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Il discorso dei giovani sul culto degli eroi e relative reazioni

3.4. Arriva il vento del cambiamento. Il discorso dei giovani sul culto degli eroi e relative reazioni

Nel monotono dibattito circa la collocazione della Campana sulle pagine dei quotidiani locali, l’intervento delle giovani generazioni, continuamente chiamate in causa da un discorso patriottico da sempre legato alla dimensione educativa, testimoniava, insieme alle risposte da quello provocate, il graduale cambiamento di segno del discorso pubblico generale. La serie di interventi prodotti in risposta alla lettera “dei giovani” mi pare importante anche perché mostra come ad essere messa in discussione non fu mai l’idea di interesse nazionale, ma solo la forma o le modalità nella quale quest’istanza veniva espressa. Se si prendono sul serio, per un momento, i timori di molti combattenti degli anni Sessanta, si potrebbe dire che il mito della patria si sciolse lentamente in una forma ormai mondanizzata e disincantata dell’istanza nazionale. La lettera che scatenò il dibattito pubblico venne pubblicata sul quotidiano Alto Adige il 26 agosto 1965 ed entrò in modo, per così dire, laterale rispetto alla vicenda narrata nelle mie fonti. La lettera voleva rispondere alla proposta della giunta comunale di Rovereto per la delimitazione della nuova zona monumentale che avrebbe dovuto accogliere il nuovo “trinomio sacro” che Jori e alleati volevano costituire nei pressi di Rovereto. Il trinomio, che escludeva il Museo della Guerra, sarebbe stato formato dal nuovo complesso della Campana, dall’ossario monumentale di Castel Dante e dalla strada degli artiglieri, disseminata di lapidi dedicate e che portava nei pressi della grotta dove era stato catturato il martire Damiano Chiesa. La lettera apparve sotto questo titolo: Il parere dei giovani sul “culto degli eroi”.

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«Spettabile redazione. Abbiamo letto sull’”Alto Adige”, venerdì 20 agosto, in cronaca di Rovereto, una proposta della Giunta comunale che ci ha lasciato alquanto stupiti. Si tratta della proposta di “delimitare una nuova superba zona monumentale”. Confessiamo che lo sbracciamento retorico della proposta ci aveva fatto pensare ad uno scherzo, ma dato che sappiamo che le Giunte in genere i loro scherzi non li fanno pubblicare e dato che “ le giovani generazioni” (da sensibilizzare) sono chiamate in causa ben due, tre volte, e dato inine il gentile invito del giornale ad esprimere l’opinione in merito, pensiamo di dover indicare cosa pensiamo di questo tipo di “sensibilizzazione”. Si tratta inine di creare materiale d’imbonimento retorico (del tipo a cui purtroppo siamo abituati in dalle elementari: i nostri grandi progenitori romani civilizzarono… ma è dolce morire per la patria… e giù di lì). Data la delimitazione geograica della nostra bella Italia, infatti, i vicentini hanno i monumenti a quattro passi, mentre i roveretani restano privi così di “sensibilizzazione al

culto degli eroi”, non possono “ravvivare il culto degli eroi… la visione genuina della guerra… le fattezze eroiche… tormento sacriicio apoteosi” a Rovereto c’è infatti soltanto “il sacro monumentale bronzo… una delle istituzioni più nobili” (avvertiamo che stiamo spulciando a caso qua e là il testo della proposta). Così si sente la necessità di allestire una zona sacra per l’educazione delle giovani generazioni. Che sarebbe ora magari che alle giovani generazioni dicessero delle cose serie invece di smerciare loro dell’eroismo coi punti qualità, come qualsiasi prodotto commestibile. Sarebbe ora si piantasse la storia del culto della guerra, della violenza sacra o giù di lì, che si tentasse, in una città come Rovereto, culturalmente sottosviluppata, di sensibilizzare i giovani comprando libri per le biblioteche scolastiche, allestendo magari qualche spettacolo, qualche ilm per studenti (non soltanto il Walt Disney, ogni quinquennio e Cesco Baseggio ogni due anni). Sia chiaro, noi abbiamo tutto il rispetto per la gente che è morta in guerra, ma proprio per questo rispetto ci riiutiamo di farne una religione, gli occhi al passato (e più distante è, meglio è) e la schiena all’avvenire. È stato vietato un monumento in una provincia d’Italia perché portava scritta la frase di Brecht “Beate le nazioni che non hanno bisogno di eroi”. Il ministro degli interni ha cincischiato che la frase, bellissima nel contesto dell’opera, non andava presa in sé. Invece in questo caso a noi non interessa niente del contesto dell’opera, ma proprio la frase in sé, per quel che vuol dire, perché, lo aggiungiamo noi, l’eroismo è una malattia, la nevrosi di una nazione. E non ci si richiami la resistenza, perché nella resistenza si è combattuta una lotta antieroica (e non vorremmo che qualche furbissimo ci fraintendesse) una lotta umana proprio anche contro il culto della morte, contro il linguaggio che abbiamo sentito e che continuiamo a sentire. Abbiamo casualmente assistito all’inaugurazione di un monumento ai Caduti a Folgaria qualche settimana fa, e abbiamo sentito un ministro che dopo aver nominato mamme, idanzate, sorelle, parlava di quanto siano meravigliosi i giovani di vent’anni morti col nome di patria sulle labbra. Bene, la morte è orrenda anche col nome della patria come titolo. Quindi come giovani ci riiutiamo a questo tipo di sensibilizzazione. Se la creazione della zona ha invece un signiicato squisitamente turistico (come immaginiamo) per le gite domenicali delle associazioni ex combattentistiche, allora la cosa cambia aspetto. Il turismo è attività, non contemplazione»26 .

L’elogio inale dell’attivismo economico e turistico, contrapposto a una dimensione contemplativa e simbolica propria del culto della nazione, sembra esprimere bene la parabola di un discorso pubblico che si avvia a spogliarsi del suo abito idealizzato e sacralizzante.

26 “Il parere dei giovani sul culto degli eroi”, in “Alto Adige”, 26 agosto 1965, lettera irmata da P. Trotto, E. Dorigotti, B. Toldo, G. Vigo, C. Rella, P. De Bastiani, M.G. Trotto, F. Rella.

Le risposte alla lettera dei giovani non si fecero attendere e ci danno uno spaccato interessante dei punti di vista che potevano circolare a quei tempi. Ubaldo Flaminio ad esempio rivendicava la funzione paciicatrice ed emancipatrice della lotta per la nazione:

«preferendo sorvolare sulla constatazione (forse non imparata sui banchi delle elementari, né più in su) che la pace è privilegio dei paesi che hanno il culto della Patria e la religione degli eroi, aggiungendo con il loro giudizio un altro episodio ai tanti altri che purtroppo oggi si veriicano in Italia, non meno meschini e degni di compassione, atti solo alla liquidazione dei valori morali (…)»27 .

Oppure si può trovare l’intervento di Luciano Carestia, probabilmente compiacente verso i giovani perché la loro critica della nuova zona monumentale poteva essere funzionale al ritorno della Campana al castello. Qui è possibile rintracciare il richiamo patriottico alla rispettabilità borghese della famiglia e del dovere, nonché a un’accurata gestione dei corpi dei cittadini da parte dello stato.

«Gentile redattore, mi consenta una parola a difesa dei giovani irmatari della lettera pubblicata giovedi scorso, anche se la loro causa in un ambiente così patriottico come quello roveretano sembra piuttosto impopolare. Probabilmente essi hanno voluto solamente reagire alla retorica del patriottismo, ma nulla autorizza a pensare che essi siano nei fatti meno “patrioti” dei loro padri e dei loro nonni. Per “patriota” intendo chi fa il proprio dovere in famiglia, nel lavoro e nelle libere competizioni civiche, senza trucchi e senza sopraffazioni. Certo i giovani sono oggi disincantati, e sarebbe strano – e non opportuno – il contrario, con le esperienze che si sono fatte e con lo spirito del produttivismo e del proitto che logicamente ci pervade. Ciò premesso, il mio sommesso, ma forse ingenuo parere, è che il Consiglio comunale meglio potrebbe sensibilizzare i giovani, non già profondendo milioni, o comunque incoraggiando opere di superlua decorazione, ma, ad esempio, costruendo a Rovereto una piscina coperta, s’intende da dedicare ad uno o più eroi. Gli stessi patrioti più accesi si rassicurerebbero al pensiero che così la Patria potrà disporre di giovani più vigorosi da immolare a sua difesa»28 .

L’intervento dell’avvocato Sandro Canestrini era particolarmente interessante perché, appoggiando i giovani, chiamava in causa tutta una serie di considerazioni storiche e politiche sul rapporto di continuità di quel presente storico con il vecchio regime fascista, con una decisa attribuzione di responsabilità alla parte più conservatrice della classe dirigente italiana, ma anche, in parte, dei partiti operai.

27 “Monumentalizzazioni e culto degli eroi”, in “Alto Adige“, 29 agosto 1965. 28 Ibidem.

«Vivaddio, l’imbonimento dei crani, la propaganda patriottarda, il bombardamento dei luoghi comuni non riescono a togliere ai nostri ragazzi il piacere di ragionare e il diritto di dissentire. Ovviamente il discorso sarebbe molto lungo, e molto amaro. Perché all’origine di tutto ciò che il nostro Paese è oggi vi è la responsabilità delle classi conservatrici e del partito che le ha sempre autorevolmente rappresentate. Vi è, (chiarissima anche ai ciechi), la rivincita delle forze e degli interessi che il vento d’aprile non era riuscito a spazzar via. Vi è anche però l’eccesso di buona fede dei movimenti laici ed operai che hanno dato credito a tutta una serie di baggianate, nel desiderio di non rompere, o di non contribuire a rompere, la cosìddetta unità nazionale dei primi governi del dopoguerra. La mancata abolizione del codice penale fascista è un esempio evidente di tale volontà di collaborazione, nonostante tutto; il mantenimento in carica di tante colonne dell’antico regime (ad esempio, dai generali agli ambasciatori) è un esempio di spirito di sacriicio spinto ino al martirio… Così, nel ciarpame che è rimasto in piedi, siamo stati destinati a leggere le lapidi sui “gloriosi Caduti per la Patria” in Abissinia, in Spagna, in Albania, in Russia e in Francia. Dicono bene i nostri ragazzi: pietà per i morti. Un iore su ogni tomba di Caduto in guerra, ma un iore di umano compianto nel giuramento che mai più si ripeteranno inutili stragi. Invece le cose stanno ben diversamente! Due o tre volte all’anno, in modo grandioso, in tutti i grandi e piccoli borghi d’Italia, si dà iato alle trombe, si inaugurano monumenti, si vergano epigrai, si pronunciano discorsi. Hanno ragione i nostri ragazzi: troppi ministri e troppi deputati prostituiscono la loro intelligenza e la loro sensibilità (per ricevere il voto dell’orfano o della vedova) e dipingono il contadino di Castellano e l’operaio di Ala, morti imprecando alla guerra, come esempio al purissimo e volontario sacriicio per le migliori sorti d’Italia»29 .

Il dibattito sul quotidiano proseguì a lungo e, a detta dei cronisti, le lettere furono moltissime. Il prolisso punto di vista di Livia Battisti, iglia del martire Cesare e di Ernesta Bittanti, è denso di problematicità ed evidenzia il dificile tentativo, che fu sempre proprio anche della madre (a differenza delle vedove Chiesa e Filzi) di mantenere indipendente dal fascismo la igura del padre.

«Più d’uno spunto della vostra lettera, giovani, mostra che non siete dei qualunquisti, e credo quindi potrete accogliere la mia parola e, forse anche “pensarci su”. È sacrosanta la vostra protesta contro tutto ciò che è retorica ( e, purtroppo, se ne è fatta e se ne fa tanta), ma nel vostro sdegno voi fate giustizia sommaria, in un fascio, del falso e del buono. Perché tanto disprezzo per l’eroismo? L’eroismo è l’espressione massima del coraggio, della capacità di sacriicio: e queste manifestazioni dell’animo umano non

29 Ibidem.

si estrinsecano soltanto in eventi bellici, in eventi cruenti. Coraggio, sacriicio, eroismo ci vogliono anche per fatiche (anche umili, quotidiane fatiche) per quotidiane rinunzie, per perdite pecuniarie che si affrontino per il raggiungimento di un ideale, o anche, semplicemente per l’assolvimento di un compito, di un dovere, o per non lasciarsi corrompere, o per arricchire la propria mente… (gli esempi potrebbero essere innumeri, dall’esilio dantesco… al dover andare a scuola quando avreste voglia di andare invece a spasso!). Coraggio, sacriicio (ed anche eroismo, a volte) sono l’alimento che gli ideali richiedono per affermarsi; e sono alta espressione di umanità, non “la nevrosi di una nazione” come voi dite. Non conosco il testo di Brecht in cui ricorre la frase “beate le nazioni che non hanno bisogno di eroi”. Non vorrei che la traduzione italiana portasse al più largo signiicato della parola “eroi” il termine di eroe in un fatto bellico…Non mi sento di ammirarla. In una “nazione” in cui fosse raggiunta la giustizia per tutti, la felicità per tutti, si potrebbe, si dovrebbe forse, rinunciare ad ideali travagli, comportanti sacriicio, coraggio? Non si dovrebbe, ad esempio far nulla, perché anche ogni altro paese, anche ogni altra “nazione” (ma questo termine in Brecht, non mi piace) raggiungesse il “nostro” (per ora molto ipotetico) stato di giustizia e di felicità? E quando tutto il mondo lo avesse raggiunto, le passioni dell’animo, la fragilità isica dell’animale uomo, le catastroi naturali… non richiederanno ancora coraggio, abnegazione, eroismo? (Pensate alla assistenza ai malati di mente, all’istruzione di ogni sorta di minorati ecc ecc.). A meno che si voglia arrivare alla “civiltà” di chi mette nelle camere a gas gli “individui” scomodi. “Circola, o iamma del sacriicio”, si trova scritto in un appunto di Cesare Battisti. Di Battisti che, diciottenne (nel 1895), aveva affermato, in un congresso di studenti, esser necessario non trascurare alcun mezzo, non darsi pace, in che non si fossero sollevati tutti i propri fratelli ad una vita superiore. Per arrivarci, la strada è ancora lunga. Ed abbisogna proprio di coraggio e sacriicio: il sacriicio di rinunziare ad un divertimento per presenziare ad una riunione di lavoro, di studio, di partito; il sacriicio di star inchiodati ad una sedia per apprendere quel che poi potremo dare; il sacriicio di tralasciare uno studio che avvince per insegnare, per divulgare quegli ideali progressisti che certo vi animano, se avete scritto come avete scritto. Abnegazione, coraggio, eroismo: tre tappe della stessa strada. (…) Quanto alle celebrazioni di questo cinquantenario… Ecco, anche qui -forse- la giusta ira anti-retorica vi ha preso la mano. E forse, anche, non vi hanno insegnato, non sapete a suficienza, di quegli eventi. Non si deve ignorare, negare l’aflato ideale tra le “componenti” della prima guerra mondiale: era guerra agli imperi centrali, militaristi, feudali, prepotenti. Vi cito ancora le parole di Battisti (scritte sul monte Corno, nell’estate del 1916): ”Spero che quel che noi soffriamo quassù varrà a impe-

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