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1.6. Il Dopoguerra
costituito dalle «forti donne della vallate pronte al fraterno appello», che non solo seppero tessere il tricolore inviato nel 1866 a Garibaldi, ma che con la loro «feconda opera» diedero un contributo grandissimo alla patria italiana e alla redenzione110 .
1.6. Il Dopoguerra
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C’è poi l’immediato dopoguerra, gli anni dell’Italia liberale che precede il fascismo, quelli che vedono il Trentino redento e in buona parte ingombro dalle macerie delle distruzioni. Rossaro non smette di costruire il suo ediicio. La sua azione sostanzialmente non muta, ora si tratta di alzare la casa sopra le fondamenta, ancora attraverso la parola e altri segni più forti. «Oh, memorande giornate del nostro riscatto» riporta “Alba Trentina” nello scritto che segue il proclama della vittoria. Il verso è voluto per richiamare una memoria da tramandare «a chi un giorno dovrà dir sospirando: “io non c’era”» come leggiamo nella poesia del Manzoni111; quando «spezzate le poderose linee d’acciaio che serravano le nostre deserte contrade, l’austriaco fuggì in rotta rifacendo le vie del Brennero, che poco prima calcò ebbro d’odio e d’orgoglio», come scrive invece il sacerdote112 . Con la sua prosa eccessiva Rossaro spande dunque ancora retorica. Inneggia all’epilogo glorioso e ricorda i protomartiri trentini, ai quali, come solito, accomuna alcuni altri nomi legati alla piccola terra redenta. Alessandro Sartori, il primo volontario caduto, Ergisto Bezzi, il garibaldino, Riccardo Zandonai, il celebre compositore che aveva musicato e musicherà alcuni suoi versi113; poi i vivi e i morti del momento, Gianni Caproni, decorato a Milano per i meriti aviatori, Livio Marchetti e Maria Gasperini, ovvero Nigritella, la fedele redattrice di “Alba Trentina”114 .
Dopo l’ubriacatura della vittoria il tono della rivista sembra un poco cambiare, come l’agenda del suo direttore del resto, impegnato a dar corpo a una memoria più di monumenti
110 A. rossaro, Il primo poeta irredentista. in “La lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera”, n. 7 (1915). Id,
Le ultime donne trentine condannate a morte dall’Austria, in “La lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera” n. 1 (gennaio 1921). 111 A. Manzoni, Marzo 1821. 112 A. rossaro, Alba Trentina!, in “Alba Trentina”, II/11-12, (1918), p. 381. 113 Fra le composizioni di Rossaro musicate da riCCardo zandonai troviamo Patria redenta (1918), Esulta Trento (1919), Dicono i morti (1923). Altre composizioni relative a opere di Antonio Rossaro portano i nomi di: raffaello Malaspina, Inno al Collegio Angelo Custode, 1910; ero Mariani, Inno alla Campana dei Caduti, 1925?; elia Marini, Inno di Rovereto ad Antonio Rosmini; Venite o lassi!, 1935; Il trasporto della Campana da Verona a Rovereto, 1940; Per la S.M. la regina Margherita “Cerimonia del Calendimaggio a Rovereto”, 1941; Per l’inaugurazione della lapide a S.E. mons. Ross in San Marco, 3 agosto 1941; Sia gloria a Fabio Filzi, 1936; tullio perin, Con poche note: iorita di canti per piccini, 1943. 114 Cfr. A. rossaro, In morte di Nigritella, (M. Gasperini), in “Alba Trentina”, II/9 (1918). Per Livio Marchetti morto il 17 novembre del 1918 si vedano i ricordi in “Alba Trentina”, II/11-12, (1918), pp. 426-429.
che di parole115. Certo i temi sperimentati non cadono: i morti, gli eroi, i decorati, i soldati che hanno combattuto con l’Italia, gli episodi patriottici, gli scritti a sfavore dell’Austria ricevono ancora grande luce. Si misurano però in un orizzonte che guarda avanti, perché, come aveva già scritto nel suo programma, l’alba del Trentino potesse tramutarsi in aurora, poi nel nuovo giorno116 . La rivista, che va ampliando la sua redazione, presta quindi attenzione al territorio, all’agricoltura, alle forze idriche, al turismo, ai beni artistici e archivistici, all’architettura, alle cooperative, alla inanza e così via117. Importante risulta l’opera di inventariazione delle spogliazioni compiute durante il conlitto, delle distruzioni o delle cose trasferite dall’Austria nei musei o in altre strutture lontane. “Alba Trentina” si fa ad esempio carico di segnalare le ruberie delle campane, elencando i bronzi asportati in città e più in breve in altre località del Trentino, indicando le loro caratteristiche, le date e le eventuali iscrizioni118. Sempre nell’ambito religioso, nell’anno che segna l’annessione uficiale del Trentino all’Italia119, la rivista prende l’iniziativa di regalare una nuova Pala per l’altare della chiesa di San Marco, così da rimpiazzare quella distrutta dalle armi120. È dell’estate 1920 anche la promozione del comitato che farà nascere il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, un’istituzione che trova ancora in Antonio Rossaro uno dei primi ideatori e protagonisti121 .
«Non si può immaginare una veduta panoramica di Rovereto. se non è dominata dal suo vecchio castello, riporta in effetti la rivista. Questo ne forma la caratteristica principale, come per Trento la torre di Augusto, per Riva la torre Apponale, per
115 «Il suo programma resta immutato: solo le sue speranze respirano più ampiamente sotto questo cielo così largo e bello», leggiamo in una pagina della rivista che con il 1 novembre 1920 annuncia il passaggio della redazione da Rovigo a
Milano. Cfr. La nostra redazione a Milano, a irma della Direzione, in “Alba Trentina”, IV/11 (1920), pp. 253-254. 116 Si veda anche O. Brentari, L’Alba e l’Albo, in “Alba Trentina”, I/1 (1920), pp. 1-4. 117 Interessanti a questo proposito gli articoli dell’ingegner Lanzerotti, che dal 1919 intensiica la sua collaborazione alla rivista. 118 Ruberie austriache a Rovereto, in “Alba Trentina”, IV/2 (1920), pp. 59-68; IV/3, pp. 103-111. 119 Cfr. G. tessaro, Annessione!, in “Alba Trentina”, IV/6-7 (1920), pp. 209-210. 120 lagarino, Una nostra iniziativa. Per la Pala di S. Marco alla città di Rovereto, in “Alba Trentina”, IV/4-5, (1920), pp. 139-140; A. rossaro, Il nostro voto compiuto, La Pala di San Marco a Rovereto, in “Alba Trentina”, VI/4-5 (1922), pp. 120-130. 121 Il 23 agosto 1920 nel salone del municipio di Rovereto si organizzò un’assemblea composta da Gino Gerola, Paolo Orsi, G.G. Cobelli, Augusto Piscel e da altri. «Fu data la presidenza all’insigne archeologo Paolo Orsi.
Il nostro direttore, don Antonio Rossaro, prese per primo la parola ringraziando gli intervenuti e spiegando il signiicato dell’adunanza. Entrando poi in argomento, egli rilevò la necessità di fondare con la massima sollecitudine un Museo di guerra, prima che la requisizione militare porti via il poco materiale che ancora vi rimane. Il Museo di guerra poi dovrebbe sorgere a Rovereto, la città più avanzata sulla linea del fronte, e quella che più di tutte per quattro interi anni sentì l’urto della guerra. Ciò premesso, asserì che l’unico luogo degno di accogliere questo museo era il Castello della città...». paCiri [A. rossaro?], Il museo di guerra nel Trentino, in
“Alba Trentina”, IV/10, (1920) p. 247. Per una trattazione più generale si veda F. rasera, Il Museo della guerra di Rovereto. Da quale storia ripartire?, in “Annali del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto”, n. 3. (1994), pp. 25-53.
Brescia il colle Cidneo [...] Il castello potrebbe accogliere un Museo patriottico, raccogliendo a quello scopo l’abbondante materiale ora custodito nelle famiglie... Chi può dire quali sorprese, quali pagine di storia patria stanno celate su quelle pareti imbiancate barbaramente di calce e rese fetenti dal tanfo delle pipe tedesche?»122
La rivista segue la questione, consapevole che il Museo avrebbe dovuto testimoniare l’unione della storia passata con quella della redenzione, rendendo monumentale il ricordo della guerra e della sua narrazione, come doveva esserlo il monumento di Trento a Dante Alighieri, al quale, nella ricorrenza anniversaria, Rossaro dedicava una sua monograia123 . Timo del Leno detta i passaggi importanti di questa narrazione, con il consueto entusiasmo, con inventiva, con le solite pagine della rivista che dal novembre 1921 trova sede nella stanza rossa dello stesso castello roveretano124, peraltro simbolicamente riprodotto dal solito Wenter Marini nelle copertine che caratterizzano la quinta annata. Un capitolo importante a questo proposito è dato dalla visita dei reali nella Venezia Tridentina: «il suggello, si può dire l’epopea del risorgimento Trentino», secondo le parole del sacerdote, il quale riassume il percorso di questo risorgimento trentino «in tre grandi parti»: l’epoca della paziente e fedele preparazione, dal 1821 al 1848; il periodo dell’entusiasmo e delle delusioni, dal 1848 al 1896; poi, con l’inaugurazione del monumento a Dante, «il meraviglioso ciclo della guerra contro il pangermanesimo, dell’orribile martirio della nostra gente e della gloriosa redenzione che coronò secoli di sospiri e di attese. Tre fasi queste vive di passioni e di episodi, attraverso le quali la coscienza del nostro popolo si formò una e salda, e che saranno lo studio d’onde i nostri nipoti trarranno avvenimenti e vigore per l’avvenire. Quando nel tristo autunno del 1896, tutto il popolo trentino era ai piedi del suo Dante, eretto nella diluviale tempesta di quel giorno che tanto d’appresso riletteva quella morale che gravava la nostra terra, nessuno avrebbe potuto pensare che alle nozze d’argento di quel solenne rito quasi religioso, tutti sarebbero convenuti, sotto l’ampio bacio della vittoria, intorno ai Reali d’Italia consacranti la nostra redenzione»125. Non ci sono titubanze nelle parole del sacerdote: la presenza dei reali a Rovereto rappresenta il punto d’arrivo di una storia che parte un secolo prima, che attraversa l’Ottocento senza differenze di classe e di vedute, per giungere, con il sacriicio dei martiri, alla redenzione. In questo assioma il cammino del popolo verso la nazione in ieri appare dunque governato dall’evento escatologico, da un’etica provvisoria, come quella cristiana, che non pensa a organizzare ragionevolmente la vita sopra questa terra, ma vive nell’attesa della redenzione. Il tempo che intercorre tra la vittoria è il tempo dell’attesa,
122 A. Chini, Il castello di Rovereto, in “Alba Trentina”, IV/12, (1920), p. 293. 123 a. rossaro, Il monumento a Dante in Trento nel suo 25° anniversario, ed. Scotoni, Trento 1921. 124 [A. rossaro], I Reali, l’Alba Trentina e la sua nuova sede, in “Alba Trentina”, V/11 (1921), pp. 251-253. 125 tiMo del leno [A. Rossaro], La visita dei Reali nella Venezia tridentina, in “Alba Trentina”, V/11 (1921), pp. 260-265.
della pazienza divina, di lotta, ma anche di grazia, inalmente celebrata - è ancora Rossaro a parlare - «in un’apoteosi di iori e di canti»126 . Se volessimo seguire questo suggestivo percorso, si potrebbe metaforicamente dire che per mantenere e soprattutto per trasmettere imperituro lo stato di grazia, serviva anche qui una pentecoste; serviva rafforzare nella chiesa civile il credo della patria risorta, renderlo forte, capace di «nuove conquiste e nuove glorie», come direbbe Manzoni. Servivano i templi dove onorare la nuova religione. E uno di questi, il primo per importanza storica e grandezza, sarà benedetto proprio dal re e dalla regina, che dopo l’accoglienza in municipio «si recarono a inaugurare con la loro presenza il Museo storico della guerra»127 .
Se il fulcro dell’azione è Rovereto, Antonio Rossaro guarda però anche oltre, cercando di allargare il campo della sua azione al Trentino nel suo complesso. Alla Venezia Tridentina si dovrebbe dire per cogliere i termini della neonata provincia che aveva portato i suoi conini al Brennero. All’Alto Adige, nella fattispecie, «oggi oggetto di vivo interesse per la nazione», come leggiamo nella pagina che nel 1921 inaugura il quinto anno di Alba Trentina128. Si tratta in primo luogo di cancellare le tracce dell’Austria, per proporre l’intero territorio nella sua storicità latina. Per questo, recuperando alcune poesie pubblicate ancora nel corso del conlitto, il sacerdote cerca di ribadire la romanità di alcuni luoghi signiicativi del capoluogo regionale: gli ediici profani del Castello del Buonconsiglio e della Torre Verde, nonché quelli religiosi del Duomo e della chiesa di Sant’Apollinare; come a ripetere che le istituzioni civili e quelle religiose provenivano da una comune matrice culturale e civile, da tradizioni e da sensibilità artistiche non certo rapportabili al mondo tedesco. Per questo insiste nel ricordare le presenze di Dante in Trentino, non solo a proposito del monumento al poeta inaugurato nel 1896, ma promuovendo l’iscrizione alla «Ruina dantesca» nei pressi di Marco129 e con una serie di iniziative che “Alba Trentina” è pronta a cogliere e a divulgare130. Nella ricostruzione della nuova Rovereto, della
126 Ibidem. 127 Ibidem. 128 [a. rossaro], Alle soglie del V anno, in “Alba Trentina”, V/1 (1921), pp. 1-2. 129 Il monumento alla Ruina dantesca presso Marco, s.a., in “Alba Trentina”, V/12 (1921), pp. 291-298. 130 Più dificile risulta applicare questi criteri di italianità all’Alto Adige per giustiicare i nuovi conini e per rendere coerenti le argomentazioni messe da tempo in campo a sostegno di una guerra di redenzione. La scottante questione è affrontata dal sacerdote roveretano già prima della ine della guerra in un’ottica forzata, degno preludio alla italianizzazione opera del regime fascista. «La lingua, e con la lingua gli usi, i costumi, le leggende, le tradizioni italiane si perdono in una dolce sfumatura nella vita dell’Alto Adige gran parte italianissimo, poi in quella ladina, estrema reliquia della romanità ivi imperante, per morire poi languidante in un lembo di vita tedesca, non iore sbocciato al nostro sole latino, ma tisico iore esotico ivi portato dalla invadente furia nordica», aveva allora scritto Rossaro, portando a suffragio le asserzioni di Ettore Tolomei. «Ettore Tolomei, magniico assertore d’italianità a cui l’Alto Adige deve la rivendicazione di questo suo nome, dice: “Insieme coi 180.000 tedeschi vivono nell’Alto Adige 40.000 italiani, un quinto. Ma se consideriamo l’Alto Adige in unione al Trentino italianissimo, coi suoi 380.000 italiani compatti, allora l’intera nazione montuosa dell’Alto Adige, che conta 600.000 abitanti,
sua nuova storia, dei suoi monumenti, Rossaro interagisce infatti costantemente con il passato e la loro migrazione simbolica, con le politiche e le sensibilità in atto; a volte le condiziona, in un sistema che non ha come movente soltanto la riduzione in positivo del trauma della guerra, ma tiene conto di un vissuto più largo, della rimodulazione di un trascorso da tramandare al futuro, in chiave diversa, per certi versi impossibile da controllare ino in fondo nella manipolazione attuata nel tempo. Il sacerdote roveretano può in ogni caso ritenersi il maggiore arteice di quella ricostruzione monumentale e simbolica che portò i territori della zona nera trentina, quella più toccata dagli eventi bellici, a una semantizzazione del paesaggio e della sovrastruttura culturale131, un’opera insuperata per dimensioni e simboli, forse in qualche modo paragonabile solo al patrimonio monumentale della chiesa cattolica132. La linea del fronte si presenta del resto come un immenso campo di cimeli e di reliquie da raccogliere per celebrare la redenzione e per onorare quanti avevano offerto il loro sacriicio alla Patria133. La ricostruzione della città distrutta dai bombardamenti doveva quindi procedere al passo con la ricostruzione della sua memoria, della sacralità di questa memoria e dei suoi luoghi di culto. Rossaro, uomo dalla veste sacra e profana, è senza dubbio al centro di questo processo, con le idee, gli scritti, le parole e l’azione diretta. Attorno alla sua persona si raccordano le nuove parabole culturali e le iniziative che rendono visibile la città all’interno e all’esterno. Quella che, per i trascorsi illuministici, veniva considerata l’Atene del Trentino assume in pochi anni la veste di città reliquiario, attraverso una trasformazione semiotica capace di proporsi in una veste sacrale alla nazione e per certi versi all’Europa. Il cambio è rapido e le iniziative messe in atto appaiono relativamente au-
dei quali 420.000 italiani, risulta italiana quasi per tre quarti, quindi anche nazionalmente è nostro». roBor [A. rossaro], Ora o mai, in “Alba Trentina”, I/1, (1917), pp. 30-33. La rivista ritorna ancora su questo argomento con Giovanni Oberziner nel 1921, il quale confutando le tesi a favore di «una regione indivisibile», il Sudtirolo, dal Brennero alla Chiusa di Verona, esprimeva la sua ammirazione nei confronti di «uomini di alto ingegno», quali Ettore Tolomei, anche lui roveretano, nonché Antonio Renato Toniolo e Giuseppe Antonio Borghese i quali avevano fatto conoscere agli italiani «tutte le complesse ragioni etnograiche, geograiche, storiche e politiche, che conferiscono all’Italia il diritto, anzi costituiscono la imprescindibile necessità di issare saldamente il conine settentrionale alle Alpi Tridentine, al Brennero». Panzane «travolte dal rombo del cannone, che doveva proferire la giusta sentenza». G. oBerziner, L’Alto Adige e la Passione del Tirolo, in “Alba Trentina”, V/2 (1921), pp. 41-48. 131 Oltre al citato giudizio di Valentino Chiocchetti, si veda anche F. rasera, Don Rossaro e la memoria della sua città, in “ Annali del Museo storico italiano della guerra”, 1-2 (1993), pp. 264-265. 132 Uso questa terminologia consapevole della precarietà dei termini, i quali avrebbero bisogno di approfondimenti che non rientrano nelle mie inalità e competenze. Intendo dire che i segni che caratterizzano il territorio roveretano, come sicuramente altri luoghi, non possono essere disgiunti dal sistema culturale che li supporta e che al tempo stesso contribuiscono ad alimentare; un sistema che quando si codiica rischia di proporsi come dottrinale, così come i segni del sacro tendono alla loro dottrina, nel senso di una codiicazione non tanto scientiica ma catechistica. 133 «Al nostro ritorno in patria trovammo che tutto questo suolo della Val Lagarina, al piano ed al monte, nei nuclei di più intenso addensamento umano e nelle balze più deserte, era stato trasformato, perino in molti siti nella struttura del terreno, in un colossale Museo della guerra». a. pisCel, Il Museo della guerra nel Castello di Rovereto: come e perché è sorto, “Museo Storico Italiano della Guerra”, Rovereto 1926, pp.18-19.
tonome dai poteri statali. Il Museo della Guerra, come abbiamo visto, viene inaugurato nel 1921, il cimitero di guerra di Castel Dante, che vedrà ancora promotore Rossaro, sarà consacrato nel primo dopoguerra134. È ancora di questi anni l’idea della Campana dei Caduti, l’opera alla quale Rossaro dedicherà buona parte delle sue energie, praticamente ino alla morte.
134 Per vedere realizzato l’Ossario monumentale che oggi svetta sulla Vallagarina ci sarà comunque bisogno di attendere l’intervento inanziario dello stato fascista, ovvero la metà degli anni Trenta.
Il Castello di Rovereto. Sul Torrione Malipiero si nota la Campana dei Caduti, 1926 (AFCCR).