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LE BORGATE DEL FASCISMO
all’interno di una logica che era quella fascista, aderendo alle esigenze di “ordine, sobrietà, igiene e rapidità” che il fascismo propagandava con forza. Soprattutto si calarono in un contesto nel quale l’ideologia antiurbana e gli intenti ruralisti che dominavano il dibattito sulla politica demograica, costituirono una sorta di vincolo normativo dal quale vennero a dipendere forme, prospetti e localizzazioni della nuova edilizia popolare. La casa per i poveri doveva necessariamente trasmettere un’idea di limitatezza, una “semplicità” apparentata a un riduzionismo stilistico che dei criteri razionalistici ne tratteggiava semmai un simulacro. L’incontro tra queste tendenze avvenne sul terreno della “casa popolarissima”, quale versione povera e storpiata della “casa minimum” cui erano diretti gli sforzi teorici dei razionalisti europei29.
5.2 Le borgate rurali e la casa popolarissima Ben altre erano state le scelte intraprese dagli Istituti di case popolari a partire dal primo dopoguerra quando, forse disattendendo le speranze riposte a inizio secolo dai socialisti che vedevano in essi un modo alternativo per l’affermazione del socialismo municipale30, apparve chiara la loro vocazione per un’edilizia di tipo borghese, sia dal punto di vista dei soggetti destinatari che dei linguaggi utilizzati. Nel caso dell’Istituto romano basti osservare la situazione patrimoniale in un momento ben preciso della sua attività e cioè nella seconda metà degli anni Venti31. Si trattava di un insieme di tendenze a volte contrastanti, dal “medievaleggiante” di Trionfale II alle realizzazioni “viennesi” di via Oslavia al “barocchetto” della città giardino Aniene, rielaborate alla luce di una cultura architettonica locale, poi riconosciuta come “scuola romana”, che rappresentò in quegli anni la cifra fondamentale dell’edilizia residenziale della capitale32. Nel complesso, non si può dire che prevalessero gusti diversi da quelli che predominavano tra le classi sociali più ricche, tanto che Enrico Mandolesi, nella presentazione al libro sulla casa popolare a Roma, scrive che questa «è impostata con un linguaggio architettonico del tutto analogo a quello dell’edilizia di lusso»33 . A Roma non erano mai venute Il problema dell’alloggio minimo venne discusso nel corso del II Congresso di architettura moderna tenutosi a Francoforte nel 1929, con interventi di E. May, W. Gropius, Le Corbusier, P. Jeanneret, V. Bourgeois, H. Schimdt, si veda in proposito L’abitazione razionale. Atti dei congressi C.I.A.M. cit., pp. 93-132. 30 G. Piccinato, La nascita dell’edilizia popolare in Italia: un proilo generale, in «Storia urbana», XI, 1987, n. 39, p. 127. 31 Ater, Allegati, 1927-I, Costantini, L’Istituto per le case popolari in Roma dal 1903 al 1926 cit. 32 B. Regni, M. Sennato, L’architettura del Novecento e la “scuola romana”, in «Rassegna dell’Istituto di Architettura e Urbanistica», 1978, n. 40-41, pp. 37-62. 33 Cfr. Cocchioni, De Grassi, La casa popolare a Roma cit., p. 5. 29