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SUD E L'IMPERO DEL NORD
ra o grazie ad una passerella poggiata sulla so mmità dell'ambiente più vicino, come attestato nel castello di Rado presso Gattinara.
Un mensolone di pietra, tuttora in situali' esterno , insieme ad altro frammentario sosteneva il ballatoio di accesso ... Il forno da pane è al quarto piano, con pavimento battuto di malta s u s olaio ligneo soste nuto da un duplice ordine di travi. llluminat o da due finestre e dalle monofore relative al ballatoio che conduce alla sca la in spessore di muratura mediante la quale vi si accede, il locale è dotato di scala a chiocciola per salire su lla copertura s u volta ribassata di cui s i rileva l'imposta.
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Vani e servizi lasciano disponibile l'intera s uperficie degli ambienti al terzo e quarto piano , essendo ricavati tutti in spessore di muratura; que s ta era rivestita di intonaco che occludeva i fori pontali , nei quali , peraltro , potevano essere innestati divi s ori per la migliore articolazione dello s pazio interno Il prelievo dell'acqua avveniva dal terzo piano , in pross imità del camino maggiore.
In maniera analoga era s trutturato il donjon di Rocca San Felice, che richiama per le proporzioni quello di Torella più che il torrione di Monte11a, dotato di minor slanc io vertica le a causa del diametro maggiore: 14 m contro i 10 di Rocca San Felice e di Torella.
Nel donjon di Rocca cisterna e deposito occupavano il primo piano; al secondo, illuminato da due monofore , erano il forno-camino , scaffalature a 70 muro e il pozzo per attingere l ' acqua ; terzo e quarto piano svo lgevano funzioni abitative.
La porta d'ingresso , raggiunta da una sca la lignea esterna ancorata al torrion e da tiranti , s i trovava al terzo piano, contrassegnato da vano-finestra , serviz io igienico, lavabo ... "< 55 i_
Anche il torrione di Montella , <56 ) come più volte precisato nella citazione, può a buon diritto essere ascritto alla tipologia dei dongioni cilindrici. Le sue condizioni di conservazione sono ancora discrete, consentendoci pertanto l'ulteriore riscontro di quanto delineato.
I grandi dongioni siciliani
Un cospicuo numero di dongioni , in discrete condizioni di conservazione, conseguenza forse del loro sovradimensionamento, si rintraccia in Sicilia. La vistosa maggiorazione deve, probabilmente , ascriversi alla tenace resistenza opposta dai Musulmani alla conquista, che costrinse i Normannj all'adozione di più massicci caposaldi, i soli capaci, durante i loro reiterati contrattacchi, di sostenerne a lungo i violenti investimenti ossidionali. Al di là de11a grandezza la principale d ifferenza tra i dongioni siciliani e quelli continentali consiste in una più articolata e complessa suddivisione interna, ulteriore risultante di quella precisa opzione architettonica: la configurazione parallelepipeda, comunque, permase immutata. Un primo significativo esempio è offerto dal castello di Burgio, eretto a quota 317 in provincia di Agrigento, di cui restano consistenti rude1i, sufficienti a consentirne l'esatta interpretazione strutturale e difensiva.
In dettaglio: " .. .il castello ... è in realtà un saldo palazzo parallelepipedo (spessori murari ca. m. 2 , base m. 20x12 ca ... ) impiantato direttamente su una sporgenza rocciosa, in posizione elevata ed isolata rispetto all'abitato ...L'aspetto esterno è caratterizzato dall'uso di pietra da taglio unicamente nei cantonali e quindi da un'apparecchiatura di pietrame calcareo e tufaceo di piccola pezzatura per le pareti.
In corrispondenza del piano te1Ta non esistono aperture ad eccezione di tre strette feritoie esistenti sul lato di NO ad una altezza di ca. 3 m. dal piano di calpestio, altre quattro sul lato opposto e un angusto e basso ingresso aperto in epoca imprecisata su lato S, vicino lo spigolo SO. La prima elevazione è invece animata sul lato N da un bellissimo portale archiacuto con cornice a doppia ghiera in pietra da taglio, molto simile al portone del piano terreno ... AI portale si perveniva grazie ad una scala appoggiata alla parete ad E della porta stessa: la scala è scomparsa completamente ma le tracce del suo addossamento alla muratura sono evidentis- o 5 10 m sime. Sempre s ul lato N e se mpre al piano nobile si ap re, a O della porta, un a finestrell a rettangolare con archìtrave in pietra; un 'altra doveva aprirsi verso E , in corr ispo nde nza di un 'amp ia lacuna nel muro.
73 Adrano , planimetria del dongion e.
Il piano terre no ...era su ddi v iso in tre loca li disposti in senso perpendicolare all'asse NO-SE dell'edificio , copert i da volte oggi in patte cro ll ate ... utilizzati come c is te me e magazz ini. Lo sc hema tripartito s i ripet e anche al piano nobile . I due vani laterali , più picco li s ono cop er ti da volte ogi va li e quello centrale da volta a pieno ses to: d a qui una sca le tta alloggiata nello spessor e murario ... co ndu ceva al sec ondo pi a no , in gran parte crollato e totalmente privo di copertura ... " <51> .
Un altro sig nifi ca tivo esempio è qu ello del castello di Adrano, s olitari o don g ion e edific a to s u di un picco roccioso. È una cost ru z ione parallel ep ip eda: " ... a pianta r etta ngolare di m . 20x 16 .70, alta m. 33 .70 ed incorniciata alla base d a una cinta con rondelle angolari di e tà moderna. La muratura è realizzata in opus in certum per lo più di materiale lavico, tranne che nei cantonali, ove sono imp iegati blocchi tagliati, sempre di pietra lavica: 1o sp essore dei muri varia da m. 2,30 a m. 2,60. All ' interno il torrio ne è suddiviso in quattro piani oltre il pianterreno: il primo (ed il pianterreno) so no coperti da volte a botte a crociera, il secondo ed il terzo originari ame nte da soffitti lignei , mentre la copertu ra finale dell'edificio, non pervenuta , era reali zzata con volte ogivali poggianti s u peducci ... Nel p ianoterra la torre .. .è ripartita in due gr a ndi am bi enti da un muro mediano longitudina le. Il primo amb ie nte, illuminato da quattro feritoie , è s uddiviso in tre campate cop erte da due volte a botte ed una a crociera, probabilmente non originali. Anche il seco ndo ambiente è s uddi viso in tre campate Al primo piano si accede med ia nte una scala che si s volge ne llo spessore del muro Anche il primo piano è suddiviso in due locali da un solido muro mediano illuminato da du e ampie monofore e da una piccola finestra ogivale , in perfetta corrisponde n za co n le feritoie del pianterreno ... Oltre queste finestre . ..si apre anche una bella porta ogivale ... con og ni probabilità la porta principale d'accesso a l donjon. Una a Jtra scaletta ad un a so la rampa alloggiata nello spessore murario conduce dal primo al secondo piano . Anche qui lo spaz io è suddiviso in due grandi ambienti rettango lari da un muro divisorio ... Un'altra sca letta ad una rampa ricavata ne l vi vo del muro conduce a l terzo piano la cui divisione interna riflette quella del piano infer iore ... Rimane qualche dubbio s ull 'o ri g inari a copertura della terrazza: su i parapetti restano tracce di merla tura modificata co n la realizzazione di piccole pareti murarie inclinate tra merlo e merlo, in sos titu zio ne dell e originarie bertesche lign ee ... "1581 •
È molto probabil e, tuttavia , c he alcune delle so luz ioni a rc hitetton ico- militari app e na descrit te, siano in rea ltà da attri buirs i al periodo success i vo, ovvero alla dinastia sve va , no n nutren do s i alcuna certezza circa la loro prese nza nel repertorio difen sivo normanno più arcaico: p e r tutte l 'ado zio ne d ella me rl a tura e delle feritoie c ru c ifonni , impli canti un più sofi sticato armam en to quale la bal es tra . M a la s ua diffu sione<59 > , e le conseguenze strutturali , pur essendo senza dubbio cronologicamente congrue, non trovano però, nella prassi bellica normanna, riscontri sufficienti a ritenerle effettivamente avvenute. Pertanto, dal punto di vista operativo , anche i grandi dongioni siciliani appaiono fortificazioni prevalentemente passive , fatta salva una maggiore attenzione per l'ottimizzazione della difesa piombante effettuata dalla loro sommità e, marginalmente, di quella ficcante dalle feritoie. Nell'ipotesi della presenza di merlature esse sarebbero state a filo con le cortine, senza il minimo aggetto: niente del genere però ci è pervenuto.
Va infine osservato che la ricomparsa di una architettura militare realizzata con pietra da taglio e secondo canoni precisi, rappresenta il primo esplicito riscontro del ricordato miglioramento delle condizioni sociali, presupposto ineludibile della fotmazione di un artigianato specializzato e competente.
I castelli normanni
E fu quasi certamente proprio grazie alla disponibilità di manodopera qualificata e di risorse economiche più consistenti che i Normanni, dopo appena mezzo secolo dalla formazione del regno di Sicilia , poterono cimentarsi in realizzazioni difensive meno elementari dei dongioni. Per gli stessi motivi , del resto, si era già notevolmente evoluta anche la loro procedura ossidionale consentendogli di espugnare fo1tificazioni del genere in tempi brevissimi. Il che, implicitamente decretò il definitivo abbandono dei torrioni isolati, equivalenti a mastodontici sarcofagi. Ma, prima della capacità di costruire strutture più complesse, occorreva disporre della indispensabile conoscenza tecnica per concepirle, esulando il più elementare castello propriamente detto, dalla tradizionale esperienza dei mastri muratori. Ma, appunto in quegli anni, una travolgente iniziativa, la crociata, fornì straordinari stimoli culturali ai principali artefici della coeva architettura militare.
Da tempo la Chiesa si era resa perfettamente conto che la sua predicazione pacifista non riusciva a scalfi- re minimamente le bellicose consuetudini della società scaturita dalle invasioni barbariche. Tentò allora di canalizzare , e coalizzare , que11e energie aggressive verso finalità che, s e non altro, sarebbero tornate a suo vantaggio. Prese così concretezza il concetto di:
" ... guerra santa , cioè la guerra condotta nell ' interesse della Chiesa, [che] diventò lecita anzi perfino desiderabile. " <60J
Le prove generali della inedita manifestazione polemologica si effettuarono nella penisola iberica, ovviamente contro i Musulmani , a partire dall'avvento del s econdo millennio. Ben presto intervennero direttamente gli stessi pontefici e papa Alessandro II giunse a promettere , nel 1063 , l'indulgenza per tutti coloro che avessero combattuto per il trionfo del cristianesimo nella Spagna. Dal canto loro i sovrani garantivano ai partecipanti il possesso delle terre conqui s tate. Pertanto, attratti dalla duplice ricompensa, innumerevoli diseredati cors e ro ad arruolarsi . Grazie alla incessante disponibilità umana le campagne s i susseguirono, da quel momento , senza soluzioni di continuità, ed alla: " ... fine del secolo XI l'idea della guerra santa era stata così messa in pratica. Cavalieri e soldati cristiani venivano incoraggiati dalle autorità ecclesiastiche a lasciar da pa1te le loro meschine dispute per andare a combattere sulle frontiere della cristianità contro gli infedeli " < 6 1>
La grande ·epopea si concluse nel 1096, ma fin dal 27 novembre dell'anno precedente Urbano Il aveva iniziato a predicare la necessità di indirizzare la guerra santa ad Oriente, per liberare dai Musulmani la mjtica Gerusalemme. E nella primavera seguente la grande orda si mise in moto, senza alcuna precisa meta se non quella di raggiungere, via terra , la biblica città, che nel 1099 fu finalmente, ed atrocemente, espugnata. Pochi anni dopo, con i l rientro dei tanti reduc i, iniziarono pure ad affluire le informazioni sulla cultura degli orientali, sulle loro modalità belliche, sulle loro evolute fortificazioni , e , soprattutto, sui modernissimi castelJi appena ultimati in Terrasanta per radicare la conquista.
È difficile valutare: " quanto i costruttori di castelli crociati abbiano derivato effettivamente dalle forme orientali e quanto invece sia frutt o di una logica e naturale evoluzione int erna, determinata dalla necessità di fronteggiare ostacoli e pericoli incombenti ... [ di s icurol i primi insediamenti militari crociati utiliz zarono fortificazioni preced en ti, da quelle ebraiche, fenicie e romane a quelle bizantine e arabe, c he adattarono o ri ed ificaron o seg uendone l'andam ento d e ll a cerchia co n torri sporgenti agli angoli e lungo la co rtina ... [inoltre] sappiamo con ce rtezza c he i crociati, così come gli Arabi s i servirono di ingeg neri militari bizantini ed armeni " '"!'. Si trattò, comunque, di un gra ndi o o addestramento c h e, per la molteplicità delle s ugg estio ni e per l 'i mp e ll enza dei bisogni tattici, dovette formare un considerevole numero di spec iali sti fra i Norma nni Non a caso, co n l'avvento del XII secolo i riferimenti delle fonti a castelli propriamente detti divengono ri corre nti e continui.
Di g raziatamente anche di questa fase, es tremament e s ignifi cat iva della sto ria delle fortificazioni, scarseggiano g li incontrovertibili riscontri materiali, poichè: ·'... per quanto riguarda .. .i cas telli che vanno sotto il nome di « normanni », po ss iamo preci sare che s i tratta , per la quasi totalità dei casi, di attribuzioni destituite da ogni fondamento, dovute, forse, alla g rand e suggestione che l 'avve ntura normanna, protrattasi nel tempo determinò nelle tradizioni popolari " 1631 • Il perc h è di tanta carenza deve ri cercarsi più c h e nella scarsità o ri gi naria di tali co truzioni, nella loro siste mati ca riqualificazione in epoca sveva, co nserva ndo anche a distanza di un seco lo , a differenza degli e lementari dongioni, a n co ra notevoli pot enz iali tà difensive e vale n ze strategiche. D alla sovrappos izion e, in tanti casi talment e ravvicinata cronologicamente che le m edesime ma estranze lav oraro no , sotto entrambe l e din a tie, s ull a stessa co truzion e, derivò una particolare a rchitettura militare s ignifi ca tivamente definita normanno-sveva. Di certo: " .. .i Normanni eressero fortificazioni anche più gran di [dei dongioni], come a Melfi <<>l 1 , dove sorse un a costruzi one a quattro torri , naturalmente di forma ancora molto irregolare ... " <65J ed, altrettanto naturalmente, di ssolta s i nel castello federiciano!
li castello delle Pietre di Capua
Sebbene operare una distinzione fra le parti normanne e quelle sveve in uno stesso castello risulti, pe r quanto deno, prati camente impo ssi bil e, si posso no veros imilmente attribuire ai Normanni le sez ioni più approssimate e rozze della costruzione che tradiscono un ampio utilizzo dei materiali di spog lio e una minore regolarità geometiica. E sse, pe11anto , costituiscono, s ia pure con le dovute ampie riserve , un plausibile campione per la nos tra ricerca. Tra gli esempi, senza dubbio più rappresentativi e d emblematici, va annoverata la struttura basamentale del Castello delle Pietre a Capua.
Il curioso nome, infatti, gli derivò dall 'essere stato e dificato co n i grossi blocchi di calcare tratti dal vicino anfiteatro romano, se nza alcuna ulteriore lavorazione al di fuori dell'approssimata posa io opera, prass i que s ta tipicamente barbara; l'impianto planime trico. inve ce, a ppare di gran lunga più complesso ed articolato di quello dei dongioni: entrambe le caratteristiche sembr ano attag li arsi perfettamente ai primi enigmatici castel li normanni .
DeJl ' intera costruz ione, a l prese nte , co nservano siffat ta con notazio ne so l o il piede di un a cortina ed il co rpo di una torre: su fficienti per ricavare l'adozione di un impianto ortogona le, con ril evante aggetto delle torri quadrate dal fi lo delle cort in e. Tutto il resto deve ascrivers i a i rifacimen ti uccessiv i
Il castello di Casaluce presso Aversa
P er la s toria la pri ma città che i Normanni fondarono fu Aversa, dove sicuramente av ranno eretto un do ngio ne, magari partico larm e nte e l aborato dal m ome nt o c he le fon ti parlano di un 'castell o'. In r ea ltà, però , il vero caste ll o fu cos truito , alcuni secoli dopo, dagli Arago nes i, e, stando se mpre a ll a tradizione , esattamente al posto de lla fortificaz ione normanna. L e s ue vetuste str utture finirono quindi s pianate o inglobate in ess o , impedendoci ogni ulte riore accertame nto
Non può escluders i, però , c he s ta bili zzatasi la loro presenza s ul territorio i Normann i abbiano ve ramente ed ificato un cas te llo, m agari in ad iace nza del primitivo torrione . Parim e nti probabile è che l o ab b iano e r etto ne i p aragg i, per l ' id e n tica ragione: di sicuro a Casa luce, non l on ta no da Aversa, s i rintracc iano i ruderi di un cas tello c he vie ne a ppunt o fatto risal ire all'in iz iativa normanna , a lmeno ne ll a s ua orig in ar ia impo staz ione e sempre co n le g ià es poste ri serv e. Stando alla tra di zio ne, p eraltro non priva d i fo ndame nto, i me rcenari no rmanni innalzarono una fo rtifi cazi one, nel casale denominato di Casa]uce, cedutogli probabilm e nte quale com pe nso.
P er il re sto, poichè: " ... poco o null a s i sa de l Caste ll o normanno di Av e rsa no n è poss ibile far e raffronti tipologici verifi cando un' eve ntu a le affinit à cos truttiva fra le du e re alizzazioni .! rim a negg iame nti de i seco l i s uccess ivi poco consen to no di definire , relati vame nte ai cara tte ri arc hite tto n o n ici certa m e nte ascrivi bili a i signo ri normanni 11 Cas te llo d i Casa lu ce è .. .s u pia n ta ri gidamente quadra ta, co n un a struttura molto poderosa rafforzata da q uattro grosse torri angolari anch'es se quadrate , ancora vi s ibili.
L ' orientamento è Nord-S ud e parallelo ai tracc iati della ce n t uri azione s ul cui limite orie nt ale v iene a trovarsi ... In torno al cas tello , in gran parte seco ndo l ' andam e nt o de l perimetro della centuri a, si sv iluppa una seco nda ci nta muraria a protezione dell'in se diamento agrico lo , me no poderosa ma a ncor oggi perfettame nte legg ibil e. Attualmente una de lle s ue porte, molto rimaneggiata , dà ancora accesso a ll 'area del castello.
D opo la distruzione d e l 1135 il Caste11o rimase a l ungo in stato di abbandon o ... "l66> .
In base a ll e struttu re s up e rs titi è difficile ascrivere il ca te Uo a Jl a prima fase dell 'e popea normanna: i rud e ri se mbrano infatt i attribuibili a un rifacimento molto tardivo della p rimi ti va fortificazione, c he potrebbe essere a ddirittura una ri costruzio ne sveva d i c ui prese nta tan te ana logie arc hitett onic he .
La rinascita dell'Impero
Ne l frattempo es tintas i la dinastia sassone, su bentrò in Europa central e con Corrado II, pro nipote di Ottone I per linea femminile, quella salica che si protrasse fino al 1125 co n a l tri tre imperatori , dei quali l'ultimo fu Enrico V, ch e reg nò tra il 1106 -1125. Dopo l a s u a morte , quando la s uc cess ion e e red itaria se mbra va orm a i definitivamente a ttecc hita anche in Germania, quella elettiva eb be un v i goroso ritorno, portando al trono Lotario di Supl imbu rgo, strettamente imparentato con la famiglia dei W elf da c ui i Guelfi preferendolo a Federico di Svevia, a sua vo lta co n sa n g uin eo del defunto imperatore , non chè suo esecutore testamentario e d e re d e d e i po ssed ime nti privati. Ovvi amente ques t ' ultimo, spalleggiato dal frate llo Corrado, non accettò p ass ivam e nte tale designazione ed i mpug n ò ]e arm i contro l 'e le tto in una guerra s pietata, guerra che s i concluse, n e ll a s ua prima fase, co n il successo di Lotari o. Le ostilità, però , non cessaro no , sebbe n e per lun go tempo, nessuna delle due casate di sponesse de11e forze s uffi cie nti ad e liminare definitivamente quella rivale.
Ancora dopo l'ascesa a l tro n o di Corrado III (1138-1152), fi g lio di Federico dj Svevia, quel tragico s tallo permase immutato, co n i Sassoni fortemente attaccati al partito guelfo ed altrettanto irriducibilmente o s tili agli Svevi.
Nel 1142, fina lmente, tra le oppo s t e fazioni fu raggiunto una so rta di accordo per impedire il protrarsi delle ostilità fratricid e che, in pratica, so ltanto l'a scesa al trono nel 1152 di Federico I, meg lio n oto c ome Barbarossa, valse a dirimere. Quel felice, quanto ormai in s perato , esito dipese dal semplice motivo che il nuovo so vrano e ra di sce ndente , per parte materna, dalla famiglia guelfa, consanguineità c he g li consentì, grazie anc he alla lunghi ss ima durata del s uo regno , ben 38 an ni , di riunificare il re s iduo e dilaniato Impero. A contendergliene, però, 1' in co ntra s tato dominio restavano disgraz iatamente ancora almeno tre grossi nuclei di re s iste n za, emblematicamente tutti concentrati in Italia: a nord i liberi Comuni lombardi , al centro lo Stato pontificio e d a sud il Re g no normanno.
Quanto fosse temibile tale avvers ione eb b e modo di sperimentarlo nel 1155, a ll 'indomani della sua incoron az ione in Roma , allorquando l'intera popolazione gli s i scatenò co ntro. Tre anni dopo, fu la vo l ta di Milano e dei co muni lombardi. La reaz io n e imperiale fu v i olentissima e brutale. Cre ma dopo un assed io, protrattosi p er sette mesi, fu d ata alle fiamme nel 1160. Milano resistette più a lungo, ma nel 1162 dovette capitolare, co n la pop o l azione decimata dalla peste e dalla fame . Le s u e mura ve nn ero sp ianate, gli abitanti dispersi: secondo la tipica prassi medievale, però, appe n a cinque anni dopo, erano di nuo vo in grado di difendere la c ittà, minacciata dal poderoso esercito co n cu i Federico era ridisceso i n Italia, deciso a farla finita una volta per tutte con i s uoi irriducibili nemici, in particolare co n R o m a perno id eologico e co n la Sicilia perno economico La fortuna dapprima l o favorì, consen tendogli di assalire p ersi n o San Pietro, ma improvvisame nte gli si rivo lse co ntro . Una terribile ed inarrestabile epidemia scoppiata tra l e s ue truppe, nella ca l ura estiva, lo lasciò, nel giro di pochi g iorni , praticamente inerme all a mercè dei suoi tanti nemici. Il rientro in German ia si trasfo rmò , allora, in un a disperata fuga, sostenuta sol tanto dai propositi di una vendetta, c h e nel maggio del 1176, parve finalmente a portata di mano. Il 29, infatti, le forze della Lega Lombarda si op posero a que11e imperiali n e i pressi di Legnano. L e due formazioni: " si confrontarono in una battaglia co mb att uta fino allo stremo da entrambe le parti Dapprima se mbrò che avessero l a meglio i tedeschi; la loro cavalleria pesante spezzò le prime file dei lombardi , gettandoli nella confusione. Ma l'as salto d e i t e d esc hi dov e tte arrestarsi intorno al Carroccio , non riu sce ndo ad infrangere l a resistenza di s perata di un pu g no di e roi che difendevano il punto centrale del lo ro sc hieramento ... Federico cercò invano di incoraggiare l e sue trupp e gettandosi in mezzo alla battaglia con il suo abituale coragg i o. Ne ll a mi schia ... venne di sarcio nato e sparì alla vista, in mezzo alla co nfu s ione e al g ro v iglio dei combattenti. L a sconfitta de i ted eschi fu total e e le loro p erdite immense Federic o incontrò molta diffi col t à p er ragg iun ge re
Pavia con il resto del suo esercito. Aveva combattuto e perso , e sarebbe stato folle pensare che i tedeschi lo avrebbero seguito se avesse tentato una rivincita ... " 1 <> 7 )
Fu giocoforza per l'imperatore, a quel punto sottomettersi, all'autorità papale, accettando, il 23 luglio del 1177, la pace, nonchè una tregua di quindici anni con la Sicilia ed una di sei con i Lombardi. Nonostante la residua diffidenza ben rappresentata da quel modesto intervallo, i suoi rapporti con i Comuni lombardi conobbero un repentino vistoso miglioramento. Nei giorni successivi, dopo il ritiro della scomunica, Federico si intrattenne affabilmente con gli ambasciatori siciliani, evidenziando gli interessi comuni che li legavano e che potevano costituire le basi per una vera alleanza. Forse si trattò dei prodromi di una politica meridionalistica in vista di futuri coinvolgimenti: di certo nel 1186 suo figlio Enrico VI si unì in matrimonio con Costan za d 'A ltavilla, figlia postuma ed erede unica di Ruggero II re di Sicilia. Molti aspetti di quel singolare matrimonio apparvero anche all'epoca stupefacenti se non incredibili, in particolare: " ... le tarde nozze di lei, più che trentenne, col figlio del Barbarossa, di circa dieci anni più giovane, e, dopo nove anni di infecondità, in età già matura, l'inatteso concepimento di un figlio ... "(68 >
Federico Il imperatore
Il 26 dicembre del 1194, nasceva ad lesi , paesino della Marche , Federico , il figlio di Enrico VI di Svevia e di Costanza d'Altavilla. Il giorno precedente s uo padre era stato incoronato, nella cattedrale di Palermo, re di Sicilia169> . Ma iI clima dell ' isola ebbe effetti nefasti sul giovane sovrano, stroncandolo nell'arco di appena tre anni. Alla sua vedova ed al neonato pervenne, così, in pesantissimo lascito, un impero immediatamente sconvolto da una itTiducibile anarchia. A peggiorare la situazione sopravvenne, a pochi mesi di distanza, anche la scomparsa di Costanza. ln quanto erede deU'impero svevo, essendo il secondo della casata con tale nome, fu Federico II imperatore, in quanto erede del regno nor- manno essendo invece il pnmo, fu Federico I re di Sicilia<10 l. In quanto uomo, però, era soltanto un piccolo orfano di appena quattro anni, virtualmente a capo di un immenso ma agonizzante Stato, se nza nessuno che conc retamente si prendesse cura di lui. La madre, intrisa di un profondo odio antigermanico, aveva tentato, in quei pochi anni, di tener lontano il figlio dallo scettro imperiale, reputando che il so lo regno di Sicilja l'avrebbe ampiamente appagato, facendoglielo dimenticare senza alcun rimpianto. Si spiega così la sua incoronazione a re dell'isola all'età di appena due anni, il giorno di Pentecoste del 1198.
Mai come in quel caso, i desideri di Costanza trovarono una perfetta rispondenza nella Curia romana, per la quale la Sicilia restava pur sempre un feudo del papa. Eliminare, infatti , un imperatore ge1manico, discendente da una dinastia not01iamente indocile, per trasfo1marlo in un modesto sovrano siciliano, sostanzia lmente vassallo, rappresentava un'allettante prospetti va. Pertan to, proprio nell'anno in cui morì Costanza, il pontefice, constatata la situazione di completa anarchia dell'isola , nominò un collegio di quattro vescovi per ristabilirvi un minimo di legalità. Nel frattempo in Germania nessuno più si 1icordava dell'esistenza del piccolo rampollo degli Staufen: illegittimamente la corona era stata presa da Filippo di Svevia, fratello di suo padre.
L 'i nfanzia di Federico, ormai abbandonato a Palermo, da quel momento, divenne tragica: " ... nel castello, nessuno sembrò più occuparsi del bambino; i beni reali anzi furono così male amministrati, che egli si ritrovò letteralmente alla fame. I palermitani, mo ss i a pietà, s i presero cura di lui e lo nutrirono, chi per una settimana, chi per un mese, a seconda delle possibilità loro Libero da ogni sorveglianza, vagava pei vicoli del mercato [affollati] di gente tutta presa dagli affari: normanni, italiani, saraceni, tedeschi, ebrei, greci.
Suoi maestri, il mercato e i vicoli di Palermo: la vita stessa i nsomma ... Secondo il diritto feudale siciliano il re diveniva maggiorenne al compimento del quattordicesimo anno d'età ... [per cui] il 26 dicembre del 1208 .. il papa depose la tutela e da quel giorno
Federico governò da solo ... " <11 > . Per una singolare coincidenza pochi mesi prima, nel giugno, suo zio Filippo era stato ucciso a Bamberga: oltre al trono di Sicil ia il ragazzo si ritrovava così, più che mai, erede del grande Impero, unico Staufen in vita. La nomina ad imperatore lo raggiunse in Sicilia, nel 1212: unanimamente tutti i più fidi vassalli, ed in particolare la moglie Costanza d'Aragona, cercarono di distoglierlo dal!' accettare la carica, senza però trovare ascolto. Del resto, non si ha notizia di alcun serio legame tra i due coniugi, unitisi in matrimonio, due anni prima, probabilmente soprattutto perchè la sposa, una matura vedova, portava in dote 500 cavalieri spagnoli, peraltro subito sterminati da una violenta epidemia. Crollata l'illusione di poter contare su quel prezioso strumento militare, al giovane sovrano non restava alcuna speranza di infrangere la miriade di privilegi baronali, spesso abusivi, che minavano il s uo potere. Allora, forse, confidando nella maggiore simpatia che l a sua origine dinastica gli assicurava in Germania, dovette sembrargli più praticabile iniziare proprio da lì il suo percorso imperiale. Dopo un viaggio particolarmente lungo ed irto d'insidie, alla fine dell'anno riuscì a ricevere a Francoforte, la corona imperiale, che gli venne riconfermata nel 1215 dal grande Concilio Laterano.
Nel corso di quel lungo soggiorno ebbe modo di stringere saldi legam i con due grandi istituzioni che in seguito gli si sarebbero rivelate prezioso supporto di governo: l'Ordine Cistercense e quello dei Cavalieri Teutonici (72> In particolare con il secondo si dimostrò straordinariamente liberale e munifico, ufficialmente in funzione di una imminente crociata, in realtà per: " guadagnarsi la parte migliore dei cavalieri tedeschi per impiegarli in altri comp i ti. Così Federico si creò un piccolo esercito libero da gravosi obblighi feudali, indipendente da influenze esterne (venissero da principi laici o ecclesiastici), e assolutamente fedele e sottomesso (sottoposto com'era al papa solo nelle cose della religione). Questo ben presto divenne la sua spada e la sua arma. " <73> Assicuratasi, con abili mosse politiche la Germania, ottenuta una dilazione per la crociata e la conferma a vita del regno di Sicilia, fu incoronato solennemente imperatore a Roma il 22 novembre del 1220. A questo punto disponendo ormai di una discreta forza militare, Federico potè, finalmente, dedicarsi a riorganizzare l'Impero a partire proprio dalla sua diletta isola.
L'impero di Federico Il
In sostanza, il modello di Stato che Federico per anni aveva attentamente studiato e che si accingeva a concretizzare in Sicilia , assunta a significativo banco di prova, consisteva in una rielaborazione in chiave assolutistica dell'Impero romano, con una strnttura gerarchizzata, leggi ben precise e con al vertice un sovrano assoluto. Il 15 dicembre Federico giun se a Capua, dove fece una fondamentale tappa, re sasi necessaria per promulgare un editto in venti capitoli , nucleo primario della sua concezione istituzionale. Il dettaglio che: " queste leggi fossero già pronte in ogni minimo particolare e che egli abbia colto l'occasione per renderle pubbliche nella prima città del Regno nella quale potè far sosta, dimostra con chiarezza con quanta impazienza egli avesse atteso quel momento, nonchè la sua determinazione di portare in patria ai suoi sudditi la poco gradita novella che l'epoca dei fuorilegge e dei predoni era finita e che in futuro essi avrebbero avuto a che fare con un re che intendeva regnare di nome e di fatto. " (74 >
Pertanto: " ... a capo di tutta l'amministrazione egli mantenne i sette grandi ufficiali del regno normanno .. . Questi costituivano il consiglio della corona e da essi dipendevano gli ufficiali minori, i giustizieri provinciali, i giudici, i notai, i maestri camerari, i procuratori del demanio, i collettori, i tesorieri.
L'amministrazione della giustizia criminale era tolta completamente ai baroni e questa disposizione, insieme con la protezione accordata ai vassalli ... costituiva un fiero colpo per la feudalità. L'esazione delle imposte era completamente riorganizzata , quantunque sotto Federico , per la necessità stessa della s ua politica, la pressione tributaria si mantenesse molto elevata " <75 > _ E, per annientare le residue resistenze dei baroni più irriducibili, l'iniziativa che a Federico parve risolutrice consistette nel revocare gl'innumerevoli privilegi nobiliari non giustificati, espropriando, o demolendo, i castelli abusivi. Non a caso fra le norme promulgate a Capua ve ne era una: " ... diretta espressamente contro i baroni, nella quale si s tabiliva che ogni castello o fortilizio costruito dai vassalli negli ultimi trent'anni dovesse essere consegnato alla corona o distrutto: poich è anche il diritto di costruire postazioni difensive emanava dal signore, onde ai vassalli era stato sempre proibito di edificare castelli fortificati, fosse pure nei loro feudi. Anche qui il sovrano rivendicava un antico diritto. "t16>
Che tale diritto fosse antico risulta anche da quanto a suo tempo riferito su l feudalesimo lon gobardo, ma che, in pratica, fosse stato sempre disatteso, in specie dopo l'arri vo dei Normanni, risulta altrettanto incontrovertibile. La deliberazione di Federico li , quindi, ribadendo la mai abrogata remota disposizione, veniva , finalment e, a mettere ordine in un settore quanto mai arbitrario e fonte di arbitrarietà. Sebbene la concezione di fortificazione demaniale si ravvisi già nella precedente dominazione, l'averla trasformata da eccezione a prassi canonica rappresenta, per molti aspetti, l'atto di na scita dello Stato nella modernità dell'accezione. Più in generale, se fino ad allora l 'onere della difesa era stato assolto anche con un ampio ricorso alle iniziative private, talvolta tollerate talaltra addirittura incentivate, ma mai rinnegate perchè abusive, da quel momento esso rientrò nelle esclusive prerogative dello Stato, unico detentore legittimo della forza armata; ogn i deroga , peraltro asso l utam en te straordinaria, avrebbe dovuto essere esplicitamente autorizzata. Per cui: " ... parallelo alla statalizzazio ne di nobiltà e cavalleria fu un altro nuovo provvedimento: per la prima volta, d'ordine di Federico, numeros i castelli, rocche e manieri passarono alle dirette dipendenze della corona: le fortificazioni non servivano più a difendere il singolo feudatario bensì tutto lo stato: furono più di duecento i castelli incamerati, tanto che Federico dovette creare un nuovo corpo di funzionari che soprintendessero a questo 'orga ni smo per la dife sa de] paese', vigilando sull'a mmini strazione e manut enzione dei castelli, sceglie nd o impiegati adatti allo scopo e occupandosi delle spese ge nerali
In tempo di pace, co ntrariam ente all'uso di quello e d'altri tempi, i castel1i non avevano presidio alcuno, ma al massimo, un castellano e un paio d'armati; in tempo di guerra invece, i feudatari e gli abitanti dei dintorni, come già avevano contribuito all'edificazione e alla manutenzione del castello, dovevano, secondo i loro obblighi e per ordine dello stato, fornirlo d'un presidio e sostenere le spese del suo mantenimento.
S'attuava così una s pecie di difesa nazionale ... piano unico nel suo genere per il quadro unitario con cui era stato matematicamente pensato " <77l
Circa l'istituzione, intorno al 1230, di funzionari addetti al con trollo dei castelli, definiti Provisores castrorum, va aggiunto che si rifaceva, molto probabilmente, ad analoghe cariche esistenti in Provenza e precedentemente, come ri s ulta da documenti pervenutici, già adottate dai Normanni. Nella più antica commissio, 1230-31, infatti, si legge:
"
.illa eciam castra, que reparacione videbitis indige re faciati s ab illis districtione , qua convenit, reparari , a quibus tempore bone memorie regis Gulielmi secundi consobrini nostri, fieri consuevit..." '1si .
Per quanto è possibile accertare i compiti di tali funzionari consistono in:
1° - Sorveglianza delle armi, armamenti e vettovagliamenti dei castelli.
2 °- Presidiare, con numero s ufficiente di armati i castelli.
3°- Pagamento del so ldo agli armati.
Nel 1239 viene riorganizzato l'Ufficio dei Provisores castrorum e contemporaneamente viene istituita la carica di Collettores per gli incassi della corona e vengono nominati nuovi Justiciari in tutte le provincie. Le zone di attività dei vari Collettores sono d'ora in poi le stesse dei rispettivi Provisores e questa suddivisione in zone dello Stato permarrà poi, all'incirca identica, sino alla fine del Regno di Carlo I... "( 79 >_
Un'ultima annotazione deve necessariamente riguardare i presidi abituali di quei tanti castelli. Innanzitutto va rilevato che la statalizzazione non eliminò completamente, almeno sotto il profilo amministrativo, l'esistenza di castelli feudali, per cui le due tipologie confluiscono in due distinte classi, ovvero i: " .' castra exempta' e 'non exempta'; al presidio dei primi provvede lo Stato mentre a quello dei secondi pensano i feudatmi. Poichè molti castelli passano continuamente da una categoria all'altra e poichè il ricordo delle antiche tradizioni per le quali tutti i castelli erano guardati da feudatari, non è ancora spento, regna nella organizzazione delle guarnigioni una grande confusione.
Troviamo, nello stesso castello feudatari e al loro servizio serventes pagati dallo Stato. Si ema nano disposizioni in base alle quali alcuni feudatari debbono abitare colle loro famiglie nei castelli, mentre altri contribui sco no con un servente per ogni 20 once di valore del proprio feudo. Quelli che non hanno un feudum integrum, (cioè il cui fondo ha un valore inferiore alle venti once) si debbono riunire e contribuire con quota parte proporzionale per fornire al castello un servente per ogni venti once di valore cumulativo.
Nell'ambito del castello ogni feudatario deve avere una casa nella quale depositare, all'epoca del raccolto, le provviste, e riporre le armi e i cavalli che è obbligato a fornire onde mantenere in efficienza le difese del castello ... " <~0> In ogni caso, gli uomini destinati alle gum·nigioni sono complessivamente pochi, mediamente tre o quattro al massi mo per castello: sappiamo da precisi riscontri documentari che il loro totale per provincie era così distribuito: li Castellano viene investito della carica con una commissio che ... ha due sottospecie: a) '.forma de custodia' b) 'forma quod recipiat' (cioè ordine di prendere in consegna dal predecessore tutto, nello stato in cui si trova).
A capo dello scheletrico presidio stava un castellano che: " ... alla fine della dominazione normanna ed al principio di quella sveva era il padrone del castello, con poteri assoluti amministrativi e militari, agli ordini del Sovrano; seno nch è col progredire d e11 'organizzazione dello Stato egli non conserva ch e il nome e deve rinunciare a tutte le prerogative della sua carica per passarle ai funzionari nuovamenle istituiti: Provisores, Ju sticiari, ect ...
Il Castellano ai tempi normanni e nei primi anni del regno di Federico viene nominato dal Re; dopo l'istituzione dei Provisores castrorum la nomina viene effettuata da detti Provisores , salvo che per i 'castra exempta' che dipendono sempre dal Sovrano ...
Il Castel1ano viene rimosso dalla carica con la 'forma quod desistat et assignet' (cioè ordine di cessare dalla carica e consegnare il castello e appartenenze al successore).
Al Castellano sono date inoltre le patentes ed è nominato 'usque ad heneplacitum nostrum' ... generalmente restano in carica a lungo ... Le paghe amrnontano ... prima del 1278: per il Castellanus miles a 2 tarì al giorno ... c ioè annue oncie 24 e 10 tarì; per il
Castellanus scutifer ... a I tarì e 4 grani al giorno ... cioè annue oncie 14 e 18 tarì...
I compiti ed i doveri del Castellano sono.
- sorvegliare il castello;
- non abbandonare il castello per nessun motivo;
- non portare armi fuori del castello se non per ordine e servizio del Re;
- curare la munutenzione delle vettovaglie e delle armi;
- (prima del 1239) provvedere al pagamento dei soldi e stipendi;
- (dopo del 1239) assistere solamente a questi pagamenti;
- originariamente esercitare la sorveg lian za sulle vigne, frutteti, mulini, terre, ecc. di pertinenza del castello
- prendere patte delle commissioni istituite per periziare l'ammontare dei lavori di manutenzione. " < 8 1> .
I castelli federiciani
Sebbene già nell'ultima fase del regno normanno fossero state edificate strutture difensive che, come precisato, possono senza alcun dubbio ritenersi dei veri castelli e non più delle semplici fortificazioni, fu con Federico II che siffatte costruzioni attinsero il loro apice funzionale e la loro razionale definizione architettonica. In esse ben poco venne lasciato alla discrezionalità ed alla originalità del progettista, vincolandolo a rigidissimi valori dimensionali plano-altimetrici e ad altrettanto precipui canoni estetici.
Il castel1o, nella logica federiciana, costituiva un' opera militare, con una sua precisa valenza tattica che, però, unitamente ai suoi analoghi disposti secondo un predeterminato scacchiere, perseguiva anche finalità strategiche, difendendo il territorio ed appoggiando l 'ese rcito imperiale nelle sue campagne. Infatti: " una rete ben collegata di castelli o più semplicemente di punti d'appoggio ben fo1tificati sarebbe stata un'ottima garanzia per il controllo e il dominio del meridione. E a tale scopo Federico si dedicò con tutte le energie, come attestano la lettera di Tommaso da Gaeta e gli esempi eloquenti che ci rimangono. Po ssed iamo in proposito una serie di false interpretazioni s ulle proporzioni e i tempi rapidi di questa particolare attività edilizia, che hanno suscitato idee assolutamente non fondate.
Già nel 1223 il notaio imperiale Riccardo di San Germano riferisce che Federico aveva disposto che i castelli di Napoli, di Bru·i e di Aversa «firmatur»; e la stessa cosa dice nel 1233 per quelli di Trani, di Bari e di Brindis i. Ma «fi rmare >> non s ignifica costruire, bensì consolidare, fortificare. Dunque, non s i tratta di nuove costruzioni dell'imperatore, e del resto sarebbe stato inimmaginabile, che, proprio in città di mare, i precedenti possessori non avessero provveduto ad alcun dispositivo di difesa, e non si fossero preoccupati di fortificare ciò che già esisteva. Dunque Federico intraprese i lavori adeguati alle contingenti necessità in questi castelli, eretti sicuramente prima della dominazione dei Normanni, tentando di arrestarne la rovina o di aumentarne la capacità di dife sa... " 1821 • Ma , nella stragrande maggioranza dei casi, quanto pervenutoci conferma una radicale ricostruzione di quei precedenti caposaldi, per lo più bizantini e so prattutto normanni , che finì per renderli perfettamente analoghi a quelli eretti ex novo.
Dalla centralistica impostazione federiciana traspare uno specifico modello di difesa riecheggiante , in definitiva , quello imperiale romano. Infatti tutto ciò che è militare, o attinente alle esigenze militari, appartiene e compete allo Stato, da questo viene gestito ed impiegato, anche con il congruo apporto dei civili , ma senza alcuna confusione di ruoli e prestazioni. Si coglie ancora, ed è forse la novità più eclatante, una netta distinzione tra tempo di guerra e tempo di pace dettaglio che confermerebbe, indirettamente , il superamento dell'anarchia medievale e la riaffermazione di precise garanzie e certezze sociali.
Ovviamente, la rigida finalizzazione dei castelli alla protezione dello Stato, e non più del singolo feudatario con la relativa famiglia, comportò che un gran numero di quelli esistenti, vuoi per ubicazione , vuoi per criteri architettonici, vuoi per impianto strutturale, risultasse assolutamente superfluo od inadeguato, causa di onerose manutenzioni e, per giunta, potenziale centro di ribellione. Per contro, molti siti strategicamente basilari, nella nuova prospettiva di difesa nazionale , apparivano pericolosamente sguarniti e vulnerabili. Per i primi, perciò, fu decretata la radicale demolizione mentre nei secondi, si pose mano, freneticamente, alla edificazione di castelli standardizzati. È estremamente probabile che la dirigenza federiciana, di risaputa razionalità e d'inusitata solerzia, non disgiunte da una pars imoniosa amministrazione delle finanze, avesse già da tempo elaborato per quel grandioso programma un modello base di castello, perfettamente calibrato alle precipue esigenze militari. Infatti: " ... è da notare un'altra importante conseguenza del passaggio dei castelli da feudali a statali: con l'edificazione di nuovi castelli ... s' inaugurò un nuovo s tile architettonico ... potevano essere costruiti come i castra romani, secondo un s istema unico, con poche varianti, il quale anche esteriormente, offri va il massimo di semplicità e sobrietà matematiche: un quadrato di pietra con una torre in capo a ogni lato. Nessuna concessione all'adattamento ambientale: i castelli di Federico II seguono una loro logica e non più quella del terreno ... " (83>
Più precisamente, nel modello di castello introdotto da Federico II: " ... si nota, comunque, uno stile del tutto unitario .. .i castelli, in quell'epoca sorgevano adeguandosi alle condizioni naturali del terreno ed assumevano, spesso, una particolare caratteristica dovuta proprio a tale stato di cose; ciò non avvenne per le fabbriche imperiali che furono, invece, rese il più possibilmente indipendenti dalla particolare configurazione del terreno e, anche, quando i castelli furono impiantati su alture, si cercò sempre di preferire luoghi che permettessero di mantenersi fedeli al modello prestabi 1ito. Si ebbe un rinnovamento della morfologia dovuto, infatti, ad un progetto studiato in tutti i dettagli e dettato dalle esigenze per le quali contavano molto le esperienze fatte dall'imperatore durante le crociate in Oriente... Questi castelli presentano nel loro impianto una regolarità matemati ca ed una c hiarezza di linee rette con volumi che si articolano su pianta quadrangolare o rettangolare, con quattro ali munite di torri cilindriche o poligonali in corrispondenza d egli angoli .. .''' 84 > .
Nella matrice architettonica di s iffatti caste lli per alcuni stu dio si è evidente l'influsso: " ... di quelli dell'Ordine dei Cavalieri Teutonici in Prussia, che hanno tutti lo stesso impianto, lo stesso stile, servendo agli stessi sc opi di quelli del mezzogiorno d ' Italia , e dipendenti dallo stato anch'essi ... " ' 85 >
Il concetto informale della fortificazione su pianta quadrata con quattro torri ammorsate ai vertici e fuoriuscenti dal filo delle cortine intermedie, lo abbiamo già incontrato esaminando le estreme produzioni imperiali romane, nonchè alcune ville ru s tiche del III -IV secolo. Lo abbiamo pure intravisto fra i più complessi castelli normanni, per i quali si sono ipotizzati apporti crociati . Nel caso di quelli federiciani, però , tale riproposizione planimetrica, certamente vagliata e ponderata per fini meramente difen sivi, cela qualcosa di più di una semplice affinità casuale, o di una pedissequa imitazione. Ed è coerente ravvisare alle spalle di quell'op zione il ruolo affatto secondario dell'Ordine Ciste rcense . Molto probabilmente, infatti, furono proprio i suoi ingegneri che, nell'accingersi a fondare i tanti conventi-aziende agricole dislocati in Germania, imbattutisi al pari dei Cavalieri Teutonici , nei ruderi ancora ben leggibili dell e menzionate ville rustiche, o di qualche quadriburgo del limes danubiano, non tardarono ad apprezzarne l'ottimale rapporto tra rispondenza difensiva e rapidità costruttiva, sinonimo di economicità, recuperandone perciò altrettanto prontamente i canoni dimensionali ed architettonici. Quei criteri potevano facilmente applicarsi ad un monastero in territorio ostile come ad un castello statale, essendo entrambe le costruzioni scev re da ostentazioni superflue.
Una attenta rielaborazione, se mai, dovette essere compiuta per adeguare siffatto castello-tipo alle più avanzate armi individuali da lancio che, nel frattempo , si andavano diffondendo e perfezionando , prime fra tu tte l a micidiale bales tra. Qual e fosse ormai la s ua poten za si può arguire dal dettaglio che la Chiesa, nel Concilio L ate ranen se d el 1139 , ritenne necessario limitarne l ' impiego ai so li combattimenti contro gli infedeli , essendo un ' arma 'aborrita da Dio e non adatta per i cris tiani ' . Ovviamente, qu e ll e umanitarie prosc ri z ioni non ebbero alcun seguito registrandosi un diffonders i ad oltranza della balestra ed un s uo ulteriore perfez ionamento. Non a caso: " Riccardo Cuor di Leone nel 1199 all'assedio di Chaulus, e Filippo Augusto, l'adot- tarono di nuo vo per le loro trupp e, malgrado il brev e di Innocen zo III che le sco municava ri c hi a mando si al di vieto co nciliare... In Italia la ritroviamo costantemente implicata in tutte le guerre deJla Chiesa o dell ' Impero , fra Gue lfi e Ghibellini, in tutte le lotte frat ricide fra i Comuni, in molti ssimi fatti d ' arme ... In Genova , finalmente, e fino dai primi tempi del suo impiego, si costituì un addestramento organizzato per i balestrieri i quali formarono co mpa g nie mercenarie che co mbatt e rono per t11tta Europa " (86 ) Di certo intorno alla fine dell 'X II secolo, una di sc re ta bales tra man esca forniva una g ittata utile di circa 100 m , con un a ca denza di tiro di due o tre verrettoni al minuto, capaci , per la loro eccezionale forza di penetrazione, di trapa ssare, in quel ra gg io , qualsiasi corazza. Pres taz ioni del genere detemunarono , quale criterio di fens ivo prioritario, la riscoperta e l'esaltazione de l tiro di fiancheggiamento, ed i tecnici di Federico ne acce ntu aro no al ma ssi mo lo sfr uttamento dimen s ionando su lle s ue potenzialità i loro castelli. In un pai o di castelli tra quelli ancora s icuram e nte leggibili s i ri scopre un impianto planimetrico talmente sofist icato da eliminare quals ia si set tore defilato: per la rilevanza ne esamineremo in dettagl i o le caratteristiche. Sempre in relaz ione all'accresciuta violenza dei tiri , nella fatti spec ie offensivi, tutti i castelli vennero dotati di coronamento merlato , con merli rettangolari distanziati fra loro da un intennerlo di uguale larghezza. Al loro riparo i tiratori potevano tranquillamente ricaricare le armi, limitando l'apparizione dal I' i ntennerlo al so lo istante di lancio. Come per il fiancheggiamento , anche per la me rlatura s i deve, in sostan za, parlare di un recupe ro culturale classico: infatti la merlatura federiciana è identi c a a quella romana, cioè perfettamente a filo con l 'es tradosso delle sottostanti cortine, senza quegli aggetti che compariranno alcuni decenni dopo per rimediare a comprovati inconvenien ti.
La merlatura a filo, infatti, se proteggeva ottimamente gli arcieri ed i bales trieri, impacciava gravemente la difesa piombante , sempre indi s pensabil e contro g li assalti. Per riuscire a gettare verso il bass o ma ss i, o liquidi ust ionanti , era indispensabile s porger- si notevolmente al di fuori degli intermedi , superandone lo spessore, il che finiva per rendere l'operazione lenta, imprecisa e rischiosissima, in specie se l'assediante di s poneva di balestre. Il rimedio che di lì a breve fu introdotto per risolvere il problema, peraltro già sporadicamente e parzialmente presente sulle fortificazioni normanne, consistette in un ponteggio ligneo a sbalzo applicato su 11 'estradosso del coronamento.
Si componeva di sporti infissi nelle mura alla base delle merlature, di circa un metro e mezzo d'aggetto. Su di e s si poggiavano orizzontalmente dei tavoloni e verticalmente dei murali sorreggenti una schermatura di graticci e leggere as s i. Quella sorta di balconata a sbal z o era completata abitualmente da una copertura s piovente, anch ' e ssa di legno, connotandosi come una veranda pensile insistente sull'intero perimetro del castello. Attraverso apposite buche, disposte ad intervalli regolari lungo l'impiantito , dette 'piombatoie' o 'caditoie ' , si potevano la sciar cadere vers o il bass o massi e 1iquidi , in perfetta s icurezza. Identica sicurezza god e vano pure i tiratori , che nascosti dalla schermatura , scagliavano dalle sue s ottili fes sure, in sostanza feritoie, i loro dardi. Le p1incipali caratteristiche negative del dispositivo descritto , del resto facilmente intuibili e risolvibili anche all'epoca , erano l ' estrema infiammabilità e rapida deperibilità della struttura. Il che spiega l'assoluta mancanza di una sua qualsiasi, anche minima, permanenza limitandosi le relative testimonianze alle sole riproposizioni iconografiche.
Un ultimo singolare, ma ancora una volta affatto inedito, espediente difen sivo s i rintraccia, sistematicamente, nei castelli federiciani , agevolato dalla loro rigida simmetria planimetrica: quello esoterico. Dall'orientamento geografico , alla sequenza numerica dei moduli dimensionali, infatti, possono agevolmente 1icavarsi i precisi criteri scaramantici e astrologici propri dell'ambiente culturale dell'imperatore.
Circa la tecnica costruttiva, essendo sempre l'altezza il principale fattore interdittivo , parve logico avvalersi delle soluzioni a notevole sviluppo verticale, implicanti l'adozione dell'arco a sesto acuto , o ad ogiva, di recente acqui s izione. Anche in questo caso la s ua elaborazione viene a scritta all'Ordin e Cis tercen s e che: " contribuì a diffondere in tutto il mondo cristiano l ' arte di Francia, l'opu s francigenum, esportandone i modelli sin nel cuore del restìo Mezzogiorno ... "<81) . Adattata alle specifiche e s igenze militari, quella modernissima s oluzione strutturale definita 'gotico nascente ' <ss i, consentiva la realizzazione di complessi funzionali, sicuri ed economici: quattro ali intorno ad una corte quadrata , con quattro torri quadrate agli spigoli 189 i su soli due piani!
Affatto casuale, pertanto, che Federico Il, profondo conoscitore di risors e e capacità culturali , gratificass e ben presto i grigi monaci di innumerevoli concessioni e riconoscimenti , monopolizzandone , però , la qualificata cooperazione edile , per cui di mol t i: " ci s tercensi si servì come architetti per la costruzion e di castelli , e all'edificazione, in Puglia, dei più importanti e dei più belli di e s si parteciparono quas i sempre capomastri del l ' ordine.
Nè mancano documenti di tale attività: da uno s tatu t o del capitolo generale si ricava che laici e monaci cistercensi erano sempre impiegati in gran numero dal!' imperatore; al punto che il papa ebbe a lamentarsi che Federico li sfruttass e troppo per le sue cos truzioni. Del resto parlano chiaro i vari castelli che Federico si fece cos truire ... nei quali tutti si riconosce ... Jo s tile cistercense ... " <90i
Tenendo presente la standardizzazione dei castelli federiciani sia pure nei limiti dell ' approssimazione medievale è alquanto logico che persino dall ' analisi cli un singolo esemplare, si possano dedurre, trascurando Je sue specifiche din1ensioni, i canoni generali della tipologia. Ovviamente, a condizione che lo stesso non abbia subito ristrutturazioni ed aggiornan1enti in epoche posteriori, evenienza affatto rara poichè non pochi castelli divenuti superflui nel mutato quadro s trategico delle successive dinastie, finirono abbandonati. Discorso completamente diverso per le coeve cerchie urbane e torri costiere, fortificazioni entrambe dettate da preminenti esigenze sociali e pertanto costrette alla continua riqualificazione: ranssuru, perciò, scontri. significati vi n-
I castelli di Catania, Augusta e Siracusa
Tra i primi dispositivi legislativi promulgati nell'isola dall'imperatore, spicca la riadozione deJJe precedenti normative tributarie destinate alla formazione di una marina da guerra. Infatti: " .le antiche leggi normanne avevano previsto una serie di provvedimenti grazie ai quali era possibile creare e mantenere sempre in ottima efficienza una flotta. I proprietari di alcuni feudi e varie città e centri importanti del Regno erano obbligati a fornire legname per la costruzione e denaro per la manutenzione della flotta - questi tributi erano conosciuti sotto il nome di lignamia e marinaria -, nonchè un certo numero di marinai per equipaggiarla. Federico ripristinò quelle leggi cosicchè al la fine del 1221 poteva già contare su due squadre navali ... " c9 11 • È interessante ricordare che in seguito anche la Calabria conobbe la medesima imposizione fiscale, det~ Jus lignaminum trasformata però in: " ... prestanzà pel legname per la marina; la qual prestanza, ove prima somministra doveasi da' feudi in legni ed alberi da navi venne da lui convertita in prestanza di moneta, di modo che in Valle di Crati pagavansi per ciascun di tali alberi otto tarì, e nove in Terra Giordana. Lo stesso dazio esigevasi in bel circa secondo si fatta ragione in altri comuni del Reame." (921 La citazione conferma che la squadra siciliana, così formata: " presto sarebbe divenuta la flotta dell'impero romano, come lo provava sin dall'inizio lo stemma degli Staufen l'aquila romana in campo d'oro dipinta sulle bandiere: per la prima volta al tempo di Federico una flotta imperiale romano-germanica correva il mar Tirreno ... " '93 l
Per la flotta, ovviamente, occorTevano idonee basi navali che a loro volta supponevano precise connotazioni geomorfologiche costiere. L'ampia baia che si apre poco più a nord di Siracusa parve , alJora , il sito più adatto allo scopo: di notevole capacità ricettiva , in posizione bruicentrica nel Mediterraneo centrale e facilmente sorvegliabile, soddisfaceva ogni richiesta, al punto tale da meritarsi non solo l'immediato avvio dei lavori ma, finanche, la definizione dì Augusta. La progettazione della fortificazione che avrebbe dovuto difenderla fu affidata a Riccardo da Lenti1ù, già realizzatore di quel Castel Ursino a Catania, simile, se non altro, per l'adozione deJle torri cilindriche a Castel Maniace di Siracusa. La singolare anomalia dei due castelli ci costringe ad una breve divagazione.
82 Catania. castel Ursino foto aerea.
Il primo, eretto a partire dal 1239, in riva al mare e ricoper1o dalJa lava dell'eruzione dell'Etna del 1669, conserva, oltre ad una notevole simmetria strutturale, una singolare matrice mediorientale. Infatti: " è tra le costruzioni fortificate volute dall'imperatore quello più simile, nella tipologia, ai castelli arabi delJ 'epoca ommiade. Ha grandiosa mole quadrata con ton-i cilindriche ai lati e altre min01i sulle mediane dei lati .. .''<9- 1>
Il secondo, della metà degli anni '30, invece: "fuco- struito a Siracusa nella cinta esterna della pe1ùsola di Ortigia... [el se si guarda attentamente la s ua pianta, s i constata con stupore quanto essa si disco s ti da quella !canonica federiciana, tranne che per l'] assoluta regolarità della configurazione planimetrica, ma questo è solo un aspetto in comune, perchè qui la disposizione a 4 ali si è trasformata in uno spazio interno comprendente interamente la supertìcie primitiva di m. 50x50.
Quest'ultimo a sua volta fu trasfom1ato mediante 16 colonne in un ambiente porticato suddiviso in ventiquattro campate a crociera ogivale.
Solo tramite uno spazio centrale, come un cortiletto interno a modo di tromba aperta all'insù, luce ed aria penetrano all'intemo ... [ma] nel castello stesso tutto fu distrutto ... Esso deve essere stato di una ineguagliabile bellezza; soprattutto per il cru·attere orientale che gli de1ivava dalla mancanza di direzione di questa selva di colonne, tale da ricordare l'interno delle Moschee, come forse quella di Cordova Che Castel Maniace non dovesse servire in primo luogo, come quello di Catania e Augusta, da baluardo militare, lo fa capire il fatto che esso fu eretto con magnifiche pietre squadrate, del tutto liscie e senza giunti, ma soprattulto la ricchezza e Io sfarzo del suo allestimento artistico. Nes s un ' altra costruzione impeiiale possiede un portale così maestoso e costruito da materiale tanto prezioso ...
In Castel Maniace ci imbattiamo piuttosto per la prima volta in una costruzione imperiale che rivela chiaramente l'interiore sviluppo dello schema costruttivo, dapprima concepito solo rnilitru-mente, vale a dire del «castrum», a palazzo vero e proprio, la cui vera funzione è il prevalere della funzione di abitazione nei confronti dell'impo1tanza militare...Da questo punto di vista si deve allora ritenere per certo che , poichè al piano terra si trovava solo un atrio gigantesco, ed anche le scale a chiocciola che portavano in su, e le quattro torri angolari parlano in tal senso , era progettato almeno un piano superiore... Tracce che esso sia stato sia pure solo iniziato, non si sono rilevate .. .' '19s, _
Tornando alla baia di Augusta, intorno alla metà degli anni '30, fu eretto con la proverbiale solerzia un ennesimo castello, questa volta privo di reminiscenze islamiche, consistente nel tipico blocco quadrato con torri quadrate ai vertici e corte centrale quadrata. Per meglio difenderlo si ritrovano al centro delle co r tine che non contengono i vani d'accesso, in posizione rompitratta, anche due semitorri rettangolari, e nella cortina principale una torre semiottagona, le cui dimensioni trasversali sono identiche a quelle delle due semitorri , lasciando perciò presumere che anche quest'ultime o rgina ri amente fossero semiottagone, ed in numero di quattro, una per ogni lato. Va osservato al riguardo che il castello di:
"Aug u sta ha pagato il più alto tributo alle profonde trasformazionj successive e a ll e orribili deturpazioni " 1961 Attualmente: " si presenta come un quadrilat ero d i 62 metri di lato con tre torri quadrate ad ogni angolo, due torri mediane e una toITe poligonale. Tuttavia numerosi elementi possono lasciar congetturare che il progetto i ni z iale non s i a stato comp letato o perlomeno sia stato successivamente modificato ... " <91 >
Al di là della perfetta individuazione della valenza strategica del sito, confermata dal protrarsi dell' impiego militare del castello fino al 1894, vi è una seconda ser ie di osservazioni, di natura balistica, che derivano dalle curiose sern it OtTi ce n trali. M a è necessario prima approfondire un a ltro caste lJ o federiciano strao rdinari ame nte sim ile a quello di Augusta: quello dell'Imperatore a Prato.
Il castello dell'Imperatore a Prato
Storicamente la sua data di costruz ion e è compresa fra il 1237 ed il 1249 e fu fatto erige re da Federico lungo l ' itinerario c he collegava la parte peninsulare dell'Impero co n qu e lla cont in e ntal e. D al punto di vista architettonico: " ... l'edificio, pur così geografica mente lontano, è ri ferib ile alla tipologia d ei castelli federiciani di Pu g lia e di Sicilia. A pi a nta quadrilatera, con torri agl i a ngoli e a ltre al ce ntro delle cortine, esso ripropone, nella purezza e rego larità delJa volumetri a, nel materiale costruttivo e nelJe grandi superfici senza aperture, la nobiltà delle costruzioni sveve " (9si Va rilevato che le due torri intermedie, delle quattro originarie , si differenziano da quelle omologhe di Augusta unicamente per la pianta.
Mentre le siciliane infatti sono semiottagone, con cinque lati esterni alla cortina, le toscane sono a pianta semiesagona con solo quattro lati verso l'esterno, che vengono perciò a formare una sorta di puntone.
L'accortenza che, in prima approssimazione, sembra una in s ignificante variante architettonica, ad un più attento esame, appare , invece, come la fase finale dei tentativi espletati , in rapidissima successione , per s opprimere i settori defilati antistanti al piede delle torri. Ad Augusta, le ton-i intermedie , sporgendo fuori dalla cortina più delle torri d ' angolo, rie scono perfettamente a tirare davanti a loro , battendo ogni minimo punto del terreno , mentre quest ' ultime non possono fare altret- tanto , impedendoglielo gli spigoli della torre centrale: deficienza che determina il permanere dinanzi ad essa di un piccolo settore immune al fiancheggiamento. Le torri intermedie del castello di Prato, invece , a forma di puntone, pur es sendo sempre più aggettanti rispetto alle angolari, non hanno però il lato anteriore, sostituito da uno spigolo ottuso che, per la sua configurazione, consente a quest'ultime di spazzare entrambe le sue facce convergenti eliminando, perciò qualsiasi settore defilato.
La soluzione, certamente efficacissima e risolvente la ultramillenaria debolezza , aveva un unico, ma significativo difetto: un eccessivo costo , essendo non s olo neces sario raddoppiare il numero delle torri ma anche realiz zare i conci di quelle centrali secondo un preciso ed invariabile angolo. Il che, come accennato , lasciò spazio ad un altro sistema che si rintraccia nel castello del Macinale , eretto press o Caserta.
Il castello del Marinale
Grazie ad una serie fortuita di circostanze uno dei castelli scampati alle successive ri strutturazioni, anche se non deJ tutto aUa funzione di comoda cava di pietra, e finito semp li ceme nte dimenti ca to al termine dell 'epopea sve va , sve tta non lonta no da Napoli, s ull ' abitato di San Felice a Can ce llo. Per una se ri e ancora più s tra ordinaria e d imp ond e rabile di concause, pur ri s pe cc hiand o fedelme nt e i canoni appena esposti, su quel modesto castello furono realizzate dal progettista sofistica ti ss ime quanto misconosciute, ora come allora, variaz io ni planimetriche allo scopo di eliminare ogni se ttor e d efi lato al fiancheggiamento se nza però raddoppiare il numero dell e torri. Singolarità che, im pli ci La me nte , so ttinte nde il possesso da parte dello stesso personaggio di una ragguardevole pe1i zia militare, indispensabile per e laborare tali migliorie, e di una ancora più ragguardevole autorità politica, indispensabile per imporle: la s ua esatta identificazione, tuuavia, es ula dai limiti del presente st udio.
A quota 260, sul piccolo centro campano, incombe una severa massa geometrica, prima ed indubbia connotazione della matrice sveva del castello. Si tratta del solito tetro prisma quadrilatero con quattro tozze torri quadrate ai vertici , più una quinta anomala, forse posteriore, in posizione asimmetrica sul lato di ponente. Torri e cortine non dovevano originariamente differire in altezza: quella che oggi, invece, domina l'intera co s trnzione, ubicata sullo spigolo volto a levante, fu soprelevata qualche decennio dopo l'ultimazione del castello.
In conseguenza di tale intervento, è rimasta inglobata nella muratura aggiunta, ed appare perfettamente leggibile per forma e dimensioni, la primitiva merlatura , che con-eva lungo l'intero perimetro. È costituita da merli rettangolari, abbastanza larghi , circa m 1.30 , con intermerlo di pari ampiezza , accuratamente a filo con l'estradosso del paramento. La fortunosa permanenza rappresenta un riscontro rarissimo, poichè, oltre a pagare lo scotto della sua intrinseca fragilità, fu proprio la merlatura la prima vittima degli adeguamenti strutturali, per cui quasi mai quella osservabile su qualsiasi castel1o può ritenersi, quand'anche non autentica, fedele ali' originaria.
Scendendo in dettaglio , oltrepassato un portale gotico di bianco calcare locale, a bugne piatte e chiave in granito scuro unica concessione all'estetica insieme ad una piccola bifora sul lato a settentrione , per quanto attualmente osservabile dotato di un doppio sistema di serramenti, esterno a saracinesca di cui permangono in ottime condizioni le guide di scorrimento ed interno a due battenti di cui permangono gli alloggiamenti dei cardini si accede ad un cortile un tempo al centro di quattro ali . Di queste, sulla sinistra si conserva ancora una grande sala voltata ad ogiva, di circa 23 m per 6.7 m, con a l di sotto un equiva lente ambiente sotte1nneo , più basso, voltato a botte. Al di sopra, e le impronte su ll e cortine lo confermano, esisteva un'altra identica sala sempre voltata ad ogiva: di lei , però, sopravvive solo una breve sezione. Oltre a questo corpo di fabbrica nulla resta degli altri tre , tranne le mura perimetrali e gli innesti delle imposte delle volte
In pianta, quindi, si tratta di un edificio quadrato di circa m 27 di lato con all'interno una corte quadrata , di circa m 12 di lato con ai vertici quattro torri quadrate di m 9.5 di lato. Verticalmente si componeva di due piani fuori terra, originariamente pari a circa m 15. al netto della merlatura, altezza conservata intatta solo dalle to1Ti. che mantengono immutata anche la compartimentazione interna. Jn tutte, il sotterraneo risulta adibito a cisterna, a cuj una tubatura sottotraccia in cotto adduceva le acque piovane raccolte in copertura. Sempre nelle torri, il piano teneno, bucato da strette feritoie fortemente strombate, era riservato alla difesa di fiancheggiamento radente. L'accesso ad esso avveniva dalle sale adiacenti e, se necessario, da lì mediante scale volanti fatte passare attraverso una botola della volta, era possibile raggiungere il sovrastante ambiente, di circa m 5x5, anch'esso comunicante direttamente soltanto con la sala adiacente. In questa. inoltre, faceva capo una strettissima, appena ovviamente, allora come oggi, finalizzato ad eliminare lo stress dei soldati unicamente per migliorarne il servizio.
60 cm, ripidissima ed angolata rampa di scale, ricavata nello spessore murario dei fianchi di ciascuna tone che immetteva alle loro coperture, comunicanti con quelle deU' intero castello riparate dalla merlatura continua. Dalla sommità delle toni riusciva praticabile il tiro di fiancheggiamento ficcante. Tanto al primo piano, come ali' inferiore, ogni torre, ed ogni sala, disponeva di una latrina, dal cui locale, attraverso un ca vedo, era possibile prelevare 1'acqua dalla sottostante cisterna: lo scarico con condotto verticale sfociava suIJa base esterna delle cortine. Sempre al primo piano, ogni torre, su entrambi i lati non innestati alle cortine, disponeva di due finestre, fortemente strombate e munite di battenti e cancellata, raggiungibili mediante pochi scalini e dotate di sedute laterali. Ultima pe11inenza di ognuno di tali ambienti un grande camino dall ·altissima cappa, ricercatezza che permette di cogliere il notevole comfort di quei castelli rispetto alla coeva edilizia abitativa. Comfort.
Circa l'entità della difesa passiva. le rnmature perimetrali delle cortine non eccedono lo spessore di m 1.80, mentre quelle delle torri raggiungono quasi m 3, confermando il valore ostativo preminente ad esse assegnato. Non a caso è proprio nella accorta asimmetria del loro aggetto che si ravvisa l'accennata impostazione spe1imentale, pm nella sostanziale aderenza ai canoni dell' architettura militare federiciana <99>
In dettaglio , a Cancello, ogni torre quadrata fu innestata alla cortina, con le due facce esterne ortogonali le sole intere non ali ineate alle concordanti delle torri adiacenti. Infatti, ciascuna torre presenta la prima faccia esterna, quella parallela alla cortina e prospiciente la campagna, anetrata di quasi un paio di metri rispetto a quella con lo stesso orientamento della torre contigua. La seconda faccia, poi, ad essa perpendicolare in modo da formare lo spigolo diagonale dell'intero castello, a sua volta sporge di quasi un paio di metri rispetto alla concordante della torre successiva , e così dj seguito. Ne derivava la possibilità di battere da ciascuna torre il terreno antistante alla successiva: ovviamente l'accorto dispositivo , pur dimezzando il critico settore defilato antistante alle torri risultato già notevole non lo eliminava, però, del tutto (10<ll, come ne] castello di Prato. Consapevole di quella estrema permanenza , 1' acuto progettista adottò un u]teriore accorgimento planimetrico, ancora più innovat i vo ed enigmatico.
Alle due torri che fiancheggiavano il vano d ' ingresso, quelle poste cioè sul versante meno ripido della col- lina e quindi sul fronte più esposto, volle applicati, sin dalla fondazione, degli stranissimi zoccoli , a pianta vagamente cuneiforme, quasi dei rozzi speroni, i cui vertici appaiono, in vistosa divergenza dalle diagonali de] castello coincidenti, come precisato, con gli spigoli delle toni.
Il che dà origine ad una evidentissima alterazione della verticalità di quest'ultimi , che sembrerebbe ascrivibile quasi ad una sorta di riprovevole imperizia costruttiva, in nessun modo giustificabile e peraltro maldestramenle camuffata, da una certa altezza in poi , medìante una rastremazione delle facce delle due torri interessate.
Traguardando, però, da entrambi i vertici di lali 'speroni' è facile scorgere per intera la faccia della torre opposta. quella che per i I suo impianto rientrante dovrebbe, invece. risultare assolutamente invisibile. Pertanto la stessa. sebbene battibile anteriormente, è in grado a sua volta, grazie appunto al menzionato sperone. di fiancheggiare ìl piede della torre 'protettrice' el iminandone qualsiasi settore defilato. E, logicamente, identica potenzialità possiede la seconda. Per gli attaccanti ne derivava che lungo i tre lati meno scoscesi, ma un accenno di sperone si coglie anche per le torri posteriori, in nessun punto era possibile defilarsi rispetto al fiancheggiamento! È l'avvento, grezzo quanto si voglia. nella prima metà del XIII secolo, del criterio del forte a quattro bastioni. ovviamente congruo agli archi ed alle balestre.
Non diversamente da quanto a suo tempo rilevato per le mura di Telesia, l'accorta disposizione non trovò estimatori. Non ricevendo alcuna verifica bellica, al pari del castello, finì rapidamente clirnenticata" 11 1> !
Castelli di Bari, Gioia del Colle. Trani, Manfredonia
Federico Il amava definirsi puer Apuliae. esplicita testimonianza del grande affetto che lo legava alla splendida regione già prediletta dai Nonnanni: logico quindi che prop1io in essa si rintraccino i suoi più significativi castelli, rendendo impossibile menzionarli tutti sia pur schematicamente. Limiteremo perciò l'esemplificazione ai più interessanti sotto l'aspetto castellologico.
f1 castello di Bari, nonostante le successive trasformazioni, cui va ascritto l'attuale aspetto di fortezza bastionata. conserva ancora all'interno della cerchia cinquecentesca l'oiiginale quadrilatero svevo, con le tipiche torri quadrate ai vertici. Va comunque osservato che la vistosa asimmetria che lo caratterizza, dipese dalla preesistente fortificazione norn1anna, eretta al tempo dell'occupazione della città da parte di Roberto il Guiscardo, nel 1071. La stessa, come comprovano i ruderi sottostanti ad una torre, sorse. a sua volta, su di una più antica opera greco-romana, innalzata con blocchi di tufo di grande compattezza, le cui dimensioni erano all'incirca di m l.7x0.8x0.8, posti in opera a secco su filari isodomici. Storicamente, di tale remotissima struttura. si rintracciano menzioni in Orazio e Tacito.
Il castello normanno per le successi ve insuITezioni e guerre intestine finì praticamente distrutto, per cui Federico fl, fra il 1233 ed il l 240. diede incarico a Guido del Vasto di ricostruirlo ampliandolo. Assunse allora, per quanto consentito dalle permanenze, la configurazione canonica di: " ... impianto quadrangolare rafforzato agli spigoli da torrioni parallelepipedi. Di essi i due verso l'abitato risultano. per maggior difesa, molto aggettanti rispetto alla 1inea delle cortine perimetrali. Torri e cortine sono rivestite da bugne a bauletto in tufo carparo.
Nel1a cortina di ponente, a fianco della cosiddetta torre dei Minorenni, si apre il bel portale con archivol- to ogivale ... Poichè non vi è in questo portale alcuna traccia di un ponte 1evatoio, se ne deduce che esso fosse preceduto da un recinto oltre il quale c'era il fossato e nel quale si apriva un'altra entrata munita appunto di ponte levatoio. Attraverso questo portale si entra in un portico che si protrae neJJa corte. Esso è coperto da volte a crociera sostenute da capitelli alcuni in stile corinzio, altri costituiti da diversi ordini di foglie stilizzate e con agli angoli aquile sveve ... L'altezza delle torri doveva raggiungere i 30 m. Le dimensioni di due lati di base delle torri 1ivolte a Sud (la torre dei Minorenni e quella de1 Semaforo) sono m. I 5.20x 15.45 e m. 16. l0xl5.70. Le due torri verso il mare si chiamano del Monaco e del Vento.
La torre del Semaforo ... presenta due bellissime monofore a tutto sesto AJl ' interno essa è formata da tre ambienti disposti l'uno sull'altro e collegati tra loro da una sca1a a cruocciola, ricavata nella muratura [che l ricorda per i pmticolari tecnici , le analoghe opere di Castel del Monte. Una sca la simile sale all'interno 107 Gioia del Colle, planimetria del castello. della Torre dei Minorenni ... ''1 10 2)
Il castello di Gioia del CoJJe, si erge a quota 360 m, sulla cresta che separa le Murge orientali da quelle occidentali. La s ua pianta è quadlilatera irregolare, ed i lati sono orientati verso i punti cardinali.All'interno il solito c01tile con andamento simile. Probabilmente la costruzione originaria disponeva di quattrn toni ai vertici: attualmente però ne sopravvivono soltanto due, per l 'esattezza Torre De' Rossi, alta m 26.40 e Torre Imperatrice, alta m. 24.1 O rispettivamente con lato di base m 10.50 e m 9.70. Entrambe appaiono alquanto trasformate e modificate. Tra loro corre 1a cortina, che racchiude il po,tale, ad arco policentrico, con conci bugnati a raggiera. Un secondo portale di dimensioni maggiori, a configurazione ogivale sempre policentrica, si apre nella cortina di ponente. Quanto alla tecnica muraria esterna: " ... è costituita di tre diversi tipi ...che denunciano tre epoche diverse di realizzazione: piccoli conci lapidei di pietra calcarea, sulla cortina Nord e Nord-Est; bugne rettangolari a bauletto con canaletti incavati, sulla to1Te Imperatrice; bugne rettangolrui poco aggettanti e schiac- ciate molto consunte dal tempo , su n1tto il re sto della costruzione.
Tl materiale usato è il carparo rosso, un tempo reperibile a non molta distanza ad eccezione della parte bassa delle torri le cui bugne fino a m. 4.50 di altezza sono di pietra calcarea mollo chiara, come pure le bugne degli spigoli delle torri e quelle che incorniciano i portali, le finestre e alcune feritoie.
Le cortine alte circa 12 metri sono divise in due piani : quello inferiore presenta strette fe1itoie non tutte originali, in quello superiore si aprono numerose finestre di varia forma e grandezza ... La tradizione vuole che intorno al 1230 Federico Il, di ritorno dalla sesta Crociata si sia fennato a Gioia ed abbia ristrutturato il castello, trasformandolo da fortezza in dimora regale Più probabilmente... per la posizione strategica della località. inserì il castello di Gioia negli scacchieri fortificati di cui di sseminò il suo regno di Sicilia e di Puglia ... " no3 ,
A Trani il castello fu eretto in riva al mare, quasi dirimpetto alla grandiosa cattedrale, uno dei massimi esempi di romanico pugliese. La fortificazione è forse tra quelle meno compromesse dalle successive trasformazioni , per cui conserva più netta la matrice federiciana. La pianta è ovviamente quadrata con quattro torri, anch'esse quadrate ai vertici. Intorno al perimetro correva un fossato, originariamente in comunicaz ione con il mare, so lu zione che implicava un ponte levatoio , in seguito sostituito da un o fisso.
In epoca cinquecentesca gli vennero aggiunti un bastione, inn es tandolo s ul corpo della torre volta a sud-ovest, ed un tempietto, al centro deJ cortile. Per quanto è possibile appurare, la costruzione del castello fu intrapresa intorno al 1233 ed ultimata 16 anni dopo, come conferma un ' i sc ri z ione posta su l suo lato settentrionale. Si sa ancora che: "Filippo Cinardo ... conte di Conversano e di Acquaviva , uomo di armi , ammiraglio e feudatario di Federico , più che dirigere i 1avori della costruzione , fu invece presente come intenditore di fortificazioni e in qualità di provvisore; il barese Stefano di Romualdo invece diede il suo contributo arti Sti CO " 11011 •
Senza dubbio l'epi s odio più tragico svoltosi tra le sue mura è la straziante cattura della vedova di Manfredi , la giovane regina Elena Commeno , che dopo la morte del consorte vi si era rifugiata, con i suoi quattro bambini, in attesa di potersi imbarcare per 1' Epiro, sua terra natale. Tradita dal vile castellano , fu consegnata a l d'Angiò. Imprigionata a Napoli e se parata dai figli, morì dì dolore nel giro di pochi anni.
E proprio allo sfo1tuna to Manfredi va ascritta la costruzione del castello di Manfredonia, forse l'ultimo castello s vevo. Eretto , sei anni dopo la morte dell ' imperatore nel 1256 quando il figlio fondò , nelle immediate adiacenze, la nuova città in sostituzione di Siponto , distrutta completamente dal terribile teITemoto del 1223, il castello conserva , nelle parti più antiche , le t ipich e impostazioni federiciane.
11 progettis ta fu, con molt a probabilità, Giordano da Monten santa ngelo: nel 1258 la fortificazione risulta prossima all'ultimazione, mentre la città lo sarà circa otto anni più tardi. Gli Angioini, gli Aragonesi ed infine gli Spagnoli lo potenziarono, ognuno secondo i vigenti criteri dell'architettura militare, al punto che attualmente ben poco rimane, oltre all ' impianto planimetrico e ad una torre quadrata, dell'originaria struttura, composta comunque di un recinto quadrato con quattro torri quadrate aj vertici.
Torre costiera di Vendicari
Federico II non fu il primo sovrano a cimentars i con il flagello delle incursioni da mare, ma senza dubbio fu quello che affrontò con maggiore decisione il problema della difesa costiera, er igendo diverse torri sulle insenature più minacciate. Di esse, tuttavia, pochissime sono scampate alla successiva demolizione, resasi necessaria per far posto alle più moderne costruzioni destinate, inevitabilmente ed esattamente negli stessi siti, alla medesima funzione. Tra le superstiti c'è quella di Vendicari, presso Siracusa, fatta costruire, con molta probabilità, da Federico II per proteggere un porto adibito al commercio granario, sebbene le più antiche informazioni ad essa relative rattribuiscano all'iniziativa di Pietro d'Aragona, nei primi anni del '400. Ma si trattò , verosimilmente , di uno dei tanti rifacimenti subiti dalla torre nel corso della sua lunghissima esistenza. Si spiega così: " .la diversità di stile riscontrata da Agnello tra ciò che resta del piano superiore e tutta la struttura architettonica del piano inferiore, il cui impianto è tipico del l'architettura sveva. La solidità del pianterreno è tipicamente sveva , così come la tecnica muraria del rivestimento esterno, che. secondo Agnello, si richiama a quella di Castel Maniace ... Fra gli altri richiami a monumenti svevi lo studioso ne individua alcuni con il castello di Enna, con Castel del Monte ad Andria, e con Castello Ursino a Catania ... " " 05)
Il recinto fortificato di Enna
Si tratta dj una fortificazione che, sebbene non si possa definire castello ma piuttosto recinto con torrione, riecheggia alcune connotazioni esoteriche particolarmente care ali' aschitettura sveva, quali, per tutte, l'impianto ottagono del dongione. Per la sua semplicità deve necessariamente collocarsi nella fase più controversa del recupero della Sicilia, quella della eliminazione dei Musulmani. In tale logica: " .. .fu il più importante cardine dello scacchiere federiciano di Sicilia. Posto nell'interno dell'isola con funzione integratrice dell'incastellatura costiera, doveva probabilmente consentire l'arroccamento nel caso di invasioni musulmane provenienti dal sud. Circondato su tre lati da scarpate inaccessibili, collegato nel quarto alla città attraverso un piano facilmente controllabile. offriva eccezionali possibilità difensive sfruttate anche dagli Angioni duranti i Vespri siciliani. Il fortilizio le cui dimensioni consentivano l'acquartieramento di un esercito di 7 mila uomini, ha cinta pentagonale difesa da torri quadrate ed è internamente articolato in tre cortili anch'essi muniti di torri, onde permettere. in caso di in-uzione nemica, una più prolungata difesa. Staccata dal complesso, su una collinetta, sorge l'isolata ottagonale torre di Federico li , alta 24 metri, a due piani, con finestre ogivali in quello inferiore e due rettangolari, quattrocentesche, nel superiore ... " 111)(,)
ll recinto fortificato di Lucera
Non lontano da Castel Monte, sull'altura di Lucera, sopravvivono i ruderi di un altro singolare recinto fortificato con dongione di Federico II, ormai ridotto al semplice circuito murario, peraltro fortemente manomesso dalla successiva ristrutturazione angioina. Dal punto di vista concettuale ricorda molto l' impianto di Enna; dal punto di vista fruitivo vi si ricollega indirettamente essendo destinata ad accogliere al suo interno i Musulmani deportati dalla Sicilia; dal punto di vista interpretativo è senza dubbio un rarissimo esempio di struttura a doppia valenza, antintrusi va ed antievasiva. antesignano archetipo di campo di concentramento etnico. In quanto tale giustifica una più articolata digressione. a poco tempo dalla conclusione di un secolo che è stato marchiato, fino ai suoi ultimi anni, da ricorrenti genocidi.
Nella torrida estate siciliana del I064, alla testa di una drappello di circa 500 cavalieri. il duca no1manno Roberto il Guiscardo, respinto dalle mura di Palermo, diresse la sua bramosia di conquista verso Agrigento. Sulla direttrice cli avanzamento s'imbattè in un piccolo fortilizio musulmano, ricordato dai cronisti come Castrum Bugamum, di improba identificazione attuale. Verosimilmente già irato per il recente insuccesso ossidionale, il Guiscardo aggredì con spietata violenza quelle malandate mura, certo di averne pronta.mente ragione. Con sua amara sorpresa, invece, incappò in una disperata resistenza da parte dei difenso1i: l'intera popolazione si batteva con ogni mezzo cercando di respingere gli aggressori. Ovviamente l'azione si dimostrò eroica quanto velleitaria, e finì per aizzare i
11 3 Lucera, panoramica del recinto svevo.
Normanni ad una feroce rappresaglia dopo I' espugnazione. Il massacro dei più validi difensori non bastò, infatti, ad appagare i vincitori e solo la stanchezza alla fine valse a salvare i disgraziati superstiti , tanto più che, non essendo essi cristiani, il loro sterminio si configurava come opera meritoria, con l ' unica discrezionale alternativa della riduzione in schiavitù.
Ma a Bugamum la vicenda, esauritasi l ' iniziale ferocia, conobbe un esito imprevisto. Gli scampati, stranamente ancora in discreto numero, forse un migliaio, non finirono ridotti a mero bottino da spartirsi tra i vincitori, ma vennero inquadrati in gruppi e, sotto debita scorta armata, trasferiti al di là dello Stretto ed insediati nel misconosciuto castello calabrese di Scribla. Sebbene costituissero una piccola comunità, l'appartenenza al credo musulmano finì per renderli del tutto estranei alla società circo s tante , isolandoli completamente , e ss endo s tato ormai precluso ogni ulteriore contatto con i loro correligionari di Sicilia. La deportazione, pur non rappresentando la premessa della soppressione fisica, foriera di vendette e rivolte, provocò sen z a dubbio quella etnica , tant'è che da quel momento del nucleo musulmano calabrese non si rintraccia più alcuna men z ione. Tuttavia la s oluzione e s cogitata dall ' a s tuto normanno va riguardata, almeno per l ' Italia , come la prima del genere, e , comunque per l ' epoca quella improntata alla massima umanità, in quanto assolutamente incruenta.
Storicamente il trasferimento di int e re etnie non costituiva però una rimarchevole novità. Innumerevoli volte, come si legge nelle pagine della Bibbia, vi fece- ro ric o rso i sovran i assiri o babilonesi, ed innumerevoli vo lt e anche l e legioni romane l o app li caro no a popolazioni ree di resistenze particolarmente ostinate, ma non tanto ingiustificate da 1icbiedeme l o ste rminio o la ridu z i o ne in ma ssa in sc hi avi tù. La singolarità dell 'opzione no rmanna , se mai , s i individua nel contesto in cui si manifestò, caratterizzato dall'assoluta intolleranza religiosa, tipica de i confli tti a for te connotazione co nfe ss ional e e finalizzati alla omogeneizzazione territoriale ed antropica, ossia, alla eliminazione fisica dei 'diversi', in quanto soc ietà alternati va non inte grabile e possi bile nucleo di coagulazione di futur .i te ntativi di riconquista. Posta così la questione, la deportazione di inte re co munità , che inevitabilme nte avrebbero 1ic ostituito altrove le originarie i stituzioni, sembre re bbe per lo meno incoerent e rispetto a ll 'acce nnat a lo g ica. In realtà, però, rappresentava sollanto la premessa di una fatale, per quanto dilazionata, dissoluzione etnica, esito inevitabile di una sopravvivenza più o meno prolungata ma comunque terminale, capace però, nel frattemp o, di fornire discreti vantaggi, in specie quando applicata a comu nità islamiche.
Da un punto di vista pratico, infatti, lo sradicame nto di inter i g ruppi me diante deportaz i one in località isola te, finiva col trasfo rmare g li sconfiL Li. da indocili ribelli, in sudditi fedelissimi, in quanto ben co nsapevoli c he la perdita della protezione del loro dominatore li avrebbe inesorabilmente avviati ad un ma ssacro, inevitabile perchè non più procrast inato da favorevoli co ntes ti geografici nè frenato, anzi incoraggiato, da co ns iderazioni di tipo morale. Considerando il perdurare dell'abitudine meridionale d ' impiegar e l 'agge tti vo «cris tiano » qual e s o s tanti vo s inonimo di individuo , s i può immaginare come, nel passato, al cessare di quella coITispondenza biunivoca cessasse pure ogni diritto , persino quello alla soprav vivenza.
La so lu zio ne normanna , in definiti va, introduce va, ammantandola con ipocrite umanitari s mo , una procedura bellica assolutamente inedita , imperniata sull'isolamento degli infedeli previa cattura, se lezione , deportaz ione, concentramento e, magari , sfruttamento.
Pertanto, vuoi per i positivi risultati, vuoi per la mancanza di a ltern at iv e altr etta nto efficaci c h e non fossero lo s termini o, l'iniziativa non restò isolata: dodici a nni dopo, infatti, il co nte Ru ggero, frate llo di Rob e rto, la riesumò applicandola ai sopravvissu ti a ll a conquista di Castrum ludi ca, altro caposaldo musulmano, non lontano da Catania.
Ma la va lenza dell'operazione sopra descritta va 1icercata in un ambito di verso da quello dell'eventuale vantaggio economico deri va nte dal lavoro coatto. Stante, infatti, la s ubordinazio ne del potere temporale a quello s pirituale, qual s ia si sov rano sa pe va perfettamente che, in caso di sco muni ca, eve nto affatto raro per le più svariate motivazioni, ai s udditi sarebbe sta to fatto esplicito di vieto di obbedire ai suoi ordini, sotto pena d'incorrere nella medes ima sanzio ne Tutti i s udditi, ovviamente, cristiani però: mantenere, quindi, un nucleo, e meglio a ncora un contingente militare, fedelissimo per quanto detto, ed immune da tale iattura, costitui va una so rt a di assicurazione su l potere e s p esso sulla vita. Il che s i tradu sse nella procedura appena accennata, c h e s i ri solse, per usare una tragica definizione atluale, in una antesignana 'pulizia etn ica', completata da prestazione militare forza ta(101 1 • D a quel momento, infatti, i sovrani norman ni disposero se mpre di un contingente di arcieri musulmani, spesso in funzione di guardia pretoriana.
Nel 122 1, quando Fede ri co II tornò in Sicilia, deciso ad est irpar vi l'anarchia imperante, si convinse c he essa fosse cagionata oltre c he dalla in s ubordin az io ne dei baroni, anche e soprattutto dall'intolleranza fra le diver se componenti razziali e re li giose ln una apposita dieta , tenutasi a Me ss in a, sta bilì quindi gli obblighi per i s udditi considerati 'sp uri ', tra i quali gli Ebrei, che obbligò a portare un apposito dis tintivo giallo. L'anno seg uente fu la volta de i Mus ulmani , c he , dopo le iniziali stragi normanne , s i erano saldam e nt e in se diati nelle propaggini più interne ed ino s pitali de ll'i so la. In quelle inatta cc abili contrade, dopo una rapida riorganizzazione , avevano conseguito un vistoso incremento demografico. È probabile che il fenomeno dipendes se princi- palrnente dagli incessanti arrivi di altri correligionari, fuggiti dalle campagne e dalle città per le ricorrenti stragi perpetrate dai cristiani, di cui l'ultima, particolarmente efferata, si era verificata a Palermo nel 1190 , ma non è da escludersi un sostanzioso apporto dell ' immigrazione clandestina dal Nordafrica. Di certo i Musulmani, resi baldanzosi dal numero e dalla s upposta inviolabilità dei loro covi, iniziarnno a razziare le campagne ed i vilJaggi, annientando la pubblica sicurezza. L'intollerabile situazione portò nel 1222 all ' avvio di una massiccia operazione militare contro Jato, nei pressi di Palermo , ritenuta la roccaforte islamica per antonomasia.
Un effimero successo, Jato cadrà definitivan1ente nel 1246, indusse l'imperatore a sottovalutarne la potenzialità. Pochi mesi dopo , il mas sacro a tradimento del presidio insediatovi costituì il segnale per la 1ipresa ad olu·anza delle ostilità. Nell'occasione venne impiegata anche la marina da guerra imperiale, che attaccò le coste barbaresch e per recidere ogni eventuale legame tra i Musulmani delle oppos te sponde. Le durissime operazioni si protrassero per alcuni anni e, sebbene le cronache coeve siano in solitamente laconiche al riguardo , a partire dal 1224 i combattimenti ebbero un sistematico corollario .
Contestualmente al progredire delle conquis te dei singoli caposaldi saraceni , e dei sistematici rastre11amenti, il numero dei prigjonieri e dei profughi si accrebbe a dismisura, creando nell'immediato complessi problemi , circa il loro mantenimento, e nel prosieguo, circa la loro so1te. Al termine del primo biennio di combattimenti essi , superando le 20.000 unità, eguagliarono la popolazione di una met:ropo)j dell ' epoca. A quel punto, esauritasi la fase più vjolenta della pulizia etnica, occoffeva definire il destino di quella moltitudine miserabile di uomini , donne, bambini ed anziani: anche per la di sinibita morale dei tempi il loro sterminio in massa appariva ripugnante e, forse , neppure attuabile, senza contare che tale soluzione avrebbe indotto i tanti ancora liberi ad oppoITe una resistenza fanatica.
Probabilmente allora Federico II si ricordò della remota opzione dell ' avo materno: tra i suoi demani sul continente non difettavano ampi ed incolti tenitori, totalmente disabitati e lontani da qualsiasi cittadina o paese, ideali quindi per deportarvi i Saraceni. Occorreva, in ogni ca5o , adeguare il sito prescelto, ovviamente secondo i c riteri e le circos tanze vigenti , alla inedita destinazione , evitando accorta mente ch e potesse trasformarsi in una nuova e più c oriacea roccaforte musulmana. In quella malaugurata ipotesi, per la straordinaria 1ilevanza demografica dei deportati, ridwfa al]' obbedienza sarebbe 1isultato drammatico. Paradoss almente , per l' identico motivo, si rendeva indi spensabile una completa autosufficienza dell'insediamento: in altre parole si sarebbe dovuto realizzare una sorta cli accampamento dove concenuare tutti i Saraceni siciliani, costringendoli a lavorare, un antesignano ' campo cli concentramento' etnico.
L' antica colonia militare romana di Lucera, all 'epoc a una remota di s tesa di mace1ie e cli ruderi, app e na di stinguibili tra i rovi 1igogliosi sulla sommità di un pianoro, con tre lati impervi ed uno meno ripido , sembrò pos sedere i requisiti ottimali. Ai s uoi pi e di una ten-a incolta e selvaggia , che attendeva soltanto di essere recupe rata all ' agdc oltura, e d all'intorno il dese1to. Il pare re dei tec nici imperiali confermò l'intuizione dell ' imperatore: nessuna difficoltà impediva di sostituire que lle rovine con un mode sto villaggio, il cui is olamento sarebbe stato garantito da una muraglia continua co1Tente lungo il cigho de l pianoro, con un unico accesso sul versante meno ripido. Pres a la decisione , i lavori ini zi arono con l ' abituale solerzia: probabilmente furono proprio i prinù deportati , appos ita.menti fatti affluire, ad erigere la grande cerchia.
Sebbene le s carne notizie ci tramandino una pot e nzialità ricettiva ma ss ima del recinto di circa 200 famiglie, tenendo conto del nucleo medio musulmano 2000-3000 unità , è molto verosimile , in realtà, che si atte s ta s se intorno ad una cifra doppia. L ' incessante sopraggiungere di colonne di derelitti, attraverso un ' estenuante marcia di quasi 500 chilometri, sotto la spietata sorveglianza delle sentinelle teutoniche, portò, al di là di og1ti previsione, la popolazione a superare , in pochi mesi, le 16.000 persone , senza, peraltro , che la 'pulizia ' si confermas se conclusa.
La Lucera Sara cenorwn, nuovo nome della vecchia colonia, prese, pertanto, a debordare dai ristretti limiti del recinto, acquisendo il tipico aspetto di una casba araba, con i mercati brulicanti di vita. Nell ' arco di pochi anni i suoj abitanti, infatti , avevano dissodata la terra circostante, di cui pagavano regolarmente il canone di affitto (oltre alla tassa p er la tolleranza religiosa, di is lamica invenz ione) ripris tinando , con il ritrov a to benessere e l'esplicito in coraggiamento di Fe derico , la loro tradizionale soc ietà . Si erano dati un proprio capo e dei propri organi di poli zia, avevano costruito, oltre ai quru.ti e ri este rni al recinto, alquante mo schee con i relativi minare ti. lJ can1po di concentramento s i era, in pochi anni, tra sformat o in una laboriosa e pacifica cittadina araba.
Ne] frattempo il rispetto della dignità umana dimos trato dal giovane imperatore, la s ua innegabile capacità militare , la sua acce1tata fi erezza e la s ua indipendenza religiosa, p ersi no di fronte al pontefice, avevano suscitato il rispetto e l'ammirazione dei deportati. All'odio viscerale s ubentrò allora una venerazione fanati ca della quale, logicamente, Federico seppe subito avvan taggiarsi, differenziando le attività della co lonia. Tra i più pres ta nti ragazzi saraceni selezionò i migliori arcie ri ed i più es p erti g u errieri, fonnandone un di sti nto con tin ge nte militare . Ai contadini affiancò schiere di fabbri, 1inomati costruttori d'armi, c h e iniz iaron o a forgiare per l 'ese rcito imperiale lame e corazze . Anche le fanciulle furono s pinte a mettere a frutto l a l oro abihtà tessendo preziosi drappi e ricamando sfarzose vesti per il loro signore e padrone e per la corte. Giorno dopo giorno, la fiducia reciproca si rinsaldò: per i Mu s ulmani l'imp era to re di venne l ' indiscusso s ultano , e per Federi co gl i antichi nemici si trasfom1létrono nella s ua g uardi a imperiale, immune da qual sias i sco munic a.
E quanto tale rapporto si fosse radkato e co nso lidato lo dimos tra l ' edificazione, all'interno del recinto, ormai di venuto l'acq uaitieramento del contingente saraceno , di un sontuoso palazzo imperiale, una sorta di evolutissimo dongione, che Federico elesse a s ua dimora nei peiiocLi di residenza in zona. Per la fantasia popolare che, ormai s i s bizzaniva s ulle di sso lutezze d el 'sultano battezzato', protetto da sanguinari arcieri infedeli, era al s uo interno c he sc hiere di s pl endide odalische allietavano le notti di Federico in un crescendo di depravazion e e luss uria!
Significativainente i partecipanti al Concilio di Lion e avviatosi alla fine di giugno del 1245: " ... sapevai10 c he l a vera ragione del conc ili o erano i peccati dell ' imperatore, e su di ess i Inn ocenzo scatenò l ' inv ettiva. I saraceni di Luc e ra, gli hare m di s til e mu s ulmano, le in1peratrici sorvegli ate da eunuchi, le alleanze di F ederico con i maomettani. .. tuue queste c olpe vennero sciorinate e dipinte ne i colori più scuri... "t 108> Alla fine il 17 lu g li o del 1245 Innocenzo rv, lo dichiarò destituito in questi tennini:
" Dopo aver sottoposto ad accurata disamina insieme con i nost:Ji fratelli e al sacro concilio. i delitti so pra elencati del prin cipe , e molti altri , in forza del potere di legare e sciog liere affidatoci da Cristo...dichiariamo e proclanùamo che il principe, il quale si è dichiarato iI1degno dell'impero e del regno nonchè cli tutti gl i o nori e dignità, a causa dei suoi peccati è ripudiato da Dio come im peratore e come re...Noi li togliamo a lui con questa sente nza e sciogliamo per se mpre dall'impegno quanti gli so no legati dal gi uramento cli fedeltà, e in forza dell 'a uto1ità apostolica vietiamo a chiunqu e di obbectirgli o di secondario d'ora in avanti co me imperatore o re. Disponiamo che chiunque in futw·o gli accordi il co nsiglio, l' aiuto e il favore incorra per ciò stesso nella scomu ni ca. Coloro cui spetta l'elezione neu unpero, devono eleggere senza indugi un successore. Sul regno di Sicilia disporremo Noi secondo il cons ig lio dei nostri fratelli ."'
Inu tile aggiungere c h e mai come in quella circosta n za la guardia saracena si mostrò solidale con l'imperatore , evitando qualsiasi ribellion e.
Dal punto di vista arc hitetto ni co, quel malfamato palazzo impe 1iale : " ... del quale oggi rimane so lo una piccola parte, dovette essere un altissimo donjon ... imp os ta to su di uno zocco lo quadrilatero sc ai-pato anch 'ess o a due piani , dei quali quello s uperiore al livell o del teITe n o e quello inferi ore so tteITaneo.
Qu esto torri o ne dov ette avere all ' interno un piccolo cortile ed essere quadro nella parte bassa ed ottagonal e nel piano più alto, come vediamo dai di segni del vedutista Depr ez, reali zz ati n el 1778 Ric c hi ss imi motivi ornamentali romanico-gotici lo adornavano. All ' interno si custodiva una raccolta di sc ulture classiche [ed] una parte del teso ro di Stato, dato che nel castello vi era s i s temata una delle zecc h e imperiali "e I 10)
Più difficil e, in vece, stab ilire l'aspetto originale del r ecinto dis tinguendolo dalle s u ccess iv e alterazioni angioine. In linea di m ass ima, esso s i componeva di
Junghi segmenti di cortine retti lin ee, alte ci rca l 3 metri, scandite da 24 torri, per lo più quadrate, che serravano al loro interno un ' area di oltre 8 ettari. Una più massiccia muraglia si eresse a sbarramento del lato meno ripido, ed in essa si collocò la porta d'ingresso, strutturandola con impianto sceo . Va rilevato che le 7 torri rompitratta che muniscono questo lato sono tutte del tipo dei punt01ù di Prato, ovvero a pianta pentagonale con lo spigolo verso l'esterno, mentre quelle d'angolo sono cilindriche . L 'adozione deve allora verosinùlmente inquadrarsi in un programma di potenziame nto della capacità difensiva del recinto, che infatti , ottenne così un asso luto dominio del terreno a nti stante, essendo privo del s ia pur minimo settore defilato e quindi perfeltamente idoneo agl i arcie ri saraceni che ne costituirono, da un certo momento in poi, la guarnigione. P ertanto è probabile che la primitiva cerc hi a acquisì le caratteristiche di una grande base fortificata , forse in previsione o in concomitanza della costruz i o ne del palazzo che Federico volle ubicato proprio alle spalle dello spigolo orientale di questa tratta. Disgraziatamente: " non essendo in possesso di alcun documento, no n possiamo indicare con certezza 1' anno in c ui Federico fece iniziare la costruzione del palazzo della colonia sarace n a, ma quasi sicuramente ciò avvenne intorno al 123 3 ... " 01 11 •
Tuttavia, la cinta c he attualmente recinge il pianoro, con uno sviluppo di circa 900 m, da molti studiosi, è attribui ta all'iniziativa di Carlo d'Angiò a partire dal J 269. A lor o parere in precedenza la co lonia saracena sare bb e stata: " se nza mura nè torri fe] si svilu ppò sull'a ltipiano , come città apert a " <11 21 • Tal e tesi, però, co'1trasta con la logica dei s ucc essivi avve nim e nti , poicbè se nel 1269 Carlo d'Angiò: "es pu g nò la fortezza e costruì l a gigan te sca cinta " <J1 3 \ quale sa rebbe stata la fmtezza esp ugnata? Non certo il palazzo di Federico c he, nùlitarmente parlando, non s i config urava nemmeno co me castello! D el resto altri autori ricordano che la g uarni g ion e saracena insorse contro l'odiato angioino nel 1268 , in conseguenza della discesa di Corradino di Svevia, fornendogli cos ì il pretesto per l'eliminazione di quel caposaldo , c orre ntemente defi- nito la 'Chiave di Puglia', proprio per la sua notoria valenza stnitturale. Perchè avendolo distrutto Carlo d ' Angiò avrebbe dovuto ricostruirlo e, se i saraceni erano stati annientati, per chi?
Ovvio, pertanto, 1itenere che, ancora una volta, si ebbe dopo l ' avvicendamento dinastico soltanto un intervento di riqualificazione o di potenziamento, non nutrendo, peraltro, il nuovo sovrano un concreto interesse per tale fortezza, e meno c he mai per i suoi saraceni, dai quali del resto era fortemente detestato. In oltre la sostanziale identità architettonica e funzionale fra le to1Ti pentagonali di Prato e quelle di Lucera accredita la matrice sveva di quest'ultime, diversissima dal canone angioino che preferi sempre toni cilindriche, senza dubbio più arcaiche , ma precipue della cultura castellana francese. E forse proprio le due torri cilindriche all'estremità della tratta in questione , quella detta della Leonessa o della Regina, alta m 25 con m 14 di diametro e l'altra più piccola detta del Leone, rappresentano appunto l'esito dell'acclarato intervento angioino Più a ttendibile, in conclusione, che: " .le mura, dopo parziali immediati smante ll amenti, furono ricostruite dallo stesso demolitore fra il l 268 ed il 1283 che provvedeva ad integrare il largo fossato ... " <114 > , forse in previsione di un possibile impiego, manifestatosi poi infondato .
Con la scomparsa dell'imperatore per la co l on ia di Lucera ini ziò un rapido tramonto. La ricordata in surrezione del 126 8 fu la sua ultima certifi cazione di esiste nza. Estinta la dinastia sveva fin ì smembrata e distnitta. All'interno del recinto vennero concentrati branchi di maiali. Qu anto al magnifico dongione ne seguì l a so rte, su be ndo devastazioni a ncora maggiori, più radicali e protratte ne l tempo: persino alla fine del XIX secolo si impiegarono cari che di es plos ivo per demolirne gli estremi ruderi!
L'enigma di Castel del Monte
Immancabilmente ogni tratt ato s ull 'architettura sveva si sofferma su l le ggendario Castel del Monte.
O 5 10 m l 18 Andria: planimetria di Caste l del MonLc.
Eppure l ' unica certe zza che si ha su questa stup efacente costruzion e, 1iten uta il cas tello fede ri ciano per antonomas ia è, paradossal m e nte , il suo non essere castello, ma, forse, una sp l e ndida e s ugges tiva re si d e n za fortificata. Per il re sto non si sa nemmeno se Federico vi abbia mai potuto soggiornare o addirittura se abbia potuto vederla u ltimata , se bbene alcuni studios i ritengono che sia stato lo stesso imperatore a progett arla perso nalmente
Molto più verosimilmente Fed erico avrà s tudiato, deJI' a ll ora d e tto castello di Santa Maria, i pro ge tti co n l 'abituale curiosità e ma gar i s ug gerito alcune modifiche o alcune lin ee guida, limitandos i, per il resto, a so llecitare l' ultimaz ion e. Esiste, infatti , un: " .. .uni co documento in prop osi to , che, però, h a s usc it ato sempre tante contraddizioni per la s ua in terp re tazio ne da non esserc i di alcun aiuto. Il 28 ge nnaio del 1240, l' imp erato re impartì da Gubbio , al gi us ti zie re della Capitanata, l'ordine di ini ziare il pavimento nel castello di
Santa Maria, che doveva essere di pietra caJcarea e di altri mate riali affini ... [per il resto] sarebbe incomprensibile che nessun accenno fosse s tato fatto ad un soggiorno dell 'i mperatore qui , se bbene s i sappia con ce rtezza che più vol te negli ultimi anni di regno Federico soggiornò per lun ghi periodi nelle vicinanze di Castel del Monte. " 1 115 > È comunque credibile che alla sua morte il castello fosse se non ultimato prossimo ad esserlo, non rintracciando s i alti.imenei chi avrebbe avuto in teresse a farlo.
Architettonicamente s i compone di un corpo ottagon a le , con un corti l e centrale anch'esso ottagonale, e di otto torri, sempre ottagonali, innestate agli spigo li estern i. Verticalmente è ripart ito s u due piani , ciascuno di otto camere, tutte ugual i fra l oro a trapezio isoscele . In quattro torri s i trovano altrettante scale a chiocciola. L 'o rientamento, determinato dall'asse del portale è perfettamente coi nc id ente con i quattro punti cardinali. Per l a s in go lare opzione p lanimetrica il fiancheg giamento è talmente penalizzato d a l far escludere a priori q ualsiasi ip otes i di impiego difen sivo di tipo militare. Del resto la sfarzosissima decorazione interna, l ' impiego dì marmi policromi e pre g iati per il rive s tim ento delle pareti , i sofisticatissimi impia nti igienici con acqua co rre nt e, ecc ., confenna no, inequivocabilmente, la de stinazione residen ziale dell 'edificio. Sponta neo allora chiedersi: " .. .per quale scopo Federico lo avesse fatto erigere. Certo , malgrado la s ua perfezione , potre bbe essere sta ta una costruzione puramente funz ional e, e non un castello di caccia; o rispondendo ad esigenze più particolari, essere s imbol o di potere o esprimere una sacral e rappre se ntazione nel profano; o forse ancora, fu rea li zza to propri o qui, prima del rinasc imento , un ese mpio di architettura ideal e completamente fine a se stessa? I tentativi di dare un a rispo sta a qu est i que si ti sono quasi infiniti " <11 <»
Quale effettivamente sia s tata la genesi di quella sp lendida residenza c i è del tutto ignoto, mentr e, inv ece, ci è perfettamente noto il s uo impiego s ucce ssivo, particolarmente atroce p er gli eredi di Federico. D opo la cattura, a Trani, d e lla moglie di Manfredi che finì impri g io nat a, con la figlia, in Castel de ll'O vo a Napoli, da dove so lo quest ' ultima, nel 1284, u scì viva, i suoi piccoli ss imi figli ma sc hi EITico, Azzolino, e Federico, vennero rinchiusi a Caste l del Monte. Tra quelle mura trnscorsero una durissima prigionia: soltanto Errico sopravvisse abbastanza a lungo, per essere trasferito, dopo quasi 40 anni di detenzione, e sempre da prigioniero, a Napoli, dove morì poco dopo f111 l
Il cas tello col nome fiore
Abbiamo, in precedenza, più volte ricordato, e Castel del Monte ne è la mass ima manifestazione, la componente esoterica che influì sulla progettazione della maggior pat1e dei castelli federiciani. Nessuna meraviglia, quindi, che l'imperatore, ad onta ciel suo proverbiale scetticismo, credesse se non nelJa magia almeno nell 'as trologia, peraltro all'epoca reputata scienza. Secondo la tradizione, apprese così che sarebbe morto presso una porta di fe1To, in un luogo dal nome di 'fiore'. Da quel giorno Federico si guardò bene dal recarsi a Firenze, o in quals iasi altro posto che avesse una qualche assonanza toponomastica con i fimi.
AJla fine di novembre del 1250, mentre in viaggio da Foggia verso Lucera, si sentì mal e durante una battuta di caccia. Fu trasportato nel più vicino castello, dove le s ue condizioni s i aggravai·ono al punto che, il 1° dicembre , pareva imminente la morte. Tuttavia, nei giorni seg uenti si riprese, almeno quel tanto che bas tava per redigere i l te stamento. Terminato l'atto chiese dove si trovasse e, saputo c he stava nel castello di Fiorentino, ebbe un s inistro presentimento . Avendo osservato: " ...che il suo letto era collocato contro una porta allora murata .. .fece abbattere il m uro e vide che nascondeva una porta di fe1To ...Guardando la po1ta esclamò: « Mio Dio, se è ora che io ti renda l 'anima, la T ua vo lonta sia fatta» " n 18 1 • Il 13 dicembre , dopo aver 1icevuto i sacramenti ed indossata la bianca veste dei monaci cistercensi, spirò. Con un solenne funerale tornò a Pale1mo, dove riposa nella cattedrale in un sarcofago di porfido rosso.
D i ca5tel Fiorentino restano al presente insignificanti ruderi.
1 Da H.PIRENN E, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, rist. Roma 199 J. p.38.
1 Da H.PIRE NN E. Storia , cit p.39.
1 Da H.A.L.F1SHER. Storia d'Europa. Milano 1964, p.194.
• Da H A.L.FISHER. Storia , cit p.195.
5 Precisa al riguardo J.F.C.FULLER, Le battaglie decisive del mondo occidentale. r ist. Roma 1988, voi.I, p.308: "Sappiamo ben poco della battaglia, e neanche resatto luogo ove essa fu combattuta; la data è l'ottobre del 732. Probabilmente il p1imo contatto avvenne vicino a Tours e si trattò di una scararnuccia...Carlo organizzò l'esercito in <.olide falangi, imperniate sulle truppe franche. Isidoro de Beja lo chiama 'un esercito di europei'. essendo composto di uomini di differente origine e linguaggio ".
" Da C.H.BECKER. L'espansione dei saraceni ili Africa e in Europa, in Storia del Mondo Medievale, Milano 1979, voi.II, p.79.
' Ricorda P.MARAY IGNA. Storia dell'arte milirare moderna. Torino 1926. voi.I. pp.43-44: "La civiltà medievale non comportava l'esistenza di una organizzazione militare speciale. permanente; !"esercito si identifica con l'aliquota della popolazione che godeva il diritto di portare le armi pcr conseguenza esso consisteva in una riunione temporanea di combattenti di pari grado sociale e quindi militare. Ogni calcolo esulava dall'arte di condurre eserciti siffatti. che si riunivano nel momento d'impiegarli e che si scioglievano per volontà dei singoli componenti, in base a dirilli prestabiliti ed emanati dalla costituzione sociale cosicchè ciascun signore rispondeva al bando del sovrano seguito da un numero variabile di cavalieri, scudieri. paggi e gentiluomini, propri i vassalli e rimaneva in campo per un periodo di tempo variabile da un minimo di pochissimi giorni ad un massimo di quaranta La prima ed importante conseguenza di siffalla organizzazione degli eserciti, era quella che la condotta delle operazioni si limitasse alla battaglia Di strategia in quest'epoca non è il caso di parlare; ma non è neanche il caso di accennare alla tattica. poichè l'urto della massa si scomponeva in una serie di duelli individuali ". Ovvio che in tale contesto la conduzione di un assedio esulasse completamente dalle procedure correnti.
Da W.H.MC NEILL, Caccia al porere, tecnologia, armi. realtà sociale dal{ 'anno Mille. Milano 1984, p. I 8.
' ln particolare, precisano R.A.PRESTON, S.F.W1SE, Storia sociale della guerra, Verona 1973, p.85: '·La staffo accrebbe grandemente l'efficienza della cavalleria. consentendo a un cavaliere seduto saldamente di vibrare un colpo possente con la lancia o di alzarsi dalla sella per usare la spada con maggiore potenza ...".
10 Da M.HOWARD. La guerra e le armi nella storia d'Europa, Ba1i 1978. p.7.
11 Da F.HERR, li Medioevo, Verona 1966, p.27. In realtà non solo l'allevamento dei cavalli era poco sviluppato in Europa , ma soprattullo mancava la particolarissima razza compatib ile con l' impiego bellico. lnfalli, precisa B.MONTGOMbRY. Storia delle guerre. Milano 1970. p. 156: " ... non era facile per un cavaliere procurarsi un cavallo adatto, sufficientemente allenato a non fuggire o a non farsi prendere dal panico durante la battaglia e, in più, abbastanza veloce da poter prendere parte a una carica a briglia scio lta. Un cavallo di tal genere doveva venir allevato e addestrato in maniera particolare:· Più in dettag lio puntualizza a 1iguardo M.J IOWARIJ, La guerra ... , cit., p.7: "La ve locità della cava lcatura non doveva essere ottenuta a spese della potenza richiesta dall'accrescimento del carico; venivano quindi allevati specia li esemplari equ i ni pa1iicolarmente idonei a portare pesi e a resistere da fermi, e insieme capac i dello sforzo subitaneo a cui erano sottoposti durante la carica .' '
12-Da M.BLOCII, La società feudale. Torino l 972. p.356.
13-Da W.H.MC NEII.L. Caccia , cit., p.18.
14-Da F.HERR, // Medioevo , cit., p.28. Ribadisce ulteriormente il concetto A.MARCHEGGIANO, lf diritto umanitario e sua introdu;,ione nel regolamento deff 'Esercito Italiano, Roma 1990, vol.l, p.33: "Anche «le troppo celebrate regole de ll a cavalleria avevano un'applìcazione mo l to vaiia ed in effetti, tutlo sommato. né consistenti né durevoli; comunque rispondevano esclusivamente ad una solidarie tà di classe, quella dei nobili, e dai loro benefici erano esc l use le masse, annate o inenni che fossero " . In realtà per quanto dello sarebbe più coerente parlare di solidarietà di censo.
' " Da C.H.BECKER. L'espansione dei saraceni , cit.. p.80. Dello stesso parere è anche J .F.C.FULLER. Le battaglie , cit., voi.I, pp.309-3 10. che sc1ive al riguardo: ·'...è vero che la vittoria di Carlo .. .fu decisiva per la storia d'Europa ... Tuttavia, l'evento immediato che fermò l'espansione musulmana nell'Europa occidentale fu la rivo l ta dei Berberi in Marocco fpcr cu i l immediatamente dopo la sconfitta di Abd-ar-Rahman a Tours, i capi arabi in Spagna si staccarono dal ca l iffato di Damasco e ... non potevano più contare sul reclutamento di truppe berbere ...".
16 Al riguardo cfr. F.Russo, u1 difesa costiera del regno di Sicilia dal XVI al XIX secolo, Roma 1994, tomo I, pp. l 5-24.
17 Da G L.BURR, La rivoluzione carolingia e l'intervento ji-anco in //alia, in Storia del Mondo Medievale , cit , voi. Il, pp.337-378.
1" Da G.SEELIGER, Conquiste e incoronazione a imperatore di Carlomagno. in Storia del Mondo Medievale... , cit., voi.IL pp. 359- 360.
•
10 Da F.L.CARSTEN, Le origini della Prussia, Bologna 1982, p. 16.
10 Da H.PIRENNE, Storia cit., p.75.
11 Da H.PIRENNE, Storia cit., pp.77-78.
22 Da G.SEELIGER, Legislazione e governo di Carlomagno, in Storia del Mondo Medievale... , cit., voi.TI, p.455 .
11 Da M.BLOCH, La socielù cit., pp.423-424.
2 • Da F.CONTI, Castelli del Piemonte, Milano 1975, p.17.
15 Da A.MAWER. I Vichinghi, in Storia del Mondo Medievale ... , cit., pp.749-750.
16 Da M.BLOCH, La società ... , c it., p.436.
11 Da M.HOWARD, La guerra , cit., p.21.
211 Da M.BLOCH, La società... , cit., p.425.
29 Da J.LE GOFF, La civiltà dell'Occidente Medievale, Torino 198 I , p.70.
"' Da M. BLOCH, La società , cit., p.461.
\i Da M.BLOCH, La società , cit., p 449.
12 Da H.A.L.FISHER, Sroria .. . , cit., p.236.
13 Da E.PONTIERI, Tra i normanni ne/l'Italia meridionale, Napo li 1964, p.71.
14 Cfr. P.BELLJ D'ELIA, Aceptus, in La Puglia fra Bisanzio e f'Occide111e, Milano 1980, p.143.
35 Cfr. S.RUNCIM AN, Storia delle Crociate, Torino 1976, voi.I, p.42.
36 Da S.R UNC IMAN, Storia , cit., pp.49 -50
37 Cfr. C.A. WILLEMSEN , D.0DENTHAL, Puglia terra dei Normanni e degli Svevi, Bari I978. p.13.
18 Cfr. J.N.D.KELLY, Vite dei Papi, Asti 1995. pp.255 -257.
39 Cfr. F.Russo, La difesa costiera del regno di Sicilia , cit., tomo 1, pp.23-29.
0 Da G.JONES I Vichinghi, Roma 1978, pp.428 -42 9, nota n° 6.
41 Da G.JO NES, I Vichinghi , cit., pp.428-429, nota n° 6.
41 Cfr. E.DE LEONE, La colonizzazione dell'Africa del nord, Padova 1957, pp.31-32.
1 Da F.BARBAGALLO, Storia della Campania, Napoli 1978, voi.I, p.150.
•• Da L.SANTORO, Tipologia ed evoluzione dell'architettura militare in Campania. in Arch.Stor.Prov.Nap., terza serie, voi. VII -VIII (1968-69), Napoli 1970, p.106.
45 Da M.BLOCH, La società feudale, Torino I975, p.341.
"6 Da LHOGG, Sroria delle fortificazioni, Novara 1982, pp.38-45.
47 Da L. SANTORO, Tipologia , cit., p. 106.
48 Cfr. E.C rusA, Pagine per una storia di Pietrame/ara, in Cinque secoli di storia nell 'a lra provincia di Terra di Lavoro, All i Co nv. Naz. Pietramelara 14- 15 giugno 1996, Roma 1996, pp.72 -73.
"'' Cfr. LA.MURATORI, Rerum ltalicarum Scriptores, Milano 1732 tomo II, parte V, p.293.
50 Da C.GHIRARDACCr, Historia di Bologna, tomo Tl, p.386, La citazione è tratta da E.ClUSA, Pagine , cit., pp.73 -7 4.
51 Da L.CHIUMENTI, La consistenza architettonico-urbanistica del nucleo urbano di Pietramelara. Ipotesi di ricerca sulle ma1rici fo11damen1a/i, in Cinque , cit., p.90 s• Cfr S.MOSCARlELLO, Mantella tra note e immagini, Avellino 199 1, pp.147- 154.
52 Per uno scorcio d'insieme sull'argomento cfr. M.DE M ARCO, Torri e castelli del Salento, Lecce 1994, pp.3-94. Per notizie più dettagliate e vaste cfr. R.De VITA , Castelli, torri ed opere fortificate di Puglia, Milano 1982, pp.44- 147.
51 Cfr. J .HOGG, Sroria .. . , cit., p.41.
5 • Da M.ROTILI, Archeologia postclassica a Torello dei Lombardi. Ricerche nel Castello Candriano (1993 - 97), Napoli 1997, pp. 16 - 17.
55 Da M.R cmu, Archeologia , cit., pp.16 - 17.
51 Da F.MAURICI, Castelli medievali in Sicilia. Dai bizantini ai normanni, Palermo 1992, p.176.
58 Da F.MA URICI, Castelli , cit., pp. 178-179.
59 Circa la comparsa della balestra, già prima del mille ne è documentato l'impiego bellico in Europa. Precisa C.DE VITA, al la voce Balestra, in Enciclopedia ragionata delle armi, Verona 1979, p. 89: " ... nel success ivo Xl seco lo è presente in l nghilterTa e nelle regioni dell'estremo nord, importata probabilmente dai Normanni ". Cfr. W.REm, La scienza delle anni dall'erà della pietra ai nostri giorni, Milano 1979, pp.45-48
IL REGNO DEL SUD E L'IMPERO DEL NORD
<.o Da S.RUN CIMA N, Storia , cit., voi.I, p.74.
6 1 Da S.RUNCIMAN, Storia , cit.vol.I, p.80
61 Da G.LANGE, Architettura delle Crociate in Palestina, Como 1965 , pp.90-91.
6 1 Da L.SANTORO, Tipologia , cit., p. I 07.
64 Cfr.G.LENZJ, Il castello di Melfi e la sua cos truzione, Roma 1935, pp.53-59.
6 l Da C.A.WILLEMSEN, D.0DENTHAL, Puglia , cit., p.13.
66 Da G.TORRIERO, Il Castello normanno di Casaluce, in li restauro dei castelli nell'Italia meridionale, Atti Caserta 10-11 marzo 1989, pp.116 - 117.
67 Da U.BALZANI, Federico Barbarossa e la Lega lombarda , in Storia del Mondo Medievale , cit., voi.TV, pp.896-897.
68 Da E.KA NTOROWICZ, Federico Il, imperatore, Milano 1976, p.6.
69 Cfr.G.MASSON, Federico Il di Svevia, Milano 1978, pp.21 -2 7.
7° Cfr. D.MACK SMITH, Storia della Sicilia medievale e moderna , Bari 1971, pp.67 -8 4.
71 Da E.KANTOROWICZ, Federico ... , cit., p.23.
72 Cfr. F.L.CASTERN, Le origini , cii., p.19.
11 Da E.KANTOROWICZ, Federico ... , cii., p.83.
74 Da G.MASSON , Federico , c it., p 93
75 Da R .MORGMEN, Medioevo cristiano, Bari 1978, p.171.
76 Da E.KANTOROWICZ, Federico , cit., p. I 04.
77 Da E.KANTOROWICZ, Federico ... , cit., p.107.
78 La citazione è tratta da G.L ENZ I, Il cas tello , cit., p.75
7Y Da G.LENZI, Il castello , cit., p.76.
• 0 Da G.LENZI , Il castello , cit., p.86.
"' Da G.LENZI, Il castello , cit., p.85.
82 Da C.A.WILLEMSEN, D.0DENTH/\L, Puglia , cit., p.26.
83 Da E.KA NTOROWlCZ, Federico , cit., p.108.
84 Da LSANTORO, Tipologia cit., p.116. Sulla ques tione della matrice orientale cfr. A.CADEI , Archit ettura federiciano. La questione delle componenti islamiche, in Nel segno di Federico Il, atti del lV Conv.lnter. di Studi della Fondazione Napoli Novantanove, Napoli I 989, pp. I43 -1 58. Ed anche cfr. S.LANGÈ, Architettura della crociate in Palestina, Como 1965 , pp.129-133.
81 Da E.K.ANTOROWICZ, Federico ... , cii., p. 108.
86 Da G.D E FLORENTIIS, Storia delle armi bianche, Milano 1974, p.136.
87 Da G.DUBY, L'arte e la società medievale, Bari 1977, p . 148.
88 Cfr.F.Russo, Canoni dell'architetturafedericiana nel Castello di S.Felice a Cancello (Caserta), in l ' Universo, riv.I.G.M.I., anno LX, n° 5, Firenze 1980, pp.857-874.
89 Cfr. L. SANTORO, l 'a rchitettura militare sveva in Campania, in Scritli in onore di O.Morisani. Catania 1982, pp.117 - 126.
\IO Da E.KA NTOROWICZ, Federico ... , cit., p.8 1.
9 ' Da G.MASSON, Federico , cit., pp.96-97
92 Da L. B1ANClilNI, Della storia delle finan ze del Regno di Napoli, Palermo I 839, p.82.
91 Da F.R usso, la d!fesa costiera del regno di Sicilia , cit., tomo 1, p.31.
94 Da A.CASSI RAMELLI, Castelli e fortificazioni, Milano 1974, p.176.
91 Da R .DE VITA, Castelli , c i t., p.409.
96 Da C.A.W ll, LEMSEN, / Castelli di Federico Il nell'Italia meridionale, Napoli 1979, p.31.
9 1 Da L.D UFU R, Augusta da città imperiale a città militare, Pa lenno 1989, p.28.
98 Da A.CASSI RAMELU , Castelli , cit., p.125.
Il'> Cfr.C.A.WTLLEMSEN, Componenti della cultura federiciana nella genesi dei castelli svevi, in R.DE VITA, Castelli , cit., pp.422.
100 Cfr.D.PALLONI, La transi zione , in Rocche e bombarde, di M.MAURO, Ravenna 1995, pp.15-19.
101 Cfr. F. Russo, Ragguaglio sul seuore defilato, i n C.ROBOTTI , Capua, Lecce 1996, pp.137-148
102 Da R. DE VITA, Castelli , cit., p 89.
1 <>J Da R DE VITA, Castelli , cit., p. l LO.
104 Da R.DE V1TA, Castelli , cit., p.132.
0 ' Da S.BURGARETTA, I segni dell'uomo, in Vendicari, Palermo 1991, p .109 .
106 Da A.CASSI RAMELLI, Castelli , c it. , p 172.
'
07 Circa la sch i av itù militare nell'Islam cfr. B.LEw1s. Ra zza e colore nell'Islam, Milano 1975. pp.58-71.
'
0 ~ Da G.MASSON, Federico , ci t. , p.403.
,e"' La citaz i one è tratta da F.HERR, Il Medioevo , c it. , p. 324.
11 0 Da R.DE VITA, Castelli cit., p.54.
11 1 Da C.A.WILLEMSEN, / Castelli cit.. p.38.
112 Da R.DE VITA, Cas,elli , c it. , p.51.
11 ' Da R.DE VITA, Castelli , cit. p.54.
"' Da A.CASSI RAMELLI, Dalle caverne ai rifugi blindali. Milano 1964, p.95.
11 i D a C.A.WILLEMSEN, / Castelli... , cit., p.48.
116 Da C.A.WILLEMSEN, I Castelli , cii., p.51.
"' Cfr. G.A.LAURIA, Castel del Monte, Napol i l 86I. pp.43-58.
118 Da G.MASSON, Federico cit., p.93.
CAPITOLO TERZO Comuni e Cannoni
Dai borghi ai comuni
Come osservato nella premessa, le massime costruzioni dell ' umanità possono sempre agevolmente ricondursi alle istituzioni religiose e militari, in una sorta di simbiosi mutualistica. Nel Medioevo cristiano, però, l'esigenza di stabilire un primato fra i due poteri determinò la logorante dialettica fra Chiesa ed Impero. Progressivamente, fra i due contendenti andò ritagliandosi crescente rilievo un terzo attore, destinato ad assumere, col trascorrere dei secoli, un ruolo politico determinante , fino ad affennarsi quale unico vincitore: la borghesia. La dinamica classe sociale, almeno inizialmente, non era costituita dagli abitanti delle antiche città, tradizionalmente passivi e parassiti, ma dai residenti nei borghi dai quali dipendevano la formazione e la distribuzione delle risorse primarie.
Tra il potere della fede ed il potere delle armi s'incuneò così quello del denaro, di per sè privo di forza autonoma ma perfettamente in grado di condizionare inesorabilmente gli altri due. Non a caso i prodromi del suo avvento si colgono nel drastico ridimensionarsi dell' ignoranza e del feudalesimo, entrambi causa ed effetto della stagnazione materiale e culturale precipua dell 'ultimo terzo del primo millennio. La logica della produzione e del commercio, infatti, imponeva una più consistente alfabetizzazione ed un più vasto mercato. Ma, affinchè potesse attingere le massime potenzialità propulsive occorreva, esattamente come ad un incendio , un minimo periodo di innesco e di propagazione. Esso nella fattispecie corrispose a quella singolare e straordinaria ripresa che si registrò a cavallo fra il X e l'XI secolo, avviatasi nei borghi rurali e rapidamente trasferitasi negli asfittici centri urbani. Se, infatti, il collasso dell'Impero romano aveva trasformato la sua vitale e capillare impalcatura socio-amministrativa in uno spettrale e sterminato cimitero di città, da quel momento proprio fra quelle fatiscenti rovine divampò una vigorosa rinascita, quasi una resurrezione.
La città, peraltro mai definitivamente estinta ma pesantemente ridimensionata ed emarginata, conobbe così un suo nuovo ciclo esistenziale, acquisendo in pochissimi decenni una predominanza economica e politica che non fu più possibile sottovalutare, ed, ovviamente, una incoercibile aspirazione all'autonomia. In s intesi in: " .. .Italia, [per ] l'assenza di un'autorità centrale più pronunciata che in Germania le città riuscirono a trar profitto dalle continue lotte tra il papa e l'imperatore. Questo sembrò dare al movimento un carattere più politico; ma come altrove, fu la ricchezza accumulata e l'importanza commerciale a mettere le città in grado di sfruttare la situazione politica " <1 1 •
E poichè nulla più dell 'ap parato militare richiede denaro , la ricchezza prodotta dall'iniziati va borghese fu, in breve tempo, in grado di sostenere truppe cittadine ottimamente armate ed addestrate. Gli orgogliosi eserciti imperiali impararono, a loro s pese , non solo a tenerne debito conto ma, soprattutto, a temerne il confronto campale avendo realizzato che contro siffatte milizie, razionalmente organizzate e fortemente motivate, poco poteva persino il valore disperato della cavalleria. Per molti aspetti fu quella la conclusione della fase più oscura del Medioevo, costituendo una netta cesura tra l'epilogo della società barbarica ed il prologo della società comunale.
Per quanto delineato, alle spalle della rinascita urbana deve collocarsi il fenomeno dei borghi prima e dei comuni poi: del resto tutte le città indipendenti di quel vivacissimo scorcio storico si definirono tali. In ogni caso, però, il: " comune non diventa, subito, e senz'altro, una cosa identica con la città e la sua costituzione; non soppianta subito ogni diritto signorile. Vi sono luoghi ove si andrà innanzi per un secolo e più in una condizione intermedia, di compromesso e confusione, in cui non si sa veramente da chi, a rigore, la legge emani e quale sia il limite tra le due autorità ... " < 2 •
Dei borghi già è stata tratteggiata la genesi e le originarie caratteristiche architettoniche d'impianto, sostanzialmente similari dovunque. Più complessa e variegata risulta, invece, sia la trasformazione di molti di loro in città sia, più in generale, la rinascita di quest'ultime dopo il collasso provocato dalle invasioni barbariche: entrambi i fenomeni, tuttavia, sembrano ascrivibili ad un'unica motivazione. Infatti: " .il popolamento delle città nei dettagli ci sfugge. Ignoriamo in quale maniera i primi mercanti che vi si stabilirono sì installarono in seno alla popolazione preesistente o accanto ad essa. Le città, le cui mura racchiudevano spesso spazi vuoti occupati da campi e giardini, dovettero fornire all'inizio un posto che ben presto divenne troppo angusto. È certo che in molte di esse, a partire dal X secolo, i nuovi venuti furono costretti a stabilirsi fuori delle mura ... [AncheJ il popolamento del borgo fu detenninato dalle stesse cause che agirono nelle città, ma avvenne in condizioni abbastanza diverse. Qui, in effetti, mancava ai sopravvenuti lo spazio disponibile.
I borghi erano fortezze le cui mura racchiudevano un perimetro strettamente limitato, per cui fin dal principio i mercanti furono costretti a stabilirsi, per mancanza di spazio, al di fuori di questo perimetro. Essi costituirono, accanto al borgo, un borgo esterno, cioè un sobborgo (forisburgus, suburbium). Questo sobborgo è anche chiamato dai testi borgo nuovo (novus burgus) in opposizione al borgo feudale o borgo vecchio ( vetus burgus), al quale si è aggiunto. Per indicarlo si trova, specialmente nei Paesi Bassi e in Inghilterra, un termine che risponde mirabilmente alla sua natura: portus. Nel linguaggio amministrativo dell ' Impero romano si indica con portus non già un porto del mare ma un luogo chiuso che serve di deposito o da tappa per le merci .. .''(J>.
In italiano, di quella lontana vicenda, sopravvive il termine portico , anch'esso di per sè privo di qualsiasi attinenza con il mare . Ciò non esclude che tanti porti, o portici, medievali fossero concretamente tali, sebbene per lo più fluviali , lasciando arguire , ancora una volta, che alla base dello sviluppo dei borghi e delle città prima, e dei comuni poi, abbiano giocato sempre i traffici e gli scambi a vasto raggio, inevitabilmente marittimi. Il fenomeno non deve stupire eccesivamente, considerando che, all'epoca, la continuità della superba rete stradale imperiale era scomparsa: al suo posto una miriade di rischiosi segmenti viari, resi tali dal crollo dei ponti e dal banditi s mo, ulteriormente frammentati da infinite barriere daziarie. Ovvio , pertanto, che le vie d'acqua, dolce o salata che fosse, costituivano senza confronto le migliori e le più veloci, prive per antomasia di limiti geografici, di sagoma o dì carico, senza pendenz e e senza usura , nonchè esenti da pedaggi e balzelli , s ituazione, peraltro, destinata a re sta re immutata fino al XX secolo.
Per tornare alla genesi dei borghi nuovi, alcuni s tudiosi ne s ubordinano la formazione al consenso, più o meno tacito, ad edificare le abitazioni all'immediato ridosso della cerchia del vecchio borgo. A loro avviso, infatti: " .. .la soluzione tipo fu quella di consentire che le abitazioni venissero erette lungo il perimetro esterno della cinta muraria, ma le conseguenze sono facilmente intuibili, perchè è evidente che la cinta muraria venisse a perdere la sua primitiva funzione difensiva. E non solo perchè le abitazioni ad essa appoggiate ne rendevano più facile la scalata, ma anche perchè si dovette rivelare assai precaria la condizione stessa dei loro abitanti, esposti com'erano alle ben prevedibili conseguenze di un qualsiasi assalto esterno. "< 4 >
L' ipotesi, però, proprio perchè le conseguenze erano fin troppo prevedibili, e per i vecchi abitanti e per i recenti, non sembra condivisibile. È di gran lunga più probabile , invece, ritenere che l'addossamento delle abitazioni alla vecchia cerchia fosse tollerato soltanto dopo la costruzione di una nuova murazione più ampia e solida, che avrebbe assicurato la protezione del!' intero nucleo residenziale, senza pericolose soluzioni di continuità difensiva. È altresì probabile che in tal modo si ponesse riparo all'inadeguatezza della vetusta murazione, incoraggiando i mercanti benestan- ti a realizzarne una più moderna e sicura in cambio della concessione di potersi stab ilire al suo interno. Al di là delle supposizioni , appare comunque certo che l'aumento del benessere abbia prodotto tanto l'ampliamento dei borghi, quanto la necessità di una mag g iore protezione. Esso, infatti, determinò un vistoso salto demografico, ma anche il miglioramento della consistenza e delle capacità offensive degli eserciti medievali, con il conseguente superamento del la tradizionale inettitudine ad espugnare persino le più rozze fortificazioni perimetrali.
Il processo, appena schematizzato, si attuò, in pratica, in un las so di tempo tutto sommato relativamente breve, in specie se paragonato ai lunghi seco li di inerzia precedenti. Gli agglomerati mercantili ed i sobborghi commerciali, a differenza di quelli meramente rurali e feudali, manifestarono immediatamente una vivacissima tendenza all ' espansione ed allo sv iluppo economico. La loro dinamicità li trasformò in polo attrattivo per numerosi altri aspiranti imprenditori e per s pregiudicati mercanti che ne gonfiarono incessantemente la rilevan za. Sotto il profilo residenziale, fatte salve le ovvie proporzioni, il fenomeno può equipara rsi all'odierno dilagare delle bidonville intorno alle metropoli: ma, mentre quest'ultime sono abitate da masse di diseredati e di emarginati, i sobborghi di allora ospitarono la componente sociale più agiata ed attiva. Sotto il profilo storico, invece, ricorda molto quanto verificatosi, quasi un migliaio di anni prima, intorno agli accampamenti romani, quando alla pletora di capanne erette a poca distanza dalla cinta, per motivi essenzialmente economici, finiva col subentrare una cittadina, che fagocitava la preesistente stru ttura militare dotandos i di una propria cerchia urbica. L'originario impianto castrense veniva testimoniato dalla permanenza dell'incrocio stradale ortogonale del centro.
Similmente , in moltissimi casi, all'inizio del XII seco lo, i nuovi borghi serrano completamente i vecchi , ai cui piedi si sono strutturati, costipandone le mura perimetrali e rendendole praticamente inutilizzabili. Ma, non essendo credibile neanche l'ipotesi di una presenza abitativa aperta, contestualmente al pro - liferare di quel coacervo di abituri compare una seconda cerchia, resa indispensabile dalle ricchezze in es sa accumulatesi, irresistibile richiamo per predoni e saccheggiatori. La tumultuosità dell'espansione edilizia e la conseguente indetermin azione dimensionale urbanistica, tuttavia , co nsentono semplicemente l'adozione di una difesa perimetrale di tipo campale, ovvero non rigidamente fissata ma facilmente ampliabile, seb bene intrinsecamente fragile ed effimera: una palizzata, ad esempio, destinata all'esclusiva protezione notturna. Non appena, però, la situazione s i stabilizza , e le risorse disponibili lo permettono, quelle leggere difese sono sostituite da cerchie murarie tra le più avanzate possibili. In pratica so lo: " ... a partire dal XII secolo la prosperità crescente delle colonie mercantili permise loro di rafforzare la propria sicurezza cingendo i nuclei abitati di baluardi di pietra, fiancheggiati da torri, e in grado di re s istere ad un attacco regolare. Da questo momento furono anch ' esse fortezze. La vecchia cinta feudale o vescovile che continuava ad innalzarsi ancora al loro centro , perdette così ogni ragion d'e ss ere. A poco a poco si lasciarono a ndare in rovina le mura inutili ... " < 5 >
Modalità di ampliamento a parte, va comunque sottolineato che le due comunità residenti nei borghi non ebbero la medes ima definizione, quasi per ribadire e sottolineare la loro diversa origine. Infatti: " ... furono gli abitanti del borgo nuovo, cioè del borgo mercantile, a ricevere o, più probabilmente, a darsi l 'appellativo di borghesi [mentre] quelli del borgo vecchio ci sono noti sotto il nome di castellani o di castrenses. È una prova di più , e particolarmente significativa, che l'origine della popolazione urbana dev'essere cercata non tra la popolazione delle fortezze primitive, ma nella popolazione immigrata che il commercio fece affluire attorno ad essa e che , a partire dall'XI seco lo , cominciò ad assorbire gli antichi abitanti. "< 6)
Della bipartizione sociale del borgo ampliato, costituita , da una parte , dai contadini, spesso piccoli proprietari , e dal feudatario, e dall'altra dalla più recente classe di artigiani e mercanti, si troverà un pre - ciso riscontro anche nella successiva 1st1tuzione del comune. Non a caso: " .il comune italiano possiede sin dalle origini due anime e due vocazioni, l ' una borghese e imprenditrice, l'altra fondiaria e redditiera. Per ora nel generale rigoglio di una società in via di espansione e di trasformazione, è la prima a prevalere ... Ma verrà il tempo in cui anche l'altra anima quella redditiera e possidente riemergerà e darà il suo stampo a una nuova e meno esaltante fase della lunga storia della città italiana ... " 11> Del resto anche una sostanziale ambiguità di potere permase nei comuni. Infatti se: " è ben vero, in linea generale, che feudalesimo e comuni si oppongono su tanti punti essenziali ... non è un paradosso dire anche che nel comune persistono a lungo notevolissimi residui feudali [che] acquistano un certo rafforzamento per l'introduzione di governi di tipo signorile ... " <8> E come il castello finì per emblematizzare , architettonicamente e militarmente, il potere della casta feudale dominante sui contadini circostanti, ali' interno della cerchia urbana la torre gentilizia varrà a rappresentare il potere della ricca borghesia sulla restante popolazione.
Anche nel contesto appena schematizzato la fortificazione dà una esatta testimonianza del mutare dei costumi, finendo col tornare , paradossalmente, alla sua più lontana impostazione. Quella, per intenderci, che, al di là delle implicanze meramente militari, socialmente sottintende il superamento dell'individualismo , essendo necessario uno sforzo organizzato e collettivo per provvedere alla comune salvaguardia mediante l'erezione delle mura e la loro difesa. Con l'avvento degli Stati di grande rilevanza, e soprattutto con Roma, quell'arcaica impostazione si dissolse rapidamente al dissolversi delle autonomie deJle città-stato. Tutti i loro abitanti confluirono in una organizzazione superiore in cui la sicurezza era monopolio di una precipua istituzione. Alla diretta prestazione sulle mura urbiche il cittadino sostituì la contribuzione fiscale, essendo competenza di professionisti garantire l ' inviolabilità delle frontiere. Le successive devastazioni dei barbari, infrangendo il sistema, annientarono il rapporto fiduciario che lo aveva generato e sostenu - to, obbligando ogni centro abitato a provvedere di nuovo autonomamente alla propria difesa. Non desta perciò eccessiva meraviglia che: " mai come nel medioevo si sentì acutamente la necessità di agire in modo collettivo, [poichè] l ' individuo contava ben poco. Il grande nobile possessore di un feudo, poteva permetters i di stare per suo conto, di costruirsi un proprio potere indipendente, di conservare i propri privilegi ed il proprio dominio sui vassalli; ma , ai livelli più bassi, un uomo , da solo , poteva fare ben poco nella lotta per l'esistenza. " c9i Pertanto radicatasi la costatazione che: " .. .il singolo era troppo debole per lottare da solo o per cambiare la realtà esistente ... nacque .. .l'idea di unirsi e di associarsi. E a mano a mano che la popolazione aumentava, che la ricchezza cominciava a diffondersi e che la società avanzava. questo bisogno di progresso, questa tendenza ad associarsi, divenivano sempre più forti ... " <10•
L'in sufficienza del singolo, del resto, era emersa pienamente anche in tutte le attività produttive e di scambio implicanti il superamento dei ristrettissimi ambiti dell'autarchia feudale , in particolare nel commercio a media distanza o nell'artigianato di maggiore complessità, quale quello metallurgico e tessile. Se si volevano conseguire risultati remunerativi appariva indispensabile associarsi in forme cooperative, ed il concetto molto rapidamente si spostò dal campo lavorativo a quello politico. In altri termini se una libera associazione di più individui, unendo le risorse, consentiva intraprese altrimenti precluse, una identica impostazione sul piano sociale, unendo le forze, avrebbe frustrato gli arbitrii e le angherie dell'aristocrazia, trasformando le tante impotenze in potere collettivo.
È probante, al riguardo, il sincronismo genetico del comune, che rappresenta la traduzione politica delle delineate concezioni, in relazione all'ampia area geografica interessata. In pratica si rintraccia, contemporaneamente, in Francia, in Germania ed in Italia. Parimenti probante è la sua irrilevante presenza, all'interno delle stesse regioni, laddove nel frattempo si fosse organizzato un forte potere centralizzato e stabile , come nel Mezzogiorno, capace di garantire una di- screta sicurezza. In ogni caso, al di là delle indubbie affinità, i comuni ostentarono notevolissime diversità sia formative sia normative, per cui ciascuno di essi può essere considerato un caso a se stante. Ne derivarono impianti difensivi altrettanto diversificati e peculiari, basati su criteri infonnatori di grande interesse, che vale la pena di approfondire. un 'art iglieria moderna ed efficace, di cui subito s i dotarono le principali monarchie europee, e contro la quale nulla potevano le obsolete fortificazioni comunali, ristabilì la soggezione della libera istituzione.
I liberi comuni
Sotto il profilo storico, la massima proliferazione dei comuni si verificò fra il 1100 ed il 1400. Ed è certamente significativo che se i prodromi del fenomeno comunale coincisero con la grande ripresa economica, il suo esaurimento, o quantomeno la sua stasi, coincise, a sua volta, con la realizzazione di un 'efficace artiglieria. Concomitanza non casuale, bensì logica conseguenza della connotazione fortemente competitiva ed aggressiva dell ' istituzione comunale, che, dopo averne rapidamente stravolto la concezione, finì per favorirne la disgregazione. Infatti, pur scaturendo da un ' istanza sociale unitaria largamente condivisa il comune conservò nel proprio patrimonio genetico lo spirito di sopraffazione proprio del feudalesimo , accentuandolo.
E se: " ... nel secolo XII il comune italiano è fusione di classi, unità di popolo ... [proprìo] in questa fusione matura la nuova classe borghese e nell ' unità presente si preparano i contrasti prossimi ... " <111 • Saranno, in pratica, la smodata competizione egemonica fra ricche famiglie di mercanti e la eccessiva sperequazione economica fra queste ed il popolo, ad annientare l'originaria solidarietà instaurando la faziosità fratricida tipica del feudalesimo. Tant'è che, neJl'arco di un paio di secoli: " al culmine della sua fioritura il comune ci appare così, come un sistema politico-istituzionale che ha raggiunto lo stadio e la consistenza dell 'organizzazione statale, ma è caratterizzato dalla compresenza di molti poteri che formano altrettanti stati nello stato ... La tendenza di ciascuno dì questi poteri è quella di diventare totalitario .. .Una lotta cronica e violenta agita perciò la vita del comune ... "( 12i L'avvento di
Per spiegare l'originarsi dei comuni esistono ovviamente molte teorie , tanto più che il fenomeno appare, come già detto , nonostante il suo vasto e contemporaneo manifestarsi, talmente diversificato da proporsi come spontaneo ed indipendente. Assurdo, quindi, supporne un'unica matrice. Eppure per i vecchi studiosi i comuni rappresentavano gli estremi epigoni dei municipi romani: l 'ipotesi appare troppo semplicistica in quanto il notevole intervallo , e le contaminazioni barbare, mai avrebbero consentito tanta sopravvivenza, pur ammettendone l'affinità. Senza contare che la stragrande maggioranza di essi non vanta alcun collegamento con l'a ntichità classica, e nasce per rispondere ad esigenze anch'esse prive di remote analogie. Altri studiosi collocano ali' origine dei comuni l'estendersi della proprietà indivisa e dei diritti collettivi: i riscontri, però, appaiono marginali. Per altri ancora lo stimolo aggregativo va ricercato nella progressiva autonomia del distretto giudiziario, oppure in una precisa iniziativa reale, o ecclesiastica: ne ss una te si, tuttavia, è supportata da una sig1ùficativa esemplificazione. Indubbiamente al riguardo un ruolo , sebbene indiretto , potrebbe averlo svolto la Chiesa , allorquando per arginare la violenza imperante, impose, con l ' istituzione delle cosiddette 'paci di Dio ' e ' tregue di Dio ', la sospensione di qualsiasi scontro armato dal tramonto del mercoledì al mattino del lunedì. Da lì, forse, la sinistra fama del martedì! Traendone immediato beneficio gli artigiani ed i commercianti, è credibile che entrambe le categorie si coalizzassero in qualche modo per renderle stabili. Parimenti plausibile, per restare nell'ambito delle motivazioni a sfondo religioso, è il forte impulso mercantile innescato dalle crociate, ed implicante, necessaiiamente, forme associative abbastanza ampie. Simile, in sostanza, l ' ipote s i incentrata sulle 'gilde', suffragata dalla constatazione che i principali comuni, come accennato, sorsero quasi sempre o lungo il corso di fiumi navigabili, o lungo le coste. In conclusione, il fattor comune del fenomeno comunale è comunque correlato allo sviluppo del commercio, prescindendo dalle sue particolari estrinsecazioni.
Dal punto di vista legale il comune medievale, nel concetto più ampio: " può essere considerato «persona» giuridica collettiva; un corpo che poteva detenere proprietà , esercitare diritti, possedere vassalli, ed amministare giustizia. All'interno del mondo feudale esso si schierava al fianco dei grandi proprietari terrieri; come costoro infatti poteva rendere e pretendere omaggio, avere tribunali propri per i suoi affittuari, e con costoro poteva trattare praticamente da pari a pari; era in sostanza una seigneurie collective. Talvolta un comune poteva addirittura dichiarare la guerra e negoziare la pace , stipulare trattati e stringere alleanze senza l 'a utorizzazione o il controllo di alcun grande signore feudale. Simbolo della sua autorità erano il possesso di un campanile, da cui chiamare a raccolta in occasione di assemblee generali, ed una sala pubblica, in cui poter trattare gli affari, tenere incontri, ed amministrare la giustizia; la prova della sua esistenza in quanto organismo corporato era il sigillo comune, da apporre a tutti i documenti ed atti pubblici. Tutti i comuni eleggevano o nominavano propri funzionari per condurre gli affari comunali ... Sia la città sia la campagna .. .potevano darsi , e infatti si diedero, questa o quella forma di organizzazione comunale, ma ali' avangua rdi a furono in genere i comuni urbani; essi furono i primi a costituirsi in organismi corporati, ed i più decisi ad affermare l 'autorità comunale. "< 13 )
Occorre, infine, per vagliare le tipologie fort ifi catorie adottate dai liberi comuni, e le loro peculiarità, fare un accenno ai rapporti fra questi ed il coevo feudalesimo. In particolare il comune nacque da una fiera avversione al potere feudale o non ne fu piuttosto una mutazione, progressivamente ricondottasi , con l'acquisizione di autonomie e prerogative e, quindi, con la rivendicazione di privilegi e monopoli, a tale connotazione archetipale? In quest'ultima ipotesi , per ovvia conseguenza, anche in ambito fortificatorio, avrebbe finito
Ingegno E Paura Trenta Secoli Di Fortificaz Ioni In Italia
per riprodurne i più deprecabili aspetti, tramandandocene la testimonianza architettonica. Di certo, quanto: " più s i prosegue nello studio del movimento comunale, tanto più appare evidente che esso non fu che una tappa naturale nello sv iluppo dell 'eco nomia. Il progresso economico è la sola causa di valore universale realmente sottesa a tutta la gamma di ragioni immediate , a tutte le complesse forme di sviluppo individuale. La società dei tempi feudali si trovava, per così dire , in uno stadio infantile. Protezione dall 'al to in cambio di servizi dal basso; ad una classe l 'o nere di combattere e all'altra quello di lavorare; protezione anzichè competizione, ecco il principio ideale del feudalesimo, che fondava sul po ssesso della terra tutti questi rapporti e servizi Ma anche nella sua forma migliore il sistema feudale non era fautore di progresso, e nella sua forma peggiore arrivava a commettere grossi abusi e la protezione si trasformava facilmente in oppressione, il se rvizio in servaggio. Il movimento comunale non rappresentò un tentativo di opporsi all'intero sistema feudale in quanto tale , bensì lo sforzo di impedirne gli abusi, e di contribuire al progresso materiale e politico, non però malgrado il feudalesimo ma, anzi, secondo le sue stesse linee; in sostanza una città puntava a divenire un proprietario terriero. Difesa e progresso erano nel medioevo i bisogni primari, e l'associazione fu uno dei mezzi più naturali per soddisfarli Non si trattò quindi di una rivoluzione bensì di uno sv ilu ppo naturale, un segno che la società stava lottando per arrivare alla libertà " <14> _
Il fenomeno comunale, in definitiva, al di là di ogni romantica interpretazione, deve essere ricondotto ad una generalizzata istanza economica, esattamente come il feudalesimo aveva risposto ad un' altrettanto generalizzata esigenza di sicurezza. Lo scopo, in entrambi i casi fu conseguito pienamente, ma a vantaggio di un'unica componente sociale, mercanti le per l'uno e nobiliare per l'altro. All'ampiezza del feudo corrispose quella del mercato, alla potenza delle armi quella del denaro, allo sfruttamento dei contadini quello degli operai. Ed all'incessante conflittualità fra i baroni corrispose un'altrettanto irriducibile belligeranza urbana fra le diverse casate. Nessuna meraviglia che, in breve, anche la politica comunale finisse per aderire a quell'unico stereotipo, estendendo la giurisdizione sulle campagne circostanti ed avviando una cruenta contesa egemonica con i comuni limitrofi. Pertanto i rapporti fra quest'ultimi divennero tanto più violenti quanto più essi erano simili e vicini, riproponendo, per molti aspetti, il contesto di esasperata rivalità che già aveva afflitto le città-stato del l'antica Grecia. Alla base delle contese non c'era nessuna nobile motivazione mirante ad annientare vessazioni ed arbitrii ma semplicemente l'esigenza di garantirsi aree di mercato sempre più vaste ed esclusive a scapito dei vicini. Nell'arco di meno di un secolo i comuni finirono, perciò , col riprodurre, al loro interno, il peggiore feudalesimo ed all'esterno il più violento imperialismo.
Pertanto l'Italia: " ... benchè si venisse rapidamente assicurando il predominio mondiale nell 'a rtigiano e nel commercio internazionale, era tormentata da guerre pressochè continue tra città e città, in lotta per i confini della diocesi e i diritti feudali, o a proposito di pedaggi e di mercati , o bramose di estendere la loro potenza sul contado, cioè sulla campagna circostante, o di continuare entro le stesse mura le lunghe ed ereditarie contese nobiliari. La semplice vicinanza era causa sufficiente di feroci e lunghi rancori. Bastava che Firenze si schierasse con un litigante, perchè Pisa, Siena e Genova si unissero all'avversario; Milano si alleava con le altre città, ma non certo con Cremona o Pavia; e finchè la questione dello sfruttamento della Corsica e della Sardegna rimase aperta tra loro, Genova e Pisa furono implacabili rivali. La posizione delle città italiane nella grande contesa tra impero e papato non fu dunque determinata da nessun principio politico superiore lma dal] desiderio di espansione e sulla gelosia commerciale ... La grande lotta politica del medioevo diede soltanto nuovo colore e maggiore intensità a rivalità così aspre e bellicose da rendere necessaria in ogni città l'organizzazione degli abitanti in una milizia di fanti e di cavalieri. " <15J
Per diversi autori tanta inconcepibile aggressività in una soc ietà mercantile deve essere ricondotta al venir meno del clima di terrore dei secoli precedenti ed, in particolare , dell'incubo saraceno. Per altli alla trasformazione , grazie al denaro, delle raffazzonate milizie cittadine in un efficace strumento militare. La progressiva aggregazione delle campagne costituì il primo sintomo della trasformazione dell'istituzione comunale. In d ettaglio tale fagocitazione si attuò: " ... sia attraverso la penetrazione economica realizzata dagli abitanti delle città con l'acquisto dei terreni nelle campagne circostanti, sia con le armi e la sottomissione del contado alla città ... Una volta portata a termine la sottomissione del suo territorio, la città vi imponeva le sue leggi: le rocche e i castelli venivano abbattuti, i feudatari più selvatici e riotto s i costretti almeno per una parte dell'anno a tisiedere in città. Di più: nel contado conquistato il comune procedeva talvolta a una politica di ristrutturazione territoriale, promuovendo la formazione di «ville franche» e «castelfra nchi » e facendosi l ' impresario di grandi lavori di bonifica e di regolamentazione del regime delle acque .. .In qualche caso si procedette anche all'affrancamento dei servi dai gravami angarici feudali ... " c16>
Le operazioni militari, come accennato, che sempre più frequentemente videro coinvolti i comuni, sia per la conquista del territorio circostante sia nelle contese con gli altri comuni, implicano la disponibilità di truppe permanenti, ed, ovviamente, di più elaborate fortificazioni. Per cui la: " professionalizzazione della milizia diventa ... inevitabile. La esprimono a livello politico-sociale, le fortune delle superstiti feudalità come seminario di signori. E la esprimono, in maniera più appariscente, ma senza sostanziale differenza di significato storico, le fortune delle compagnie e dei capitani di ventura ... " '17)·
Ben emblematizza quanto delineato la vicenda di Firenze che: " ... dimostrò per la prima volta la sua giovane forza nel 1082, quando riuscì a respingere I' assedio cui l'aveva sottoposta Enrico IV. Essa divenne la fortezza del contado, di cui sistematicamente sottomet- te e costrìnge alla residenza in città la nobiltà feudale. L'alleanza stipulata nel 1171 con Pisa procura al suo commercio l'accesso al mare. La cinta muraria del 1173-1175, che include ì nuovi quai1ieri sortì all'esterno delle mura romane, significa la conclusione dì questo primo periodo dì ascesa. Accanto aì nobili residenti in città ... dedìtì soprattutto al servizio militare, alle cariche municipali, al notai·ìato e alle podesterie , stanno ì ricchi mercanti, che come la nobiltà, vivono ìn case fortificate e turrite ... Al di sotto si forma la massa crescente degli artigiani. Nonostante le faide tra le vai·ie casate, scoppiate nel 12 l 6, e nonostante il contrasto di partito fra guelfi e ghibellini, il '200 regi stra un'enorme espansione ... La vitt01iosa lotta contro Siena le procura Poggibonsi, e con ciò la signoria sull'intero contado (1208). Negli anni '20 inizia ìl dissidio con Pisa, sviluppatosi in una sempre crescente rivalità commerciale e in un odio accanito sino a che alla fine, nel 1410 , con l'acquisto di Porto Pisano e Livorno , Firenze ottiene l'accesso al mare ... A Firenze il '200 vede anche la grandiosa espansione del settore finanziario. Accanto aì Genovesi e ai Lucchesi, anche i Fiorentini diventano banchieri della Curìa... così come dei re e prìncipi inglesi e angìoini .''11 8> Nella citazione, si coglie in Firenze, situazione peraltro analoga in tutti i comuni coevi, all'interno della immancabile fortificazione perimetrale, la prese nza dì una nuova tipologia fortificata, quella delle torri gentilizie. Come meglio emergèrà più innanzi esse rappresentano l' uJti mo tassello della ri propos izione del feudalesimo su scala urbana , l'equivalente cittadino del castello, confermando anche strutturalmente la supposta stretta affinità tra la società feudale e quella mercantile. s ituazione dì Firenze, sappiamo che nella sua contea prima del 1050 si contano 52 castelli, ben 130 cìnquant' anni dopo ed oltre 200 nel XIII secolo. Chiunque, legittimamente o no, disponeva di una minima autorità, persino religiosa, eresse fortificazioni per salvaguardare la propria esistenza ed i propri averi. Tutte, pertanto, furono costruite per la s icurezza dei detentori, seb bene indubbiamente, tutte, nel loro complesso contribuivano alla s .icurezza dello Stato. Questo, per l'identica ragione , tendeva, a far coincidere il suo perimetro con le coste marittime, con il corso deì fiumi e con le catene dì montagne, trasformandoli , con opportune integrazioni difensive, in una grande cerchia. La risultante di tante iniziative concomitanti fu un territorio, sostanzialmente chiuso, all'interno del quale ogni singo lo nucleo abitato, dalla città al borgo, dal castello alla toITe, costituiva a sua volta una enclave chiusa dalle proprie mura. Al calar delle tenebre, chiunque per qualsiasi ragione non si fosse trovato in uno di quei recinti, assumeva i connotati o della vittima o del predone.
Oss ervazioni
Sulle Fortificazioni Comunale
Il Medioevo, anche nell'immaginario collettivo, è l'epoca dei castelli. In effetti mai come nella società feudale si edificarono fortificazioni tanto numerose e di tanto variegata impostazione. Per restare ancora alla
11 comune che, per quanto delineato, finì per assomigliare ad un minuscolo stato feudale, ne riprodusse al s uo interno persino l'esasperata compartimentazione difensiva. Al perimetro di frontiera corris po se, infatti, la cerchia urbica , deputata alla s icurezza collettiva, ed ai castelli le dimore fortificate, per la sicurezza privata. Paradossalmente, anche in quel ristrettissimo ambito aggirarsi al calar delle tenebre nel dedalo delle viuzze, rappresentava oltre che una violazione delle severe disposizioni una palese aspirazione al suicidio. E se la connotazione saliente del territorio medievale fu quella di un susseguirsi di alture sormontate da castelli, quella del comune fu un costiparsi di ton-i svettanti dalle mura della cinta: una sorta dì gigantesco istrice. In definitiva una variante verticale ad altissima densità dell 'i ncastellamento disperso in orizzontale.
Dal punto di vista architettonico, pur essendo indubbio che la cerchia comunale ostentasse alcune peculiarità che la differenziavano dalle murazioni feudali coeve, la vera novità fu rappresentata appunto dalle torTi gentilizie e dalle dimore fortificate. Ovviamente , come l'edificazione dei castelli, almeno formalmente, da un certo momento in poi, richiese una esplicita autorizzazione sovrana, anche quella delle torri gentilizie, dopo una breve fase di anarchia, presuppose il rilascio di una concessione comunale. Il che non evitò, in entrambi i contesti, abusi continui, più gravi e sfacciati quanto più potente era la casata che li aveva perpetrati. La fin troppo evidente somiglianza tra la proliferazione delle torri e quella dei castelli, nonchè degli arbitrii relativi alla costruzione, potrebbe essere stata, per molti versi, la conseguenza di una tipicità tutta italiana, ovvero: " .. .l'ingresso forzato dei nobili nelle città . Mentre al di là delle Alpi la nobiltà costruisce i suoi castelli al di fuori delle città, in It alia spontanemanete o meno i nobili si trasferiscono nelle città stesse ... L'inurbamento forzato della nobiltà rurale è molto diffuso, anche se variano le condizioni imposte al nobile In Italia la nobiltà urbana entrò nel commercio, più precisamente in quel grande commercio d'oltremare che ebbe ben presto come effetto la creazione di imperi coloniali, sotto forma di reti di basi commerciali, da parte delle città marinare italiane di Venezia, Pisa e Genova e alla fine anche da parte di una città dell'interno come Firenze. I n seguito in Italia cadde quasi completamente il diaframma tra il ricco mercante e il nobile dedito al commercio . Il nobile fu invaso da una mercantile sete di profitto e la c ittà dai demoni dell'espansione coloniale e militare e del dominio. fl contado divenne un territorio sottoposto alla città. In ItaJia sorsero non signorie te1Titoriali, come nel regno di German ia, ma stati c ittadini . Qu esto però fa anche sì che quelle lotte per il potere che a nord delle Alpi vengono disputate nelle interminabili faide territoriali, in Italia si effettuano in città: le grandi famiglie rivali si combattono da palazzo a palazzo, da torre a torre. Perciò è dall'interno che viene minacciata la pace cittadina ... " 11 9 > _
Una significativa conferma di tale ipotesi la si può cogliere nel Mezzogiorno, che, come detto, risulta meno interessato, sia dal fenomeno del comune, sia dalle s ue inedite fortificazioni private, s ia, infine, più in generale dallo sviluppo commerciale, protraendovisi, per contro, abnormemente il sistema feudale. Infatti:
·'.. .la struttura feudale trasse motivi di vita dalle esigenze ed attività marziali della monarchia normanna, ossia rispondeva ad un ben organizzato sistema di controllo del territorio sovrapposto alle realtà esistenti e verso di essa diffidente. L'immagine che rende meglio questa meccanica del l'organizzazione militare è il fatto che i Normanni, mentre «posero il centro del loro potere nei castelli», di solito li «costruirono fuori delle vecchie cinte murarie», ossia a fianco delle città, in modo da poter conservare una maggiore indipendenza bellica e da rendere più efficiente il controllo e la difesa rispetto ai potenziali nemici anche interni. Il sistema feudale fu mantenuto in vita dalle monarchie sveva, angioina, aragonse e trovò anche più tardi condizioni di favore nel bisogno del governo centrale di lasciare in funzione organismi e forme di organizzazione del potere periferico accentrati sotto un'autorità locale e dotati di una qualche forza militare. Questa esigenza fu tanto più sentita nel Mezzogiorno rispetto al Settentrione in rapporto al pericolo che proveniva dal mare, e che era costante, non dipendeva dalle congiunture belliche internazionali, ossia dalle eventualità, sempre meno frequenti nella tarda età moderna, d' invasioni nùlitari. " <20 >
A Sud e a Nord troviamo, così, due condizioni nobiliari in netta antitesi: nel meridione i baroni continuano, più o meno spontaneamente, a fornire una qualche prestazione militare, fonte, se non di reddito, almeno di gratificazione e di occupazione, ragion per cui, nella: " ... politica della nazione dominante si scontravano ...e prevalevano alternativamente due esigenze opposte, di richiamare i baroni nella capitale ... o di utilizzarne il potere periferico per un più facile controllo del territorio specialmente verso l'esterno. Già l'organizzazione normanna prevedeva che la custodia marittima, ossia il servizio di vigilanza e difesa nei castelli costieri, fosse espletata nelle contee feudali da quei feudatari che possedevano terre confinanti con il mare. La funzione rimase costante nel tempo, così come l'ambiguità dei governi. " <21 1
Nel settentrione, invece, non esistendo alcuna necessità del genere, i baroni si ritrovano privi di ogni impie- go pratico , il che fornisce una plausibile spiegazione del)' improvviso interesse della nobiltà inurbala per il commercio, che permette, tra l'altro, di impiegare le ingenti rendite agrarie, frutto non di rado del persistere del lavoro servile, confluite nelle sue mani. È significativo al riguardo che nel 1256 il comune di Bologna abbia operato un riscatto generalizzato dei servi della gleba addossandosene gli oneii. Così l'atto:
" Considerando ciò, la nobile città di Bologna, che ha s empre combattuto per la libertà, memore del passato e provvida del futuro, in onore del Redentore Ges ù Cri s to ha liberato pagando in danaro, tutti quelli che ha ritrovato nella città e nella dioces i di Bologna astretti a condizione servile; li ha dichirati liberi e ha s tabilito che d'ora in poi nessun schiavo osi abitare nel territorio di Bologna affinchè non si corrompa con qualche fermento di s chiavitù una ma ss a di uomini naturalmente liberì. " <22>
Il documento, estremamente importante per la comprensione della società comunale, va però interpretato nella sua effettiva valenza. Innanzitutto la motivazione del riscatto risulta meno esaltante di quanto enunciato: occorrevano nuove braccia per le industrie cittadine e quello era l'unico modo per reperirle a buon mercato. Secondariamente l'intento non dovette trovare pieno adempimento, tant'è che la disposizione fu reiterata 26 anni dopo. Infine, a ben leggere il dispositivo, Bologna interdice la residenza nel suo temtorio agli schiavi, peraltro privi di ogni libertà decisionale , ma non ai mercanti di schiavi, che infatti continuarono anche nei secoli successivi, la loro abietta quanto lucrosissima attività. Una identica injziativa venne adottata anche da Firenze che proibì, nel 1289, la vendita simultanea delle terre e dei relativi servi: la motivazione prioritaria del provvedimento restava pur sempre la ricerca di mano d'opera a basso costo.
Le fortificazioni perimetrali comunali
A differenza dei vecchi borghi, quasi sempre abbarbicati a cocuzzoli, più o meno impervi, i loro amplia- menti , come pure più in generale i comuni urbani, ebbero una ubicazione meno arroccata , spesso perfettamente orizzontale. Nel primo caso si trattò di una conseguenza obbligata, poichè , coincidendo la preesistente cerchia con il ciglio tattico, le case costruite al s uo esterno si aggregarono o lungo la pendice o nella sottostante campagna. Nel secondo, invece, l ' impianto pianeggiante deve considerarsi una scelta canonica, essendo l'unico compatibile con una facile espansione omogenea e priva di limiti insormontabili. Ora, essendo in entrambe le circostanze, pressochè assente ogni difesa naturale, ad eccezione forse dell ' eventuale corso dei fiumi, le caratteristiche architettonico-militari tanto dei castelli quanto delle cerchie non potevano pedissequamente riproporre quelle tradizionali d ' altura. Ne derivarono perciò, soprattutto per l'interdizione passiva, soluzioni strutturali e dimen sionali originali che divennero la nota distintiva della fortificazione comunale più avanzata. In ultima analisi, po ssono considerarsi la riproduzione a11ificiale degli ostacoli morfologici , implicanti , però , una maggiore reazione attiva.
L'istituzione dei comuni, come in precedenza accennato, rese disponibile, perchè direttamente coinvolta, una forza armata s e non regolare, per lo meno , numericamente determinata e discretamente consistente in rapporto al perimetro da difendere. Tenendo presente che nel XIII secolo le e s ercitazioni pratiche con le anni da lancio , archi e bales tre , si succedevano nei maggiori centri con discreta frequenza , le rispettive mura, in caso di necessità , potevano contare su di una quantità di valenti tiratori quale non era stata mai disponibile in nessun castello feudale. Logico , quindi , che le cerchie comunali , dovendo sopperire alle accennate carenze naturali, si avvalessero pienamente di tale opportunità, articolandosi in maniera da trarne i massimi vantaggi, innanzitutto attraverso l'accentuazione dei dispositivi per il tiro piombante e per quello fiancheggiante.
Ne scaturì , sempre in larga schematizzazione, un accorto andamento delle cortine con fitta scansione delle torri per sfruttare il fiancheggiamento, una ragguardevole altezza sia delle une che delle altre per incrementarne l'insorn1ontabilità ed accrescere la violenza dei lanci, nonchè una straordinaria ampiezza dei fossati, per frustrare l'accostamento nemico. Quest'ultimo espediente assolve anche ad un'altra, e non irrilevante prestazione, ricorrente al profilarsi di un assedio: fungere da recinto per il bestiame, ed a volte persino da rifugio per gli sfollati del contado non ritenuti di sufficiente fedeltà. Riu sciva, così, possibile proteggerli più a lungo mediante le armi da lancio, garantendosi, al contempo, una maggiore autonomia alimentare, ed una disperata resistenza antemurale, pur senza gravare l 'intero abitato del loro mantenimento. Pertanto il fossato, raramente eccedente i 15 m, in molte cerchie comunali raggiunse i 25 m. E, quando venne scavato in terreni incoerenti, fu dotato di un ulteriore accorgimento, di eccezionale sviluppo futuro: il muro di controscarpa. Esso consisteva in una sorta di argine, parallelo al piede delle fortificazioni, che impedendo lo smottamento della sponda esterna, scongiurava il riempimento del fossato. Forse si era constatato del tutto casualmente, in seguito all'accumulo del materiale di risulta, il vantaggio ostativo derivante dal suo innalzarsi rispetto al piano di campagna. La configurazione da accidentale si trasformò in canonica, remota premessa dello spalto avanzato e del relativo tiro radente contro gli attaccanti in avvicinamento.
In conclusione, per le fortificazioni comunali: " .. .furono adottate mura perimetrali art icolate, non solo, ma elevate ad altezze fino ad allora inusitate, e munite di torri sporgenti ... mentre già ci si orientò verso accorgimenti tattici sempre più idonei ad impedire ogni sopresa ed ogni assalto in forze. Infatti un primo carattere veramente nuovo delle fortificazioni adottate dai borghi comunali è nel fatto eh' esse sono permanenti, o almeno costruite con questo impegno, in quanto si propongono di garantire l'incolumità non più solo di una persona o di una famiglia ma di una collettività intera, che partecipa direttamente, in molti casi manualmente, alle varie costruzioni, e con uno spirito che rispecchia, in concreto, la mentalità nuova e funzionale della civiltà comunale ... " m> .
Sempre nell'ambito delle fortificazioni comunali, e più in particolare del loro tracciato, un apporto senza dubbio interessante, in quanto collegato alle migliori esperienze europee, lo fornirono alcuni ordini monastici. Tra essi spiccano, quello cistercense, ovviamente, e quello francescano. Di entrambi si ravvisano peculiari criteri urbanistici e difensivi non di rado conservatisi fino ai nostri giorni.
Riguardo alle realizzazioni dei primi il: " ... discorso sull'Italia è troppo complesso per poter essere affrontato ... secondo 1' ottica esclusiva del rapporto tra cistercensi e città nuove. Si possono fare alcune considerazioni generai i sulla estrema varietà degli schemi d'impianto adottati nel Duecento, dovuti soprattutto alla molteplicità delle autorità territoriali (in particolare i Comuni del Centro Nord) che hanno promosso la fondazione di terre nuove. L'apporto cistercense tuttavia si può riconoscere maggiormente nelle aree dove il predominio della città sulla campagna è meno accentuato (ad esempio in Piemonte e nell'Italia meridionale) e anche qui si può in prima approssimazione identificare con la piazza quadrata centrale, presente nella prima metà del secolo soprattutto in queste due aree. Ma si tratta di un tipo di piazza più complesso e «moderno», integrato con l'impianto cruciforme cli due strade assiali che permettono l'accesso alla piazza dal centro dei lati invece che dagli angoli ... Non mancano neppure esperienze di «ritorno» che fanno pensare ad una influenza dell 'urbanistica delle città nuove sulle ristrutturazioni delle zone direzionali delle città antiche: ne è un esempio la piazza comuna le di P arma (fine sec. XII-fine sec. XIII) che riflette nell'impianto quadrato e negli accessi angolari ed assiali la problematica delle piazze porticate mercantili di tanti centri di nuova fondazione; anche qui l'esperienza si trasmette in simili, più sistematiche operazioni successive ... " '241 • Quanto appena delineato è, pe r molti aspetti, la trasposizione sul piano urbanistico dei criteri di razionalità e di ortogonalità già ravvisati alle spalle dei castelli feder i ciani. È presumibile, pertanto, che, originariamente, tali comuni avessero fortificazioni perimetrali rettangolari, scandite da torri quadrate con interassi dell'ordine della quarantina di metri, con spigoli di pietra accuratamente sagomati. Non è pertanto casual e c he fra l e realizzazioni cistercensi, o d 'is pirazione cistercense, rientri pure Manfredonia , dove è : •· ancora ri conosc ibil e l'impianto a scacc hiera ri gorosa ment e eseg uito ... " <25 )
Per gli o rdini mendicanti g li influ ss i so no notevo lmente ma ggiori , poi c hè l'impianto dei: '' ... co nv e nti ... nell e città ubbidisce ad es igen ze economiche, politich e e re li giose tanto precise quanto vaste e com plesse. In generale gli ordini contribuiscono a l rafforzamento del regime urbano dominante , gara ntendo il mantenimento della pace e collaborando, spesso in mani era diretta , alla gestione politico-amminis trativa del comune o de lla città; essi vanno visti, nel loro in s ieme, come l'indispensabile sostegno a d una nuova politica e a una nu ova prospettiva urbani stica dell e città d e l Duec e nto ... Ciò è particolarm ente ev idente per l'area umbro -to scana do ve il conso lidar si delle s trutture comunali s i verifica proprio in armonia con la precoce e vigoro sa diffus ione degli ordini ... È proprio l'iniziale loro origine di «se n za terra» che accomuna i mendicanti ai mercanti e ai banchieri più c he ai propri e tari agrari, al comune più che al vescovo, all 'econom ia e alle classi della città più che all'economia agricola e ai contadini ... se nza di ess i il c omune italiano non avrebbe potuto controllare l' e norm e movimento demografico del XIII seco lo , gestire le opere pubbliche in città e nel co ntado , stri ngere l'organismo cittadino in una nuo va, moderna maglia di se rvizi e poli monumentali " <2<> i
Ovviamente tanta di sponibilità non avvenne senza un congruo corrispettivo, ravvi sabil e eminentemente nel forte condizionamento esercitato dai reli g ios i s ulle is tituzioni comunali. Emblematica, al riguardo, appare la tendenza dei conventi a d addos sars i alle mura in cor1i s pondenza delle porte, per lo più all'interno della cerchia, meno fr e quentemente all'esterno, qua s i a voler meg lio so ttolineare l'intima correlazione tra il fattor e difen s ivo pubblico e l' ini z iati va monas tica, controllando , al contempo, di rettamente le entrate e le usci te. Ufficialmente però la: " ... relazion e tra conventi e porte è co nnessa con motivi di prevista espansione e di relazione stretta con il territorio; in questa luce van no viste soprattu tto le localizzazioni esterne, m e ntre quelle in terne so no assai m e no significativ e, e tendono se mai a sfr uttare le rendite delle po11e o le organizzazioni territoriali urbane legate alle porte stesse... " <m
Quan to evidenziato circa le for tifi caz ionj perimetrali co munali potrebbe sembrare , in prim a approssimaz ion e, id e ntic o a quanto riscontrabile nella coeva produzione feudale. In realtà , però, la minore e laborazione e robustezza di quest'ultima, fatte sal ve le cerchie delle cap itali , tradi scono una insormontabile diffidenza da parte d el potere cen trale. La sp iegaz ion e è quella g ià fornita per le cittadine romane non di frontiera, sempr e blandamente cintate reputandosi una maggiore saldezza un temibil e ostacolo per la loro sottomissione nel caso, non improbabile, di rib ellio ne Senza contare c he s ui comuni in combevano le reciproche minacce, iattura ines istente per l'altra tipologia. Infatti , un a s i g nifi c ativa ragione d el potenziamento delle: " ... fortificazioni con cui il Comun e dovette c irco ndare i I suo agglomerato urbano ... [fu] quell o di difendersi dalle conco rre nze, d a11 e c ittà rivali. Un mot ivo, questo, c he sta a d indicare come, già ne l s uo affern1a.rsi, fosse conge nito, per il Comune, il germe della decade nza, intimamente connesso forse proprio con l 'esaltazion e dell ' individua)j smo, proteso al s ucc esso e d all ' affermazi o ne, in ogni campo e con ogni mezzo, ma in se nso s trettame nte egoistico ... " 128)
È questo il più singolare paradosso della fortificazione comunale che nata da una esigenza collettiva fini sce per diventa.re la garante di un esasperato egois mo , più esattamente di un aggressivo particolarismo egemonico, riproducendo i difetti del s istema feudale , ulteriorm e nte aggravati dalla dinamica mercantil e. Pe rtanto: " .. .invece di perfez ion are i mezzi di c omunic az ione terre stTi e marittimi .. .invece di p erfez ion are i sis temi di produzion e e quelli mercantili (è tuttavia con i Comuni ch e ebbero origine le banche e le industrie), i mercanti comunali preferirono di spe rdere le loro energie nel combattersi. Di qui una ulteriore esige nza di fortificarsi, individualmente oltre che colle tti vamente: le città pullularono di case torri, oltre che di cinte murarie sempre più a rticolate e robuste. " <29 > te recuperate dalla città. L'avvio dell'autonomia comunale può farsi risalire agli inizi del XII secolo, come testimoniano alcuni tentativi di affrancamento dalla Chiesa, alla quale Todi era stata donata nel 962 dall'imperatore Ottone I. ed il suo primo governo consolare. Contemporaneamente inizia pure la fagocitazione dei territori c ircostanti, secondo precise direttrici strategiche ed economiche. Ovviamente il limite dell'espansione non è determinato dalle asperità naturali, ma dal1e rivendicazioni dei Comuni limitrofi, in pa rti colare di Perugia, con cui Todi cerca di conservare buone relazioni, indispensabili per bilanciare l'ostilità di Orvieto.
Un significativo esempio, riassuntivo di quanto delineato, è rintracciabile nella vicenda sto1i ca di Todi e delle sue fo11ificazioni. Va, comunque, ribadito che quelle erette nel XIU seco lo , non diversamente da tutte le altre coeve, hanno subito pesanti su·avolgime nti successivi, in particolare tra il '400 ed il '500, resisi indispensabili per prolungarne la validità adeguandone, per quanto e fin quando possibile, la resistenza passiva alle artiglierie.
In rapida sequenza entrano in suo possesso Amelia nel 1208, Terni nel 1217, e quindi, nel 1232, le terre
Il primo documento che menziona l 'esistenza di un territorio facente capo a Todi 1irnonta al 760, al tramonto del regno del longobardo Desiderio. Da esso se ne ricavano, con discreta precisione, i contorni, sostanzialmente, coincidenti con quel1i della Diocesi. Questa, a sua volta, ri calcava quelli del Municipio romano del I sec. a. C., ennesima co nferma del permanere sotto i regni barbari delle antiche suddivis ioni amministrative. E proprio alla remota promozione giu ridi ca viene ascritta la riqualificazione della primitiva cerchia urbica d ' 01igine etrusca, e rett a con blocchi di travertino intorno a due colli separati da una in se ll atura, c irca due secoli innanzi. Nonostante l'intervento la fortificazione risultò, in breve, inadeguata a contenere la popolazione vistosame nte incrementatasi. Si operò, allora, un ampliamento della superfic ie urbana tramite poderosi muri di terrazzamento, innal zati lun go i lati o riental e e settentrio nal e della c ittà, anche per fungere da m ass iccia cortina difensiva. L'assetto non subi alcun mutamento in epoca altomedievale, se si eccettua la trasformazione del teatro in caposaldo.
Intorno al Mill e, la giurisdizione di Todi risulta notevolmente ridimensionata, a vantaggio di alcuni feudi in sediatis i nei suoi paraggi. Nei decenni successiv i, però, si registra un loro progressivo s membra - mento, con la perdita di alquante frazioni, prontamen- dello Status Alviani. Da ogni sottomissione deriva un gettito di tributi che incrementa le 1isorse del Comune, consentendogli, tramite acquisti, ulteriori ampliamenti territoriali. Al termine: ·' del XIII sec. l'estensione del contado e quella della Diocesi coincidono perfettamente; segno che l'istituto comunale ha voluto ricalcare i confini di quello ecclesiastico Le finanze del Comune traggono notevoli sostanze dal nuovo patrimonio territoriale, sostanze che vengono impiegate in altre conquiste o in attività economiche, che richiamano in città un sempre maggior n u mero di abitanti. '' 00 >
Stando ai dati disponibili il contado raggiunge allora la cifra di circa 35.000 abitanti e la città di 12.000, entità immense per l'epoca, che rendono troppo angusta la vetusta cerchia. Pertanto. nella prima metà del XIII secolo, se ne erige una nuova , la terza, imposta soprattutto dall'esigenza di proteggere i borghi, per I' esattezza Borgo Nuovo, Borgo Ulpiano e Porta Fratta, nei quali si è concentrata l'accresciuta popolazione. Esauritasi ben presto la loro ricettività, cominciano a sorgere altri sobborghi verso Settentrione. Contemporaneamente il comune: " ... fa costruire ai confini del territorio 34 for- tilizi; nel 1321... 1inforza la Rocca di Pontecudi, s ituata ai piedi del colle di Todi; nel 1326 .. .innalza il borgo fortificato di Castel dell 'Aq uila , per sorvegliare gli Amerini e i loro frequenti tentativi di ribellione; dal 1331 al 1333 Fratta viene rafforzata con torri e baluardi. "rn; Tanta attività fortificatoria coincide, non a caso, con l'inasprirsi dei rapporti tra Todi e la Chiesa, in seg uito alla rivendicazione della piena indipendenza. Nel 1339 esplode la ribellione, che culmina nel 1362 nella condanna pontificia seguita, ne l 1368, dal I' interdetto di Urbano V, comminante l a revoca di ogni auto- nomia. Prima del 1400 la città ha perso, ormai , i 2/3 del suo terTitorio per l'allontanamento delle piccole comunità del contado e per la creazione di alcuni feudi ecclesiastici.
La mesta conclusione della parabola è ravvi s abile in alcune norme dello statuto comunale del 1549, secondo le quali: " ... nella precarietà della propria s ituazione, il Comune ha bisogno di poter contare sul maggior numero possibile di fortilizi. Il Pode s tà può richied ere a chiunq ue la consegna di to1Ti, palazzi, castelli, casseri o fortilizi in qualunque parte della città o del contado, ed espropriare qualunque territorio necessario per la costruzione di un castello .. . " 02> Ma l'epoca delle toni e dei castelli, a quel punto , ri sulta ormai irreversibilmente tramontata, ed il loro apporto difen s ivo appare patetico.
Borghi agricoli e comuni rurali
Sebbene apparentemente riconducibile ad una s peciali zzaz ione del Comune baricentrico a vaste campagne co lt ivate, il borgo agricolo, premessa del Comune rurale , ostenta, invece, una s ua priorità istitutiva. D e rivava , infatti, direttamente dai miseri villaggi rurali di epoca romana, scampati fortuno s amente, e non certo per le loro in sig nificanti fortificaz ioni perimetrali, alle devastazioni de ll e invasioni barbariche. Anzi , paradossalmente, potrebbe persino attribuirsi a quell'assenza di dife sa, e più ancora all'evidentissima indigenza, l a sp ieg azione del miracolo. In pratica a un nucl eo inerme di rozzi contadini la cui unica va lenza, anche agli occhi d e i più spietati conquistatori , risiedeva nel consentirgli la quotidiana ed improb a fatica dei campi. Non a caso:
" ... era da questi agglomerati ... che ogni mattin a quanti li abitavano, nella l oro pur varia ma analoga condizione di sudditi o di sc hiavi, uscivano per andare nelle campagne, a l avorare la terra , fino dove possibile, con indos so i segni evidenti della loro miseria e, onnai d e lla loro inciviltà [E] questi borghi ci hanno la sciato, ovunque, pressocchè intatta, o almeno facilmente individuabile , la loro fondamentale s truttura urbani st ic a . Una struttura nella maggior pa rte dei casi, ge nuinamente romana, cioè geometrica (quadrata o rettangolare) e simmetrica, esatta, precisa e pulita, col rispetto persino delle misure cons uetud in arie ... '' (331 Significativamente nei borghi agricoli, almeno fino a ll 'X I secolo, non esistevano le piazze non praticandosi alcun mercato o alcuna riunione!
In breve, però, il crescente bisogno di derrate alimentari nell e città, incrementa il reddito ag ri co l o e rivaluta il ruolo di questi particolari villaggi, determinandone una vistosa evo lu z ion e. Appm·ve a llora : " ... un nuovo tipo di villaggio. il «vi lla ggio di diritto», che con l 'a nti ca organizzazione del latifondo non ha più che un e l emento in comune: come quella presuppone a un tempo la gra nd e proprietà e il piccolo s frutt amen to. Pe r il resto, tutto è nu ovo. Qui non so lo il contadino è un uomo libero, ma l e prestazioni che deve al signore ... sono pagabili in denaro. "c~ 4 l L'aderenza di tali villaggi con l'impianto romano, però, in molti casi non rappresenta un estremo retaggio c lassico, ma molto semp li cemente la conferma dell'azione sociale della Chiesa, che svolse , proprio in quell'arretratissimo contesto: " ... una parte notevole ne ll a gra nd e opera di cultura del XII secolo ... [graziel ai nu ovi o rdini di Citeaux e di Pr émontré ... " 05 '
11 vi !! aggio agricolo , senza abbandonare la sua originaria vocaz ione p roduttiva , spesso, grazie all'insperato benessere, s i evo l se ancora, trasformandosi in comune rurale. Ovviamente il nucl eo residenziale accentuò le s ue strutt ure difensive. Le fortificazioni, per la modestia dell'abitato, ne divennero la connotazione saliente, al punto c h e frequentemente l'intero centro assunse la designazione di 'castello' e le funzioni di avamposto militare nelle situazioni d'emergenza.
Panicate
Un esempio del genere è ben rappresentato dal piccolo borgo di Panicale, adagiato: " ... sul fianco orientale del monte Petravella ... splendida posizione, dalla quale domina , a nord , gran parte della valle del Trasimeno; a sud la piana del Nestore e, a nord -oves t, la Val di Chiana... Pur legato alle vicende di Perugia , non appare ad essa 'sogge tto'; Panicale, situata nel cuore del Chiusi , assicurava rifornimenti di pane e carni e , al tempo stesso, costituiva un valido avamposto del fiorente comune perugino , da cui riceveva sos tegno e garanzia di libertà, di fronte alle potenze più forti. " 061 Jn conseguenza della particolariss ima ubicazione il piccolo centro: " presenta un originale impianto « per avvolgimento», con la prese nza di un consistente nucleo abitato fuori delle mura. Il paese, s trutturato fra i seco li XIII e XIV, si articola intorno a tr e piazze disposte in asse, che si allungano verso la som mità del colle .. . " 13 7)
Nel 1037 i Panicales i si affrancano dalla soggezione feudale, costituendosi in libero Comune. Conside rando che a tale risultato perverranno Pi sa nel 1080 e Pavia nel 1084, reputate le preco1Titrici dell'autonomia: " ... è quasi s icuramente, que sto di Panicale , iI primo esempio in ltalia di libero comune.. .IJ periodo di autonomia, però , dura poco e già nel 1075 il casteJJo è di nuovo sotto il dominio di varie famiglie nobili, che per molti anni ancora si fregeranno del titolo di Conti di Panical e. Durante il loro dominio il castello diviene s empre più munito , saldo e s icuro , non al punto però di res istere ad un violentissimo assedio che nel 1131 portò alla parziale distruzione delle rnura ... " 118>
Quali fossero, ali' e poca , le caratteristiche e l 'e ntità di quelle arcaiche fortificazioni è difficile ipotiz zarlo: molto probabilmente s i trattava più che di una vera cerc hia, troppo evoluta ed onerosa per il pi cco lo abitato, della s tretta connessione delle s ue case esterne, s is t ema elementare ma non certo inefficace. Lo schema urbanis tico concentrico, del re sto, che riproduce la disposizio ne d e i carri dei nomadi intorno al bivacco per difenders i nel corso della notte , accredita tale s upposi z ione. Di certo tanto la di str uz ione delle mura quanto la loro pronta ricostruzione testimoniano la perfetta consapevolezza della validità tattica del caposaldo. Infatti, quando nel J202 Perugia riesce ad impossessarsene, lo include nella propria giurisdizione con funzioni di avampo s to fortificato, raccordandolo ad una: " rete a maglie strette che utilizzava il fuoco e gli specchi come mezzi di trasnù ss ione Torri di avvi s tamento e dife sa , dispo s te a chiusura della valle e in continuo e diretto rapporto con quelle abbarbicate sulle terrazze del Tras imeno, [chel consentivano l'arrivo di messaggi a Perugia nell'arco di pochi minuti ... Gli impianti più importanti formatisi ne l me dioevo so no quelli di Panicale e Piegaro ... " C\9)
Nel 1244, Panicale ritorna sotto l'egida di Chiu s i, s ubendo nel 127 1 gravi danni alle s ue difes e nel corso degli scontri fra Guelfi e Ghibellini. Nel 1276 Perugia lo recupera nuovamente, concedendogli però statuti con ampie autonomie e, soprattutto, più moderne fortificazioni. Al riguardo si rileva dalle fonti: " ... che Panicate nel 1276 era in potere di Perugia, ma minato in gran parte per le gravi lotte sostenute, per cui le furono restaurate le mura per ordine di quei magistrati. Panicale ebbe a soffrire pure attacchi feroci dai soldati dell'imperatore Enrico Vll di Lussemburgo nel 1312 , conducendosi egli a Roma per esservi incoronato, perchè Roma era in potere di Giovanni d'Angiò e degli Orsini guelfi. E Perugia. anche lei guelfa, previdente fece restaurare le mura di Panicale e ben munire quel castello con molti altri che erano stati danneggiati dalle vicine città ghibelline. A quest'uopo un Dominus
Galganus da Panicale, ch'aveva saputo con bella cura e perizia mettere al sicuro il nativo castello con nuove e ben intese fortificazioni, fu nominato architetto dal
Consiglio di Perugia ... " (40 >
Anche a Panicate, le mura che ancor oggi serrano il borgo non sono, almeno nella maggior parte ciel circuito, quelle del XTII secolo, bensì la loro riqualificazione trecentesca, e soprattutto quattrocentesca, condizionata dal peso crescente dell'artiglieria , sia in funzione offensiva che difensiva. In particolare, le: " ... mura dalla forma ellittica irregolare fasciano il nucleo abitato. A levante delle mura sulla cresta del colle si è sviluppato un insediamento lineare che conduce al rione S. Sebastiano. Gli isolati del nucleo più antico sono caratterizzati dalla doppia schiera, mentre quelli che si appoggiano sulle mura di cinta dalla schiera semplice ... " 1J 1) Di sicuro, il vero elemento superstite della vecchia murazione è senza dubbio il suo andamento, privo di un preciso tracciato geometrico ma ancora aderente al ciglio tattico della collina, per meglio sfTuttarne l'apporto interdittivo. li che rende la cinta: " ...quasi ovale: la parte più stretta volta a levante, ove trovasj Porta Perugina, era assicurata dalJa controporta in isbieco come si vedeva ancora prima dell ' anno 1898, difesa da una torre quadrata che le sta a fianco; verso il Trasimeno, alla distanza di circa m. 20 dall'indicata porta, si eleva un torrione di forma cilindrica che guarda la stretta viuzza, che ripida discende verso la vi Ila di Lemura e il Pian di Tresa: poscia a tramontana su d'una linea leggermente curva si prolungano le mura castellane, oggi in gran parte distrutte; ma anticamente forti e fornite di qualche torrazzo. bertesca o guardiola, perchè essendo quella la parte più discoscesa e ripida del colle, riusciva meno accessibi le ai nemici e più difficile agli assalti. D alla parte di ponente nel punto verso la Toscana, le mura avanzandosi nascondevano una seconda porta, oggi detta Fiorentina, la quale doveva avere dinanzi un ponte levatoio. poichè oggi vi è un te1rnpieno sorretto da un muro; e a fianco della suddetta porta si alza al so l ito una torre quadrata a difesa, e alla distanza poi di circa 40 metri verso sud sorge altra torre di forma rotonda. E di faccia, a mezzogiorno, sulla curva delle mura, seguono più spesso torri quadrate e spalti, aventi ai piedi un fosso oggi colmato, su cui si è formata una strada di circonvallazione che si disse appunto del Fosso. Questa parte del castello era la più munita di opere di difesa. perchè la più accessibile e la più facile agli attacchi del nemico. L'interno (nella piccola parte antica che rimane) aveva come si vede, vie molto anguste. case addossate su case, piccolissime e costruite in pietra con le porte e le finestre anguste a sesto per lo più rotondo e abbassato, o posteriormente rifatte a mattone a sesto riquadrato ... " 14~> In dettaglio: " ... il sistema compositivo degli edifici residenziali si basava sulla cellula elementare «gotica» di forma quadrangolare più o meno regolare e con superficie variabile. L a struttura abitati va era quella delle case-torri, caratterizzate da edifici di tipo monofamiliare ... "'H 11 •
Tanto la irregolare scansione delle torri quanto la loro diversa configurazione geometrica, al di là delle più o meno stravolgenti aJterazioni determinate dal1· armamento a fuoco, confermano la matrice arcaica della cerchia e la sua elementare concezione: segno inequivocabile del ridimensionarsi nei tempi successi- vi della originaria valenza tatti ca ad onta della evidenziata ubic azione geografica. La modestia d e lla fortificazione potrebb e, pertanto, so ttintendere lo scarso valore remun erat ivo. in te nnini di preda , di un abitato che, però. paradossalme nte , si prese nta fortemente reattivo in dife sa . In pratica , nonostante la ro zzezza della cerchia. la s ua espugnazione s i sarebbe dimostrata eccessivamente onerosa in relazione ai po ss ibili guadagni. n gravitare di tante case private direttamente s ulle mura ne è. in qualche maniera , la spiegazione e la causa. E che tale disposizione notevolmente antica , forse addirittura progettuale e non già ru-bitraria e graduale, permanga be n oltre il s uo tempo lo s i può recepire anche ne l capitolo dello s tatuto del 1484. ri se rvato alla manute nz ion e delle mura urbich e, integralmente perve nutoci , che così recit a al riguardo :
"Ancora s tat uimo. dicemo el o rd enamo. che s ' e l muro del giro ne del cas tello di Panica lc , in tucto o vero in parte per alcun tempo ca de sse, dc isso fatto, rcfarc se debia a le spese del comone e t se lo dicto muro cadesse in alcuno luoco nel quale alc un a casa de alcuna spc tial persona fusse cost ructa, o vero apoggiata, ch'c l patrone de tal casa sia te nuto esso muro in contene nte refa re et raconciare a pietre e ca lc ina, alto e g rosso co mo era prima et si corno fosse ne li altri lu oc bi purchè e l comuno del ditto castello dia aren a . et pietra et mattone. Et sia tenuto esso muro merlare et pecto reggia re et esse merli e t pectorale expedite lassare si che comodamente gire et retornare se possa, per la defensione del ditto castello. "' '" '
In base a lla s uddetta norma so n o po ss ibili du e precisaz ioni l'una giuridica e l'altra architettonica. Dalla prima si ricava che la costruzione de ll e case s ull e mura implicava, necessru·iamente, una es pli c ita concessione comunale. Solo così, infatti. si s piega , in caso di crollo, la compartecipazione agli oneri di ri costruzione fra comune, per i materia li , e privati p er la mano d'opera. Dalla secon d a che il coroname nto so mmitale delle mura doveva disporre di merlatura e parapetlo , co n retrostante camminamento di ronda largo a s ufficien za per consentire a due pe r so ne di incrociarsi liberamente. Poichè tale dimensione appare imposta dallo s tatuto stesso, e non dalla struttura della s ottos tante fabbrica in maniera casuale o s pontanea , è logico s upporla conseguita mediante un preciso e costante sbalzo, o un aggetto, s ul quale insisteva il parapetto merlato. Pertanto, considerando che 1' apparato a sporgere su archetti e beccatelli inizia ad imporsi intorno all'ultimo quarto del X l ll secolo per scomparire nella seconda metà d e l XV. la fortificazione di Panicale si conferma, proprio per qu es to dettaglio, di superata concezione , accreditando , impli c itamente , l'impiego in mas s a della s ua popolaz ione per la difesa piomb a nte , soluzione anche que s ta tipica dei contesti meno avanzati.
Altre interessanti prescrizioni riguardano il rispetto della integrità delle mura, per cui:
"Statuimo ancora, che niuno ardisca per verun modo rompere , né descarcare, né cavare, né per altro modo destruire el muro del circuito del ditto castello, né farce alcuna novità con finestre, né altrimenti, a la pena de . XX. so lde de denare per ciascuno et per ciascuna vo lta, et sa lde cinque de denare per ciascuna pietra; et niente meno, sia constrecto a refare esso muro a suo i spese.
Dicemo ancora, s tatuendo , che qualunche persona avente casa sopra el muro del ditto castello, nella quale casa fose alcuna fines tra, sia tenuto esse finestre remurare, o vero ferrare , acciochè per esse fenestre uscire né intrare possa " (45i
Anche da questa precisazione risulta ribadita, al di là della contestualità tra case e mura, la necessità di rimediare alle peggiori carenze della cerchia. Le finestre, che si vietano tassativamente, o qualora già esistenti se ne prescrive la chiusura, confermano, infatti, la permanenza di una pericolosa incuria osteggiata dalla nuova dirigenza.
La prosperità di Panicale ebbe modo di manifestarsi pure nel secolo successivo, tant'è che nel 1479, al profilarsi della guerra tra i Fiorentini ed il Papa, si provvide a potenziare ulteriormente le mura con nuovi caposaldi e si restaurò il fossato. Svanita la paura, lo sviluppo continuò come testimonia l'edificazione, nel 1480, di due sobborghi esterni. Solo la perdita del suo ricco mercato, nel 1548, provocò l'irreversibile inversione di tendenzal46l
Monteriggioni
Uno splendido esempio di borgo rurale fortificato, può essere considerato Monteriggioni, anch'esso abitualmente definito 'castello' . Posto nei pressi di Siena, si sviluppò all'interno di una cerchia di 560 mdi perimetro, scandita da 14 torri rettangolari. Venne edificato nel 1213 dai Senesi per difendersi dalle paventate aggressioni fiorentine. Così, infatti, recita una lapide posta vicino alla porta verso Siena:
"ANNO SECUNDA DOMINI MCCXIII INDICTIONE MENSE MARTII"'47l
Un antico manoscritto sintetizzava nei seguenti termini le caratteristiche salienti del borgo:
" Il castello, che a ragione facilmente si avrà retratto la denominazione, resta lontano dalla città di Siena miglia sei, situato sopra un monte alquanto elevato, a sinistra della strada, per la quale si va a Firenze, e poco distante dal dominio fiorentino. 11 castello è di forma ovale circondato di forti mura con torrioni e baluardi e due sono le Porte per le quali si porge l ' ingresso, che quella volta a Levante si nomina la Porta S. Giovanni e l'altra a Ponente la Porta franca
La ved uta del castello rimane scoverta da tutte le parti, non avendo se non in distanza altri monti, che gli sov rastino , e esso castello in un piano sopra poggio eminente circondato da fosso, e da bastione per ogni parte, e perciò, secondo l'antica fortificazione creduto inespugnabile. Ha una sola strada che conduce dall'una all'altra Porta , e alcuni vicoli, che tutti riescono in essa. Le case non sono né d'aparenza né comode, ma basse e anguste, e abitate da soli mazza ioli e pigionali, che in tutto la popolazione non passerà le 70 anime, e quelle tutte povera gente "' 48 1 •
Un raccolto borgo agricolo, quindi, ma con compiti salturiamente militari di avamposto, ottima esemplificazione di questa particolare tipologia. Infatti: " .il Castello murato di Monteriggioni avrà sul territorio circostante non solo la funzione difensiva per Siena ma una sua autonomia economica, religiosa, politica. Codeste istanze, materializzate dagli uomini che ne erano i legittimi rappresentanti, si affacciavano sulla piazza interna, a significare una «fusione ideologica» rec iprocamente concordata ed accettata. E quando gli eventi politici pongono la necessità di servirsi di Monteriggioni come strumento militare come nel 1259, allorchè i fiorentini mossero guerra a Siena le alte mura e il fossato, nonchè «un migliaio di soldati» (evidentemente reclutati per l'occasione anche fra i villani e i contadini) ne impediranno la resa "<49l
Le fonti ci tramandano il rendiconto delle spese sostenute, negli anni seguenti, per la sua manutenzione , in particolare delle porte e delle torri, segno che l'efficienza del caposaldo veniva reputata di primaria importanza. Ulteriori informazioni concernono l' abolizione del Vicariato nel 1342, ed ancora i restauri apportati al ponte ed alla torre del cassero. Seguirono altri assedi tra i quali quello del 1478, condotto sempre dai Fiorentini, e quello del 1526 nel corso del quale la Repubblica fiorentina , nonostante l'utilizzo delle ormai progredite armi da fuoco, non riuscì ad aver ragione della coriacea fortificazione.
Sensata, per conseguenza, la decisione di potenziarla sottoponendola a cospicue ricostruzioni , compiute tra il 1545 ed 1554. Insensata, invece , l'opzione di non aggiornarne la concezione , ferma in pratica alla sua originaria edificazione, ed ormai ampiamente superata. E, come prevedibile nonchè sottolineato dal memorialista, quelle fortificazioni erette secondo l'antica maniera e giustamente reputate, all ' epoca inespugnabili, alla metà del Cinquecento risultavano ormai giubilate. Pertanto era trascorso appena un anno dall ' ultimazione di quei lavori, quando il 17 aprile del 1555, dopo un violento investimento , nel più ampio contesto della resa della Repubblica se-nese agli ispano-medicei, Monteriggioni capitolò definitivamente.
Al margine della gloriosa epopea del borgo murato si impongo no alcune considerazioni suJla sua impostazione difensiva. Innan zitutto va osservato che la pianta circolare, pur racchiudendo la massima superficie con il minimo perimetro, non era nel XIII secolo, già da tempo, reputata conveniente . Il fiancheggiamento, infatti , per la convessità delle cortine risultava deficitario e l'appoggio reciproco fra torri contigue scarso, rendendo perciò indispensabile ridurne l'interasse. Non a caso lun go questa cerc hi a si avvicendano ogni 40 m, ridondanza eccessiva per cortine ad andamento lineare. Ma ciò che stupisce maggiormente nelle torri in quest ione, al di là del loro rilevante numero, e della pianta rettangolare, sostanzialmente s imil e a quella delle fortificazioni federiciane, è una peculiarità che in Toscana ed in Umbria trova frequenti riproposizioni, e che lascia sottintendere una malcelata diffidenza verso i difensori piuttosto che una raffinata astuzia contro gli attaccanti. essendo ricavata a prezzo di una sensibile perdita di solidità strutturale.
A differenza di tutte le ton-i quadrilatere finora incontrate, quelle di Monteriggioni hanno soltanto le tre facce laterali esterne, mancando della retrostante: la pian ta diviene perciò una sorta di U aperta verso la piazza. La disposizione, invisibile da fuori, consentiva però dall'interno di tenere, costantemente, sotto controllo, o sotto tiro, i difensori delle stesse, posizionati su i loro vari piani. Ufficialmente la strana configurazione traeva origine dalla necessità di evitare che l'eventuale conquista di una toITe potesse fornire al nemico un caposaldo autonomo di improba tacitazione. In realtà, però, sembrerebbe di gran lunga più convince nt e credere che si volesse impedire, nel ri ssos o contesto comunale, la potenziale defezione, o il tradimento , di una fazione cittadina, sopprimendo l'autonomia strutturale delle ton-i. in ogni altro contesto reputata basilare perchè finalizzata alla loro resistenza ad oltranza. Dato l'ottimo stato di conservazione delle to1Ti di Monteriggioni è agevole riscontrare quanto detto , nonchè verificare la compartimentazione verticale, ottenuta con tre volte a botte sovrapposte, delle quali il calpestio della intennedia coincide con la quota del cammino di ronda, e quello della superiore con la copertura, che lo domina di circa 6 m.
Un'analoga planimetria ad U delle torri è possibile scorgere anche nel borgo viario di Montagnana, presso Padova, nella pianura veneta. La sua grandiosa cerchia, perfettamente conservata, si snoda per circa 2 km, lungo un perimetro rettangolare con 4 porte fortificate e 24 torri pentagone, aperte posterio1mente, di s tanziate mediamente da un interas se di circa 40 m. Tl camnùnamento di ronda è protetto da una merlatura continua, a filo con l'estradosso della cortina, senza alcun aggetto. Un ampio fossato interdice l'acco sta mento lun go l'intero circuito. Come le torri di Monteriggioni sug- geriscono una certa aderenza ai canoni federiciani, anche queste di Montagnana, a forma di puntone, sono molto simili a quelle del castello di Augusta: forse non si tratta di una semplice coincidenza , poichè la cerchia venne restaurata nel corso del XIII secolo da Ezzelino da Romano, fedelissimo dell'imperatore.
Altre torri ad U si ritrovano pure a Cagliari, in corrispondenza con le tre porte dell'antica cittadella pisana, note come torri di S. Pancrazio, del Leone e deJJ ' Elefante. Di vertiginosa altezza, circa 35 m , vennero erette, stando alle rispettive lapidi, tra il 1305 ed il 1307 ad opera dell ' architetto Giovanni
Capula(~ 0 , Simili , pure, le venti torri disposte lungo la cerchia di Iglesias, fortificazione avviata dai Pisani agli inizi del 1300, neJ corso della loro breve dominazione ed ancora non terminata venti anni dopo•51 • , mancandone quasi una metà sostituita , provvisoriamente, da una palizzata con antistante fossato. La marginalità dell'opera è del resto ulteriormente te s ti- moniata dal suo coronamento merlato di superata concezione , s empre a filo e senza il minimo accenno di aggetto.
L'origine pisana degli ultimi e s empi, accredita l'ipotesi che l'espediente delle torri aperte debba relazionarsi al clima di endemica conflittualità intestina dei comuni centro-settentrionali. Ma altre toni ne furono la mas s ima manifestazione: quelle gentilizie.
Le fortifica z ioni private: le torri gentili zie
Una nutritissima tipologia fortificat01ia, quasi peculiare dei Comuni , dal momento che vanta poche riproposizioni al di fuori di tale ambito, è quella delle case-to1Ti urbane e, sopranutto, deJJe toJTi gentilizie. in merito va osservato che e sse , pur ricordando sotto l'aspetto strutturale le più antiche toni autonome longobarde e normanne, rispondevano ad una diversissima logica d'impianto e di funzione. Non svettavano, infatti, sopra un ' impervia altura, isolate e lontane da qualsiasi centro abitato, ma, al contrario, si ergevano, quasi a ridosso l'una dell'altra, nel cuore delle città. Ed appunto in relazione al loro impianto urbano non ebbero l'ingresso sopraelevato, immancabile nelle precedenti. Adottarono sempre la pianta quadrata, in quanto staticamente più salda ed architettonicamente più compatibile con una fruizione residenziale , ferma restando la piena subordinazione ai c1iteri difensivi ed offensivi, comunque p1ioritari.
In precedenza è stato tratteggiato il contesto di sfrenata astiosità che, da un certo momento in poi, afflisse tutti i comuni, in particolare quelli più prosperi e popo-
Iosi. I pretesti scatenanti furono disparatissimi, andando daJJe gelosie mercantili a quelle politiche, daJJe ambizioni egemoniche a quelle signorili: ogni motivo fu reputato valido per aizzare e suppo1tare faide e rancori irriducibili. La semplice residenza nei normali fabbricati divenne perciò eccessivamente rischiosa e in breve volgere si passò dall'adozione di ingenui accorgimenti cautelativi, quali serramenti rinforzati ed aperture al piano terra ridottissime, alla costruzione di vere case-fortezze15 1 • La ristrettezza degli spazi urbani , però, non consentiva rilevanti s uperfici e, del resto, nessuno disponeva del numero di familiari, o di dipendenti, sufficienti per difenderle. Nè, peraltro, la difesa di siffatte strutture avrebbe potuto beneficiare dei necessari settori di tiro sgo mbri, ritrovando s i costipate dalla pletora dei caseggiati dei centri medievali. Impos si bile , perciò, per queste e per innumerevoli altre ragioni, adottare le soluzioni specifiche della più avanzata fortificazione militare. Soltanto alcune delle sue caratteristiche tornavano utilizzabili, logicamente le meno costose e le meno complesse, in particolare quelle passive. Fra queste l'altezza, che consentiva di dominare dall'alto il dedalo di vicoli, di incrementare la forza viva del tiro piombante e di garantire l'inviolabilità dei proprietari, fornendo, inoltre, sebbene in verticale un certo numero di ambienti ricettivi di discreta superficie complessiva. La struttura ideale, pertanto , avrebbe dovuto svilupparsi su di una modes tissima superficie con una rilevante altezza: sarebbe stata perciò a forma di torre.
Constatatasene ben presto la validità, chiunque ne ebbe la possibilità si dotò di siffatte fortificazioni p1ivate , unico scampo dalle vendette e dalle insidie dei concittadini. Così quel cUma è ricordato in una memoria del 1297 relativa a Pistoia:
" Le re vo lu zionì , le insolenze. le rubberìe , li assassinamenti. che giornalmente accadevano. le co ntrarietà conti nue, c he tra i Cittadini passavano, cagionarono diffidenza tale tra le persone, che s i viveva da tutti con gran sospe tto , e timore: quindi ciascuno per sic urezza stava nella propria casa fottificata , e chi aveva la Torre. la provvede va di ciò. che poteva aver di bi sog no , arrivando in questi te mpi le Torri in Pìstoja al num ero dì sessa nta alcune delle qua li si vedono a ncora tullora elevate sopra l e fabbriche, alcune sono coperte dai tetti, altre nelle case racchiuse, e a ltre da l tempo e dalle guerre rovinate, e dcstrulle: ed è qui da notarsi, c he non potevan si fa bb ricare le To rri che dai nobili, e queste aveva no l e loro misure. dirnodochè per fuggire l'in vid ia non potevano passa re un a limitata a l tezza . ,,,, ,,
Per quanto è possibile arguire, dalle fonti e d ai ruderi, a Savona ve ne dovettero essere almeno una qu arantina, a Bolog na forse 260. Di que st' ultim e sopravvivono la torre deg li Asinelli ( 1109 - 1119) , che attinge ancora i 97 mdi al tezza, con una base di 12 metri per lato ed uno strapi ombo di 1.2 , e la pressocchè coeva della Garisenda, ci mata nel X IV seco lo, proprio per l 'eccessi va pendenza raggiunta pari a m. 2.37 s ui 47 d'altezza residua. A R oma, stando al Gregorovius, se ne con ta va no addirittura 900. molte con ril evanti dimensioni di base. Quanto a Pi sa s i trova menzione di almeno 600 torri. È indubbio che nella maggior parte di esse no n ci si rifu g ia sse so lt anto nei momenti di massima te n s ion e ma vi si abitasse stabilmente per periodi progressivamente più lunghi, come in veri castelli urbani.
Quale fosse l'aspetto di una grande città med ievale, pullulante di altissime torri gentili zie, è possibile immaginarlo da una cronaca redatt a nel 15 87 da Gi ovanni Villani relativa a Fir e nze, quando la città ne co nse rvava a ncora un gran numero :
" ma pure la Città dentro era unita di Cittadini e era mo lto forte di mura con grosse torri , e fos s i pieni d ' acqua , e dentro alla picciola Cittade hebbe in poco tempo appresso di l50 torri di Cittadini d i altezza di braccia 120 l'una (circa 70 m ), s anza quelle delle mura della Città: e per l'altezza deUe molte torri ch' erano allora in Firenze si dice , ch ' e ll a s i dimostrava da lungi , e da presso di fuori la più bella, e rigogl iosa Cittade del suo picciol si to. che si trovasse ... "•l•,.
La s traordinaria altezza delle to ni gentilizie eccede abbondantemente la mera es ige nza difensiva e, pertanto, la s i deve necessariamente attribuire a finalità offensive, concrete e ps icologich e. È assurdo, in fatti, s uppon-e al ri g uardo una se nsibile differen za fra la protezione offerta da una torre di 50 mdi alte zza ed una di 70 , come pure un più mortifero esito per un ma sso fatto cadere dalla più alta. Sensato, invec e, pres umere c he p sicologicamente la seconda facesse più impre ss ione della prima, riu sce ndo visibi le la s ua sommità da qualsiasi vicolo circostante, con la logica conseguenza concreta che i dardi da essa scag liati avrebbero facilmente potuto raggiungerlo.
In altre parole l'alte zza veni va ricercata non per incrementare la violenza dei tiri piombanti ma per amp iiare il raggio di quelli ficcanti fin dentro ai v icoli più insignificanti: la so mmità delle torri, quindi, po- trebbe equipararsi ad una sorta di elicottero in volo staziona.rio!
Ed, in breve, proprio l'altezza delle torri gentilizie, delle quali è funzione esponenziale l'onere di costruzione, rappresentò la misura della ricchezza e del potere della casata detentrice. Probabilmente l'esasperarsi di tale ostentazione, il minaccioso incrementarsi del raggio offensivo dei tiri ed i gravissimi incidenti che sicuramente saranno avvenuti per difetti di costruzione o di fondazione (poche tra le torri sopravvissute sono prive di spiornbamenti imputabili a parziali cedimenti basamentaJi) indussero gli amministratori pubblici a limitarne l'altezza massima consentita, in una sorta di democratizzazione verticale.
La maggioranza dei comuni, pertanto , dopo i primi decenni di anarchia e d 'arbitrio, non tollerò più siffatte smodate manifestazioni di orgoglio e prepotenza, obbligando tutti a non oltrepassare in altezza la toITe di cui era stato munito il palazzo pubblico; per quelle eccedenti già esistenti si decretò la cimazione. Per restare a Firenze:
" cominciarono a fare il palagio che è dietro alla badia in su lla piazza di Santo Apollinare. cioè quello che è di pietre conce colla torre: ché prima non avea palagio di comune in Firenze, ma stava la signor ia quando in una parte della città e quando in un'altra. E quando il popolo ebbe presa la signoria e s tato , s i ordinarono per più fortezza del popolo, che tutte le torri di Firenze (che ce ne avea grande quantità alte braccia centoventi) s i tagliassero e tornassero alla mi s ura di cinquanta braccia e non più. E così fu fatto: e delle pietre s i murò poi la c ittà di Oltrarn o. E le predette torri erano quasi tutte, o la maggio r parte, di nobili di Firenze: e poche ve n'avea che non fossero di nobili, e ben ve n'era di quelle che s'e ran fatte dalle vicinanze
La vicenda della regolamentazione dell'altezza delle torri gentilizie dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, che la djfe sa privata ha sempre goduto da parte delle legittime autorità di un esplicito consenso o, almeno, di un tacito assen so, meritandosi pienamente la qualifica di 'delegata'. La globalità delle fortificazioni private, infatti, in presenza di un comune nemico cooperava pur sempre alla salvezza collettiva, a patto che ne fosse controllata discretamente l'adozione. In ultima analisi, era un modo scaltro e a costo zero per dispoITe di ulteriori fortificazioni. Anche per le torri gentilizie tale prassi sembra esser stata rispettata, non soltanto per la definizione dell'altezza ma anche per la stessa edificazione che, ben presto, venne subordinata alla pedante concessione rilasciata dai cosiddetti Ufiziali di Torre. ln dettaglio, la: " ... casa toITe ha forma assai semplice. Due pilastri (più raramente tre o quattro) in solida struttura lapidea erano uniti nella parre tenninale da archi ogivali o a tutto sesto; i piani intermedi erano scanditi da architravi in pietra o in legno, ovvero da archi scemi in mattoni: su questi riposavano i solai lignei o 'palchi' I tetti, risolti «a padiglione», avevano orditura lignea che terminava nell'aggetto di gronda: questa, che era la parte visibile dalla strada, risolveva non solo il problema di riparare la facciata e i passanti dalla pioggia ma aveva quasi sempre valore dimostrativo se non ostentativo della famiglia titolare ... Nelle case a pilastri, che costituiscono ... la tipologia più diffusa, si apri vano talvolta finestre assai eleganti, bifore, arcate a pieno centro con una colonnina nel mezzo sostenente due archetti rotondi che riempiono il vuoto dell'arco grande senza trilobi. Peraltro, anche trifore e quadlifore non erano assenti ... AI piano terreno era la bottega... ai piani supe1iori .le sale mentre la cucina era preferibilmente collocata in alto per dare facile sfogo al fumo e evitare così il «fumicaiolo» che avrebbe pericolosamente interessato per l'intera altezza la costruzione. I <<comodi» igienici erano l' acquaio spesso ricavato in nicchia. in muratura con una canalizzazione che talvolta scaricava ove vi fossero nelle chiaviche cittadine, altre volte direttamente sulla pubblica via... "'561 •
Dal punto di vista strutturale quella singolare fortificazione privata urbana, per inciso una delle poche di mat1ice non militare, era, come accennato, estremamente semplice. Sia le toITi propriamente dette che le case-torTi, spesso pratican1ente simili, insistevano su di una superficie ridottissima, mediamente un quadrato di circa 7-10 m di lato. Ne consegui vano vani interni, al netto dei muri, mai superiori ai 25-30 mq, destinati alle tipiche funzioni residenziali di ogni abitazione coeva. Al piano terra stava la bottega, o il fondaco, ai livelli superiori, accessibili tramite scale di legno, non di rado volanti per ragioni di sicurezza, ambienti riservati alla vita quotidiana. Più in alto ancora le camere da letto: al riguardo non si coglie alcuna differenza fra le ton-i erette a Firenze, a Pistoia, a Prato, a Pavia, a Volten-a, a Bologna, a Roma o a San Gimignano.
Circa l'utilizzo: " ... la casa torre veniva abitata , generalmente , al piano nobile dal signore e nei piani superiori dalla famiglia; domestici e sudditi si distribuì vano negli abituri superiori o circostanti; questa la «destinazione d'uso» più consueta " 15 1 > Ed è emblematico che un 'unica struttura, tanto ristretta, finisse per costituire una sorta di ·carota' della stratificazione sociale dell'epoca, in cui l ' importanza del ruolo ricoperto era inversamente proporzionale all'altezza del!' alloggio occupato!
Pur non mancando un discreto campionario di singole case torri e ton-i-gentilizie, quasi nulla rimane, invece, della loro fitta compresenza in ambito comunale. Unica eccezione è quella di San Gimignano, non a caso definita la città delle torri. Non tutte, ovviamente, sono sopravvissute, ma le tante superstiti forni.scono un ' idea di quella lontana difesa intraurbana.
San Gimign.ano
Come molti centri medievali anche S. Gimignano sorse a controllo di un nodo stradale, posto per l'esattezza ad un paio di chilometri dall'incrocio della via Francigena con la via Pisana. Il primo: " ... documento che ci attesta l'esistenza del castello di San Gimignano è del 929: con esso il re d' Italia Ugo di Provenza dona il monte, sul quale sorge il castello, al vescovo cli Volterra. Il castello è situato ad Est della via Francigena sul poggio della Torre o Canova, ad ovest è Montestaffoli (poi sede della rocca); tra questi due capisaldi si costituisce il borgo di San Gimignano. Nel
949 San Gimignano è nominato come borgo: Prope burgo Sancti Geminiani in Marcignano e nel 998 si ha notizia che il borgo è cinto di mura.
La rapida espansione di San Gimignano va messa in relazione alla posizione favorevole in cui è ubicato il castello. 11 borgo si è fonnato lungo la via Francigena e le mura racchiudono un tratto di questa strada, che entra dall'arco della Cancelleria per uscire da quello dei Becci; nel borgo la via Pisana confluisce nella via Francigena. La via Pisana è la principale congiungente di Pi sa a Siena L'incrocio di queste due importantissime vie commerciali, fa di San Gimignano un importante centro di smistamento e di vendita ... Tra il 1000 ed il 1100 il raggio d'influenza della giurisdizione territoriale di San Gimignano si ingrandisce notevolmente. Il contado è ancora sotto la signoria del vescovo di Volterra, che, per mezzo di acquisti e donazioni, è riuscito a superare la feudalità laica... " <58>
Le risorse che consentono la notevole espansione di San Gimignano dipendono per buona parte proprio dall'incrocio stradale e dai relativi dazi di transito. Per il resto: " ... due sono i prodotti commerciali che San Gimignano può offrire: lo zafferano, che nel '200 veniva esportato non solo nelle fiere della Champagne, a Napoli e a Me ssi na , ma anche nell'Africa settentrionale e addirittura in Egitto, sia pure forse su navi pisane, e inoltre il vino. Non era invece molto importante lo sv iluppo artigianale ... " <59 i. La ricchezza , quindi, non è frutto di attività mercantili o artigianali ma piuttosto di una rendita di posizione e, pertanto, finisce come presumibile nelle mani di poche famiglie. Queste ultime, costituiscono: " .. .il ceto superiore della città la vecchia nobiltà dei vicedomini e fide/es del vescovo, e più tardi dei consoli; gli ultimi due gruppi devono le loro sostanze non solo a rendite fond iarie, ma anche al commercio e al prestito. A far costruire le torri furono famig li e di mercanti e di prestatori, che avevano adottato questo stile di vita tipico della nobiltà cittadina. La città aveva una struttura sociale armonica: nel '200 i grandi patrimoni ammontavano al 28,9%, i medi al 48,3% e i piccoli al 22,8%. La nobiltà di origine feudale ... partecipava alla vita politica e amministrativa del comune, ma non in posizione dominante Con le guerre civili, il '300 porta in città il regresso, la perdita dell'autonomia e l'annessione a Firenze .. .''(601 • Lentamente da allora la città iniziò a perdere molte delle sue numerose torri gentilizie, ed al presente ne restano: " 15 esemplari delle settanta che la coronarono un giorno nel lento ondulare della campagna senese. E la 'Rognosa' che è la torre del Podestà, dall'alto dei suoi 52 metri, le sovrasta tutte come per precisa ordinanza, la famiglia dei Salvucci, lì di fronte, dovette riconoscere umilmente. Sicchè la leggenda narra che raddoppiando il puntiglio e il numero delle torri, la stessa famiglia costruiva le due attigue, che ancor oggi si vedono, eludendo furbescamente la imposizione e vi n cendo ancora una volta la gara con la somma delle altezze. La quale versione popolare e bonaria offre una spiegazione non troppo ortodossa delle tante torri gemellate o solidali nella difesa allora non frequenti, ma nemmeno sconosciute e meglio dominanti gli accessi interposti " c6 1>.
Quest'ultimo dettaglio relativo all'edificazione di torri binate, rappresenta l'estrema sofisticazione della particolare tipologia fortificatoria. Con il progressivo evolversi delle armi da fuoco le torri gentilizie presero a sparire rapidamente, essendosene pienamente recepita l'estrema fragilità, connessa proprio con il loro più ostentato motivo d'orgoglio: l'altezza.
Il Regno Angioino
Tra il X III ed il XIV secolo, dopo quasi trecent' anni di ininterrotto sviluppo demografico, le stime proposte dal Beloch, e parzialmente integrate con le risultanze di altri studiosi, fanno ascendere l'ammontare della popolazione dell'Italia ad un totale di quasi 12 milioni di persone, così distribuite:
"Isola di Sicilia (1227): almeno centom il a abitanti dei quali quarantamila a Palermo, ventisettemila a Messina, e diecimila a Catania.
R eg no di Napoli: due milioni di abitanti secondo B eloc h, tre milioni secondo Egidi; cinquantamila a
Napoli, secondo Fuiano.
Stati della Chiesa: due milioni di abitanti al massimo , dei quali trentacinquemila a Roma intorno al 1220, secondo Cancellieri, quarantamila a Bologna verso il 1370, undicimila ad Orvieto nel 1292.
Toscana: all'incirca due milioni di abitanti verso l'anno 1300 secondo il Fiumi, che concorda con le indicazioni date dal Villani; in questo periodo Firenze dovrebbe avere novantacinquemila abitanti, San Gimignano tredicimila (secondo Fiumi), Lucca, Siena e Pisa intorno ai ventottomila (secondo Beloch).
Pianura Padana: circa quattro milioni di abitanti , dei quali almeno centomila a Milano (1288 ), novantamila a Venezia (1338), trentamila a Padova (1320), trentamila a Verona (1320), trentamila a Pavia (1250)". (621
L'entità complessiva non differiva da quella coeva della Francia, valutata da analoghe stime intorno a 15 milioni: ma l'estrema frammentazione ne rendeva assolutamente insignificante il peso politico-militare. Unica eccezione, il regno delle Due Sicilie che pertanto, dopo la morte di Federico II, finì per costituire la più ambita preda di aspiranti sovrani, ed un irresistibile richiamo per la Francia e per la Germania in virtù delle sue potenzialità economiche e strategiche.
Il 29 agosto del 1261 fu eletto papa Jacques Pantaléon, di nascita francese, già patriarca di Gerusalemme, che prese il nome di Urbano IV Per la storia rappresentò il primo pontefice non ' italiano ' , anomalia che ebbe inunediate conseguenze, originandosi, da quel momento, una politica vaticana sfacciatamente filofrancese. La scelta di quattordici nuovi cardinali, molti dei quali non a caso suoi connazionali, gli garantì il consenso nell'ambito del Sacro Collegio, incrementando così la sua libertà d'azione tesa a restaurare la compromessa autorità temporale.
Urbano IV aveva perfettamente compreso che anche Manfredi di Svevia, non diversamente dal padre, mirava ad unificare l'Italia sotto il suo scettro , evenienza nettamente antitetica aJla sua visione geopolitica. Indispensabile perciò annientarne qualsiasi ulteriore iniziativa, sostituendolo, al più presto, con un altro monarca di acce11ata lealtà, ovvero con un francese.
Confermata la scomunica a Manfredi nel marzo del 1263, avviò trattative segrete per fargli subentrare Carlo d ' Angiò, fratello di Luigi IX, ponendo la massima attenzione ad evitare che il designato potesse trasformarsi in un futuro avversario. Dal canto suo Carlo non sembrava affatto disponibile a fungere, nella vicenda, da semplice burattino nè, meno che mai, in caso di successo, da re a sovranità limitata. Ad ogni buon conto nel 1264 accettò il titolo di senatore di Roma: ma proprio in quello stesso anno il papa morì. Gli successe, quasi a ribadire l'immutata linea politica, un altro francese, Guido FouJques , con il nome di Clemente IV Senza frapporre indugi il neoeletto pontefice concluse le trattative del predecessore riaffennandone i punti irrinunciabili per la Santa Sede. Innanzitutto il Regno delle Due Sicilie avrebbe dovuto staccarsi irreversibilmente dal!' Impero ed il suo sovrano non avrebbe mai dovuto possedere altre cariche negli Stati pontifici, in Lombardia o in Toscana; lo stesso, inoltre, con l'assunzione della corona, avrebbe corrisposto al pontefice 50.000 marchi, impegnandosi, sempre in suo favore, ad un tributo annuo di 8.000 once d'oro, nonchè alla fornitura di 300 cavalieri per un trimestre l'anno , esentando, infine, il clero regnicolo da ogni imposizione fiscale. Le clausole, vessatorie ed umilianti, vennero però sottoscritte: l'ambizione sfrenata di Carlo d'Angiò ebbe così modo di manifestarsi pienamente, dopo un passato trascorso a scalare i gradini del potere, dal governo della Provenza, peraltro ottenuto in virtù del matrimonio con Beatrice, figlia del conte Berengario IV, alla contea del Piemonte, carpita tra il 1258 ed il 1264.
Soltanto nell'anno seguente, Manfredi , finalmente, percepì il pe1icolo che lo sovrastava. Tentò allora disperatamente di difendere il Regno: ma ormai era troppo tardi. Nel febbraio del 1266 si accampò nei pressi di Benevento preparandosi allo scontro risolutivo con il Francese, che ebbe luogo il 26 febbraio. Le truppe dello Svevo, un aggregato di Germanici, Lombardi e Saraceni, non ressero l' u1to degli Angioinj ed il giovane sovrano, compresa la sua imminente sconfitta, si procurò la morte gettandosi nella mischia. Poche ore dopo Carlo ottenne l ' agognato trono.
Il s uo governo, che pure aveva trovato alquanti sostenitori nei baroni normanni, mai sottomessi dalla dinastia sveva, si dimostrò immediatamente ancora più oppressivo ed intollerante del precedente. Le mire smodate dell ' Angioino sembravano fatte apposta per esasperare il già odioso fiscalismo, moltiplicando le spese per avventure militari di improba riuscita. La situazione precipitò ulteriormente dopo la morte del pontefice , nel 1268 , allorquando Carlo d ' Angiò si ritenne libero di agire per estendere i suoi interes s i anche al resto d ' Italia, continuando paradossalmente la politica svev a. Pertanto: " dopo una guerra di un anno in Toscana, costrinse Pi sa alla pace nel 1270 e nello stesso anno Siena capitolò, divenne guelfa ed espulse i ghibellini. Ecce z ion fatta per Pisa , Carlo agì d'accordo con i nobili e i banchieri guelfi, cui era profondamente legato. Il suo governo era mite e, per così dire, «costituzionale»; diede al paese sconvolto pace e prosperità. Nell'Italia se ttentrionale , estese il s uo dominio so ttomettendo nel 1270 Torino ed Al essan dria; nello stesso anno divenne signore di Brescia, dopo aver cercato di ottenere la stessa posizione anche nelle altre città guelfe; la sua richiesta fu respinta nel 1269, anche se egli ottenne una specie di giuramento di fedeltà ... "<M .
La crociata lanciata da Luigi IX contro Tunisi , nell'e s tate del 1270, lo vide se non tra i convinti fautori almeno tra i protagonisti <64 > . La morte del fratello, avvenuta intorno alla metà di agosto dello stesso anno, lo pose a capo dell'impresa , che subito sfruttò abilmente a proprio vantaggio. In breve, costretto l'emiro a 1ispettare gli antichi accordi sottoscritti con gli Svevi pagando gli arretrati e le spese della guerra , si assicurò, oltre alla soggezione di Tunisi, una discreta risorsa economica, indispensabile per l 'a ttuazione dei suoi piani. Disgraziatamente per lui , però, al ritorno dal Nordafrica , il 23 novembre del 1270, mentre la flotta regnicola era alla fonda a Trapani , un violentissimo fortunale la distrusse completamente, ponendo fine ad ogni progetto<65 > Nonostante ciò, appena due anni dopo le truppe angioine occupavano Durazzo (M>, dopo aver infranto la resistenza del figlio di Michele Angelo II, fratello di Elena d'Epiro, la disgraziata vedova di Manfredi.
Ma, a quel punto, la sorte dell'Angioino mutò radicalmente: anche il semplice controllo del territorio circostante alla città albanese si dimostrò subito esulante dalle sue concrete potenzialità: 1' insuccesso innescò la sua parabola discendente. Per procurarsi una nuova flotta, Carlo si alleò, nel 1273, con i fuoriusciti genovesi guelfi, scacciati dalla città dai ghibellini dopo la rivolta del 1270. Quindi: " ... costrinse la città alla guerra, ma venne sconfitto sia per terra che per mare. Genova poteva ora far entrare gli spagnoli in Lombardia ed approfittò dell'occasione: il 26 ottobre del 1274 si alleò con i ghibellini della Lombardia occidentale, Guglielmo VII di Monferrato ed Asti, che stavano cedendo agli attacchi di Carlo e introdusse in Lombardia 1000 soldati spagnoli. Tutte le città ghibelline, sempre più numerose , immediatamente riconobbero Alfonso X nel suo titolo. Infine, la vittoria riportata il 1O novembre 127 5 dal marchese Tommaso di Saluzzo sul siniscalco di Carlo a Roccavione fece sì che il re siciliano perdesse il Piemonte. Ben poco sostenuto dai Della Torre, suoi alleati, gli veniva meno la supremazia nell'Italia settentrionale ... " '671 •
La perdita del Piemonte e della Lombardia fu rapidamente seguita dal repentino ridimensionamento del suo potere in Toscana. Dopo anni di sterili trame per recuperare la perduta rilevanza, uno spiraglio di speranze gli derivò dall'elezione a papa, il 22 febbraio del 1281, di un altro francese, Simone de Brion, che prese il nome di Martino IV. Tanto bastò, infatti, per convincerlo ad intraprendere un ancora più sfrenato progetto aggressivo: la conquista della stessa Costantinopoli.
I Vespri Siciliani
Tutte quelle rovinose guerre, però, avevano stremato le finanze del Regno, rendendo ancora più intollerabile lo già spietato fiscalismo. I sudditi gli erano ormai tutti apertamente ostili, aizzati dai suoi brutali esattori e dalle sue insolenti soldataglie: non occoITeva una notevole perspicacia per prevedere, da un momento all'altro, una terribile rivolta. Ed il 30 marzo del 1282 la paventata esplosione avvenne, violentissima, in Sicilia. Il contesto geografico non fu affatto casuale: l'isola, dal giorno della conquista francese, annientata ogni sua autonomia, svilito ogni suo prestigio, era stata ridotta al rango di disgraziata colonia agricola da sfruttare selvaggiamente senza alcun riguardo per la sua cultura, e quel che è peggio, per le sue effettive potenzialità economiche.
Probabilmente: " ... Carlo e i suoi banchieri toscani, ingannati dalle loro conoscenze di storia antica e dalla fama delle fertili pianure intorno a Napoli e a Palem10, condivisero l'illusione che il Sud fosse fonte di ricchezze inesauribili; ma in realtà queste ricchezze leggendarie erano dipese dal buon governo, dall'armonia sociale e dalle cure costanti di una numerosa popolazione lavoratrice interessata alla produttività agricola. Tali condizioni non esistevano più. La Sicilia non poteva proprio portare il peso delle ambizioni esagerate di Carlo , e il risultato fu la più famosa rivolta della storia dell'isola. "<<,K>
A Palermo, il lunedì di Pasqua del 1282 , alcuni soldati francesi, con l'abituale tracotanza, vollero perquisire la gente che si era radunata fuori le mura della città, per festeggiare la ricorrenza. Secondo la tradizione uno di loro oltraggiò una donna , finendo immediatamente massacrato dai presenti. Che l'insulto fosse un semplice pretesto per lo scatenarsi della rivolta lo dimostra il fatto che, pur ammettendone la veridicità, in quanto tale non costituiva nè un aberrante eccesso, nè una significativa novità. In un appello dei Siciliani indirizzato al papa nei giorni seguenti si può leggere:
"Costoro [i france s i] dici ci dovean reggere , co s toro amministrar la giustizia! ... Non è ribellione, o padri cos critti , quella che voi mirate; non ingrata fuga dal grembo di una madre: ma re s is tenza legittima, secondo ragion canonica e civile; ma casto amore, zelo della pudicizia, santa difesa di libertà Ecco le donne sforzate al cospetto <le' mariti; viziate le donzelle; accumulate le ingiurie .'"' 69 >
Pertanto, la gravità della provocazione stava, se mai, nel contesto in cui si estrinsecò, saturo di violenza repressa. Nelle ore seguenti, infatti, l'intera isola insorse contro i suoi dominatori dando prova di una efferatezza senza precedenti. Qualsiasi uomo di accento vagamente francese, o supposto tale: " ... venne trucidato e si dice che molte migliaia di francesi fossero uccisi in poche ore. 1 monasteri furono invasi e i monaci uccisi, vecchi e bambini massacrati, e anche donne siciliane sospettate di essere state ingravidate da soldati francesi furono sbudellate. La sepoltura cristiana fu spesso rifiutata. Non era una rivolta feudale ma una rivoluzione popolare, e proprio per questa ragione il suo successo immediato fu grandissimo; ma per la stessa ragione, fu particolannente barbara. Solamente i successivi sviluppi politici resero possibile esaltare un orribile massacro come uno degli avvenimenti più gloriosi della storia ... " <70i
Esaurita la mattanza dei francesi, recuperato un minimo di raziocinio, i rivoltosi realizzarono I' imminente scatenarsi della rappresaglia reale , e cercarono freneticamente un valido protettore al quale consegnare l'isola. Lo individuarono in Pietro d'Aragona, marito di Costanza, figlia di Manfredi ed unica erede degli Hohestaufen, la cui liberazione era stata estorta a Carlo d'Angiò pochi anni prima. E lo spagnolo, dopo una iniziale apparente ritrosia, accettò la richiesta. Sbarcato a Trapani il 30 agosto, venne proclamato re il 4 settembre a Palermo. Inutilmente , nei quattro mesi precedenti, tanto il papa che il sovrano, con minacce e con lusinghe, avevano tentato di recuperare la Sicilia.
Dal canto suo il nuovo sovrano, che già da tempo ambiva al possesso dell'isola in funzione della progressiva conquista dell'intero regno, non rimase a lungo inoperoso. La sua flotta, al comando dell'ammiraglio Ruggiero di Lauria, intraprese ben presto una serie di scorrerie contro le marine napoletane. Per l'Angioino l'esigenza di presidiare le coste, divenne perciò prioritaria. Del resto anche la difesa interna del Regno, tramontata la concezione statuale federiciana, e la relativa logica militare, imponeva un radicale riassetto delle tante fortificazioni, in molti luoghi ormai superflue ed in altri, invece , indispensabili. Il che, come accennato , si tradu s se nella anacronistica riaffermazione del più rozzo feudalesimo , supportato da un ulteriore infittirsi dell'incastellamento territoriale.
Le fortificazioni angioine
Senza voler entrare nei dettagli delle vicende dell ' epoca, peraltro estremamente complesse ed articolate, osserveremo soltanto che il Mezzogiorno , già relativamente ai margini della politica sveva, si ritrovò all'improvviso al centro della dinamica internazionale e, di conseguenza, della conflittualità. Il che per le caratteristiche geografiche del Regno , trasformò gli abitati 1ivieraschi della sua sterminata frontiera marittima in avamposti, a cominciare dalla stessa capitale. Logico , pertanto, che la visione difensiva angioina della fine del XIII secolo: " ... mirava a fortificare in primo luogo Napoli ed i centri di una certa importanza , lasciando in uno stato di completo abbandono tutte le popolazioni dei paes i sparsi nell ' entroterra , determinando l ' emigrazione sia verso la capitale che nei centri più importanti " <11 > Considerando, inoltre, che nello stesso periodo l'architettura militare intraprendeva un ennesimo salto evolutivo, imposto dal potenziamento e dalla razionalizzazione delle dinamiche ossidionali , si comprende agevolmente lo stimolo pressante ai radicali aggiornamenti ed alle ricostruzioni di cui furono fatti oggetto tanti caste li i.
Un significativo riscontro del mutato stato di cose si ravvisa persino nella notorietà che, a partire da quegli anni, iniziarono ad assumere gli architetti e gli ingegneri militari, fino ad allora figure professionali assolutamente misconosciute e trascurate. Nella produzione angioina si individuano, perciò, reputati protomagistri per lo più francesi e provenzali, intenti ad applicare lungo le coste mediterranee i precipui criteri architettonici d'oltralpe. Tra essi spicca la: " figura di Pierre d' Angicourt.m>, un nobile originario della regione di Beauvais, che vediamo a1 servizio del re per circa trent' anni ...La diretta esperienza militare , di cavaliere feudatario .. .lo qua1ificò in maniera parti- colare per le opere di fortificazione e castelli: infatti ... [alcuni] documenti attestano.. .la [sua] direzione di lavori nei castelli di Bari, Brindisi e Barletta, sul volgere del 1280 Più difficile è stabilire se si debba a lui la pianta del Castelnuovo di Napoli, come vuole il Bertaux, ricordando la sua presenza in città sin dall'inizio dei lavori Altri documenti ricordano Pi erre d' Angicourt, cas tellano di castel dell'Ovo ... " 173\
Quelle diverse concezioni fortificatorie iniziarono a diffondersi rapidamente nel Re gno. La manifestazione più percepibile fu il sostituirsi delle cilindriche e snelle torri angioine a quelle quadrangolari sveve. L'adozione di torri a pianta ci rcolare, sebbene di per sè affatto rivoluzionaria, lo divenne per l'accettazione pressocchè totale del nuovo modello da parte dei progettist i reali, esattamente come era avvenuto, sotto la precedente dinastia, per la pianta quadrata. Circa i criteri strutturali: " .. .la matrice è, probabilmente, attribuibile al XII secolo; di tale epoca, infatti , è il castello francese di Montbrun, di carattere tipicamente feudale, costruito in un'epoca in cui l'opera del singolo artefice era quasi annullata da quella delle corporazioni medievali ... Ma il raffronto fra le due aree, francese ed italiana, non può fornirci sicure analogie o matrici informative caratterizzanti la derivazione dell a produzione italiana da quella d'oltralpe... È evidente, comunque, che nell'Italia meridionale, l'architettura fortificata degli Angioini assunse un carattere proprio, differenzian do si nettamente dalla tipologia di epoca normanna e sveva, svolgendo temi nuovi, imperniati su volumi nei quali spiccano le torri cilindriche su base scarpa ta " 04 >
Al di l à di una preferenza meramente estetica, l'opzione deve motivarsi, innanzitutto, con il minor costo delle torri cilindriche, fattore determinante in un programma di riqualificazione tanto imponente. Ri s ultavano, infatti, più rapide da costruire, perchè prive dei grossi conci d'angolo perfettamente squadrati, altrimenti indispensabili per la saldezza deg li sp igoli, e di più facile realizzazione non contemplando l'impi ego di mano d'opera particolarmente qualificata. Ma prescindendo da tale vantaggio, di per sè re l ativamente condizionante in ambito militare, la predilezione per l'impianto circolare deve ascriversi ancora ad una mutata esigenza difensiva, a sua volta conseguenza di un mutato scenario ossidionale, caratterizzato da un incremento della violenza degli impatti balistici.
È emblematico al riguardo constatare che tra i maestri:" ... francesi del tempo di Carlo I va aggiunto Jean de Toul, lorenese, ricordato nel 1270 come «carpenterius» e fam iliare del re, in cui nel primo termine è implicita una particolare perizia strutturale, peraltro confermata non soltanto dal 1itrovare altre volte Jean indicato come «ingegnerius» [da notare che per i francesi coevi l' ingegno è ancora la macchina d'assedio n.d.A.], ma anche dal fatto che con la stessa qualifica di «carpentiere» è indicato maestro Honorè, l'ingegnere capo di Luigi IX di Francia. Anch ' egli, dunque, come Pierre d' Angicourt, era architetto di particolare perizia militare, capace di eseguire le macchine belliche in legno, allora largamente usate per gli assedi, non meno che di erigere torri in muratura .. . " (75 > _
Per avere un'idea del potere distruttivo raggiunto dalle macchine da lancio dell'epoca, basti ricordare che, proprio sulla base di un disegno dell' Angicourt, Napoleone III ordinò la ricostruzione di un grosso mangano. Alle prove pratiche, il congegno si dimostrò capace di scag li are masse di circa 5 q. alla distanza di alcune centinaia di m!
La configurazione cilind1ica delle torri, lo si sapeva s in dai tempi di Vitruvio, reagiva meglio agli urti, comportandosi al riguardo come una sorta di arco, ovvero scaricando la sollecitazione attraverso i singoli conci s ull 'intera struttura, senza originare pericolosi scorrimenti e svellimenti. In oltre la rotondità favoriva la deviazione dei proietti, o la sensibile decurtazione della loro energia cinetica residua, limitandone notevolmente i danni. L'adozione, che pochi decenni dopo si applicherà a tutte le murature d'estradosso, sia di una singola torre che di un poderoso castello, di una scarpatura basamentale, sembra ulteriormente avvalorare l 'ipotesi, essendo ormai notorio l'attenuarsi della violenza degli impatti con l'allontanarsi della traiettoria dei proietti dalla norma le alla superficie battuta, e costi- tuisce una peculiare caratteristica delle fortificazioni angioine. Ma una connotazione ancora più inconfondibile di tale architettura militare si coglie nel coronamento merlato, rimasto fino ad allora sostanzialmente immutato dall'età classica.
Tanto i Normanni quanto gli Svevi, come del resto anche i Longobardi, infatti, avevano munito le rispettive opere difensive con l'identico, tradizionale dispositivo. In tutte quelle applicazioni il coronamento appare la semplice conclusione delle cortine, proseguendone senza alcuna soluzione di continuità iJ filo. La disposizione già deficitaria, come a suo tempo osservato a proposito dell'architettura sveva, era ulte1iormente peggiorata con l'avvento dei grossi mangani. Infatti, il rozzo rimedio fino ad allora impiegato e consistente: " ... nel sovrappo1Te alla sonunità del muro o della torre una ' incastellarw-a' , cioè una struttura sporgente di legno. posata su mensole infilate in apposite 'buche pontaie' lasciate nella stmttura del muro "06 ', non forniva alcuna protezione contro le loro offese. Facile schiantmne i tavolati, più facile m1cora incendiarli. Forse a seguito del potenziamento delle artiglierie neurobalistiche, forse per l'intensificarsi delle operazioni ossidionali, forse per la diminuita disponibilità di legname a causa della incessante deforestazione, i progettisti trovarono alla fine una valida soluzione al secolare problema.
Nella sezione sonunitale delle mura ammorsarono delle mensole di pietra, a scansione serrata e regolare , dette beccatelli, sull'estremità superiore delle quali impostm-ono un'ininterrotta teoria di archetti sui quali insisteva il pm-apetro merlato. La disposizione consentiva di far sporgere l'intero apparato di circa un metro rispetto al filo delle cortine da cui la definizione di 'apparato a sporgere' 1icavando alle sue s palle, nei vuoti tra una mensola e l'altra, le piombatoie. n coronamento appena descritto, prontamente adottato in tutte le costruzionj milita.Ii angioine, divenne dovunque la nota distintiva per antonomasia dell'architettura castellana, tanto da sopravvivere ben oltre la sua effettiva validità, in funzione meramente decorati va. La razionalizzazione delle piornbatoie determinò , a sua volta, per meglio sfruttarne le potenzialità interdittive, un ulteriore incremento dell'altezza delle strutture , in perfetta concordanza con i canoni gotici. Ovviamente l 'es ito ottimale del tiro piombante supponeva una verticalità dell e muraglie. connotazione, però, che di lì a breve dovette inevitabilmente abbar1donarsi per l'avvento delle artiglierie. estendendosi l 'adozione della scarpatura a tutte le fo1tificazioni. È pres umibile. tuttavia che in molte di esse, come del resto in quelle che già in qualche modo ne disponevano , non si volle ancora rinunciare all'apporto della dife sa piombante, per cui si stabilì con notevol e precisione l'angolo di abbattimento della scarpa in modo di consentire il rimbalzo dei massi secondo una direttrice pressochè orizzontale, con esiti micidiali per gli attaccanti, persino ad una decina di metJi di distanza da essa.
La definizione territoriale che il regno di Napoli acquisì in epoca angioina, protrattas i nel tempo fino alla s ua scomparsa, fece sì c he le ubicazioni difensive identificate nei primi anni della dinastia conservassero. intatta ed immutabile, la loro preminenza tattico- s trategica per oltre cinque secoli . Ne derivarono , perciò, continui interventi su ogni opera difen siva, indispensabili per adeguarla ai ricorrenti aggiornamenti del settore militare. Si spiega così perchè, ad onta della rilevantissima produ z ione di castelli e fortificazioni in quel cruciale scorcio s torico, quasi nulla ci s ia pervenuto in condizioni di discreta l egg ibilità. Dal mae s to so Cas telnuovo di Napoli, impropriamente ma significativamente detto Maschio Angioino, al modestissimo castello di Castellanrn1are di Stabia, dal torrione di Ve lia a quelJo di Le Castella, press o Capo Ri zzu to, tutti , pur conservando una inequivocabile matrice angioina, testimoniano la s travolgente riqualificazion e successiva, in particolar-e aragonese, imputabile al perfezionamento delle a,tiglierie a polvere.
A completare ulteriormente la falcidia contribuirono vistosamente anche la travagliata decaden za e la violenta dissoluzione della dinastia, caratte1izza te da una sequela di sc iagure naturali e be lliche non di rado concomitanti. In particolare il regno di Giovanna I fu funestato da un ' invasione ungherese e da una conflittualità incessante condotta da spietate compagnie di ventura,