L'OPERAZIONE "EXCESS"

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IL DANNEGGIAMENTO DELLA PORTAERE BRITANNICA ILLUSTRIOUS DA PARTE DEI BOMBARDIERI IN PICCHIATA TEDESCHI E ITALIANI

(10 Gennaio 1941)

Francesco Mattesini

La pianificazione dell’Operazione Excess

All’inizio di gennaio 1941, mentre gli aerei tedeschi del X Corpo Aereo (X Fliegerkorps) si stavano concentrando negli aeroporti della Sicilia, con lo scopo di chiudere il Mediterraneo alla navigazione britannica e battere Malta, i britannici dettero vita alla cosiddetta Operazione Excess, che consisteva nel far transitare per il Mediterraneo un convoglio proveniente dal Regno Unito e formato da quattro grossi e veloci piroscafi.[1] Tre di essi, il Clan Cumming (7.264 tsl), il Clan Mac Donald (9.653 tsl) e Empire Song (9.228 tsl), erano diretti al Pireo con più di 30.000 tonnellate di rifornimenti urgenti per l’Esercito greco, ed il quarto, l’Essex (11.063 tsl), destinato a Malta con un carico di 4.000 tonnellate di munizioni, 3.000 tonnellate di patate pregiate da semina, e dodici velivoli da caccia Hurricane imballati in casse stivate sul ponte.

Un altro piroscafo veloce, il Norther Prince (10.917 tsl), avrebbe dovuto unirsi al convoglio Excess, ma pochi giorni prima della partenza s’incagliò in seguito ad un temporale, e dovette essere lasciato a Gibilterra. Le truppe che il Norther Prince trasportava furono trasbordate sul nuovo incrociatore Bonaventure, prima unità della

[1] Per saperne di più sull’attività della Luftwaffe e della Regia Aeronautica vedi il libro di Francesco Mattesini, L’attività aerea italo-tedesca nel Mediterraneo. Il contributo del “X Fliegerkorps”, Gennaio-Maggio 1941, Seconda Edizione riveduta e ampliata, Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico, Roma, 2003.

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L’OPERAZIONE EXCESS

classe “Dido” a entrare nel Mediterraneo, e che assieme ai quattro cacciatorpediniere Hasty, Hero, Hereward e Jaguar costituiva la Forza F, destinata a scortare il convoglio.

L’incrociatore Bonaventure della classe “Dido”. Il suo armamento, a doppio uso navale e contraereo, era costituito da dieci cannoni da 133 mm su cinque torrette binate, tre a prora e due a poppa. A centro nave i complessi contraerei pom-pom a otto canne da 40 mm. Era la nave comando della Forza F, destinata a scortare il convoglio dell’Operazione Excess.

Nonostante questo convoglio, in grado di procedere a una velocità di 16 nodi, poteva apparire di consistenza modesta, l’operazione Excess richiese invece l’impiego di quasi tutta la Marina da guerra britannica nel Mediterraneo, ossia della Forza H di Gibilterra, e della Flotta del Mediterraneo (Mediterranean Fleet) di Alessandria. Ciò anche perché, con la contemporanea Operazione MC.4, l’ammiraglio Andrew Brwne Cunningham, Comandante della Mediterranean Fleet, approfittò dell’occasione, di andare a prelevare il convoglio Excess a sud di Pantelleria, per far passare a Malta due piroscafi da 15 nodi del convoglio MW.5½, carichi di rifornimenti, e ritirare dall’isola otto piroscafi scarichi dei convogli ME.5 ½ e ME.6, con destinazione Alessandria e Porto Said, per la protezione dei quali fu necessario trovare adeguate scorte.

Le norme per la traversata delle unità delle due operazioni furono stabilite durante la pianificazione sull’apprezzamento della reazione che gli italiani avrebbero portato in entrambi i bacini del Mediterraneo. Fu ritenuto che il rischio maggiore si sarebbe avuto nella zona di mare da sud della Sardegna fino a Malta, per la minaccia rappresentata da sommergibili, naviglio leggero di superficie, e da quello insidioso dei Mas, specialmente durante la notte il cui il convoglio Excess avrebbe attraversato il Canale di Sicilia, i cui bassi fondali erano minati. Era un percorso di 400 miglia

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percorribile in ventisei ore alla velocità di 15 nodi. Fu anche tenuto conto, come già accaduto il 27 novembre 1940 a sud di Capo Teulada, di un possibile intervento della Squadra Navale italiana, e fu ritenuto possibile di poter avvistare in mare dei convogli italiani che avrebbero costituito un ottimo obiettivo.

Considerando che gli italiani potevano intervenire contro il convoglio Excess con due o tre navi da battaglia e una dozzina d’incrociatori disponibili, il vice ammiraglio Somerville, Comandante della Forza H di Gibilterra, potendo disporre per un eventuale combattimento balistico soltanto dell’incrociatore da battaglia Renown, della corazzata Malaya e dell’incrociatore Sheffield, cui si sarebbe aggiunto eventualmente il Bonaventure staccandolo dal convoglio Excess, aveva richiesto una terza nave da battaglia e alcuni incrociatori; ma ciò non fu accordato dall’Ammiragliato britannico, per l’indisponibilità di quelle navi. In mancanza di questo rinforzo, Somerville propose che fossero adottate tre contromisure:

A destra, il voce ammiraglio James Somerville, Comandante della Forza H, sul ponte di volo dell’Ark Royal con il capitano di vascello L.E.H. Mound, comandante della portaerei.

1°) la massima concentrazione di sommergibili in adatte posizioni del Mediterraneo occidentale, che avrebbe potuto percorrere la flotta italiana;

2°) di concentrare a Malta una forza di aerosiluranti da impiegare contro la flotta italiana nei giorni critici dell’operazione;

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3°) infine, realizzare da oriente una diversione col grosso delle navi della Mediterranean Fleet in direzione del Canale di Sicilia, nel pomeriggio e nella notte precedente al giorno più critico del viaggio del convoglio.

L’ammiraglio Cunningham riteneva, invece, che la superiorità degli incrociatori italiani, temuta da Somerville, non fosse da considerare molto importante e che l’unico scopo dell’operazione Excess fosse quello costituito dal sicuro arrivo a destinazione del convoglio. Le maggiori difficoltà, secondo lui, potevano prevenire dagli ostacoli costituiti dalla necessità di dover realizzare contemporaneamente vari movimenti navali che erano stati pianificati, tra cui la scorta di un convoglio a Malta, e il ritiro dall’isola di altri due convogli da scortare in Egitto, l’attacco al traffico navale italiano nel Mediterraneo centrale e nel Dodecaneso.

Comunque per venire incontro alle richieste del comandante della Forza H, l’ammiraglio Cunningham decise di inviare due incrociatori e due cacciatorpediniere a raggiungere il convoglio Excess a ponente del Canale di Sicilia, in modo da rinforzarne la scorta durante il pericoloso passaggio tra la Sardegna e Malta, mentre al posto di svolgere una diversione, decise di portarsi a poche miglia a oriente del

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L’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, Comandante della Mediterranean Fleet, a Alessandria nell’estate del 1940. Sullo sfondo la vecchia nave portaerei Eagle.

Canale con una forza navale che comprendeva le corazzate Warspite e Valiant e la portaerei Illustrious scortate da cacciatorpediniere. Gli altri suoi cinque incrociatori, di cui uno contraereo, servivano per effettuare la protezione di due convogli in partenza da Malta.

Pertanto le forze navali disponibili nella Forza H e nella Mediterranean Fleet furono ripartite in vari gruppi.

Il convoglio Excess, costituito dai quattro piroscafi Clan Cumming, Clan Mac Donald, Empire Song e Essex, partendo da Gibilterra con la scorta diretta della Forza F, costituita dall’incrociatore Bonaventure e dai quattro cacciatorpediniere Hasty, Hero, Hereward e Jaguar, doveva avere fino banco di Skerki, all’ingresso occidentale del Canale di Sicilia a nord di Biserta, la protezione della Forza H del vice ammiraglio Somerville. Essa comprendeva l’incrociatore da battaglia Renown (nave ammiraglia), la corazzata Malaya, la portaerei Ark Royal, l’incrociatore Sheffield e i sette cacciatorpediniere Faulknor, Firedrake, Forester, Fortune, Foxhound, Fury e Jaguar.

L’incrociatore da battaglia Renown nave ammiraglia della Forza H di Gibilterra, che operava in sostegno al convoglio Excess.

Prima dell’inversione di rotta della Forza H per rientrare a Gibilterra, la scorta diretta del convoglio doveva essere rinforzata a sud della Sardegna dalla Forza B della Mediterranean Fleet, proveniente da Suda (Creta), e costituita dai due grandi incrociatori della 3a Divisione Gloucester e Southampton e dai cacciatorpediniere Ilex

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e il Janus. Al comando del contrammiraglio Edward de Faye Renouf sul Gloucester, le quattro navi dovevano, sbarcare truppe, cannoni contraerei e proiettori a Malta, per poi ripartire e raggiungere il convoglio Excess il mattino del 9 gennaio per rinforzarne la scorta nell’attraversamento del Canale di Sicilia, percorrendo una distanza di 130 miglia.

Quindi, arrivato nella zona a sud di Pantelleria il convoglio Excess doveva essere raggiunto della Forza A della Mediterranean Fleet, salpata da Alessandria, con le corazzate Warspite (ammiraglio Cunningham) e Valiant, la portaerei Illustrious, e i nove cacciatorpediniere Jervis, Juno, Janus, Nubian, Mohwak, Greyhound, Gallant, Griffin e Dainty. Queste navi dovevano assumere la protezione dell’Excess dopo aver scortato a Malta i piroscafi del convoglio MW.5½, Breconshire e Clan Macaulay, salpati da Alessandria con la scorta dell’incrociatore contraereo Calcuta e i due cacciatorpediniere Defender e Diamond

La Forza A dell’ammiraglio Cunningham doveva proteggere il convoglio Excess fino alle destinazioni di Malta e del Pireo, e contemporaneamente assumere la protezione di altri due convogli in partenza dalla Valletta, Il primo, il convoglio ME.5½ con i due piroscafi veloci, Lanarkshire e Waiwera, era diretto ad Alessandria, e dopo la partenza da Malta si doveva riunire al convoglio Excess. Il secondo convoglio, il ME.6, era diretto ad Alessandria e Porto Said, e disponeva di otto navi mercantili lente, i piroscafi Devis, Hoegh Hood, Rodi, Trocas e Volo e le cisterne

Plunleaf e Pontfield

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La corazzata Warspite, veterana della prima guerra mondiale, entra nel Grand Harbour di Malta. L’immagine fu ripresa dopo il rimodernamento della nave da battaglia del 1938.

Alla scorta indiretta di questo secondo convoglio furono destinate due formazioni navali: la prima la Forza C, con l’incrociatore contraereo Calcutta, i cacciatorpediniere Defender e Diamond, e le quattro corvette Salvia, Hyacinth, Gloxinia, Peony, che sarebbe arrivata a Malta da Suda, dopo avervi scortato da Alessandria la petroliera di squadra Brambleleaf; e la Forza D del vice ammiraglio

Henry Pridham-Wippell, vice Comandante della Mediterranean Fleet e Comandante delle forze leggere, proveniente anch’essa da Suda e costituita con gli incrociatori leggeri della 7a Divisione Orion, Ajax, Perth e l’incrociatore pesante York.

A sinistra, il vice ammiraglio Henry Pridham Wippell, comandante in seconda della Mediterranean Fleet, e nell’operazione MC.4 comandante degli incrociatori della Forza D. A destra, il contrammiraglio Lumley Lyster, comandante delle portaerei della Flotta del Mediterraneo, ideatore e realizzatore dell’attacco a Taranto dell’11 novembre 1940.

Vi era infine ad Alessandria la Forza X del contrammiraglio Bernhard

Rawlings, con la corazzata Barham, la portaerei Eagle e i cinque cacciatorpediniere Stuart, Wryneck, Vendetta, Wampire e Voyager. Il suo compito doveva essere quello di partecipare a un’altra operazione denominata MC.6, la quale prevedeva che, dopo aver assicurato il transito del convoglio Excess la Mediterranean Fleet effettuasse attacchi contro il traffico sulle coste italiane nel Mediterraneo centrale. La Forza X doveva concorrere all’operazione con i velivoli Swordfish imbarcati sulla portaerei Eagle, attaccando obiettivi del Dodecaneso e della Cirenaica.

Oltre a questo vasto movimento navale di superficie, che si svolse con il plenilunio e in condizioni di visibilità generalmente buona per le condizioni di trasparenza dell’atmosfera, vi era la Forza G, costituita con tre sommergibili

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tempestivamente dislocati nelle acque meridionali della Sardegna, il Triumph e l’Upholder a sud dell’isola, e il Pandora a est. Il loro compito era di segnalare e attaccare navi di superficie italiane eventualmente salpate dai porti del Tirreno per attaccare il convoglio Excess.

Anche la RAF prese parte alle operazioni con gli aerei di Gibilterra, che provvidero alla la scorta antisom durante il passaggio del convoglio Excess nello Stretto, mentre l’Aviazione di Malta, al comando del commodoro Forster Herbert Martin Maynard, effettuò ricognizioni sui porti italiani a nord e a ponente della Sicilia,[2] che però furono considerati dal vice ammiraglio Somerville di quantità insufficiente, tanto che egli era obbligato “ad affidarsi, per informazioni relative alla presenza di unità nemiche di superficie nella zona a sud e a levante della Sardegna, soltanto alla ricognizione fornita dalla sua portaerei”; e aggiunse che “il pericolo d’improvvisi contatti con le forze navali nemiche di superficie continuerà fino a quando le esistenti basi costiere di ricognizione non potranno essere aumentate”.[3]

Non era neppure previsto, negli ordini impartiti, l’impiego da Malta di una forza di aerosiluranti, come Somerville aveva richiesto, e neppure una protezione di velivoli da caccia di scorta, mentre, invece, si realizzò, a differenza di quanto scritto dall’ammiraglio, un intervento aereo su importante base navale del nemico, che ebbe notevoli risultati strategici, allontanando la temuta minaccia che poteva realizzarsi a sud della Sardegna, com’era avvenuto il 27 novembre 1940 con l’inconcludente battaglia di Capo Teulada.[4]

Infatti, sempre allo scopo di impedire un intervento della flotta italiana per intralciare l’Operazione Excess, già in movimento nel Mediterraneo occidentale, su rilevamenti fotografici portati a Malta dai veloci ricognitori Maryland della Squadriglia (Flight) 431a del 69° Squadron, la notte dell’8 gennaio dieci bombardieri Wellington del 148° Squadron, decollando dall’aeroporto maltese di Luqa, attaccarono le navi della Squadra Navale che si trovavano nel porto di Napoli. L’incursione, iniziata alle 19.45 e proseguita fino alle 21.40, causò gravi danni alla corazzata Giulio Cesare che, inquadrata dalle bombe cadute vicino, ebbe infiltrazioni d’acqua nella carena, danni a una turbina, riportò fori da schegge nelle sovrastrutture, la morte di cinque marinai e il ferimento di altri venti facenti parte dell’armamento delle artiglierie di coperta. L’ammiraglia Vittorio Veneto, l’altra nave da battaglia che si trovava in porto, restò illesa. Fu però colpita la nave ospedale Arno da una bomba esplosiva con distruzione di alcuni alloggi. Scoppio a bordo anche un incendio che fu prontamente domato.

[2] Il 31 dicembre 1940 la RAF di Malta disponevano, inclusi gli aerei di riserva, di 20 caccia Hurricane e quattro Gladiator del 261° Squadron, 4 ricognitory Maryland della 431a Squadriglia (Flight), 20 bombardieri Wellington del 148° Squadron, 6 idrovolanti Suderland del 228° Squadron, e la FAA di 12 aerosiluranti Swordfish dell’830° Squadron.

[3] Archivio Ufficio Storico della Marina Militare (da ora in poi AUSMM), “I convogli del mese di gennaio 1941 (Excess)”, fondo Scambio notizie con Ammiragliato britannico.

[4] Francesco Mattesini, “La battaglia di Capo Teulada”, Ufficio Storico della Marina Militare (da ora in poi USMM), Roma, 2000.

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La corazzata Vittorio Veneto, la nave ammiraglia della flotta italiana nel periodo di indisponibilità della gemella Littorio, in bacino a Taranto per riparare i danni riportati a Taranto la notte dell’11 novembre 1940, ad opera di aerosiluranti Swordfish della portaerei britannica Illustrious.

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Bombardiere medio britannico Wellington.

La Squadra Navale italiana nel Porto di Napoli nella prima decade di gennaio 1941 fotografata da un ricognitore britannico Maryland del 69° Squadron di Malta. Nella stupenda fotografia, ripresa da alta quota, si vedono, chiaramente, la corazzata Vittorio Veneto con a poppa la corazzata Giulio Cesare, all’ancora alla Stazione Marittima. Le due unità, dentro un recinto di reti parasiluri, sono protette sul fianco destro da due piroscafi, per protezione ad attacchi di aerosiluranti.

Ma, avendo ricevuto da Supermarina, l’organo operativo dello Stato Maggiore della Regia Marina, l’ordine di lasciare il porto di Napoli, alle 17.00 del 9 gennaio

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entrambe le corazzate si misero in moto, con le squadriglie cacciatorpediniere 7a e 19a: la Vittorio Veneto, nave di bandiera del Comandante in Capo della Squadra Navale ammiraglio Angelo Iachino, per trasferirsi alla Spezia, ricongiungendosi all’altra corazzata Andrea Doria; la Giulio Cesare andando a Genova per riparare i danni riportati nel bombardamento, lavori che ultimo i primi giorni di febbraio, in tempo per partecipare alla vana ricerca della Forza H dopo il bombardamento di Genova del 9 febbraio 1941.[5] Prima di entrare nel porto della Spezia la Squadra Navale ricevette l’ordine di incrociare durante la notte a 60 miglia a sud di Genova, e ciò porta a ipotizzare che da parte di Supermarina vi fu il timore che la Forza H potesse spingersi nel Golfo Ligure. In tal caso le navi italiane si sarebbero trovate in buona posizione, pronte a intervenire.

La partenza dalle basi britanniche del Mediterraneo avvenne come segue:

Alle ore 13.00 del 6 gennaio salparono dall’Egeo, diretti a Malta, gli incrociatori e della Forza B, Gloucester e Southampton e i cacciatorpediniere Ilex e Janus.

Il convoglio dell’Operazione Excess salpò da Gibilterra intorno alle 17.00 del medesimo giorno, scortato dalla Forza F. Per ingannare il servizio di spionaggio dell’Asse, il convoglio inizialmente diresse verso l’Atlantico attraversando lo Stretto, ma nella notte rientrò nel Mediterraneo, in modo da passare Punta Europa dopo il tramonto della luna, arrivandovi prima dell’alba del 7, per poi proseguire verso oriente. Tuttavia questo strattagemma sembrò non avere del tutto successo poiché, riferì il comandante dell’incrociatore Bonaventure, capitano di vascello Henry Jack Egerton, il convoglio fu avvistato precedere verso levante da alcuni pescherecci e navi mercantili di nazionalità neutrale quando la luna non era ancora alta.[6]

[5] Per saperne di più sul bombardamento di Genova e i suoi retroscena, vedi, Francesco Mattesini, L’attività aerea italo-tedesca nel Mediterraneo. Il contributo del “X Fliegerkorps”, Gennaio-Maggio 1941, II edizione, cit. capitolo VI, p. 131-173.

[6] La partenza da Gibilterra del convoglio Excess con rotta ponente avvenne, secondo le notizie fornite dagli osservatori dell’Asse, alle 17.00 del 6 gennaio. Il convoglio, segnalato come comprendere sei piroscafi, un incrociatore tipo “Dido” e quattro cacciatorpediniere, fu poi avvistato alle 11.00 dell’indomani a circa 45 miglia per 335° da Capo Tres Forcas nella sua esatta composizione (quattro piroscafi, un incrociatore tipo “Dido” e quattro cacciatorpediniere), con rotta levante (90°), e a Roma fu compreso che durante la notte il convoglio aveva invertito la rotta. Nel frattempo, alle 09.30 del 7 gennaio, era stata segnalata l’uscita da Gibilterra della Forza H, costituita dalle due navi da battaglia Malaya e Renown, La portaerei Ark Royal, un incrociatore tipo “Birmangham” (Sheffield) e sette cacciatorpediniere. Alle ore 12.30 detta forza navale si trovava a circa 60 miglia a levante di Punta Europa con rotta 90°, velocità imprecisata.

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Il famoso piroscafo britannico Breconshire, della Società di Navigazione Glen Linee, prima di essere requisito dalla Royal Navy. Era una delle quattro navi mercantili del convoglio Excess. Il piroscafo britannico Clan MacDonald, altra nave mercantile del convoglio Excess.

Alle 03.00 del 7 gennaio presero il mare da Alessandria i due incrociatori della Forza D, Orion (vice ammiraglio Pridham Wippell) e Ajax per dare sostegno alla petroliera Brambleleaf che scortata dalle quattro corvette Salvia, Hyacinth, Gloxinia e Peony era diretta a Suda, passando attraverso il Canale di Caso, fra le isole di Scarpanto e di Creta. Ai due incrociatori si aggiunsero, alle 08.00 dell’8 gennaio, il Perth e lo York arrivati a Suda provenienti dal Pireo, dopo di che le quattro unità della Forza D salparono per transitare nel Canale di Cerigo, tra l’estremità occidentale di Creta e la costa meridionale del Peloponneso. Nel pomeriggio dell’8 le quattro corvette, che avevano accompagnato a Suda la Brambleleaf, dopo essersi rifornire salparono dirette a Malta, per poi essere prese sotto la protezione dei quattro incrociatori della Forza D.

Alle 05.00 del 7 salpò da Alessandria la Forza A, e alle 08.00 circa prese il mare da Gibilterra la Forza H.

Alle 14.00 del medesimo giorno 7 gennaio uscì da Alessandria il convoglio MW.5½ che diresse per Malta sotto la scorta della Forza C.

La navigazione di tutti i gruppi si svolse senza incidenti fino al pomeriggio del 9 gennaio, quando, come vedremo, la Forza H subì un attacco da aerei italiani.

Alle 16.40 del 7 gennaio si ebbe l’avvistamento della Forza A e della petroliera Brambleleaf da parte di un ricognitore italiano. L’aereo fu rilevato prima col radar e poi avvistato otticamente, ma i caccia Fulmar della portaerei Illustrious, che tenuti pronti sul ponte di volo decollarono immediatamente, non riuscirono a raggiungerlo. Nel pomeriggio, alle 17.20 e alle 18.28, si ebbero altri due avvistamenti di aerei, ma in entrambe le occasioni, i Fulmar non riuscirono a intercettarli. Gli avvistamenti fecero conoscere e confermarono agli italiani la presenza in mare di un’aliquota della Mediterranean Fleet con rotta a ponente.[7]

Passato il Canale di Caso la Forza A nella giornata dell’8 fece rifornire i cacciatorpediniere della scorta a Suda, per poi ripartire alle 18.00 con rotta ponente, mentre le corvette che avevano scortato la petroliera a Suda, ripartirono anch’esse per Malta.

Alle 15.37 dell’8 gennaio un ricognitore del 201° Gruppo della RAF avvistò a circa 10 miglia a nord di Apollonia (Cirenaica) un convoglio italiano di quattro piroscafi e una nave ospedale con rotta ovest, ma la portaerei Illustrious non poté far nulla per attaccarlo essendo al di fuori del raggio d’azione dei suoi aerosiluranti. Si trattava di un convoglio costituito dai piroscafi Montello, Maddalena C. e dalla motonave Gritti e scortato dall’incrociatore ausiliario Caralis. Partito da Napoli il 6 gennaio il convoglio arrivò indisturbato a Tripoli il giorno 9.

[7] Come vedremo, secondo le notizie fornite dalla ricognizione aerea italiana dell’Aeronautica Egeo il primo avvistamento delle unità della Forza A si ebbe alle 13.15 del 7 gennaio a circa 110 miglia per 338° da Alessandria, quando fu segnalato da un velivolo S.79 del 92° Gruppo Bombardieri un gruppo navale comprendente una portaerei, due incrociatori (in realtà corazzate) e sette cacciatorpediniere con rotta nord, velocità di 18 nodi. Alle 17.00 lo stesso gruppo navale fu avvistato da un altro ricognitore S.79 del 34° Gruppo Bombardieri a circa 180 miglia per 325° da Alessandria, con rotta 325° e velocità 18 nodi.

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Alla mezzanotte la Forza A si trovava a circa 45 miglia a sud-ovest di Capo Matapan con rotta ovest (280°), e poco dopo diresse per 260° verso punto situato poco a sud di Malta. Durante la navigazione, alle 10.30, la Forza A era stata raggiunta dai quattro incrociatori della Forza D, e anche da due unità australiane, l’incrociatore Sydney e il cacciatorpediniere Stuart, che partite dalla Valletta dopo aver completato alcuni lavori nell’arsenale, furono fatte proseguire per Alessandria. Erano stati anche mandati in esplorazione i ricognitori dell’Ark Royal, e prima di mezzogiorno anche sei aerosiluranti Swordfish per ricercare naviglio italiano sulla rotta Tripoli Bengasi, ma senza successo.

Nel frattempo la Forza B, lasciato a Malta il cacciatorpediniere Janus per lavori in bacino era transitata alle ore 23.00 dell’8 sotto Pantelleria, dove fu avvistata dalla stazione semaforica dell’isola, che trasmise un segnale dall’arme, che per un disservizio arrivo a destinazione a Supermarina soltanto nel tardo pomeriggio dell’indomani, e non fu quindi utilizzabile per conoscere il passaggio delle navi britanniche che andavano a prelevare il convoglio dell’Operazione Excess a sud della Sardegna.

Alle 04.30 del 9 gennaio arrivò a Roma la notizia che il sommergibile Beilul (capitano di corvetta Paolo Vigliasirdi), in agguato nel Canale di Caso, alle 00.17 aveva lanciato quattro siluri contro due piroscafi di un convoglio scortato in transito, udendo due esplosioni. Si trattava del convoglio AS.10, costituito da undici navi mercantili britanniche e greche, scortato da cinque cacciatorpediniere ellenici, che partito da Porto Said l’8 febbraio arrivò a Suda il giorno 10. Durante la navigazione, transitando nella notte del 9 gennaio, con luce lunare, per il Canale di Caso, il comandante della scorta, capitano di vascello Gregory Mezeviris sul cacciatorpediniere ellenico Vasilef Giorgios I, udì tre forti vibrazioni da esplosioni, una delle quali vicino alla sua nave. Immediatamente, sospettando trattarsi dell’attacco di un sommergibile, i cacciatorpediniere lanciarono in mare bombe di profondità. All’arrivo a Porto Said il comandante Mezeviris riferì l’episodio e, da parte di ufficiali di marina britannici, gli fu risposto che le esplosioni dovevano essere state causate dalla detonazione di siluri alla fine della loro corsa, lanciati probabilmente da un sommergibile o da una torpediniera che si teneva nascosta sottocosta.

Le contromisure italiane

La prima notizia sulla presenza in mare di una frazione della Mediterranean Fleet si ebbe a Roma alle ore 12.00 del 7 gennaio quando, un ricognitore S. 79 del 92° Gruppo Bombardamento Terrestre dell’Aeronautica Egeo, decollato alle ore 10.13 dall’aeroporto di Gadurra, nell’isola di Rodi, sorvolò alla quota di 800 metri il porto di Alessandria scattando fotografie panoramiche. Nell’osservazione a vista fu rilevata la presenza nel porto di quattro navi da battaglia, una portaerei, un numero imprecisato di cacciatorpediniere e incrociatori, inclusi due da 7.000 tonnellate. Una delle corazzate (Lorraine) e tre in incrociatori pesanti (Duquesne, Suffren, Tourville)

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erano unità francesi della Forza X, internate ad Alessandria. Nella rotta del rientro alla base, dove arrivò alle 14.30, l’S.79 avvistò, alle 13.15, in lat. 32°55’N, long. 29°05’E, una nave portaerei, due incrociatori e sette cacciatorpediniere in navigazione con rotta nord, con velocità di 18 nodi, e alle 13.35, in posizione latitudine 33°45’N, long. 28°45’E, individuò un incrociatore e tre cacciatorpediniere, anch’essi con rotta nord. Naturalmente il primo gruppo di navi avvistate dall’S.79 alle 13.15 era la Forza A, nella sua esatta composizione numerica, ma le cui due corazzate Warspite e Valiant furono ritenute incrociatori.

Per avere maggiori informazioni sulla presenza in mare del gruppo navale avvistato alle 13.15 dal velivolo del 92° Gruppo, e per precisarne la composizione, alle ore 15.43 fu fatto decollare da Gadurra un altro S.79 del 34° Gruppo Bombardamento Terrestre, per esplorare il tratto di mare verso Alessandria. Alle 17.00 il velivolo avvistò il medesimo gruppo navale a circa 180 miglia per 325° da Alessandria con rotta 325°, velocità 18 nodi.

Avendo il pilota dell’S.79 comunicato al rientro alla base che tra le unità nemiche vi era una nave portaerei, per attaccarla decollarono subito dall’aeroporto di Gadurra tre aerosiluranti S.79 della 68a Squadriglia del 34° Gruppo. Ma a causa della sopraggiunta oscurità i velivoli, che erano al comando del capitano Giorgio Grossi, non riuscirono a rintracciare l’obiettivo.

Una formazione di velivoli S. 79 della 67a Squadriglia del 34° Gruppo Bombardamento Terrestre di base a Gadurra, sull’isola di Rodi. La squadriglia aveva nel suo organico anche quattro aerosiluranti, arrivati dall’Italia con i rispettivi equipaggi, al comando del capitano Giorgio Grossi.

Nel frattempo, per rilevare, con una ricognizione a vista, quale fosse la presenza navale e aerei nei porti di Suda, Candia e Mirabello e nell’aeroporto di Iraklion, il Comando dell’Aeronautica Egeo aveva fatto decollare in mattinata dall’aeroporto di

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Maritza (Rodi), due caccia Cr.42 della 162a Squadriglia. I piloti, sorvolando le coste settentrionali dell’isola di Creta, rientrati alla base alle 16.08, riferirono di aver avvistato nella Baia di Suda due incrociatori da 7.000 tonnellate, che avevano sparato con le artiglierie contro i due velivoli italiani senza colpirli. Fu ritenuto che probabilmente i due incrociatori fossero l’Ajax e il Perth

Per avere maggiori informazioni sulla presenza degli incrociatori a Suda con una ricognizione a vista e fotografica, l’indomani mattina fu inviato un S.79 del 92° Gruppo, scortato da tre caccia Cr.42 della 162a Squadriglia. L’S.79 segnalò che due incrociatori, uno da 10.000 tonnellate e l’altro 7.000 tonnellate, stavano dirigendo verso la baia. Erano l’Orion e l’York partiti dal Pireo per ricongiungersi a Suda all’Ajax e al Perth.

Questa era la situazione navale nel Mediterraneo orientale, come appariva a Roma la sera del 7 gennaio e il mattino dell’8.

Poiché la partenza di un convoglio e della sua scorta salpati da Gibilterra con rotta a levante era conosciuta tramite gli informatori dell’Asse stanziati ad Algesiras e in altri punti dello Stretto, dopo l’avvistamento di una forte aliquota della flotta di Alessandria, era evidente l’intenzione del nemico di far transitare per il Mediterraneo un importante convoglio. Fu ipotizzato che sarebbe stato scortato dalla Forza H fino all’entrata occidentale Canale di Sicilia, por poi essere prelevato a ponente di Malta dalla Mediterranean Fleet. La destinazione poteva essere Malta oppure un porto della Grecia o dell’Egitto.[8]

L’incrociatore australiano Perth nella mimetizzazione del 1941. Da Internet: A Brierf History of the Australian Cruiser.

[8] Durante la note del 7-8 gennaio i cacciatorpediniere italiani Vivaldi, Malocello, Da Noli e Tarigo e le torpediniere Sagittario e Vega posarono a nord di Capo Bon lo sbarramento X2 costituito da 180 mine e lo sbarramento X3 con altre 180 mine.

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Lo York, unico incrociatore della Mediterranean Fleet a essere armato con pezzi da 203 mm.

Poiché la quasi totalità delle forze aeree della Regia Aeronautica era impegnata per puntellare i traballanti fronti della Grecia e della Cirenaica, si rendevano disponibili in Sicilia forze aeree ridotte, poiché molti reparti si erano trasferiti per far posto, nei principali aeroporti, alle unità aeree del 10° Corpo Aereo tedesco (X Fliegerkorps). Erano rimasti sull’isola soltanto il 30° Stormo da bombardamento, con una quindicina di velivoli S.79, e la 279a Squadriglia Aerosiluranti costituitasi il 1° gennaio a Gerbini con sei velivoli S.79, nonché aliquote da caccia. In Sardegna vi erano i due veterani Stormi da bombardamento 32° e 8°, con velivoli S.79. Ma mentre il 32° Stormo era nella sua piena efficienza, in quei giorni dell’Operazione Excess l’8 Stormo rimase immobilizzato sull’aeroporto di Alghero dalle pessime condizioni atmosferiche, che impantanando il campo di volo rendeva problematico i decollo dei velivoli a pieno carico di bombe.

Nella penisola italiana non esistevano altri reparti aerei di riserva, tranne il 10° Stormo bombardamento, anch’esso su velivoli S.79, tenuto fermo sull’aeroporto di Viterbo perché in quei giorni di gennaio il servizio informazioni faceva temere che vi fosse la possibilità che forze britanniche sbarcassero nelle isole del possedimento del Dodecaneso, da dove l’Aeronautica dell’Egeo svolgeva le sue operazioni di ricognizione e attacchi contro obiettivi dell’Egitto e del Mar del Levante. In previsione di dover attaccare le forze navali segnalate il giorno 8 nel Mediterraneo orientale con rotta ad ovest, che si riteneva potessero riunirsi con un

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altro gruppo navale segnalato nella notte per rilevamenti radiogoniometrici a 30 miglia a nord di Cirene, e che comprendevano una portaerei, Superaereo, l’organo operativo dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica, prese le seguenti misure: dispose per un efficiente servizio di ricognizione, e ordinò il trasferimento da Lecce a Comiso, in Sicilia, di un aliquota di dodici velivoli da bombardamento in picchiata Ju.87 del 96° Gruppo, che comprendeva le Squadriglie 236a e 237a

In Sicilia, come vedremo, era però già dislocato gran parte del X Fliegerkorps, che in seguito agli accordi tra Superaereo e l’Alto Comando della Luftwaffe (OB.d L), alla fine di dicembre aveva già iniziato il suo trasferimento in Italia, con l’ordine di sbarrare il Mediterraneo alla Flotta britannica e battere Malta per renderla inoffensiva nei confronti della navigazione italiana con la Libia. E ciò anche in vista del trasferimento da Napoli a Tripoli di convogli germanici che, scortati da unità navali della Regia Marina, a iniziare dalla metà di febbraio dovevano trasportare in Libia le prime aliquote dell’Afrika Korps (5a Divisione Leggera) del generale Erwin Rommel.

Nel frattempo, sempre nella giornata dell’8 gennaio, per aver conferma della presenza delle forze navali britanniche a sud delle Baleari, sollecitata per telefono da Supermarina alla Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF), le fu risposto che anche il Comando Supremo (Stamage) aveva già richiesto di aver notizie in proposito alla Delegazione francese, che assicuro di rispondere non appena le notizie fossero pervenute. Invece non arrivo a Roma nessuna informazione.

Il mattino del 9 gennaio giunsero a Roma, le prime notizie sulla Forza H da parte di un ricognitore Cant.Z.506 del 93° Stormo Bombardamento Marittimo decollato da Elmas, che alle 09.15 del 9 febbraio segnalò tre incrociatori da 10.000 tonnellate a sud-ovest della Sardegna (era la Forza B). Seguì, da parte di un altro Cant. Z.506 della 170a Squadriglia della Ricognizione Marittima della Sicilia, un’altra segnalazione sulla presenza, alle 10.37, di altri tre incrociatori a sud-sud-est di Malta (era la Forza D). A questo punto, essendo ormai accertata la manovra nemica nei due bacini del Mediterraneo, Supermarina emanò i seguenti ordini:

- Alle 09.15 fu trasmesso a Marina Messina di disporre nella notte agguati di Mas presso le coste Capo Bon e nelle acque intorno a Malta, e per una crociera di due torpediniere dislocate a Trapani da inviare presso Pantelleria.

- Alle 13.10, per appoggiare gli agguati dei Mas e delle torpediniere nel Canale di Sicilia, fu comunicato al Comando della 4a Divisione Navale sull’incrociatore Bande Nere di mettere a disposizione di Marina Messina (ammiraglio Pietro Barone) la 14a Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Luca Tarigo, Lanzerotto Malocello). Successivamente fu ordinato alla 4a Divisione di trasferirsi subito da Palermo a Napoli dove doveva tenersi pronta a muovere.

Alle 13.30 trasmise a Messina, al Comando della 3a Divisione Navale (ammiraglio Luigi Sansonetti), sull’incrociatore pesante Trieste, di mettere un cacciatorpediniere a disposizione di Marina Messina per portarsi a sud di Capo Passero allo scopo di dare appoggio ai Mas inviati nelle acque di Malta. Alla 3a Divisione fu poi comunicato di tenersi pronta a muovere all’alba dell’indomani, 10 gennaio.

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Alle 21.30, fu ordinato al Comando Navale del Traffico (Maricotraf) di sospendere la navigazione nel Basso Tirreno e nel Mare Ionio, mentre la navigazione con la Libia era stata sospesa in precedenza da Supermarina. Per proteggere il traffico con l’Albania, da eventuali incursioni della flotta britannica nel Canale d’Otranto, com’era accaduto la notte dell’11 novembre 1940 con l’annientamento dei quattro piroscafi del convoglio “Lovatelli”,[9] nella notte tra il 9 e il 10 gennaio e per tutta la giornata dell’indomani, furono tenuti in mare gli incrociatori della 7a e 8a Divisione Navale, con navi ammiraglia l’Eugenio di Savoia e il Duca degli Abruzzi. Nel frattempo, il 9 gennaio, sommergibili britannici avevano fatto la loro comparsa, attaccando piroscafi italiani. Il Pandora (capitano di corvetta Jon Wallace Linton) affondò nelle acque meridionali della Sardegna il Palma e il Valdivagna, mentre nelle acque di Capo Spartivento Calabro il Parthian (capitano di corvetta Michael Gordon Rimington) affondò il Carlo Martinolich. In seguito a ciò, Supermarina fece intensificare nelle due zone marittime le missioni di vigilanza antisommergibili con velivoli Cant.Z.501 della ricognizione Marittima, torpediniere e Mas.

L’attacco dell’Aeronautica della Sardegna

Dopo essere partito da Gibilterra nel pomeriggio del 6 gennaio, e aver impiegato lo strattagemma per far credere di essere diretto in Atlantico per poi nella notte rientrare nel Mediterraneo, il convoglio dell’Operazione Excess prosegui la navigazione nella sua rotta indisturbato. All’alba del 7 gennaio, primo giorno dell’operazione, l’incrociatore Bonaventure si separò dal convoglio per raggiungere la Forza H, che verso la stessa ora aveva preso il mare da Gibilterra. Durante la giornata il convoglio, con vento leggero e mare calmo, navigò lungo la costa della Spagna per dare l’impressione di essere diretto in uno dei suoi porti. Nella notte diresse verso l’Africa e punto a levante per il Canale di Sicilia tenendosi a circa 30 miglia dalla costa, mentre la Forza H si mantenne ad una certa distanza dal convoglio verso nord e verso levante, fino al mattino del 9, per proteggerlo dall’attacco di aerei nemici che potevano arrivare dagli aeroporti della Sardegna.

Fino a questo momento il vice ammiraglio Somerville non ebbe motivo di ritenere che navi di superficie italiane fossero già in mare a ponente della Sardegna, nel qual caso egli avrebbe raggiunto il convoglio con tutta la sua flotta, al quale si era ricongiunto il mattino dell’8 il Bonaventure, lasciando a protezione delle quattro navi mercantili i cacciatorpediniere Hasty, Hero, Hereward e Jaguar. Poi, com’era stato pianificato, nella serata il convoglio fu raggiunto anche dalla vecchia e lenta corazzata Malaya, e dai cacciatorpediniere Firedrake e Jaguar, staccatisi dalla Forza H, alla quale restarono, navigando di prora al convoglio, l’incrociatore da battaglia

[9] Francesco Mattesini, “La notte di Taranto Lo svolgimento dell’operazione Judgment e le considerazioni dei protagonisti”, Parte Seconda, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, dicembre 1998.

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Renown, la portaerei Ark Royal, l’incrociatore Sheffield e i cacciatorpediniere Faulknor, Forester, Fortune, Foxhound e Fury.

Le tre principali unità della Forza H, mentre transitano per lo Stretto di Gibilterra vicino alla costa della Spagna. Da destra l’incrociatore da battaglia Renown, la corazzata Malaya e la portaerei Ark Royal.

La portaerei Ark Royal in navigazione avendo di scorta a poppa un cacciatorpediniere.

Il mattino del 9 gennaio la portaerei Ark Royal, la cui dotazione di velivoli comprendeva quindici caccia Fulmar (12 del 806° Squadron e 3 dell’805°) e venti

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aerosiluranti Swordifish degli Squadron 815° e 819°, mise la prua al vento per far decollare cinque velivoli Swordfish della Squadriglia (Flight) 812 X destinati a rinforzare sull’isola, nell’aeroporto di Hal Far, l’830° Squadron aerosiluranti dell’Aviazione Navale (FAA).[10] Un altro Swordfish dell’818° Squadron, che rientrava sulla portaerei da una ricognizione nella zona del Golfo di Cagliari, fu costretto ad ammarare a 130 miglia di distanza dalla Forza H, ma il cacciatorpediniere Foxhound (capitano di corvetta Geoffrey Hendley Peters) portatosi velocemente sul posto recuperò il pilota e il navigatore, tenenti di vascello H. Appleton e I.W. Goddard.

Dopo il decollo degli Swordfish diretti a Malta, che raggiunsero tutti felicemente la destinazione con un volo di 350 miglia, la Forza H accostò per riunirsi al convoglio che raggiunse alle 09.00 a circa 120 miglia a sud-ovest della Sardegna. La portaerei Ark Royal aveva in volo undici aerei, tre da caccia, uno per protezione antisom, e sette da ricognizione, e uno di questi ultimi alle 09.18 avvistò verso levante la presenza di due incrociatori e due cacciatorpediniere, segnalati come nemici. Successivamente, essi furono riconosciuti come gli incrociatori Gloucester e Southampton appartenenti alla Forza B del contrammiraglio Renouf che, assieme al cacciatorpediniere Ilex, un’ora

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più tardi si unirono al convoglio. L’incrociatore Gloucester, della 3a Divisione, la nave comando del contrammiraglio Renouf. [10] Gli Swordfish della Fligth 812 X a fine dicembre 1940 erano stati trasportati dalla Gran Bretagna a Gibilterra per mezzo della vecchia portaerei Argus, per poi essere trasbordati sull’Ark Royal.

Le tre navi della Forza B che, lo ricordiamo, erano partite da Alessandria alle 13.00 del 6 gennaio, dopo aver raggiunto Malta alle 09.15 dell’8 e scaricate le truppe che imbarcavano, erano ripartite dalla Valletta alle 13.45 dello stesso giorno con rotta ponente. Nel passaggio notturno del Canale di Sicilia, transitando a 15 miglia ad ovest di Pantelleria, con luna chiara e tempo buono, erano state viste alla superficie del mare cinque mine, e si anche avuto l’impressione che le navi fossero state individuate da una stazione di vedetta dell’isola, senza però si fosse verificata una qualsiasi reazione; e ciò portò a far credere che il nemico non fosse stato a conoscenza dell’operazione fino alle 09.00 de mattino del 9 gennaio, quando i due incrociatori e il cacciatorpediniere furono avvistate da una aereo da ricognizione italiano, che fu visto allontanarsi quando le navi comonciarono a sparare. Poi, alle 10.00 fu avvistato un altro ricognitore, che riuscì a sfuggire all’intercettazione dei caccia Fulmar dell’Ark Royal, e fu ritenuto che gli immancabili attacchi aerei della Regia Aeronautica stavano per cominciare.

Fin dal mattino del 9 gennaio a Superaereo arrivarono le prime segnalazioni di avvistamento della Forza H da parte della ricognizione dell’Aeronautica della Sardegna, che fin dall’alba aveva fatto decollare dall’idroscalo di Cagliari tre idrovolanti Cant.Z.506 del 93° Gruppo. Intervennero poi anche i ricognitori dell’Aeronautica della Sicilia, che impiego lungo le coste settentrionali della Tunisia

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Un caccia Fulmar pronto al decollo sul ponte di volo della portaerei Ark Royal.

due sezioni di bombardieri S.79 delle squadriglie 195e e 192a (rispettivamente dei Gruppi 87° e 90° del 30° Stormo) decollate da Sciacca al comando dei capitani Paris e del tenente Sansovini. Tra le unità navali che erano presenti nella formazione britannica, furono chiaramente individuate le due navi da battaglia Renown e Malaya e la portaerei Ark Royal, e avvistati parecchi incrociatori di diverso tonnellaggio, cacciatorpediniere e un numero imprecisato di piroscafi.

Nel Mediterraneo centrale invece, alle ore 14.10 una pattuglia di S.79 della 193a Squadriglia dell’87° Gruppo del 30° Stormo bombardieri, decollata da Sciacca al comando del tenente Mario Cesari, avvistò a 10 miglia da Malta quattro incrociatori da 10.000 tonnellate diretti verso La Valletta (era la Forza D), e poi a 5 miglia a sud di Malta individuò quattro grosse unità di tipo imprecisato. Poi, in seguito ad altri avvistamenti, fu ritenuto che la Mediterranean Fleet comprendesse due corazzate, una portaerei, cinque - sei incrociatori e numerosi cacciatorpediniere, che stavano procedendo verso ponente in diversi scaglioni, distanziati tra di loro. Vedremo in seguito come si svolsero le successive operazioni in questo settore. Nel frattempo, ritorniamo al Mediterraneo occidentale.

Sulla base delle segnalazioni dei ricognitori italiani e tedeschi a nord delle coste della Tunisia, non tutte concordanti,[11] il Comandante dell’Aeronautica della Sardegna, generale Ottorino Vespignani, fece partire alle 12.25, per ricognizione offensiva, una formazione di dieci bombardieri S.79 dell’89° Gruppo del 32° Stormo che, al comando del maggiore Antonio Fadda, imbarco modeste bombe da 100 chili nell’intenzione che fossero attaccati i piroscafi del convoglio. Il Gruppo, in due formazioni della 229a e 228a di squadriglia, ciascuna di cinque velivoli in formazione a cuneo, diresse da Decimomannu (a nord di Cagliari), con rotta sud verso l’isola Galite, da dove ebbe inizio la ricerca del nemico verso ovest, in modo da tenersi per la rotta d’attacco a sud delle navi da guerra che proteggevano il convoglio, che di norma il nemico faceva navigare piuttosto sotto la costa dell’Algeria e della Tunisia.

Alle 13.25 la formazione avvistò la Forza H che stava procedendo verso oriente, e tenendosi fuori vista dalle unità nemiche, costituite da due navi da battaglia, una portaerei, incrociatori e cacciatorpediniere, dopo circa venti minuti di volo, non avendo avvistato il convoglio, si diresse verso le navi da guerra.

In quel momento si aveva una sola formazione navale, con i quattro piroscafi del convoglio, Clan Cumming, il Clan Mac Donald, Empire Song e Essex, che stavano navigando in due colonne distanti l’una dall’altra 1.500 yard (1.370 metri) ed erano guidate dal Gloucester e dalla Malaya. Il Bonaventure e il Soutampton si mantenevano nei quartieri poppieri delle stesse colonne, mentre sette cacciatorpediniere erano in scorta prodiera. Il Renown e l’Ark Royal, scortati dallo Sheffield a da cinque cacciatorpediniere, si tenevano a stretto contatto sul lato sinistro

[11] Durante la giornata del 9 gennaio, tra le 09.15 e le 17.40, si ebbero del convoglio Excess sette segnalazione dei ricognitori italiani dell’Aeronautica della Sardegna, quattro dagli S.79 dell’Aeronautica della Sicilia, una di un aereo civile che in volo tra Marsala e Tunisi alle 12.15 avvistò una nave da guerra imprecisata, e una di un ricognitore tedesco Ju.88D della 1.(F)/121, che segnalò le navi nemiche alle 14.00 a 60 miglia per 25° da Tunisi.

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del convoglio, che procedeva con direttrice di marcia levante (88°) con le navi che zigzagavano alla velocità di 14 nodi.

I bombardieri S.79 del 89° Gruppo furono rilevati dell’incrociatore Sheffield (capitano di vascello Edward de Faye Renouf) alla distanza massima del suo tipo di radar (79Y), a 43 miglia di prora a dritta, e quattordici minuti dopo la formazione fu avvistata mentre volava verso il fianco destro del convoglio fuori portata dalle artiglierie delle navi, ad una quota di circa 11.000 piedi (3.528 metri). Trascorsero dodici minuti, e alle 13.46 i dieci S.79, dopo essersi portato larghi dalla prora del convoglio, iniziarono il loro attacco dalla direzione del sole (145°).[12]

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Lo Sheffield, l’unico incrociatore della Forza H. Il suo radar permise di scoprire i bombardieri S.79 dell’89 Gruppo dell’Aeronautica della Sardegna, quando si trovavano alla distanza 43 miglia. [12] AUSMM, “I convogli del mese di gennaio 1941 (Excess)”, fondo Scambio notizie con Ammiragliato britannico.

Non appena gli aerei sono in vista aprono il fuoco le artiglierie delle navi, e poi quando sono a tiro é la volta dei pom-pom. Nell’immagine un complesso Vickers a otto canne da 40 mm.

Alle ore 14.00, secondo l’ora riportata dagli italiani, i velivoli dell’89° Gruppo attraversarono il fuoco di sbarramento delle unità navali che abbatte uno degli S.79, probabilmente con le artiglierie a lunga gittata da 133 mm del Bonaventure. Poi, da 2.900 metri di quota la formazione effettuò lo sgancio delle bombe, tre delle quali, secondo quanto affermato dagli equipaggi al rientro a Decimomannu, vi fu il convincimento di aver colpito una corazzata, “sulla mezzeria e sulla poppa”, e di aver probabilmente colpito anche un cacciatorpediniere. In realtà le bombe caddero vicino alla corazzata Malaya e all’incrociatore Gloucester senza causare danni, anche se al rientro a Gibilterra gli informatori dell’Asse segnalarono che la Malaya era entrata in bacino per riparare danni causati da bombe cadute vicino allo scafo.[13]

Mentre si stavano ritirando i bombardieri italiani furono attaccati da alcuni caccia britannici Fulmar, decollati dalla portaerei, che persistendo in un lungo inseguimento abbatterono un altro degli S.79, dopo quello accreditato alle navi.[14]

[13] ASMAUS, Superaereo, Relazione sulle azioni aeree contro la flotta inglese nei giorni 910-11 Gennaio 1941.XIX.

[14] Giuseppe Santoro, L’Aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, Volume Primo, Edizioni esse, Milano-Roma, 1950, p. 467 sg; ASMAUS, Relazione sull’azione offensiva del giorno 9 gennaio 1941-XIX contro forze navali avversarie naviganti a sud della Sardegna.

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9 gennaio 1941. L’attacco alla Forza H dei dieci bombardieri italiani dell’89° Gruppo del 32° Stormo. La salva delle bombe da 100 chili, troppo spostate a sinistra, è diretta contro la corazzata Malaya, che non è stata colpita per la sua pronta accostata a dritta.

La corazzata Malaya ripresa in navigazione da un aereo. Riportò danni non gravi allo scafo per le bombe cadute vicino, sganciate dai bombardieri S.79 dell’89° Gruppo del 32° Stormo.

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La versione britannica è differente, perché i caccia Fulmar dell’808° Squadron dell’Ark Royal attaccando gli S.79 ne avrebbero abbattuti due con il tenente di vascello R.C. Tillard, che aveva per osservatore il tenente M.F. Somerville nipote del comandante la Forza H. Il primo S.79 esplose, e vi fu un solo superstite che venne raccolto dal cacciatorpediniere Foxhound (capitano di corvetta Geoffrey Hendley Peters), il secondo S.79 precipitando ammarò in fiamme, e i due superstiti furono raccolti dal cacciatorpediniere Forester (capitano di corvetta Edward Bernard Tancock). [15]

I due S.79, entrambi della 228a Squadriglia, avevano per pilota e capo equipaggio il tenente Armando Loddo e il sottotenente Silvio Chiri. Per salvare gli eventuali superstiti fu fatto decollare da Elmas un idrovolante S.66 della 613a Squadriglia Soccorso, scortato da due Cr.42 del 3° Gruppo Caccia. Raggiunta la zona dell’abbattimento nonostante lunga ricerca l’idrovolante rientrò alla base senza aver avvistato alcun superstite.

Una squadriglia di cinque caccia Cr.42 del 3° Gruppo inviata a protezione dei bombardieri, sulla rotta del rientro avendo avvistata due caccia li attaccò, e i piloti ritennero averne abbattuto uno del tipo “Blackburn Roc” a sud di Capo Spartivento, mentre gli equipaggi dei bombardieri, che tornarono a Decimomannu tutti più o meno gravemente colpiti e con due uomini della 228a Squadriglia feriti, sostennero di aver abbattuto un secondo caccia. In realtà nell’occasione alcun aereo britannico andò perduto.

Le residue ore di luce non permisero al Comandante dell’Aeronautica della Sardegna di mandare all’attacco altre formazioni offensive, dopo quella del 89° Gruppo Bombardieri, come egli avrebbe desiderato, e con l’azione descritta ebbe anche termine l’attività aerea contro la Forza H che l’indomani si trovò ben distante dal raggio d’azione dei bombardieri italiani della Sardegna, mentre lo era per quelli della Sicilia.

Secondo una relazione dell’Ammiragliato britannico, il fuoco vivace delle artiglierie delle navi era stato il più accurato di quello effettuato in precedenti occasioni, e il contrammiraglio Renouf era convinto fosse stato il tiro di sbarramento, effettuato dal Renown e dalle altre navi della formazione, a cambiare la rotta d’attacco mentre, invece, come sappiamo, gli aerei italiani puntarono sul convoglio dopo non aver trovato i ricercati piroscafi.

Anche il Comando del X Fliegerkorps avrebbe voluto partecipare agli attacchi aerei contro la Forza H, che era stata segnalata, alle ore 14.00, da un ricognitore Ju.88D della Squadriglia 1.(F)/121, il quale spingendosi dalla Sicilia fino al 3° meridiano est aveva avvisto le navi britanniche comprendenti una portaerei a 60 miglia per 25° da Tunisi. Il X Fliegerkorps, dopo aver mandato in volo un altro Ju.88D della medesima 1.(F)/121 per verificare se la portaerei vi era realmente, aveva comunicato all’Ufficio di collegamento con Marina Messina che era sua intenzione di

[15] Christopher Shores - Bian Cull - Nicola Malizia, Malta: The Hurricane years 1940-1941, Londra, Grub Street, 1987, p. 57. Archivio Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico (da ora in poi ASMAUS), Diario Storico del Comando Aeronautica Sardegna 1941.

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attaccare le forze navali nemiche con quaranta bombardieri in picchiata Ju.87 e venti bombardieri in quota He.111, ma che l’impiego era subordinato, per mancanza di caccia di scorta, che erano attesi in Sicilia ma non ancora arrivati, alla presenza della nave portaerei. Quando il secondo Ju.88D confermò che la portaerei era presente il Comando del X Fliegerkorps ritenne l’intervento impossibile, proprio per il mancato arrivo della caccia di scorta.[16]

Durante il pomeriggio nulla più accadde per il convoglio e la Forza H, tranne qualche segnalazione di aerei che non si avvicinarono. Nessuna notizia arrivò sulla temuta presenza della flotta italiana da parte degli aerei da ricognizione Maryland della Royal Air Force (RAF) di Malta che stavano esplorando le zone di mare a nord e a ponente della Sicilia; e neppure dai velivoli della portaerei Ark Royal, che aveva mantenuto in volo a questo scopo sette aerei Swordfish nella mattinata, spingendo le ricognizioni fino al banco Skerki, a nord di Biserta, e a sud est delle coste della Sardegna, mentre altri due aerei, decollati alle 16.00, raggiunsero nel pomeriggio una distanza di 150 miglia di prora al convoglio.[17]

Poco prima del tramonto, a 25 miglia a nord di Biserta (lat. 37°42’N, long. 09°53’E), tutte le navi della Forza H si staccarono dal convoglio, invertendo la rotta per rientrare a Gibilterra, giungendovi il giorno 11 gennaio dopo una navigazione tranquilla. I piroscafi del convoglio, Clan Cumming, Clan Mac Donald, Empire Song, Essex, proseguirono la navigazione verso est attraversando il canale sabbioso del Banco Skerki, con la scorta delle Forze B e F riunite che disponevano degli incrociatori Glucester, Soutampton e Bonaventure e dei cacciatorpediniere Hasty, Hero, Hereward Jaguar e Ilex.

Nel frattempo, il mattino del 9 gennaio il Comandante dell’Aeronautica della Sicilia, generale Renato Mazzucco, aveva inviato una squadriglia di caccia a mitragliare l’aeroporto di Luqa, il principale di Malta. Una seconda squadriglia ebbe il compito di fare da scorta indiretta ai velivoli destinati al mitragliamento, e si ebbero quindi in volo un totale di sedici caccia Mc.200 del 6° Gruppo del 1° Stormo al comando del maggiore Vezio Mazzetti. Lo scopo del mitragliamento, era quello di menomarne gli aerei da bombardamento al suolo, che nella notte avevano attaccato Napoli danneggiando la corazzata Giulio Cesare, e costretto la Squadra Navale italiana a sgombrare il porto per ritirarsi nelle basi più sicure dell’Alto Tirreno, alla Spezia e Genova, per restarvi in attesa che quella base della Campania avesse disposto di una difesa aerea più efficace.

Mentre la scorta indiretta, al comando del capitano Domenico Camarda rimaneva in quota, Il mitragliamento era effettuato da una pattuglia di quattro velivoli

[16] AUSMM, telefonata n. 3820, dal capitano di vascello Antonino Toscano all’ammiraglio Emilio Ferreri, fondo Supermarina Comunicazioni Telefoniche.

[17] Tra le 17.40 e le 19.20 del 9 gennaio, il sommergibile italiano Aradam (capitano di corvetta Giuseppe Bianchini), trovandosi in agguato a 40 miglia a levante dell’Isola La Galite percepì all’idrofono movimenti di navi molto distanti, e poi fu sottoposto a caccia sistematica antisom. Per i danni riportati dovette rientrare a Cagliari per eseguire le riparazioni più urgenti. Nessuna segnalazione arrivò dal sommergibile Axum (capitano di corvetta Emilio Gariazzo) che si trovava anch’esso in agguato in quella zona, a 20 miglia a nord est di Bona.

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guidati dal maggiore Mazzetti, e si svolse con una reazione contraerea considerata molto forte. Furono presi a bersaglio cinque bombardieri Wellington del 148° Squadron, il reparto che aveva attaccato il porto di Napoli, tre dei quali furono danneggiati ma non gravemente.

Sulla rotta del ritorno si ebbe a verificare l’attacco di sei caccia Hurricane del 261° Squadron che arrivando da quota superiore abbatterono, con il capitano F.F. Taylor e il sottotenente J.A.F. MacLachlan, i MC.200 del tenente Luigi Armarino e del maresciallo Ettore Zanandrea, mentre altri quattro Mc.200 atterrarono alla base di Comiso avendo riportato danni abbastanza gravi.[18] I piloti dei due Mc.200 abbattuti furono visti lanciarsi in mare con il paracadute, ma sopravvisse soltanto il capitano Armarino, comandante della 88a Squadriglia del 6° Gruppo, che recuperato dai britannici e fatto prigioniero fu portato in un ospedale di Malta.

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La rotta seguita del convoglio Excess e della Forza H il 9 gennaio 1941. Grafico dell’Ufficio Storico della Marina Militare. [18] ASMAUS, Diario Storico Comando Caccia dell’Aeronautica della Sicilia 1941; Christopher Shores - Bian Cull - Nicola Malizia, Malta: The Hurricane years 1940, cit., p. 108.

Alle ore 16.00 un Mc.200 dell’81a Squadriglia del 6° Gruppo Caccia, con pilota il tenente Guido Beggiato, attaccò nel cielo dello Stretto di Messina un velivolo ritenuto del tipo Blenheim, mitragliandolo fino all’esaurimento delle munizioni. L’aereo fu poi visto dirigere verso le coste della Calabria. Sta di fatto che alle 16.35 un ricognitore Maryland della 431a Flight, rientrando a Luqa dopo essere stato attaccato, riferì il pilota, da alcuni caccia italiani, ebbe difficoltà nello scegliere il momento dell’atterraggio, volando in circolo sopra l’aeroporto e quando prese terra un uomo dell’equipaggio era rimasto ferito.

Nel pomeriggio di quel 9 gennaio, intorno alle 17.00, in seguito a due avvistamenti di unità navali (Forze A e D) segnalate da due ricognitori S.79 della 193a Squadriglia del 30° Stormo Bombardieri, al comando del tenente Mario Cesari, il generale Mazzucco inviò in volo da Comiso nove velivoli Ju.87 del 96° Gruppo Tuffatori, scortati da dieci caccia Cr.42 del 23° Gruppo Caccia bis al comando del capitano Luigi Filippo. Essi furono diretti contro la Forza A a sud di Malta, e seguiti da una sezione di due aerosiluranti S.79 della 278a Squadriglia, che al comando del capitano Orazio Bernardini si era da pochi giorni costituita a Catania. Ma sebbene esistessero condizioni di tempo favorevoli con ottima visibilità le forze navali britanniche, forse per errore dei ricognitori o perché avevano “intelligentemente” variato la direttrice di marcia, non furono trovate e le due formazioni aeree, modificando sensibilmente la loro rotta, andarono ad attaccare obiettivi di Malta.

Gli Ju.87, tre della 236a Squadriglia e sei della 237a, attaccarono tre piroscafi alla fonda a Marsa Scirocco, con risultati ritenuti buoni dagli equipaggi, e di nessun effetto per i britannici, che da parte loro ritennero fossero stati Stuka tedeschi ad attaccare. Nella rotta del rientro, dirigendo con l’oscurità della notte verso le coste di Malta, uno dei due S. 79 diresse contro un piroscafo anch’esso alla fonda all’entrata della Baia di Marsa Scirocco; ma gli uomini dell’equipaggio non riuscirono a apprezzare il risultato dell’attacco per l’abbaglio della luce dei proiettori puntati contro l’S. 79, mentre l’altro velivolo rientrò a Catania con il siluro. Infine nella notte due S.79 del 30° Stormo, decollando da Sciacca furono inviati a bombardare il porto della Valletta, ma soltanto uno di essi, con pilota il tenente Turchi, riuscì a raggiungere l’obiettivo e ad effettuare lo sgancio di dieci bombe da 50 chili, mentre l’altro velivolo, con pilota il sottotenente Lumassa, dovette a rientrare alla base con le bombe a causa di un’improvvisa avaria.

Quel giorno 9, come abbiamo detto, i reparti aerei tedeschi, tranne alcuni ricognitori, restarono sugli aeroporti della Sicilia per mancanza di caccia di scorta. Tuttavia, sulla base degli avvistamenti e degli spostamenti delle forze navali nemiche, anche in relazione al passaggio del convoglio Excess per il Canale di Sicilia, il Comando del X Fliegerkorps programmò l’azione per l’indomani, sempre però contando, per la presenza di navi portaerei nemiche, sull’arrivo dei caccia Bf.110 del III./ZG.26, che prima di trasferirsi a Palermo si trovavano a Treviso, provenienti da Nuebiberg, sobborgo meridionale di Monaco di Baviera.

Dagli avvistamenti effettuati dalla ricognizione aerea italiana svolta la sera del 9 febbraio e nella notte seguente, i comandi aeronautici apprezzarono che alle ultime ore della giornata la Forza H aveva invertito la rotta all’altezza di Capo Blanc, mentre

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il convoglio stava procedendo nella sua rotta attraverso il Canale di Sicilia accompagnato da forze leggere. Si prevedeva che l’indomani lo stesso convoglio sarebbe stato prelevato nei pressi di Pantelleria, da unità della Mediterranean Fleet, la cui presenza nel Mediterraneo Centrale, in spostamento verso ponente, era stata confermata da un idrovolante Cant.Z.506 della 170a Squadriglia Ricognizione Marittima. Il velivolo aveva avvistato a 110 miglia a est di Malta due gruppi navali, distanti tra di loro 30-40 miglia, e che comprendevano il primo gruppo tre incrociatori, il secondo gruppo due navi da battaglia, quattro incrociatori, un numero imprecisato di cacciatorpediniere e una probabile nave portaerei.

Per tentare di localizzare il convoglio dell’operazione Excess durante la notte, prevedendo che esso avrebbe iniziato “lo sfilamento nel Canale di Sicilia verso le 23.00” del 9 gennaio, un idrovolante Cant.Z.506 della Ricognizione Marittima fu mandato in esplorazione notturna nella zona compresa fra Marsala – Capo Bon – La Galite. La ricognizione non ebbe successo, e pertanto restarono a terra tre aerosiluranti S.79 che attendevano l’ordine di partenza per un eventuale intervento.[19]

Da parte tedesca, essendo arrivati in serata a Palermo i tanto attesi caccia Bf.110 del III./ZG.26, il Comando del X Fliegerkorps informò Marina Messina, la quale per telefono mise al corrente Supermarina, che l’indomani all’alba avrebbe mandato in ricognizione sette velivoli: due nel Mediterraneo occidentale lungo le coste africane, ed altri cinque nel Mediterraneo centrale, fino a comprendere la costa libica, il Canale di Sicilia e le coste orientali della Tunisia. Lo scopo era di individuare le forze navali nemiche, e sulla base degli obiettivi rilevati dai ricognitori Ju.88D di attaccarle con quarantacinque bombardieri Ju.87, venti bombardieri He.111 e venti caccia Bf.110.[20]

L’attacco delle torpediniere Vega e Circe nel Canale di Sicilia

Mentre la Flotta H si allontanava verso ovest, per assumere la scorta al convoglio Excess, come previsto dai Comandi italiani stava sopraggiungendo da levante, verso l’entrata orientale del Canale di Sicilia, la Forza A della Mediterranean Fleet. Salpata da Alessandria il 7 gennaio, essa era ora composta dalle corazzate Warspite (ammiraglio Cunninghan) e Valiant, dalla nave portaerei Illustrious, e da sette dei nove cacciatorpediniere originali, il Jervis, Dainty, Gallant, Greyhound,

[19] ASMEUS, Comando Aeronautica della Sicilia, Relazione sulle Operazioni dei giorni 78-9-10-11-12 Gennaio XIX°.

[20] AUSMM, telefonata n. 3841, dal capitano di vascello Antonino Toscano all’ammiraglio

Giuseppe Fioravanzo, fondo Supermarina Comunicazioni Telefoniche. * Secondo una situazione serale riferita al giorno 9 gennaio e comunicata a Superaereo, vi erano in Sicilia 121 velivoli del X

Fliegerkorps ripartiti come segue: 5 ricognitori Ju.88 della 1(F)/121; tre bombardieri Ju.88 del II

LG.1 e 1 del III./LG.1; 29 bombardieri He.111 del II./KG.26, 2 He.111 del Comando X

Fliegerkorps e 1 He.111 del Comando St.G.3; 1 bombardieri Do.17 dello St.G.3; 20 tuffatori Ju.87 del I./St.G.1 e 34 Ju.87 del II./St.G.2; 24 caccia pesanti Bf.110 del III./ZG.26; 4 velivoli Ju.52 del Gruppo da trasporto KG.z.b.V9, ed altri 7 velivoli dei vari reparti corrieri e collegamento.

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Griffin, Mohwak e Nubian. Come abbiado detto la Forza A, durante la rotta per Suda attraverso il Canale di Caso, era stata avvistata alle 16.40 del 7 gennaio da un ricognitore italiano, e poiché nel pomeriggio dello stesso giorno si ebbero altri due avvistamenti, vi fu a Roma, come abbiamo detto, la conferma che il grosso della Mediterranean Fleet era in mare.

Nella loro navigazione verso occidente tutti i gruppi navali britannici assunsero la protezione al convoglio MW 5 1/2 partito da Alessandria alle 14.00 del 7 gennaio, diretto a Malta e costituito dai piroscafi Breconshire (9.776 tsl) e Clan Macaulay (10.492 tsl), scortati dall’incrociatore contraereo Calcutta e dai cacciatorpediniere Defender e Diamand. Il convoglio arrivo felicemente a Malta alle ore 08.00 del 10 gennaio, dopo di che il Calcutta e il Diamond ripresero il mare per scortare il convoglio ME 5 ½, costituito dai piroscafi Lanarkshire (8.167 tsl) e Waiwera (10.792 tsl), che arrivò ad Alessandria il giorno 13. I due piroscafi erano arrivati alla Valletta il 20 dicembre 1940 con il convoglio MW.5A, nel corso di una vasta missione della Mediterranean Fleet che aveva portato le corazzate Warspite e Waliant ad entrare nel Canale d’Otranto per bombardare la notte di quello stesso giorno 20 il porto albanese di Durazzo.

L’ammiraglio Cunningham avrebbe voluto passare inosservato con la Forza A, che però fu avvistata da un ricognitore italiano verso le 10.30 del 9 gennaio. L’aereo fu individuato col radar, ma la presenza di nuvole basse non permise ai caccia Fulmar dell’Illustrious di intercettarlo e impedirgli di trasmettere il segnale di avvistamento Ritornando al convoglio dell’Operazione Excess, nell’attraversamento del Canale di Sicilia la notte tra il 9 e il 10 gennaio trascorse tranquilla. L’isola di Pantelleria fu passata dalle navi al tramonto della luna, mantenendosi il più possibile al largo e in acqua profonde per diminuire il pericolo delle mine, ma al mattino, proprio all’inizio dell’alba, vi fu l’avvistamento di due navi sottili italiane. Infatti, per esercitare il controllo del Canale di Sicilia, Marina Messina, su ordine di Supermarina, aveva disposto agguati notturni di Mas, e di una sezione di due torpediniere. Le missioni dei Mas della 2a Squadriglia non si concretarono per le condizioni del mare che costrinsero a farli rientrare a Trapani e a Mazzara del Vallo nelle prime ore della notte. Riuscirono invece a portarsi verso Malta le Squadriglie 10a e 12a salpate da Augusta, che restarono nella zona fin verso la mezzanotte, senza fare avvistamenti.

Per appoggiare le azioni dei Mas nel Canale di Sicilia, come ordinato da Supermarina, il mattino del 10 gennaio salpò da trapani la 14a Squadriglia Cacciatorpediniere, comprendente il Vivaldi, Da Noli, Tarigo e Malocello. Le quattro unità, al comando del capitano di vascello Giovanni Galati sul Vivaldi, si portarono a Sud di Marettimo, ma alle 09.17 i cacciatorpediniere aprirono il fuoco contro due aerei che si stavano avvicinando e che furono ritenuti per nemici. In realtà si trattava invece di aerei tedeschi che non avevano fatto il prescritto segnale di riconoscimento, probabilmente perché ancora non lo conoscevano, essendo appena arrivati in Sicilia. I due aerei sganciarono quattro bombe che caddero a poppa dei cacciatorpediniere senza causare alcun danno. Ne riporto invece, anche se leggeri, il Malocello per

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l’esplosione di una mitragliera da 40/39 mm, che causò tre feriti uno dei quali gravemente.

Le torpediniere Circe (capitano di corvetta Tommaso Ferrieri Caputi) e Vega (capitano di corvetta Giuseppe Fontana), salpate da Trapani la sera del 9 gennaio per effettuare un pattugliamento di vigilanza nelle acque a levante dell’isola di Pantelleria, restarono in agguato durante la notte che trascorse tranquilla, con nessun avvistamento. Ma alle 07.12 del 10 la Circe, trovandosi a circa 7 miglia a sud-ovest da Punta Ferreri di Pantelleria, avvistò alla distanza di circa 7.000 metri diverse navi britanniche con rotta sud-est alla velocità stimata di 20 nodi, e insieme alla Vega accostando andò all’attacco. La consegna che i comandanti delle due torpediniere avevano ricevuto da Supermarina era di agire “con piena libertà di giudizio e solamente se riterranno che le condizioni di luce permettano eventuale attacco con probabilità di successo”.[21]

La torpediniera Sirio che all’alba del 10 gennaio, avendo avvistato le navi britanniche, andò all’attacco lanciando i siluri, imitata dalla Vega.

Raggiunta una distanza utile per attaccare una nave al centro della formazione nemica, che il comandante Caputi ritenne essere una portaerei, tra le 07.26 e le 07.28 la Circe lanciò tre siluri regolati a 8.000 metri, mentre un altro siluro non partì per un’avaria all’accensione della carica di lancio. La Vega lanciò soltanto due siluri, con distanza di lancio apprezzata tra 4-5.000 metri. Nessun siluro colpì il bersaglio, ma da bordo della Circe vi fu l’impressione che almeno due colpissero il bersaglio, quando ancora dal nemico non era avvenuta nessuna reazione. Intanto fu trasmesso dalla

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[21] Giuseppe Fioravanzo, Le azioni navali in Mediterraneo, Volume IV, Ufficio Storico della Marina Militare, USMM, Roma 1993, p. 332.

Vega il segnale di scoperta di “Forza navale considerevole, 8 miglia ponente Pantelleria, rotta 130°”.

Le navi britanniche inizialmente ritennero che le sagome delle due torpediniere, avvistate alla distanza di 3 miglia sulla sinistra del convoglio e a circa 12 miglia a sud-est di Pantelleria (lat. 36°30’N, long. 12°10’E), appartenessero a due cacciatorpediniere della Forza A che arrivavano per assumerne la protezione; tanto che il cacciatorpediniere Jaguar (capitano di corvetta John Franklin William Hine), che si trovava a poppa sulla sinistra delle colonne del convoglio, e l’incrociatore Bonaventure (capitano di vascello Henry Jack Egerton) che era invece a destra, lo segnalarono entrambe al contrammiraglio Renouf sull’incrociatore Gloucester. Accortisi trattarsi di due unità italiane il Bonaventure sparò un proiettile illuminante, accostò a tutta forza verso le torpediniere che dopo il lancio dei siluri si stavano disimpegnando, e diresse contro l’unità di sinistra, la Circe

Il capitano di vascello E.J. Egerton comandante del Bonaventure. In primo piano una delle torri i ate dei pezzi da 133 dell’i ro iatore ad alta elevazione, particolarmente adatti al tiro contraereo.

Frattanto, il contrammiraglio Renouf aveva ordinato al convoglio di accostare dalla parte opposta alle torpediniere, contro le quali si diressero l’incrociatore Southampton e i cacciatorpediniere Jaguar e Hereward che avevano lasciato le loro

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posizioni di scorta. Frattanto il Bonaventure, avendo fissato l’attenzione sulla Vega che sulla sinistra stava manovrando a forte velocità per attaccarlo, e dopo aver evitato i siluri lanciati dalla torpediniera, impegnò l’unità italiana. La Vega, che dopo l’attacco aveva subito assunto una rotta di allontanamento, mettendo la poppa sul nemico, rispose subito al fuoco con i cannoni da 100 mm, imitata dalla Circe. Le unità britanniche spararono con ritmo rapidissimo, specialmente il Bonaventure che, facendo fuoco con i suoi dieci cannoni da 133 mm, alle 08.00 circa colpi ripetutamente la torpediniera Vega con salve di granate che centrarono il timone immobilizzando le eliche, colpirono la caldaia di prora con conseguente uscita di vapore che investì la parte centrale della torpediniera, colpirono il pezzo poppiero da 100 mm e fecero saltare un deposito di munizione. Rimasta immobilizzata e nell’impossibilitata di continuare a difendersi, la Vega fu finita da un siluro del cacciatorpediniere Hereward (capitano di corvetta Charles Woollwen Greening) e affondò alle 08.15 con il suo comandante, che sebbene rimasto illeso volle affondare con la sua nave. Per questo supremo sacrificio, al capitano di corvetta Giuseppe Fontana fu concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

A sinistra il capitano di corvetta Tommaso Ferrieri Caputi, comandante della torpediniera Circe. A destra il capitano di corvetta Giuseppe Fontana, comandante della torpediniera Vega.

La torpediniera Circe che non aveva riportato alcun danno, salvo fori di schegge e un’avaria al timone per salve di colpi caduti nelle sue vicinanze, riuscì a sottrarsi al tiro delle navi britanniche e alle 08.40 entrava nel piccolo porto di

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Pantelleria, per poi ricevere dieci minuti dopo l’ordine dall’ammiraglio Amilcare Cesarano, Comandante di Marina Pantelleria, “di portarsi subito sul punto di affondamento del VEGA” per recuperarne i naufraghi. Dopo avere imbarcato un medico la Circe, alle 10.02, ritornò sul luogo dell'affondamento della Vega, a 6 miglia per 160° da Punta Sciacazza. Ma solo sei uomini dell’equipaggio della torpediniera furono salvati, uno direttamente dalla Circe, gli altri cinque recuperati su un canotto che la stessa Circe aveva lasciato in acqua nell’allontanarsi, essendo stata colpita improvvisamente da un colpo di mitragliera nella “plancetta del pezzo centrale”, e avendo poi avvistato alla “distanza di 20.000 una unità di tipo imprecisato”.[22]

La torpediniera Vega, che nel corso dell’azione fu affondata dal tiro dell’incrociatore Bonaventure e di altre unità britanniche di scorta al convoglio dell’Operazione Excess.

In realtà secondo la relazione dell’ammiraglio Cunningham, che nell’avvicinarsi aveva osservato chiaramente dalla Warspite le vampate delle artiglierie del combattimento con le unità italiane, un aereo Swordfish in pattugliamento antisom, aveva avvistato e attaccato una torpediniera del tipo “Spica” con quattro bombe, una delle quali caduta vicino a quella nave.

[22] AUSMM, Supermarina, “Rapporto sull’azione delle torpediniere VEGA e XCIRCE nel Canale di Sicilia il 10 gennaio 1941-XIX”, Visto dal Duce il 15 gennaio 1941, Scontri Navali e Operazioni di Guerra, cartella n. 21. * Essendo stati trovati da un mezzo navale di soccorso ai naufraghi della Vega, il dragamine R.D.1, due salvagente e altri materiali appartenenti al cacciatorpediniere britannico Gallant, nel rapporto dell’ammiraglio Arturo Riccardi, Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, a Benito Mussolini, si affermava che l’affondamento di quella nave era da considerare affondato dalle torpediniere, mentre invece, come vedremo, la causa di quella perdita fu differente.

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Per il comandante Ferrieri Caputi, accusato di essersi allontanato due volte senza dare il necessario concorso alla salvezza dei naufraghi della torpediniera Vega, fu richiesto dal Comandante di Marina Trapani, ammiraglio Luigi Notarbartolo, al comandante di Marina Messina, ammiraglio Luigi Baroni, soltanto un “Appunto”, in considerazione che l’ufficiale era alla sua prima azione di guerra.[1] Richiesta che fu respinta dall’ammiraglio Baroni, che invece, approvò “la determinazione del [1] AUASMM, Marina Trapani, “Azione svolta a Sud di Pantelleria il 10 gennaio 1941_XIX dalle torpediniere CIRCE e VEGA”, Scontri Navali e Operazioni di Guerra, cartella n. 21.

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Grafico dell’Ufficio Storico della Marina Militare.

Comandante del CIRCE, di continuare a dirigere a Pantelleria, quando il VEGA fu colpito rinunciando a prestargli immediata assistenza”. Per questo motivo Baroni propose di dare una decorazione al comandante Ferrieri Capouti, motivandolo con: “… perché il suo comportamento durante lo scontro con la forza navale inglese è stato perfetto e degno delle più alte tradizioni del nostro naviglio silurante”.[2]

Da parte britannica, nel corso del combattimento fu rilevato che il solo incrociatore Bonaventure, sparando contro le torpediniere italiane aveva consumato ben 600 proiettili da 133 mm (Low-angle), ciò che rappresentava il 75% della sua dotazione. Questo fatto finì per preoccupare l’ammiraglio Cunningham sapendo che ad Alessandria e in altri porti del Medio Orienete non vi era munizionamento di quel calibro, poiché il Bonaventure era il primo incrociatore della classe “Dido” a essere assegnato alla sua flotta. Ma il Bonaventure non fu neppure fortunato, perché due mesi e mezzo dopo, la notte del 31 marzo 1941, durante la scorta ad un convoglio diretto al Pireo fu silurato e affondato a nord di Sollum dal sommergibile italiano Ambra comandato dal tenente di vascello Mario Arillo.

Gli attacchi degli Ju.87 tedeschi e italiani alla portaerei Illustrious

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Mentre si svolgeva il combattimento fra le torpediniere italiane e le unità della Forza F, alle 08.00 di venerdì 10 febbraio l’ammiraglio Cunningham raggiunse il convoglio Excess con le corazzate della Forza A Warspite e Valiant, la portaerei Illustrious e i cacciatorpediniere Jervis, Nubian, Mohawk, Dainty, Greyhound, Griffin e Gallant

Subito dopo che aveva assunto la scorta delle navi mercantili alle 08.34 il Gallant (capitano di corvetta Cecil Powis Frobisher Brown), trovandosi 25 miglia a sud-ovest di Pantelleria, di scorta a poppa delle grandi navi della Forza A, finì su una mina dello sbarramento italiano 7 AN, che la notte del 6 agosto 1940 era stato posato in quella zona degli incrociatori Alberico Da Barbiano e Alberto Di Giussano e dai cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno. Per il brillamento di una mina, che aveva urtato sotto lo scafo del Gallant e che causò cinquantotto morti e venticinque feriti tra i membri dell’equipaggio, il cacciatorpediniere ebbe la prora interamente asportata, per un’estensione di 30 metri, e rimase immobilizzato in lat. 36°27’N, long. 12°11’E.

Il Gallant, fu preso a rimorchio di poppa dal cacciatorpediniere Mohawk (capitano di corvetta J.W. Eatan), e scortato dagli incrociatori Bonaventure, Gloucester e Southampton, e dai cacciatorpediniere Griffin e Diamond, l’indomani venne trascinato a Malta. Ma, una volta giunto in porto alla Valletta, al termine di una difficile e contrastata navigazione a rimorchio per una distanza di 120 miglia percorse a una velocità inferiore ai 5 nodi, il Gallant non poté essere riparato a causa dei danni

AUSMM, “Marina Messina, “Azione svolta a sud di Pantelleria il 10 gennaio dalle torpediniere CIRCE e VEGA”, Scontri Navali e Operazioni di Guerra, cartella n. 21.

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[2]

risultati troppo estesi, da farlo apparire un relitto.[3] Dopo aver rimorchiato e scortato il Gallant fino all’entrata in porto della Valletta, il Mohawk e il Bonaventure ripartirono a grande velocità per raggiungere la Forza A.

Le condizioni del cacciatorpediniere Gallant dopo aver urtato una mina italiana nel Canale di Sicilia, come appariva, privato dei cannoni e di ogni altro materiale utile, nel porto di Malta nell’aprile 1942.

[3] Bombardato a più riprese nel 1941 da aerei tedeschi del X Fliegerkorps e da aerei italiani dell’Aeronautica della Sicilia, il 5 aprile 1942 il Galland fu nuovamente danneggiato in modo grave da una bomba caduta vicino allo scafo, in una massiccia incursione di velivoli Ju. 87 del III./St.G.3 (ex II,/St.G.2) e Ju. 88 del II Fliegerkorps, e fu definitivamente abbandonato, arenato a Pinto Wharf. Il suo scafo fu infine impiegato per bloccare uno dei passaggi del porto di La Valletta, nella Baia di San Paolo. Considerato irreparabile (total loss) il Gallant fu smantellato nel 1953.

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Il cacciatorpediniere Gallant con la prora asportata dall’esplosione della mina. Anche questa immagine è dell’aprile 1942.

Durante la notte il Comando dell’Aeronautica della Sicilia, “nella previsione, confermata poi dai fatti, che nella mattinata del giorno 10 la flotta inglese si sarebbe trovata nella zona di mare compreso nel triangolo Pantelleria – Lampedusa –Malta”, pianifico un servizio di ricognizione con il decollo, a partire dall’alba del 10 gennaio, di quattro sezioni ciascuna di due velivoli da bombardamento S.79 del 30° Stormo. L’ultima sezione decollo con ritardo, perché rimasta in attesa di imbarcare un ufficiale osservatore della Marina che arrivò a Sciacca in automobile. I primi avvistamenti arrivarono alle ore 09.30, e furono subito comunicati al Comando del X Fliegerkorps.

La presenza di navi britanniche nella zona tra Pantelleria e le acque di Malta, sempre tenute sotto controllo dai ricognitori dell’Asse, convinse il Comandante dell’Aeronautica della Sicilia, generale Mazzucco, a inviare all’attacco una pattuglia di due aerosiluranti della 279a Squadriglia, diretta contro il gruppo principale, comprendente due corazzate e una portaerei. Naturalmente si trattava della Forza A, che per dare soccorso al danneggiato cacciatorpediniere Gallant le erano rimasti disponibili, per scortare le due corazzate e la portaerei, soltanto cinque cacciatorpediniere.

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Da parte tedesca, sulle precise segnalazioni dei ricognitori Ju.88D della 1a Squadriglia del 121° Gruppo (1.(F)/121), comandata dal capitano Erwin Fischer, tra le ore 10.10 e le ore 11.58 decollarono i seguenti velivoli del X Fliegerkorps:

- da Trapani quarantatre bombardieri in picchiata Ju.87 del 3° Stormo Stuka comandato dal tenente colonnello Georg Edert, che disponeva del 1° Gruppo del 1° Stormo Stuka (I./St.G.1), al comando del capitano Werner Hozzel, e del 2° Gruppo del 2° Stormo Stuka (II./St.G.2), al comando del maggiore Walter Enneccerus;

- da Palermo, per la scorta agli Stuka, dieci Bf.110 del 3° Gruppo del 26° Gruppo Caccia Pesante (III./ZG.26), al comando del capitano Karl Kaschka;

- da Catania, diciotto bombardieri in quota He.111 del 2° Gruppo del 26° Stormo (II./KG.26), al comando del maggiore Helmuth Bertram.[4]

Inoltre un He.111 del II./KG.26 fu destinato a fare da guida in mare aperto alla formazione degli Ju.87 dello St.G.3.

Gennaio 1941, aerei tedeschi Ju 87 dello St.G.3 in volo sulla Sicilia. Notare i serbatoi supplementari sotto le ali.

[4] Alle ore 11 del 10 gennaio l’ammiraglio Pietro Barone, Comandante di Marina Messina, telefonò a Supermarina. Rispose l’ammiraglio Raffaele de Courten, che essendo di servizio nel salone operativo di Supermarina, fu portato a conoscenza che: “Alle 12.15 n. 45 Stukas et n. 20 Messershmidt attaccheranno le forze nemiche a Sud di Pantelleria. Alle 13.15 n. 20 apparecchi da bombardamento attaccheranno la nave portaerei, incrociatori e navi da battaglia”. Cfr. AUSMM, telefonata n. 3862, , fondo Supermarina Comunicazioni Telefoniche.

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I due gruppi di bombardieri Ju.88 del 2° e del 3° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale (II./LG.1 e III/LG.1), equipaggiati, non erano ancora arrivati in Sicilia, salvo alcuni velivoli, ma come vedremo essi intervennero contro Malta nei giorni successivi, per attaccare gli obiettivi navali nel porto della Valletta.

A mezzogiorno del 10 gennaio, i piroscafi del convoglio Excess stavano dirigendo per sud-est zigzagando alla velocità di circa 14-15 nodi con la scorta di tre cacciatorpediniere ai quali, alle 10.20, si era unito l’incrociatore contraereo Calcutta, che in precedenza aveva scortato a Malta il convoglio MW.5½. Il Calcutta si era poi riunito al convoglio ME.6 in partenza per Alessandria, quando ricevette l’ordine urgente di raggiungere il convoglio “Excess, per sostituire il Bonaventure inviato a proteggere il danneggiato cacciatorpediniere Gallant. In quel momento la portaerei Illustrious, al comando del capitano di vascello Denis Boyd, con a bordo il Comandante delle portaerei della Mediterranean Fleet contrammiraglio Lumley Lyster, si trovava in linea di fila fra le due corazzare Warspite, a prora, e Valiant di poppa, e sulla dritta del settore prodiero del convoglio Excess. La rotta era per 110°, e le grandi navi, con i loro cinque cacciatorpediniere di scorta Jervis, Nubian, Dainty, Greyhound, Griffin,, zigzagavano alla velocità di 17-18 nodi. Il tempo era chiaro con nuvole alte, una brezza fresca soffiava da sud-sudovest verso e a dritta della direttrice di marcia.

A bordo della portaerei, dei suoi quindici caccia Fulmar tre non erano efficienti perché causa incidenti e guasti erano in riparazioni. La portaerei disponeva dell’apparato radar tipo 79Z, che era in grado di rilevare aerei alla quota di 20.000 piedi e alla distanza di 90 miglia. Alle 10.06 decollarono dall’Illustrious cinque Fulmar dell’806° Squadron per il normale pattugliamento di vigilanza sul cielo della flotta.

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Un caccia Fairey Fulmar dell’Aviazione Navale britannica (FAA).

Il Fairey Fulmar, caccia biposto con due uomini d’equipaggio, il pilota e l’osservatore. Velivolo non particolarmente veloce, perché raggiungeva la velocità di 415 km./h alla quota di 2.700, era un scarso arrampicatore essendo la sua tangenza di appena 4.900 metri, ma era armato con otto mitragliatrici da 7,7 mm. Eppure, nonostante queste sue qualità non eccelse, avendo ali pieghevoli, si dimostrò adatto a operare sulle portaerei, abbattendo nei combattimenti un gran numero di aerei italiani, in qualche occasione compresi i caccia, e ciò nonostante il Cr.42 e soprattutto il Mc.200 gli fossero superiore per velocità e tangenza, e lo surclassassero nelle doti di agilità.

Il comandante Boyd e il contrammiraglio Lyster, temendo la minaccia degli aerei della Luftwaffe rilevati negli aeroporti della Sicilia dai ricognitori di Malta, avevano consigliato l’ammiraglio Cunningham a stare lontano dal Canale di Sicilia e quindi di non navigare troppo vicino al convoglio, che ritenevano potesse essere l’obiettivo dei velivoli da bombardamento nemici. Ma il Comandante della Mediterranean Fleet non li aveva ascoltati perché riteneva che il suo compito primario dovesse essere quello di dare la maggiore copertura aerea possibile alle navi mercantili. Egli aveva assoluta fiducia sull’aggressività dei piloti dei caccia Fulmar, ed era convinto che se il nemico avesse attaccato essi gli avrebbero fatto pagare un duro scotto, sotto forma di parecchi abbattimenti e danneggiamenti di velivoli.[5]

Comunque, anche stando in posizione più defilata rispetto al convoglio, che era considerato l’obiettivo degli aerei tedeschi, è indubbio che la precauzione suggerita da Boyd e Lyster avrebbe concerto una certa sicurezza all’Illustrious, poiché in realtà agli equipaggi degli Ju 87 del X Fligerkorps era stato dato il compito primario di

[5] AUSMM), Admiralty, “I convogli nel mese di gennaio 1941, l’Excess”, fondo Scambio notizie con Ammiragliato britannico.

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ricercare ed attaccare la portaerei, motivo per il quale la maggior parte dei velivoli erano stati armati con grosse bombe perforanti.

Infatti, dei quarantatre Stuka dello St.G.3 che stavano sopraggiungendo, i trenta Ju.87B del II./St.G.2 erano decollati da Trapani alle 11.30 con i serbatoi supplementari scarichi, ed armati con una bomba da 1.000 chili, mentre gli altri tredici Ju.87R del I./St.G.1, possedendo il serbatoio supplementare adatto per lunghe navigazioni pieno di benzina, avevano una sola bomba da 250 chili. Solo lo Ju.87 del tipo B era in grado di portare la bomba da 1.000 chili, mentre invece lo Ju.87 del tipo R, poteva al massimo portare la bomba da 500 chili, ma nelle lunghe navigazioni senza possedere il serbatoio supplementare. In volo gli Ju.87 furono raggiunti dalla scorta costituita da dieci caccia pesanti distruttori Bf.110 del III./ZG.26, decollati alle 11.10 da Palermo. Infine alle 11.58 decollarono da Catania diciotto bombardieri He.111 del II./KG.26.

La portaerei Illustrious in navigazione seguita da un cacciatorpediniere. Sul ponte un velivolo Swordfish, che era impiegato nei più svariati compiti, come ricognitore, caccia antisom, aerosilurante e bombardiere.

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Il contrammiraglio Denis Boyd, quando all’Ammiragliato era il 5o Lord del Mare. Con il grado di capitano di vascello nell’operazione MC.4 era il comandante della portaerei Illustrious.

Un primo contatto sulla presenza di aerei nemici si ebbe per la Forza A alle 10.30 di quella mattina del 10 febbraio, quando due caccia Fulmar dell’806° Squadron dell’Illustrious, con piloti il tenente di vascello R.S. Henley e il sottotenente di vascello A.J. Sewel, attaccarono un aereo da ricognizione italiano S.79, che reagendo con le sue mitragliatrici colpì il velivolo di Sewel costringendolo a rientrare sulla portaerei. La maggior parte dei contatti radar si ebbe con aerei che si mantenevano vicini alla Forza A, ed erano certamente ricognitori italiani e tedeschi. Cinque Fulmar dell’806° Squadron, tre della sezione rossa e due della sezione bianca, erano in pattuglia aerea quando alle 11.20 fu avvistato un velivolo S.79, che fu attaccato. Un Fulmar della sezione rossa perse il tettuccio scorrevole della sua cabina di guida, e alle 11.45 fu costretto a rientrare sull’Illustrious. Questo incidente lasciò in volo per la scorta alla Forza H soltanto quattro caccia, proprio mentre si stavano avvicinando i due aerosiluranti italiani S.79 della 279a Squadriglia seguiti dalle formazioni degli Stuka dello St.G.3. In quel momento nove velivoli Swordfish si trovavano anch’essi in volo per compiti antisommergibili, a protezione della Forza A e del vicino convoglio Excess.

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Aerosilurante S.79 della 279a Squadriglia in volo sul mare.

I due aerosiluranti S.79, decollati da Pantelleria alle 11.50 con piloti e capi equipaggio il capitano Orazio Bernardini e il tenente Angelo Caponetti, avvistarono la Forza A, che si trovava a sud del convoglio Excess 10 miglia a nord di Linosa. Alle 12.10 i piloti attaccarono con decisione, passando attraverso un nutrito fuoco contraereo e da distanze stimate di 1.200 e 1.400 metri, e dalla quota di 100 metri, lanciarono i siluri contro l’Illustrious, per poi sostenere, assieme all’ufficiale osservatore tenente di vascello Domenico Baffico, di aver sicuramente colpito quella nave, avendo visto levarsi a poppa della portaerei una densa colonna di fumo nero e rossastro, non appena trascorso il tempo corrispondente alla corsa dei siluri. Da parte britannica l’attacco fu descritto come segue.

Alle ore 12.20 dall’Illustrious fu rilevato un gruppo di velivoli non identificati sullo schermo del radar alla distanza di circa 6 miglia. Immediatamente i quattro Fulmar, che si trovavano alla quota di 4.300 metri, ricevettero l’ordine di intercettare gli intrusi. Pochi minuti dopo i piloti dell’806° Squadron avvistarono i due S.79 del capitano Bernardini e del tenente Caponetti, che dall’orizzonte a dritta si stavano avvicinando alla flotta volando costantemente bassi, a circa 50 metri di quota, e che furono accolti da un fortissimo fuoco contraereo delle navi, con armi di ogni tipo.

L’Illustrious, che aveva in azione sia i cannoni binati da 114 mm che i complessi pom-pom Vickers ad otto canne da 40 mm, manovrò per schivare i due siluri che,

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lanciati da una distanza di circa 2.300 metri, continuando la corsa passarono vicini alla corazzata Valiant (capitano di vascello Charles Eric Morgan).

Nel frattempo i quattro caccia Fulmar dell’806° Squadron dell’Illustrious erano stati costretti a portarsi velocemente da 14.000 piedi (4.272 metri) a bassa quota, per attaccare gli S.79, e proseguirono l’inseguimento fino all’isola di Linosa, distante dalla flotta circa 20 miglia verso ponente. I due aerosiluranti furono gravemente danneggiati dal fuoco contraereo delle navi e dal successivo attacco dei due Fulmar che, con piloti i sottotenenti di vascello S.G. Orr e G.A. Hogg, spararono sugli S. 79 fino ad esaurire le munizioni.[6]

Nel dirigere per rientrare alla base di Catania, con due feriti a bordo, l’S.79 del tenente Caponetti dovette deviare di rotta per poi effettuare, a Trapani, un atterraggio forzato senza carrello che mise il velivolo fuori uso.

Uno dei complessi contraerei pom-pom a otto canne da 40 mm dell’Illustrious. Era in grado di sparare una tonnellata di proiettili al minuto.

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[6] Christopher Shores - Bian Cull - Nicola Malizia, Malta: The Hurricane years 1940-1941, cit., p. 114 sg.

L’S.79 della 287a Squadriglia, del tenente Caponetti, dopo l’atterraggio d’emergenza senza carrello a Trapani

L’attacco dei due S.79 ebbe l’effetto di agevolare l’avvicinamento immediatamente successivo dei bombardieri in picchiata tedeschi dello St.G.3 alla Forza A. Gli Ju.87 poterono pertanto attaccare a tuffo gli obiettivi senza nessun iniziale contrasto aereo poiché, sebbene i Fulmar fossero stati richiamati, nel ritornare in quota il loro basso rateo di salita non gli permise di farlo se non ad attacco tedesco ormai ultimato. Inoltre una sezione di Fulmar era ormai senza munizioni, consumate contro gli S.79, e l’altra sezione aveva segnalato di averne in quantità insufficiente, al 50% della dotazione.

Al momento dell’arrivo degli aerei tedeschi la Forza A si trovava 65 miglia a sud-est di Pantelleria, con le grandi unità che si stavano riordinando in linea di fila dopo l’attacco degli aerosiluranti italiani, quando sopraggiunse la grossa formazione dei quarantatre bombardieri in picchiata dello St.G.3, In quel momento, a bordo dell’Illustrius quattro Fulmar e tre Swordfish si trovavano pronti al decollo per un fissato programma di volo, ma la loro partenza fu ritardata poiché, in attesa dell’ordine di decollo da parte dell’ammiraglio Cunningham, furono perduti minuti preziosi per portarsi a quota sufficiente per attaccare gli Ju.87, essendo i Fulmar penalizzati, come detto, dalla scarsa velocità di salita, non sufficiente a garantire un tipo di contrasto come quello che si stava verificando. Il decollo del primo Fulmar ebbe inizio alle 12.34½, mezzo minuto prima che fosse segnalata la formazione di aerei tedeschi in avvicinamento. L’ultimo Fulmar a decollare, alle 12.36, fu quello che aveva per pilota e navigatore i sottotenenti di vascello I.F. Love e R.D. Kensett.

Nel frattempo però, nel realizzare la partenza dei velivoli, l’Illustrious era stata naturalmente obbligata di accostare sulla dritta di circa 100° per portarsi in favore di

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vento, e l’attacco degli Stuka, con le navi che cominciarono a sparare a grande distanza per poi passare al fuoco di sbarramento, ebbe inizio dopo che era stata ripresa la rotta iniziale di 110° e l’ammiraglio Cunningham aveva ordinato l’allargamento della formazione.

Da sinistra, il capitano Paul-Werner Hozzel, comandante del I./St.G.1 e il maggiore Walter Enneccerus, comandante il II./St.G.2.

Gli aerei tedeschi sopraggiunsero di poppa alle unità britanniche in tre formazioni. Una prima formazione di dieci velivoli fu vista puntare sulle due corazzate Warspite e Valiant, mentre i restanti Ju.87, in sezioni di tre velivoli, diressero contro la portaerei Illustrious. Portatisi sulla perpendicolare delle navi, con picchiate decise, iniziate a circa 4.000 metri di quota e con fantastici angoli del tuffo, tra i 60 e gli 80 gradi, gli Stuka provenendo da differenti direzioni, sincronizzando l’attacco in modo flessibile, diressero con una formazione a dritta di poppa dell’Illustrious e le altre dai due lati della poppa della portaerei. Ciò avvenne “in modo brillante”, come si espresse ammirato il contrammiraglio Lyster, con gli Ju.87 che attraversarono con determinazione lo sbarramento di fuoco dei cannoni e delle mitragliere di ogni calibro, per poi sganciare le loro bombe da altezze comprese tra i 300 e i 500 metri.

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La corazzata Valiant attaccata da sei velivoli non fu colpita, mentre la Warspite (capitano di vascello Douglas Blake Fisher), la nave comando dell’ammiraglio Cunningham, fu abbastanza fortunata, poiché nell’attacco di tre Ju.87 una bomba caduta a prora causò soltanto la rottura di una cubia e il danneggiamento dell’ancora di dritta. Invece l’Illustrious (capitano di vascello Denis Boyd, che manovrava accostando rapidamente nel tentativo di rendere meno precisa la mira dei piloti

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Gli Ju 87 della 4a Squadriglia del II.//St.G.2. Il Gruppo portavano una bomba antinave da 1.000 chili. I Bf. 110 della 9a Squadriglia del III./ZG.26. Il Gruppo caccia era di scorta agli Stuka.

tedeschi, centrata ripetutamente dalle bombe e completamente circondata da colonne d’acqua, fu colpita duramente.

L’ammiraglio Cunningham, che si trovava sulla plancia della corazzata Warspite, descrisse nelle sue memorie l’attacco degli Stuka all’Illustrious come segue:[7]

Furono avvistate verso nord grandi formazioni di aerei i quali ci arrivarono sopra in un battibaleno. Li riconoscemmo per tedeschi: tre gruppi di Stuka. L’ILLUSTRIOUS mandò in volo altri caccia; ma né essi né quelli che si trovavano già in aria, poterono salire abbastanza in alto per fare qualcosa. Aprimmo il fuoco con tutti i nostri pezzi antiaerei contro gli “Stuka”che, uno alla volta, si abbassarono fino a sfiorarci nei loro tuffi e concentrarono quasi tutta la loro offesa sulla ILLUSTRIOUS. A volte essa era quasi interamente nascosta in una selva di spruzzi di bombe.

Eravamo troppo interessati a questa nuova forma di attacco in picchiata per poter provare paura, e non vi è dubbio che i protagonisti dell’azione fossero attori perfetti. Essi si disponevano in un grande circolo sopra la flotta e si abbassavano in picchiata uno alla volta quando avevano raggiunto la posizione di attacco. Non potevamo non ammirare l’abilità e la precisione della manovra. I tuffi erano portati a fondo a una distanza di punto in bianco dal bersaglio e quando si riprendevano al termine della picchiata alcuni di essi volavano lungo il ponte di volo della ILLUSTRIOUS più bassi del suo fumaiolo.

La vidi colpita per la prima volta proprio a proravia della plancia e nel corso di tutta l’azione, qualcosa come dieci minuti, fu colpita da sei bombe da 1.000 libbre [463 kg], e dovette uscire di formazione con un forte incendio, con la macchina del timone danneggiata, gli ascensori in avaria e gravi perdite fra gli uomini.

La Illustrious fu raggiunta in rapida successione dalle sei bombe, due da 1.000 chili e quattro da 250 chili,[8] cinque delle quali esplosero regolarmente. La prima bomba, cadendo a prua della portaerei, dopo aver colpito il complesso S1 di mitragliere contraeree a otto canne pom-pom da 40 mm, uccidendo due uomini, sfondando la piattaforma e asportando un pezzo di corazza laterale, finì in mare senza esplodere. Una seconda bomba, da 1.000 chili, centro in pieno l’estremità della prua, rinforzata ma non era blindata, passò il quadrato di ricreazione sul lato sinistro e uscì dallo scafo, per poi esplodere a circa 3 metri sopra la linea di galleggiamento, provocando allo scafo dell’Illustrious gravi danni per schegge e l’allagamento dei compartimenti prodieri.

[7] Andrew Browne Cunningham, A sailor’s Odyssey, tradotto in Italia in L’Odissea di un Marinaio, Garzanti, Milano, 1952, p 34 sg.

[8] Nel secondo supplemento serale del X Fligerkorps, è scritto che una bomba da 1.000 chili aveva colpito a prua la portaerei, e che un’altra bomba da 1.000 chili aveva colpito probabilmente la stessa nave. Due bombe da 250 chili avevano colpito a poppa la porterei, e il resto delle bombe era caduto presso la portaerei e altre navi Quindi, furono valutati dai tedeschi risultati inferiori a quelli reali.

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Nelle due immagini, l’impressionante visione dell’Illustrious sotto l’attacco degli Stuka.

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Il complesso n. 1 di pom-pom a otto canne da 40 mm dell’Illustrious che fu colpito dalla prima bomba, poi caduta in mare senza esplodere.

A sinistra, il foro della bomba da 1.000 chili che perforò il ponte di volo dell’Illustrious. A destra, il foro di uscita della bomba che, dopo aver attraversato lo scafo a prora a sinistra, esplose sopra l’acqua presso la portaerei.

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I danni alla prora a sinistra dell’Illustrious dopo l’esplosione della bomba.

La terza bomba, sfiorando l’isola, colpì in pieno il complesso contraereo pompom S2 di dritta uccidendo la maggior parte dei serventi. L’arma non riportò gravi danni ma le munizioni presero fuoco esplodendo, mentre il braccio di una gru mobile, crollò sul sottostante pom-pom S1, interrompendo la corrente elettrica, che contribuì a mettere il danneggiato complesso fuori combattimento, e causando altre perdite umane. Subito dopo due bombe ritenute una a 250 chili e l’altra de 500 colpirono la portaerei quasi simultaneamente. Una cadde presso l’ascensore di poppa, che pesava 300 tonnellate e andò a esplodere nel sottostente pozzo, mentre la seconda bomba esplose dopo aver colpito il margine sinistro dell’ascensore che si stava sollevando per trasportando sul ponte di volo un caccia Fulmar, con il suo pilota, che furono entrambi letteralmente disintegrati. L’effetto dell’esplosione nel sottostante hangar C (il terzo e ultimo da prora) e l’incendiò che si propagò portò alla distruzione di ben tredici aerei, nove Swordfish carichi di bombe e siluri e quattro Fulmar in corso di rifornimento, ma causò anche gravi danni alle strutture tra le ordinate 162 e 166 fino alla corazza del compartimento del timone.

Ad aumentare i danni contribuì subito dopo la quinta bomba che esplodendo nelle vicinanze del fianco destro, mandò in avaria il congegno elettrico del timone, che mise l’Illustrious fuori controllo a causa di un allagamento. Il timone resto bloccato a sinistra e la portaerei cominciò a girare in tondo in mezzo alla flotta, mentre le squadre antincendio subito intervenute s’impegnarono a spegnere le fiamme.

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Due bombe cadute vicino alla prora sul fianco sinistro dell’Illustrious. Altre due bombe cadute a prua nei pressi dello scafo dell’Illustrious.

Alle 12.42 circa, la sesta e ultima bomba, anch’essa ritenuta erroneamente da 500 chili, ma probabilmente da 1.000 chili, colpì il centro del ponte di volo fra l’isola della portaerei e l’ascensore di poppa, sfondò la corazza in acciaio ed esplose poco sopra il ponte dell’hangar facendo uno squarcio di 7 metri quadri, incurvando il ponte corazzato sottostante di 10 centimetri, e scardinando l’ascensore di prua. Attraverso un varco entrò aria che alimento le fiamme degli incendi dell’hangar C, distruggendo completamente l’ascensore di poppa. Furono i danni causati al ponte di volo da questa bomba che rese impossibile di poter far decollare o atterrare aerei sulla Illustrious.

Altre tre bombe caddero vicinissime alle fiancate della portaerei, aumentandone le avarie allo scafo. Una delle due bombe, caduta presso la fiancata destra dell’Illustrious, oltre a provocare un incendio sul ponte della mensa sottufficiali, con una grossa scheggia, che sfondò la struttura dell’isola, recise i cavi che portavano l’alimentazione all’impianto radar, che fu messo fuori uso, assieme ai ripetitori della girobussola e i proiettori da segnalazione. Un'altra bomba, caduta presso il fianco sinistro, provocò un incendio nel locale di mensa dei Royal Marines. A tutto ciò si aggiunse che uno Ju.87, colpito nella sua picchiata dalla contraerea, precipito sull’Illustrious andando a sfasciarsi dentro il pozzo dell’ascensore di poppa, generando un incendio che nell’hangar contribuì ad aumentare i danni provocati dalle bombe.[9]

In definitiva, le bombe danneggiarono gravemente il ponte di volo dell’Illustrious, misero l’apparato radar fuori servizio, distrussero a bordo gran parte degli aerei, misero fuori servizio la metà dei pezzi contraerei da 114 mm, ossia tutti quelli nelle torrette binate di poppa, determinarono un grosso incendio a prora e altri vari incendi nei locali interni, danneggiarono il timone, uccisero parecchi uomini dell’equipaggio e ne ferirono molti altri. Tra gli equipaggi di volo furono uccisi otto uomini degli Swordfish degli Squadron 815° e 819°, e altri due furono feriti, e decedette il pilota di un Fulmar dell’806° Squadron, sottotenente di vascello J. Marchall, con il suo navigatore N.A. Tallack, il cui aereo era quello che fu colpito sull’ascensore di poppa.

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Gli hangar corazzati dell’Illustrious, A, B e C da prora a poppa. Da Internet, Armored Aircraft Carriers in World War II. [9] B.B. Schofield, La note di Taranto (traduzione da The Attack on Taranto, cit., p. 73-75.

Una bomba cade a sinistra della prora dell’Illustrious. Dietro la colonna di acqua e fumo manovra la corazzata Warspite.

Nel compartimento caldaie gli uomini erano costretti a lavorare tra il fumo denso e acre, che era aspirato dai ventilatori, ciononostante riuscirono a mantenere alta la temperatura delle caldaie fino a raggiungere i 140 gradi, meritandosi l’elogio del comandante Boyd, Nel frattempo nell’hangar, sotto la direzione del capitano di fregata Tuck e dei tenenti di vascello Jago e Gregory, l’equipaggio si dedicava a combattere gli incendi, che alle 15.30 furono messi sotto controllo.

Per questo motivo l’Illustrious fu in grado di superare il momento difficile, e per ordine del comandante Boyd, che mai dubito di poter salvare la sua nave, essa poté dirigere, con i due cacciatorpediniere Hasty e Jaguar assegnati come scorta, verso il vicino porto della Valletta, manovrando alla velocità di 17 nodi con le sue macchine che non avevano riportato danni.[10] La decisione del capitano di vascello Boyd fu presa perché la sua nave non era più in grado di operare con funzioni di

[10] Il fatto che fossero stati assegnati alla scorta della Illustrious soltanto due cacciatorpediniere derivava dal fatto che soltanto altri tre cacciatorpediniere erano disponibili per scortare le corazzate della Forza A, poi saliti a quattro con l’arrivo del Jervis da Malta.

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portaerei, e considerando che probabilmente sarebbe diventata invece un impedimento per la flotta.

Il termine dell’attacco, durato appena sei minuti e mezzo, L’Illustrious era rimasta a disporre di scarsa energia elettrica e con il ponte di volo devastato dalle esplosioni, tanto da apparire come un relitto in fiamme. Essendo sbandata fortemente a sinistra e con il timone fuori uso, che la costringeva a percorrere larghi circoli, mentre le altre navi della flotta manovravano per mantenersi a distanza dalla portaerei, l’Illustrious dimostrò nell’occasione di essere stata ben costruita. Il suo resistente ponte corazzato aveva impedito alle bombe di penetrare in profondità, specie le quattro da 250 chili, poiché le portaerei della classe “Illustrious” erano state costruite con un ponte e una cintura corazzata in acciaio, proprio come le navi da battaglia. Metodo di costruzione adottato soltanto sulle portaerei britanniche, che se da una parte limitava negli hangar il numero degli aerei trasportabile a non più di

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Il denso fumo nero degli incendi a poppa dell’Illustrious.

quaranta, rendeva le navi molto sicure e più resistenti di quelle delle altre Marine, statunitensi e giapponesi (in grado di portare fino a novanta aerei) come fu dimostrato in altre occasioni.

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Una bomba caduta presso lo scafo dell’Illustrious.

Due degli otto caccia Fulmar dell’806° Squadron che si trovavano in volo, erano nel frattempo riusciti a riportarsi in quota dopo l’attacco agli aerosiluranti S.79 del capitano Bernardini, e si erano impegnati in combattimento, in cui

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Un’altra bomba caduta vicino all’Illustrious. Notare i cannoni contraerei binati da 114 a prora sul fianco sinistro della portaerei puntati sugli Ju.87 alla massima elevazione.

intervennero anche gli altri sei caccia, ed insieme avevano contribuirono ad abbattere due Ju.87 del II./St.G.2. Altri due Stuka, inizialmente dati per perduti dal Comando del X Fliegerkorps, rientrando alla base danneggiati erano stati costretti ad effettuare atterraggi di emergenza in località della Sicilia. Di essi uno della 4a Squadriglia del II./St.G.2, che era stato colpito dai caccia britannici, si schianto al suolo a Castelvetrano.

Anche uno dei caccia Fulmar era stato abbattuto. L’osservatore, sottotenente di vascello R.D. Kensett, restò ucciso mentre il pilota, sottotenente di vascello I.F. Lowe, ferito a una spalla, riuscì ad ammarare vicino al cacciatorpediniere Nubian (capitano di fregata Richard William Ravenhill) che lo recuperò prima che l’aereo affondasse. Lo stesso accadde a uno Swordfish dell’815° Squadron che si trovava in volo per compiti di scorta antisom. Essendo stato colpito il serbatoio della benzina, lo Swordfish dovette ammarare vicino al cacciatorpediniere Juno (capitano di fregata St. John Reginald Joseph Tyrwhitt), che raccolse il pilota, tenente di vascello Charles Lamb, e i suoi due uomini d’equipaggio.

Gli altri sette Fulmar, assieme a otto Swordfish che si trovavano anch’essi in volo, non potendo atterrare sull’Illustrious per l’impedimento causato dai crateri delle bombe e la deformazione del ponte di volo, diressero verso Malta per atterrare nell’aeroporto di Hal Far. Rifornirsi di benzina e riarmatisi, nel pomeriggio i caccia tornarono a scortare il gruppo della portaerei, fornendo una preziosa assistenza nel difendere la loro nave dagli altri attacchi della Luftwaffe e della Regia Aeronautica, che erano stati pianificati nei comandi tattici di Taormina e Palermo.

I decolli si svolsero in più ondate, con la partecipazione nell’ordine di tre aerosiluranti S.79 (due della 278a Squadriglia e uno della 279a Squadriglia), di due formazioni di tre e di sei Ju.87 del 96° Gruppo Tuffatori scortati da tre caccia Mc.200 e tredici Cr.42 del 17° Gruppo del 1° Stormo, di quattordici Ju.87 del I./St.G.1, di quattordici He.111 del II./KG.26, e infine di altri tre aerosiluranti S.79 della 279a Squadriglia. Inoltre, alle 15.45 partirono da Catania tre ricognitori Ju.88D della 1.(F)/121, con l’ordine di tenere sotto controllo le navi britanniche, facendo da radio faro e volando ad alta quota per evitare di essere attaccati dai caccia Hurricane di Malta.

I primi tre aerosiluranti S.79 alle 13.15 avvistarono il gruppo di navi che stava proteggendo il danneggiato cacciatorpediniere Gallant, a 20 miglia a est di Linosa. Nel frattempo però erano stati rilevati dal radar della corazzata Valiant che subito avvertì i Fulmar dell’806° Squadron, i quali ritornati da Malta dopo il rifornimento si trovavano in volo presso le navi. La presenza dei caccia britannici, che attaccarono e danneggiarono uno degli S.79, costringendo il pilota a interrompere la manovra di attacco, unita al fatto che l’incrociatore Bonaventure e il cacciatorpediniere Mohawk avevano aperto il fuoco con le artiglierie contraeree contro gli altri due velivoli avvistati alla distanza di 7.000 metri. Questa reazione convinse i piloti a desistere dall’avvicinarsi alle unità nemiche e a rientrare alla base con i siluri, anche perché essi dichiararono che, durante la manovra, le navi nemiche avevano accostato in modo da presentare la prua agli aerei attaccanti, mettendosi in posizione per schivare i siluri.

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Contro un gruppo di unita navali avvistato a 40 miglia da Pantelleria decollò la prima formazione del 96° Gruppo tuffatori, costituita da una pattuglia di tre Ju.87 non impiegati la sera del giorno 9, che disponevano di serbatoi supplementari e di una bomba da 500 chili, entrambi portati in volo durante il trasferimento da Lecce a Comiso. Una seconda formazione di sei Ju.87 R-2 caricò invece una bomba da 1.000 chili non essendovi a Comiso bombe antinave da 500 chili, com’è scritto in una relazione del Comando Aeronautica Sicilia inviata a Superaereo.[11] La partenza della seconda formazione, con i velivoli senza serbatoi supplementari e quindi con autonomia normale, avvenne quando le navi nemiche entrarono nel loro raggio d’azione.

La pattuglia dei primi tre Ju.87 della 236a Squadriglia, con piloti il tenente Fernando Malvezzi, il sergente maggiore Pietro Mazzei e il sergente Giampiero Crespi, prese il volo da Comiso alle ore 11.45 e diresse su Palermo per unirsi sopra l’aeroporto alla scorta dell’80a Squadriglia del 17° Gruppo del 1° Stormo Caccia, costituita da un Mc.200, con pilota il tenente Aldo Felici, e da tre Cr.42 al comando del tenente Emilio Marchi. Alle 13.00 avvistate cinque navi, di cui una al centro della formazione in lento movimento, gli Ju.87 attaccarono in picchiata, con gli equipaggi che, sganciando da una quota di 500 metri, ritennero di aver colpito un incrociatore con due bombe da 500 chili, una a poppa e una al centro. La conferma sembrò venire dall’avvistamento da parte di un ricognitore che alle 17.00 segnalò un incrociatore in avaria, sbandato di oltre 30 gradi, a 20 miglia a nord di Linosa. Si trattava in realtà del cacciatorpediniere Gallant che a rimorchio del Mohawk dirigeva per Malta alla velocità inferiore a 5 nodi, scortato dagli incrociatori Bonaventure, Gloucester e Southampton, e dai cacciatorpediniere Griffin e Diamond. Nel corso dell’attacco una bomba da 500 chili cadde presso lo scafo del Gloucester, che riporto soltanto danni minori, sotto forma di infiltrazioni d’acqua alla cupola dell’ecogoniometro.

Gli altri sei Ju. 87 R-2 del 96° Gruppo, cinque della 237a Squadriglia e uno delle 236a, decollati da Comiso al comando del capitano Ercolano Ercolani, prelevarono sopra l’aeroporto di Palermo la scorta di undici caccia Cr. 42 del 23° Gruppo guidata del capitano Luigi Filippi. Quindi gli Ju.87 diressero con rotta a sud verso l’obiettivo, che dopo mezz’ora di volo fu raggiunto a poche miglia a ovest di Malta, e che sembrava costituito da una portaerei e due incrociatori, mentre erano invece i cacciatorpediniere Hasty e Jaguar.

La formazione aerea italiana fu percepita in avvicinamento dal radar della corazzata Valiant. E quando alle 16.09 gli Ju.87 sopraggiunsero sulla Forza A, per iniziare l’attacco ripartiti in due pattuglie ciascuna di tre velivoli, furono accolti da una forte reazione contraerea, poiché nel frattempo era stato ripristinato in parte l’armamento della portaerei, che ora poteva contare su cinque dei sei pom-pom a otto canne da 40 mm e sugli otto cannoni da 133 mm delle quattro torri prodiere. Invece, le quattro torri di poppa da 133 mm mancavano dell’alimentazione elettrica, rimasta interrotta dall’esplosione delle bombe che avevano colpito l’ascensore poppiero e non

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[11] ASMEUS, Comando Aeronautica della Sicilia, Relazione sulle Operazioni dei giorni 78-9-10-11-12 Gennaio XIX°.

ancora ripristinata. Tuttavia il tiro fu disturbato dal fumo denso di un incendio, che si era sviluppato negli hangar della portaerei e non ancora domato, e che interferiva con la mira dei cannoni da sottovento.

Formazione di Ju 87 del 96° Gruppo con scorta di caccia Mc.200.

Da Malta, oltre ai Fulmar dell’806° Squadron, furono mandati a scortare le navi sei caccia Hurricane del 261° Squadron, ma soltanto uno di essi s’impegnò nel tentativo di attaccare gli aerei italiani, senza successo, perché subito attaccato e costretto ad allontanarsi da due caccia Cr.42 del 23° Gruppo.

Gli Ju.87R del 96° Gruppo, furono accolti da una reazione antiaerea violentissima che colpì uno dei velivoli sull’ala destra, e alle 16.04 i bombardieri picchiarono da prora a dritta sull’Illustrious. Tre Ju.87, accompagnati da altrettanti caccia, furono visti attaccare la portaerei a dritta di poppa e sui quartieri poppieri, e altri tre Ju.87, provenendo di prora a dritta, la colpirono a centro nave, a circa 3 metri e mezzo dall’ascensore di poppa, con una bomba perforante antinave da 1.000 chili. Altre due bombe del medesimo calibro, cadendo vicino alla portaerei, una presso l’isola l’altra più a poppa, le produssero sul fianco destro altri danni allo scafo.

Il colpo a segno sul ponte di volo dell’Illustrious da alcune fonti britanniche attribuito all’ultimo Ju.87 che attaccò, è stato accreditato in Italia ad un pilota della 237a Squadriglia, il sergente maggiore pilota Tullio Bertolotti.[12] Non essendo in grado di confermarlo, lo riportiamo per dovere di cronaca.[13]

[12] In Internet, DOGFIGHT. Associazione Ricercatori Storico Aeronautica. [13] Uno degli ufficiali dello stato maggiore del contrammiraglio Syfret, vista la bomba passargli sopra e andare a colpire la portaerei a poppa, disse che le sue dimensioni erano simili a quelle di un divano del quadrato ufficiali.

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Nelle due immagini l sergente maggiore Tullio Bertolotti. Sotto e nel suo Ju.87 con il mitragliere. Da DOGFIGHT. Associazione Ricercatori Storico Aeronautica.

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L’attacco degli Ju. 87 italiani del 96° Gruppo. Notare la colonna d’acqua sollevata da una bomba caduta in mare presso l’isola dell’Illustrious e il fumo che si leva dal pozzo dell’ascensore di poppa.

Nel corso dello stesso attacco degli Ju.87 del 96° Gruppo una bomba cade lontano a poppa dalla portaerei.

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Rientrati alle 15.30 a Comiso gli equipaggi degli Ju.87 riferirono che una bomba aveva sfiorato la fiancata sinistra del centro della portaerei, che aveva vicino due navi di grosso tonnellaggio (erano i due cacciatorpediniere di scorta), “tanto da non lasciare che metà dell’impronta circolare nell’acqua”, mentre altre due bombe erano “cadute entro 5 metri di distanza dalla stessa fiancata”.[14]

Secondo il rapporto del comandante dell’Illustrious l’attacco, erroneamente assegnato a una formazione di velivoli Ju. 87 tedeschi, non sarebbe stato “bene sincronizzato e deciso com’era stato quello del mattino”; ma evidentemente si sbagliava, visto il risultato dell’azione portata a compimento da appena sei velivoli, che però per il capitano di vascello Boyd erano stati almeno quindici, che attaccarono in due formazioni, la prima di cinque velivoli la seconda di dieci, più cinque caccia di scorta. Evidentemente per Ju.87 erano stati scambiati anche parte dei caccia Cr.42 della scorta, i cui piloti, coraggiosamente, accompagnarono nella picchiata i tuffatori. Ottimisticamente l’Illustrious e il cacciatorpediniere Jaguar ritennero di aver abbattuto almeno un aereo nemico, che evidentemente era lo Ju.87 che era stato colpito e danneggiato all’ala destra.

E’ stato anche sostenuto che il nuovo danno all’Illustrious non poteva essere stato causato degli aerei del 96° Gruppo, in quanto gli equipaggi avevano dichiarato di aver visto una bomba colpire sul fianco sinistro al centro della portaerei e altre due bombe cadere in mare vicino allo scafo sul medesimo fianco sinistro, mentre in realtà gli ordigni erano caduti sul fianco destro, causando soltanto “danni modesti alla struttura e un contenuto allagamento”.[15] Evidentemente si trattò di dichiarazioni errate degli equipaggi, dovute al fatto che attaccando da prora, il fianco destro della portaerei apparve ai piloti italiani della seconda squadriglia (237a), che colpì in pieno con una bomba la portaerei, come se fosse il sinistro.

E’ invece certo che il danno riportato dall’Illustrious fu alquanto rilevante, forse il più grave subito dalla portaerei quel giorno 10 gennaio come sostengono le relazioni britanniche, e soprattutto i fondamentali libri di Ian Cameron “Red Duster White Ensign - The Story of the Malta Convoy” e “Wings of the morning”. La grossa bomba italiana, che colpi in pieno presso il già provato ascensore posteriore dell’Illustrious, facendolo collassare, e che erroneamente fu ritenuta dai britannici del peso di 1.000 libbre (453 kg), perforando la corazza del ponte di volo e quella del

[14] SMAUS, Diario Storico dell’Aeronautica della Sicilia 1941.

[15] Giuliano Colliva, 10 gennaio 1941, attacco alla HMS Illustrious, periodico Storia Militare, maggio 2007. A quest’articolo l’Autore di questo saggio rispose con Lettera al Direttore L’amico Colliva, purtroppo deceduto da qualche anno, era convinto (come già aveva scritto nel 2004 in un altro suo articolo per Storia Militare) che trasportare una bomba da 1.000 Kg non fosse possibile per lo Ju. 87, a causa del peso di quell’ordigno che avrebbe impedito il decollo del velivolo. Sappiamo invece che lo Ju.87 tipo R era in grado di farlo. E Colliva aveva aggiunto che nell’attacco all’Illustrious erano state usate soltanto bombe da 500 chili, com’era stato sempre scritto, erroneamente, dagli storici britannici, aggiungendo che i colpi messi a segno sull’Illustrious nel primo attacco dagli Stuka tedeschi furono sette, mentre, invece, tutte le fonti britanniche portano a stabilire che erano state sei bombe, quattro delle quali esplose o bordo della portaerei, una esplosa in mare e un’altra finita in mare senza esplodere.

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ponte corazzato della sottostante aviorimessa posteriore, andò a esplodere al disotto dell’hangar, presso l’elevatore delle munizioni.

Il ponte di volo corazzato dell’Illustrious, a centro nave a poppa, dopo che era stato colpito e perforato dalla bomba da 1.000 chili vicino al pozzo dell’ascensore che è rovesciato. Ne emerge, per l’esplosione della bomba sotto il ponte corazzato dell’Hangar C, fumo bianco lungo la linea centrale, mentre altro fumo grigio esce alla stessa altezza dal fianco sinistro della nave.

Ju.87 della 239a Squadriglia del 96° Gruppo Bombardamento a Tuffo. Fu un velivolo di questa Squadriglia a colpire la portaerei Illustrious.

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Oltre ad uccidere istantaneamente una trentina di uomini tra cui alcuni ufficiali che stavano prendendo una tazza di tè, l’esplosione della bomba causò l’interruzione dell’energia elettrica, costringendo gli uomini a lavorare al buio e senza poter usare i ventilatori. Per parecchio tempo vi fu preoccupazione per la sorte della portaerei stessa, a causa della ripresa di un forte incendio nell’hangar C, che alle 17.30 fu considerato fuori controllo. Ne conseguì che, per evitare l’esplosione delle munizioni, il comandante Boyd fu allora costretto a permettere l’allagamento di alcuni depositi. Alle 17.30 il fuoco, come detto, era segnalato fuori controllo. Ovunque a poppa e nel quadrato ufficiali l’incendio si estendeva verso l’alto e lungo l’hangar attraverso i compartimenti squarciati, dove si trovavano intrappolati per la caduta di rottami un centinaio di uomini. Da un tubo di trasporto della benzina rotto sprizzavano fiamme che si estendevano attraverso i passaggi saturi di fumo nero. I ponti e le pareti corazzate arroventate dal grande calore erano al color bianco. L'acqua spruzzata abbondantemente dai tubi antincendio nell’hangar, evaporando sollevava nuvole di vapore bianco che si mescolava con il fumo nero delle fiamme che ora usciva da ogni apertura o squarcio della portaerei, che per l’acqua di mare imbarcata nell’opera di spegnimento degli incendi, assunse uno sbandamento di 5 gradi poco dopo corretto.

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Dalla voragine dell’ascensore di poppa dell’Illustrious, colpito e in fiamme, continuano a levarsi colonne di fumo e vapore.

L’ascensore prodiero dell’Illustrious. Ai due lati le torrette binate dei cannoni contraerei da 114 mm. In quel punto, già colpito dalle bombe tedesche, arrivò la bomba italiana da 1.000 chili.

Ci volle un'altra ora e mezzo di sforzi tenaci per domare le fiamme e rimediare ai danni riportati dall’Illustrious, prima di considerare terminato lo stato di emergenza. In questo frattempo, mentre si svolgeva la lotta delle squadre antincendio tutte impegnate con manichette ed estintori, l’equipaggio si dedicava a spostare le munizioni dai depositi minacciati dalle fiamme, a trascinare gli uomini feriti in zone più sicure, e a puntellare le paratie pericolanti, in un’atmosfera di lavoro che si svolgeva al buio tra rumori, fumo e forte calore, senza che gli uomini potessero usufruire di cibo e di riposo.

Fortunatamente per la portaerei, che si trovava a 25 miglia a ovest di Malta, ancora una volta le macchine, protette dalle grosse corazze dei ponti superiori, non erano state danneggiate, e l’Illustrious fu in grado di aumentare la velocità fino a raggiungere in serata i 21 nodi.

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Alle 07.15 sopraggiunse una formazione di quattordici Ju. 87 tedeschi del I./St.G.1, ai quali in Gran Bretagna per moltissimi anni è stato erroneamente accreditare il descritto indiscutibile successo italiano. L’attacco si sviluppò 15 miglia a ovest di Malta, oltre un’ora dopo che si era conclusa l’azione del 96° Gruppo Tuffatori; ma l’intervento degli Stuka fu diretto contro il gruppo delle corazzate Warspite e Valiant. L’attacco, si sviluppò a 15 miglia a ovest di Malta, oltre un’ora dopo che si era concluso quello del 96° Gruppo Tuffatori. Segnalato alle 16.56 alla distanza di 52 miglia dal radar 79Z della Valiant, che in mancanza di quello dell’Illustrious ancora in avaria fece un ottimo lavoro, il gruppo degli Ju.87 fu scortato sull’obiettivo da diciassette caccia distruttori Bf. 110 del III./ZG.26, al comando del capitano Karl Kaschka. Gli Stuka, avvistati alle 17.10 dalle navi già allertate, svolsero un largo giro intorno alla Forza A per portarsi di poppa contro sole, e mentre dirigevano per realizzare l’attacco furono accolti dal tiro di sbarramento delle navi, ed anche contrastati da tre caccia Fulmar dell’806° Squadron dell’Illustrious, rientrati da Malta dopo il rapido rifornimento. L’intervento dei caccia, guidato per radio dalla Valiant, fu provvidenziale perché intralciò l’attacco degli Ju.87 e ne costrinse tre a liberarsi della pesante bomba da 1.000 chili sganciandola in mare.

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Le devastazioni nel pozzo dell’ascensore di poppa della Illustrious.

Gli equipaggi tedeschi, ancora una volta guidati dal loro comandante di gruppo capitano Paul-Werner Hozzel, essendo stati costretti dai Fulmar a svolgere un tiro impreciso, riferirono di aver piazzato alcune bombe da 250 chili e tre da 1.000 chili presso una nave da battaglia e di aver colpito con una bomba da 250 chili un cacciatorpediniere. In effetti, come appare dai rapporti dell’ammiraglio Cunningham e dell’Ammiragliato britannico, l’obiettivo degli Stuka fu costituito dalla Valiant (capitano di vascello Charles Eric Morgan), che per un colpo vicino ebbe a riportare danni superficiali di schegge, che uccisero un uomo. Altre due bombe caddero anch’esse vicino allo scafo della corazzata, ma senza fare danni, mentre un’altra bomba, che non esplose, mancò di poco uno dei cacciatorpediniere della scorta, il Janus (capitano di fregata Joh Antony William Tothill), che era arrivato da Malta per rinforzare la scorta della Forza A. Uno Ju. 87 fu abbattuto dalle artiglierie del cacciatorpediniere Jaguard (capitano di corvetta John Franklin William Hine), mentre secondo un’altra fonte ad abbatterlo sarebbe stato un Fulmar dell’806° Squadron. Rientrando alla base gli altri tredici Ju.87 andarono ad atterrare a Catania invece che a Trapani.

Alle 17.45 sopraggiunsero sulle unità navali britanniche otto bombardieri

He.111 del II./KG.26, decollati da Comiso al comando del maggiore Wilhelm Bertram. Tuttavia, i velivoli tedeschi, che erano armati ciascuno con una bomba da 1000 kg, non riuscirono a colpire l’Illustrious attaccata, da quote comprese tra 4.500 e 5.600 metri, a una distanza, secondo i rapporti tedeschi, di 45 miglia a ovest di Malta. Altri sei velivoli del medesimo reparto, causa la sopraggiunta oscurità e la cattiva visibilità, non poterono rintracciare il gruppo navale dell’Illustrious. Rientrati alla base, gli equipaggi dei bombardieri che avevano attaccato sostennero di aver colpito la portaerei con una bomba.

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Bf.110 della 8a Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo Caccia Pesante (8/ZG.26).

La salva delle bombe da 1.000 chili sganciate da alta quota da una formazione di He.111 del II./KG.26 cadono nei pressi dell’Illustrious.

Infine, a conclusione delle azioni aeree della giornata, per attaccare ancora le navi britanniche segnalate 70 miglia a sud di Pantelleria, alle 17.40 decollò da Catania una terza pattuglia di tre S. 79, due della 279a Squadriglia Aerosiluranti e uno della 278a; ma le condizioni atmosferiche sfavorevoli, con scarsa visibilità e densa foschia che arrivava fino al livello del mare, non permisero agli equipaggi di avvistare l’obiettivo. Secondo i rapporti britannici, l’Illustrious, che si trovava a 5 miglia da Malta, alle 19.22 con il sole già tramontato e in piena luce lunare si accorse della presenza di aerei a prua a dritta. La portaerei ritenne si trattasse di due aerosiluranti, e contro di essi, come deterrente, sparò una raffica alla cieca con i pompom, per poi vedere i velivoli che si allontanavano.

Durante la fase di atterraggio a Catania l’S.79 della 278a Squadriglia, con pilota il tenente Carlo Emanuele Buscaglia, a causa dell’eccessiva velocità determinata dal vento in coda, superò il limite della pista di volo, per poi andare ad urtare contro alcuni ostacoli, riportando danni riparabili in pochi giorni nella locale officina. L’equipaggio usci indenne, ma l’ufficiale osservatore della Marina, tenente di vascello Giovanni Sleiter, riportò contusioni alla spalla sinistra guaribili in quindici giorni.

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10 gennaio 1941. L’S. 79 della 278a Squadriglia Aerosiluranti del tenente Buscaglia che, atterrando nell’aeroporto di Catania ad eccessiva velocità causa il vento in coda, superò la pista di volo andando ad urtare contro alcuni ostacoli. L’aereo porta ancora la numerazione della 67a Squadriglia che in quei giorni aveva ceduto tre suoi S.79 alla 278à. Notare davanti al velivolo il suo siluro, fortunatamente non esploso.

Con un deludente risultato si svolse anche la missione di un altro aerosilurante della 279a Squadriglia, decollato da Catania per una ricerca notturna che non portò ad alcun avvistamento.

La sera di quello stesso 10 gennaio, alle ore 21.00, l’Illustrious, che era sempre accompagnata dai cacciatorpediniere Hasty e Jaguar, raggiunse Malta, ed entrò nel Grand Harbour trainata da un rimorchiatore. Ma l’incendio che divorava i suoi locali interni fu spento soltanto alle ore 03.00 del giorno 11. I morti della portaerei furono centoventisei, i feriti novantuno.

Complessivamente l’Illustrious era stata colpita da sette bombe, una delle quali non esplosa, un'altra esplosa in mare dopo aver perforato il ponte prodiero della portaerei, ed altre erano cadute vicino allo scafo. In oltre uno Ju.87 tedesco, colpito dalla contraerea e precipitando, era andato a colpire presso l’ascensore di poppa.

Da parte tedesca nelle azioni della giornata del 10 gennaio andarono perduti tre Ju.87. Tra i caduti vi fu anche il tenente Gerhard Grenzel, della Squadriglia 2./St.G.1, uno degli assi del bombardamento a tuffo insignito della Ritterkreuz, la croce di cavaliere della croce di ferro. Gli altri due Stuka non rientrati alla base, uno della Squadriglia 3./St.G.1 e l’altro della 5./St.G.2, erano rispettivamente pilotati dal sergente Karl Jugerman e dal tenente Helmuth Leesch. Una sola perdita riportarono i

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reparti aerei italiani poiché, come detto, un aerosilurante S.79 della 278a Squadriglia nel rientrare danneggiato a Pantelleria atterrando senza carrello si sfasciò al suolo e fu dichiarato fuori uso.

Le condizioni dell’ascensore prodiero dell’Illustrious incastrato sul ponte di volo. Fu in particolare questo danno che impedì alla portaerei di far decollare e atterrare i suoi aerei.

Le rinunce all’intervento navale italiano

La sera del giorno 11 gennaio Supermarina, essendo stata informata dei danni che erano stati causati dall’aviazione a una portaerei britannica, che appariva in difficoltà a ponente di Malta, con il messaggio n. 90987 ordinò alla Squadra Navale dell’ammiraglio Iachino di salpare dal porto di Spezia, per dirigere verso lo Stretto di Messina. Quindi doveva raggiungere alle ore 08.00 dell’indomani 12 un punto a 20 miglia a levante di Punta Santa Croce (Augusta), con gli incrociatori della 1a e 7a Divisione che, provenienti da Taranto e Brindisi, si sarebbero trovati 10 miglia del punto suddetto con rotta sud alla velocità di 18 nodi. Al passaggio per lo Stretto di Messina si sarebbe aggiunte alle navi da battaglia provenienti dalla Spezia anche le unità della 3a Divisione Navale dell’ammiraglio Luigi Sansonetti, costituite dagli incrociatori Trieste (ammiraglio Luigi Sansonetti), Trento e Bolzano,e dai cacciatorpediniere dell’11a Squadriglia Aviere, Geniere e Camicia Nera.

Le corazzate della Squadra Navale Vittorio Veneto e Andrea Doria, scortate da otto cacciatorpediniere, al comando dell’ammiraglio Angelo Iachino, presero il mare dalla Spezia poco prima delle 05.00 dell’11 gennaio. E come ordinato da Supermarina, superata la rotta di sicurezza, le navi diressero verso lo Scoglio Africa, per poi puntare con rotta diretta sullo Stretto di Messina alla velocità di 20 nodi, scortate per compito antisom da due idrovolanti Cant.Z.501 della Ricognizione

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Marittima, che si mantennero tranquillamente nel cielo delle navi tra le 07.45 e le 14.20.

Ma, data la distanza in cui si trovava l’Illustrius si tratto soltanto di una missione forse dimostrativa nei confronti dei tedeschi, del tutto inutile ai fini militari, salvo a servire come addestramento per la Doria che ne aveva ancora bisogno, poiché alle 15.45 dell’11, all’altezza della Maddalena, la Squadra Navale, con il messaggio n. 79328 di Supermarina ebbe l’ordine:“Rientrare base di partenza”. [1] Ciò fu commentato nel dopoguerra dall’ammiraglio Iachino, scrivendo che, per attaccare la portaerei, “la distanza che dovevamo percorrere era troppo forte per permetterci di arrivare tempestivamente nelle acque di Malta, e alla fine Supermarina decise di rinunciare nell’intervento delle nostre navi in questa occasione”.[2] Se, effettivamente, vi fosse stata l’intenzione di cercare di raggiungere la portaerei o altre unità navali come fu segnalato da Supermarina, questo compito potevano assolverlo soltanto gli incrociatori pesanti che si trovavano a Messina, e quelli che dovevano arrivare da Taranto e da Brindisi. Ma non ve ne fu certamente alcuna intenzione, anche in considerazione del fatto che gli incrociatori avrebbero potuto trovarsi di fronte navi da battaglia, contro le quali l’intervento, secondo quanto stabilito da Supermarina, in quel periodo era da escludere, anche se fossero state mandate le due corazzate della Squadra Navale. Era stato stabilito che due corazzate italiane avrebbero potuto affrontare una nave da battaglia nemica, ma non in condizioni di parità e tanto meno di superiorità del nemico.[3]

Poi, il 13 gennaio, in seguito alle segnalazioni crittografiche della 5a Sezione del Servizio Informazioni Segreto della Regia Marina (Maristat), Supermarina venuta a conoscenza che l’incrociatore britannico Perth e altre unità imprecisate partite all’alba dello stesso giorno 13 da Atene sarebbero arrivare a Malta alle 08.30 del 14, ordinò alle 3a Divisione e all’11a Squadriglia, di raggiungerle, ma con la condizione ”impegnandosi solo in condizioni favorevoli”.

[1] AUSMM, Comando in Capo Squadra Navale, “Rapporto di missione”, Squadra Navale, cartella n. 9.

[2] Angelo Iachini, Operazione Mezzo Giugno, Mondadori, Milano, 1955, p. 97.

[3] Francesco Mattesini, Corrispondenza e Direttive tecnico operative di Supermarina –Scacchiere Mediterraneo, Volume II, tomo 1° (gennaio 1941 – giugno 1941), USMM, Roma, 2001, Documento n. 1 del 3 gennaio 1941, p. 81 sg.

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Partita da Messina alle 23.40, per poi aumentare gradualmente l’andatura a 25 nodi con rotta sud, la 3a Divisione, dopo aver assunto alle 04.30 “Posto di combattimento generale”, alle 15.00 ricevette dall’ammiraglio Sansonetti l’ordine, di invertire la rotta e rientrare alla base. Un’iniziativa presa autonomamente dal Comandante della 3a Divisione Navale, e segnalata a Supermarina e al Comando della Squadra Navale, con la motivazione delle sopraggiunte condizioni atmosferiche sfavorevoli per arrivare un incontro notturno con il nemico, avendo dovuto ridurre la velocità a 20 nodi per il mare grosso.[4]

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Il Bolzano, era l’incrociatore pesante più moderno e veloce della Regia Marina. Faceva parte della 3a Divisione Navale dell’ammiraglio Luigi Sansonetti. [4] AUSMM, Comando Divisione Navale, Rapporto sulla missione del 14 gennaio, e Comandi Navali Complessi, cartella n. 11, fascicolo n.10.

A sinistra l’ammiraglio Vito Sansonetti, Comandante della terza Divisione Navale, in una immagine dell’anteguerra quando era alla guida della 7a Divisione Navale. Al suo fianco il capitano di vascello Federico Martinengo, allora comandante dell’incrociatore Muzio Attendolo.

Una delusione avvenne anche da parte dei tre sommergibili che il 10 gennaio si trovarono nella zona attraversata dalle navi britanniche, il Fratelli Bandiera, Santorre Santarosa, e Ruggero Settimo. Il Bandiera (tenente di vascello Pietro Prosperini) rilevò all’idrofono scoppi di sei bombe a 30 miglia a sud-est di Pantelleria. Il Santarosa capitano di corvetta Guido Cascia), che si trovava 60 miglia a est del Bandiera fu sottoposto al lancio di una sessantina di bombe di profondità, ma non riportò alcun danno. Il Settimo (capitano di corvetta Mario Spano), che era a circa 80 miglia a levante di Malta, tra le 14.16 e le 15.30 rilevò all’idrofono rumori di eliche che si spostavano verso levante, e manovrò per avvicinarsi per la rotta più breve. Ma per quanto il comandante Spano avesse controllato al periscopio non riuscì ad avvistare nulla.

Calata la notte, il Settimo avvistò due incrociatori del tipo”Liverpool” e li attaccò alle 22.10, in lat. 35°22’N, long. 16°15’E, lanciando tre siluri contro l’unità di testa. Si trattava evidentemente degli incrociatori britannici della 3a Divisione,

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Gloucester e Soutampton. Subito dopo l’attacco il sommergibile si immerse rapidamente, e furono udite distintamente due esplosioni, per poi rilevare agli idrofoni una sola sorgente sonora, quindi una sola nave che si ritenne avesse lanciato bombe di profondità in due riprese, per poi allontanarsi in direzione di Malta. Nessun documento britannico da noi consultato riporta quest’azione, e risulta che gli incrociatori non si accorsero di nulla.

L’affondamento dell’incrociatore Southampton

Mentre la danneggiata portaerei Illustrious dirigeva verso il porto della Valletta a discreta velocità, le corazzate e gli incrociatori della Mediterranean Fleet proseguirono la rotta verso oriente proteggendo, oltre i tre rimanenti piroscafi del convoglio dell’operazione Excess, Clan Cumming, Clan Mac Donald e Empire Song (che avevano subito da alta quota un solo attacco di tre aerei He.111 del II./KG.26 alle 13.40 del 10 gennaio) le navi di un altro convoglio. Si trattava del convoglio ME.6, partito da Malta alle 07.00 del 10 gennaio diretto ad Alessandria e Porto Said, e costituito dai piroscafi Devis, Hoegh Hood, Rodi, Trocas e Volo, dalle cisterne Plunleaf e Pontfield, e dalle quattro corvette di scorta Salvia, Hyacinth, Gloxinia e Peony. Al convoglio ME.6 si aggiunse, per rafforzare la difesa ravvicinata contro attacchi dal cielo, l’incrociatore contraereo Calcutta (capitano di vascello Dennis Marescaux Lee), che ricevette l’ordine di lasciare il convoglio Excess che aveva raggiunto il mattino del 10. Per la protezione ravvicinata dell’ME.6 vi erano gli incrociatori della Forza D del vice ammiraglio Pridham Wippell, Orion, Perth, Ajax e York che, arrivati da Suda, nel corso della notte, restando in attesa del convoglio, avevano incrociato verso nord e verso est di Malta.

Un terzo convoglio, il ME.5½, con i piroscafi veloci Lanarkshire e Waitera, dirette ad Alessandria, era salpato da Malta il mattino del 10 sotto la scorta del cacciatorpediniere Diamond, per raggiungere il convoglio Excess e proseguire quindi con esso fino a quando non fosse stato raggiunto il punto nel quale le navi del ME.5½ dirette ad Alessandria dovevano accostare verso sud per passare al largo di Creta, mentre il convoglio Excess doveva proseguire per il Pireo. I due convogli si incontrarono nel pomeriggio e il piroscafo Essex lasciò il convoglio Excess per andare a Malta, scortato dal cacciatorpediniere Hero che, dopo aver visto il mercantile entrare nel Grand Harbour, si allontano a grande velocità per raggiunse la Forza A.

La Forza D accompagnò il convoglio ME.6 diretto verso est fino all’inizio della notte del 10 e quindi, lasciando a protezione del convoglio l’Ajax e lo York, l’ammiraglio Pridham-Wippell diresse con l’Orion e il Perth verso un appuntamento che era stato fissato con la Forza A per il giorno successivo. Ma le corazzate dell’ammiraglio Cunningham, in seguito agli attacchi aerei subiti nel pomeriggio, erano in considerevole ritardo e molto di poppa al convoglio Excess, che era esposto a possibili attacchi delle italiane provenienti da Taranto e da Brindisi, nei cui porti si

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trovavano, tre divisioni d’incrociatori (1a, 7a e 8a) per la difesa del Canale d’Otranto, dove passavano i convogli per l’Albania.

L’incrociatore Orion nave di bandiera del vice ammiraglio Pridham-Wippell comandante delle Forze Leggere della Mediterranean Fleet e nell’operazione MC.4 della Forza D.

L’incrociatore contraereo Calcutta che fu assegnato alla scorta del convoglio ME.6, partito dalla Valletta e diretto a Alessandria e Porto Said.

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Pertanto, anche la Forza A diresse verso nord e, riguadagnando cammino durante la notte, all’alba dell’11 gennaio arrivo a circa 25 miglia dal convoglio riunendosi con gli incrociatori Orion e Perth, per poi restarvi fino al pomeriggio quando la Forza D ricevette dall’ammiraglio Cunningham l’ordine di raggiungere gli incrociatori della 3a Divisione Gloucester e Southampton che, trovandosi sotto attacco aereo, avevano segnalato di aver riportato considerevoli danni. Il comandante della 3a Divisione incrociatori, contrammiraglio Renouf, aveva ricevuto l’ordine di raggiungere il convoglio ME.6, poiché con la partenza dell’incrociatore Ajax, destinato ad altro incarico, la sua protezione era rimasta affidata soltanto all’incrociatore York e alle quattro corvette Salvia, Hyacinth, Gloxinia e Peony.

Tutti i gruppi navali britannici che si spostavano verso levante, vennero a trovarsi la mattina, dell’11 gennaio, entro il raggio d’azione dei bombardieri tedeschi del X Fliegerkorps, i cui ricognitori Ju.88D della 1.(F)/121 segnalarono che le unità nemiche navigavano per levanti suddivise in due gruppi, ciascuno costituito da unità maggiori e da piroscafi. Il gruppo maggiore, che si trovava più a nord, dirigeva verso la costa orientale della Grecia, passando per il Canale di Cerigo, tra le coste nordoccidentali di Creta e Capo Matapan (Peloponneso), il secondo gruppo dirigeva più a sud verso l’Egitto.

Nella notte sull’11 gennaio, il Comando operativo del X Fliegerkorps, prevedendo che l’indomani vi sarebbero state grosse unità britanniche nella zona sud e sud-est della Sicilia, e probabilmente altre unità danneggiate nella zona di Malta, ordinò alla Squadriglia da ricognizione strategica 1.(F)/121 di mandare al mattino nelle due zone tre velivoli Ju.88D. Al velivolo a cui spettava di sorvolare la zona di Malta fu richiesto di fotografare possibilmente il porto, per individuare le unità navali che vi si trovavano, e portare al più presto a conoscenza il risultato delle fotografie. A tutti i ricognitori era poi chiesto che in caso di avvistamento di unità navali dovevano tenere il contatto col nemico fino all’esaurimento della riserva del carburante, prima e anche dopo l’attacco delle formazioni offensive per osservarne il risultato.

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Ju.88D della 1.(F)/121 nella colorazione desertica.

Velivolo da ricognizione Ju.88D della 1.(F)/121. Il pilota è il capitano Erwin Fischer comandante della Squadriglia.

L’impiego delle forze offensive era assegnato al 3° Stormo Stuka (St.G.3), i cui velivoli Ju.87, come negli attacchi del giorno precedente, dovevano portare bombe da 1.000 chili, e serbatoi supplementari vuoti, oppure bombe da 250 chili, con serbatoi supplementari pieni. Il 3° Gruppo del 26° Stormo Caccia Distruttori (III./ZG.26), doveva scortare gli Ju.87 con tutti i Bf.110 disponibili. Infine il 2° Gruppo del 26° Stormo Bombardamento (II./KG.26) doveva essere pronto per la partenza di tutti i suoi velivoli He.111 dalle ore 10.30 con carico di due bombe da 1.000 chili. Tuttavia dovendo volare a grandi distanze per raggiungere gli obiettivi navali, e fare il pieno del carburante imbarcandone 2.500 litri, fu deciso che il carico bellico per ogni velivolo doveva essere costituito da una sola bomba da 1.000 chili.

Da parte italiana, il Comando dell’Aeronautica della Sicilia mandò in ricognizione gli S.79 del 30° Stormo da bombardamento del colonnello pilota Arnando Lubelli, che impiegò le squadriglie 192a, 193a e 195a dell’87° e 90° Gruppo di base a Sciacca; ma il loro impiego fu un vero fallimento poiché i velivoli andarono a ricercare il nemico dove non si trovava, e quindi non fecero alcun avvistamento. Anche una ricognizione a vista sul porto della Valletta, assegnata a nove caccia Mc.200 del 6° Gruppo, al comando del capitano Giuliano Giacomelli, ebbe scarso successo. Soltanto tre velivoli furono in grado di raggiungere l’obiettivo, ma pur volando alla quota di 800 metri non riuscirono a rilevare la presenza dell’Illustrious

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che si trovava ormeggiata nella rada di French Creek, ma individuarono soltanto un incrociatore e due piroscafi in navigazione verso Marsa Scirocco.

Infine, durante una crociera di vigilanza sul cielo di Catania, due caccia Mc.200 avvistarono un velivolo da ricognizione Maryland della 431a Squadriglia (Flight) del 69° Squadron, che stava rientrando a Malta dopo una missione sul porto di Taranto, e che fu abbattuto in fiamme dal capo pattuglia tenente Antonio Palazzeschi. Decedettero il pilota del Maryland, sergente maggiore Rene Duvauchelle, e i due uomini d’equipaggio, sergenti Jacques Mehouas e G. Taylor.

Formazione a cuneo di trimotori S.79 della 193a Squadriglia dell’87° Gruppo del 30° Stormo Bombardamento Terrestre. Nel contrasto all’Operazione Excess i velivoli dello Stormo furono impiegati esclusivamente per le ricognizioni.

Nel frattempo i tedeschi non persero tempo e, come’era stato stabilito dal Comando del X Fliegerkorps, non appena un ricognitore Ju.88D della Squadriglia

1.(F)/121 segnalò alle 09.40 la presenza di due incrociatori e di un cacciatorpediniere a 160 miglia a est di Capo Passero, fu dato l’ordine di decollo. Alle ore 13.00 partì un He.111 del II./KG.26 per attaccare a bassa quota uno dei convogli segnalati dai ricognitori, probabilmente il ME.6. Alle 12.10 decollò una formazione trentacinque Ju.87 del II./St.G.2, guidati da un He.111 del II./KG.26 e scortati da 13 caccia Bf.110 del III./ZG.26, per attaccare i due incrociatori e il cacciatorpediniere segnalati alle ore 09.40 a 45 miglia ad est di Malta. Naturalmente erano il Gloucester, il Southampton e il Diamond, che dovevano rinforzare la scorta del convoglio ME.6, come era stato ordinato dall’ammiraglio Cunningham. Alle 14.00 decollò una formazione di undici

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bombardieri He.111 del II./KG.26 per attaccare forze navali segnalate alle ore 11.00 a 150 miglia a sud-est di Malta, ossia probabilmente la Forza A oppure gli incrociatori della Forza D.

Alle ore 15.22 del’11 gennaio, gli incrociatori Gloucester e Southampton e il cacciatorpediniere Diamond, procedendo con rotta 105° alla velocità di 22 nodi, si trovavano in lat. 34°56’N, long. 18°19’E, posizione corrispondente a circa 30 miglia di poppa al convoglio ME.6 e a una distanza di circa 220 miglia a levante della Sicilia e a 285 miglia da Malta. Improvvisamente le tre navi furono attaccate, completamente di sorpresa, dalla formazione degli Ju 87 del II./St.G.2, guidati dal capitano Walter Enneccerus, non preavvertita perché nessuna delle tre unità aveva il radar, e a bordo gli uomini si ritenevano “già liberi da una possibile minaccia aerea, con ufficiali ed equipaggi che si riposavano, allentando la loro vigilanza dopo quattro faticose giornate”.[5] Poiché otto velivoli del II./St.G.2 erano stati costretti a invertire la rotta e dirigere per rientrare alla base a causa delle cattive condizioni atmosferiche, giunsero sull’obiettivo ventisette Ju.87.

Il Gloucester (capitano di vascello Henry Aubrey Rowley), attaccato dagli Stuka che arrivarono sul bersaglio dalla direzione del sole, riportò alcuni danni per due esplosioni nelle vicinanze dello scafo; ma l’incrociatore fu fortunato perché una bomba da 250 chili, pur colpendo nella struttura della plancia e attraversando ben cinque ponti non esplose.

Il Southampton (capitano di vascello Basil Charles Barrington Brooke) non fu altrettanto aiutato dalla sorte. Colpito nel quadrato e nella mensa ufficiali da due bombe da 250 chili, s’incendiò pericolosamente. Per qualche tempo l’equipaggio fu

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L’incrociatore Southampton con la mimetizzazione dalle unità della Flotta del Mediterraneo fotografato in navigazione da un aereo britannico. [5] Relazione dell’ammiraglio Cunningham, Operation Excess, in Supplement of the London Gazette, 10 August 1948.

in grado di combattere le fiamme e mantenere la nave in funzione e sotto controllo, a una velocità di 20 nodi. Mezz’ora dopo che i due incrociatori erano stati colpiti, si svilupparono da alta quota gli attacchi portati dagli undici bombardieri tedeschi He.111 del II./KG.26 guidati dal maggiore Bertram. L’attacco non ebbe alcun esito positivo, ma costrinse il Gloucester a schivare con la manovra una salva di bombe antinave da 1.000 chili.

Rientrati alla base gli equipaggi degli Ju.87 riferirono di aver colpito un incrociatore con una bomba da 250 chili, e di aver piazzato bombe dello stesso calibro sulle altre navi. Considerarono forte la reazione contraerea.

In questa fotografia l’istante in cui l’incrociatore Southampton è colpito da una delle due bombe sganciate dagli Ju 87 del II./St.G.2.

Informato dal contrammiraglio Renouf di quanta stava accadendo alla 3a Divisione, e dei danni riportati dal Southampton, l’ammiraglio Cunningham accorse in loro aiuto, mandando avanti il vice ammiraglio Pridham-Wippel con due dei suoi incrociatori della Forza D, l’Orion e il Perth, che però non arrivo in tempo, poiché l’incendio del Southampton si allargò, tanto da rendere impossibile l’allagamento di alcuni depositi di munizioni. Dopo aver cercato per circa quattro ore di salvare l’incrociatore, alle ore 19.00, col fuoco che ormai non poteva più essere controllato,

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gli ufficiali e gli uomini dell’equipaggio dovettero cessare i loro tentativi. Il Southampton venne abbandonata in lat. 34°54’N, long. 18°24’E, e i settecentoventisette uomini dell’equipaggio, dei quali settantotto erano feriti, furono raccolti dal Gloucester e dal Diamond (capitano di corvetta Philip Alexis Cartwright) Le perdite dell’incrociatore assommarono a cinquantadue uomini, tra cui ben ventisette ufficiali.

Dopo che la nave era stata abbandonata, il Gloucester lanciò un altro siluro contro il Southampton per dargli il colpo di grazia, ma con scarso effetto. Verso le ore 20.00 sopraggiunse il vice ammiraglio Pridham-Wippell con l’incrociatore Orion, inviato con altre unità nella zona per rafforzare la protezione del Gloucester. Prima di allontanarsi l’Orion (capitano di vascello Geoffrey Robert Bensly Back) affondò il Southampton lanciando tre siluri.[6]

Il capitano Walter Enneccerus, comandante del II./LG.1, il Gruppo che affondò l’incrociatore Southampton, in volo sul mare nella cabina di pilotaggio del suo Ju 87.

Nel corso dell’attacco ai due incrociatori andarono perduti due Ju.87 il che portò il totale delle perdite subite in due giorni dai reparti dello St.G.3 a cinque velivoli: tre del II./St.G.2 e due del I./St.G.1. Circa i risultati strategici conseguiti nell’occasione dal X Fliegerkorps, con perdite tanto modeste, è significativo quanto è scritto in una relazione dell’Ammiragliato britannico:[7]

[6] AUSMM), “Admiralty - I convogli nel mese di gennaio 1941, l’Excess”, fondo Scambio notizie con Ammiragliato britannico.

[7] Ibidem. * Dopo l’affondamento del Southampton e il danneggiamento del Gloucester, alle 08.00 del 12 gennaio il cacciatorpediniere Diamond si unì al convoglio ME 5 1/2, nel frattempo raggiunto dagli incrociatori Ajax, Orion, Perth e York, salpati il 10 gennaio dalla Baia di Suda. Il

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Nessuna delle 14 navi dei 4 convogli era stata perduta, ma la flotta, invece, aveva pagato a duro prezzo la sua sicurezza. I bombardieri in picchiata tedeschi erano apparsi nella zona di operazioni portando “un potente nuovo fattore” nel Mediterraneo dove la indiscussa supremazia della flotta sopra i piloti italiani aveva fino a quel momento reso possibile lo svolgimento del suo compito senza eccessivi rischi. Da questo momento una seria minaccia pendeva sopra le rotte siciliane e il viaggio per Malta doveva diventare un pericoloso rischio.

La corazzata Valiant. Era insieme alla portaerei Illustrious, una delle poche navi della Mediterranean Fleet ad avere il radar all’epoca dell’Operazione Excess. Quando l’Illustrious non poté più usare il proprio radar, fu la Valiant a trasmettere alla Forza A la scoperta degli aerei nemici e a dirigere contro di essi i caccia in volo.

convoglio ME.6, lasciato dalle corvette Hyacinth, Gloxinia, Peony e Salvia inviate a Suda, arrivò ad Alessandria il giorno 13, mentre parte degli incrociatori furono nel frattempo assegnati ad altri vari servizi, sempre connessi con lo spostamento delle navi verso oriente.

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La rotta dei convogli Excess e ME.5½ e ME.6 nel Mediterraneo Centrale, e la posizione degli attacchi degli aerei tedeschi e italiani.

L’annullamento dell’Operazione MC.6

Secondo il piano originale dell’Operazione MC.6, al termine dell’Operazione “Excess” la Mediterranean Fleet avrebbe dovuto iniziare una serie di attacchi sulle rotte del traffico mercantile lungo le coste italiane, anche in Adriatico, ma i danni riportati dall’Illustrious obbligarono a sospendere lo svolgimento di tale progetto e a costringere l’ammiraglio Cunningham a rientrare con le sue navi ad Alessandria.

Al riguardo nella Relazione mensile di gennaio 1941 del Diario di Guerra della Mediterranean Fleet, é scritto quanto segue:[8]

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[8] Ibidem.

Fu presto realizzato chiaramente che senza una adeguata protezione di caccia non soltanto avremmo dovuto sospendere l’invio di convogli attraverso il Mediterraneo ma che la flotta stessa avrebbe corso seri rischi operando di giorno in zone raggiungibili dai bombardieri in picchiata. In mancanza di una moderna portaerei [restava ad Alessandria solo la vecchia Eagle] divenne quindi necessario abbandonare ogni idea di operazioni contro le coste nemiche.

La Forza X del contrammiraglio Bernhard Rawlings, con la corazzata Barham, la portaerei Eagle, l’incrociatore Ajax e i cinque cacciatorpediniere della 10a Flottiglia australiana Stuart, Wryneck, Vendetta, Wampire e Voyager, che avrebbe dovuto partecipare all’operazione MC.6 effettuando attacchi aerei su obiettivi dell’Egeo e della Cirenaica, fu avvistata da un ricognitore dell’Aeronautica della Libia alle 16.10 dell’11 gennaio a 46 miglia a nord di Bardia con rotta ponente, e per attaccarla alle 19.35 dell’11 gennaio due S. 79 della 278a Squadriglia, decollarono da Berka.

Uno degli S.79, con pilota il tenente Carlo Copello e osservatore il tenente di vascello Francesco Olivari, avvistato l’obiettivo alle 21.43 lanciò il siluro da una distanza apprezzata in 800 metri contro la Eagle che fu ritenuta essere una nave portaerei di tipo imprecisato. Ottimisticamente gli uomini dell’equipaggio dell’S.79, ritenendo di aver visto una colonna di fumo apparire a poppa di quella nave, sostennero che la portaerei era stata sicuramente colpita, e di ciò fu dato credito dai responsabili dell’Aeronautica e dal Comando Supremo, che citò l’azione nel Bollettino di Guerra.

L’altro S.79, con il tenente pilota Guido Robone e il tenente di vascello osservatore Curzio Castagnacci, non avendo fatto avvistamenti nonostante una lunga ricerca dell’obiettivo, nel rientrare alla base con i serbatoi della benzina ormai vuoti, fu costretto ad effettuare col buio un atterraggio di fortuna in una stretta valletta in discesa a 10 km da Maraua. Toccando terra, con impatto rovinoso, l’aereo ebbe di netto asportato l’ala destra dalla fusoliera, i serbatoi della benzina furono sbalzati a qualche metro di distanza, assieme al siluro che fortunatamente non esplose, un motore si sfascio completamente e gli altri due si piegarono verso il basso. Vi furono altri danni al velivolo, che fu completamente messo fuori uso, e quattro dei sei uomini dell’equipaggio rimasero feriti o contusi incluso il tenente Robone.

Tornando al complesso de convogli riuniti Excess - ME.5½. alle 18.00 dell’11 gennaio, il convoglio ME.5½ si stacco dall’Excess per passare a sud di Creta per raggiungere l’Egitto, mentre l’Excess diresse per passare il canale di Elaphonisos, per poi arrivare al Pireo, il mattino del 12, con i suoi quattro cacciatorpediniere di scorta. L’incrociatore Calcutta, che partecipava alla scorta del convoglio, lo sopravanzo per andare a rifornirsi nella Baia di Suda.

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Baia di Suda. La corazzata Barham in rifornimento da una petroliera.

Il 12 gennaio, gli incrociatori Orion, Perth e Gloucester, insieme a tre cacciatorpediniere, si riunirono alla Forza A ad un appuntamento fuori del limite orientale delle coste di Creta. In questa zona fu incontrata la Forza X del contrammiraglio Rawling, il cui impiego contro le rotte di traffico italiano s’intendeva ancora realizzare. Mentre l’ammiraglio Cunningham dirigeva verso Alessandria con la Warspite, la Valiant e il Gloucester e i cacciatorpediniere Jervis, Janus, Greyhound, Diamond, Voyager, Hero e Defender, le condizioni del tempo impedirono a Rawling di realizzare almeno quella piccola soddisfazione.

La Forza A arrivò per prima ad Alessandria, mentre l’incrociatore York e i cacciatorpediniere Mohwak e Griffin, e le unità della Forza X procedettero per la Baia di Suda per rifornirsi. Infine, alle 02.30 del 13 gennaio gli incrociatori Orion e Perth giunsero al Pireo e dopo aver imbarcato dei passeggeri dalle navi del convoglio Excess, ripartirono per Malta alle 06.00 dell’indomani, per poi giungervi con una navigazione veloce nelle ore antimeridiane del 14. Erano queste le navi che la 3a Divisione Navale dell’ammiraglio Sansonetti avrebbe dovuto attaccare.

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Riorganizzazione della difesa contraerea di Malta per la protezione del porto della Valletta

Il fatto che l’ammiraglio Cunningham fosse stato costretto a sospendere ogni altra operazione nel Mediterraneo centrale non era il solo problema che si presentava al Comandante della Mediterranean Fleet, dal momento che il massimo sforzo doveva essere fatto per riportare l’Illustrious ad Alessandria prima che la Luftwaffe potesse darle il colpo di grazia. Occorreva proteggere adeguatamente la portaerei in attesa che il personale dell’arsenale della Valletta potesse rimetterla in condizioni di partire. Ma tutto quello che la RAF possedeva negli aeroporti di Malta (Luqa, Takalì, Hal Far) era rappresentato alla data del 15 gennaio soltanto da quindici caccia Hurricane del 261° Squadron comandato dal maggiore A.J. Tumble, ai quali si aggiunsero una decina di Fulmar dell’806° Squadron della portaerei Illustrios, al comando del capitano di corvetta Charles Evans. La quantità di velivoli da caccia a disposizione era comunque così modesta da rendere impossibile il contrasto efficace ai violenti attacchi che il X Fliegerkorps cominciò a portare contro le basi aeronavali maltesi a iniziare dalla seconda metà di gennaio, e che protrasse per quattro mesi fino alla fine di maggio, quando si trasferì sugli aeroporti della Grecia per operare nel Mediterraneo orientale. Ha riferito lo storico britannico generale Playfair nella sua

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Le rotte percorse dei convogli britannici nel Mediterraneo centrale nei giorni 10 e 11 gennaio. Grafico dell’Ufficio Storico della Marina Militare.

monumentale opera Mediterranean and Middle East, che in tale periodo la Luftwaffe si accanì contro l’isola, a volte in modo così massiccio che al confronto, i precedenti attacchi dall’Aeronautica italiana apparvero ai difensori quasi insignificanti.[9]

Il16 gennaio i Comandanti delle Forze Armate di Malta tennero una riunione per stabilire il sistema di sbarramento difensivo da adottare in vista dell’attacco tedesco che si stava preparando. In quel momento la difesa aerea dell’isola presentava notevoli difficoltà. I bombardieri germanici che avevano ormai sostituito quelli italiani sui più attrezzati aeroporti siciliani (Catania, Comiso, Palermo, Trapani, Reggio Calabria), distavano soltanto venti minuti di volo. In tali condizioni, anche un maggior numero di cannoni di quelli al momento presenti a Malta alle dipendenze della 7a Brigata d’artiglieria contraerea, sarebbero stati insufficienti in mancanza di un pronto sistema di avvistamento lontano, di un’efficiente organizzazione di controllo affidata a personale specializzato e di buone comunicazioni radio tra la caccia in volo e le stazioni a terra.[10]

La portaerei Illustrious in riparazione a Malta. La rimozione di parti dell’ascensore di poppa.

[9] I.S.O. Playfair e altri, Mediterranean and Middle East, Volume II, Londra, HMSO, 1957. [10] La 7a Brigata Artiglieria Contraerea, costituita il 12 gennaio 1941, aveva alle dipendenze il 7° e il 10° Reggimento Artiglieria Contraerea, il 4° Reggimento Proiettori, il 2° Reggimento Artiglieria Contraerea di Malta, e reparti della Royal Malta Artillery.

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Ciò che rimane dell’ascensore di poppa dell’Illustrious, che era stato colpito da tre bombe, due sganciate da aerei tedesche e un’altra, l’ultima che aveva fatto collassare la struttura, sganciata dagli Ju.87 italiani.

Tutto questo però esisteva solo in parte, poiché le apparecchiature radar avevano molti settori ciechi e non erano in grado di stimare con esattezza le quote degli aerei in avvicinamento. Mancava un sistema di osservazione a vista per segnalare con prontezza i velivoli nemici che arrivavano dal mare a bassa quota. Le comunicazioni radio, tra il comando di guida caccia e i piloti in volo, oltre ad avere una recezione mediocre, possedevano una portata insufficiente e ciò rendeva inopportuno inviare i pochi intercettori lontani dall’isola e dirigerli sugli incursori in avvicinamento. Per tali motivi fu seguita la prassi di far decollare i caccia al primo allarme, mantenendoli nelle vicinanze dell’isola e impegnandoli a discrezione del comandante della formazione in volo, che era costantemente informato sui movimenti degli aerei ostili.

Naturalmente tale sistema presentava alcuni inconvenienti, il principale quello dell’impiego contemporaneo dei caccia e dell’artiglieria contraerea quando l’intercettazione avveniva sullo spazio aereo sovrastante l’isola. Non esistevano, inoltre, velivoli dotati di radar per la caccia notturna, per cui la ricerca dei velivoli nemici durante le ore di oscurità era affidata alla vista del pilota di un caccia Hurricane, che era mantenuto in volo di vigilanza per agire in cooperazione con i proiettori e che doveva inoltre preoccuparsi di lasciare lo spazio aereo sgombro per il fuoco d’artiglieria contraerea.

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Particolari dei danni causati dalle bombe all’interno dell’Illustrious.

Con l’arrivo proprio in questo periodo del brigadiere generale N.V. Saddler, che in Inghilterra aveva diretto le difese costiere di Dover, fu organizzato un sistema di tiro contraereo “geografico” o a “Recinto”, destinato alla difesa degli obiettivi più importanti e vulnerabili, al quale parteciparono non soltanto tutte le batterie contraeree della 7a Brigata, ma anche le navi che si trovavano ormeggiate in porto, nel Grand Harbour, alla Valletta e negli ancoraggi minori di Malta. Ciò significò erigere di fronte ai velivoli attaccanti un muro di fuoco, con grande consumo di granate, il che per l’isola divenne in breve motivo di seria preoccupazione.[11]

L’”Illustre Blitz” della Luftwaffe

Quello che temevano i britannici nei riguardi dell’Illustrious si ebbe a verificare puntualmente. Infatti, una volta costretta la Mediterranean Fleet ad abbandonare precipitosamente le acque intorno a Malta, il Comando del X Fliegerkorps rivolse la sua attenzione all’arsenale della Valletta, dove i ricognitori Ju.88D della

1.(F)/121 localizzarono la presenza della portaerei fin dalle ore 09.00 dell’11 gennaio. Ciò fu poi confermato il giorno 12 quando in altra ricognizione aerea fotografica appariva la presenza nel Grand Harbour di altre diciassette navi, un incrociatore, sei cacciatorpediniere, cinque sommergibile e sei piroscafi. Fu ritenuto non solo che l’Illustrious doveva aver subito danni molto gravi, da essere costretta a trovare rifugio per le riparazioni essenziali, nonostante i rischi a cui a Malta andava sicuramente incontro, ma che doveva esservi in porto anche una parte del convoglio e altre unità danneggiate.

Per impedire all’Illustrious di essere messa in condizione di partire e, possibilmente, darle il colpo di grazia, occorreva fare un grosso sforzo, impiegando gran parte delle unità aeree del X Fliegerkorps, che alla data del 12 gennaio, con l’arrivo a Catania del 1° Stormo Sperimentale Bombardamento (Lehrgeschwaders 1 –LG.1), al comando del maggiore Friedrich-Karl Knust, che aveva alle dipendenze gli Ju.88 della Squadriglia Comando e del 2° e 3° Gruppo (Stab., II. e III./LG.1),[12] poteva contare su 247 velivoli dei quali 177 efficienti. La dislocazione dei reparti e dei velivoli in carico ed efficienti era la seguente:[13]

[11] I.S.O. Playfair e altri, Mediterranean and Middle East, cit., p. 45 sg.

[12] Il 1° Gruppo del Lehrgeschwaders 1 (I./LG.1) restò in Francia per poi nell’aprile 1941 partecipare, partendo dall’aeroporto di Krumovo in Bulgaria, alle operazioni aeree per la conquista della Grecia. Si riunì allo Stormo, a Eleusis, (Atene), nella seconda metà di maggio durante le operazioni per la conquista di Creta.

[13] ASMAUS, Ufficio di Collegamento tedesco presso la Regia Aeronautica, Dislocazione dei velivoli tedeschi sugli aeroporti italiani.

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Alla stessa data, dopo il rientro in Puglia del 96° Gruppo Tuffatori, la consistenza bellica dell’Aeronautica italiana della Sicilia era di 114 velivoli disponibili, dei quali 75 efficienti: Si trattava di:

- 23 S.79 del 30° Stormo Bombardieri (Gruppi 87° e 90°), dei quali 14 efficienti, a Sciacca;

- 7 aerosiluranti delle Squadriglie 278a e 279a, dei quali 3 efficienti, a Catania;

- 84 caccia del Reparto Volo, del 1° Stormo (Gruppi 8° e 17°), e del nucleo del 23° Gruppo (57 Mc.200, 23 Cr.42, 6 Cr.42), dei quali 58 efficienti (40 Mc.200, 5 Cr.42, 5 Cr.32), a Palermo, Catania e Comiso.

Erano inoltre disponibili sugli idroscali delle basi della Sicilia, per compiti di ricognizione marittima e scorta antisom alle unità navali e convogli, 37 idrovolanti dell’Aviazione Ausiliaria della Marina, dei quali 12 Cant.Z.506 e 25 Cant.Z.501. Esistevano inoltre 12 Ro.37 dell’Osservazione Aerea del Regio Esercito.

Quanto alle difese di Malta, l’isola si trovò a disporre in questo periodo di una forza di difesa attiva molto inferiore rispetto a quella prevista in un piano del 1939. Infatti, in luogo dei necessari 112 cannoni d’artiglieria contraerea e 60 cannoni leggeri (Bofors), ve ne erano rispettivamente 66 e 34 (e quindi con una diminuzione di 46 e 26), mentre di Squadron da caccia ne esisteva soltanto uno invece dei quattro previsti.

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13 gennaio 1941. Il porto della Valletta fotografato da un ricognitore Ju.88D della Squadriglia 1.(F)/121. La portaerei Illustriour e all’ancora nell’arsenale, al n. 1.

In quest’altra immagine panoramica del 15 gennaio, sempre scattata da un ricognitore Ju.88 della 1.(F)/121, l’Illustrious è al solito posto n. 1.

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Allorquando a metà gennaio la Luftwaffe dette inizio all’attacco contro Malta, dagli abitanti di Malta che lo subirono chiamato "L'Illustre Blitz", gli aerei utilizzabili sui tre aeroporti dell’isola, e sull’idroscalo di Kalafrana, erano, secondo il generale Playfair, in tutto quarantaquattro dei quali: dodici caccia Hurricane del 261° Squadron; tre ricognitori idrovolanti Sunderland del 228° Squadron; tre ricognitori Glen Martin del 69° Squadron; dodici bombardieri medi Wellington del 148° Squadron; dieci aerosiluranti Sworfish dell’830° Squadron questi ultimi dell’Aviazione della Marina (FAA).

Nella notte del 15 gennaio il X Fliegerkorps iniziò contro l’Illustrious un primo attacco con quattordici Ju.88 del II./LG.1 (capitano Gerhard Kollewe), ma l’obiettivo fu trovato coperto da nubi basse e gli equipaggi si liberarono delle bombe sganciandole in una zona illuminata dai proiettori.

Nel pomeriggio del giorno 16, migliorate le condizioni atmosferiche, decollarono da Catania diciassette Ju.88 del II./LG.1 e quarantaquattro Ju.87 dello St.G.3, questi ultimi guidati da un He.111 del II./KG.26. Era stato previsto anche l’intervento degli Ju.88 del III./LG.1, che però, come vedremo, causa un contrattempo il gruppo non poté decollare. I bombardieri e i tuffatori, che erano scortati rispettivamente da venti Bf.110 del III/ZG.26 e da diciotto caccia italiani (otto Mc.200 e dieci Cr.42) dei gruppi 6° e 23°, ripeterono l’attacco contro la portaerei britannica, sul cui svolgimento il Comandante del X Fliegerkorps, generale

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Sicilia 1941. Velivoli da bombardamento Ju.88 della 5a Squadriglia del II./LG.1. Fu il Gruppo del 1° Stormo Sperimentale ad iniziare gli attacchi sugli obiettivi di Malta la notte del 15 gennaio.

Hans Ferdinand Geisler, inviò un dettagliato rapporto al generale Pricolo, Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica.[14]

Il generale Hans Ferdinand Geisler, Comandante del X Fliegerkorps in Sicilia. Aveva la sede del suo Comando nell’Albergo San Domenico di Taormina.

Il generale Geisler riferì che poco prima della partenza delle formazioni offensive concentrate a Catania, allo scopo di assicurare il decollo compatto con i velivoli della scorta, per fissare le modalità di volo furono riuniti tutti i comandanti tedeschi e il comandante della caccia italiana colonnello Mario Puccini, i cui aerei era stato concordato dovessero riunirsi agli Stuka dello St.G.3 sopra l’aeroporto di Comiso.

“Il colloquio – scrisse Geisler - portava ad un completo accordo delle due parti sulla situazione tattica”, e in base alla propria conoscenza delle postazioni antiaeree del porto militare di La Valletta. Il colonnello Puccini dette preziose informazioni per la direzione dell’attacco, per cui fu ordinato che gli Stuka dovessero piombare dal sud verso il nord sopra la zona dei bacini, evitando di sorvolare il territorio abitato, [14]

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SMAUS, Stralcio di un Appunto del generale Geisler circa le azioni svolte su Malta il giorno 16 gennaio 1941, fondo DGH 1, cartella n.6.

mentre gli Ju.88 sarebbero arrivati da sud-est per poi seguire una rotta d’attacco verso nord-est.

Il generale Geisler riferì di voler attaccare in due ondate in picchiata poiché riteneva di poter aumentare la possibilità di colpire il bersaglio anche con gli Ju.88, stabilendo un intervallo di 45 minuti tra bombardieri e Stuka in modo che l’incursione di questi ultimi si svolgesse allorquando i caccia britannici si fossero trovati a terra a rifornirsi di carburante. Questo intervallo, proseguì Geisler, fu mantenuto regolarmente e l’attacco si svolse come previsto. Nondimeno il decollo delle varie formazioni si svolse con il ritardo di un’ora poiché, a causa di un attacco aereo della RAF sull’aeroporto di Catania, svoltosi nella notte sul 16 gennaio da parte di nove bombardieri Wellington del 148° Squadron decollati da Luqa, si ebbero difficoltà nel fare affluire bombe e benzina dai depositi agli aerei.

Il generale Francesco Pricolo, Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica. Gli è accanto, a sinistra, il generale Ferruccio Ranza Comandante della 4a Squadra Aerea in Puglia da cui dipendeva il 96° Gruppo Bombardamento a Tuffo. Sullo sfondo due aerei da caccia Mc.200.

Un altro imprevisto si ebbe quando gli Ju.88 del III./LG.1 (capitano Bernhard Noetsch), che avrebbero dovuto partecipare all’azione, si apprestarono a prendere il volo. Infatti, a causa del terreno allentato, un’intera formazione di dieci aerei, che imbarcavano bombe da 1.000 chili, s’impantanò, e tenendo conto dell’ora tarda fu necessario rinunciare a farla partire.

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Malgrado questo contrattempo il decollo delle altre formazioni fu ordinato ugualmente e così alle 13.40 cominciarono a decollare i diciassette Ju.88 del II./LG.1, scortati dai venti Bf.110 del III./ZG.26, poi seguiti alle 14.20 dai quarantuno Ju.87 dello St.G.3, con i gruppi I./St.G.1 e II./St.G.2, che sopra Comiso si riunirono regolarmente con la scorta italiana di otto Mc.200 e dieci Cr.42 del 6° e 23° Gruppo. Come era stato previsto i caccia britannici contrastarono soltanto in singoli casi gli Ju.88 della prima ondata, mentre invece non furono disturbati gli Stuka della seconda ondata, trovandosi gli Hurricane a terra per rifornirsi di benzina e munizioni.

E’ da notare in particolare – concluse Geisler – che i caccia italiani compirono il difficile compito di volare in picchiata con gli Ju.87 e di riprendere dopo l’attacco la quota e la direzione prima concordata in modo perfetto.

Nel corso dell’attacco l’Illustrious fu colpita a poppa sul cassero da una bomba da 500 chili sganciata da un Ju.87 che non procurò gravi danni, sebbene gli equipaggi tedeschi sostenessero di aver visto visibili incendi a prua della portaerei. Il piroscafo Essex ormeggiato di fronte all’Illustrious e preso a bersaglio dagli Ju.88 del II./LG.1, raggiunto in pieno anch’esso da una bomba, però da 1.000 chili, ebbe distrutta la sala macchine e uccisi quindici uomini dell’equipaggio e sette scaricatori maltesi. La nave, come sappiamo, trasportava 4.000 tonnellate di munizioni che per un vero miracolo non esplosero perché le fiamma vennero circoscritte e poi domate nella parte colpita. Anche l’incrociatore australiano Perth (capitano di vascello Philip Weyland Bowyer Smirh), che si trovava ormeggiato alla banchina, fu danneggiato al disotto della linea di galleggiamento da una bomba caduta in prossimità dello scafo, ma poté ripartire nel corso della notte per Alessandria.

La FAA contrastò l’incursione con tre Fulmar dell’806° Squadron e la RAF con quattro Hurricane del 261° Squadron e due biplani Gladiator, che si accreditarono cinque successi. In realtà i tedeschi persero durante l’attacco uno Ju.88 del II./LG1, con pilota il tenente Kurt Pichler, abbattuto da un Fulmar, mentre uno Ju.87 andò distrutto per un incidente avvenuto durante la partenza dall’aeroporto di Catania. Il 17 gennaio ogni ulteriore azione del X Fliegerkorps contro Malta fu impedito dalle sfavorevoli condizioni atmosferiche.[15]

[15] Lo giorno 16 gennaio 1941 la consistenza degli aerei operativi da combattimento alle sue dipendenze, senza contare quelli che erano in trasferimento o temporaneamente presenti in vari aeroporti d’Italia, era la seguente: 4 He.111 dello Stab X Fliegerkorps, a Catania; 8 Ju.88D della 1.(F)/121 a Catania; 20 Ju. 88 del II./LG.1 a Catania; 32 Ju.88 della Stab e del III./LG.1 a Catania; 7 He. 111 del II./KG.4 (2a Squadriglia posamine) a Comiso; 27 He. 111 del II./KG.26 a Comiso, Catania e Bengasi; 24 Ju.87 del I./St.G.1 a Trapani; 32 Ju.87 del II./St.G.2 a Trapani; 24 Bf.110 del III./ZG.26 a Palermo. Cfr., ASMAUS, Ufficio di Collegamento presso la R. Aeronautica, Distribuzione dei velivoli tedeschi sugli aeroporti italiani 16 gennaio 41 sera”.

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La Valletta, gennaio 1941, due immagini del bombardamento della portaerei Illustrious.

Una successiva terza immagine. La zona dei bacini, dove si trova l’Illustrious, è completamente oscurata dalle esplosioni delle bombe.

Gli Ju. 87 tedeschi ripresi mentre attaccano in picchiata obiettivi navali nel porto della Valletta dall’incrociatore australiano Perth, che reagisce con le sue armi.

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L’indomani, sebbene la ricognizione del mattino, svolta da un Ju.88 della 1.(F)/121, avesse confermato che l’Illustrious si trovava ancora alla Valletta, ogni sforzo fu invece diretto contro le basi aeree di Hal Far e soprattutto di Luqa, dalla quale, come detto, nella notte sul 16 erano decollati nove Wellington del 148° Squadron che, con azioni isolate, iniziate alle 23.35 e proseguite fino alle 04.30, bombardarono gli impianti aeroportuali di Catania distruggendo quattro aerei tedeschi, dei quali uno Ju. 88 del II./LG.1 e mettendone fuori combattimento altri due (danni all’80%), due He.111 del II./KG.26, e uno Ju.52 da trasporto. Danni minori riportarono quattro Ju.88 mentre tra gli aerei italiani ancora presenti nell’aeroporto, andò distrutto un velivolo Ca.133, e fu danneggiato un velivolo civile (I-ANDE). Decedettero undici militari tedeschi e ne furono feriti altri quattro, mentre da parte italiana si ebbero soltanto cinque feriti. Infine riportarono danni vari edifici aeroportuali, tra cui la palazzina comando, un’aviorimessa, il corpo di guardia, una caserma e un magazzino, e furono colpiti dalle schegge trentasette automezzi dei quali tredici gravemente.

All’incursione sulle basi aeree maltesi, svoltasi con grande violenza nelle ore pomeridiane del 16 gennaio, parteciparono dodici Ju.88 del III./LG.1 e cinquantuno Ju.87 dello St.G.3, e i due aeroporti di Luqa e Hal Far riportarono gravi danni, soprattutto agli Hangar; in particolare Luqa che rimase fuori servizio per alcuni giorni. Ancora una volta i caccia di Malta, cinque Hurricane e quattro Fulmar guidati dal radar che localizzò il nemico a 18 miglia dalle coste dell’isola, intervennero con la consueta energia e senza badare al numero dei nemici da affrontare; ma i piloti vantarono spropositati successi dal momento che asserirono di aver abbattuto sette aerei dell’Asse, mentre l’artiglieria contraerea se ne accreditò altri quattro.

In realtà le perdite furono limitate da parte italiana a uno degli otto Mc.200 del 6° Gruppo Caccia, con pilota il maresciallo Mario Persani, che però precipitò per avaria all’elica del motore, verificatasi durante la scorta agli Ju.88. I tedeschi persero due velivoli, uno Ju.88 della 7a Squadriglia de III./LG.1 (tenente Horst Dünkell) e uno Ju. 87 del I./St.G.1 (sergente Richard Zehetmaier), mentre da parte britannica furono abbattuti in combattimento due Fulmar dell’806° Squadron (sottotenente di vascello Arthur Griffth e tenente di vascello Robert Henley). Altri sei velivoli di vario tipo vennero distrutti dalle bombe al suolo, tra cui tre Swordfish dell’830° Squadron e un Hurricane del 261° Squadron ad Hal Far, e un Wellington del 148° Squadron a Luqa.

I britannici si presero una certa rivincita il 19 gennaio, quando durante la giornata dovettero fronteggiare due grosse incursioni sugli impianti portuali della Valletta. Il Comando del X Fliegerkorps aveva, infatti, deciso di portare un colpo mortale contro l’Illustrious e le altre navi militari che si trovavano negli ancoraggi del porto di Malta, e ne fissò gli intendimenti come segue, nella traduzione originale in lingua italiana:[16]

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[16]
ASMAUS, fondo DCH 1, cartella n. 9.

ORDINE

DI OPERAZIONE PER IL GIORNO 19 GENNAIO 1941

1) Al19/1/41 il X C.A.T. attaccherà in 2 ondate navi da guerra nel porto della Valletta.

2) Prima ondata 3° Stormo Stuka con protezione apparecchi Me.110 del 3° Gruppo Caccia [3a Squadriglia Caccia Notturna] e 20 apparecchib da caccia italiani. Ora dell’attacco 10h 30m. La caccia si troverà a tale ora sopra gli obiettivi con compito di caccia libera e scorta indiretta. Due squadriglie attaccheranno la portaerei. Le altre le rimanenti navi da guerra anche nei dorsi.

3) Rifornimento carburante del 3° Stormo Stuka: serbatoi della fusoliera pieni; nei serbatoi supplementari sarà caricato carburante in quantità sufficiente alla durata del volo.

4) Con vento favorevole i serbatoi supplementari non saranno caricati. Il maggior numero possibile degli equipaggi portino le bombe da 1000 chilogrammi. I restanti velivoli caricheranno bombe SD 500 con detonatore 35 che dovrà pure applicarsi alle bombe SD 1000 e SC 500. Le bombe SC 500 e SD 500 saranno caricate in numero uguale per ogni tipo.

5) Dopo il primo attacco, al rientro, il 3° Stormo Stuka si rifornirà subito e si terrà pronto ad attaccare il convoglio già preannunciato, se avvistato dall’esplorazione già ordinata. Caricamento come per l’attacco contro La Valletta. Pieno dei serbatoi supplementari.

6) La seconda ondata sarà effettuata dal 1° Stormo Ju.88 scortato dai Me.110 del 3° Gruppo caccia pesante più venti apparecchi da caccia italiani. Ora dell’attacco 13h 30m. La caccia italiana è stata informata che dovrà trovarsi a tale ora al disotto degli obiettivi con compito di caccia libera e scorta indiretta. Obiettivi assegnati: la portaerei e le navi da guerra nei cantieri.

7) Rifornimento per 3 ore.

8) Caricamento bombe di massimo calibro da fissarsi a cura del Comandante dello Stormo.

9) Il 3° Gruppo caccia pesante [Me.110] effettuerà la scorta diretta del 3° Stormo Stuka che attaccherà alle ore 10.30 gli obiettivi navali del porto militare della Valletta. Il 3° Gruppo caccia pesante ad azione ultimata atterrerà a Catania dove si rifornirà di carburante e munizioni. Successivamente il 3° Gruppo effettuerà la scorta diretta per lo stormo LG.1 che attaccherà alle ore 13.30 gli stessi obiettivi del 3° Stormo Stuka. Dopo tale attacco il 3° Gruppo caccia pesante rientrerà a Palermo. Il trasporto degli specialisti e delle munizioni per rifornire gli apparecchi Me.110 a Catania dopo la prima azione, sarà eseguito da due Ju.52 oggi già trasferiti a Palermo. L’aeroporto di Catania è già stato informato dell’atterraggio del Me.110.

10) Esplorazione. La Squadriglia 1.(F)/.121 su Ju.88 effettuerà all’alba, con un velivolo una ricognizione sul porto militare della Valletta, c on altri due velivoli effettuerà ricognizione della zona compresa tra lo stretto della Sardegna fino al quadrato 59 numero 04 Est e 58 numero 03 Est. Il velivolo in ricognizione sulla

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Valletta, secondo istruzione verbale del Comandante della Squadriglia, dovrà comunicare il risultato delle ricognizioni quanto più presto possibile.

11) I radiofari tedeschi e italiani funzioneranno dalle 9h 30m alle 14h 30m e nella notte dal 19 al 20 gennaio, dalle ore 22 alle ore 07. Nominativi e frequenze secondo lo schema come finora.

Per il X C.A.T.

IL CAPO DI STATO MAGGIORE per incarico Hinkelbein (maggiore)

Al primo attacco, verificatosi tra le 10.48 e le 10.55, parteciparono quarantatre Ju.87 del I./St.G.1 e del II./St.G.2, armati ciascuno con una bomba da 500 chili, e scortati da cinque Bf.110 del III./ZG.26 e da dieci Cr.42 del 23° Gruppo Caccia, mentre nel secondo attacco, svoltosi alle 14.00, furono impiegati trenta Ju.88 del II. e III./LG.1, armati con bombe da 500 e 1.000 chili, e protetti da altri dodici Bf.110 del III./ZG.26, e da otto Mc.200 del 6° Gruppo Caccia.

In entrambe le occasioni l’obiettivo dei velivoli tedeschi fu nuovamente rappresentato dall’Illustrious, che riportò danni alla carena per bombe da 500 chili sganciate dagli Stuka. Questi inoltre, nelle loro picchiate entro il porto della Valletta, con i piloti incuranti della difesa contraerea nemica che sparava con armi di ogni calibro, causarono avarie abbastanza gravi al cacciatorpediniere Decoy (capitano di fregata Eric George McGregor) e al whaler Beryl (comandante James Collis Bird), e nuovi danni al piroscafo Essex.

Ancora una volta, nell’attacco del 19 gennaio, i danni all’Illustrious nel porto della Valletta furono causati dagli Ju.87 dello St.G.3. L’immagine, del 6 gennaio, mostra due Stuka in volo sopra le coste della Sicilia.

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Particolare di danni alla scafo dell’Illustrious riportati a Malta nell’attacco del 19 gennaio, come apparivano in bacino nell’arsenale di Norfolk, negli Stati Uniti, dove la portaerei fu inviata per le riparazioni. Da Internet, Armored Aircraft Carriers in World War II.

La caccia britannica intervenne con sei Hurricane, un Fulmar e un Gladiator che si accreditarono otto dei diciannove successi vantati quel giorno dalla difesa di Malta. In realtà le perdite dell’avversario sebbene sensibili, furono di tre Ju.87 della prima ondata e di tre Ju.88 e un Cr.42 della seconda ondata. Ad esse si aggiunsero il mancato rientro alla base di un idrovolante italiano Cant.Z.506 della 612a Squadriglia Soccorso dell’Aeronautica della Sicilia, con pilota il sottotenente Ignazio Rossi, abbattuto da due Hurricane del 261° Squadron, pilotati dal capitano J.A.F. e dal sergente C.S. Bombarger, presso le coste di Malta durante la ricerca degli equipaggi tedeschi che non erano rientrati alla base dalle azioni offensive della giornata. Dei tre aerei tedeschi Ju.87 dello St.G.3 andati perduti con i loro rispettivi equipaggi, due velivoli pilotati dal sergente Rudolf Valter e dal cadetto Kurt Zube, appartenevano alla 2a Squadriglia del I./St.G.1, il terzo Ju.87 dal caporale Hans Kusters del II./St.G.2. Dei tre aerei Ju.88 del III./LG.1 non rientrati alla base, due

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velivoli avevano per pilota e capo equipaggio il capitano Wilhelm Durbeen, comandante della 8a Squadriglia, e un suo gregario il sergente Hans Schneider. Di entrambi i velivoli non vi furono superstiti. Il terzo Ju.88, appartenente alla Squadriglia Comando del III./LG.1, effettuò un atterraggio di emergenza a Pozzallo, rimanendovi totalmente distrutto. L’equipaggio si salvò al pari di quello di un Bf.110 del III./ZG.26, che effettuò un atterraggio di emergenza a Catania.

Una formazione di velivoli tedeschi He.111. In Sicilia vi era il II./KG.26 che disponeva di due squadriglie (4a e 5a) di bombardieri e una (6a) di aerosiluranti.

Il Cr.42 italiano non rientrato alla base, della 70a Squadriglia del 23° Gruppo Caccia, aveva per pilota il sergente Ezio Iacone, che fu costretto a lanciarsi in mare con il paracadute. Il Cr.42 fu probabilmente abbattuto dall’Hurricane del 261° Squadron con pilota il sergente Jock Robertson, che attaccò ed incendio un velivolo di quel tipo di scorta ad una formazione di Ju.87, intercettata dai caccia britannici vicino alla Baia di San Paolo. Infine con il Cant.Z.506 della 212a Squadriglia Soccorso che portava i distintivi della Croce Rossa, decedettero i sei uomini dell’equipaggio, tra cui un sottotenente medico e un aviere scelto aiutante di sanità. Dopo aver pagato un forte pedaggio, poiché in soli cinque giorni non erano rientrati alla base cinque Ju.88 dell’LG.1 e cinque Ju.87 dello St.G.3, il Comando del X Fliegerkorps, piuttosto scoraggiato per le perdite riportate, limitò la propria attività ad azioni di disturbo contro gli obiettivi maltesi, in particolare sulla Valletta che fu bombardata nella notte del 21 gennaio da sette bombardieri in quota He.111 del

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II./KG.26, mentre altri quattro He.111 del medesimo gruppo e due Ju.88 dell’LG.1 attaccarono gli aeroporti dell’isola.[17]

La navigazione dell’Illustrious verso Alessandria e il fallito tentativo tedesco per darle il colpo di grazia

Dopo l’attacco del 19 gennaio, l’ammiraglio Cunningham aveva informato l’Ammiragliato britannico che era urgente far partire l’Illustrious e le navi mercantili che si trovavano ancora negli ancoraggi di Malta. Il rallentamento delle azioni offensive del X Fliegerkorps aveva permesso alle maestranze dell’arsenale della Valletta di porre la portaerei in condizione di partire da Malta, prima che la Luftwaffe potesse infliggergli il desiderato colpo di grazia; ma la sua partenza era stata ritardata perché il tempo cattivo non aveva permesso di far uscire i cacciatorpediniere destinati alla scorta, il Greyhound, Janus, Jervis e Juno, provenienti dalla baia di Suda. La partenza fu pertanto rimandata al 23 gennaio.

Quel giorno, l’Illustrious, lasciati a Malta dodici dei suoi utilissimi Fulmar dell’806° Squadron (capitano di corvetta C.I.G. Evans) per incrementare la difesa locale, e gli Swordfish dell’819° Squadron che furono aggregati a Hal Far all’830° Squadron per le azioni offensive come velivoli aerosiluranti e minatori, salpò alle 18.46, diretta ad Alessandria, scortata dai quattro cacciatorpediniere. Quindi navigò con luna piena le prime sei ore alla velocità di 25 nodi per allontanarsi il più rapidamente possibile dalle basi aeree della Sicilia, e poi proseguì nella sua rotta riducendo dapprima la velocità a 21 nodi per poi portarla a 23 nodi il giorno 24. E con queste velocità, che rappresentavano un vero record per una nave tanto danneggiata, l’Illustrious raggiunse Alessandria alle 13.00 del 25, con una rimanenza di appena 60 tonnellate di nafta. Nella fase finale del passaggio la portaerei ricevette la copertura delle corazzate Barham e Valiant, dell’incrociatore Perth, salpati da Alessandria con la scorta dei cacciatorpediniere Diamond, Griffin, Hasty, Mohwk, Nubian e Stuart.

L’inaspettata velocità dell’Illustrious non permise ad una formazione d’incrociatori della Mediterranean Fleet, comprendenti l’Orion, Ajax, York e Bonaventure, che fin dal 20 gennaio erano stati inviati nella Baia di Suda per la scorta alla portaerei, di incontrarla essendo arrivati nella zona dell'appuntamento quando già era passata, per poi entrare in contatto più ad oriente con il gruppo delle corazzate. Fu una fortuna che l’Illustrious non avesse incontrato gli incrociatori, poiché essi furono attaccati dalla Luftwaffe.

Gli incrociatori del vice ammiraglio Pridham-Wippell furono individuati alle ore 14.00 del 23 febbraio da un ricognitore italiano a 100 miglia a nord di Tolemaide

[17] Secondo una ricostruzione fotografica del giorno 20 gennaio espletata da uno Ju.88D della 1.(F)/121, la situazione delle basi aeree di Malta appariva la seguente: Luca, dieci bombardieri Wellington; Takalì, dieci monomotori e un aereo da nave portaerei; Hal Far, qquindici aerei da nave portaerei, tre monomotori e tre aerei con ali ripiegabili; Marsa Scirocco, tre idrovolanti Sunderland.

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(Cirenaica). In conseguenza di quest’avvistamento, e prevedendo che la formazione navale nemica si sarebbe trovata alle 16.45 in posizione lat. 34°30’N, long. 19°20’E, il 3° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale, i cui velivoli Ju.88 erano tenuti pronti al decollo in un’ora a Catania, ricevettero l’ordine di decollare con “obiettivo per tutti i velivoli la nave portaerei, oppure, mancando l’avvistamento con essa, una nave da battaglia”.[18]

In questa fotografia del 25 gennaio del porto della Valletta, sempre scattata da uno Ju.88 della 1.(F)/121, vi è la conferma che la Illustrios e altre navi erano partite.

Pertanto, contro la formazione degli incrociatori, il III./LG.1 del capitano

Bernhard Noetsch impiegò nel pomeriggio undici Ju.88, quattro dei quali invertirono la rotta prima del tempo per avaria all’impianto radio, altri quattro rientrarono dopo infruttuosa ricerca e i tre restanti Ju.88, tutti della 8a Squadriglia, con piloti il tenente

Hermann Böhmer, il sergente maggiore Herbert Isachsen e il sergente Reinhold Schumacher, non rientrarono affatto, avendo dovuto ammarare al rientro a Catania a sud di Capo Rizzuto (Calabria) essendo rimasti senza benzina. Tra i dodici uomini dell’equipaggio dei tre velivoli, costretti all’ammaraggio, vi fu un solo superstite.

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[18] ASMAUS, fondo DCHg 5, cartella n. 66.

Il Comando del X Fliegerkorps decise allora di ripetere l’attacco l’indomani, impartendo ai reparti l’ordine di operazioni n. 0187/S del 24 gennaio 1941, in cui era scritto:

Forti formazioni navali inglesi sono in navigazione con provenienza da levante e probabilmente anche da ponente. Il X Fliegerkorps, il giorno 24/1/41, attaccherà le forze navali che saranno segnalate dall’esplorazione aerea. Obiettivo principale nave portaerei: dopo la distruzione di essa le navi da battaglia.

Durante la giornata furono inviati in volo dodici ricognitori (gli Ju.88 della 1.(F)/121, e gli He.111 della Sezione Comando del X Fliegerkorps e del II./KG.26), e il primo avvistamento delle forze navali britanniche si verificò nel pomeriggio. Fu dapprima localizzato il gruppo degli incrociatori, e successivamente, alle 14.25, anche la formazione della portaerei Illustrious a 170 miglia a nord-ovest (330°) di Bengasi. Immediatamente l’Ufficio Operazione del X Fliegerkorps diramò un ordine di operazione nel quale portava a conoscenza che le forze navali nemiche, avvistate con rotta a levante, comprendevano una portaerei, una corazzata, un incrociatore e un convoglio [sic], e che dovevano essere impiegati contro di esse, tutti i velivoli efficienti dello Stab./LG.1, II./LG.1 e II./KG.26. Essi dovevano attaccare la nave portaerei e come secondo obiettivo nell’ordine la nave da battaglia, il convoglio e infine l’incrociatore. In caso di mancanza di carburante gli aerei dovevano atterrare a Benina, in Cirenaica.

In base ad un ordine d’impiego approntato il mattino del 24 gennaio, che a variazione dell’ordine precedente fissava di tenere pronti nello spazio di un’ora i velivoli di tutti i reparti, a iniziare dalle 07.00 “per azione contro le forze navali inglesi eventualmente segnalate”, tra le 13.53 e le 16.50 decollarono dagli aeroporti della Sicilia ben centoundici aerei tedeschi, ripartiti nelle seguenti tre formazioni.

1a) quarantanove Ju.87 dello St.G.3, con i gruppi I./St.G.1 e II./St.G.2, guidati da un He.111 del II./KG.26 con pilota il tenete Friedrich Müller, e scortata da diciannove Bf.110 del III./ZG.26;

2a) trentuno Ju.88 dell’LG.1, dei quali diciotto appartenenti al 2° Gruppo e quattordici al 3° Gruppo;

3a) dodici He.111 del II./KG.26.

Sfortunatamente la prima formazione, quella più numerosa e pericolosa per l’attacco in picchiata contro obiettivi navali, non riuscì a raggiungere la portaerei a causa dell’insufficiente autonomia degli Stuka, che pure erano forniti di serbatoio supplementare. Tutti i restanti velivoli, meno uno Ju.88 del III./LG.1, arrivarono invece a contatto con le navi britanniche. Sebbene non fossero riusciti ad avvistare l’obiettivo principale costituito dall’Illustrious, essi rintracciarono il gruppo degli incrociatori a circa 170 miglia a nord di Bengasi e, a iniziare dalle 17.25 e fino alle 18.00, i trenta Ju. 88 e i dodici He.111 martellarono quelle navi con bombe da 500 e 1.000 chili, senza però ottenere significativi successi. Infatti, il solo incrociatore pesante York (capitano di vascello Reginald Henry Portal) ebbe qualche danno per un

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colpo in prossimità dello scafo inferto da uno Ju.88 del III./LG.1, il cui equipaggio ritenne di aver colpito in pieno una nave da battaglia in posizione lat. 34°20’N, long. 20°20’E. Per contro uno Ju.88 del III./LG.1 andò perduto e altri quindici furono costretti ad atterrare a Bengasi, avendo operato al limite dell’autonomia ed essendo rimasti a corto di benzina per il rientro a Catania.

Formazione di Ju.88 del III./LG.1 in volo di guerra nel Mediterraneo.

Nel medesimo tempo, rientrati e rifornitisi rapidamente, gli Ju.88 del 3° Stormo Stuka erano stati inviati, assieme ai Bf.110 del 3° Gruppo caccia pesante della scorta, alla ricerca di eventuali navi a levante di Malta. La missione fu interrotta alle 17.20 senza aver trovato nulla in quel deserto tratto di mare.

L’indomani, 25 gennaio, non rientrò alla base da una missione di ricognizione uno Ju.88 della 4a Squadriglia del II./LG.1, con pilota il sottufficiale Gustav Ulrich, che fu abbattuto da un caccia biplano britannico Gladiator di Malta aggregato al 806° Squadron del’Aviazione Navale, pilotato dal sottotenente Jackie Sewell. Poi, nel pomeriggio del giorno 26, si verificò la prima perdita di un ricognitore Ju.88D della Squadriglia 1.(F)/121, avvenuta nel corso di una missione di esplorazione. Il velivolo, con pilota e capo equipaggio il sottotenente Helmuth Fund, fu attaccato da due Hurricane del 261° Squadron e, danneggiato al motore, finì in mare mentre tentava di raggiungere la Sicilia.

Dopo il rientro ad Alessandria, l’Illustrious fu inviata, via Durban, a Norfolk, in Virginia, per le riparazioni, poiché l’arsenale britannico di Portsmouth era troppo esposto agli attacchi aerei della Luftwaffe. Un aiuto notevole, come al solito, che gli statunitensi ancora neutrali concessero ai loro alleati britannici. La portaerei dopo riparazioni che portarono a ricostruire molte parti della nave ultimate il 29 novembre

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1941, rientrò in servizio alla metà del 1942, andando ad operare nell’Oceano Indiano contro i giapponesi.

I risultati dell’attacco degli Ju.87 tedeschi e italiani del 10 Gennaio 1941 alla portaerei Illustrious. I pallini 9, 10 e 12 sono quelli dove caddero le bombe sganciate dagli Ju. 87 italiani del 96° Gruppo Bombardamento a Tuffo. Da B.B. Schofield, La notte di Taranto, p. 84.

Dettagli grafici della portaerei Illustrious. La distribuzione dell’armamento contraereo. Sui fianchi della nave, a prora e a poppa, i cannoni su impianti binati da 114 mm; al centro, sempre sui due lati e sull’isola, i sei complessi contraerei a otto canne da 40 mm. Da TheBlueprints.com.

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Ha scritto il generale Santoro:[19]

Il transito del convoglio [Excess] era costato alla Marina britannica perdite piuttosto severe: il SOUTHAMPTON affondato, il GALLANT danneggiato in modo irreparabile, L’ILLUSTRIOUS gravemente avariata ed inutilizzata per lungo tempo, danni più o meno gravi ad unità minori. L’operazione doveva, tuttavia, considerarsi completamente riuscita, in quanto tutti i piroscafi del convoglio erano giunti a destinazione; ciò per o’errore commesso dall’Aeronautica italiana e dall’Aviazione tedesca di attaccare di preferenza le maggiori unità militari di scorta, anziché le navi da trasporto, la cui incolumità ed il cui arrivo a destinazione costituivano lo scopo dell’operazione stessa.

Alle stesse conclusioni arrivò anche l’ammiraglio Fioravanzo, che riportò:[20]

Dal punto di vista italiano, la più importante constatazione riguardò il valore positivo dell’apporto dato dall’aviazione tedesca in aiuto a quella nazionale. Il fatto però, che tutti i piroscafi fossero giunti a destinazione sollevò i primi dubbi sulla convenienza di dare la precedenza – negli attacchi – alle navi da guerra sulle navi da trasporto: l’obiettivo più importante era ovviamente quello di provocare l’esaurimento di Malta per mancanza di rifornimenti, mentre l’affondamento di qualche unità da guerra non poteva incidere sensibilmente sulla potenza complessiva della Marina britannica.

Queste considerazioni dei due eminenti storici italiani non le condividiamo del tutto, perché affondare qualche piroscafo, dei quali soltanto l’Essex era diretto a Malta, dove rischiò di essere affondato, e i piroscafi salpati dalla Valletta erano scarichi, non avrebbe causato le conseguenze cui invece porto, per i britannici, il danneggiamento dell’Illustrious e l’affondamento del Southampton; e ciò finì per allarmarli; anche perché quelle perdite portavano a cambiare i loro piani, costringendoli a stare lontano con la loro flotta dal Mediterraneo centrale.

Scrisse infatti Winston Churchill, il 13 gennaio 1941, al generale Hastings Ismay, Capo del Comitato dei Capi di Stato Maggiori britannici:[21]

L’effettivo insediarsi dell’aviazione tedesca in Sicilia può essere l’inizio di sfavorevoli sviluppo nel Mediterraneo centrale”, “Mi preoccupa molto la possibilità

[19] Giuseppe Santoro, L’Aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, Volume Primo, cit., p.471.

[20] Giuseppe Fioravanzo, Le azioni navali in Mediterraneo, Volume IV, cit., p. 342 sg.

[21] Winston Churchill, La Seconda Guerra Mondiale, Volume 3°, Milano, Mondadori, 1966, p.1078 sg.

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CONCLUSIONI

che i tedeschi si stabiliscano a Pantelleria, nel qual caso con un buon numero di aerei da picchiata sbarreranno il Mediterraneo.

La preoccupazione che la Luftwaffe si insidiasse saldamente sull’isola italiana era assai sentita dal Primo Ministro britannico, il quale era a quell’epoca fermamente convinto ad attuare l’Operazione “Warkshop”, ossia l’occupazione della stessa Pantelleria che egli riteneva d’importanza fondamentale per il controllo del Canale di Sicilia. Realizzando questa impresa avrebbe permesso ai britannici di strangolare le rotte italiane per Tripoli, che con la perdita della Cirenaica passavano soltanto lungo la costa orientale della Tunisia, ma anche di consentire di approvvigionare il fronte terrestre della Cirenaica, da dove gli italiani si stavano ritirando, evitando ai convogli con i rifornimenti la lunga rotta intorno all’Africa, per raggiungere Suez.

La portaerei Illustrious nell’arsenale navale di Norfolk dove i lavori di riparazione portarono per alcune settori della portaerei a una ricostruzione.

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L’Illustrious a Norfolk durante i lavori di riparazione nell’ottobre 1941. Da Internet, Armored Aircraft Carriers in World War II.

Churchill, dopo il grave danneggiamento della portaerei Illustrious e l’affondamento dell’incrociatore Southampton, cui si aggiunsero gli attacchi del X Fliegerkorps non solo contro Malta ma anche lungo le coste della Cirenaica e dell’Egitto, dovette presto convincersi che con l’aviazione tedesca in Sicilia la “Warkshop”, concepita come un’audace operazione da attuare di sorpresa con uno sbarco notturno, era destinata a fallire. Il 18 gennaio, nella preoccupazione per la sorte dell’Illustrious a Malta, in cui non si sapeva ancora se sarebbe stato possibile farla partire e arrivare salva ad Alessandria, Churchill, pur amareggiato, si trovò d’accordo con i Capi di Stato Maggiore nel rinunciare per un mese alla conquista di Pantelleria, rendendosi conto di non poter “decidere altrimenti dall’incalzare di problemi più gravi”.[22]

In effetti il rinvio dell’operazione per la conquista di Pantelleria risultò definitivo dal momento che l’evolversi degli avvenimenti, con l’intervento tedesco in Libia e l’evolversi degli avvenimenti su tutti i fronti terrestri, aerei e navali nel Mediterraneo orientale, costrinsero i britannici a dedicarsi sempre in modo più intenso alla difesa delle loro posizioni.

In tali condizioni anche il problema di Malta finì per costituire per i britannici una notevole fonte di preoccupazione, poiché di fronte all’offensiva della Luftwaffe i difensori dell’isola, per mezzo del Governatore, generale William Dobbie, e delle

[22] Scrisse Churchill nelle sue memorie: “Se avessimo avuto il possesso dell’isola –molte nostre belle navi avrebbero potuto essere risparmiate e le comunicazioni nemiche con Tripoli sarebbero state rese ancora più problematiche”.

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richieste dei locali comandanti, non mancarono di sollecitare appoggio di ogni genere. Di ciò fu ben consapevole il Primo Ministro britannico, il quale pur nelle difficili condizioni fece di tutto affinché l’isola potesse continuare a sperare in giorni migliori, ben sapendo che essa costituiva il fulcro della strategia britannica nel Mediterraneo.

Nel frattempo, la resistenza opposta dalle forze difensive di Malta per fronteggiare i primi massicci attacchi del X Fliegerkorps, contribuì a creare un certo ottimismo a Londra, che Winston Churchill tradusse il 21 gennaio nella seguente lettera di elogio per il Governatore Dobbie:[23]

Vi mando a nome del Gabinetto di Guerra le nostre più cordiali congratulazioni per la magnifica ed eternamente memorabile difesa che la vostra guarnigione e i vostri cittadini, aiutati dalla Marina e soprattutto dalla R.A.F., stanno opponendo agli attacchi italiani e tedeschi. Gli occhi di tutta la Gran Bretagna, anzi quelli di tutto l’Impero britannico, stanno seguendo Malta nella sua lotta quotidiana: noi siamo certi che il successo e la gloria ricompenseranno i vostri sforzi.

Nelle sue osservazioni sugli attacchi degli Stuka della Luftwaffe, l’ammiraglio Cunningham scrisse:[24]

Il bombardamento in picchiata tedesco fu l’attacco più efficientemente condotto e suscito una spiacevole sorpresa.

Esso costituisce un potente nuovo mezzo di guerra nel Mediterraneo che, senza dubbio, ci impedirà quel libero accesso alle acque circondanti la Sicilia e Malta che noi abbiamo fino ad oggi goduto a meno che le nostre forze aeree non siano aumentate in maniera adeguata per contrastarlo”.

L’Ammiragliato britannico, informato del danneggiamento dell’Illustrious, il 12 gennaio, mentre era ancora in corso l’Operazione Excess, dispose di sostituirla nella Mediterranean Fleet con la gemella Formidable che, trovandosi dislocata nell’Atlantico meridionale, ebbe l’ordine di raggiungere Alessandria il prima possibile, passando per il Capo di Buona Speranza. Ad Alessandria rimaneva disponibile la portaerei Eagle. Ma essa era troppo vecchia e malandata, e in grado di portare al massimo una ventina di velivoli; quantità del tutto insufficiente per appoggiare i molteplici e urgenti compiti cui era chiamata ad assolvere la Mediterranean Fleet, dovendo rifornire non soltanto Malta, ma soprattutto il fronte greco con un continuo afflusso di convogli, e dovendo stare sempre allerta nei confronti della flotta italiana, che pur mancando di iniziativa era pur sempre ritenuta temibile.

[23] Winston Churchill, La Seconda Guerra Mondiale, Volume 3°, cit., p. 1082.

[24] AUSMM, Admiralty, “I convogli nel mese di gennaio 1941, l’Excess”, fondo Scambio notizie con Ammiragliato britannico.

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Purtroppo per i britannici la Formidable (capitano di vascello Arthur William La Touche Bisset) fu trattenuta a sud del Canale di Suez, che era stato minato dagli aerei tedeschi He.111 della 2a Squadriglia del 4° Stormo Bombardamento (2./KG.4) decollati da Rodi, e prima che il Canale fosse dragato e liberato dalle navi che vi erano affondate, dovette trascorrere del tempo. Soltanto il 10 marzo 1941 la Formidable poté raggiungere Alessandria, proprio in tempo per dare il suo contributo nella scorta di un importante convoglio diretto a Malta (Operazione MW.6), dove arrivo il 23 marzo. Cinque giorni dopo, nella notte del 28 i velivoli Albacore della Formidable silurarono nel Mediterraneo orientale due grandi navi italiane, la corazzata Vittorio Veneto e l’incrociatore pesante Pola, e ciò rappresentò un elemento determinante per il grande successo navale britannico di Capo Matapan.[25]

In conclusione la Luftwaffe, pur con un quinto degli aerei operativi che disponeva la Regia Aeronautica, provocò più danni in due giorni (10 e 11 gennaio), di quanti l’aviazione italiana non avesse mai fatto in sei mesi. Ciò pose in evidenza la differenza di organizzazione e di tattiche di combattimento evolute che i tedeschi avevano portato in un’area di operazione in cui gli italiani avrebbero dovuto essere i più preparati, se vi fosse stata una maggiore collaborazione dell’Aeronautica e la Marina fin dal tempo di pace. In particolare sarebbe stato necessario costruire materiale bellico all’altezza dei tempi. Mancò, per proprio demerito, una nave portaerei necessaria per appoggiare le operazioni della Squadra Navale, e non fu data la dovuta importanza alle specialità del bombardamento in picchiata e degli aerosiluranti. Si sarebbe dovuto progettare e costruire migliori strumenti tecnici di navigazione e di armamento in primo luogo il radar, la cui mancanza fu sentita nella Regia Marina durante l’intero corso della guerra.

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Francesco Mattesini [25] Francesco Mattesini, Il giallo di Matapan, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1985; Francesco Mattesini, L’operazione Gaudo e lo scontro notturno di Capo Matapan, USMM, Roma, 1998.

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