torri fu protagonista. alla fine del '700, di un singolare episodio che ne attesta ulteriormente la perfetta rispondenza alla funzione.

La Torre aragonese di Punta delle Mortelle

La Corsica rientrò per un lungo periodo nei possedimenti aragone s i, ricevendo perciò anche lei alcune torri anticorsare nei sit i più a rischjo. Tra questi il piccolo centro di S. Fiorenzo, affacciato sull'omonimo golfo alla base della penisola di Capo Corso, dove fu eretta a Punta delle Mortelle.

Nel corso delle ostilità tra Francia ed lnghilte1Ta, successi ve alla Rivoluzione, il 7 febbraio del 1794, comparvero dinanzi alla ormai vetusta torre due unità da guerra britanniche , per resattezza I' HMS Fortitude e I' HMS Junio armate rispettivamente di 74 e 32 pezzi, agli ordini di lord Hood. Senza frapporre indugi, accertatesi che la ton-e era presidiata da alcuni so ldati francesi, le due navi aprirono un micidiale fuoco di bordata. Ciascuna di esse constava di 16 palle da 24. 29 da 18 ed 8 da 12 , che con micidiale frequenza si abbatte- vano sulla to1Te. Già la semplice tenuta strutturale confermava a tre secoli di distanza l'ottimale dimensionamento passivo del manufatto. Ma, da un certo momento in poi, non fu quella la caratteris tica che più sorpre se gli attaccanti.

222 Crotone: torre Meli ssa.

La guarnigione di Punta Mortella, infatti , dando prova di temerario sprezzo del pericolo, brandeggiando l'armamento principale, un pezzo da 18 libbre, e quello seco ndario, un'altro da 6 , ed impiegando palle roventi si produsse in un terribile controtiro. I tragici riscontri non si fecero attendere: dopo poche salve di aggiustamento, s ulle due fregate gli allibiti comandanti dovettero lamentare l'uccis ione di 6 uomini e d il ferimento di 54. [ danni alle unità, poi s i incrementavano colpo dopo colpo, la sciando presumere che l'insistere nel duello avrebbe messo a repenta glio la sicurezza delle stesse. Con immaginabile umiliazione venne dato l'ordine di sospe ndere il fuoco e di al Iargarsi 193 >

Nei mesi successivi i tecnici dell ' ammiragliato studiarono l'accaduto, ed in particolare la torre, che con britannica noncuranza era nel frattempo divenuta Torre Maitello, ricavandone un prototipo da impiegare, a loro volta, nella difesa costi era. Pochi anni dopo, nel 1798, d'ordine del luogotenente Stuart, ne fu munito il litorale della Britannia: l'alto ufficiale era uno dei due comandanti di Punta delle Mortelle!

Dal 1805, le ormai noti s sime torri Marte llo : " ...divennero l 'ele mento fondamentale del piano di difesa costiera britannica: ben 73 ... erano state costruite entro il 1808 , a protezione delle coste meridionali dell'isola. Quasi su bito dopo venne avviato un analogo programma relativo alle coste orientali, che portò alla costruzione di altre 29 torri ... Quando nel l 812, cessarono i lavori, la costa della Gran Bretagna era protetta da una catena di 103 torri costiere, che si esten deva da Aldemburgh, nel Suffolk, fmo alla foce del Conde, nell'Essex, e da Folk:estone, nel Kent, fino a Seaford, nel Sussex ... " <94 >

Negli anni successivi le ton-i Martello si eressero lungo tutte le coste dei domjni britannici, dal Sudafrica, all'India, al Canada. Del dimenticato spunto aragonese conservavano oltre alla forma, a tronco di cono, il pilastro centrale sulla cui sommità, fuoriuscente nella piazza di copertura, era imperniato il sottaffusto del loro unico pezzo da 50 libbre. Anche in Sicilia intorno al 1810, nel corso dell'esilio di Ferdinando di Borbone a Pale1mo sotto la protezione della flotta britannica, ne vennero edificate alcune. Fra queste, la torre di Magnisi, presso Augusta , senza dubbio la meglio conservata, pur avendo in qualche modo partecipato alla di Leuca , nel comune di Castrignano del Capo, ed è ricordato con il curioso nome di Torre Uomini Morti , probabile deformazione di Domini Morti. La fortificazione è m enzio n ata in tutta la cartografia cinquecentesca, in diversi documenti, nonchè sulle mappe ottomane di Piri Rai s(96 > , riscontro ulteriore della sua supposta origine ed epoca.

Seconda Guen-a MondiaJe(95 > .

In dettaglio la: " ... torre ha dimensioni cospicue ed è anche torre di difesa. Ha base troncoconica di diametro 30 metri circa, rappresenta quindi una torre eccezionale a difesa dell'abitato, con caratteristiche particolari delle ton-i martello. Nel basamento so no aperte quattro cannoniere. Sopra il toro, a circa quattro metri da terra, il corpo cilindrico e su lla cupola di copertura del piano connoniere, sono i merloni per l'appostamento artiglierie sul terrazzo ... "< 97 )

A differenza di quella di Bosa, toITe Uomini Motti non ha alcun pilastro centrale: al suo posto un foro , soluzione che essendo destinata ali' evacuazione dei gas di sparo, lascia suppoITe anche per lei la posizionatura dei pezzi sia all ' interno, come in una grande casamatta, sia sulla piazza. Il suo stato di serv1z10 appare sorp rendentemente lungo, cessando soltanto dopo il 1830.

L'abbazia fortificata delle Tremiti

Un altro torrione aragonese della fine del XV secolo è quello che si osserva nei pressi di S. Maria

Come in precedenza accennato, qualsiasi struttura residenziale, specie se ubicata in vicinanza del mare, a partire dal XIII seco lo dovette debitamente fortificarsi. aggiornando le sue difese, nei secoli successivi, per continuare ad esistere. A tale stringente nece ss ità non sfuggirono, ovviamente, nemmeno i monasteri e le abbazie, tanto più se eretti s u scogli lontani dalla teITaferma, come quella di S. Maria al Mare sull'isolotto di S. Nicola, dell'arcipelago delle Tremiti , la cui superficie è di circa 4,5 kmq, appena 450 m per 1600! Le s ue coste sono, quasi per l'intero circuito alte ed a picco s ul mare , formando una sorta di piattaforma soprelevata di 70 m: un unico approdo verso Sud-Ovest, peraltro di mode st issima entità.

La presenza di un monastero benedettino a San Nicola è accertata sin dai primi anni del X secolo , ma per lo scadimento della disciplina, nel 1237 , il complesso fu trasferito ai Cistercensi, che ne avviarono subito l'ampliamento. Nella circostanza, per esplicita volontà di Carlo d'Angiò, provvidero pure ad incrementarne le difese. In particolare: " si progettò allora di tagliare , isolandola, la parte fortificata dal resto dell'isola.

L'abbazia divenne così una fortezza inespugnabile. Tutlavia dopo vani tentativi, i pirati dalmati, all' i - nizio del XIV secolo, riuscirono a penetrare nell'abbazia con I' inganno <QS) ed a saccheggiarla. Dopo il saccheggio l ' abbazia rimase abbandonata fino a quando, nel 1412, Gregorio XU la diede in consegna ai Lateranensi. Con essi l'abbazia tornò ad essere ricca e potente , venne restaurata ed abbellita. Le fortificazioni angioine vennero riparate ed ampliate ed aumentò notevolmente il numero dei torrioni di difesa ... " 1991

In dettaglio, la fortificazione quattrocentesca , tipicamente di transjzione , si sviluppa lungo un peri- metro di circa 800 m , senza mutare l'impostazione angioina e se nz a demolirne le opere che vengono so ltanto integrate con nuovi caposaldi.

Il primo di questi è un torrione posto ad interdizione del porticciolo , nelle cui adiacenze è il portal e d ' ingresso , detto Prima Porta.

Da lì , attraverso rampe sc hermate da un cortina forata da una teoria di fu c iliere, s i raggiunge la Torre del Cavaliere del Crocifi ss o, munita di piombatoie s ui sottostanti pas s aggi.

La salita prosegue ancora fino alla parte s uperio - re dell ' isola dove è impiantato un altro torrione detto ' del Penne ll o', anch'esso munito di tre piombato ie per l ' interdizione d e ll'acces so. Per raggiungere: ··... la part e più alta delle fortificazioni chiamate «il Cannone », perchè i vi erano po s tate le artiglierie , la strada si trasforma in galleria e sbocca in un v icoletto e poi s ulla piaz ze tta detta «il Montone » . Proseg uendo lungo l ' attuale corso Roma s i arriva al «Forte del Cas tello » o «C a s tello della Badia», ai cui lat i si congiungono le mura che circondano l ' isola ... ,,, ,001

234 Tremiti: l'estremità dell'isola.

I sovrani aragonesi concessero continui privilegi ali' Abbazia, al punto che la sua giurisdizione si estese anche alle prospicienti coste sulla terraferma.

La validità delle fortificazioni fu dimostrata dal fallito attacco turco del 1567: il che non impedì il successivo rapido declino del complesso che. dopo il 1737 sotto i Borboni , divenne proprietà demaniale, mentre la sua comunità religiosa venne del tutto soppressa nel 1782. Nel decennio successivo le vetuste mura si trasformarono in colonia penale.

Verso la fìne della transizione: la rocca di Ostia.

La noti zia della tragedia di Otranto raggiunse in pochi giorni anche Roma, che se da un parte si sentì sollevata per non essere stata lei, almeno in quella circostanza, l'obbiettivo dell'attacco, dalr altra realizzò pienamente la sua vulnerabilità attraverso la risalita del corso del Tevere. L'esigenza di frustrare definiti vamente la ten-ibile minaccia provocò la costruzione di un'opera che è ritenuta, per molti aspetti, l'ultima esponente della fortificazione di transizione e la prima, larvata, rappresentante di quel la bastionata: la rocca di Ostia. Pochi anni dopo il vicino fo11e di Nettuno ne sarebbe stato, a pieno titolo, l'indiscusso capostipite. Paradossalmente lo Stato militarmente più insignificante, disorganizzato ed arretrato si dotò allora, forse incon sciame nte, delle opere difensive più evolute. La straordinaria rilevanza dell'episodio nella storia della fortificazione obbliga ad indiv iduarne meglio l'autore. anche a costo di una breve digressione.

Prob abilmente già nell'autunno del 1480, a llorquando fervevano i contrattacchi miranti a scacciare i Turchi da Otranto, il vescovo di Ostia, iI cardinale Giuliano della Ro vere, futuro papa Giulio II. nipote dell'allora pontefice Sisto IV, al seco lo Francesco della Rovere, dando indubbia prova delle sue spiccate attitu- dente contraddizione con la supposta reazione emotiva. Già dal 1479, infatti, era perfettamente nota, e costantemente spiata, la grandiosa formazione navale che si stava allestendo a Valona in vista di un massiccio attacco alla crìstìanità11 03 i Meno nota, invece, la sua precisa destinazione, repuntandosi la Puglia soltanto il più facile ed ovvio bersaglio ma non certamente l ' unico o il principale, imperando sempre lo spettro di un'invasione diretta contro Roma. In tale contesto la notizia della conquista di Otranto avrebbe trovato i lavori della fortezza iniziati e febbrilmente portati avanti. La scampata incursione dal Tevere, probabilmente, consentì un insperato rallentamento della fabbrica, resosi peraltro necessario per una più accurata ponderazione dell 'o pera. Potrebbe spiegarsi così la strana incertezza circa la paternità inventiva della stessa, attribuita correntemente a Giuliano da Sangallo ed al cardinale Giuliano della Rovere. Più precisamente sembrerebbe potersi scartare la tesi che vorrebbe conciliare tale duplicità sostenendo che: " ... fu costruita da Baccio Pontelli su disegni di G. da Sangallo, con pianta triangolare, due torri circolari e un gran torrione trapezio posti ai vertici. Una delle nostre prime realizzazioni bastionate. " 1104 ) dini e competenze militari, si assunse il duplice onere, propositivo e finanziario, dell'edificazione di una modernissima e possente fortezza in grado di chiudere l'accesso a l corso del Tevere. Sarebbe so rta perciò in adiacenza del borgo di Ostia, nello stesso sito di una vetus ta torre<IO ll_

La fortezza o forse meglio la rocca per la estrema importanza che le si attribuiva ai fini ostativi la si volle di costruzione totalmente nuova, e rispondente ai più ava nzati canoni dell'architettura militare. Per alcuni studiosi, però, l'iniziativa deve collocarsi nel 1479, ovvero un anno prima dell'attacco ad Otranto, su istanza del cardinale Estouteville e su progetto di Baccio Pontelli u021

• La tesi non appare nè incredibile nè in stri-

In realtà le torri circolari sono tre, tutte di identico diametro, ma non di identica altezza: una di esse, infatti, sovrasta notevolmente le altre due e solo alla sua base si distingue il famoso baluardo trapezoidale. Ora un simile impianto appare nel 'Taccuino' di studi di Giuliano da Sangallo, con l'unica differenza che il triangolo è equilatero, ed il torrione si trova in posizione baricentrica. La evidente anomalia porta ad escludere l'ipotesi di un progetto teorico e di una realizzazione pratica di due distinti architetti, in quanto in tal caso la rocca sarebbe stata una deformazione arbitraria e pasticciata della traccia del famoso maestro, in nessun modo giustificabile. È invece molto più sensato ritenere che, complice la fretta, intorno al torrione esistente, forse l ' attuale mastio della rocca, fosse avviata la costruz ion e dì una fortezza triangolare, adattandola, per quanto possibile, al terreno ed alle preesitenze tra le quali il ricordato borgo. Soltanto in un secondo momento, quel- lo del dopo Otranto, per lo scadere della tensione, e per i risultati non certo brillantissimi, si sollecitò I'intervento dell'illustre ingegnere

Il Guglielmotti trascrive, nella sua opera, enfatizzandone il contenuto, la lapide posta sul mastio: " ... in un lastrone di marmo bianco ad alti e bei caratteri, dalla parte meno esposta alle offese degli esterni nemici. La leg genda, copiata su l posto, e corre tta dagli errori di altre stampe, dice così:

«Giuliano da Savona , cardinale ostiense, a protezione del mari/timo commercio, a difesa della ca mpag na romana, a g uardia della c ittà di Ostia , ed a s icurezza delle bocche del Teve re, questa ro cca, cominciata dalle fondamenta in t empo di Sisto quarto pontefice massimo, e suo zio, condusse a co mpimento, semp re a spese sue, sotto il s uccessore Innocen zo ottavo pontefice massimo; e la c ircondò con le acque del fiume, l'anno della umana salute 1486; dalla fondazione di Ostia 2115, da Anca fondatore d ella città 2129». " o os;

Nella solenne epigrafe s i rintraccia il primo gruppo di affermazioni, ovvero che la rocca fu ultimata nel 1486 , che fu iniziata s otto Sisto IV, che fu realizzata ex novo, e che fu pagata dal cardinale Giuliano della Rovere.

A partire dagli inizi del XV secolo, per l 'esattezza sotto il pontificato di Martino V, fu introdotta nello Stato Pontificio l'usanza di coniare, in coincide nza con la festa di S. Pietro, una particolare medaglia destinata a celebrare l 'evento principale avente per protagonista il vigente papa, nel trascorso anno. Alcune di queste, conferma della vitale importanza assurta dalla fortificazione costiera , ebbero proprio tali opere per soggetto, in particolare la: " ... prima venne coniata da Sisto IV ( Della Ro vere 1471-1484) e ricorda i lavori di restauro di una preesistente torre costruita da Martino V e di completamento intorno ad essa del castelo di Ostia, eseguiti da Baccio Pontelli negli anni 1483-1486 per incarico del vescovo di O stia, card. Giuliano della Rovere, nipote del pontefice, il futuro papa Giulio II. Nel rovescio è rappresentato il castello lambito dalle acque del Tevere. Intorno entro il bordo perlinato, gira la leggenda IUL. CARD. NEPOS IN OSTIO TrBERIN0. "< 106 > Il

Guglielmotti a sua volta indiv iduò anche una seconda medaglia , dedicata esclusiva m ente allo stesso cardinale della Ro ve re , e precisa che entra mbe: " .le medaglie nella seconda faccia mostrano il prospetto della stessa rocca, dalla figura triangolare, dal baluardo a cantoni sul vertice, da' due torrioni alla base, e dagli altri particolari intorno al fosso, al fiume, e simi li Dunque iscrizioni e prospetti, bronzi e marmi , confermano la data certa del di seg no pel 1483 ... " <101i Ecco allora una seconda data certa entrare nella questione, non più il 1479 ma il 1483, perfettamente corrispondente alla supposta migliore riflessione del dopo Otranto. La novità del baluardo a can toni , il primo del genere nella sto ria dell'architettura militare , immediata premessa del bast ione , ci costringe ad approfondire ulteriormente la questione del progettista. Il Vasari ci tramanda una precisa richiesta, giunta ed accettata dal Sangallo, in questi termini:

" Mentre adunque lo l avorava lun mod ello architettonico di un pala zzo s ignorile], il Cas tellano di O s tia, vescovo allora della Rovere ... volendo acconciare e mettere in buono ordine quella fortezza , udita la fama di Giuliano , mandò per lui a Fiorenza, ed ordinatoli buona provvi s i one, ve lo tenne due anni a farv i tutti quegli utili e comodità che poteva con l 'arte s ua "0 08 >

Le parole del Vasari sembrerebbero inequivocabilmente confermare che, come ipotizzato, il Sangallo non fu il primo costruttore della fortezza, ma il suo ' ottimizzatore' sta nte le non po s itive caratteristiche conseguite. Forse si volle con il s uo intervento superare la se mplicis tica impostazione tradizionale e fornire, appunto, alla rocca il massimo di modernità che so lo il rinomato tecnico poteva apportare. Di certo dalle cronache contemporanee apprendiamo, nella trascrizione del so lito Guglielmotti, che:

" Domenica addì nove di novembre s ull 'ora di vespro, l'anno 1483, il pont e fice Sis to IV co l cardinale Giuliano della Rove re vescovo d'Ostia, col cardi na l Rodrigo Borgia vescovo di Porto, e co l cardinal Girolamo B asso di Sa vo na, a bordo del bucintoro(IO'» , e scortato dalle galée e dai brigantini della guard i a co ns uet a del Tevere scioglieva dalla ripa di san Paolo, ed a seco nda del fiume navigando, approdava in men di tre ore ad Ostia. Per quella riviera trattenevasi quattro giorni, insino alla sera del dodici, diligentemente rivedendo ogni cosa...

Bravi quivi ad opera il celebre Giuliano da Sangallo per acconciare sul terreno nel proprio sito i disegni già fatti ed approvati in Roma " <11 0' vamente prutendo da quello parallelo alla costa m. 20, e quindi m. 23 per quello parallelo al corso del fiume, ed ancora m. 18 per quello che contiene la porta d'ingresso protetta dall'antistante autonomo rivellino. Dal fondo del fossato le citate cortine si innalzano di circa m. 12, in parte scarpate ed in parte appiombate, separate dal caratteristico cordone torico, ripattizione concorde anche nel corpo dei torrioni, innestati in corrispondenza di ciascun vertice, ed a pianta circolare di m. 15 di diametro. La muratura, in corsi regolari di mattoni cotti appare di ottima fattura, con uno spessore, pieno, di m. 5. Al di sopra della sezione verticale si impianta l'apparato a sporgere supportato da beccatelli ed archetti, sormontati, a loro volta, da una regolare merlatura di tipo guelfo. Alla base degli ' intermerli' sp ic cano accurati conci di pietra calcarea bianca, più propriamente 'scudi', nei quali si ricavarono delle feritoie archibugiere dalla standardizzata forma circolare con sovrastante fessura perpendicolare per la mira111 n

È que s ta una ennesima conferma alla nostra tesi: il Sangallo verso la fine del 1483 assume la direzione dei lavori della fortezza di O stia, che in qualche maniera già esiste, ma che ostenta alquante deficienze. Il suo progetto, redatto nei mesi precedenti e presentato in Roma, è stato accettato: quindi se ne conoscono, perfettamente, le caratteristiche, la portata e la validità, per cui anche ad opera incompiuta, od appena iniziata, quale poteva essere la rocca nel 1484, anno in cui mor1 Sisto IV e successivo alla coniazione della medaglia succ itata, nessuna difficoltà presentava raffigurarla, sulla base dei grafici, nella sua interezza. In particolare l'incisore avrebbe perciò evidenziato proprio i suoi ormai ben noti elementi caratterizzanti, quelli cioè integrativi e poteziantori, quali appunto il famoso 'baluardo a cantoni' che compare, infatti, nel conio perfettamente definito. Che la questione sia da porre in s iffatti termini si desume anche dal prosieguo della cronaca, in cui si descrive il Sangallo intento a tracciare sul terreno le generatrici di progetto: per l'esattezza ad 'acconc iare ', ovvero ad adattare la s ituazione del terreno e per estensione delle opere gravantivi sopra alla s ua diversa concezione fo11ificatoria.

Comprensibile, pertanto, pure il sopralluogo del papa in tale delicatissima fase, specie se correlata ad una recentissima inadeguatezza della medesima struttura. Sempre in relaz ione alla eccezionale valenza storica-architettonica della rocca ne tracceremo una descrizio ne più accurata.

La rocca d'Ostia: analisi architettonica-militare

In dettaglio la rocca di Ostia si struttura s u una inconsueta configurazione di triangolo scaleno. I lati, costituiti da altrettanti segme nti di cortina, misurano rispetti-

Fin qui, in sostanza, una perfetta adesione ai canoni dell'architettura di transizione vigente, tranne che alla base del torrione fungente da mastio, ben evidente per la sua ragguardevole altezza, circa m. 24, ed adibito a 'mastio' perchè dominante l'intera rocca. Lì infatti, come pure nell'innesto alle cortine degli altri due opposti torrioni si individuano i primi elementi em brionali della nuova impostazione difensiva. L' ammorsamento tra le cortine ed i torrioni non si praticò in corrispondenza del loro diametro, ma alquanto più innanzi, consentendo perciò una scarsissima fuoriuscita del loro corpo tronco conico dal perimetro triangolare, giusto quanto indispensabile per alloggiare le casamatte dei pezzi per il fiancheggiamento. Per quella basilare prestazione balistica si distinguono, infatti, le rispettive troniere, appena al di sotto del coronamento torico, corrispondenti ad altrettante casematte per artiglieria di grosso calibro, perfettamente in grado di battere quasi ogni punto esterno della rocca. La disposizione descri tta riduceva al minimo, senza però eliminare del tutto, i settori defilati, ultimo retaggio dell'architettura di transizione. Al di sotto delle tro- niere si scorge un altro ordine di feritoie, contraddistinte da altrettanti scudi di bianco calcare, per archibugiere o per artiglierie di piccolo calibro, disposte a scansione regolare lungo l'intero sviluppo del perimetro murario. La loro quota d'impianto appare di poco eccedente il livello di massimo invaso del fossato, con il risultato di consentire un micidiale fuoco a pelo d'acqua. Al riguardo la sua profondità fu fissata in maniera da poterlo allagare, tramite una derivazione dall'adiacente corso del Tevere regolata da apposite saracinesche' 112 1 •

Dove però tutti gli studiosi concordano nel riscontrare l' apporto del Sangallo, ovvero, la principale innovazione della fortificazione è alla base del 'mastio'. Attorno al corpo cilindrico, venne fabbricato il celebre basso rinforzo poligonale, correntemente definito ' baluardo a cantoni', antesignano dell'imminente bastione. Grazie al suo sviluppo triangolare le traiettorie balistiche provenienti dalle casematte degli opposti torrioni riuscivano a prenderne d'infilata le facce, eliminando qualsiasi punto defilato, fino ad allora limite critico della difesa attiva. Purtroppo per la sua eccessiva acutezza, il vertice esterno, qualora costruito, si sarebbe trovato a ben sessanta metri di distanza, lunghezza assolutamente abnorme per un bastione e causa di una gravissima fragilità strutturale. Ne conseguì lo smussamento dello stesso, tramite una cesura quasi perpendicolare alla sua faccia di levante: la figura ottenuta divenne così un ·puntone'. Intuibile che con siffalla soluzione una parte del fiancheggiamento andava persa, creandosi proprio innanzi allo smusso un settore imbattibile: al che si rimediò, in maniera certamente meno valida ed affidabile, con il tiro proveniente dall'alto del mastio, capace, questo sì, di tenere sotto tiro ficcante però l'intera area in ques tione . La soluzione, se nza dubbio intelligente, dimostra da un lato la perfetta valutazione dell' inadeguatezza non più rimediabile, e dall'altra la capacità del Sangallo ad elaborare una soluzione estrema. Un'ultima innovazione precorritrice si individua nella disposizione del rivellino, antistante la po11a d'ingresso. La sua massa muraria eliminava la sua diretta battibilità, altrimenti troppo fragile e pericolosa. Rappresenta anch'esso un elemento destinato ad assurgere a dispositivo canonico di lì a breve.

Venendo alla distribuzione interna, premesso che le muraglie non sono terrapienate altro dettaglio che le conferma ancora tipicamente di 'transizione' superato il fossato esterno, largo oltre m. l5 e profondo più di 3, tramite un ponte levatoio, si perviene al rivellino, e quindi attraverso un secondo ponte, a direzione 0110gonale rispetto al primo, si guadagna il portone p1incipale della rocca.

Il vano d'ingresso risulta interdetto da tre ordini successivi di chiusure e saracinesche, sulle quali campeggia una lapide, che enuncia la finalità della fortificazione e l'epoca di costruzione. Così ne descrive la visita il Guglielmotti: " ...Tra la seconda e la terza porta, a destra ed a sinistra dell'androne, si vedono murate due portelle, che certamente nei secoli passati mettevano ai corridoj delle basse casematte. Batterie di somma importanza per la storia dell'arte: stanze buje e invisibili al di fuori, se non quando vengono indicate dalla strombatura delle cannoniere, coperta da lastroni di marmo. col pertugiuo mistilineo, di figura circolare pel pezzo, e cuneiforme per la mira. Niuna meraviglia prenderà per la chiusura delle portelle chi consideri la successiva assegnazione della rocca a ricovero dei condannati, che in numero di più centinaja, ed in certe stagioni, vi erano condotti ali' opera delle saline: ciò posto, si è voluto toglier loro l 'accesso a quel laberinto di nascondigli. e impedirne la fuga. Perciò le casematte di Ostia non sono conosciute se non a pochi ... al pari di noi ...

Scalando adunque per di fuori cinque metJi di muraglia, infine al primo abbaino della base. presso al fianco del torrione occidentale; e calandoci giù giù dentro per le tacche d'un piano inclinato, con le candele in mano, possiamo penetrare nell'interno delle batterie. Camminando sur un palmo di guano (deposito secolare di lUlti i pipistJ·elli di maremma), troveremo un corridojo a volta reale, largo quasi due metri, alto cinque, che gira tutto per di dentro parallelo alla muraglia del recinto primario, e ne segue l'andare; rettileneo dietro alle cortina, circolare intorno alle torri, e ad angoli salienti e rientranti, secondo la forma del baluardo. Corridojo in somma, che da una pa11e e dall'altra fa capo alle due portelle murate, come ho detto in p1incipio ... " 1lll)

In effetti nelle piante della quota bassa del forte appare ben definito il descritto corridoio, e proprio la sua singolare ed assoluta concordanza con la muraglia sovrastante ci porta ad intravederne un suo doppio impiego. Al di là della chiara funzione di disimpegno per le batterie basse. suggerisce anche quella di efficace contromina, caratte1istica che nelle opere bastionate appena successive diverrà di prammatica con identiche connotazioni, sebbene a quota d'impianto inferiore1114 ' Prosegue nella visita l'illustre storico: ·' La regolarità dell'andito cresce a doppio per il legame delle bau.erie, raccolte in un solo sistema intorno aJ medesimo. Sono venti al pian terreno: tre alla cortina della base, tre a quella di ponente, due sui fianchi del baluardo, otto sulle facce, e quattro negli angoli de' due tonioni. Vedete venti camere, Lutte eguali, di figura esagona, con un solo angolo appuntato all'ultimo lembo della muraglia esterna per non indebolirla; e ciascuna ricavata nel pieno istesso del muro, che è grosso di cinque metri ... Voltoni solidi, accesso spedito, batterie capaci, troniere ingegnose, sfiatatoj vivaci, ventilazione aperta: in somma sicurtà dì stanza a difesa e ad offesa, con tutto quel che meglio ha saputo infine ai nostri giorni mettere insieme il genio militare " (1 1' 1 • Ad ulceriore conferma della rispondenza degli sfiati delle casematte osliensi ricorda il nostro autore: '' .Io di prop1ia esperienza posso dire che, dopo esservi penetrato per la tromba a punto di uno sfiatatojo. quantunque a] di fuori alitasse a pena una brezza leggiera, sentivo viva addosso la ventilazione; onde vedevo or qua or la spegnersi le candele nelle altrui mani e nelle mie ... "< 116i Colpito dalla singolare disposizione della teoria di casamatte, collegate orizzontalmente dal corridoio continuo e verticalmente, tramite i descritti camini, con la sommità della rocca, anche il Guglielmotti ne imuisce la duplice funzione, per cui: " .... ripensando alla ingegnosa forma degli sfiatatoj ostiensi, mi sembra leggere nei pensamenti di Giuliano il duplice proposito: tirare l' aiia, e sventar le mine. Imperciocchè quelle camere aperte nei muri maestri, e comunicanti cogli alti corridoj e colle lunghe trombe esteriori, scusano i pezzi, gli androni. le gallerie, glì spiragli, ed ogni altrn artificio delle contromine permanenti " 11 111

In altre parole, attraverso gli sfiati, oltre aJ ricambio dell'aria. sarebbe stato possibile, in caso di penetrazione nemica mediante un cunicolo da mina o più verosimilmente, data l'acqua nel fossato, da una breccia saturare il dedalo di gallerie e casamatte con densi gas Lessici, prodotti dalla combustione dello zolfo o della resina. La procedura, divenne in breve precipua della gueJTa sotterranea, essendo l'u1ùca in grado di arrestare ogni ulteriore avanzamento nemico, senza compromettere le strutture difensive ' 1181 • Proseguendo il sopralluogo, racconta l'autore: " Continuandoci nel giro del piano teJTeno, troviamo ciò che di meglio potrebbesi volere oggidì: la piazzetta austera attorniata dagli a11oggiamenti, il pozzo, la cisterna, i magazzini, i sotterranei, la chiocciola di passaggio secreto, la cappella, e lo scalone del l'appai lamento nobile. Prima di salire, venite alla postierla di sortita e di soccorso, opposta all'ingresso principale dal lato di ponente, verso il fiume, alla estremità della cortina, sotto la protezione del fianchetto. Al di fuori latroverete inzaffata e clùusa con muratura moderna, aJ modo istesso che sono chiuse le due porte dei corridoj dabasso Meglio vi apparirà dalla parte interna, dove restano ancora i canali della saracinesca, e il vano di altre quattro p01te min01i per tenere sempre diviso il corpo della rocca alle spalle degli amici ed alla fronte dei nemici. Non s i apriva una di quelle porte , se nza chiuderne un'altra...

Al primo ripiano della scal a trovate il passo per le mediane batterie, altresì casamattate, c he non girano attorno, ma s i stanno a due a due rincattucciate nei fianchi de] baluardo, e negli angoli mistilinei dei torrioni. Quindi potete vedere le camere e gli alloggiamenti; e da ogni parte, specialmente nelle sale e nelle volte, stemmi, ornati, rabeschi, e pitture, disgraziatamente consu nte da] tempo e dalJ'incuria... "< 119>

Infine, circa la compartimentazione sommital e della fortezza, eccone la relati va de scr i zione: " ... monteremo in alto sul piano scoperto, e distingueremo tutta l'area in due parti: l'una dei rondelli, e l'altra delle piazze d'armi. I primi, per guardie e archibus ieri seguono l 'a ndare delle tre co rtin e sullo sporto dei piombatoj, tra due muri: di fronte il grosso parapetto, a tergo la parete degli interni a1loggiamenti. Le piazze sui tre baluardi portano le troni e re per la grossa artiglieria con quest'ordine: ogni torrione ne ha quattro; metà sui fianchi per difesa della cinta, metà sulla fronte per offesa alla campag n a: il baluardo a cantoni n'ha otto, che stanno a due a due sui fianchi, su lle facce e su ll a fronte.

Il mastio torreggiante domina l'entrata, l 'uscita, e tutte le piazze sottopos te: ha scale secre te per le casematte, pei corridoj, e specialme nte la portella di soccorso . .. " <120>

È senza dubbio questo l'elemento più arca ico dell'intero comp l esso . La s ua altezza appare ormai decisamente anacronistica per la tarda architettura di transizione. Da quasi un seco lo, infatti, erano state drasticamente mozzate tutte le strutture verticali di maggiore elevaz ion e, o com unque valutate eccessivamente e poste ai tiri delle artiglierie d'assedio e quindi pericolosissime per i difensori al momento del loro inevitabile cro llo Nè peraltro trovava più sco ntata adozione il criterio di estr e mo cap osaldo difensivo, proprio dei 'maschi' medievali. L'aver munito la sua base del famoso baluardo c i testimonia l'esatta percezione della sua arcaica co ncezione, ma anche la ins opprimibi le necessità della s ua pe rman enza per eliminare l'eccessi- vo settore defilato antistante, e per fornire un appoggio balistico in og ni punto de11a rocca. Tenendo conto, infine, che la potenziale offesa si supponeva condotta da corsari male armati, e per nulla disponibili ad intraprendere veri investimenti ossidionali, assolutamente esulanti dalle loro finalità belliche e dalle loro modalità operative, la conservazione del giubilato torrione si sarà s timata , oltre che valida, ancora praticabile. Eccone la de sc ri z ione del Guglielmotti: " Dalla porta del mastio , di marmo bianco e di bello st il e sangallesco, passando innanzi potete raccogliere, oltre alle consuete iscrizioni, anche la misura della colossale muraglia, grossa infino ai parapetti di quattro metri, e il diametro di quindici, e l 'altezza di ve ntiquattro; indi potete visitare le camere e le sale, e in ultimo dalla massiccia volta sali re al supremo ballatojo, donde il castellano spaziava con lo sguardo

Sommata ogni partita, e messa la rocca a] compiuto, non ]e daremo meno di cinquanta pezzi: venti grossi per la offesa lontana, e trenta minuti per difesa vicina " <•2 •>

I1 che per l'epoca non era affatto trascurabile , corrispondendo all'armamento di una grande città. È interessante ricordare che suo tramite riuscì effettivamente possibile l'interdizione della foce de l Tevere, fru strando qualsiasi iniziativa incursiva mirante a risalirne il corso. Purtroppo la prestazione durò poco, molto meno addirittura della validità militare dell'opera stessa. Nel 1557 una imp etuosa e travolgente esondazione de l Tevere ne mutò Jo sbocco, a llont anandolo dalla rocca.

Da quel momento la fortificazione decadde , trovando impiego so lo in funzione penitenziaria: in sua sostituzione , ad alcuni chilometri di distanza se ne eresse una nuova: la torre di S. Michele.

La. fine della transizione

La rapidissima conquista del regno di Napoli da parte di Carlo VIII ebbe una durata altrettanto effimera. Pochi me s i dopo infatti , il sovrano fu costretto a nttrarsi precipitosamente lasciando soltanto alcune guarnigioni nelle principali fortezze, in attesa di un suo ritorno. A Napoli anche il Castel Nuovo ne ebbe una c he s i oppose stre nu amente ai tentativi aragonesi miranti a sopprimer la. Dimostratisi vani tutti gli espedienti escogitati, si tentò quale estrema ri sorsa una procedura mai tentata prima. esped iente che un suo concittadino, Mariano di Jacopo detto il Taccola, anch'egli ingegnere, alcuni decenni prima aveva elucubrato nel suo trattato De machinis. Nessuno, però, fino ad allora aveva mai osato accertarne la concreta fattibilità. Consisteva nel costipare una rilevante quantità di polvere pirica nella testa di una galleria, condotta fin sotto le mura della fortezza nemica, facendola brillare mediante una miccia.

Il 27 novembre del 1495 alle ore 23, l'irreale silenzio subentrato al fragore dei rabbiosi assalti sa nguinosamente infrantisi contro le poderose cortine del Castel Nuovo di Napo li nel co rso della giornata, fu squarciato da una terrificante esplosione . Al cupo boato fece immediatamente seguito l'inco nfondibile schianto di mura cro llate rovinosamente. Diradatasi la densa coltre di polvere, nell'incerta luce lunare, riaffiorò la ben nota sagoma della maestosa costruzione, priva però di una vasta sezione frontale: al suo posto un enorme c umulo di fumanti macerie. Sebbene allibiti, i soldati di re Ferrandino d'Aragona, da ore in trepida ed immobile attesa, scavalcarono fulmineamente quell'inconsistente ostacolo, decisi a soffocare nell'impeto ogni ulteriore resistenza dei difensori. Ma la guarnigione francese non era più in grado di combattere. I pochi incolu mi avanzavano, storditi e barcollanti, verso gli attaccanti solo per arrendersi, mentre tutt'intorno riecheggiavano le grida dei tanti feriti ed i gemiti degli agonizzanti maciullati dalle pietre divelte.

La deflagrazione avrebbe provocato il crollo della sovrastante costruz ione. Improbo, però, stabilire il numero dei barili di polvere necessari, l'affidabilità della miccia e la sua effettiva durata: una qualsiasi inadeguatezza avrebbe comportato il fallimento dell'impresa e, quasi certamente, la morte dei minatori. Solo la disperazione di quei giorni e la sagacia del Martini valsero a superare le fin troppo leggittime titubanze. E, proprio per meglio garantire l'esatto orientamento del cunicolo, il Senese ne affidò lo scavo ad un esperto ingegnere militare, Antonio Marchesi da Settignano, che in pochissime notti esaurì il lavoro, consentendo il rivoluzionaro epilogo.

Quell'esplosione può a giusta ragione consider arsi la definitiva conclusione dell'architettura di transizione. A Nettuno, infatti, proprio negli stessi giorni, si avviava la costruzio ne del forte del Sangallo, con i suoi funzionali bastioni. Puntuale, pertano, la constatazione secondo la quale: " .. .l'ingegnosità italiana, stella polaLa tragica sequenza, che vedrà nel corso dei sue - re di ogni altro popolo che con gli Italiani venisse a cess ivi ci nqu e secoli innumerevoli riproposizioni, contatto, non avrebbe sub ito a lungo il maggior poteostentava però, i n quella allucinante notte, una signi- re dei parchi d'assedio Entro g li anni venti del 1500 ficativa novit à. La devastazione del Castel Nuovo, le fortificazioni del nuovo modello italiano erano .in infatti , era stata prodotta dalla prima mina esp losiva grado di resistere agli assalitori meglio equipaggiati. de lla storia, progettata, posizionata e fatta brillare da Comportavano però un costo enorme. Solta n to gli Francesco di Giorgio Martini, a l cui genio si era Stati più opulenti e le città più ricche potevano perancora una volta rivolto il re di Napoli! mettersi il lusso della decina di bocche da fuoco e Ponderate e scartate le tre classiche modalità di degli immani lavori d'ingegneria necessari per quella espugnazio ne di un caposaldo, alla mente del Senese che ormai veniva chiamata al di là delle Alpi la 'trace balenò l 'ard it o proposito di mettere in pratica un italienne ... " <122 > .

Note Ca Pitolo Quarto

1 Da G.PARKER. La rivoluzione mili/are. Le innovazioni militari e il sorgere dell'Occidente, Bologna 1989, pp.20 -21.

1 Da R.Puoou, Eserciti e monarchie nazionali nei secoli XV-XVI. Firenze 1975, pp.11-12.

' Da W.H.Mc NEILL, Caccia al potere. Tecnologia. armi, realtà sociale dall'anno Mille. Varese 1984, p.77.

' Precisa R.PuDDU, Eserciti cit.. pp. l2 - l3 , che una: " influenza importante ebbero le armi da fuoco in genere sul piano dei rapporti tra le class i sociali.Veramente rivoluzionaria , se si pensa che, come ha sotto lineato lo sto rico L.Stone a proposito delJ'lnghilLerra dei Tudor, la possibilità da parte di un plebeo in possesso di un'arma da fuoco e capace di servirsene, di colpire un nobile da lontano. annullava d'un colpo la tradizionale superiorità dell'aristocrazia nell'uso delle armi ... Non deve perciò st upire lo sterminato numero di editti che, nei vari paesi d'Europa, vietavano ai plebei di fare uso di armi da fuoco, né che la stessa esistenza delle nuove anni suscitasse le pro teste e lo sdegno degli ordini privilegiati .. .Sia la Chiesa che i nobili. falciati in gran numero sui campi di battaglia dal fuoco di cannoni e archibugi manovrati e impugnati dalla plebaglia, si opponevano al diffondersi dei nuovi strumenti di morte, così distanti da una concezione cavalleresca e 'crist iana' della guerra ".

' Da C.SACHERO, Corso di fortificazione permanente d'attacco e d(fesa delle piazze forti, 2• ed .. Torino 1861. p.26.

b D a N.MACHIAVELU, Dell'Arte della Guerra, lib.TTI , cap.7

7 Da M.HOWARD. La guerra e le armi nella storia d'Europa, Bari 1978. p.65 .

8 Da G.PARKER, La rivoluzione , cit., p.26.

9 Da M.MALLETI, Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento , Urbino 1983, p.170.

10 Da S.MASINI, G.ROTASSO, Dall'archibugio al Kalashnikov sette secoli di armi da.fuoco, Milano 1992, p.14.

11 Da M.HOWARD, La guerra , cit.. p.61.

12 Da C.M.CIPOLLA. Vele e cannoni. Im ola 1983. p.32 u Da S.SQUADRONI, Fabbricazione ed uso delle antiche artiglierie. in Antiche Artiglierie nelle Marche secc.X/V-XVI a cura di M.Mauro , Ancona 1989, voi.I, p.13. i s Da S.SQ UADRONl, Fabbricazione... , cit., p.12.

1 • Da E.BRAVETIA. L'artiglieria e le sue meraviglie, Milano 1919, p.176.

15 Ricorda al riguardo M.A.BRAGADLN, Le Repubbliche Marinare, Verona 1974, p.8 l: "In Italia , i Veneziani furono i primi a diventare abilissimi costruttori di cannoni, e la repubblica destinò al «getto» delle artiglierie un largo terreno (da qui nacque il vocabolo <<ghetto » quando, in seguito g li israeliti si installarono in quel luogo)."

16 Da C.M.CIPOLLA. Vele .... cit.. pp.18 -1 9.

17 Da W.H.Mc NEILL. Caccia , cit.. p.74.

19 Da F.DI GIORGIO MARTINT, Trattari di architelfura ingegneria e arte militare. a cura di e.Maltese, Verona 1967, vol.l, p.220.

20 Da F.DI GIORGIO MARTIN!, Tral/ati... , cit., vol.n. p.418.

21 La ci tazio ne è tratta da E BRAVETIA. L'artig lieria , cit., p.122.

22 Da M.MALLETT, Signori... , cit.. p.166.

2' TI rimbalzo dei proietti fu sfnittato a lungo sul campo di battaglia per incrementare la gitta ta del tiro senza che però la palla si sollevasse molto dal terreno. conservando così per buona parte della sua traiettoria potenzialità mortifere. Ancora nel 185 I il gcn. G.ULLOA, Del/ arte della guerra, Torino 195 I. voi.I. p.136, scriveva al riguardo: "'Considerando finalmente i ti1i relativamente al bersaglio. r a1t iglieria non può colpire che di jìcco o di rimbalzo. Il tiro dicesi di ficco quando il proietto hatte direttamente il bersaglio, cioè senza salti o rimbalzi.

E' detto il tiro di rimbalzo a llo rchè il proietto vien lanciato in guisa che urta nel suolo senza ficcarvisi, e ne risalta percorrendo in aria una seconda curva, ricade poi a l termine di questa, e riurtando il suolo nell'istessa guisa descrive altre e altre curve. finchè non si estingue il moto.

I proietti lanciati da' pezzi da campo non rimbalzano se percuotono il terreno sotto un angolo maggiore di 7 in 8 gradi ".

2

• Da W.H.Mc NE IL L. Caccia .... cit.. p.75.

25 Da W.H.Mc NE IL L, Caccia cit., p 76

2

• Da F.BRA UDEL. Le strutture del quotidiano , Torino 1982, p. 365.

11 Da M.MALLETI, Signori .... cil. . p.166.

Da M.MORIN, Art iglieria, in Enciclopedia ragionata delle anni a c ura di C.BLA IR , Verona 1979, p.64. alla voce.

1<i Da E.BRAVETIA, L'artiglieria , cit.. p.87.

10 Da B.GJLLE, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento, Varese 1972, p. l3 I

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