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2.3. Universalismo cristiano e romano
2.3. Universalismo cristiano e romano
L’accezione più importante di questa internazionalità è certamente rappresentata dall’universalismo cattolico che impregna il simbolo Campana dei Caduti. Don Rossaro narra, nelle pagine del 1952, la genesi della prima Magna Charta, il primo12 statuto della Campana, facendola risalire all’11 aprile 1925, allorquando si trovava a Roma in uno dei minuscoli alberghetti situati nella “Spina di Borgo”, poi demolita per far posto a Via della Conciliazione.
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«Da una di quelle inestrelle contemplava l’oceanica folla che gli stava sotto: igli di tutte le terre, fogge di vestiti e di acconciature d’ogni costume, parlate di ogni nazione, facce di tutte le razze. Tutto il mondo era lì con i suoi rappresentanti. (…) Al cospetto di quella massa cosmopolita in cui palpitava il cuore di tutto il mondo, Timo del Leno, pur piccino, avvertì nel suo cuore un nuovo senso di fratellanza; e fu proprio lì, in faccia al massimo tempio della cristianità, davanti a quella folla convenuta da tutto l’orbe, che consacrò con la Magna Charta la “universalità” della Campana dei Caduti»13 .
Lo Statuto del 1925 in effetti precisa: «Il pensiero che ha eretto questo simbolo di sublime fratellanza, deriva dalle tradizioni romane della nostra Terra e dall’universalità della Chiesa Cattolica Romana, ambedue gloria e vanto della Nazione italica: tale monumento quindi non poteva essere eretto che dall’Italia nostra»14 . La densa prefazione allo statuto del 1929 è sorprendentemente chiariicatrice.
«L’idea della Campana dei Caduti, sbocciata al suono d’una lontana avemaria oscillante in un limpidissimo tramonto lombardo, si tramuta sotto il trionfale arcobaleno del Fascismo, prendendo da esso quel rilesso di autentica romanità, che esclude affatto ogni falsa interpretazione del suo spirito di universalità che ha la sua fonte principe nel cristianesimo “di quella Roma, onde Cristo è romano»15 .
Don Rossaro in questa prefazione sembra preoccuparsi particolarmente di eventuali “false interpretazioni” e mi sembra di poter dedurre un gioco degli internazionalismi concorrenti. Infatti Rossaro prende le distanze, se mai ce ne fosse stato bisogno, da quello che sembra essere l’internazionalismo comunista.
12 L’evoluzione degli Statuti (o Magnae Chartae) dal primo del 1925 ino all’ultimo del 1948 potrebbe occupare uno studio a parte viste le continue modiiche, gli aggiustamenti, le riscritture. 13 rossaro, La Campana cit., p. 95. 14 Statuto della Campana dei Caduti in Rovereto, ed Mercurio, Rovereto 1925. 15 Statuto della Campana dei Caduti in Rovereto. Prefazione di A. Rossaro, ed. Manfrini, Rovereto 1929, p. 7. In questo documento, Roma è presentata come «madre di tutte le genti» e «diretta erede della sapienza legislativa di Roma che dominò per lunghi secoli i destini dei popoli».
La Campana «pur essendo fusa con i cannoni offerti d’altri popoli; pur commemorando di tutte le Nazioni i gloriosi Caduti; pur avendo con le varie Ambasciate estere continui e buoni rapporti, non è, né mai sarà l’istrumento dell’internazionalismo e cosmopolitismo senza patria, ma resterà sempre memore e ammonitrice voce dell’Italia cristiana e romana, che tutte le sere, riabbracciando, sia pure per un momento, ai piedi della pia Campana, sotto lo stesso cielo, sotto le stesse stelle, tutte le Nazioni, canta nella rievocazione di tutti i Caduti, l’inno della più sacra fratellanza, riiorita su comuni campi di battaglia e di gloria»16 .
L’internazionale cristiana è così una “internazionale” di Stati-Nazione e la paradossale fratellanza tra i popoli invocata da Rossaro funziona dividendo l’umanità in blocchi etnico-culturali separati e indipendenti. Tutti hanno la propria Patria.
«Così tutte le genti della terra, di tutte le lingue e razze e religioni, si ritrovarono, per un momento, spiritualmente riunite intorno a questo bronzo, simbolo di umanità, che vuole ricordare in ogni tempo e in ogni luogo i fratelli caduti in nome del più sublime e indistruttibile ideale: la patria, col suo focolare, colla sua lingua, colle sue leggi, colla sua storia, colle sue genti»17 .
Nella visione di don Rossaro la Chiesa cattolica sembra diventare l’autorità garante di questa “internazionale”, il pilastro legittimante dell’ordine sociale e politico così strutturato. Eppure nei decenni precedenti larghe parti della Chiesa cattolica erano state esplicitamente e ferocemente nemiche dello sviluppo della nazione moderna, in particolare nella sua declinazione italiana, portatrice dell’estinzione del potere temporale del papato. A livello di libero richiamo e chiariicazione trovo opportuno citare lo scritto di Carl Schmitt del 1923, Cattolicesimo romano e forma politica, che mette insieme molte delle questioni che entrano in gioco in questo discorso e aiuta a comprendere la vocazione alla trasversalità, alla ambiguità e alla lessibilità del semioforo Campana dei Caduti.
«Che la Chiesa cattolica romana come sistema storico e come apparato amministrativo continui l’universalismo dell’impero romano, le è riconosciuto con sorprendente consenso da ogni parte. (…) Ora è tipico di ogni impero mondiale manifestare un certo relativismo verso la variegata moltitudine dei possibili punti di vista (…). Ogni imperialismo che sia più di un semplice schiamazzo, porta in sé degli opposti: conservatorismo e liberalismo, tradizione e progresso, perino militarismo e paciismo»18 .
16 Statuto della Campana 1929 cit, p. 5.
17 rossaro, La Campana cit., p. 133. 18 C. sChMitt, Cattolicesimo romano e forma politica, il Mulino, Bologna, ried. 2010, p. 12.
La Chiesa cattolica raccontata da Schmitt è una complexio oppositorum, un ente capace di abbracciare le più diverse opposizioni. Capace di mediare la complessità del reale e ridurlo a unità. Questo tipo di chiave di lettura, nonostante la distanza abissale19 tra due cattolici come Rossaro e Schmitt, diventa illuminante nell’analisi simbolo Campana, costruito su una serie continua di dualismi20. Da questo punto di vista la Campana e il suo universo simbolico rappresentano un microcosmo completo, una rappresentazione ideale del mondo immaginato da don Rossaro e dalle élite borghesi che costruirono il nostro panorama della memoria. Per Schmitt la principale prestazione concreta della chiesa cattolica consiste, appunto, nella sua capacità rappresentativa, nella capacità politica di creare forma a partire dal disordine del mondo. Ebbene per lui questa capacità è essenzialmente giuridica, ma declinandola diversamente, non mi sembra sconveniente attribuirla alla dimensione rituale, monumentale e simbolica. Se, sulla falsa riga di Schmitt, attribuiamo al razionalismo moderno una deicienza di capacità politica originaria, dal momento che la modernità borghese pretende di costruire il pubblico a partire dall’individuo (fatto inaccettabile per Schmitt), allora possiamo considerare il riavvicinamento progressivo dello Stato e della Chiesa come una necessità sentita come ineludibile dalle classi dirigenti italiane verso il ine dell’ordine sociale e della stabilità, Gli strumenti afinati nei secoli dalla Chiesa sembrano farsi, sempre più, strumento di questo ordine. Se ciò non rappresenta certo una novità nell’Europa dell’Ottocento, basti come esempio l’analogia tra le pratiche simboliche giacobine e quelle di antico regime nella Francia rivoluzionaria, fu con la Grande Guerra che la prossimità fra le pratiche civili e le pratiche religiose si fece più stretta. Tappa fondamentale di questo processo, per l’Italia, va considerata la guerra di Libia del 1911. Si accavallano in quell’anno (in contemporanea alla consacrazione a sacerdote del nostro don Rossaro), il cinquantenario dell’unità d’Italia e l’inaugurazione del monumento nazionale a Vittorio Emanuele a Roma (che dieci anni più tardi avrebbe ospitato le spoglie del Milite Ignoto). A proposito di questo ultimo avvenimento, Ilaria Porciani scrive: «Tornava, con accenti antichi e al tempo stesso nuovi, l’idea della sacralità della patria e della crociata, del nesso non più tra trono e altare ma tra religione e nazione. Il corpo mistico della chiesa sembrava proiettare la propria forza sul legame che doveva tenere insieme il corpo sacro della nazione»21 .
19 Fra le molte cose, basti pensare al disgusto di Schmitt per il cattolicesimo romantico e mistico che invece ben si addice a Rossaro. 20 I dualismi che ho rintracciato sono: pace e guerra, il cristo redentore e la madonna addolorata, l’eroe delle battaglie e l’eroina del focolare, la partenza e il ritorno, la luce e l’oscurità, il sole e la luna, la dimensione visiva e la dimensione uditiva, la ragione e il sentimento. 21 i. porCiani, La festa della nazione. Rappresentazione dello Stato e spazi sociali nell’Italia unita, ed. il Mulino,
Bologna 1997, p. 192.
La parabola dei cappellani militari22 italiani, dalla progressiva uscita dall’esercito tra il 1865 e il 1878, al loro massiccio rientro per volere di Cadorna nel 1915 (ma abbiamo anche qui un’anticipazione con la guerra di Libia e il reclutamento di alcuni di loro limitatamente alle unità sanitarie) è rappresentativa di questo percorso. Lo scenario pubblico a suo tempo egemonizzato dall’istanza statale e borghese nonché interdetto a una chiesa cattolica restia ad accettare il tramonto della società classista premoderna, si apriva nuovamente ai sacerdoti, intesi come igure capaci di assecondare ed imporre le nuove relazioni di potere. Non è di secondaria importanza il fatto che sia don Rossaro che il suo successore (dal 1953 al 1973) alla guida della istituzione che gestiva la Campana dei Caduti, padre Eusebio Iori, furono cappellani militari. Cercando di far parlare il più possibile le fonti, citiamo ancora il Rossaro del 1952.
«[La campana] renderà il suo omaggio a Cristo Redentore, il Principe della pace e il Re degli eserciti, avvolgendosi nell’augusto silenzio della liturgia cristiana»23 .
Insomma, si potrebbe affermare, metaforicamente, che siamo in presenza di un Cristo che si riconcilia con il soldato, preferibilmente graduato (e quindi, implicitamente, con il pater familias borghese, vertice gerarchico della famiglia, famiglia che era la cellula fondamentale della nazione in tanti discorsi ottocenteschi). In effetti sembrerebbe dimostrata, con le ricerche di Roberto Morozzo della Rocca, l’attitudine dei cappellani militari, durante la Grande Guerra, a sentirsi parte, manifestare attenzione ed empatia per il corpo degli uficiali dell’esercito più che per la semplice truppa24, la cui prossimità era relativa, più che altro, ai cosìddetti preti-soldato, i religiosi inquadrati come semplici soldati, che condividevano, spalla a spalla, le loro sorti. Ebbene, il discorso sviluppatosi intorno alla Campana risente certamente del clima italiano, dove, accanto alla celebrazione del Milite Ignoto, vero e proprio fulcro dell’interclassismo nazionale, troviamo una decisa celebrazione dei capi in battaglia. È suficiente ricordare la centralità delle tombe del duca d’Aosta e dei suoi generali al sacrario di Redipuglia. L’attenzione per la parte gerarchicamente alta degli eserciti (e di rilesso delle società) è in effetti caratteristica del semioforo Campana. Anche per questo don Rossaro intrecciò dunque rapporti epistolari con le ambasciate e le più alte cariche militari europee. Una delle iniziatie mirava a raccogliere e incidere, sulla parte interna del bronzo, pensieri
22 r. Morozzo della roCCa, La fede e la guerra.Cappellani militari e preti-soldato (1915-1918), ed. Studium,
Roma 1980. 23 rossaro, La Campana cit., p.167. 24 Cfr. g. l. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, ed. Laterza, Bari 1990, p. 84.
e motti (nelle lingue e graie originali), ispirati allo spirito della Campana, dei più noti “condottieri” europei. Il margine tematico era ampio e includeva: «ricordo, rimpianto, riconoscenza, pace e gloriicazione»25 . Questa iniziativa misurò l’equilibrismo di Rossaro alle prese con l’insidiosa convivenza simbolica tra vincitori e vinti. Alle lamentele dell’ambasciatore tedesco Von Neurath riguardo i motti francese e italiano26, che avrebbero teso più alla umiliazione dei vinti che alla paciicazione, Rossaro seppe replicare elogiando il contributo di Hindenburg27 e promettendo rigore verso i generali che avevano dimostrato di «non aver capito nulla»28 dell’iniziativa. Ma anche i motti più “universali” e “condivisibili” sono segnati da un elogio dell’onore guerriero, del dovere della difesa delle rispettive patrie, del sacriicio eroico. Così, ad esempio, il motto inglese29, improntato alla sicurezza e alla pace, oppure quello portoghese30. Signiicativo poi quello americano31, contrassegnato, come era lecito aspettarsi, nel senso di una libertà e di una giustizia di cui Rossaro ci fornisce una buona chiave di lettura, per un momento materialistica ed economica.
«Non già che essi (i condottieri, ndr) aspirassero alla pace come ine della guerra, ma frutto dei loro sacriici e come bene supremo pei loro popoli. E infatti è nella pace che trionfa la libertà, che ioriscono le industrie e i commerci, e che le scienze, le arti e le lettere profondono nel mondo splendori di verità e incanti di bellezze»32 .
25 «Così i lontani nipoti, pellegrini alla sacra Campana, leggendo nella propria lingua le parole dei Condottieri, sentiranno, in terra non più asservita, l’eco toccante della patria lontana, e ai piedi della Campana, in quella piccola zolla, patria di tutte le patrie, si sentiranno cittadini di tutto il mondo». rossaro, La Campana cit., pp.97-98. 26 Questi rispettivamente i motti dettati dagli alti rappresentanti delle due nazioni: «La Campana di Rovereto ricorda che i soldati di Francia e d’Italia hanno versato ancora una volta fraternamente il loro sangue per l’incolumità della nuova Patria Maresciallo J. Joffre per la Francia». «Il solenne rintocco della Campana sacra ai sublimi olocausti dica e ricordi che l’Italia ha vinto e cammina sicura verso i suoi più alti destini» Armando Diaz per l’Italia».
Cfr. La Campana dei Caduti di Rovereto. Guida alla visita, Edito dalla Reggenza Opera Campana dei Caduti,
Rovereto-Bolzano 1955, pp. 41-42. 27 «Gli squilli della Campana riecheggino tra i monti e lontano per l’etere, portino sull’ali del suono la gloria e il ricordo pure degli eroi tedeschi. Hindenburg per la Germania». Ivi, p. 58. 28 Lettera di Rossaro all’ambasciatore tedesco del 15 giugno 1928. ChioCChetti, Don Antonio Rossaro cit., p. 6. 29 «Suona per i Caduti inglesi. Nell’aspirazione alla sicurezza ed alla pace, essi condivisero l’onore coi vostri G. Cavan». Ivi, p. 43. 30 «Ricordare, gloriicandoli, quelli che, dando un alto esempio dell’adempimento del dovere per la Patria, caddero in guerra, sarà un insegnamento di pace per quelli che governeranno in futuro. Generale Th. A. Garcia Rosado»,
Ivi, p. 45. 31 «Oh, suona tu in eterno il nostro messaggio di affetto e di gratitudine per i compagni che diedero tutto ciò che avevano afinché non periscano gli ideali della libertà e della giustizia. Generale John Pershing». Ivi, p. 46. 32 rossaro, La Campana cit., p. 101.