GUERRA DI SARDEGNA E DI SICILIA 1717-1720 (PARTE 1)

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LA GUERRA DI SARDEGNA E DI SICILIA 1717-1720. GLI ESERCITI CONTRAPPOSTI: SAVOIA, SPAGNA, AUSTRIA PARTE I L’ESERCITO SABAUDO NEL 1718-1720 E LA GUERRA PER LA DIFESA DELLA SICILIA



PREFAZIONE

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ella trattazione, in tre parti, delle vicende che ebbero luogo nelle isole di Sardegna e di Sicilia tra il 1717 ed il 1720 si presenterà lo svolgersi delle operazioni militari che videro contrapposti l’esercito e la marina spagnola e quelli austriaci e sabaudi e un’analisi delle forze militari impiegate. Filippo V Borbone, Re di Spagna, non si era rassegnato alla situazione che si creata alla fine della guerra per la successione spagnola, che aveva visto l’occupazione da parte degli austriaci dei possedimenti spagnoli in Italia (Milano, Sardegna, Regno di Napoli e quello di Sicilia ceduto a Vittorio Amedeo II di Savoia) e, alla prima occasione (l’impero austriaco era impegnato in una durissima guerra contro i Turchi) inviò un fortissimo corpo di spedizione, che occupò un dopo l’altra la Sardegna e la Sicilia. Le potenze garanti dei trattati di pace del 1714 e dell’assetto che ne era conseguito (in primis la Gran Bretagna e la Francia) reagirono. La Gran Bretagna inviò una potente flotta nel Mediterraneo, che ribaltò il rapporto di forze e praticamente impedì che l’esercito spagnolo nelle due isole potesse ricevere soccorsi. L’impero austriaco da Milano e da Napoli raccolse ed inviò un numero sempre crescente di truppe, che invasero a loro volta la Sicilia (il cui dominio era stato nel frattempo ceduto da Vittorio Amedeo all’Austria in cambio del regno di Sardegna). La coalizione europea costrinse alla fine la Spagna a rinunciare alla sua avventura ed evacuare le due Isole. GianCarlo Boeri

◀ Vittorio Amedeo II in Maestà. Dipinto di Martin van Mytens - collezione La Venaria Reale (Torino) 5


INDICE PREFAZIONE PAG. 5 PREMESSA PAG. 7 1 - VICENDE STORICHE . PAG. 9 2- STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE DELL’ESERCITO SABAUDO (1713-1720) PAG. 29 APPENDICE PAG. 75 ENGLISH NOTES TO THE PLATES PAG. 95 BIBLIOGRAFIA E FONTI PAG. 97

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PREMESSA LA SITUAZIONE IN ITALIA DOPO LA GUERRA DELLA SUCCESSIONE SPAGNOLA.

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econdo i termini del trattato di Utrecht (1713) e della successiva pace di Rastatt (1714), che posero fine alla guerra per la successione spagnola1, l’Impero spagnolo venne spartito tra potenze maggiori e minori: gli austriaci ricevettero gran parte dei territori spagnoli in Europa (Italia e Fiandra), ma Filippo di Borbone mantenne la Spagna peninsulare e l’America spagnola dove, dopo aver rinunciato ai propri diritti sulla corona francese, regnò col nome di Filippo V, consentendo così il bilanciamento tra le potenze europee. Nel 1714 Filippo sposa Elisabetta Farnese. Vittorio Amedeo II, duca di Savoia in premio della sua fedeltà alla causa alleata contro i Franco-Spagnoli e delle sofferenze subite dai territori e dalle popolazioni del ducato ottenne, per la particolare benemerenza della regina d’Inghilterra Anna, il regno di Sicilia (che comportava l’agognato titolo di re a lungo inseguito) e acquisizioni nelle Langhe e nei territori ducato di Milano (tutte concessioni avversate dall’Imperatore d’Austria). L’Imperatore Carlo VI d’Asburgo dovette ritirarsi dalla Spagna (e avrebbe dovuto abbandonare le sue pretese a quel trono), ricevendo però gli ex possedimenti della Spagna in Italia, e cioè la Lombardia, ed i regni di Napoli e di Sardegna (ma non quello di Sicilia, a cui non voleva rinunciare), oltre anche agli ex Paesi Bassi spagnoli (coincidenti in gran parte con l’odierno Belgio). Nel 1715 l’Imperatore aveva inviato una poderosa armata in Ungheria e sui confini orientali contro i Turchi, che alla fine del 1714 avevano proditoriamente assaliti i possedimenti veneziani in Grecia e sulla costa dalmata. Il Papa chiese a tutti gli stati cattolici una sospensione d’ogni ostilità finché l’Impero era impegnato nella guerra e l’invio di soccorsi alla repubblica veneta in difficoltà contro un nemico dotato di forze soverchianti. 1 La guerra di successione spagnola fu uno dei più importanti conflitti europei combattuti nel XVIII secolo. Il conflitto si originò dalla morte nell'anno 1700 dell'ultimo re di Spagna, l'infermo e senza eredi Carlo II della casa d'Asburgo (in Spagna chiamati Los Austrias); la questione di chi avrebbe dovuto succedergli preoccupava i governi di tutta Europa, e i tentativi a livello europeo di risolvere il problema con una spartizione dell'impero tra i candidati eleggibili (in quanto parenti di Carlo II) proposti dalle casate di Francia (Borbone), Austria (Asburgo) e Baviera (Wittelsbach) fallirono. Sul letto di morte Carlo II decise di affidare tutto l'impero spagnolo al suo pronipote Filippo, nipote di re Luigi XIV di Francia (il Re Sole); con Filippo al governo della Spagna, Luigi XIV avrebbe ottenuto un notevole vantaggio per la sua dinastia andando a occupare due dei troni più potenti d'Europa, un fatto che avrebbe rotto gli equilibri della stabilità europea. Luigi XIV aveva le sue buone ragioni per spingere suo nipote ad accettare il trono spagnolo, ma compì una serie di mosse controverse per tutelare gli interessi di quest'ultimo: inviò delle truppe per occupare i Paesi Bassi spagnoli (la zona cuscinetto tra Francia e Repubblica delle Sette Province Unite, sostanzialmente il Belgio odierno) e, in Italia, il ducato di Milano ed il regno di Napoli; cercò di dominare il panorama delle colonie spagnole americane a spese dei mercanti inglesi e olandesi; si rifiutò di rimuovere Filippo dalla linea di successione francese, riaprendo la possibilità di unire le corone di Francia e Spagna in un'unica monarchia nel futuro (un incubo per molti stati europei). Per contrastare la crescente influenza di Luigi XIV, l'Inghilterra, la Repubblica delle Sette Province Unite e l'Austria, assieme ai loro alleati nel Sacro Romano Impero, riformarono la Grande Alleanza della Lega di Augusta (1701) e sostennero le pretese dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, sull'intero possedimento spagnolo per conto di suo figlio secondogenito, l'arciduca Carlo (conosciuto dai suoi sostenitori come Carlo III di Spagna); ciascun membro della coalizione cercò di ridurre per parte sua il potere della Francia, mantenendo la propria sicurezza territoriale e dinastica nonché restaurando e migliorando le opportunità di commercio. Inglesi, olandesi e austriaci dichiararono guerra alla Francia nel maggio 1702. Dal 1708 il duca di Marlborough e il principe Eugenio di Savoia ebbero assicurato la vittoria della coalizione imperiale nei Paesi Bassi spagnoli e in Italia, e sconfitto l'alleato di Luigi XIV, la Baviera. La Francia subì una serie di rovesci militari sul fronte occidentale, ma la sconfitta dei coalizzati in Spagna e l'aumento delle perdite umane e finanziarie spinsero l'Inghilterra a progettare l'uscita dal conflitto, in particolare dopo l'ascesa al potere nel 1710 del Partito Tory. Francesi e inglesi prepararono il terreno per una conferenza di pace da tenersi nel 1712; olandesi, austriaci e stati tedeschi continuarono a combattere per rafforzare le loro posizioni negoziali, ma vennero sconfitti dal maresciallo Villars e costretti ben presto ad accettare la mediazione anglo-francese. Nel 1713 si firmò il trattato di Utrecht, che pose di fatto fine ai combattimenti, e nel 1714 con la Pace di Rastat si fissarono le clausole definitive, che tutti i contendenti dovettero accettare; ma i due trattati non furono in grado di eliminare tutte le cause del contendere. L’Imperatore non accondiscese a rinunciare alle sue pretese sulla Corona di Spagna (e alla Sicilia) e, dal conto suo, Filippo V, senza quest’atto, si rifiutava di ammettere che l’Austria avesse diritto a mantenere le ex-province spagnole in Fiandra ed in Italia. Il re di Spagna acconsentiva solo ad una cessazione delle ostilità in Italia sino alla conclusione di una pace generale.

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I - VICENDE STORICHE IL RIARMO SPAGNOLO E LA FLOTTA DI CADICE

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a perdita dei domini italiani nel 1707 aveva tolto alla Spagna non solo lo status di Grande Potenza continentale e il controllo del Mediterraneo centrale, ma anche il vitale sistema di sicurezza costituito dal possesso dei porti della Sardegna e della Sicilia e dalle basi tirreniche continentali (Stato dei Presidi di Toscana, Gaeta, Napoli). In Spagna, che era rimasta devastata dalla lunga guerra per la successione spagnola divenuta una feroce guerra civile, il nuovo primo ministro, l’italiano Alberoni, si adoperava in vaste riforme civili e militari, dirette a ricostruire l’economia del Regno e le basi amministrative, finanziarie, commerciali e industriali della potenza militare e navale del regno iberico. Riorganizzò e potenziò notevolmente l’esercito e la marina. A seguito di tale attività nel 1716 la Spagna, anche su richiesta del Pontefice, era stata in grado di inviare una discreta flotta (6 vascelli e 5 galere) in Levante in soccorso dei Veneziani che erano stati attaccati dai Turchi e stavano subendo un duro assedio alla loro piazza strategica di Corfù. LA RICONQUISTA SPAGNOLA DELLA SARDEGNA Nell’aprile 1717 una flotta spagnola salpò nuovamente da Cadice, apparentemente ancora una volta in soccorso dei Veneziani. Tuttavia, anziché dirigersi sulla rotta di Sicilia, per poi procedere verso Levante, la flotta si spostò senza evidente motivo a Barcellona, destando a Vienna il timore, mai sopito, di un colpo di mano contro il regno di Napoli. Infatti, come risulta da tutte le Gazzette dell’epoca, Vienna dispose man mano il trasferimento di numerosi reggimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori austriaci o verso il Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche approfittando del fatto che nel frattempo si stava chiudendo la guerra contro i Turchi (con la presa di Belgrado nel 1717 e la pace di Passarovitz siglata definitivamente nel 1719) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze, agguerrite e veterane, che erano state impiegate sul fronte orientale. Poche settimane dopo, alla fine di maggio, il governatore austriaco del ducato di Milano principe di Loewenstein fece arrestare il nuovo Grande Inquisitore di Spagna Molines che, munito di passaporto pontificio, aveva tentato di raggiungere Finale attraverso il Milanese. Fu quella la scintilla della guerra, caldeggiata in particolare dall’ambasciatore spagnolo a Genova, marchese di Sanfilippo2, e dal Duca di Parma. Tra le altre cause principali di questa decisione, come dichiarato da Madrid agli inviati britannici, vi era anche il risentimento per lo scorretto comportamento dell’Arciduca (Carlo VI) che al momento dell’abbandono della Catalogna e di Maiorca, aveva fatto consegnare dalle sue truppe le città e le fortificazioni agli abitanti dichiaratisi contrari a Filippo V, anziché consegnarle alle truppe spagnole, per cui l’esercito borbonico era stato costretto ad una lunga e sanguinosa guerra per quasi un anno. Il 12 luglio la flotta ricevette l’ordine segreto di attaccare la Sardegna, la cui difesa era affidata al viceré, il marchese di Rubì3 con appena 2 deboli reggimenti ispano-lombardi al servizio asburgico (reggimenti Barbon di fanteria e Carreras di cavalleria). Il 2 Vincenzo Baccalar y Sanna, Marchese di San Filippo nacque a Cagliari il sei febbraio 1669, Dopo la Pace di Utrecht, nel 1713, il Bacallar venne nominato ambasciatore spagnolo a Genova, dove sì fermò una ventina d’anni. Egli morì l’11 giugno del 1726, all’Aja, dove si era trasferito nel 1725, nominato ambasciatore in Olanda. 3 D. José Antonio de Rubì y Boxardos, dal 1717 marchese di Rubì (14 maggio 1669 Barcellona, 31 dicembre 1740 Bruxelles), già Viceré di Maiorca, uno degli emigrati catalani rimasti al servizio di Carlo VI d’Asburgo.

◀ Re Filippo V di Spagna, dipinto di Louis Michel Vanloo circa 1739 Museo del Prado Madrid 9


22 agosto la flotta borbonica comparve di sorpresa davanti a Cagliari, e sbarcò le truppe presso S. Andrea, 15 km più ad Est, mentre i cannoni dei vascelli sgombravano la riva dai 350 cavalieri nemici. L’assedio di Cagliari durò 47 giorni, con violenti bombardamenti e reiterati contrattacchi imperiali: ma dopo l’apertura della breccia la città si arrese. Un rinforzo di soli 400 uomini spedito frettolosamente da Napoli fu costretto a capitolare a Terranova, e in novembre anche Alghero, ultima guarnigione asburgica dell’Isola, si arrese agli Spagnoli, che vi nominarono subito un Viceré. LA MEDIAZIONE INGLESE E LA QUADRUPLICE ALLEANZA La riconquista spagnola della Sardegna acuì anche la tensione tra la Spagna e la Gran Bretagna (intanto era morta la regina Anna [ultima rappresentante della Casa Stuart] e sul trono di Londra sedeva il nuovo re, Giorgio elettore di Hannover). Al momento la corte spagnola dichiarò di non volere procedere ad ulteriori atti di ostilità in Italia. Nel novembre 1717 Londra e Parigi avanzarono proposte di mediazione che potessero in qualche modo soddisfare sia le pretese spagnole, che quelle austriache, non curandosi molto delle attese sabaude (queste soluzioni prevedevano per Vittorio Amedeo la cessione della Sicilia all’Austria, in cambio del regno di Sardegna, che sarebbe stata evacuata dagli spagnoli, e la successione ai ducati di Parma e Toscana per il figlio di Filippo V ed Elisabetta Farnese, Carlo di Borbone), ma la diplomazia inglese non riuscì a convincere Alberoni ad accettare il riassetto territoriale proposto. Alberoni ritenendo che la Gran Bretagna avesse un oggettivo interesse al ridimensionamento della potenza asburgica in Italia e che non si sarebbe impegnata in una nuova guerra nel Mediterraneo, si irrigidì dichiarando irrinunciabili il possesso della Sardegna e l’esclusione dell’Impero dalla Sicilia. Al contrario, a seguito degli incontri diplomatici svoltisi a Vienna nel marzo-aprile 1718, l’Imperatore Carlo VI aderì in linea di principio alla Triplice (anche l’Olanda, oltre la Gran Bretagna e la Francia) e poi Quadruplice – Alleanza, rinviando peraltro la firma del trattato sino alla fine dell’estate. Nel disperato tentativo di rompere l’isolamento diplomatico (i giochi escludevano il duca di Savoia, il cui grande protettore era stata la regina britannica Anna, mentre il nuovo re Giorgio non mostrava alcun interesse), tra il dicembre 1717 e il gennaio 1718 Vittorio Amedeo cercò vanamente di ostacolare il progetto franco-britannico (che, ricordiamo, prevedeva la cessione della Sicilia agli Asburgo) con missioni parallele in tutte le corti europee, prive di ogni risultato. I rapporti tra Torino e Vienna si deteriorarono sino a rasentare uno stato di guerra. Ai primi di giugno 1718, quando Carlo VI aveva già deciso di aderire alla Triplice, il sovrano sabaudo gli offrì invano la rinuncia alla Sicilia e ai diritti di successione spagnola in cambio della Sardegna e di maggiori acquisizioni territoriali in Lombardia. Vienna si apprestava ad affrontare direttamente la Spagna e non rinunciava alle pretese sulla Sicilia. Nel frattempo Londra allestì una squadra per il Mediterraneo allo scopo di dimostrare sia all’Impero che alla Spagna che la garanzia britannica sugli equilibri italiani era effettiva, e indurli entrambi ad una soluzione pacifica della loro controversia, accettando la mediazione e la proposta territoriale inglese. Londra temeva però che l’irrigidimento spagnolo e asburgico e le difficoltà militari dell’Impero, impegnato nella guerra contro la Turchia, favorissero la fazione revisionista e filospagnola della corte francese. Per scongiurare una rottura dell’accordo raggiunto con la Francia e una nuova grande guerra europea, alla fine di giugno Lord Stanhope si recò personalmente a Parigi in missione diplomatica, per convincere il Reggente (Duca d’Orleans, zio del minore Luigi XV) ad accettare il riassetto territoriale proposto dagli inglesi. Il 18 luglio si firmò l’accordo con l’Inghilterra, in base al quale le due Potenze si impegnavano ad una comune politica di pace e a persuadere l’Olanda, la Spagna e il Piemonte ad unirsi con l’Impero in una grande alleanza europea. Il trattato di Londra del 2 agosto 1718 sancì la Quadruplice Alleanza, in cui le Potenze riconoscevano la successione di Toscana e di Parma, una volta estinte le dinastie dei Farnese e dei Medici, all’Infante di Spagna Don Carlos (1716-88), figlio di secondo letto di Elisabetta Farnese, che aveva sposato nel settembre 1714 Filippo V, dopo la morte avvenuta nel 1712 della prima moglie Maria Gabriella di Savoia (figlia di Vittorio Amedeo II). 10


IL REGNO SABAUDO IN SICILIA Il 3 ottobre 1713 Vittorio Amedeo II, scortato da una flotta di navi britanniche dell’ammiraglio Jennings era salpato dal porto di Villafranca, presso Nizza [oggi Villefranche], con un largo seguito di cortigiani e di truppe, alla volta della Sicilia al fine di prendere ufficialmente possesso del nuovo reame. Già il 31 luglio

del 1713 era stato stabilito che fossero destinate ad andare di guarnigione nell’isola le seguenti truppe : aliquote delle Guardie del Corpo (allora due compagnie; una terza compagnia venne formata agli inizi del 1714 in Sicilia con i nuovi sudditi), Archibugieri Guardie della Porta e Guardie svizzere; il reggimento Dragoni di Piemonte, 1° battaglione del reggimento Guardie, 2° Battaglione Savoia, 1° battaglione Monferrato, 2° battaglione Piemonte, 1° battaglione Saluzzo, 2° battaglione Fucilieri, 2° battaglione svizzero-valesano Hackbrett (cui poi venne aggiunto il 3° battaglione), aliquote del battaglione di artiglieria. Qualche altro battaglione di fanteria nel corso degli anni venne ad accrescere il presidio dell’isola4.

Arrivò in Sicilia il 10 dello stesso mese, accolto con entusiasmo dai nobili e dalla popolazione. Vittorio Amedeo fu incoronato Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo il 24 dicembre 1713 con il titolo di Vittorio Amedeo I re di Sicilia. Però, dopo un breve soggiorno nell’isola, nel 1714 Vittorio Amedeo II ritornò in Piemonte, lasciando a Palermo un Viceré, il conte Annibale Maffei5 con una buona guarnigione, circa 6.000 uomini, comprendente anche il 1° battaglione del reggimento di Guardia o delle Guardie, composto, secondo la riforma dell’organico del 1712, da una compagnia di granatieri e sette di fucilieri6. La partenza del Re causò una prima grossa delusione ai Siciliani, che speravano di tornare a vedere Palermo vera capitale di uno Stato sovrano ed alienò quindi alla causa dei Savoia molte simpatie, il che avrebbe pesato non poco nelle successive vicende. Le altre delusioni vennero quando i sudditi si accorsero che molti incarichi del governo dell’isola venivano affidati a Piemontesi, mentre i Siciliani migliori finivano a Torino. La burocrazia sabauda, formatasi sotto Vittorio Amedeo e brillantemente collaudata nel periodo bellico, iniziò ad esaminare tutto, decisissima a mettere ordine ovunque ed a consolidare il potere regio senza considerare le sensibilità e le tradizioni locali (la cosa si ripeterà 150 anni dopo per tutto il regno delle Due Sicilie). Mettendo le cose in ordine vennero fuori vari aspetti che non andavano per la burocrazia piemontese, e tra l’altro, nuove 4 Dai bilanci appare che nel corso del 1714 venne trasferito in Sicilia il reggimento della Marina (costituito di un solo battaglione) mentre l’anno successivo ne furono inviati altri tre, uno di Savoia, uno di Piemonte, uno di Saluzzo. portando a dodici il totale dei battaglioni inviati in Sicilia. Nel 1716 venne poi mandato un altro battaglione del reggimento Fucilieri, in sostituzione di quello della Marina, che si pensava di destinare unicamente al servizio di truppa d’imbarco. Nelle intenzioni di Vittorio Amedeo si doveva effettuare una rotazione tra i battaglioni distaccati in Sicilia e quelli rimasti in terraferma, ordinando al Viceré il 28 novembre 1714 di rinviare in Piemonte il battaglione delle Guardia e quello di Savoia; ma l’invasione turca della Morea lo costrinse a prendere provvedimenti difensivi, prescrivendo quindi al Viceré di trattenere quei battaglioni (Stellardi Vol. III, p. 367). 5 Annibale Maffei nacque nel 1666 a Mirandola dal conte Giovanni Maffei e da Margherita Baglioni. In giovane età fu inviato alla corte di Torino nel 1681 come paggio del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, la fiducia del quale ben presto si guadagnò il favore a seguito al suo comportamento nella battaglia di Staffarda (1690). Prese parte a varie imprese quali la difesa di Avigliana, Cuneo, l'assedio di Carmagnola e la ritirata dalla Valle di Susa, che gli permisero di essere fregiato il 31 marzo 1692 dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Partecipò inoltre alla campagna di Buriasco, all'assalto del forte di Santa Brigida e alla battaglia di Orbassano. Nel 1695 fu inviato come diplomatico alla corte di Parma, ma fu più volte chiamato a partecipare a campagne militari, tra cui l’assedio di Namur, a luglio. Fu ambasciatore del duca di Savoia in Inghilterra dal 1699 al 1701. Ebbe il grado di tenente colonnello di cavalleria e nel 1703 fu nominato colonnello di uno dei reggimenti di fanteria nuovamente levati, ma ritornò in seguito come ambasciatore a Londra. Negli anni seguenti combatté a fianco del principe Eugenio e del duca di Marlborough. Nel 1709 fu nominato generale di battaglia; nel 1712 intervenne come delegato del duca di Savoia al Congresso di Utrecht. Maffei fu nominato viceré di Sicilia dal 171314 al 1719 dopo aver ricevuto la nomina di Gran Maestro di Artiglieria. Il 15 aprile 1729 gli fu assegnato il titolo di cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Successivamente fu ambasciatore del Re di Sardegna in Francia. Si ritirò dalla diplomazia nel 1732 e morì a Torino nel 1735. 6 Già il 31 luglio 1713 un ordine di Vittorio Amedeo aveva stabilito quali reggimenti di fanteria del suo esercito avrebbero dovuto essere destinati di guarnigione in Sicilia.

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▲ Vittorio Amadeo II di Savoia viene incoronato nella cattedrale di Palermo imposizioni di tasse (anche sugli alberi), e infine perfino la ristampa della raccolta degli atti dei Parlamenti di Sicilia, fu bruciata nel 1717 per ordine del Viceré quando questi lasciò Palermo. I nobili credettero di vedere andare in fumo la propria indipendenza ed i propri privilegi e dentro di sé promisero di sbarazzarsi dei Piemontesi alla prima occasione, che non avrebbe tardato a presentarsi; di lì a poco moltissimi di loro passarono infatti entusiasticamente dalla parte spagnola7. La goccia che fece traboccare il vaso fu la politica repressiva condotta contro il clero siciliano. La partecipazione agli eventi bellici da parte della popolazione siciliana, animata e sostenuta da gran parte della nobiltà, fu molto intensa e convinta, come vedremo meglio nelle altre parti di questa serie. I fatti d’arme che seguirono all’invasione spagnola, ai quali parteciparono le truppe sabaude non furono moltissimi : i principali consisterono nella marcia del Viceré Maffei da Palermo a Siracusa, nella quale scontrandosi con le milizie paesane dopo un faticoso percorso ad ostacoli i Piemontesi riuscirono a giungere a Siracusa, il lungo e duro assedio di Messina sostenuto con fermezza e con onore dai sabaudi, in un secondo tempo con il rinforzo di truppe ausiliarie austriache provenienti da Reggio, l’assedio della piazza di Milazzo, che gli Spagnoli non riuscirono a conquistare, anche per il consistente nerbo di truppe imperiali che a più riprese vi misero piede, oltre all’assedio di alcuni castelli e forti, rapidamente conclusi. Alle due battaglie campali di Milazzo e di Francavilla parteciparono esigui contingenti sabaudi: un battaglione sabaudo 7 Non erano ancora passati cinque anni, che gli animi de’ Siciliani s’intiepidivano, anzi odiavano il governo savojardo; e questo per vari motivi ... Ma le principali cagioni furono due, che poi, avanzandosi l’una e l’altra, fecero che fosse stato preso in odio non che il governo, ma l’istesso nome di Savojardo. La prima fu la guerra fatta al papa ed ecclesiastici; e benché egli l’avesse trovata, la portò nondimeno a tal segno, che diede licenza libera ed indipendente dal Viceré ad una giunta di ministri, da lui eretta, a metter mano sopra gli ecclesiastici, ed avvalorata dal suo braccio. […] La seconda fu l’interesse, per la quale le gabelle regie erano esatte con estrema delicatezza [rigore] e con esorbitanza, costringendo a pagar più del solito e pagar quello, che mai si era costumato pagare. (BIBLIOTECA STORICA E LETTERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina, p. 115-116)

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partecipò alla battaglia di Milazzo e dopo quella di Francavilla due battaglioni provenienti da Siracusa si unirono all’esercito imperiale. Le piazze di Trapani e di Siracusa subirono un blocco ed una forma di assedio niente affatto stringente; rimasero in potere dei Piemontesi fino a che non furono cedute agli Austriaci. Le fonti bibliografiche sulla storia di questo periodo per quanto riguarda il regno di Vittorio Amedeo di Savoia in Sicilia e le vicende delle truppe savoiarde, sono ancora costituite essenzialmente dai lavori di Domenico Carutti e Isidoro La Lumia, oltre alla monumentale raccolta di documenti operata dall’abate Stellardi, su incarico di Vittorio Emanuele II. Successivamente Pio Bosi compose uno studio sulle truppe sabaude in Sicilia e, in tempi molto più recenti Alberico Lo Faso Serradifalco ha presentato alcuni studi, molto dettagliati e ben documentati, sulle vicende politiche e di guerra di quel periodo. Sono risultate anche significative varie relazioni di testimoni contemporanei (diari, relazioni e gazzette dell’epoca) che narrano, sia pure da un punto di vista parziale, le vicende che si stavano svolgendo sotto i loro occhi. Per un inquadramento complessivo della situazione e una descrizione dello svolgersi dei fatti v. “Istoria delle guerre avvenute in Europa e particolarmente in Italia per la Successione Spagnola 1696-1725.” Francesco Maria Ottieri T. IV Roma 1757 ...,” p. 228 e segg. LO SBARCO SPAGNOLO IN SICILIA (1° LUGLIO 1718) Nella primavera del 1718, resisi intanto padroni della Sardegna, gli Spagnoli continuavano ad accrescere i loro armamenti di terra e di mare, per cui il 13 aprile 1718 Vittorio Amedeo, che intanto era stato informato dai suoi diplomatici del disegno di Francia e Gran Bretagna di cedere la Sicilia all’Imperatore (senza averlo consultato) in cambio del riconoscimento di Filippo V come Re di Spagna, sperando in tal modo di prevenire ulteriori atti di guerra, confermò al Maffei le istruzioni già impartite per la difesa della Sicilia, raccomandandogli di non volere difendere tutto, usando a tal proposito un’espressione assai vivace “chi tutto stringe nulla abbraccia”. In particolare invitava il Viceré, in caso di invasione, a concentrare la difesa delle piazze di Messina, Trapani e Milazzo, poiché Palermo non era in grado di sostenere un assedio; a spostare le truppe dalla costa occidentale a quella orientale dell’isola, dove la difesa sarebbe stata più facile, e dettava una serie di modalità comportamentali nel caso di comparsa della flotta spagnola, prescrivendo che ne fosse consentito l’attracco nei porti, solo in caso di tempesta. Su queste basi Maffei diede le disposizioni esecutive per far fronte ad un’eventuale invasione e ordinò al marchese d’Andorno, comandante delle Armi in Sicilia, di approvvigionare d’armi, munizioni e viveri la cittadella di Messina ed i forti della costa orientale. Egli all’inizio di giugno ispezionò la costa, diede disposizioni per mettere i forti in stato di combattimento, e andò a Messina per accordarsi col comandante della città, il marchese Tana d’Entraives, per le misure necessarie a portare a termine i progetti difensivi8. Quando, all’inizio di luglio, seppe che gli Spagnoli erano sbarcati a 8 “Abbandonando Palermo si lasciarà un B.ne (=Battaglione) od un distaccamento di 500 Huomini per custodire Castelamare ed il Forte del Molo, e prima di ritirare da detta Città le Truppe, che sono 4 B.ni di 600 Huomini cad.o con 300 H.ni della Marina e la metà del Reggimento Dragoni di Piemonte si provederà al Presidio di Trapani, et a quello di Termini, inviando in quella Piazza uno dei sudetti B.ni, et in questa un distaccamento di 350, o 400 H.ni al più. In Palermo vi erano H.ni 3000. Se ne lasciano in Castelamare H.ni 500, in Trapani H.ni 600, in Termini H.ni 400, totale 1500, che devono seguitare il Viceré H.ni 1500. Ha destinato il Marchese d’Andorno per commandare a Messina, suo Dipartimento, Coste di Levante, e mezzo giorno. Vi sono in detta Città e suoi Forti cinque B.ni con quattro Comp.e del Reggimento Dragoni Piemonte per agire nel modo che li movimenti de Nemici potranno permettere e doppo tutte le difficoltà, che si opporranno allo sbarco, et passaggio de’ Nemici nelle Montagne, si lasciarà in quella Cittadella un Corpo di mille Huomini per la diffesa della medesima. In Melazzo si lasciarà il B.ne, che presentemente vi si ritrova di Presidio, e sarà in tempo rinforzato d’un distaccamento da detto Marchese d’Andorno prima che si ritiri verso Taormina. Augusta si evacuarà di quanto vi si ritrova tanto de viveri, che d’attrazzi militari. In Siracusa si lascieranno per hra due B.ni con una Compagnia del reggimento Dragoni Piemonte e somministrerà 300 Huomini di detti due B.ni per restare in Augusta, sinche sij come sovra evacuata. In Trappani si lascia il B.ne di 600 Huomini, che vi si ritrova presentemente e s’augmenterà quel Presidio come sovra s’è detto con un Battaglione di quelli che usciranno da Palermo. Quanto alle provisioni da bocca, che da guerra, come pure de fascinassi, gabioni, pichetti, et altri boscami per l’Artiglieria scrive che aveva date tutte le disposizioni necessarie, affinchè ne venisse provvista la quantità che sarebbe di bisogno in cad.a di dette Piazze. Quanto alle riparazioni delle fortificazioni delle medesime vi si travaglia incessantemente. (A.S.To. Sicilia Inv. 1 Cat. 3 Mazzo 2 citato da Lo Faso di Serradifalco, Alberico “I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)”)

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Palermo, cercò di provvedere in fretta a rinforzare e rifornire la Cittadella e i forti dipendenti da Messina, immagazzinando polvere da sparo, munizioni, esplosivi, mise l’artiglieria in stato di combattimento, dotò la piazza del necessario per impiantarvi un ospedale. Non fu però possibile, per mancanza di tempo e di fondi, effettuare la riparazione ed il rafforzamento delle mura dei forti e della Cittadella. Intanto il conte Viancino era stato spostato a Palermo a comandare le truppe in quella città, e il marchese d’Andorno al comando della piazza di Messina, quale la piazza militare più importante del regno. Come risulta da tutte le gazzette dell’epoca, Vienna, allarmata dalle mosse della flotta spagnola che temeva diretta contro il regno di Napoli9 (anzi si sospettava ancora con l’appoggio mascherato di Vittorio Amedeo), dispose man mano il trasferimento di numerosi reggimenti dal Milanese verso Napoli e dai territori austriaci o verso il Milanese o direttamente verso il regno meridionale per via di mare nell’Adriatico, anche approfittando del fatto che nel frattempo si stava chiudendo positivamente la guerra contro i Turchi (con la presa di Belgrado) e si rendevano quindi disponibili molte delle forze che erano state impiegate sul fronte orientale. Il 1° giugno era partito dall’Inghilterra (come una delle Potenze garanti dell’assetto europeo derivante dai trattati di pace) l’ammiraglio George Byng (1663-1733) con una flotta di 20 navi di linea, 2 brulotti, una nave ospedale e una nave oneraria con alcuni reggimenti destinati a dare il cambio alla guarnigione inglese di Port Mahon. Alla flotta iniziale si aggiunsero altri legni lungo il tragitto, in particolare alle isole Baleari. Oltrepassato il Capo S. Vincenzo, il 19 giugno Byng fece comunicare ad Alberoni, tramite l’ambasciatore a Madrid, la richiesta di cessare le ostilità contro Carlo VI e l’offerta di una mediazione britannica, con l’avvertimento che la flotta inglese si sarebbe opposta a qualunque tentativo di attaccare Napoli o la Sicilia o di sbarcare in qualsiasi altro punto della Penisola italiana. Le istruzioni per l’ammiraglio inglese erano che egli dovesse rendere edotti la corte di Madrid, il Viceré di Napoli ed il Governatore di Milano che veniva inviato nel Mediterraneo per promuovere tutte le misure che avrebbero potuto comporre al meglio le differenze tra le due corone, e per prevenire ogni ulteriore violazione della neutralità dell’Italia. Ma nel caso che gli Spagnoli dovessero attaccare ancora i territori dell’Imperatore in Italia o tentare di invadere il regno di Sicilia, con l’evidente intento di invadere poi il regno di Napoli, egli doveva con tutta la sua forza cercare di ostacolare questi disegni. Se (al suo arrivo) gli Spagnoli fossero poi sbarcati in qualche territorio, avrebbe dovuto dissuaderli e offrire la sua assistenza per il ritiro delle truppe e porre fine ad ogni altro atto di ostilità. Se infine questi tentativi amichevoli avessero dovuto risultare inefficaci, avrebbe dovuto difendere i territori attaccati, intercettando navi e convogli (degli spagnoli) e, se necessario, opponendosi apertamente ad essi. Alberoni ricevette le lettere di Byng solo il 30 giugno: ma anche se l’intervento inglese fosse stato più tempestivo, difficilmente avrebbe modificato le decisioni di Madrid. Infatti il 16 era salpata segretamente da Barcellona una poderosa squadra spagnola, con l’ordine di aprire le lettere contenenti la destinazione solo una volta giunta a Cagliari. In origine Filippo V intendeva effettivamente fare sbarcare la spedizione nel regno di Napoli, ma Alberoni l’aveva convinto ad attaccare invece la Sicilia, ritenendo in questo modo di poter evitare un intervento inglese, dato che la garanzia britannica sui domini imperiali in Italia non si estendeva formalmente a quelli sabaudi (senza considerare il fatto che l’Imperatore riteneva la Sicilia di sua appartenenza). La flotta spagnola contava 12 vascelli, 17 fregate, 2 brulotti, 4 bombarde e 7 galere, con 276 legni da trasporto e 123 tartane sui quali erano imbarcati oltre 30.000 soldati, 100 cannoni da assedio, 25 da campagna, 40 mortai, 100.000 palle da cannone, 30.000 bombe e 20.000 quintali di polvere.

9 8 marzo 1718 Napoli (Avisi italiani di Vienna) Li continui armamenti della Spagna, per Mare, e per Terra, fanno stare vigilanti li Cesarei in questo Regno, tanto più che dicesi, che sia destinata per il Rendevous generale di tutte le forze spagnole la Sardegna […]

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Tav. 01 - Timballiere Dei Dragoni di S.M.

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Tav. 02 - Guardie del Corpo - Ufficiale superiore

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Tav. 03 - Reggimento Guardie, Ufficiale

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Tav. 04 - guardie del Corpo, Cornetta

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Il 1° luglio la squadra si presentò di sorpresa nella rada di Solanto presso Palermo10 e sbarcò circa 20.000 uomini a Bagheria, accolti molto favorevolmente dalla popolazione e dalla nobiltà. Infatti l’isola da oltre tre secoli era legata stata alla Spagna e fra i due paesi si erano stabiliti saldi legami di sangue e di fiducia. La maggioranza della nobiltà era stata infeudata da re spagnoli e le famiglie originarie siciliane si erano nel tempo mescolate ai nobili catalani ed aragonesi venuti nei secoli successivi nell’isola al servizio dei monarchi iberici. I sovrani di Spagna erano sentiti dai Siciliani come propri11. Il favore iniziale con cui era stato accolto Vittorio Amedeo, soprattutto perché poteva significare la rinascita del regno con un re residente in Palermo, come già notato, venne rapidamente declinando. Il Re Vittorio Amedeo, benché avesse rinforzato il presidio dell’isola portandolo a 10.000 uomini, e avesse lanciato un proclama ai sudditi incitandoli a sostenerlo contro gli invasori spagnoli, forse era ormai rassegnato a perdere la Sicilia (e, come rilevano le fonti inglesi, poco propenso a dissipare le forze per l’inutile difesa di un regno, che sapeva sarebbe probabilmente stato ceduto all’Impero). Così, volendosi persuadere che l’Armata spagnola fosse diretta contro il regno di Napoli, il re sabaudo ordinò al viceré Maffei di accoglierla come quella di un paese amico ed evitare atti di ostilità, a meno che di non essere attaccato. Ma, appena completato lo sbarco, il marchese di Lede12 a capo della spedizione spagnola chiarì il suo vero obiettivo con minacciose intimazioni. In considerazione della disparità di forze (non potendo neanche contare sull’appoggio della popolazione), il viceré Maffei decise allora di lasciare due piccoli presidi a Termini Imerese (il governatore del forte e comandante la guarnigione era il conte Badat, con 2 compagnie del 2° Batt.ne Savoia a cui si aggiunsero 184 uomini del 1° Guardie e di Hackbrett) e nel Castello di Palermo (Castellamare) e il 3 luglio uscì dalla capitale con 400 funzionari e 1.400 soldati (1° battaglione Guardie, 2° Savoia, un battaglione di Hackbrett e 5 compagnie del reggimento Dragoni Piemonte tutti sotto il comando del conte Francesco Montanaro di Viancino colonnello del reggimento La Marina), marciando verso Siracusa per Piana dei Greci, Corleone, Vicari e Vallelonga con una marcia assai faticosa e contrastata, senza che un solo nobile si fosse presentato almeno a salutarlo. Accompagnavano il viceré, oltre la moglie ed i figli, il conte Francesco Antonio Nicolis di Robilant auditore generale di guerra consultore del regno di Sicilia, il conte Bolgaro direttore generale dell’Ufficio del soldo, il commissario di guerra Buttis, il conservatore Sapellani e vari altri personaggi della corte vicereale. L’8 luglio la colonna sabauda giunse a Caltanissetta, alla qual città erano intanto giunte le notizie di quanto era avvenuto a Palermo. Priva di viveri, la colonna decise di entrare a rifornirsi in città. La milizia civica, 400 uomini, appoggiati dalla popolazione che si era dichiarata in favore di Filippo V, e forte dei pe10 .. la armata di Spagna ...consistente in dieci vascelli di guerra, di 60 in 74 cannoni, 16 fragate, 7 galere, 2 burlotti, 4 palandre e sopra 400 bastimenti di trasporto, noleggiati da Francesi, Genovesi ed Inglesi, fecero vela verso Palermo, dove il primo giorno di luglio dell'anno 1718, sulle ore 13, comparvero da ponente, lungi dalla città 6 in 7 miglia. Era comandata detta armata da D. Antonio Castagnetta, imbarcato sopra la nave San Filippo di 74 cannoni, e che avea sotto di lui quattro capi di squadra: D. Ferdinando Ciacchon sopra il Principe d'Asturias, di 64 cannoni; il marchese Stefano Mari sopra la Reale, di 62 cannoni; D. Girolamo Camok sopra San Ferdinando il Grande, di 62 cannoni; e D. Baldassare Guevara sopra San Luigi, di 60 cannoni. Erano altresì le sette galere sotto il comando di D. Francesco Grimau, sopra la Capitana, e di D. Pietro di Montemayor, sopra la Padrona. Il numero di tanti bastimenti era impiegato a portare, oltre le milizie, che noterò appresso, centocinquanta cannoni di bronzo di 24 libbre, con doppia cassa, e cinquanta altri di campagna di 16 libbre; quaranta mortari di bombe; quindecimila fascine; trentamila bacchette per trincere; trentamila bombe, palle, granate e barrili di polvere senza conto, picche, zappe, chiodi, carri di trasporto, sacchi di miccio, sacchi di carboni in considerabile quantità; mule per carriaggi duecento, e di più la provigione necessaria per detta armata, valevole per quattro mesi, compresa la paglia per tutta la cavalleria. BIBLIOTECA STORICA E LETTERARIA DI SICILIA Per cura di Gioacchino di Marzo DIARI Volume XI 1873 (Memorie Storiche del Regno di Sicilia, di Gaetano Giardina). NB Le varie fonti differiscono leggermente nell’indicazione della consistenza della flotta spagnola e delle truppe trasportate, ma le cifre qui riportate danno in sostanza conto della conmposizione massicia della spedizione. In ogni caso nel corso del tempo altre truppe spagnole furono sbarcate nell’isola. 11 Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Maffei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, vol. XXVIII, fasc. 2 12 Jean-François de Bette, Marquis de Lede, (Bruxelles, 6 dicembre 1672 – Madrid, 11 gennaio 1725) esponente della primaria nobiltà proveniente dai Paesi Bassi spagnoli da lungo tempo militante negli eserciti spagnoli nei quali ricoprì le più importanti cariche.

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rentori ordini diramati dal marchese de Lede in qualità di rappresentante di Filippo V di nuovo re di Sicilia, che ingiungevano di non far passare e di non rifornire i Piemontesi, si oppose a mano armata. Il Viceré Maffei perse la pazienza; sabato 9, fallite le trattative, i dragoni (Dragoni di Piemonte) caricarono, seguiti dai granatieri dei battaglioni Savoia, Guardie ed Hackbrett, e giunsero alle porte della città, dopo alcune scaramucce con la milizia, mentre i fucilieri, aggiratala, vi penetravano dalla parte opposta conquistandola rapidamente, perdendo 18 morti e 30 feriti contro 40 paesani e un sacco parziale alla città. Negli scontri morirono da parte sabauda il barone di Faverges, 17 soldati tra fanti e dragoni, ed ebbero inoltre 31 feriti, tra cui due ufficiali. L’11 la colonna piemontese, dopo aver alla fine ottenuto qualche rifornimento, riprese la marcia, sotto il sole e circondata da una popolazione ostile, che negava a mano armata i rifornimenti e costringeva ad evitare i centri abitati. Transitando per Piazza Armerina, dopo aver incontrato ogni sorta di resistenze da parte del popolo, sobillato dai nobili lungo tutto il percorso, il 16 luglio giunsero a Siracusa, dopo aver coperto 360 km e perduto 113 uomini per fame e stenti13, e si chiusero nelle fortificazioni in attesa delle mosse degli Spagnoli. Questi, raggiunta la città, si limitarono però a bloccarla. Entrato in Siracusa il conte Maffei diede ordine che le due imbarcazioni della marina, che vi si trovavano, partissero per Messina conducendo seco quattro compagnie del reggimento siciliano di Gioeni, che giunte in Messina il giorno 21, furono poste di guarnigione nella cittadella. Nel contempo la popolazione di Agrigento si sollevò acclamando Filippo V re di Spagna e di Sicilia, ed anche l’isola di Lipari si sollevò in favore degli Spagnoli, facendo prigioniero il governatore sabaudo (che fu poi liberato). I Liparoti armarono poi diversi legni corsari e per oltre un anno condussero un’intesa attività contro i legni napoletani ed austriaci, fino a che non furono sottomessi con la forza da una apposita spedizione armata austriaca14. Frattanto gli Spagnoli erano entrati in Palermo accolti dalla cittadinanza come liberatori. L’artiglieria del castello di Palermo (Castellamare), al cui comando era il tenente colonnello cav. Carlo Marelli capitano nel reggimento di Guardia, con 5 compagnie del reggimento La Marina, tentò di molestare i lavori di approccio del nemico, ma la sera del 12 luglio gli Spagnoli aprirono il fuoco con una batteria di mortai seguita poco dopo da una di cannoni, e al mattino seguente, senza opporre ulteriore resistenza, Marelli si arrese, nonostante avesse ordine di resistere almeno fino all’apertura della breccia; più tardi, liberato dagli inglesi, raggiunse Siracusa dove fu processato e fucilato per non avere adempiuto fino in fondo al suo dovere15. In seguito gli Spagnoli misero il 17 luglio il blocco a Trapani, energicamente presidiata dal generale conte di Campiglione con 2 battaglioni (1° Saluzzo e 1° Monferrato). 13 Così la gazzetta contemporanea, Avisi Italiani di Vienna, riporta la cronaca dei fatti: 14 luglio 1718 Palermo “Doppo d’essersi fatti gli attacchi, e piantate le batterie contro il Castel à Mare di questa Città, si cominciò da’ Spagnuoli à farsi fuoco la notte scorsa con sì favorevole successo, che senza far alcuna breccia nelli ripari à capo di 4 ore gli Assediati fecero la Chiamata, essendo essi in numero di circa 460 Soldati, e 18 Uffiziali; e benche essi pretendevano di sortire cogli onori militari, il Generale Lede fece loro intendere, che non li voleva altrimenti ricevere, che à discrezione, al che finalmente acconsentirono li Piemontesi, & havendo subito li Spagnuoli preso possesso del Castello, ne uscirono li Contrarii, che mostrano inclinazione di prendere partito frà le Truppe Angiuine. Il Conte Maffei proseguisce la ritirata verso Siracusa, dove si crede giunto con qualche perdita di Gente; e dietro di lui è andato il Tenente Generale D. Luca Spinola colla vanguardia della Cavalleria, mà per la di lui precipitosa ritirata, non lo puotè arrivare; e secondo si suppone esso Maffei per l’oposizione, che haverà incontrata nel camino dagli infiniti Popoli, he acclamano da per tutto l’Armi Angiuine, e si armano contra li Piemontesi, haverà perduta molta Gente del suo seguito a ogni Passo, come si è veduto nella Villa di Caltanizzetta, li di cui Paesani ne hanno uccisi fino a 40, e frà essi il Nipote del medesimo Conte Maffei, per la sola pena, che haveva ordinata a quel Popolo, che somministrasse alle sue Truppe Pane, & Biada : & il detto Ten. Generale Spinola và altresì per aggiutare tutti quei Paesi. Il resto della Cavalleria Spagnuola si è incaminata verso Messina per bloccarla finchè il Marchese di Lede vi passi per Mare con tutta la Fanteria, che è già imbarcata, per mettervi l’assedio formale. La Città di Cattania si impadronì del suo Castello, facendo priggione il poco Presidio Piemontese, che vi era. Tutti li Corrieri che spediscono li Governatori delle Piazze Nemiche sono condotti al Campo Spagnuolo da’ medesimi Paesani, che procurano attrapparli. Il Tenente Generale Montemar resta nella Valle di Mazara con un Campo Volante di 3. mila huomini per impedire le Guarniggioni Nemiche di Trapani, e Termini.” 14 Per una descrizione dettagliata delle vicende della marcia del Viceré Maffei v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del Conte Maffei” in Studi Piemontesi Nov. 1999, già citato. 15 Vittorio Amedeo II era molto rigido sul comportamento dei comandanti di piazze o fortezze. Anche nelle precedenti guerre, ogni volta che una piazza si arrendeva al nemico, il comandante o governatore veniva sottoposto a giudizio, e, se trovato colpevole, subiva una severa punizione, che poteva giungere alla pena di morte.

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▲ Entrata della flotta spagnola nel porto di Messina. Questa e le stampe successive derivano dal volume: “Vera e distinta relazione de’ progressi dell’Armi Spagnuole in Messina, e suo Distretto fatti sotto la Direzione dell’Eccellentissimo Signore D. Giovanni Francesco de Bette Marchese di Lede, Cavaliero dell’Insigne Ordine del Toson d’Oro, Capitan Generale dell’Eserciti di Sua Maestà, Direttore Generale di tutta la sua Infanteria Spagnuola e straniera, Comandante Generale del Regno d’Aragona, Vice-Rè e Capitan Generale per la Maestà di Filippo V in questo Regno di Sicilia.” Vincenzo Migliaccio Messina 1718

Il 22 luglio il grosso delle forze spagnole, al comando di Lede, sbarcò tra Milazzo e Messina, quest’ultima piazza difesa dal generale Ghirone Silla S. Martino, marchese di Andorno, colonnello del reggimento di Guardia, figlio del marchese di Parella distintosi nelle guerre del Seicento. Aveva ai suoi ordini circa 6.000 uomini, con 5 battaglioni (3° Savoia, 1° Piemonte, 2° Fucilieri, 2° e 3° Hackbrett 550 uomini in tutto) e 4 compagnie siciliane (reggimento Gioeni 290 uomini), oltre ad alcune Milizie urbane con il loro Capitano ed un po’ di truppe montate (dragoni Piemonte). I maggiorenti della città lo convinsero però a chiudersi nella cittadella e nei forti esterni, e a lasciarli liberi di trattare col nemico, in modo da evitare che i combattimenti coinvolgessero gli abitanti. Il 24 luglio le prime truppe spagnole entrarono in città accolti favorevolmente e predisposero l’attacco alle posizioni sabaude, posizionando le batterie per l’assedio delle fortificazioni avversarie. Il 27 cadde il forte del Castellaccio, seguito il 31 luglio ed il 4 agosto da quelli di Matagrifone e di Gonzaga. Resistevano tuttavia in mano sabauda la Cittadella e il forte di S. Salvatore. Contemporaneamente il duca di Montemar, distaccato dal Marchese di Lede con un corpo di truppe per dirigersi contro Trapani, attaccava prima il castello di Termini Imerese, difeso da 300 uomini (2 compagnie del 2° Savoia, 185 tra Guardie e alcuni svizzeri del reggimento Hackbrett) al comando del conte Badat 21


governatore del Castello. Mentre la città si era sollevata contro il dominio sabaudo ed aveva acclamato per re Filippo V, il 26 luglio le batterie spagnole aprirono il fuoco e il 3 agosto la breccia. Con un’eroica sortita il presidio riuscì a devastare le trincee nemiche, ma la sera seguente, esaurite le munizioni, dovette arrendersi per evitare l’ormai imminente assalto generale. Lo stesso giorno altre forze spagnole, sostenute dalle milizie isolane, bloccarono Siracusa da terra e da mare. In questi frangenti caddero gli ultimi dubbi austriaci circa una segreta intelligenza tra Spagna e Vittorio Amedeo. Il Viceré Maffei da Siracusa, sulla base delle istruzioni ricevute dal sovrano, richiese l’aiuto (offerto) degli austriaci, che presidiavano in forze Reggio di Calabria ed iniziarono ad inviare da lì e da Napoli soccorsi di viveri e munizioni e poi anche di uomini ai sabaudi in Messina. Vienna annunciava anche di avere predisposto l’invio di un consistente nerbo di truppe (dai confini orientali) verso l’Italia. Rimanevano in potere dei Piemontesi le sole Piazze di Trapani, Siracusa, Messina, e Milazzo. Il 9 di agosto un emissario di Vittorio Amedeo, il conte Solaro di Borgo, concordò col Viceré austriaco di Napoli, conte Daun, l’ammissione in Messina di truppe imperiali. In conseguenza di ciò altre truppe austriache entrarono in forza nella piazza assediata dagli Spagnoli, ed in seguito anche in quella di Milazzo, rimpiazzando in parte quelle piemontesi, che furono inviate a Reggio per un meritato periodo di riposo. LA BATTAGLIA NAVALE DI CAPO PASSERO (11 AGOSTO 1718) Benché si tratti di un combattimento navale, che non riguardò direttamente né l’esercito di terra spagnolo, né tantomeno quello sabaudo, trattiamo nel seguito l’episodio della battaglia navale di Capo Passero, tra la flotta britannica e quella spagnola, perché l’esito segnò in modo decisivo l’andamento della guerra. L’ammiraglio Byng apprese della spedizione spagnola contro la Sicilia solo il 12 luglio, quando giunse a Port Mahon. Fece allora vela su Napoli, dove giunse il 1° agosto. Qui, secondo le istruzioni ricevute e autorizzato e incoraggiato da Stanhope, prese accordi di cooperazione militare con il viceré conte Daun. L’obiettivo inglese non era solo quello di garantire la difesa del Regno di Napoli e di impedire un allargamento del conflitto. C’era anche la forte tentazione di cogliere un’occasione irripetibile per distruggere il nucleo fondamentale della flotta spagnola e accrescere così la sicurezza del traffico commerciale inglese, anche nelle Americhe. Il compito non era tuttavia facile. Byng sapeva che la squadra dell’ammiraglio Castañedo era ormeggiata nella Rada Paradiso, un miglio a nord di Messina, l’unico buon ancoraggio dello Stretto, e conosceva la difficoltà di accedervi da nord. Tuttavia, mentre 10.000 soldati imperiali si concentravano via terra a Reggio Calabria, le 21 unità inglesi imbarcarono altri 2.000 soldati (I.R. Reggimento Wetzel), e la notte del 5 agosto salparono da Napoli verso il Faro di Messina. Giuntovi tre giorni dopo, Byng inviò una lettera a Lede invitandolo a sospendere le ostilità. La risposta di Lede non lasciò dubbi sulla determinazione spagnola per la conquista dell’isola e Byng decise di sbarcare i soldati imperiali a Reggio per poi tornare ad ancorarsi a Messina. Strada facendo apprese però che l’ammiraglio Castañedo aveva lasciato lo Stretto ed era stato avvistato al largo delle coste calabre, diretto a Sud verso Siracusa, e decise di intercettarlo (senza peraltro dichiarare intenzioni ostili agli Spagnoli). Infatti il mattino del 10 agosto i trasporti spagnoli ormeggiati nella Rada Paradiso salutarono con 21 salve di cannone il passaggio della squadra inglese, che rispose nello stesso modo. Prima di sera Byng avvistò la squadra spagnola, forte di 26 vascelli (in gran parte ex-mercantili convertiti in navi da guerra), 2 brulotti, 4 bombardiere, 7 galere e parecchi trasporti. Al mattino dell’11 agosto Byng distaccò 8 unità contro le navi minori spagnole della retroguardia e alle 11 attaccò i vascelli al largo di Capo Passero, ancora una volta senza dichiarazione di guerra anche se gli Inglesi, almeno nelle loro dichiarazioni posteriori, aspettarono che gli Spagnoli, colti di sorpresa, aprissero per primi il fuoco. Lo scontro si protrasse per oltre sette ore. A sera 17 navi spagnole erano state catturate (e con esse un gran numero di marinai e soldati degli equipaggi) e altre 8 inseguite e bruciate nella baia di Avola. Solo 22 legni, in gran parte minori, riuscirono a salvarsi. 22


▲ Lo scontro navale di Capo Passero del 11 agosto 1718

LE OPERAZIONI TERRESTRI IN SICILIA (AGOSTO 1718 - SETTEMBRE 1719) Frattanto 2.000 soldati imperiali provenienti dal presidio di Reggio avevano rinforzato la guarnigione della Cittadella di Messina16. La composizione iniziale del presidio era la seguente: 3° batt.ne reggimento Savoia, 1° di Piemonte, 2° dei Fucilieri, 2° e 3° di Hackbrett, 4 compagnie di Gioeni. Al principio, fedele alla consegna, il generale piemontese Andorno li aveva rifiutati, asserendo di avere truppe sufficienti per la necessaria resistenza. Solo un ordine scritto del suo Re lo convinse ad accogliere i rinforzi “alleati”, senza tuttavia cedere il comando della piazza.17 Neanche lo sbarco di successivi contingenti imperiali e la supremazia navale anglo-austriaca, impedì al mar16 Per una ricostruzione precisa e ben documentata dell’assedio della piazza di Messina e della valorosa resistenza opposta dall’esercito sabaudo v. Lo Faso di Serradifalco, Alberico “I Piemontesi in Sicilia. L’assedio di Messina (luglio-settembre 1718)” in “Studi Piemontesi” Dic. 2003, vol. XXXII, fasc. 2. 17 6 settembre 1718 Napoli Mercordì con espresso venuto da Reggio, s’hebbe l’aviso che continuando l’ostilità tra’l Campo degl’Angiuini sotto Messina, e le Fortezze della Cittadella, e Salvatore della medesima Città, s’erano dal General Barone Wezel il giorno de’ 24 caduto distaccati 2 Battaglioni Alemani, con suoi rispettivi Uffiziali, per andare in rinforzo delle sudette Fortezze Cittadella e Salvatore, essendo felicissimamente entrati la notte dell’istesso giorno, conducendo ancora quantità di utensili di Guerra, con molti attrezzi & altri requisiti militari; essendo all’incontro usciti e venuti nel luogo della Catona presso Reggio medesimo, altri due Battaglioni Savojardi di quelle Guarnigioni, gente veterana, e ben all’ordine; e coll’istesso Corriere si confermò la grande costernazione che regnava, non solo nel Campo nemico, mà anche in tutti quei Popoli del Regno di Sicilia per l’intiera disfatta dell’Armata di Mare Angiuina … (Avvisi italiani di Vienna).

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AUTORI Giancarlo Boeri (Sanremo 1944 ), Laurea in Fisica, fin dall’infanzia si è dedicato allo studio della storia e dell’iconografia militare

dei secoli XVII e XVIII. Nel tempo ha approfondito tutti gli aspetti sugli eserciti degli Stati preunitari italiani, dell’esercito spagnolo, francese e degli Stati dell’Europa occidentale del XVII e XVII secolo, tanto da divenire un punto di riferimento per gli studiosi del campo. Ha scritto numerosi articoli e libri, da solo e con altri autori in Italia e all’estero, tra cui una serie di volumi sull’esercito borbonico dalla Rivoluzione francese alla fine del Regno di Napoli (1789-1861), pubblicata dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. Ha pubblicato, inoltre, diverse opere sulle uniformi delle Marine degli Stati italiani preunitari ed una serie di monografie, in italiano ed inglese, sugli eserciti sabaudo, spagnolo, francese, imperiale austriaco, operanti tra Seicento e Settecento. Josè-Luis Mirecki Tenente di fanteria in pensione, investigatore e storico militare. Nato a Madrid nel 1958. Ha già lavorato come co-autore con Giancarlo Boeri negli eserciti spagnoli nella guerra della Lega di Augusta (1688-1697), pubblicato da The Pike & shot Society nel 2011; “los Tercios de Carlos II durante la Guerra de los Nueve anos (1689-1697)”, pubblicato con Pen & Sword nel 2005. Con il collega José Palau Cuñat, purtroppo deceduto, ha collaborato alla stesura di: “Rocroy, cuando la honra española se pagaba con sangre, Editorial Actas, 2016. Recentemente è impegnato nella ricerca sul tentativo di riconquista dell’Impero realizzato da Felipe V tra il 1715 e il 1746. Paolo Giacomone Piana (Genova 1959) Studioso di storia militare, in particolare di storia della repubblica di Genova, della marina e dell’esercito, ha pubblicato numerosi saggi ed articoli, molti in collaborazione con il compianto Riccardo Dellepiane, tra cui il libro Militarium. Guglielmo Aimaretti, Nato a Villafranca Piemonte, in provincia di Torino, vissuto a Torino fino al 1971 è stato docente di Discipline Artistiche ad Alba. Fin dalla giovinezza collezionista e cultore di documentazione storico-militare ha affiancato all’attività docente quella di illustratore nell’ambito uniformologico collaborando con l’editoria specializzata. Molti suoi lavori sono in collezioni private in Italia e all’estero . Roberto Vela, (Acqui 1952). Appassionato di storia militare, cultore di storia locale e di araldica, uniformi ed armi dei secoli XVII-XVIII, si è dedicato alla ricerca iconografica e alla produzione di disegni ed illustrazioni per numerose pubblicazioni, apparse, tra l’altro, sul Bollettino dell’Accademia di San Marciano. Ha collaborato da alcuni decenni con Giancarlo Boeri per le pubblicazioni partecipando alle ricerche storiche relative.

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RINGRAZIAMENTI Gli autori desiderano ringraziare per il sostegno e la collaborazione alle ricerche fornita nel corso degli anni il personale dell’Archivio General de Simancas, particolarmente Isabel Aguirre, e da numerosi studiosi, tra cui vogliono ricordare Carlos Belloso, Antonio Rodriguez, Robert Hall, Luis Sorando. Un sentito ricordo per Pepe Palau e Jesus Alia-Plana, con i quali abbiamo condiviso tante ricerche negli archivi di mezza Europa, la cui immatura scomparsa ci ha privato della loro amicizia e collaborazione.

Title: LA GUERRA DI SARDEGNA E DI SICILIA 1717-1720. GLI ESERCITI CONTRAPPOSTI: SAVOIA, SPAGNA, AUSTRIA - Parte 2 L’Esercito Spagnolo nel 1717-1720 e la Guerra per la conquista e la difesa della Sardegna e della Sicilia - Tomo 1. By G.C.Boeri, J.L.Mirecki e P.Giacomone Piana. Tavole di G.Aimaretti e R. Vela. Prima edizione by Luca Cristini Editore per i tipi di Soldiershop. Ottobre 2018 Cover & Art Design: L.S. Cristini. ISBN code: 978-88-93273725


LA GUERRA DI SARDEGNA E DI SICILIA 1717-1720. GLI ESERCITI CONTRAPPOSTI: SAVOIA, SPAGNA, AUSTRIA PARTE 2 L’ESERCITO SPAGNOLO NEL 1717-1720 E LA GUERRA PER LA CONQUISTA E LA DIFESA DELLA SARDEGNA E DELLA SICILIA TOMO 1



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INTRODUZIONE

ella trattazione, in tre parti, delle vicende che ebbero luogo nelle isole di Sardegna e di Sicilia tra il 1717 ed il 1720 si presenterà lo svolgersi delle operazioni militari che videro contrapposti l’esercito e la marina spagnola e quelli austriaci e sabaudi e un’analisi delle forze militari impiegate. Filippo V Borbone, Re di Spagna, non si era rassegnato alla situazione che si era creata alla fine della guerra per la successione spagnola, che aveva visto l’occupazione da parte degli austriaci dei possedimenti spagnoli in Italia (Milano, Sardegna, Regno di Napoli) nonché quello di Sicilia ceduto a Vittorio Amedeo II di Savoia e, alla prima occasione (l’impero austriaco era impegnato in una durissima guerra contro i Turchi) inviò un fortissimo corpo di spedizione, che occupò un dopo l’altra la Sardegna e la Sicilia. Le potenze garanti dei trattati di pace del 1714 e dell’assetto che ne era conseguito (in primis la Gran Bretagna e la Francia) reagirono. La Gran Bretagna inviò una potente flotta nel Mediterraneo, che ribaltò il rapporto di forze e praticamente impedì che l’esercito spagnolo nelle due isole potesse ricevere soccorsi. L’impero austriaco da Milano e da Napoli raccolse ed inviò un numero sempre crescente di truppe, che invasero a loro volta la Sicilia (il cui dominio era stato nel frattempo ceduto da Vittorio Amedeo all’Austria in cambio del regno di Sardegna). La coalizione europea costrinse alla fine la Spagna a rinunciare alla sua avventura ed evacuare le due Isole. Questo secondo libro sulla Guerra di Sardegna e di Sicilia (1717-1720) (a sua volta diviso in due tomi) si incentra sulla partecipazione dell’esercito spagnolo alla vicende della guerra, combattuta per quasi quattro anni sulle due isole mediterranee, sulla sua organizzazione e le sue uniformi. Il primo volume della serie (già pubblicato) ha delineato nell’insieme la situazione complessiva entro la quale si sono svolti gli eventi del conflitto ed ha trattato l’evolversi delle vicende, viste dalla parte sabauda, mentre il terzo volume riguarderà l’esercito austriaco e la flotta britannica. GianCarlo Boeri ◀ Ritratto di Filippo V a cavallo, opera di Jean Ranc Fecha, Museo del Prado, Madrid 5


INDICE INTRODUZIONE PAG. 5 VICENDE DELLA GUERRA IN SARDEGNA E SICILIA PAG. 7 L’evoluzione del conflitto, pag. 7 - La spedizione di Sardegna, pag. 8 - La spedizione di Sicilia, pag. 14 - Lo sbarco a Palermo e la marcia su Messina, pag. 18 - La squadra dell’ammiraglio Byng, pag. 23 - La sorpresa di Capo Passero, pag. 30 - L’assedio della cittadella di Messina, pag. 37 Battaglia e assedio di Milazzo, pag. 38 - La battaglia di Francavilla, pag. 43 - La gloriosa difesa della cittadella di Messina, pag. 50 - Le operazioni nella Sicilia occidentale, pag. 54 - L’evacuazione di Sicilia e Sardegna, pag. 57.

ORGANIZZAZIONE DELL’ESERCITO SPAGNOLO PAG. 59 Fanteria, Cavalleria e Dragoni, pag. 59 - Generali, artiglieria e ingegneri, pag. 68 - La marina spagnola, pag. 70.

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VICENDE DELLA GUERRA IN SARDEGNA E IN SICILIA

I

l re Luigi XIV di Francia aveva ottenuto il suo obiettivo di mettere sul trono di Spagna suo nipote Filippo (Filippo V). Per questo fine non esitò a scatenare in Europa una guerra sanguinosa che durò quindici anni, proseguendo in Catalogna e nelle Baleari fino al 1715. La gran perdente fu la Spagna. Prima sui campi di battaglia e poi ai negoziati di Utrecht, la parte europea del suo impero: i Paesi Bassi, Milano, Napoli e la Sardegna, passarono sotto il dominio degli Asburgo d’Austria, mentre la Casa di Savoia ottenne la Sicilia e gli Inglesi si insediarono a Minorca e Gibilterra, piazza quest’ultima che conservano tuttora. La lunga guerra aveva creato una classe di soldati come mai vi era stata in Spagna, poiché coinvolgeva tutti gli strati della società, i cui sogni di vittoria erano stati frustrati dai negoziati di pace, diretti dalla Francia secondo i suoi interessi, lasciando quasi intatti i territori francesi e cedendo invece i possedimenti spagnoli. L’esistenza di un esercito forte e sperimentato, nonostante le riforme subite dopo la fine della guerra ed il desiderio di Filippo V di recuperare gli Stati perduti, portarono inevitabilmente a una nuova serie di guerre, anche se tutti i contendenti cercarono di evitare che si instaurasse un conflitto universale, come era stata la precedente guerra della Successione Spagnola. L’ingente numero di soldati smobilitati da altri eserciti a causa dell’arrivo della pace nel 1714 (e poi nel 1717 con i Turchi) e che indipendentemente dalla loro nazionalità si offrivano di servire a chi li avesse pagati, permise all’esercito spagnolo in trasformazione di reclutare i reggimenti stranieri e di crearne dei nuovi chiamati in Spagna “de naciones”, che servirono su tutti i fronti tra il 1717 ed il 1720. Un ambizioso personaggio si era fatto largo alla corte di Madrid grazie alla protezione della regina Isabella Farnese e l’appoggio del partito italiano. Si trattava di Giulio Alberoni, un ecclesiastico italiano, divenuto cardinale nel 1717, già segretario del duca di Vendôme fino alla morte di questi; egli agiva come strumento del duca di Parma, Francesco Farnese, zio e patrigno della regina, che voleva sfruttare la situazione facendo leva sul desiderio di Filippo V di recuperare i suoi possedimenti italiani. La politica di Alberoni venne favorita dal comportamenti dei governatori imperiali di Milano e Napoli e di Vittorio Amedeo in Sicilia. EVOLUZIONE DEL CONFLITTO La crisi decisiva scoppiò il 27 maggio 1717 quando l’ottuagenario don José Molines, nominato Grande Inquisitore di Spagna mentre era in missione diplomatica a Roma, venne arrestato a Milano, dove era di passaggio per evitare il viaggio in mare sulla via della Spagna: fu una decisione arbitraria del governatore principe di Löwenstein, il quale senza un motivo plausibile fece rinchiudere il vecchio prelato nel castello di Milano (l’attuale “Castello Sforzesco” il cui aspetto era allora molto diverso da quello odierno) dove ben presto morì. Alla notizia dell’arresto di Molines, la collera di Filippo V fu incontenibile. Alberoni cercò di calmarlo e di evitare, per il momento la guerra, ma le pressioni esercitate congiuntamente dalle Corti di Parma e di Madrid furono tali che non gli fu possibile resistere.1 Il primo obiettivo spagnolo fu la Sardegna, che aveva appartenuto alla “Corona d’Aragona” dalla fine del XIII secolo entrando poi a far parte della “Corona di Spagna” con le nozze di Ferdinando e Isabella. Anche l’obiettivo successivo, la Sicilia, apparteneva alla “Corona d’Aragona” dopo i “Vespri Siciliani” del 1282, quando gli isolani avevano chiamato il re Pietro III di Aragona, acclamandolo come loro re. Molte province del regno di Francia ne facevano parte da molto meno tempo di quanto le due isole fossero passate sotto il governo di dinastie ispaniche. La Sardegna era stata tolta ai borbonici nel 1708 dai sostenitori del partito della casa d’Asburgo e posta sotto il dominio del loro pretendente al trono spagnolo, l’arciduca Carlo (Carlo III come re di Spagna,

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Paolo Alatri, L’Europa dopo Luigi XIV (1715-1731), Palermo, Sellerio, 1986, pp. 149, 152. 7


poi imperatore Carlo VI). Erano stati invece gli inglesi a volere che la Sicilia fosse ceduta a Vittorio Amedeo II di Savoia, per compensarlo dell’esclusione dalla successione al trono della Gran Bretagna alla quale lui, cattolico, aveva maggior diritto che l’elettore di Hannover, favorito dal principio della “successione protestante”. Ottenuta l’isola in virtù del trattato di Utrecht, Vittorio Amedeo era giunto a Palermo il 23 settembre 1713, vi era stato incoronato il 21 dicembre seguente ed era rimasto nell’isola fino al settembre 1714 quando ritornò in Piemonte, lasciando al governo della Sicilia come viceré il conte Annibale Maffei.2 In quanto alla Sardegna, l’Imperatore dal 1708, quando il regno era stato strappato ai borbonici, ne aveva affidato il governo ad un viceré. Nel 1717 Pedro Nuño Colón Portugal, conte di Atalaya fu sustituito come viceré da Joseph Antonio de Rubí y Boxadors, marchese di Rubí, che dopo avere combattuto durante ▲ Giovanni Maria Dellepiane (Il Mulinaretto), ritratto del cardinale tutta la guerra precedente nell’esercito del pre- Alberoni, Collegio Alberoni (Piacenza). tendente austriaco al trono spagnolo arciduca Carlo, giungendo ad esser colonnello del reggimento spagnolo-catalano della Regina, era stato nominato governatore di Maiorca nel 1713, isola ripresa dalle armi di Filippo V due anni dopo. Le forze militari asburgiche dispiegate in Sardegna erano anche composte da gente della stessa origine. La spedizione spagnola in Sardegna nel 1717 e poi quella in Sicilia nel 1718 riaccesero la guerra in Europa. La riconquista spagnola della Sardegna acuì la tensione con la Gran Bretagna: vascelli inglesi furono predati da navi spagnole in America, e circolarono voci di una possibile spedizione navale contro le coste britanniche in appoggio alla ribellione giacobita. Nel novembre 1717 Londra e Parigi avanzarono proposte di mediazione, ma non riuscirono a convincere Madrid ad accettare il riassetto territoriale proposto, che prevedeva il passaggio dei ducati di Parma e Piacenza all’infante Carlo, figlio della regina Elisabetta, quando i Farnese si fossero estinti, eventualità considerata praticamente certa. Alberoni riteneva che la Gran Bretagna avesse un oggettivo interesse al ridimensionamento della potenza asburgica e puntava sulla speranza che la Francia si alleasse con la Spagna: speranza tenuta viva dalle oscillazioni e incertezze del reggente Filippo d’Orleans (nel frattempo nel 1715 Luigi XIV era morto ed il trono era passato al pronipote Luigi XV di appena 5 anni, per cui il governo era stato assunto, come reggente da Filippo d’Orleans, figlio di un fratello del Re Sole): per cui si irrigidì dichiarando irrinunciabili il possesso della Sardegna e l’esclusione dell’Impero dalla Sicilia. Al contrario, a seguito degli incontri diplomatici svoltisi a Vienna nel marzo-aprile 1718, Carlo VI aderì in linea di principio alla Triplice - e ora Quadruplice - Alleanza tra Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi: e firmò il trattato a metà giugno. Il Reggente di Francia, Duca d’Orléans, già avverso a Filippo V a causa dei problemi legati alla successione di Luigi XIV dopo la sua morte avvenuta nel 1715, fu esasperato dalla fallita “congiura di Cellamare” (dal nome dell’ambasciatore spagnolo a Parigi), uno dei più gravi errori di Alberoni, per cui la Spagna non solo entrò in guerra contro i suoi antichi nemici, ma si vide anche attaccata dalla stessa Francia, con la motivazione di ridurre la Spagna ad accettare le condizioni della Quadruplice alleanza e di fare licen2

Vedi il volume I di questa serie. 8


ziare Alberoni dalla corte di Madrid. I primi ventimila soldati francesi entrarono in territorio spagnolo il 21 aprile 1719 per Vera ed Irún e posero l’assedio alla città fortificata di Fuenterrabia che cadde il 18 giugno. Il 2 agosto cadde San Sebastián, il 17 la sua cittadella e in breve termine s’impossessarono di tutta la provincia di Guipuzcoa (nei Paesi Baschi). Nel mese di ottobre l’esercito francese invase anche la Catalogna, ma non riuscì a impadronirsi di Rosas; inoltre il duca di Berwick3, che lo comandava, era poco disposto a valersi dell’appoggio dei partigiani del partito asburgico (i “micheletti” antiborbonici) ancora attivi in un paese dove le istanze di ribellione al governo di Madrid erano sempre vive. In Francia la guerra contro la Spagna era impopolare e il governo era orientato a concludere quanto prima la pace. In Gran Bretagna i protestanti erano invece esacerbati dalla spedizione in Scozia in appoggio al “pretendente” Giacomo Stuart, dispersa da una tempesta nell’aprile 1719: per ritorsione e per aumentare ancora più la pressione sulla corte spagnola con operazioni anfibie al comando del gen. Cobham, la flotta dell’ammiraglio James Mighells mise a ferro e fuoco le coste della Galizia e assalendo Vigo e Pontevedra, che si arresero il 10 e 14 ottobre 1719 (solo la cittadella di Castro resistette fino al 21). A questi fronti militari, si doveva aggiungere il fatto che inglesi e francesi attaccavano anche le coste americane e minacciavano le flotte delle Indie; a tanti problemi si aggiungeva poi lo stretto assedio del possedimento africano di Ceuta mantenuto dal sultano del Marocco. Scoraggiato dall’esito disastroso di quella guerra4, Filippo fu costretto infine ad accettare le condizioni della Quadruplice Alleanza, gettando la colpa di tutto su Alberoni, che fu allontanato dalla Spagna ed esiliato in in Italia. Il conflitto ebbe termine il 17 febbraio 1720, anche se la conclusione delle ostilità in Sicilia giunse qualche tempo dopo. LA SPEDIZIONE IN SARDEGNA. In Sardegna si era mantenuto un forte partito filo-spagnolo appoggiato da potenti famiglie isolane come i marchesi di Laconi e di San Felipe, che cercavano di ritornare sotto il dominio della Spagna. I viceré asburgici, il conte di Erill D. Antonio Roger e quello di la Atalaya, D. Pedro Manuel, avevano imposto all’isola pesanti tasse guadagnandosi l’avversione del popolo e provocato la sollevazione della città di Sassari. La guarnigione asburgica dell’isola, già scarsa, contava solo alcune compagnie del reggimento di fanteria del colonnello Manuel Barbon, il piccolo reggimento di cavalleria del colonnello Jaime Carreras e qualche reparto minore, meno di millecinquecento uomini in tutto, formati però in larga maggioranza da catalani e valenciani di sentimenti antiborbonici5. Completavano le forze circa 150 ufficiali ed artiglieri distribuiti nelle tre piazzeforti di Cagliari, Alghero e Castel Aragonese (oggi Castelsardo) e nelle torri costiere. I preparativi della spedizione si fecero con tanta segretezza che neppure i capi delle truppe sapevano bene quale fosse la loro destinazione. Nel 1716 la Spagna, su sollecitazione del Pontefice, aveva inviato a Corfù una Squadra di 6 vascelli e 4 galere per combattere i Turchi, che avevano invaso la Morea (Peloponneso) e assediavano nell’isola greca la guarnigione veneziana al cui comando era il maresciallo Schulenburg. Nel 1717 truppe e navi furono riunite a Barcellona col pretesto di una nuova spedizione nel Mediterraneo orientale. In terra, grazie allo zelo dell’intendente generale Patiño, fu pronto in breve tempo tutto il necessario per la spedizione, che si componeva principalmente di reggimenti già di stanza nel Principato di Catalogna. Nell’aprile 1717 la flotta si raccolse nel porto di Cadice, dicendosi che dovesse unirsi alla marina veneziana nella lotta contro i turchi ed iniziarono i preparativi della spedizione. La squadra rimasero in questo porto fino al mese di giugno, quando prese il mare. Tuttavia, anziché dirigersi sulla rotta di Sicilia e da lì verso 3 James Fitzjames figlio illeggitimo del desposto re inglese Giacomo II e della sua amante Arabella Churchill (sorella del futuro duca di Marlborough), ebbe il titolo di duca di Berwick, e fece una lunga carriera al servizio della Francia, nonché della Spagna. 4 Una buona parte delle truppe migliori veterane erano impegnate in Sicilia; molte di quelle schierate contro i Francesi, con i loro ufficiali, erano invece di nuova leva e di scarsa esperienza. 5 Nel volume III si tratterà in maggior dettaglio questo argomento, Il reggimento Barbon era in origine un reggimento di fanteria spagnola-lombarda formato a Milano nel maggio 1707; nel 1710 una parte del reggimento passa di guarnigione in Sardegna; nel 1714 tutto il reggimento viene destinato a guarnire l’isola. Il reggimento Carreras derivava invece dal reggimento di cavalleria catalana Sormani formato in gran parte da prigionieri della battaglia di Zaragoza (1710) passati al partito asburgico; il reggimento era stato destinato alla guarnigione della Sardegna dopo l’abbandono di Barcellona nel 1713. 9


Levante per congiungersi con le altre squadre ausiliarie della Repubblica veneta, si spostò senza apparente motivo a Barcellona, (per congiungersi ai trasporti che portavano le truppe), entrando in rada di Barcellona la mattina del 2 luglio 1717. Questo fatto destò a Vienna il timore di un colpo di mano contro il regno di Napoli, per opporsi al quale le forze mancavano. Per quanto le Gazzette dell’epoca affermino che Vienna abbia subito disposto il trasferimento di numerosi reggimenti verso Napoli, fu solo dopo la grande vittoria riportata dal principe Eugenio presso Belgrado (18 agosto 1717) che si resero disponibili molte delle forze che erano state impiegate sul fronte orientale. SPEDIZIONE CONTRO LA SARDEGNA Tenenti Generali. Jean-Francois-Nicolas de Bette e Croy-Zollre, marchese di Lede. Capo della spedizione. Joseph de Armendariz e Perurena, marchese de le Navas e Castelfuerte. Marescialli di campo. Joseph Carrillo de Albornoz y Montiel, conte (poi duca) di Montemar. Antonio Pignatelli e Aymeric, marchese di San Vicente. Philippe-Emmanuel-Antoine de Bette et de Croy, cavaliere de Lede. Enrique Grafton. Le truppe che componevano la spedizione erano 14 battaglioni di fanteria, e 300 dragoni. ◆ 4 battaglioni delle Guardie spagnole, colonnello Guillén Ramón de Moncada y Portocarrero, marchese di Aytona (agli ordini del tenente colonnello Francisco Armendáriz). ◆ 4 battaglioni delle Guardie vallone, colonnello Guillaume de Melun de Gand-Vilain, marchese di Risbourg (agli ordini del loro tenente colonnello il conte di Glymes) ◆ 2 battaglioni del reggimento di Murcia. Colonnello Francisco Bustamante. ◆ 2 battaglioni del reggimento di Burgos. Colonnello Isidro Usel Guimbarda. ◆ Reggimento di Wachop. Colonnello Francisco Wachop. ◆ Reggimento di Hainaut. Colonnello Claude, conte di Bournonville. I dragoni, comandati dal conte di Pezuela, erano costituiti da distaccamenti di vari reggimenti. L’artiglieria, al comando del colonnello Sebastián de Matamoros, contava 200 artiglieri e bombardieri, 60 operai e 50 minatori, con un parco composto da 32 cannoni e 14 mortai; completavano le forze alcuni ingegnieri comandati da Joseph de Bauffre. La flotta che doveva convogliare questa spedizione, secondo il padre Belando, era composta da quindici navi da guerra (di cui nove di linea), due brulotti, due galeotte a bombe, quattro galee e undici navi, 34 tartane, dieci pinchi, e una saetia per il trasporto delle truppe 6, la maggior parte di questi requisiti all’ultima ora tra le imbarcazioni mercantili che si trovavano nei porti della Catalogna e di Valencia. Il comando fu conferito al genovese marchese Stefano de Mari, insieme ai capi di squadra Baltasar de Guevara e Francisco Grimau. Il 17 luglio, giorno previsto per la partenza della spedizione, già si trovavano raccolti in Barcellona una gran quantità di viveri e munizioni da guerra e da bocca e gran parte della truppa che doveva imbarcarsi. Il ritardo dell’arrivo dei quattro battaglioni delle Guardie Vallone, che erano accantonati in Tarragona, fece sì che i marchesi di Lede e Mari, decidessero di salpare comunque, lasciando indietro parte della flotta a carico di Baltasar de Guevara perché li imbarcasse, ponendo queste truppe a carico del conte di Montemar e senza potere dare ordini precisi dei quali essi stessi non disponevano. In questo modo Mari si pose alla vela il 24 luglio e Guevara non poté farlo che il 30 seguente. La flotta di Mari era composta da 59 legni insieme alle galee, lasciando a Guevara tre vascelli da guerra, cinque da trasporto e dodici tartane. Però la perizia marinara di Guevara fece sì che la sua piccola squadra navigasse direttamente costeggiando il golfo del Leone fino alla Corsica e di lí alla Sardegna, evitando le calme di vento che trattennero invece i legni di Mari, che si videro obbligati a fermarsi 6 10

Nicolas de Jesus Belando, Historia civil de España, II, Madrid, Manuel Fernandez, 1740, p. 167.


a Maiorca, di modo che non giunsero a vista di Cagliari fino al 9 agosto. La sorpresa del marchese di Rubí, viceré asburgico dell’isola, di fu totale. Montemar, in assenza di ordini, decise di aspettare l’arrivo del grosso della flotta e in questo modo perse l’opportunità di impadronirsi della piazza con scarsa resistenza. Il viceré Rubí, fece chiamare alle armi gli uomini della milizia e diede ordini per munire di viveri le tre piazzeforti dell’isola: Cagliari, Castello Aragonese ed Alghero. Mentre Montemar dibatteva con i suoi ufficiali se si dovessero sbarcare le truppe, il 20 arrivò una nave inviata da Mari avvisando del suo prossimo arrivo, che avvenne il giorno seguente. La stessa notte cominciò lo sbarco degli uomini nella spiaggia di Sant’Andrea, con scarsa resistenza da parte degli imperiali. Il campo spagnolo si pose nei pressi del santuario di Nostra Signora de Lluch, alla cima del monte Urpino, luogo che contava tre pozzi d’acqua, punto importante perché il viceré Rubí aveva dato ordine di avvelenare tutti i pozzi, metodo di “mala guerra” molto utilizzato dai catalani nella resistenza contro i Borbonici nella recente guerra in Spagna. Lede invió un trombettiere a Rubí chiedendo la resa della piazza, ma ne ricevette una risposta negativa. La disposizione del terreno obbligava ad aprire gli attacchi dal convento di Gesú [oggi la ex Manifattura Tabacchi], fino alla Chiesa di San Lucifero, per battere il bastione di Monserrato o dello Sperone o della Zecca [nell’odierno Bastione San Remy], dove si doveva aprire la breccia, dovendosi per prima cosa catturare il sobborgo fortificato della Marina. L’attacco inizió dall’est, impossessandosi i battaglioni delle guardie vallone comandati dal brigadiere e capitano della compagnia di granatieri del terzo battaglione, Albert-Joseph de Dongelberg, marchese di Rèves, dei conventi di Bonaria, della Trinità [nell’attuale Camposanto] e di San Lucifero, situati ad est della città ed il 26 si cominciò lo sbarco dell’artiglieria. Nel mentre, la flotta chiuse l’adito ad ogni intento di soccorso agli assediati, catturando in breve alcuni artiglieri venuti da Napoli che cercavano di entrare nella piazza. Allo stesso tempo le navi cominciarono a lanciare alcune bombe contro la piazza e le sue difese per intimidire la popolazione perché obbligasse il viceré ad arrendersi. Il 31 agosto riuscì ad entrare nella piazza un rinforzo di 300 cavalieri che alleviarono un po’ la penuria di uomini di cui soffriva la guarnigione. Il viceré Rubí, credendosi superiore in cavalleria alle truppe borboniche dispiegò i suoi seicento cavalieri nella pianura, ed attaccò le linee degli assedianti; però nello scontro in campo aperto con i dragoni spagnoli, ebbe a soffrire una cocente sconfitta, rimanendo disfatta la sua cavalleria con molti morti e prigionieri. Il maresciallo di campo Grafton con un distaccamento di 200 granatieri cercò di impadronirsi del castello di San Michele della Contessa, perché i capi spagnoli stimavano che si trovasse poco guarnito e quasi in stato di abbandono. In realtà si sbagliavano poiché fu difeso efficacemente dal conte di San Martín con una compagnia di fanteria e numerosi miliziani, obbligando i granatieri a ritirarsi con una ventina di perdite. Un nuovo attacco effettuato il 6 settembre, fu di nuovo respinto. Fino al 10 settembre da parte spagnola non si poté cominciare ad aprire la trincea contro la piazza, per mancanza di un sufficiente numero di fascine e tre giorni dopo aprì il fuoco la prima batteria. I difensori, al contrario di quanto ci si aspettasse, lottavano con gran perseveranza, però il 15 gli spagnoli si resero padroni del sobborgo di Stampace, ma restarono trattenuti in quello di Villanova. Intanto, il 6 precedente avevano salpato da Barcellona sedici navi al comando del marchese di Montealegre, che conducevano in Sardegna come rinforzo il reggimento di fanteria italiana di Basilicata, di un battaglione, con il suo colonnello Bernardo Carafa e tre squadroni del reggimento di cavalleria di Rosellón Viejo (poi Borbón), colonnello Joseph Manrique de Arana, marchese di Villalegre, che giunsero il 16 a Cagliari. Il 17 si aprì una nuova trincea e si poté completare l’accerchiamento della piazza. Non avendo speranza di soccorsi, quella stessa notte il viceré Rubí, accompagnato dai nobili più legati al governo asburgico e scortato da alcuni cavalieri, fuggì cercando rifugio nell’interno dell’isola. Il 19 i fuggitivi furono sorpresi a Siamanna dal conte di Pezuelae dai suoi dragoni lanciati all’inseguimento e fatti quasi tutti prigionieri, ma il viceré riuscì a 11


mettersi in salvo, perdendo però sia il cappello, che il bastone di comando. Alla notizia dell’assedio di Cagliari, molte località dell’interno dell’isola cominciarono a sollevarsi contro le autorità austriache. Gli abitanti della città di Sassari insorsero guidati da Domingo Vico, marchese di Solemnis, Pedro Amat, barone di Sorso; Juan Guio, barone di Osi e Antonio Miguel Olivés, marchese di Montenegro. Il 12 ottobre il marchese di Lede diede ordine a Francisco Grimau che appoggiasse con le sue galere gli insorti e il 16 arrivò a Sassari il marchese di Montealegre con un distaccamento, che si unì alla gente che comandava il marchese di Montenegro. Il governatore asburgico, colonnello Joseph Gonzalo Benítez de Lugo, si diede alla fuga, venendo nominato al suo posto dai sollevati Pedro Amat. Il rimanente dell’isola si sottomise senza resistenza. Tuttavia continuavano a resistere alcuni nobili come Francesco Pes, marchese di Villamarina e Juan Valentín, conte di San Martino, che riunirono in Gallura un corpo di circa mille cavalieri, sperando in rinforzi dal continente, ben presto però di fronte alla mancanza di soccorsi la gente si disperse e cominciò a tornare alle proprie case, mentre i capi si posero in salvo in Corsica. A Cagliari, la fuga del viceré non aveva scoraggiato i difensori chiusi nel castello al comando del colonnello Carreras. Questi il 22 ordinò una sortita arrivando fino al campo degli assedianti, anche se fu respinta con alcune perdite. A partire dalla mattina del 24 entrò in azione una nuova batteria con la quale quaranta cannoni e venti mortai bombardavano la città. Il 28 un distaccamento di 300 guardie vallone s’impadronì del sobborgo della Marina, abbandonato dai difensori. Inaspettatamente, la sera del 30 il colonnello Carreras fece la chiamata per arrendersi. Il 2 fu sottoscritta la capitolazione, lasciando libera la guarnigione: ma il giorno dopo si imbarcarono solo 122 uomini, prendendo partito per la Spagna i rimanenti. Due giorni dopo la capitolazione di Cagliari, il conte di Montemar uscì dal campo spagnolo con un distaccamento di mille granatieri ed il reggimento di cavalleria di Rosellón Viejo verso Alghero, mentre il marchese di Lede si poneva in marcia con il grosso dell’esercito il 14 ottobre, lasciando di guarnigione nella capitale i reggimenti di fanteria di Murcia e Basilicata ed un distaccamento di cento dragoni e come governatore il tenente generale Joseph Armendáriz, benché a causa dell’infermità di cui soffriva, governasse interinamente la piazza il marchese di San Vicente. Dopo una marcia penosa a causa del calore e la scarsità d’acqua, il grosso delle truppe di Lede giunse ad Alghero la notte dal 19 al 20 settembre, riunendosi con l’avanguardia di Montemar, che aveva già preso i posti. Governava questa piazza per l’imperatore il colonnello Alonso Bernardo de Cespedes, con circa quattrocento uomini, compresi 180 dragoni smontati del reggimento di dragoni Hamilton (dell’esercito del ducato di Milano) che erano riusciti a sbarcare in Sardegna. Vi si trovava anche il viceré Rubí, che non sentendosi sicuro si imbarcò raggiungendo poi la Corsica. La piazza d’Alghero, benché forte per la sua situazione, non aveva fortificazioni in grado di resistere ad un assedio. Dopo l’arrivo di alcune navi che bloccarono il porto, il governatore de Cespedes si arrese il 28 ottobre e la maggiore parte dei dragoni di Hamilton presero partito per gli spagnoli;. il giorno dopo questi entrarono nella piazza, lasciandola guarnita da 500 uomini agli ordini di un colonnello. Mentre ancora durava l’assedio di Alghero, si inviò un distaccamento comandato dal maresciallo di campo marchese di San Vicente verso Castel Aragonese, che si arrese il 29 ottobre. I soccorsi inviati dalla corte di Vienna ai difensori della Sardegna furono molto limitati. Dalla Lombardia partì solo il reggimento di dragoni di Hamilton, smontato, di cui però, causa il tempo contrario, ne arrivò circa la metà, che rinforzò i presidi di Alghero e Castel Aragonese. Andò peggio a un distaccamento di circa cinquecento uomini mandato da Napoli, che sbarcato presso Terranova (oggi Olbia) fu costretto alla resa dagli abitanti del luogo, controllato da Giovanni Battista Sardo di Tempio che aveva preso le armi per la Spagna.7 Il clima malsano dell’isola, infestata dalla malaria, aveva decimato le truppe spagnole. La conquista della Sardegna aveva richiesto due mesi e otto giorni, con un costo di circa cinquecento perdite, la maggiore parte a causa di infermità, risultando tra le più sensibili quelle del brigadiere Francisco Morejón, tenente colonnello 7 12

Secondo Gerba i fatti si svolsero in maniera diversa e meno romanzesca: vedi volume III


Tav. 1 Granatiere e ufficiale superiore a cavallo del reggimento delle Guardie di fanteria spagnole. 34


Tav. 8 Granatieri dei reggimenti di fanteria Valladolid e Ultonia. 77



Quell’estate del 1718: il “grande gioco” nel Mediterraneo. Gli eventi che portarono alla battaglia di Capo Passero

La battaglia di Capo Passero Ricorre quest’anno il trecentesimo anniversario della battaglia navale di Capo Passero, nella quale la squadra inglese dell’ammiraglio Byng distrusse la flotta spagnola comandata dall’ammiraglio Castañeta. Si trattò di una battaglia anomala perché combattuta in assenza di una dichiarazione di guerra formale. Poiché si tratta di un periodo storico forse poco conosciuto, riteniamo utile riassumere gli eventi che portarono al conflitto tra le potenze della Quadruplice Alleanza, Inghilterra, Francia, Olanda e Austria, e la Spagna, con la “partecipazione”, del tutto involontaria, di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia e, all’epoca, Re di Sicilia. Nel 1718 i fragili equilibri europei stabiliti dal trattato di Utrecht che aveva posto termine alla guerra di successione spagnola stavano scricchiolando. Filippo V di Borbone, Re di Spagna, non si era mai rassegnato alla perdita dei possedimenti spagnoli in Italia: il ducato di Milano, la Sardegna e il regno di Napoli assegnati all’Imperatore Carlo VI d’Asburgo, e il regno di Sicilia, con il tanto a lungo ricercato titolo reale, al Duca Vittorio Amedeo di Savoia (questo grazie all’appoggio della regina Anna d’Inghilterra). A sua volta l’Imperatore non aveva rinunciato alle sue pretese sulla corona di Spagna e non aveva accettato l’assegnazione della Sicilia al Savoia, al quale rifiutava il riconoscimento del titolo reale. Negli anni seguenti, grazie all’attività del nuovo primo ministro, il cardinale Alberoni, la Spagna era riuscita a ricostruire parzialmente la propria forza militare e navale. Nel 1717 Filippo V, istigato dal Duca di Parma Francesco Farnese, decise di riprendersi la Sardegna, approfittando del fatto che l’Austria era duramente impegnata in Ungheria conto l’impero ottomano, al quale aveva dichiarato guerra nel 1716 quando la repubblica di Venezia - che era stata attaccata dai turchi ed aveva perso una buona parte dei territori dello Stato da Mar– aveva chiesto il suo aiuto.


Le consistenti truppe spagnole trasportate da una numerosa flotta occuparono rapidamente l’isola senza che il viceré austriaco di Napoli, conte Daun, privo di forze sufficienti, potesse inviare rinforzi alle truppe imperiali che la presidiavano e dovettero arrendersi. Una volta consolidata la conquista, la flotta spagnola rientrò a Barcellona. A tutte le cancellerie europee era però chiaro che quella era solamente una mossa iniziale: i preparativi bellici spagnoli continuavano, una nuova flotta, poderosa nel numero se non nella qualità, veniva radunata a Barcellona dove venivano fatti affluire consistenti corpi di truppe. L’unica incognita era la loro destinazione. Si pensava al Regno di Napoli, al Ducato di Milano o ai presidi della Toscana1. Tra la fine del 1717 e l’inizio del 1718, dopo vani tentativi di mediazione e lunghe trattative diplomatiche, la Gran Bretagna, la Francia, l’Impero e i Paesi Bassi stipularono un trattato di alleanza che aveva l’obiettivo di contenere l’espansionismo spagnolo e di risolvere le questioni rimaste in sospeso tra l’Impero, la Francia e il Regno di Sicilia; i preliminari del trattato furono approvati a gennaio e il trattato, detto della Quadruplice Alleanza, che aveva come scopo dichiarato quello di portare la pace tra “l’Imperatore e i Re di Spagna e di Sicilia”, fu firmato a Londra il 2 agosto2. Tra l’altro, il trattato prevedeva che Vittorio Amedeo II, che non era stato consultato, cedesse la Sicilia all’Imperatore ricevendo in cambio la Sardegna con l’annesso titolo regale. Carlo VI e l’Inghilterra si impegnavano a fornire le forze navali e terrestri per la riconquista dell’isola nel caso la Spagna non avesse accettato di cederla pacificamente. Come previsto dal trattato, nei mesi precedenti la firma ufficiale Vittorio Amedeo fu contattato dai rappresentanti delle potenze firmatarie per convincerlo ad accettare lo scambio, cosa che rifiutò anche se, avendo perso l’appoggio inglese con la morte della regina Anna e con una Francia alquanto indifferente, i suoi margini di manovra fossero nulli: le sue proteste e i tentativi di ottenere delle modifiche caddero nel vuoto. Poiché quando il trattato fu firmato ufficialmente Vittorio Amedeo non aveva ancora accettato la cessione della Sicilia, gli articoli due e tre “separati e segreti” firmati il 2 agosto a Londra, prevedevano che gli fossero concessi tre mesi di tempo per accettare le condizioni “fisse ed immutabili” della Pace con l’Imperatore; se allo scadere di quel lasso di tempo il Re di Sardegna (come era ormai denominato dalle quattro potenze) “contro tutte le attese degli altri Contraenti e la volontà di tutta l’Europa” non avesse accettato le condizioni e siccome “non è possibile che la pace d’Europa dipenda dalla renitenza di quel Principe” le potenze firmatarie avrebbero unito le proprie forze per costringerlo con la forza a sottomettersi, così come avrebbero fatto nei confronti della Spagna3. Nel caso avesse invece accettato lo scambio avrebbe dovuto unirsi a loro contro la Spagna. Contro il Savoia pesava anche il sospetto di Carlo VI che si fosse segretamente alleato con la Spagna per invadere il regno di Napoli. Grazie all’imminente fine vittoriosa della guerra contro i turchi (la pace sarà firmata a Passarowitz il 21 luglio 1718), l’Austria fu in grado di cominciare a trasferire alcuni contingenti di truppe dai Balcani all’Italia, ma si trattò di un movimento che richiese molto tempo, anche a causa della carenza di mezzi finanziari e dello stato malconcio delle truppe che avevano bisogno di riposo, vestiario e rimonte per la cavalleria. I primi rinforzi giunsero a Napoli, parte via terra e parte via mare da Fiume, tra aprile e maggio 17184. A marzo del 1718 gli Avvisi Italiani, una gazzetta che si stampava a Vienna, riportarono la notizia che il Regno di Napoli era allarmato per i “continui armamenti della Spagna, per Mare e per Terra” che si supponeva avessero come luogo di raduno la Sardegna.5 Questo era il quadro nella tarda primavera del 1718, quando i vari contendenti cominciarono le loro mosse sulla scacchiera rappresentata dal Mediterraneo. Gli eventi tra giugno e il 6 agosto 1718


I movimenti spagnoli e inglesi tra giugno e agosto 1718

Il governo inglese decise di inviare nel Mediterraneo una forte squadra navale, il cui comando fu assegnato all’ammiraglio sir George Byng le cui istruzioni erano, una volta giunto nel Mediterraneo, di rendere noto alla Corte di Spagna e al viceré di Napoli che era stato inviato per comporre i motivi di disaccordo tra le Corone di Spagna ed Austria e per prevenire ogni ulteriore violazione della Neutralità dell’Italia. Nel caso che gli spagnoli avessero persistito nell’attaccare i territori imperiali in Italia, oppure avessero tentato di impadronirsi della Sicilia, Byng avrebbe dovuto contrastarli, prima amichevolmente poi, se i suoi tentativi fossero falliti, avrebbe dovuto difendere i territori attaccati intercettando le navi e i convogli spagnoli oppure affrontandoli direttamente6. Byng salpò da Spithead (Portsmouth) soltanto il 15 giugno; purtroppo ogni scopo di prevenzione era già fallito sul nascere perché era in grande ritardo, in quanto soltanto tre giorni dopo una grande flotta spagnola lasciò Barcellona diretta verso levante7. L’intenzione di Filippo V era stata di attaccare direttamente il viceregno di Napoli, ma Alberoni lo aveva convinto a ripiegare sulla Sicilia sabauda nella speranza che ciò non avrebbe provocato l’intervento dell’Inghilterra, che formalmente si era impegnata a difendere solamente i possedimenti imperiali8. Il massimo segreto era stato osservato circa la destinazione e l’obbiettivo della spedizione anche se tutti i partecipanti ipotizzavano che si dovessero attaccare i possedimenti imperiali italiani, anche se restava il dubbio se l’obbiettivo fosse il milanese o il regno di Napoli. All’ammiraglio Castañeta, che comandava la flotta, e al marchese de Lede, che comandava le


truppe erano state consegnate tre buste sigillate contenenti gli ordini: la prima, da aprire subito dopo la partenza, conteneva l’ordine di raggiungere Cagliari dove avrebbero imbarcato ulteriori truppe9. La flotta spagnola giunse a Cagliari il 24 e ne partì quattro giorni dopo facendo rotta verso est, per cui tutti coloro che ne avevano seguito i movimenti pensarono che fosse diretta verso Napoli10 Lo stesso giorno Byng si trovava davanti a Capo San Vincenzo, dove distaccò un vascello per portare a Cadice una lettera che l’inviato britannico alla corte di Spagna consegnò ad Alberoni. La lettera conteneva le istruzioni date all’ammiraglio inglese e l’elenco delle navi che ne componevano la squadra; la lettera fu restituita dopo nove giorni all’inviato, con l’aggiunta di una annotazione del cardinale che diceva semplicemente che l’ammiraglio poteva eseguire gli ordini che aveva ricevuto. Ritardato dal vento, Byng arrivò all’ingresso dello stretto di Gibilterra l’8 luglio, dove il vascello che aveva distaccato si ricongiunse portandogli la notizia dell’avvenuta partenza della flotta spagnola da Barcellona. Al ritardo che aveva accumulato si aggiunse la sosta che dovette fare prima a Capo malaga per reintegrare le riserve d’acqua, e poi a Port Mahon (Minoraca), dove giunse il 23 di luglio, per sbarcare le truppe destinate a quella guarnigione. Qui venne informato che le navi spagnole erano state avvistate il 30 giugno a quaranta leghe da Napoli con rotta sud-est. Ormai conscio del grave ritardo con il quale era arrivato nel Mediterraneo, Byng inviò dei messaggeri al governatore di Milano e al viceré di Napoli per informarli del suo imminente arrivo, e il 25 luglio fece vela alla volta di Napoli11, dove arrivò il primo di agosto ed apprese che gli spagnoli erano sbarcati in Sicilia.

La squadra inglese davanti a Napoli L’arrivo della flotta inglese sollevò notevolmente il morale degli austriaci: sebbene lo sbarco degli spagnoli in Sicilia avesse cancellato le paure di un attacco contro Napoli, Daun temeva che Vittorio Amedeo non avrebbe rischiato le sue truppe per difendere un paese che non solo gli si era ribellato contro ma che sarebbe comunque stato costretto ad abbandonare, anche se le notizie che gli erano arrivate da Vienna indicavano che il Savoia era ora deciso ad aderire alla Quadruplice Alleanza e che aveva accettato di ammettere truppe imperiali nella cittadella di Messina dove si era asserragliata la guarnigione sabauda dopo la rivolta della città12. Il sei agosto Byng salpò da Napoli, scortando un convoglio di tartane sulle quali erano imbarcate delle truppe inviate di rinforzo a quelle che già si trovavano a Reggio Calabria e il generale imperiale Wetzel destinato a


prenderne il comando e il nove giunse all’imbocco dello Stretto di Messina, che all’epoca era noto con il nome di Canale del Faro13. La flotta spagnola aveva lasciato Cagliari il 28 giugno, appena furono in mare i comandanti poterono aprire la seconda lettera, dalla quale appresero di doversi dirigere verso Palermo, davanti alla quale giunsero il primo di luglio. Qui aprirono la terza e ultima lettera che rivelò loro lo scopo della missione: il marchese de Lede doveva assumere la carica di Viceré di Sicilia e intraprendere tutte le operazioni necessarie per renderla effettiva. Nella notte le navi si spostarono nella rada di Solanto, a 15 km di distanza da Palermo, dove iniziò lo sbarco delle truppe, in tutto 23.000 fanti e 6.000 cavalieri. Lo sbarco spagnolo colse completamente di sorpresa i sabaudi: nei primi mesi del 1718 Vittorio Amedeo II aveva ordinato al viceré in Sicilia, il conte Annibale Maffei, di prendere le opportune misure per la difesa della Sicilia in caso di tentativo di invasione, ma era convinto di non aver nulla da temere da parte della Spagna, come gli scrisse ad aprile; in ogni caso ordinò al viceré di prendere tutte le misure necessarie per difendere, se non l’intera isola, compito che riteneva impossibile date le poche truppe che la presidiavano, almeno le piazzeforti più importanti. 14. A riguardo del pericolo di invasione, il viceré Maffei era titubante: all’inizio di giugno le notizie che aveva ricevuto lo avevano convinto che l’armamento spagnolo fosse diretto contro la Sicilia, ma alla fine del mese dichiarò che tutte le informazioni in suo possesso indicavano invece che non fosse diretto contro il regno sabaudo15. L’avvistamento della flotta spagnola che sfilò davanti alla capitale siciliana non fu sufficiente a fugare i suoi dubbi, anche perché era convinto che in caso di ostilità contro la Spagna il re lo avrebbe senz’altro preventivamente avvertito. Solo quando iniziò lo sbarco delle truppe spagnole e gli emissari sabaudi inviati da Maffei furono informati da de Lede dello scopo della loro presenza Maffei comprese la gravità della situazione. Alberoni era riuscito a sorprendere anche l’avveduto Vittorio Amedeo. Lo sbarco spagnolo ebbe un effetto totalmente inaspettato dai governanti sabaudi: non appena de Lede fece diffondere i motivi della sua venuta, l’intera isola, popolo e nobiltà, si schierò con gli spagnoli. Dopo aver atteso inutilmente che la nobiltà palermitana si presentasse al palazzo reale, il 3 luglio Maffei con i soldati del presidio abbandonò Palermo, giudicata indifendibile, per recarsi a Siracusa, una piazzaforte più sicura. Poiché la flotta spagnola bloccava la costa e le cinque galere e i due vascelli della marina sabaudo siciliana si trovavano nei dintorni di Siracusa a Maffei non restò altra scelta che attraversare l’interno dell’isola, affrontando una popolazione sempre ostile e in molti casi apertamente ribelle che costrinse i sabaudi a farsi strada con le armi16. Maffei entrò a Siracusa il 17 di luglio, per restarne immediatamente bloccato dall’insurrezione generale dei siciliani; scrivendo al re pochi giorni dopo, a causa della rivolta generale la sua autorità non era riconosciuta nemmeno a poche miglia da Siracusa e non poteva “fidarsi di un solo uomo nel paese”.17 La rivolta di Catania e di Acireale, i cui abitanti battevano il mare con dei feluconi armati gli rendevano difficili anche le comunicazioni con Messina. La rivolta del paese e la mancanza di denaro impedirono la formazione di un sia pur piccolo corpo mobile; le truppe sabaude (che teoricamente avrebbero dovuto sommare a 8.000 uomini ma che più probabilmente non erano più di 6.000) rimasero quindi rinchiuse nelle piazzeforti costiere ancora in loro mano: Siracusa, Messina, Trapani, Milazzo, Termini Imerese, Augusta e Mola di Taormina18. Il giorno del suo arrivo a Siracusa, il 16 di luglio, Maffei vi aveva trovato gli unici due vascelli della marina sabauda; la notte stessa li inviò con un rinforzo di truppe a Messina. Purtroppo quando i due vascelli, dopo aver sbarcato le truppe, cercarono di salpare per far ritorno a Siracusa, l’arrivo della flotta spagnola li costrinse a rifugiarsi nel porto dove rimasero definitivamente bloccati, privando Maffei del loro apporto.


L’ingresso della flotta spagnola nel Canale del Faro La flotta spagnola aveva lasciato Palermo con a bordo il grosso dell’esercito destinato a conquistare Messina il 18 luglio; il 23 entrò nel Canale del Faro e si ancorò nella rada del Paradiso, pochi chilometri a nord di Messina, dove sbarcò le truppe che diedero inizio all’assedio della cittadella nella quale si era rinchiusa la guarnigione sabauda. La cavalleria intanto si spingeva a sud fino nei dintorni di Siracusa, tagliando qualsiasi possibilità di rinforzo agli assediati; da quel momento in poi, Maffei rimase bloccato a Siracusa con le sue truppe. Il 14 agosto, tre giorni dopo la battaglia di Capo Passero, il viceré sabaudo così descrisse la sua situazione ad Andorno e al viceré di Napoli Daun: i soldati di cui disponeva erano sufficienti a presidiare le piazzeforti ma non gli permettevano di “…me mettre au large…” ossia di intraprendere azioni in campo aperto, sia perché non erano numericamente sufficienti sia perché avrebbero consumato una quantità di viveri che erano invece necessari per sostenere eventuali assedi e che non si sarebbero potuti reintegrare perché i ribelli erano arrivati fino alle porte delle varie piazze. Inoltre da tre o quattro giorni era giunto ad Avola un corpo di 700 cavalieri spagnoli, seguiti il 13 da un certo numero di fanti; poiché però Maffei “…era già serrato da ogni parte sino a queste vicinanze [di Siracusa] …” il loro arrivo non ne modificava la situazione perché “…le truppe [sabaude] non possono tenere la campagna…”19. Nonostante la presenza dei corsari siciliani e della flotta spagnola, Maffei e i difensori di Messina non furono mai completamente isolati: dopo i primi, difficili, giorni, Maffei riuscì a stabilire contatti con Reggio e Messina grazie a piccoli bastimenti noleggiati, generalmente tartane o feluche, che comunque correvano sempre il rischio di essere catturate, mentre tra i sabaudi di Messina e gli imperiali di Reggio si stabilirono contatti frequenti benché informali, in attesa di conoscere le decisioni delle rispettive cancellerie su un’eventuale alleanza. Nelle due settimane in cui la marina spagnola rimase nelle acque di Messina essa non riuscì mai ad imporre un blocco impenetrabile, presumibilmente anche a causa delle forti correnti presenti nello stretto che impedivano alle navi di stazionare a lungo davanti al porto. Numerose tartane e feluche facevano la spola tra Reggio e Messina


portando agli assediati materiali per rinforzare le fortificazioni, munizioni e la corrispondenza da e verso il continente. Nonostante ciò, soltanto il 21 luglio il comandante della guarnigione di Reggio poté comunicare ad Andorno che la flotta inglese era salpata da Spithead. Intanto Vittorio Amedeo aveva dovuto inchinarsi alla realtà dei fatti e rassegnarsi ad accettare gli accordi della Quadruplice Alleanza: nelle istruzioni consegnate al marchese di San Tommaso, che era in procinto di partire per Vienna per concludere un accordo con l’Imperatore, ricordò che per ottenere i necessari e urgenti soccorsi, senza i quali lui avrebbe perso il Regno di Sicilia e l’Imperatore avrebbe corso il rischio di perdere quello di Napoli, era pronto a stringere un’alleanza difensiva e offensiva sulla base di quello che quest’ultimo desiderava, ossia lo scambio tra la Sicilia e la Sardegna20. Informato di questi sviluppi, Maffei cercò di mettersi in contatto diretto con l’ammiraglio Byng. Prima di allora, era rimasto molto sospettoso delle assicurazioni ricevute dai generali imperiali di Reggio Calabria che la flotta inglese stesse arrivando, perché il Re non ne aveva mai parlato nelle poche lettere che riuscirono a raggiungere il viceré21. Il 5 agosto un funzionario sabaudo partì da Siracusa a bordo di un bastimento napoletano per recare a Napoli con una lettera del viceré per l’ammiraglio inglese, del cui arrivo nella città partenopea Maffei era ancora all’oscuro. Dopo aver riassunto ciò che era accaduto in Sicilia fino ad allora, Maffei informava l’ammiraglio che la cittadella di Messina era in grado di resistere per una quindicina di giorni e che l’apparizione della squadra inglese nelle vicinanze sarebbe stata sufficiente a far recedere gli spagnoli dai loro propositi. Pregava quindi Byng di dirigersi, se i suoi ordini glielo avessero consentito, con la massima sollecitudine verso la costa di mezzogiorno della Sicilia e di entrare nel Faro. Nel caso l’ammiraglio lo avesse giudicato utile, Maffei era disponibile a concordare con lui tutte le misure più utili al passaggio della flotta22. Lo stesso giorno una lettera inviatagli da Reggio dal generale austriaco Schober informò Maffei dell’arrivo di Byng a Napoli23; scrisse quindi una seconda lettera all’ammiraglio, ribadendo l’urgenza del suo arrivo davanti a Messina. Avendo intanto appreso della sua prossima partenza da Napoli inviò questa seconda lettera a Reggio, dove sperava che l’ammiraglio l’avrebbe ricevuta24.

L’arrivo di Byng nel canale del Faro e la battaglia di Capo Passero Il 7 agosto una feluca spagnola avvistò al largo di Lipari la squadra inglese che si avvicinava al Faro e il giorno successivo ne portò la notizia a Castañeta, la cui flotta era ancora all’ancora nella rada del Paradiso insieme alla moltitudine di trasporti, molti dei quali erano francesi e inglesi, regolarmente noleggiati dagli spagnoli25. La maggioranza degli ufficiali che parteciparono al consiglio di guerra che l’ammiraglio riunì per decidere il da farsi affermò che essendo ignote le reali intenzioni inglesi sarebbe stato meglio evitare un possibile scontro con una squadra così superiore in numero e qualità. La loro opinione fu condivisa dall’ammiraglio e dall’Intendente e plenipotenziario Patiño i quali basarono la loro decisione sulle istruzioni ricevute da Alberoni, nelle quali li assicurava che Byng arrivava solo in qualità di mediatore e non di aggressore e che il Re d’Inghilterra non avrebbe rotto i rapporti con la Spagna sacrificando il lucroso commercio inglese con la Spagna “ad interessi particolari”. L’ammiraglio decise quindi di lasciare i trasporti al Paradiso e di salpare con la squadra da battaglia e le galere per portarsi a sud, allo scopo di riunirsi con i vascelli che erano stati inviati a Malta per impadronirsi delle galere sabaude26. Il 9 agosto la squadra di Byng si ancorò davanti alle Mortelle, all’ingresso dello Stretto. Nella tarda mattinata le navi da guerra spagnole levarono l’ancora e si diressero a sud. Byng inviò un emissario al marchese de Lede con la proposta di accettare un armistizio di due mesi in modo di dar tempo alle varie cancellerie europee di giungere ad un accomodamento.


Il giorno successivo De Lede rispose di non avere il potere di negoziare e che avrebbe eseguito l’ordine del suo Re di conquistare la Sicilia27; la flotta inglese entrò quindi nel Faro e sostò brevemente davanti a Messina. Byng conferì con i comandanti imperiali. Ad un emissario inviatogli da Andorno per chiedergli quali ordini avesse Byng rispose che avrebbe dovuto attaccare gli spagnoli se non avessero desistito dalla loro impresa in Sicilia28. Un ufficiale sabaudo che era giunto con la squadra inglese portò ad Andorno la lettera con la quale il Re lo autorizzava ad ammettere nella Cittadella le truppe imperiali fino a costituirne la metà della guarnigione29. Le navi spagnole nella notte del 10 furono viste transitare al largo di Siracusa; una improvvisa calma di vento le obbligò ad ormeggiarsi tra Avola (a 12 miglia a sud di Siracusa) e Capo Passero. Nel tardo pomeriggio del 10 Byng si era messo al loro inseguimento ma fu ritardato dal vento contrario e poi dalla bonaccia. Poco dopo mezzanotte la squadra inglese passò anch’essa al largo di Siracusa.30 L’11 agosto, al levar del sole, a Siracusa si cominciò a udire un grande rumore di cannonate che durò fino alle 22; durante la notte si continuarono a vedere le fiamme dei vascelli che bruciavano ed esplodevano all’altezza di Avola31. L’ammiraglio Byng aveva sorpreso la squadra spagnola ormeggiata in disordine e sparpagliata. La battaglia si divise in due episodi: un gruppo di navi inglesi assalì e distrusse la retroguardia spagnola del viceammiraglio genovese Stefano de Mari che era rimasta indietro rispetto al grosso ed era ancorata davanti alla baia di Avola, mentre Byng raggiunse Castañeta e le sue navi che si trovavano più a sud. A posteriori, Byng asserì che ad aprire il fuoco per primi fossero stati gli spagnoli della retroguardia. Al termine della battaglia, 17 navi spagnole erano state catturate e 8 erano state bruciate nella baia di Avola, dove erano state portate ad arenarsi dai loro equipaggi. Si salvarono solamente 22 bastimenti, in gran parte minori, e le galere che raggiungeranno Palermo dopo aver costeggiato l’isola in senso orario. I danni alle navi inglesi furono molto limitati. I marinai delle navi che erano bruciate si salvarono scendendo a terra ed andarono ad aggiungersi alle truppe spagnole che, come abbiamo visto, già da qualche giorno erano stazionate ad Avola indisturbate. Il 21 agosto Byng entrò nel porto di Siracusa e si incontrò con Maffei. Vi fu un momento di tensione in quanto, sull’onda dell’entusiasmo per la vittoria inglese, l’emissario sabaudo alla corte vicereale di Napoli, il conte Borgo, aveva “…creduto che la cittadella di Messina e le altre piazze fossero fuori pericolo con la vittoria della flotta inglese, per cui ha pensato di ritrattare la convenzione che aveva fatta con Daun che ammette gli imperiali nella cittadella fino a metà della guarnigione…”. Appresa la notizia, Byng minacciò di ritirare la sua squadra. Fortunatamente, Borgo fu rapidamente sconfessato da Vittorio Amedeo, tacitando sul nascere le diffidenze che la ritrattazione avrebbe suscitato tra gli anglo-imperiali nei confronti dei sabaudi32. Conclusione La vittoria inglese fece sperare che gli spagnoli, isolati da ogni speranza di ricevere in futuro rinforzi di una qualche consistenza, avrebbero posto termine sia all’assedio di Messina che ad ogni progetto di mantenere il possesso della Sicilia. Così però non fu: divenne ben presto evidente che gli spagnoli sarebbero stati in grado non solo di continuare gli assedi di Messina e di Milazzo, ma anche di mantenere per lungo tempo il controllo dell’isola grazie alle risorse e all’appoggio della popolazione della Sicilia e alle ingenti scorte di provviste, materiali e di denaro di cui de Lede era fornito. Scrivendo al Re, Maffei dovette ammettere che “…la disfatta della flotta spagnola è stata utile perché senza di essa le cose sarebbero precipitate ma senza un soccorso delle truppe imperiali soccomberemo…gli spagnoli hanno 30.000 uomini e 6.000 cavalli e tante provviste che Byng non crede Armata sia mai stata altrettanto provveduta…”33. Nonostante i rinforzi imperiali, la cittadella di Messina dovette arrendersi il 29 settembre; in base agli accordi di resa, le truppe della guarnigione, sia sabaude


che imperiali, furono lasciate libere di rifugiarsi con le armi e il bagaglio a Reggio Calabria, in cambio della consegna delle fortificazioni intatte. Anche Byng e gli imperiali comprenderanno ben presto che sarebbe stata necessario radunare un consistente corpo di truppe e poi una lunga e faticosa campagna terrestre per indurre gli spagnoli alla resa, cosa che avverrà solamente il 2 maggio 1720. La squadra di Byng rimase nelle acque della Sicilia per tutta la durata della guerra (anche se durante i mesi invernali la maggior parte della squadra inglese riparerà a Port Mahon lasciando in Calabria solo un numero ridotto di vascelli) assicurando l’incontrastato dominio del mare, grazie al quale gli alleati poterono postare truppe e rifornimenti a loro piacimento e scegliere i luoghi e i momenti adatti per sbarcare le truppe imperiali in Sicilia; il blocco delle coste non fu assolutamente impenetrabile, ma solo saltuariamente pochi rinforzi riuscirono a giungere a de Lede e non cambiarono la sua situazione strategica, mentre numerosi furono i vascelli e bastimenti spagnoli catturati o affondati. Un capitolo interessante della guerra navale in Sicilia è dato dall’impiego delle galere: esse risultarono particolarmente utili nelle acque dello Stretto di Messina, le cui forti correnti e i venti variabili rendevano difficile alle navi a vela stazionare e bloccare Messina quando gli spagnoli vi furono a loro volta assediati dalle forze imperiali, mentre le più agili galere potevano più efficacemente operare in vicinanza delle coste. Le galere erano ritenute così utili che negli accordi presi a Napoli con il conte Borgo e il vicerè Daun per il proseguimento della guerra in Sicilia e la futura spedizione diretta all’occupazione della Sardegna, l’ammiraglio Byng chiese che le galere sabaude, finalmente ritornate da Malta grazie al suo arrivo a Valletta con alcuni vascelli, rimanessero a sua disposizione per alcuni mesi, insieme a quelle napoletane. Byng affermò che “…sarà necessario avere delle galere perché i vascelli avendo dato fondo in porto non avrebbero sempre potuto uscire quando necessario, e che in quel caso le galere sarebbero state più veloci e avrebbero impedito l’arrivo di viveri a Messina, e che le avrebbe fatte sostenere da un vascello o due…”34

Aldo Antonicelli

1

Simone Candela, I piemontesi in Sicilia, 1996, p. 381 Generalmente si fa risalire il nome di “quadruplice alleanza” al fatto che al trattato aderirono Inghilterra, Francia, Austria e Paesi Bassi; in realtà questi ultimi vi aderirono solamente nel 1719; l’originale designazione di quadruplice si riferiva invece al fatto che inizialmente le prime tre Potenze speravano che al trattato avrebbe aderito anche la Spagna. 3 Archivio di Stato di Torino, Corte (ASTOC), Materie politiche per rapporto all'estero, Negoziazioni colla Corte di Francia, mazzo 28, fasc. 9, Altro detto della quadruplice Alleanza con li Articoli Secreti, e Separati conchiusi in Londra trà L'Imperatore, e li Rè di Francia, e d'Inghilterra, per cui frà le altre Cose viene Stipulato il Cambio della Sicilia colla Sardegna, 2. Agosto 1718. 4 Raimondo Gerba, Campagne del Principe Eugenio di Savoia, vol. XVIII, Guerre in Sicilia e in Corsica, Vienna 1891, p 52 e seg. 5 Avvisi Italiani, Il Corriere Ordinario del 30 marzo 1718; 8 marzo 1718 da Napoli. 6 Corbett, An Account of the Expedition of the British Fleet to Sicily, III ediz, Londra, 1739, pp 10-11. 7 La squadra inglese era composta da 20 vascelli, due brulotti e due navi-bombarda; quella spagnola contava 12 vascelli di linea, 17 fregate, due brulotti, due navi-bombarda e sette galere che scortavano 276 bastimenti da trasporto e 123 tartane che avevano a bordo 36.000 soldati e 8.000 cavalli, oltre al treno d’artiglieria e d’assedio. Mentre i vascelli inglesi erano vere e proprie bastimenti da guerra, la maggior parte di quelli spagnoli erano bastimenti mercantili convertiti, quindi decisamente inferiori. 8 Giancarlo Boeri e Guglielmo Aimaretti, La guerra di Sardegna e di Sicilia 1717-1720, parte I, 2017 p. 14. 9 Cesareo Fernandez Duro, Armada Española, tomo VI, 1900, pp 140-141. 10 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, Maffei 30 giugno 1718. 11 Corbett, p. 13. 12 Ibid, pp 14-15. 13 Gerba, pp 67-68. 2


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Vittorio Emanuele Stellardi, Il Regno di Vittorio Amedeo, vol I, Torino, 1862, pp. 391-92; 13 aprile 1718, Vittorio Amedeo II a Maffei. 15 ASTOC Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, Maffei 28 giugno 1718. Ancora il 30 giugno Maffei scriveva al marchese di Andorno, comandante generale delle truppe sabaude nell’isola, che si trovava a Messina, che “non v’è alcuna parvenza di inimicizia tra SM e il Re di Spagna…non è probabile che durante questa campagna il Regno venga inquietato da qualunque parte”. 16 Alberico Lo Faso di Boccadifalco, Piemontesi in Sicilia. La lunga marcia del conte Maffei, Studi Piemontesi, vol. 23, 2003. 17 ASTOC, Miscellanee, Miscellanea Stellardi, mazzo 7; 17 e 26 luglio 1718, Maffei al Re. 18 Il piccolo presidio di Termini Imerese si arrenderà il 20 di agosto, seguito pochi giorni dopo da quello di Mola di Taormina, mentre il presidio di Augusta sarà evacuato e trasportato a Siracusa verso la fine di luglio grazie a due piccoli bastimenti inglesi noleggiati; ibid, 26 luglio 1718, Maffei al Re. 19 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7; 14 agosto 1718 Maffei ad Andorno; 14 agosto 1718, Maffei a Daun; mazzo 8; 15 agosto 1718 Maffei al Re. Le parole di Maffei smentiscono quanto recentemente è stato affermato nel volume “Ricerche per mare: la cultura afferente il mare”, edito della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, che ad Avola, qualche tempo prima della battaglia di Capo Passero, ebbe luogo una “…violenta battaglia di terra fra i due schieramenti avversi (piemontesi e loro alleati contro gli spagnoli) risoltasi col predominio spagnolo…”. Come si è visto, i sabaudi non avevano risorse per affrontare in campo aperto gli spagnoli né al momento avevano alleati nell’isola, d’altra parte, i soldati spagnoli giunsero ad Avola solamente pochi giorni prima della battaglia. 20 ASTOC, Materie politiche per rapporto all’Estero, Negoziazioni, Austria, mazzo 1 d’addizione; 7 agosto 1718 istruzione originale al conte di San Tommaso per il suo viaggio a Vienna. 21 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 8, 15 agosto 1718, Maffei al Re. 22 Ibid, mazzo 7; 4 agosto 1718, Maffei a Byng; Stellardi, vol III, Maffei al Re, p 373. 23 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, 5 agosto 1718, Maffei ad Andorno. 24 Ibid, 5 agosto 1718, Maffei a Byng. La lettera non partì immediatamente, in quanto vi fu aggiunto un post scriptum datato 8 agosto nel quale Maffei riferisce di aver appreso della prossima partenza di Byng da Napoli. In un recente articolo pubblicato nel già citato volume “Ricerche per mare: la cultura afferente il mare” (vedi nota 19), Carlo Pedone afferma che, prima della battaglia di Capo Passero “…che vi fosse un canale di comunicazione costante tra lui [Maffei] e Lord Byng è un dato storicamente acclarato…”. In realtà ciò è errato; dall’esame dei copialettere della Segreteria vicereale, risulta che le due lettere citate sono le uniche che il viceré inviò all’ammiraglio inglese, delle quali solo la seconda è possibile gli sia pervenuta prima della battaglia di Capo Passero; ulteriori contatti tra i due si ebbero solamente dopo la battaglia quando Byng con la sua squadra si fermò alcuni giorni a Siracusa. D’altronde non vi sarebbe nemmeno stata la possibilità di scambiare ulteriori comunicazioni dato il brevissimo tempo che passò da quando Maffei apprese dell’arrivo di Byng a Napoli (il 5 agosto) al giorno della battaglia di Capo Passero (l’11 agosto). 25 Nei giorni successivi, obbedendo agli ordini del Byng, i bastimenti inglesi si portarono a Reggio, carichi delle provviste e munizioni che non erano ancora state sbarcate. Le provviste furono acquistate dall’amministrazione militare imperiale e il denaro dato ai comandanti die bastimenti a titolo di indennizzo per i pagamenti dei noleggi che avrebbero dovuto ricevere dagli spagnoli; Avvisi Italiani, Il Corriere Ordinario del 19 ottobre 1718, corrispondenza da Reggio del 12 settembre. 26 Duro, p 145. 27 Corbett, p 17, Duro, p 145. 28 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario I, cat. 3°, mazzo 2, Fasc. 2, Relation du Siege de Messine faite par Ms le Marquis d’Entraive. 29 Ibid; le prime truppe imperiali entreranno nella cittadella di Messina solamente il 24 agosto. 30 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 10°, mazzo 8, 11 agosto 1718, il Segretario di Guerra de Carolis al Primo Segretario di Guerra a Torino. 31 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, 11 agosto 1718, Maffei a Andorno. 32 ASTOC, Miscellanee, Miscellanea Stellardi, mazzo 9, 22 agosto 1718, Maffei al Re. 33 ASTOC, Paesi, Sicilia, inventario II, cat. 12°, registri copialettere Segreteria Reale di Palermo, mazzo 7, 4 settembre 1718, Maffei al Re. 34 ASTOC, Miscellanee, Miscellanea Stellardi, mazzo 9, 4 novembre 1718, Borgo al Re.


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