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Il inanziamento e la promozione

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Bibliograia

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senza esclusivamente maschile, come quello dedicato a Cesare Battisti a Rovigo o quelli dedicati Filzi e Chiesa a Rovereto. I martiri-eroi stavano in primo piano, mentre con la ine della guerra e in particolare con l’iniziativa della Campana dei Caduti, fecero il loro deciso ingresso le rappresentazioni femminili. Tra i monumenti promossi da don Rossaro occorre ribadire l’esempio del busto in onore della regina Margherita di Savoia, in piazza Rosmini a Rovereto. È una presenza femminile condizionata, legata al ruolo di madre e moglie, evidente nella prima scena del fregio della Campana, quella del triangolo edipico. Anche le aggiunte del 1939 che ritraggono madre e bambino intenti alla fuga dalle case in iamme sono coerenti in questo senso. Le considerazioni di Françoise Thébaud a proposito del rilusso del dopoguerra, sono assai pertinenti.

«La ine del conlitto – mai si sono formate tante coppie come in quel momento – sembra segnata da un ‘rigoglio della privatizzazione’ centrato sulla famiglia e il bambino, visto dalla francese Marcelle Capy, un tempo accesa contestatrice, come il Messia, la grande speranza»77 .

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2.7.2. L’iniziativa delle madrine della Campana. Il inanziamento e la promozione

L’importanza della componente femminile nel simbolo Campana non si riduce al solo ordine simbolico: il successo dell’iniziativa dal punto di vista economico e di diffusione sul terreno nazionale fu assicurato dall’attivismo delle madrine della Campana. Fu un successo in qualche misura inaspettato che permise di realizzare una campana più grande di ciò che si era programmato. La relativa facilità nella raccolta dei fondi necessari per la fusione e la posa dell’opera è particolarmente signiicativa se confrontata con le dificoltà riscontrate con l’ultima fusione del bronzo, quella del 1964, resa possibile grazie al inanziamento di un’associazione umanitaria come il Lions club International. Nei primi anni venti, invece, l’incombenza della raccolta ricadde sui comitati locali sparsi in tutta Italia, le cui generalmente altolocate organizzatrici facevano parte di una tradizione caritativa e cristiana radicata nelle classi sociali benestanti.

77 theBaud, La Grande Guerra cit., p. 74.

Nelle seguenti considerazioni, Rossaro espone precise caratterizzazioni di genere.

«Tutte le opere grandi, sia nel campo della beneicenza che in quello dell’arte, portano l’impronta, se non del genio, certo del cuore della donna, perché la sua cooperazione intessuta di luce e di amore, di sacriicio e di fede, di entusiasmi e di sogni, fa spesso compiere miracoli di bellezza e di bontà.[…] La Legione delle Madrine, oggi si può dire rappresenti tutta la Nazione perché, ad eccezione di pochissime, tutte le province d’Italia sono rappresentate dalla loro Madrina della Campana dei Caduti»78 .

Ricorrono i classici topoi femminili della beneicenza e dell’arte, di una donna caratterizzata dall’amore, dalla fede, dal sacriicio, dal cuore più che dal genio. Madri, vedove di guerra e le donne della legione delle madrine sono degne di rappresentare la Nazione e nonostante non pronuncino discorsi in occasione dei rituali e delle ricorrenze che segnano la vita della Campana, sono presenti in numerose di queste pubbliche occasioni. Anzi, ne sono un elemento rappresentativo centrale. Ruoli importanti nel cerimoniale pubblico della Campana furono assunti prima dalla regina Margherita di Savoia e poi, con la seconda Campana, da una bambina roveretana di umili origini, Maria Pia Marangoni, che prese il posto della “prima madrina” uficiale, Maria Pia di Savoia, primogenita di Umberto II, impossibilitata ad intervenire per la sua giovane età, nel 1940. Nonostante queste presenze uficiali, le foto d’epoca79 della folla sembrano testimoniare una netta prevalenza maschile, in particolare di militari, anche se non è facile conoscere la cifra della partecipazione popolare, femminile in particolare, durante queste occasioni. In ogni caso, come rileva Ilaria Porciani80, la donna, che non solo ricama bandiere, ma sacriica il proprio iglio alla patria, in qualche modo esce sempre più dalla sfera privata. La tendenza verso una maggiore presenza femminile nelle piazze e nelle strade dei riti nazionali, inaugurata, ancora una volta, con la guerra di Libia e le celebrazioni del cinquantenario dell’unità d’Italia, prosegue dopo la Grande Guerra. Questo accesso alla sfera pubblica è però subordinato a un dualismo maschile-femminile che innerva i discorsi. Si tratta di un dualismo asimmetrico e gerarchico dove la donna è capace di vivere il suo martirio e il suo dolore quotidianamente e continuativamente. Queste donne sono martiri viventi, contrapposte a martiri-soldato che hanno consumato il loro atto eroico in modo impetuoso ed istantaneo.

«Dove arde la iamma dell’amore, ivi appare sempre, eterna vestale del fuoco inconsumabile, la donna, perché la donna è amore, e amore di sacriicio. Chi infatti,

78 a. rossaro, Le Madrine della Campana dei Caduti, in “Alba Trentina”, VIII/3-4-5-6-7 (1924), p. 56. 79 trinCo, sCudiero, La Campana dei Caduti cit., pp. 44-45. 80 Cfr. i.porCiani, La festa della nazione. Rappresentazione dello Stato e spazi sociali nell’Italia unita cit., p. 93.

come la donna conosce l’amore e il sacriicio? L’eroe spesso consuma il suo sacriicio in un supremo impeto di forza e di bellezza, che, talvolta, diventa sprazzo di un’epopea; la donna invece lo rivive con vereconda dedizione, in una continua incarnazione del dolore, ino a gridare con la grande Estatica, se il sacriicio lo richiede, «pati non mori», «patire ma non morire» per cui la donna è forte ino alla morte, anzi oltre la morte. La vergine, simbolo di tutte le madri, rimase ferma ai piedi della croce per tutta l’agonia del suo divin Figlio, bevendo con lui goccia a goccia, tutto l’amarissimo calice, e spirato Gesù, se lo fece calare nel suo grembo, per scaldare di baci e di carezze l’esanime salma»81 .

Come in una moneta a due facce, il genere femminile è complementare a quello maschile. La donna può così diventare il custode quotidiano e vivente dell’epopea nazionale e della struttura sociale del mondo in tempo di pace. La compresenza dei due estremi del binarismo di genere li legittima reciprocamente. Pace e guerra possono così convivere nel medesimo schema di intelligibilità. D’altronde tutto ciò è compatibile con una fede cristiana che promette tanta più beatitudine celeste quanta più miseria e sofferenza si è vissuta in terra, invitando alla accettazione della propria condizione di vita, in nome e in attesa del mondo invisibile ma vero che ci attenderebbe dopo la morte. Il fregio della Campana rappresenta eficacemente questo dualismo: l’Ecce homo sospeso sopra il corteo aveva, come corrispondente, sul versante opposto della Campana, un motivo circolare di palme intrecciate, simbolo di gloria e pace. La rifusione del 1939 portò alla sostituzione delle palme con una Maria addolorata incorniciata da una corona di spine e da un disco solare analoghi a quelli dell’Ecce Homo. Anche un rapido raffronto tra le due immagini suggerisce un Cristo sereno e beato contrapposto a una Madonna più seria e austera, per l’appunto addolorata.

Il quadro delineato a partire dagli scritti rossariani e dall’analisi del fregio della Campana con le sue trasformazioni, sembra suggerire una crescente attenzione verso un certo modo di intendere la femminilità e verso le componenti viventi della società sofferente uscita dalla guerra, negli anni venti e trenta. Forse questi elementi possono essere considerati spie di un percorso parallelo alla politica statale di massa tentata dal fascismo italiano e mirante al compattamento del fronte nazionale, a una politica inclusiva e capace di governare e occuparsi dell’intera società, o comunque più di quanto non avessero fatto i governi liberali precedenti la Grande Guerra.

81 rossaro, La Campana cit., p. 45.

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