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LE BORGATE DEL FASCISMO
3.2 Caratteristiche dei blocchi intensivi dell’Istituto e spunti di analisi sulle assegnazioni degli alloggi Eredi della ricerca tipologica che portò alla realizzazione degli alberghi suburbani, i gruppi popolari di Val Melaina e Donna Olimpia sono generalmente menzionati nel novero delle borgate fasciste. In particolare il complesso di unità d’abitazione di Val Melaina si è soliti comprenderlo nell’enumerazione delle dodici borgate uficiali nate durante il ventennio, posticipandone per altro i tempi di realizzazione, avviata secondo Insolera dopo il 193519. Non che non vi fossero analogie con le altre borgate: la lontananza dalla città, la mancanza o l’incompletezza delle infrastrutture primarie e, in larga misura, la tipizzazione sociale dei destinatari degli interventi ne sono un esempio. I due insediamenti popolari dell’Ifacp, tuttavia, posseggono caratteristiche architettoniche e costruttive profondamente diverse dalle altre borgate, così come diversi furono i soggetti attuatori. Il mancato rilevamento della distinzione tra borgate governatoriali e progetti dell’Ifacp, ha portato a individuare come unica variante nella storia delle borgate il passaggio compiuto a metà anni Trenta dalla tipologia della “casetta minima” alle “case” (ediici formati da tre o quattro piani) e da queste, dopo il 1937, ai “palazzi” (ediici a cinque piani), a cui, si suppone, corrisponderebbero anche diverse categorie sociali (poveri, disoccupati, sfollati nei “lotti”, l’eterogenea popolazione della periferia romana nelle “case”, privilegiati e raccomandati nei “palazzi”). Si tratta di una lettura che, pur cogliendo l’importanza del rapporto tra qualità edilizia e soggetto beneiciario, centrale nella politica gestionale delle borgate intrapresa dall’Istituto dopo il 1935, corre il rischio di assolutizzare un determinato aspetto evolutivo nella realizzazione degli ediici popolari, corrispondente grosso modo alla loro elevazione, per cui, per così dire, la fase delle casette minime non ammetterebbe anche altre tipologie, così come il passaggio ai palazzi chiuderebbe l’epoca delle casette minime. Vedremo come sia l’una che l’altra ipotesi risultino infondate: i gruppi popolari di cui ci stiamo occupando, contemporanei alle casette minime, sono formati da ediici a sette, ma anche nove piani, mentre, appena prima e durante la guerra, torneranno ad essere sperimentate le casette a un solo piano. Nelle borgate Val Melaina e Donna Olimpia, realizzate tra il 1930-32, l’Istituto operò in conformità alle scelte edilizie del momento, ricorrendo allo schema della tipologia intensiva. Voci autorevoli a sostegno delle case “alte” e della centralità urbana emersero al III Congresso interInsolera, Roma moderna cit., p. 139 sgg. Una distinzione tra i blocchi intensivi e le borgate, oltre che nel libro La metropoli spontanea cit., p. 252, è presente in G. Cuccia, Urbanistica edilizia infrastrutture di Roma capitale 1870-1990, Laterza, Roma Bari 1991, p. 125, in cui però l’autore attribuisce all’Istituto anche la paternità delle borgate governatoriali.
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