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1.5 Pompe Funebri
“materializzazione” in cui si vede all’opera la forza della negazione. Chi muore non è un “centro” simbolico da cui si dipartono le diramazioni costituite dai legami affettivi, bensì un agglomerato fisico tenuto insieme in
equilibrio meccanico, così che quando un “pezzo” si guasta ed è ormai insostituibile, la macchina si ferma per sempre e conseguentemente va
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scartata. Ed è paradossale che una civiltà che ha avuto impulso da un potente
“rigonfiamento dell’Io”, trasformi poi i suoi membri in pezzi assolutamente
intercambiabili (Cavicchia Scalamonti, 1991: 115)
La morte viene quindi occultata dai sistemi esperti della scienza. I familiari e
l’uomo comune acquisiscono un’incapacità alla gestione del thanatos, tanto
familiare a tutte le culture precedenti. Ciò accentua altresì il disagio legato alla
malattia grave, della ripugnanza fisica che provoca, del bisogno di nasconderla a
sé e agli altri. (Ariès, 1985: 690). La morte diventa insomma un concetto fuori
dall’ordinario e negativo per l’andamento rampante di una società sempre più competitiva e in crescita.
1.5 Pompe funebri
L’allontanamento del cimitero dei luoghi di culto ha creato un nuovo spazio urbano, la
medicalizzazione ha saputo addomesticare la morte ad un sipario scientifico lontano
dalla famiglia e anche l’imprenditoria funeraria ha saputo collocarsi fra questi due
fenomeni in forma appunto di impresa, più o meno commercializzata e quindi lucrativa,
capitalistica.
Questo fenomeno, nella dimensione europea ha discrepanze notevoli nei diversi
modelli di welfare e che, in parte comincia a giustificarci il perché di una certa diversità
nell’accettazione della cremazione.
Raymond Ariès (Ariès, 1985: 554) ci offre una tipizzazione di tre modelli di gestione
della morte urbana.
- Il modello arcaico (Napoli): è resiliente di una cultura legata al potere religioso
e all’antica solidarietà comunitaria (ad esempio attraverso le confraternite) anche se ritoccato in seguito con alcuni elementi di modernità
- Il modello municipalizzato (Francia della Rivoluzione Francese e
dell’Impero): è la tipologia adottata con una concezione della visione laica della
morte in cui la gestione passa dalle autorità ecclesiali alla gestione pubblica in
forma di monopolio in cui è lo stato o più frequentemente la municipalità
delegata, detiene il monopolio o la regolamentazione della gestione funeraria.
- Il modello liberale (Gran Bretagna, Stati Uniti): si tratta della libera gestione
privata degli affari funebri con pompe gestite da liberi professionisti (un modello
su cui si legifera in epoca vittoriana con il Metropolitan Act del 1850).
In particolare, il modello anglosassone porta elementi di novità: prima di tutto la morte
diventa commercializzata. Si tratta di liberi professionisti (falegnami, carpentieri e
maestri di posta) che già dal Settecento svolgono la professione di imprenditori funebri
a tempo parziale.
Gli undertakers inglesi seppelliscono i morti, e i funerals directors americani,
addirittura li prepareranno, li ospitano e se ne prendono cura fino all’alloggiamento nelle necropoli.
In particolare, negli Stati Uniti durante la guerra di Secessione, la necessità di
rimpatriare le salme britanniche dei caduti in combattimento fa sputare sui campi di
battaglia un personaggio nuovo, l’imbalsamatore che entrerà sulla scena al fianco della pratica della cremazione, pratiche che rendono la morte logisticamente trasportabile
alla maniera di un bagaglio a mano abbattendone costi e burocrazia.
Nel frattempo, prosegue Ariès, l’Inghilterra ha conosciuto una rivoluzione più complessa. Nel decennio 1840-50 Londra conta 1.025 undertakers, di cui 275 a pieno
tempo. Sono molti, anzi troppi, dicono i loro avversari, per una città che registra una
media di soli 114 morti al giorno. Nel quadro del grande dibattito di metà secolo,
comitati di uomini di Chiesa, di “ecclesiologisti”, denunciano aspramente le invenzioni dei tecnici della morte, ai loro occhi di dubbio gusto ma la Chiesa ammette anche una
certa incapacità di riappropriarsi di rituali sacri spiazzati dalla nuova logica
dell’urbanizzazione.
1.6 Conclusioni
Abbiamo qui tracciato le varie dinamiche della sempre crescente leggerezza della