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1.1. Un personaggio poliedrico
Capitolo 1. Don Antonio Rossaro: dai miti della guerra ai miti della pace
1.1. Un personaggio poliedrico
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Valentino Chiocchetti, commemorando don Antonio Rossaro nel decennale della morte, riassumeva così la vita di un uomo importante per la storia di Rovereto e del Trentino.
Don Antonio Rossaro nacque a Rovereto l’8 giugno 1883 da Giuseppe e Giovanna Marini. Qui frequentò le scuole elementari. Nel collegio di San Giuseppe a Volvera di Torino compì i suoi studi medi. Studiò poi teologia nel Seminario di Rovigo, dove l’1 aprile 1911 fu consacrato sacerdote dal Cardinale Pio Boggiani, Vescovo di Adria. Insegnò nel Collegio dell’Angelo Custode a Rovigo e fu contemporaneamente catechista nel Ginnasio Liceo di quella città. Fu anche l’ordinatore di quella Biblioteca Comunale e Direttore del giornale cattolico “Il Popolo”1 . Nel 1920 da Rovigo Passò a Milano e insegnò nell’Istituto Bognetti. Nel 1921 il Comune di Rovereto gli afidò la Direzione di questa Biblioteca Civica, che diresse per 30 anni. Don Rossaro dopo due dolorose operazioni subite rispettivamente a Rovereto e a Padova, morì il 4 gennaio 1952. Per le sue benemerenze ebbe in vita nove commende da diverso Ordini e Nazioni. Fu patriota ed irredentista, cultore amoroso di memorie patrie, fu l’ideatore della Campana dei caduti, Bibliotecario. Fu con Chini e Malfer, uno dei tre fondatori del Museo storico della guerra e uomo di molte iniziative, vissute sempre con anima di poeta2 . E più che poeta nelle poesie che scrisse, fu poeta nella sua vita, piena di vitalità e di fantasia, piena di impeti di generosità, non scevra da quell’ambizione ad emergere che è sempre sprone all’attività. Di questa sua entusiastica generosità di uomo ci sono notevoli esempi nella sua vita. A Rovereto c’è certamente ancora chi ricorda.3
Come vedremo in seguito, il bonario proilo del personaggio tracciato da Chiocchetti, che bene o male aveva condiviso l’impegno civico del sacerdote roveretano – e sarà chiamato
1 Il riferimento è al giornale “Il Popolo” di Adria. 2 Valentino Chiocchetti non menziona qui un quarto personaggio che può essere annoverato fra i fondatori del museo e che citeremo in seguito, il socialista interventista Antonio Piscel (1871-1947). 3 V. ChioCChetti, Don Antonio Rossaro, in “Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati”, 209, s. VI, II, 4, 1960, 1962, p. 6. Il lavoro di Chiocchetti è stato ripreso e arricchito in un capitolo de La memoria della grande guerra in una città di conine: Rovereto 1918-1940, tesi di dottorato di Luca Baldo, relatore G. Corvi, Università degli
Studi di Trento (s.a.).
a ereditare parte dei suoi compiti4 – si arricchisce di altri particolari. Nel personale ricordo, che troverà spazio negli “Atti dell’Accademia degli Agiati”, più che cimentarsi in una biograia critica, egli tratteggia il cultore di memorie patrie, l’ideatore della Campana dei Caduti, il direttore della Biblioteca Civica, il personaggio pubblico; non dimenticando di riportare una bibliograia composta da 361 opere edite e da 14 inediti, da aggiungere a due opere postume e a tre periodici da lui diretti5. Ne esce il proilo di un uomo poliedrico, impegnato su molti fronti, fantasioso e poetico6, lavoratore indefesso, scrittore proliico, studioso e divulgatore delle «memorie patrie», collezionista di cimeli storici, ideatore di molte iniziative, patriota e cristiano, conservatore e rivoluzionario, irredentista e fascista, ambiguo sostenitore della guerra e dell’idea di pace. Un uomo che comunque ha amato Rovereto come nessuno, «escluso forse Rosmini», capace di dare alla sua città «tanto nome e tanta risonanza in Italia e nel mondo»7, scrive ancora Chiocchetti, ma anche contraddittorio nel pensiero e nelle azioni: ardente di amor patrio in relazione al conlitto, apparentemente meno focoso in seguito, ma ancora fermo sulle sue posizioni da protagonista nel ventennio littorio, quando concepirà e realizzerà la sua opera più nota e importante: la Campana dei Caduti. Dunque sicuramente un personaggio singolare, degno di essere studiato alla luce di nuove fonti e di una prospettiva più aperta rispetto ai condizionamenti del passato.
«In biblioteca, nei mesi freddi, portava sulle spalle uno scialle garibaldino e teneva in testa un berrettino alla iorentina», riferisce il Chiocchetti attingendo alla diretta conoscenza. «Un giorno che lo trovai, così acconciato, con i dirigenti del Partito Monarchico locale, gli dissi scherzando: ‘Come fa Lei, Don Antonio, ad essere monarchico con quello scialle garibaldino e con quel berretto quasi frigio? Non è mica un manto reale quello! È proprio lo scialle di Garibaldi, di Cattaneo e di Mazzini? - Rispose: In teoria posso anche ammettere con Lei la maggiore modernità delle repubbliche, ma in pratica sarò sempre monarchico, perché troppo bene ho avuto dai Savoia per la Campana e le mie opere».8
4 Dopo la morte di Antonio Rossaro, il Comune di Rovereto e il Curatorio afideranno a Valentino Chiocchetti la direzione della Biblioteca Civica e di quella dell’Accademia degli Agiati; questo in unione con Ferruccio Trentini e il preside Ravagni. Allo stesso Chiocchetti viene inoltre afidata la revisione del “Dizionario degli Uomini Illustri del
Trentino”, un lavoro lasciato incompiuto dallo stesso Rossaro. Cfr. in ChioCChetti, Don Antonio Rossaro cit., p. 5. 5 Per quanto riguarda i periodici sono citati “Alba Trentina”, rivista mensile 1917-1926; il “Bollettino de La Campana dei Caduti”, trimestrale 1930-1931; “El Campanom”, almanacco, 1926-1943. Tra le opere postume La campana dei caduti, ed Ciarrocca, Milano 1952 e Disposizioni testamentarie, s.e. Rovereto 1952. Una bibliograia parziale relativa ad Antonio Rossaro si trova anche in F. trentini. Don Antonio Rossaro. Con una Bibliograia essenziale di P. Pedrotti, in “Studi trentini di scienze storiche”, XXXI/1 (1952), p. 110-112. 6 Valentino Chiocchetti sottolinea spesso la natura poetica di Rossaro. Questo per lo stile e il carattere, ma anche in riferimento alle numerose composizioni che distinguono la produzione del sacerdote roveretano. 7 ChioCChetti, Don Antonio Rossaro cit., p. 9. 8 Ivi, p. 15.
Valentino Chiocchetti ha dunque cercato di esempliicare con una personale testimonianza alcuni aspetti di queste ambiguità, di queste dicotomie, che, in mancanza di una biograia aggiornata9, appare opportuno veriicare seguendo per quanto possibile il percorso della sua vita attraverso le testimonianze che provengono dalle molteplici pubblicazioni edite, nonché da alcuni inediti: i due volumi dell’Albo storico10, le oltre settecento pagine manoscritte del Canzoniere poetico11, gli appunti del Diario che vanno dal 1943 al 194512 , nonché il copioso fondo composto da lettere, articoli, giornali e scritti vari conservati presso l’Archivio della Fondazione Opera della Campana13. Circa 1600 documenti in questo caso, perlopiù ancora da inventariare con sistematicità e rigore14 .
Con un signiicativo inserto cronologico, potre ’ mo intanto partire da una pagina dell’opera La Campana del Caduti, uscita dopo la morte dell’autore, alla stregua di un’elaborazione celebrativa dell’Albo storico sopraccitato e di altri appunti15. In queste duecentosettanta pagine dal taglio retorico e dannunziano16, il sacerdote racconta in terza persona di se stesso, mascherandosi con lo pseudonimo Timo del Leno, usato del resto in tante occasioni17 .
9 Al di là del citato lavoro di Valentino Chiocchetti, e di qualche interessante ma circoscritto approfondimento, non esiste una biograia esauriente del personaggio. 10 A. rossaro “Albo storico della Campana dei Caduti”, ms. 25.10. (1-2) [ora anche Albo storico] conservato presso la Biblioteca civica di Rovereto (BCR). Si tratta di due volumi manoscritti, corredati da foto e stampati, che vanno dal 1924 al 1950, nei quali Rossaro ha annotato minuziosamente tutto quanto riguarda la storia della Campana. Non si tratta però di un diario, almeno per le note che vanno ino alla metà degli anni Trenta, ma di una probabile rielaborazione di appunti cronologici. Oltre a quanto si dirà in seguito, si veda ad esempio cio che viene riportato alla data del 1 ottobre 1924, allorché l’autore fa riferimento a una minuta indirizzata a Lunelli nel luglio 1932. 11 Cfr. BCR, “Poesie di Antonio Rossaro. Il canzoniere del mio cuore”, ms. 76/14. pp. 392-395. [ora anche Canzoniere] 12 A. rossaro, Diario 1943-1945. Il tempo delle bombe, a cura di M.B.Marzani e F. Rasera, “Museo Storico della
Guerra” ed Osiride, Rovereto 1993. Il manoscritto originale è depositato presso la Biblioteca civica di Rovereto, ms. 25.10 (3). 13 Presso l’Archivio della Fondazione Opera Campana dei Caduti di Rovereto (AFCCR) sono conservate sessantasei buste contenenti l’epistolario, i comunicati stampa, le minute di alcuni interventi e pubblicazioni, nonché altri documenti riferibili ad Antonio Rossaro. Assieme a questi una copiosa raccolta di articoli di giornale e fotograie che testimoniano la nascita e la storia della Campana ino al 1950. Oltre al materiale di Rossaro, l’Archivio conserva la documentazione relativa alla memoria della Campana dei Caduti, della città di Rovereto e del contesto nazionale e internazionale negli anni che dalla morte di Rossaro arrivano ino a oggi: ancora la rassegna stampa, fotograie, audiovisivi registri di contabilità e le serie relative alla corrispondenza, alle manifestazioni, alle relazioni con gli Stati aderenti europei ed extraeuropei, all’attività formativa, seminariale e pubblicistica dell’Università
Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace. 14 Questo forse anche a causa dell’eredità politica di Rossaro, che nel secondo dopoguerra e negli anni successivi divenne motivo di un certo oblio. A tale proposito si deve ricordare che il sacerdote fu sottoposto a un processo di epurazione, dal quale ne uscì assolto vista la sua igura e il carattere non ideologico e antidemocratico delle iniziative da lui animate. 15 A. rossaro, La Campana dei Caduti, ed. Ciarrocca, Milano 1952, 1953, pp. 38-39. Nell’Archivio della Campana si conservano anche alcuni abbozzi di quest’opera e le trattative con Ciarrocca per la relativa pubblicazione, che andrà in porto dopo la morte, Sono ancora ricordati gli aspetti relativi all’ideazione e alla realizzazione della Campana. 16 Si veda comunque il giudizio espresso da Renato Lunelli, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, XXXII/1 (1953), pp. 79-80. 17 Nella tradizione il timo rappresenta la diligenza, l’operosità, l’amore duraturo. Per gli antichi greci il timo era
Timo del Leno nel primo dopoguerra giunge a Vienna per parlare con il Cancelliere della giovane Repubblica, Ignaz Seipel18, in merito al progetto della Campana che aveva intenzione di fondere.
«Il dialogo non durò più di cinque minuti, e fu a battute nette e rapide. Idea, inalità della Campana, richiesta di cannoni per fonderli in essa, ecco tutto! L’ultima parola di Seipel, bene; l’ultima di Timo del Leno, Grazie», attesta l’autore. «Dopo questo colloquio si recò alle Tombe Imperiali, ai Cappuccini. Fin dal primo momento che aveva concepito l’idea della Campana si sentì in dovere di accedere a tale impresa con purezza di cuore e con francescana fratellanza, come ad un rito. C’era però una certa partita da chiudere. Egli era sempre stato cordialmente avverso all’Austria degli Asburgo. Occorreva levar di mezzo tale impedimento: s’imponeva quindi un atto di conciliazione. Come poteva accingersi a questa sublime impresa di fratellanza, egli che in dai banchi della scuola aveva un’implacabile avversione all’Austria; che durante la guerra col suo “Trentino nostro” e con “Alba Trentina” condusse, da buon irredentista, una lotta contro l’Austria di Francesco Giuseppe, e che alla morte di Cesare Battisti scrisse contro gli Asburgo un’epigrafe che fece il suo clamore19, tutte cose che procacciarono dall’Austria il mandato di cattura per “alto tradimento”? Eppure, l’ora e il luogo erano tanto propizi alla conciliazione! In in dei conti la Guerra Mondiale era inita. La vecchia Austria era crollata sotto le sue millenarie rovine ed era stata spazzata via del tutto, mentre il suo popolo aveva ritrovato se stesso sulla via del suo grande destino».
Timo del Leno dunque visita le «Tombe Imperiali», con sentimenti certamente diversi da quelli del grande scrittore austriaco Joseph Roth, che alla ine del conlitto compie lo stes-
simbolo di vitalità (da Thymos, sofio vitale, forza, coraggio ): essi credevano che la pianta si fosse originata dalle lacrime di Arianna, emesse a causa dell’abbandono dell’amato Teseo. Il pianto ‘profumato’ attrasse però le attenzioni di Dioniso che la prese subito in sposa. Lo pseudonimo Timo del Leno, adottato da Rossaro, potrebbe forse voler indicare una persona operosa, vitale, innamorata della sua città “abbandonata” dall’Italia, ovvero Rovereto, rappresentata dal torrente Leno che l’attraversa. L’interpretazione sembra trovare qualche conferma nella poesia dal tono pascoliano: Al mio pseudonimo Timo del Leno, composta dallo stesso Rossaro nell’aprile 1909 nel
Collegio dell’Angelo di Rovigo. Cfr. BCR, “Poesie di Antonio Rossaro” cit., pp. 392-395. Così il Rossaro nella strofa inale: «A voi pergiunga col soavissimo / Odor del timo dai tenui petali, / E il murmure lene voi tocchi, / Che sa l’onda del patrio mio Leno». 18 Uomo politico austriaco (Vienna 1876 - Pernitz, Berndorf, 1932), sacerdote (1899) a Vienna, dove si laureò in teologia; dal 1908 professore di teologia morale nell’Università di Salisburgo. Chiamato (1917) nell’Università di Vienna, partecipò attivamente alle riunioni del partito cristiano-sociale. Fautore di una monarchia federale con larghe autonomie nazionali, entrò (1918) nel gabinetto Lammasch quale ministro della Previdenza sociale.
Deputato all’Assemblea nazionale (1919), acquistò una posizione dominante nel partito cristiano-sociale, che lo elesse a suo presidente (1921). Cancelliere federale (1922-24 e 1926-29), è merito suo la ricostruzione inanziaria dell’Austria dopo la guerra; ma a lui si deve anche l’indirizzo autoritario impresso allo stato austriaco, in netta opposizione alle correnti socialdemocratiche. Fu poi (1930) ministro degli Esteri nel governo (ndr). 19 Cfr. A. rossaro, Omaggio a Cesare Battisti. tip. Sociale, Rovigo 1917.