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1.5. Antonio Rossaro e “Alba Trentina”

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Bibliograia

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se non avevano la nota battagliera dell’irredentismo, avevano quella caratteristica del nuovo nazionalismo che di quella, senza averne l’apparenza, era l’anima che mai doveva morire»90 .

1.5. Antonio Rossaro e “Alba Trentina”

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“Alba Trentina” inizia a diffondere la sua voce da Rovigo nel gennaio 191791, praticamente quando il Collegio dell’Angelo Custode viene chiuso e trasformato in ospedale della Croce Rossa92. La rivista seguirà poi gli spostamenti del suo ideatore e direttore, ovvero lo stesso Rossaro: nel 1920 uscirà dunque per un breve periodo a Milano e nel 1921 a Rovereto, dove troverà ospitalità nella «sala rossa» del castello, il quale si appresta a consacrare la redenzione in qualità di museo della guerra93 . La pubblicazione mensile, che ancora tramite il lavoro di Giorgio Wenter94 assume una veste graica ispirata ai motivi delle municipalità medievali, ha un nome e un programma che rilettono chiaramente la linea del suo ideatore e già dal primo numero mette in evidenza i temi che serviranno a interpretare la guerra e a codiicarne la memoria in una precisa direzione».

Nell’alba, titola l’editoriale composto da Rossaro con una prosa retorica e nazionalista che non lascia margini a interpretazioni.

90 Ibidem. 91 “Alba Trentina”, esce mensilmente dalla redazione di Rovigo dal 1917 all’ottobre 1920. Direttore è Antonio Rossaro, gerente responsabile Sante Tassoni; la stampa è della tipograia Valbonesi di Forlì. Dal novembre 1920 al settembre 1921 la redazione del giornale viene spostata a Milano. La stampa è ancora della tipograia Valbonesi e il direttore è sempre Rossaro. Dall’ottobre 1921 al 1926 “Alba Trentina” esce invece a Rovereto, interrompendo comunque le pubblicazioni nel 1925 e pubblicando solo tre numeri nel 1926. Direttore è ancora Antonio Rossaro e lo stampatore Guido Rossaro di Sacco. Nella prima redazione troviamo Livio Gasperetti, Luigi Munari, Gino Buffa, Maria Gasperini (Nigritella), Nazzareno Angeletti, Giannino Tessaro, ai quali di volta in volta si afiancano altri collaboratori. A. nave, Irredentisti in Polesine cit., pp. 497-515. Il 1 gennaio 1917 Antonio Rossaro fonderà anche la “Famiglia trentina”, un’associazione fra gli «irredenti trentini» residenti nella città veneta, la quale si proponeva di mettere in comune «l’impellente bisogno d’un fraterno scambio d’idee e di mutui conforti nella grigia ora che passa. [...] Lieta poi di rappresentare così Rovigo, gentilissima fra le cento città d’Italia, il popolo trentino, la cui immutata fede costa il martirio di quest’ora». Ne fanno parte «gli irredenti» Antonio Rossaro di

Rovereto, Livio Gasperetti di Malé, Luigi Munari di Cogolo, Gino Erba di Pieve Tesino e Giannino Tessaro, oriundo di Pieve Tesino. Cfr. L. Monari, La “Famiglia trentina” in Rovigo, in “Alba Trentina”, II/1 (gennaio 1918), pp. 24-28. 92 Rossaro, in un articolo del 1919 relativo all’inaugurazione della bandiera, riporta che nel maggio 1916, per l’inaugurazione del monumento a Battisti, “Alba Trentina” dovette chiedere in prestito la bandiera tricolore del Collegio dell’Angelo Custode, allora chiuso per essere ospedale della Croce Rossa. Cfr. a. rossaro, Inaugurazione della bandiera di “Alba Trentina”, in “Alba Trentina”, III/11-12 (1919), p., 282. 93 Nel 1921, dopo un anno trascorso a Milano a insegnare all’Istituto Bognetti, Rossaro tornerà deinitivamente a

Rovereto. 94 Per i rapporti fra Rossaro e Giorgio Wenter cfr. ancora nave, Irredentisti in Polesine cit.

«La notte che fosca opprimeva da secoli il Trentino sta per dileguare nel fresco sospiro dell’alba nuova. I tremuli laghi, azzurre pupille dell’Alpi, si schiudono in una pompa di colli esultanti, sotto le snelle guglie nevate che brillano in un cielo d’opale. L’ultimo gendarme austriaco discende torvo e pensoso dal Castello di Trento, e segue l’aquila d’Asburgo, che per lunga pezza ne fece un covo insanguinato; sulla Verruca, ove splendé la gloria di Roma, muove l’alata Vittoria per dare ai venti il tricolore. Tutti i popoli hanno un destino segnato dalla natura, e tutti devono ad esso pervenire per quanta possa di forze esteriori ne contrasterà. Il popolo trentino tenne sempre puro il germe di Roma in mezzo a tanti cimenti, sotto l’azione denaturante d’un autocrazia straniera, bisogna pure convenire che un propizio nume vegliasse alle divine fonti dell’Adige sui destini dell’eletta Nazione. Il rito grande, luminoso, ieraticamente solenne che sta per compiersi; non è solo festa del Trentino, ma di tutta l’Italia, che in quell’estremo lembo di terra, fece un’ara cruenta, su cui immolò al suo radioso sogno di maggiore grandezza, la freschissima ioritura di questa sua terza primavera95. Ogni zolla del Trentino è sacra, e domani ogni zolla avrà onore di pianto e bianca letizia di iori. Nel rosso di tanto sangue, nel biancore di tanta fede, nel verde di tante gioie primaverili, l’alba risorge dal mare nostro fusa all’iride tricolore che splende, nitido arco di pace, sul dolorante Trentino. Ed è appunto nell’auspicio di tanta luce che la nostra modesta rivista, la quale nel trentino raccoglie il martirio, la fede, le speranze, si chiama alba trentina»96 .

Si condensano dunque qui le inalità del sacerdote roveretano, il quale nelle pagine iniammate della sua creatura rivela in fondo se stesso, il suo modo di pensare la guerra, di forgiare la memoria della sua terra da redimere e redenta, di una nuova nazione. Antonio

95 La terza primavera viene dopo le prime due, quella romana e quella veneziana. 96 Così il resto dell’editoriale: «Nei tenui veli dell’alba tramano paure di tragiche insonnie, e sfumano nella sua bianca luce i fantasmi ardenti di sogni: nell’alba sussultano i primi brividi della faticosa vita umana, e le speranze battono con gioiose rame in iore dai nostri cuori. E nella nostra rivista turbineranno appunto, in un convulso abbracciamento, le tristi paure e le fosche tragedie del passato, tante nostalgiche rimembranze, e lunghe gioie ineffabili. La nostra rivista, che durerà quanto l’alba di questa nuova era, raccoglierà, con dolce senso di pietà, tutto ciò che di bello, di toccante, di forte, potrà dare questa grande ora, unica nella storia trentina. Saranno cose di ieri, cose di domani, ma che tutte porteranno le sanguinose stigmate di questa nuova settimana santa, sacri giorni di passione, in cui il Trentino ha il suo cuore tutto a brandelli sanguinanti nel mondo. Scopo della nostra modesta rivista è riunirci e confortarci nel supremo ideale della nostra vicina resurrezione. È far conoscere a tutti il nostro

Trentino. È preparargli dai fratelli del regno di ieri, quell’accoglienza generosa, calda, soave di cui la sua intemerata e rigogliosa italianità lo fece degno. Quando l’Italia giunta a Trento redenta, in faccia al glorioso Castello, eco lontana di Roma, di fronte al vetusto duomo, gloria epica dei Comuni, ai piedi di padre Dante, anticipato messaggio della più grande Italia, chiuderà il volume dei suoi destini, sigillandolo con l’impronta sotto l’arco Druso alle porte del Brennero, l’Alba Trentina compiuta la sua breve missione, si fonderà alla luce del nuovo giorno, lieta di aver gettato il suo seme nei giorni dell’angoscia per giorni della gloria. Rovigo, gennaio 1917». Cfr. “Alba

Trentina”, I/1 (1917) pp. 1-2.

“Alba Trentina”, Anno 1917. L’editoriale del primo numero.

Rossaro descrive dunque il Trentino come ara cruenta, zolla sacra da onorare con il pianto e i iori della primavera che dovrà sorgere. Il covo insanguinato degli Asburgo deve essere conquistato alla gloria di Roma; è necessario sconiggere l’azione denaturante dell’autocrazia straniera, per celebrare la vittoria alata, insita nei destini della Nazione. I colori della bandiera italiana si fondono con il martirio e le virtù teologali: il rosso del sangue, il bianco della fede, il verde della speranza97. Solo allora potrà sorgere l’alba nuova e la pace promessa dal destino. Lo scritto continua ribadendo le inalità della rivista che il suo direttore dichiara di volere viva ino a che il giorno non venga a nascondere l’alba. Paragona la guerra alla settimana santa, ai giorni sacri della passione, nei quali Cristo compie il sacriicio della croce per risorgere e redimere l’umanità. Un’umanità trentina, romana e italiana, capace di spingere la redenzione in sotto l’arco di Druso, con un anticipo di tempi e di modalità che troveranno il modo di affermarsi alla ine del conlitto, con le conseguenze che conosciamo. Solo allora l’alba trentina avrà compiuta la sua missione, «lieta di aver gettato il suo seme nei giorni dell’angoscia pei giorni della gloria», conclude la pagina.

Si è preferito segnalare in corsivo alcuni termini del bagaglio semiotico che caratterizza la predicazione debordante di Rossaro: un bagaglio che rivela la sua personalità, l’intreccio fra la politica e la religione, il misticismo sacro e profano, in un costrutto retorico che sarà per certi versi anche il linguaggio del fascismo. “Alba Trentina” nei due primi anni ha il compito di tenere alto il valore della guerra, della redenzione. Per questo si impegna in un’opera divulgativa e didattica, da condurre con diverse modalità. Giustiicando il conlitto prima di tutto; rendendo sacro il sacriicio laico e religioso dei “credenti” in armi, dei “martiri” in armi: Cesare Battisti, Damiano Chiesa, Fabio Filzi, prima di tutto, poi i soldati italiani sacriicatisi - non sacriicati - «sui fronti benedetti e insanguinati»; enfatizzando le «pagine gloriose» della guerra; segnalando le personalità e le istituzioni trentine antesignane dell’idea nazionale, gli episodi eclatanti del Risorgimento. «Ora o mai», proclama Robor nel numero inaugurale, richiamando l’appassionato articolo di Cesare Battisti pubblicato sul “Secolo d’Italia”, che considerando il Trentino una questione nazionale affermava: «O saremo redenti ora; o saremo dannati a sparire dalla Storia d’Italia»98. E Rossaro rincara: «Ieri bastava vincere, e a ciò era suficiente il Trentino, ottima piazzaforte di difesa per noi contro l’Austria; oggi bisogna stravincere, e non basta il Trentino, occorre qualche cosa di più: l’Alto Adige, o meglio il possesso

97 L’iridescente bandiera italiana sembra richiamare quella arcobaleno della pace, di una pace promessa dalla storia, si può dire, come nella citata rilessione che Rossaro fa in occasione del viaggio a Vienna. 98 C. Battisti, Scritti politici, a cura di R. Monteleone. Introduzione di A. Galante Garrone, ed. La Nuova Italia,

Firenze 1996, pp. 477 ss. Anche in S. B. galli, L’interventismo studentesco e l’”Ora presente” cit., p. 154.

del Brennero, per il quale 72 volte scesero i barbari nel bel giardino d’Italia... I triplicisti si preoccupano di ciò che dirà la storia della rottura della Triplice da parte dell’Italia, e inorridiscono davanti alla requisitoria che Francesco Giuseppe fa nel suo famigerato proclama alle sue truppe al principio della guerra». Poi via una serie di argomenti per giustiicare la scelta di campo, per dire che l’Italia era stata trattata come una Cenerentola, che i trattati non erano stati violati, che si doveva ritornare al conine tracciato dalla natura ecc99 . Su queste basi Rossaro dà quindi corpo alla costruzione della nuova mitologia cittadina, alla giustiicazione storica dell’irredentismo e della liberazione dal giogo straniero. Procede alla deinizione della parabola risorgimentale a partire dal 1848, mettendo in luce l’apporto degli uomini illustri e cercando di mostrare la partecipazione delle classi subalterne all’epopea patriottica. La rivista non perde poi occasione per far risaltare l’italianità della regione; ne loda l’arte e l’architettura, pubblica poesie e novelle patriottiche, indica le corrette letture da farsi, disegna quadri di guerra e di prigionia, si occupa della donna, di istruzione e di cultura, degli Alpinisti tridentini e degli Agiati, di archivistica e di letteratura, di toponomastica e di economia; mette in evidenza l’importanza del carbone bianco per lo sviluppo della regione, si fa carico di raccogliere sottoscrizioni per erigere monumenti, per restaurare ediici o chiese; non perde occasione per celebrare onoranze e ricorrenze e così oltre.

A tenere banco in maniera martellante è senz’altro il culto dei martiri, celebrato con ogni maniera. Non c’è praticamente numero che non tratti del loro ardimento, evocato in termini di nemesi positiva, consacrato in mille scritti e nelle pietre da tramandare indelebili, per una memoria imperitura, come le radici del culto cristiano. Come i martiri del cristianesimo appunto, capaci con il loro sangue di sconiggere i pagani e di generare la chiesa. È un culto che nasce rapido, che non ha bisogno di aspettare il 1919, anche se ovviamente non poteva manifestarsi uficialmente inché la guerra era in corso, soprattutto, per ovvi motivi, in Trentino. Lo stesso Rossaro nel gennaio del 1917 dà comunque il via a una raccolta di fondi per realizzare un monumento, «che non conoscerà tramonti», come egli scrive, ai «due grandi martiri roveretani» Damiano Chiesa e Fabio Filzi100; mentre già nel 1916 aveva promosso a Rovigo la costruzione del primo monumento italiano a Cesare Battisti, inaugurato nel maggio dell’anno successivo101 .

Ma nella costruzione memoriale la rivista non dimentica di toccare altre corde. Lo fa ad esempio con Quadri di guerra e di prigionia, dove viene messo in risalto il destino dei

99 roBor [A. Rossaro], Ora o mai, in “Alba Trentina”, I/1 (1917), pp. 30-33. 100 Cfr. “Alba Trentina”, I/1 (1917), pp. 28-29; I/II, p. 87. 101 Il busto marmoreo, murato sulla facciata di casa Negri, verrà eseguito dallo scultore Virgilio Milani. Cfr. in nave, Irredentisti in Polesine cit., p. 507.

soldati trentini, «costretti» a combattere, morire o patire la cattività per una causa non propria sul fronte orientale (e in particolare in Galizia); lo ribadisce trattando diffusamente le tristi condizioni dei civili deportati a Katzenau e la sorte delle popolazioni evacuate in Austria, Moravia e Boemia102; lo ripete dando enfasi alla rubrica Sacre zolle trentine, nella quale elenca i profughi sepolti nei cimiteri di Braunau e Mitterndorf103. Lo proclama poi esaltando l’italianità di Rovereto e descrivendo il «martirio terribile» della città «sentinella d’Italia alle frontiere atesine, unico baluardo dell’Austria a mezzogiorno», la quale «sentì passare sopra le sue aperte piaghe tutto lo strazio della guerra»104. Allo stesso tempo sollecita un pronto risveglio, senza trascurare i beneici, anche economici, che avrebbero potuto derivare da una sollecita ripresa dei luoghi toccati dal conlitto105 .

Ma non è solo attraverso “Alba Trentina” che don Rossaro persegue il suo obiettivo. Altri sono gli scritti, molti i contatti con importanti personaggi dell’epoca che egli cerca di coinvolgere. Porta la data 1918 l’atto unico della commedia patriottica L’esploratore trentino, che «tra l’allegorico e il patetico»106 mette a confronto la igura di un profugo, troppo acerbo per prendere parte alla guerra, con quella di due disertori nascosti da una pastora della campagna polesana, i quali feriscono il giovane allo scopo di rubargli la posta che intende recapitare ai soldati. Anche qui la religione e la patria si mescolano nell’esplicita allegoria del sacriicio e del tempio. Il ragazzo ferito sente il canto della preghiera che proviene da una chiesa. Dalle vetrate assiste alla messa e al Sanctus «raccomanda al Dio degli eserciti, con iniammata parola d’amor patrio, la bandiera del suo reggimento; al Pater Noster invoca l’unità e la grandezza d’Italia; alla comunione dedica il suo sangue unito a quello di tutti i martiri della patria; alla benedizione si alza con uno sforzo estremo, poi si segna per ricadere in agonia»107. Si tratta di un frammento ripreso dal testo, peraltro anche questo scomparso nella sua interezza, forse non a caso, dove il Rossaro riversa l’iperbole dei suoi sentimenti, fagocitando un Dio tifoso dell’Italia e sacrando ogni goccia di sangue immolato all’altare del patriottismo.

102 Interessanti a questo proposito le testimonianze riferite dagli stessi protagonisti, così i lunghi elenchi dei deportati a

Katzenau, degli internati nelle cosiddette “città di legno”, nonché i nomi dei profughi deceduti nelle varie località. 103 “Alba Trentina”, V/1 (1921), pp. 27-32. 104 «L’Austria ha consumato il suo delitto gettando in un ultimo sfogo di vendetta il pugnale nel cuore dell’indomita città... Mai, io credo, dopo l’invasione dei barbari medioevali, le nostre vallate rintronarono di tanti urli angosciosi e di tanti rumori strazianti; né mai le nostre paciiche cime, videro attraverso i secoli scene d’un esodo tragico».

A. rossaro, Il martirio di Rovereto, in “Alba Trentina”, A. III/1 (1919), pp. 5-6. 105 «Una delle gite più gradevoli e interessanti per i forestieri che si recavano a Rovereto prima della guerra era senza dubbio quella di Castel Dante, intorno al quale i secoli hanno intessuto un’aureola di episodi e di fatti per cui rimane venerando ad ogni generazione» [...] Oggi Castel Dante ha assunto un’importanza maggiore: la guerra odierna, che infuriò intorno ad esso nell’offensiva del 1916, ha inciso su quell’unico rudere che ancor resta una pagina memoranda».tiMo del leno [a. rossaro], Castel Dante di Lizzana, in “Alba Trentina”, A. III/1 (1919), pp. 17-19. 106 nave, Irredentisti in Polesine cit., p. 509. 107 iris, L’esploratore trentino, recensione dell’opera di Rossaro in “Alba Trentina”, II/10 (ottobre 1918), pp. 174-175.

Sono immagini che ricorrono con enfasi anche alla ine della guerra, quando Rovigo viene «invaso da un’onda di patrioti e di amici», pronti fra l’altro ad ascoltare il saluto del sacerdote alla Madre Italia e a Rovereto redenta108. Quando nel «salotto verde» di “Alba Trentina” venne deciso di solennizzare l’agognato giorno con una composizione che Rossaro accetta di comporre e di mettere in scena. Anima trentina, titola il dramma storico rapidamente scodellato nel teatro di Rovigo la sera del 19 gennaio 1919, davanti a un pubblico affollatissimo e «ancora vibrante dell’entusiasmo della vittoria» Il lavoro, mediocre a giudizio del suo stesso autore, venne replicato a Ferrara, e poi di nuovo a Rovigo «per la grande serata di gala in onore degli studenti dalmati» giunti in città a scopo di propaganda. «Il perno è una famiglia storica del Trentino, nella quale il padre ed il iglio presentano due correnti opposte: il primo tutto l’Austria, il secondo tutto l’Italia», apprendiamo dalla recensione pubblicata da “Alba Trentina”. Lo sfondo storico è quello risorgimentale, che va dal 1848 al 1866; i fatti risentono dell’esperienza mazziniana e garibaldina degli zii; i personaggi richiamano i nomi noti della causa nazionale: Giovanni Prati, Ergisto Bezzi, poi Filippo Manci, Damiano Cis, Giuseppe Canella, Eugenio Panizza, Vincenzo Andreis. Il copione per il resto è prevedibile e stereotipato. I cospiratori giurano la loro fede sul tricolore. Ma quando la fortuna sembra arridere, e la conquista di Trento appare vicina, ecco la resa comandata da Garibaldi, che obbliga il Trentino a «bere il calice amarissimo ino alla feccia. Ma il sangue dei martiri non germina invano», proclama uno dei protagonisti fra i lamenti dei presenti, scorgendo «il fulgor d’una lontana ma non dubbia aurora italica»109; quella che di fatto sorgerà nel 1918, con la ine della guerra. Quella che appunto sulla scena si celebra fra il tripudio di bandiere tricolori. Il motivo dell’attesa, delle radici e della loro germinazione è un refrain che troviamo di frequente sia nelle pagine di “Alba Trentina” che in altri articoli. Una sorta di immanenza storica, verrebbe da dire, sulla scorta della stessa ilosoia scolastica di Pio X che potrebbe rappresentare anche la chiave per interpretare fra l’altro due articoli che compaiono su “La lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera”. Nel primo, pubblicato ancora nel 1915, il Vannetti viene deinito «il primo poeta irredentista» del Trentino, la cui azione culturale costituisce appunto il seme dal quale nel tempo non mancheranno di maturare i frutti; nel secondo, del 1921, dedicato alle trentine condannate dall’Austria, il seme è

108 «Sulla torre di Rovereto, veneranda per secoli e per veneziane tradizioni, splende il tricolore intorno a cui aleggiano le anime di Vannetti, di Rosmini, di Chiesa e di Filzi, questi ultimi purpurei iori che adornano la sua bendata fronte. Nessuna cerimonia più memoranda e solenne di quella di oggi poteva, per me, proclamare Rovereto redenta; nessun tempio a me più grato, all’infuori della vostra storica piazza, poteva consacrare la sua redenzione; né io, modesto rappresentante della sua cittadinanza tribolata e dispersa potevo desiderare battesimo d’italianità più solenne». Cfr. in nave, Irredentisti in Polesine cit., p. 510. La «sera della Vittoria, 4 IX 1918», Rossaro compone anche la poesia Patria redenta, subito musicata da Riccardo Zandonai. Cfr. Canzoniere cit., p. 588. 109 pio ventero, La strana fortuna di Anima trentina, Dramma di A.R. in“Alba Trentina”, V/2 (febbraio 1921), pp. 49-60.

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