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Tra Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento
from PIERO PIERI
Nel novembre 1954. scrivendo al suo maestro di sempre. Pieri ricordava come gli sto rici che l'avevano influenzato erano me! campo della storia militare [... l Delbrii ck, del qu a le sono un ammiratore.[... ] Ma credo d i dovere la base d ella mia formazione spirituale a Gaetano Salvemini»1.Tuttavia, Giorgio R ochat, che Pi eri conobbe bene. sostienedal punto di vista del mestiere di storico militare - che le due influenze decisive per Pieri furono piuttosto quelle di Clausewitz e Delbriick, in quanto il primo era «l'uom o che aveva stud iato la guerra» e il secondo era «lo storico» a cui Pi er i s i riferiva 2 •
È nell'incontro di queste tre influ e n ze che va cercata il met odo con cui Pi eri costruì i suoi studi e so prattu tto il su o saggio più importante, quello s ulla Cr is i militare italiana del Rina scim ento. Per cog liere la dimensione non provinciale e il r espiro europ eo del lavoro di Pi eri converrà rileggere quel lavoro com p arandolo da un lato allo stesso Delbri.ick e dall 'a ltro a quello di un altro grande storico militare meto dol ogicame n te compar ab il e a Pieri: C harle s W. Oman. Quest'ultimo e ra stato autore, tra l 'altro . di un 'im portan te Storia dell'arte della guerra nel Medio Evo (1898) e di una Storia dell'Arte della guerra nel Sedicesimo secolo (193 7), legate all a «grand narrative tradition» della storiografia britannica, come l ' ha d efinita recentemente Ian Bcckett. Si trattava di un approccio non ancora influenzato per intero dalla metodologia tedesca. ma i cui lavori. secondo John Hattendorf. «dom inarono gli stu di accade mi ci di lingua inglese sulla storia della guerra nella prima metà del ventesimo secolo>13 • È ris p etto a questa evoluzione de gli stu di int ernazio nali c he perciò Pieri va ril etto, partendo p ropri o dai suoi studi sul Rina scimento . che. se bbene fossero successivi alla sua esperienza bellica, vanno analizzati per primi pe rch é riferiti a d un quadro degli studi già maturo.
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Salvemini, la scuola economico-giuridica e Pieri
Il primo studioso per importanza. anche cronologica, ad influenzare Pieri fu Gaetano Salvemini, una delle maggiori figure della vita storiografica (e politica) italiana della prima metà del XX seco lo. Studi storici e vita politica furono due aspetti inscindibili nella sua attività, rispetto ai quali mantenne sempre una notevole capacità critica\ Salvemini era nato a Molfetta nel 1873 e si laur eò all'Università di Firenze nel 1896, dove i suoi studi furono largamente influenzati dal celebre medievista PasqualeVillari (1827 -1 917), il maggiore storico italiano di fine Ottocento e sostenitore dell'applicazione del metodo scientifico positivista alle scienze storich~. Fondamentale fu anche l'influenza della metodologia marxista , appresa attraverso le opere dello stesso Marx. ma soprattutto di Arturo Labriola 6 • Infine, importante fu anche l'influsso di Cesare Paoli (1840-1902), uno dei maggiori es perti di diplomatistica e paleografia del periodo, le cui ricerche prestarono particolare attenzione alle dinamiche conflittuali della società comunale7 •
Il confluire di queste tendenze avrebbe portato alla redazione dell'importante lavoro Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295 pubblicato nel 1899. Nel sagg io, i conflitti politici fiorentini del basso medioevo era no osservati come prodotto delle trasformazioni economi che e dei conseguenti conflitti di classe che interessarono la città. La struttura stessa del saggio, con parti dedicate preliminarmente a tracciare il periodo antecedente8 e un'analisi della struttura economica. sociale e p o litica della città come premessa all'analisi del co nflitto vero e proprio 9, costituiscono scelte metodologico -narrative che sarebbero stateriprese da Pieri. Questa metodologia avrebbe fatto di Salvemini, assieme a Volpe, il principale esponente di quella che Benedetto Croce contribuì a definire come la «s cuola storiografica-economico giuridica» . Ciò che a Croce non piaceva di questa corrente di studi erano i legami che egli vedeva con il materialismo storico, alla ricerca di ristabilire «il nesso tra storia ed esperienza politica del presente», allo scopo di anelare la conoscenza delle l< leggi che rendono il mondo sociale per dominarle»10 • Dalla co nnes s ione tra nuove metodologie e pas sio ne politica, in Saivernini e Volpe maturò l'interesse per la storia contemporanea. che li avrebbe portati a lasciare il tradizionale campo di studi della storia medioevale per la storia del Risorgimento e dell 'Italia un ita 11 • Lo scopo di queste nuove ricerche fu anche quello di superare l'agiografia post-unitaria che caratterizzava la letteratura esistente. Salvemini fece emergere precocemente questa intenz ione nel volume, uscito sempre nel 1899, I
Tra Salvemini e Delbriick: la Crisi militare d e l Rinascimento partiti politici milanesi nel secolo XIX, pubblicato con lo pseudonimo di Rerum Scriptor. Il testo fu anche frutto del ritrovamento negli archivi di Lodi , dove all'epoca insegnava, di parte della documentazione di Carlo Cattaneo12 .Dopo la Grande guerra, Salvemini coinvolse anche Pieri nei suoi tentativi di proseguire gli studi su Cattaneo:
Caro professore, oggi sono stato dal Com. Barone: era appena giunta la risposta del nùnistero.
Dunque le carte Cattaneo rientrano anch'esse nella prescrizione generale che ne limita la visione al 1847, nel caso particolare, senza rispondere, se esistono l 'articolo indicato dal Sulzio ('?) , chiedevo che il barone mandi un'indicazione molto dettagliata delle carte da esaminarsi e dell ' annuncio che ne ha fatto il Casanova e aggiunga il proprio parere (già mandato, fa vorevole). Dopo di che il Ministero potrà concedere l'autorizzazione. II Barone m'ha assicurato che non è ostruzionismo personale, ma il solito corso della burocrazia13
Nel saggio sui partiti, evidenzia lo stesso Pieri, Salvemini intese «vedere le diverse e successive contese in un substrato economico e di lotte di classe, o per lo meno di considerare i partiti come esponenti di ceti sociali con proprie esigenze di vita>>14 .
L'esperienza di Salvemini sarebbe proseguita anche quando nel 1909 s i trasferì a Pisa, università assurta, in un certo senso , a centro della nuova scuola storiografica economico -giuridica, di cui era l' esponente principale assieme al Volpe15.Un progetto che , sin dal 1906, si pensò di supportare anche con la realizzazione di una rivista, proposta da Volpe a Salvemini , che avrebbe dovuto specializzarsi nella storia economica, giuridica e delle istituzioni. L'idea anticipava il ruolo che nel dopoguerra avrebbe avuto la «Nuova Rivista Storica»16
Un ultimo aspetto da considerare è che l'influenza di Cattaneo e Mazzini si tradusse progressivamente in un mutamento dell'approccio analitico di Salvemini, che negli anni Dieci slittò dall'analisi delle lotte di classe ai conflitti fra le nazioni europee e allo sforzo di queste per una progressiva realizzazione dell'indipendenza e dell'autogovemo1 7 • Questa tendenza sarebbe emersa già nel volume di sintesi sulla rivoluzione francese e nel suo lavoro su Mazzini, entrambi usciti nel 1905 18 .
Come studente di Salvemini a Pisa, Pieri fu influenzato dall'evoluzione del maestro. Innanzitutto, Salvemini aveva ereditato da Paoli l'interesse per lo studio delle istituzioni militari, in particolare della cavalleria , come prodotto delle trasformazioni politiche del comune di Firen-
Pieri storico militare zc. Lo storico molfettese dedicò proprio alla cavalleria le sue ricerche negli anni fiorentini, confluite poi nella s ua tesi di laurea pubblicata nel 1896 come volume intitolato La dignità cavalleresco nel comune di Firenze19. Tulc studio, nel quale era analizzata la dissoluzione della cavalleria feudale e la sua trasformazione in un·iscituzione borghese, avrebbe poi esercitato un'influenza decisiva sull'interesse di Pi eri per lo sviluppo della storia militare nello specchio della storia politica 20 • Parallelamente. il pensiero di Cattaneo e quello di Mazzini contribuirono alla sua formazione di interventista democratico ma anche aJ suo rapporto nei confronti del senso della storia, vista come progressiva affermazione di questi ideali. Sebbene Pi e ri non leggesse lo studio sui partiti politici milanesi prima del secondo dopogucrra 21 , restò comunque profondamente influenzato dalle altre ricerche di SaJvernini:
I briganti neri mi mbarono il suo lavoro sopra il pensiero di Mazzini e non l'ho an cora potuto ricuperare. Sarebbe oltre modo necessario che venisse ristampato; anche il mio collega di filosofia Gallo Galli. che non è affatto mazziniano, dice va che il lavoro del Salve mini sul pensiero di Mazzini è sempre fondamenta le. e consiglia queJJo agli s colari che non abbiano tempo di fare ampie letture. Così pure sarebbe bene ristampare la sua Rivoluzione francese: faccio quest'anno il corso sulla rivo!. Francese, per l'appunto: nel parlare del movimento intellettuale che la precede mi sono fondato soprattutto sulla grande Storia della fi losofia (i due volumi dedicati atretà detriJJuminismo). Ho potuto constatare che l'influsso suo era molto più accello che non l'altro. È un vero peccato però che il libro suo co s ì magistrale si fermi al senembre 1792: più che mai oggi, d opo l'esperimento russo e in generale gli s perimenti totalitari il periodo tino a Termidoro riesce interessante".
Tale intima connessione trova ulteriore riscontro nella documentazione personale di Pieri. Tra i suoi libri sono infatti presenti due edizioni del Mazzini di SaJvemini, la prima del 1920 fittamente annotata e con la proposta di una serie di modifiche suggerite da Picri al maestro, poi regolarmente apportate da Salvemini nell'edizione del 1 925: un doppio segno della condivisione di ideali politici e visione storiografica23 •
Lo s tesso studio della storia attraverso il metodo economico-giuridico entrò a far parte del codice genetico di Picri come stor ico. Nel primo dopoguerra Nicola Ottokar, un importante srudioso russo che era riparato in Italia dopo la Rivoluzione del 1917. studiò le lotte politiche nel comune di Firenze, criticando le interpretazioni di Salvemini relative al contrasto tra le classi sociali cittadine24 • Pieri scrisse una lunga rccensio- ne sul lavoro clell ' O ttokar, attaccando lo storico russo e sostenendo in difesa della sua scuola che:
L' A. [autore] ha preteso scalzare i cardini della concezione storica dominante negli ultimi trenta anni, col prevalere della sc.uola giuridico-economica. [... ] Questi i concetti fondamentali, o se vogliamo, anche la tes i del libro. Il quale è senza dubbio notevolissimo, sia per l'originalità di alcune concezioni, sia per l'ac.utezza e dottrina che l'A. mostra [... ]. Senonché, alcuni argomenti ri sultano trattati con molta maggiore ampiezza che non altri, così che si ha a volte quasi l'impressione d'esser di fronte a una serie di dotti excursus piuttosto che a vera e propria storia. [ ...] Mi sembra pecchi, e non poteva forse essere altrimenti, dato il punto di partenza, d'eccessiva severità verso le precedenti concezioni, di cui è fatta, a volte, giustizia un po' troppo sommaria25
La vicenda sarebbe poi proseguita e, stando a quanto disse al suo maestro nel dopoguerra, l'Ottokar avrebbe scritto a Pieri dicendogli che non aveva ,compreso il suo libro:
(... ] io gli domandai che mi specificasse i punti della mia incomprensione; e non ebbi risposta. Rinnovai più tardi la domanda a voce, personalmente, e l'Ottokar rispose evasivamente e cambiò discorso. Così che mi restò il dubbio d i aver capito anche troppo2 6
Al di là della fondatezza della polemica, il dato essenziale è che Pieri si trincerò a totale difesa deIJa metodologia del maestro, tanto che nel 1945 , persino Salvemini lo avrebbe «bacc hettato» per essere «stato troppo severo col lavoro deU'Ottocar [sic]. In qualche punto mi pare che l'Ottocar abbia colpito giusto colle critiche al mio sistema d'idee»27 .Comunque, la strenua difesa da parte di Pieri era il riflesso di un già avvenuto preciso posizionamento storiografico, lo stesso che lo avrebbe avvicinato agli intellettuali della «N uo va Rivista Storica», la quale nel primo dopoguerra, pur superando la metodologia economico-giur idica in senso stretto, continuò a mantenere un approccio non ostile al materialismo storico, in un'epoca in cui negli studi storici prevaleva una matrice ideali stica crociana28 •
Primi studi e influenza salveminiana
L'in flu enza di Salvemini su Pieri sarebbe tornata a manifestarsi prepotentemente nel secondo dopoguerra soprattutto in relazione al pro-
Pieri storico militare blema dell'analisi del fascismo. Ma non va dimenticato che nel 1925 i contatti diretti tra i due si interruppero e non sarebbero ripresi prima del ritorno del maestro (e della affermazione del paradigma storiografico antifascista). Un approccio «salveminiano» però costituì un elemento centrale della metodologia di Pieri anche negli anni del fascismo . Per Sa lvemini erano state centrali un'analisi non idealistica ma aperta alla concretezza istituzionale-economico-sociale, che il materialismo storico sembrava promettere, e il progressivo spostamento verso la storia contemporanea e Pieri, nella fase iniziale dei suoi studi, seguì le orme del maestro. Infatti, fino all'inizio degli anni Trenta, si dedicò a ricerche che nella loro impostazione risentivano del metodo economico-giuridico e si dedicò anche alla storia del Risorgimento.
Il s uo primo studio scientifico pubblicato fu quello prodotto per l'abilitazione all'insegnamento, una tesi sulla Restaurazione in Toscana, motivo che tra l'altro Io spinse a rimanere nella regione per le ricerche necessarie:
Caro professore, [ ... ] A mc è giunta ieri la proposta di andare supplente al ginnasio inferiore di Gubbio (Perugia) ma l'ho rifiutata, in attesa della nomina definitiva, perché a mc occorrerebbe una sede nella Toscana settentrionale. fra Livorno e Arezzo. sia per la tesi della normale che mi obbligherebbe a lavorare spesso a Firenze (La restaurazione in Toscana dal 1814 al 1822) sia perché mi sarebbe molto grado di non essere lontano da Lei. Per due o tre mesi intanto resterò a Napoli. Qui posso ben studiare, sia alla biblioteca nazionale che all'universitaria. C'è poi una caterva di librai vecchi che formano ('?) la mia consolazione. In vista di quanto le ho detto sopra, La pregherei però di vedere se fosse possibile, compatibilmente con tutte le esigenze di questo mondo. farmi avere una sede come Pist0ia, Prato, S. Miniato, Empoli, Arezzo etc...
Dcv. Obbl.mo
Napoli, Lungo Salso 16. lì 27-11-1919 29
Piero Pieri
La tesi fu discussa nel luglio successivo e fu pubblicata negli Annali della Normale del 1922. Lo scopo del saggio era quello cli presentare uno studio complessivo della situazione del Granducato toscano negli anni 1814-1821. Pieri mirò a ricostruire nel complesso la vita politica toscana per spiegare l'insuccesso dei moti del 1820-1821. Buona parte ciel testo è dedicata all'analisi prima del diffondersi della carboneria 30 , poi ai piccoli moti delle varie città toscane e infine alla situazione di Firenzc1 1
Tra Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento
Basandosi sui documenti del!' Archivio Segreto della segreteria del buon governo, Pieri rintracciò la scarsa rilevanza dell'azione della carboneria nella situazione relativamente positiva del Paese, sottolineando come «i patrioti delle altre parti d'Italia consideravano la Toscana il Paese dove in complesso si stava meglìo», grazie alla ripresa dell'agricoltura e al mantenimento del sistema legislativo di matrice francese, introdotto nel 181432 • Al te1npo stesso, sostenne che proprio il miglioramento delle condizioni economiche indusse un progresso intellettuale, politico e morale che permise all'opera di liberali e settari di «allargare» le idee del popolo, concludendo che «La rivoluzione del 1820-21 se non ebbe in Toscana una ripercussione diretta e violenta, non fu però senza effetto perché, come ben dice il Baldasseroni 'i semi di quella gettata posero ancor ivi radici'. Le tendenze costituzionali si fecero, se non più precise, certo più aperte,; 33 • Emerse qui precocemente l'interesse di Pieri da un lato per la storia contemporanea e al tempo stesso per la questione delle insurrezioni, il tutto studiato attraverso la lente economico-giuridica.
Lo storico avrebbe proceduto negli anni successivi a coltivare questi interessi . Nel 1927, pubblicò un saggio sulla nascita della corporazione dell'Arte della seta a Firenze. Nel testo Pieri rivide le interpretazioni esistenti, a cominciare da quelle di 1Raffaele Ciasca, che datavano al XII secolo la presenza di un'industria serica consolidata nella città34 • Secondo Pieri, solo al principio del XIV secolo, con il trasferin1ento dei mercanti lucchesi a Firenze, si assistette ad un primo sviluppo pienamente «industriale» delle seterie fiorentine. Secondo Pieri, al principio del XV secolo, il fatto che la seta «è dunque ora senz'altro una grande industria>> determinò nel 1411 al «bisogno di procedere ad una revisione, o meglio, a w1 ampliamento e a una sistemazione delle poche disposizioni contenute riguardo negli statuti d i Por. S. Maria del 1335»35 • In questo modo, Pieri analizzò la progressiva evoluzione degli statuti della corporazione della seta, combinando il lato economico con quello giuridico e infine politico nella vita fiorentina. La ricerca su Firenze però non ebbe segtùto, perché Pieri lasciò la Toscana e nel contempo «Il lavoro per quegli Statuti di Por. S. Maria non ebbe fortuna: in seguito a brighe locali; gli statuti furono pubblicati nel 1935 dal Doriani»36
L'impatto di questi studi come preliminari alle elaborazioni della Crisi militare è reso evidente dalla lunga analisi degli aspetti giuridici e istituzionali che Pieri fece nel volume del 1934 riguardo i vari Stati italiani, richiamandosi direttamente a queste ricerche:
Concludendo, in Firenze predomina fin dalla seconda metà del secolo XIII, un ceto dirigente di possessori di terre, mercanti, banchieri, nobili o no; per tutto il secolo XTV questa classe lotta per il predominio politico sia con un ceno numero di ricchi irrequieti e ambiziosi. sia sop rattutto colla media e piccola borghesia, spalleggiata spesso da piccoli nobili c guidata quasi sempre da qualcuna dell e maggiori famiglie37 •
Dopo aver lasciato la Toscana, Pieri si dedicò a studi su altre realtà locali nelle quali si trovò di volta in volta a risiedere: nel 1924, sempre seguendo il filone risorgimentista-insurrezionale. pubblicò prima uno studio su Crotone e poi uno sull'azione politica dell 'arc ivescovo Giuseppe Capacelatro. una figura chiave del 1799 tarantino38 • Con la lunga permanenza a Napoli, i suoi sforzi di analisi si allargarono alla storia del regno meridionale nel decennio napoleonico. A riguardo, Pieri fece alcuni studi preliminari, tra cui una lunga recensione allo studio di Luigi Blanch. patriota e militare negli anni della Restaurazione, sul R egno di Napoli 39 e allo studio di Nino Cortese sullo stesso personaggio40 • Anche in questo ambito emerse il suo interesse per l'economia e, pur apprezzandone il lavoro, criticò il Blanch perché .< la crisi finanziaria non è trattata in modo esauriente [... ] troppe pagine sono dedicate alla parte militare. Ma l'autore si proponeva di mostrare come nella breve campagna non mancarono atti di valore (e questo si potrebbe ammettere a priori) >1 41. Simili so no le annotazioni rivolte al Cortese, che secondo Pieri forse ha mancato di ricollegare il municipali smo delle classi dirigenti del R egno delle Due Sicilie alle condizioni di arretratezza economica del regno «che non faceva sentir loro abbastanza i bisogni d'unione doganale , ferrovie, unità legislativa e amministrativa fra Stato e Stato: bisogni assai sentiti nell'Italia settentrionalC>142 •
Negli anni 1926-1927 seguirono alcuni studi sulla ri voluzione napoletana del 1799, uno dedicato alla distruzione della flotta borbonica (8 gennaio 1799), attuata per impedirne la cattura da parte dei francesi. e uno su un tentativo di insurrezione dei patrioti napoletani dopo la riconquista della città da parte del cardinale Ruffo4 ~. Il punto di arrivo di questo filone però fu la pubblicazione di un sagg io di oltre trecento pagine, uscito in due parti s ull'Archivio storico per le provincie napoletane, dedicato al Regno di Napoli dal luglio 1799 al marzo 1806. Si trattò di un testo importante tanto che colse persino l 'attenzione di Antonio Gramsci44 e che fu premiato e apprezzato anche dal Volpe:
Di 1apoli feci un lavoro: il Regno di apoli dal luglio 1799 al marzo 1806; esso ebbe il pr emio ministeriale dei lincei, con ottima relazione; e allora il Volpe che non aveva ancora i suoi discepoli della famigerata scuola di scoria moderna e contemporanea, di Roma. da portare avanti
Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Ri11ascimento ad ogni costo, mi scrisse spontaneamente dicendosi dispiaciuto solo di non essersi trovato nella commissione45 •
Come nel caso della Toscana, Pieri m irò a fornire un'immagine integrale dello stato napoletano, discutendone i problemi di politica estera, militari, finanz iari-amministrativi e lo spirito pubblico. La narrazione esaminava questioni diplomatiche, che riflettevano le incertezze e le debolezze della politica borbonica, travolta dagli avvenimenti europei più generali, portando alla rinuncia ad una politica di espansione nel Levante, alla cessione di Malta agli inglesi e dello Stato dei presidi alla Francia. II tutto - notava Pieri già da storico militare - era legato anche all'incapacità di ricostruire un esercito e una marina efficienti, in grad o di fonùre un qualche peso diplomatico e credibilità al regno dopo le sconfitte del 179946 •
Si tratta di problemi le cui origini Pieri rintracciò nella politica interna, nelle difficili condizioni finanziarie e n ell'incapacità del ministro Giuseppe Zurlo di attuare i provvedimenti necessari d i riforma amministrativa per modernizzare la fiscalità del Paese4 7 • Le perduranti difficoltà economiche, si unirono al sistema fiscale vessatorio e alla volontà dei Borboni di non servirsi degli elementi migliori come funzionari amministrativi, perché si trattava di patrioti legati all'es p erienza del 1799 :
Quanto poi alla corte , essa in fondo era rimasta ne ll 'ordine di idee del '99: le classi colte come han trad i to una volta tradiranno in seguito; impossibile ormai[ ] un accordo sincero con esse, non c'è che da appoggiarsi alle plebi Ragionamento semplicistico e che non teneva conto di quanto, nei ceti inferiori e superiori, la serie di avvenimenti e d"esperienze aveva, dal '99 in po i , prodotto4ll.
Da questo derivavano i problemi che affliggevano il Paese, dal brigantaggio, alla corruzione dei funzionari pubblici, alimentando il progressivo allontanamento degli strati contadini dalla monarchia49 •
Sebbene questo saggio, come quello sulla Toscana, affronti prevalentemente il periodo dell'avvio del Risorgimento, esso delinea comunque l'esistenza di quella connessione tra guerra e politica (ed economia) sulla quale Pieri baserà il suo studio sul Rinascimento, cui si avvicinò negli anni successivi . Infatti, dopo lo studio su Napoli, le ricerche di Pieri sul periodo napol eonico e sul Rjsorgimento sa rebbero proseguite ancora per poco, ora sotto forma di saggi e recensioni 5 0 • Si trattava di scritti che sollevarono interesse e stando a quanto dice lo stesso autore, il suo studio su Malta suscitò anche un certo plauso da parte di Epicarmo Corbi no, uno dei maggiori economisti italiani di quegli anni :
La questione di Malta e il Governo Napoletano 1798-1803. Il capitolo centrale del Regno cli Napoli, riguardante la crisi finanziaria ebbe l'onore di essere veduto prima della stampa dal Prof. Epicarmo Corbino, assiduo frequentatore di Casa Croce e di Casa Fortunato; e gli piacque tanto che pensò ad un mio eventuale incarico di storia economica•1.
A partire dal 1930 però Pieri cominciò ad abbandonare temporaneamente questo filone: vi sarebbe ritornato solo nel secondo dopoguerra. In parte, questo fu certamente dovuto al crescente interesse per la prima guerra mondiale, di cui diremo meglio nel terzo capitolo, ma anche allo spostamento della sua attenzione verso il Rinascimento e il Medioevo. Tuttavia, anche gli studi di storia locale, condotti come conseguenza del suo peregrinare nella penisola. si spostarono verso il Basso Medioevo e l'età moderna. Significativo fu il volume sul comune di Messina del 1939, sempre caratterizzato da un approccio economico-giuridico, che tra l'altro ebbe l'accoglienza positiva dell'amico Carano Donvito che lo recensì per l'Archivio storico per la Calabria e Lucania 5 2 •
Il mutamento d'interesse e di periodo storico indagato era in realtà anche il prodotto di circostanze più generali, riguardanti l'evoluzione della storiografia in quegli anni. Nell'agosto 1927, in una lunga rassegna sugli studi riguardanti il Risorgimento. pubblicata su .<Leonardo». Pieri concludeva:
Ad ogni modo, lo sviluppo preso dagli studi del Risorgimento, la loro serietà e compiutezza, la serena e onesta ricerca della verità resteranno una delle caratteristiche gloriose della cultura italiana del primo quarto del secolo XX. Può parlare oggi di condizioni miserande solo chi non se ne è mai occupato, o è in piena malafede. Questa rassegna del resto s'è neppure lontanamente proposta d'esporre tutto quanto si è fatto, ma solo ad indicare le principali correnti di studio. (... ) Non c'è da augurarsi che di continuare per questa via. che è buona 33 •
11 quadro positivo sarebbe mutato molto presto in seguito al pesante condizionamento che, evidentemente, il regime fascista impose alla storiografia.
La ricerca e la pubblicistica storica furono infatti un terreno privilegiato dell'azione culturale del regime. che in essa cercava in parte la propria legittimazione. II fascismo intendeva raffigurarsi come prosecuzione e compimento del Risorgimento. riconoscendolo come inizio di un processo di rigenerazione nazionale, pur caratterizzato da una serie di limiti e debolezze. che il fascismo avrebbe superato per rcaliz-
Tra Salvemini e Dclbriick: la Crisi militare del Rinascimento za re il proprio progetto politico 54 • Considerandolo alla stregua di una pal ing enes i della n azio ne italiana. il Ri sorg im ento divenne oggetto di una strategia di glorificazione am1ata dal regime e gli studi storici su birono in pieno quest'impostazione. Il processo si accelerò so pra ttutto dopo il 1933. in linea con l'avviata radicalizzazione del regime dopo il suo primo decennale, quando Cesare Maria de Vecchi assunse la presid enza della Società nazionale per la Storia del Risorgimento. Il gerarca varò un preciso sforzo organizzativo per promuovere anche nella ricerca una definizione politica del fenomeno risorgimentale che permettesse di vederlo sfociare nel regime mussoliniano 55 • Figure ritenute accademicamente affidabili furono inserite in nuove cattedre di Storia del Risorgimento e contemporanea appositamente create . In questo modo, si affermò una nuova generazione di studiosi (comprendeva personaggi come Lemmi, Morandi, Ghisalberti), che fu in un certo senso selezionata dal regime perché si riteneva possedere una menta lità più adatta all'insegnamento della storia recente in connessione col presente politico 56 •
L'impatto fu notevole e non poteva non toccare anche i metodi di indagine57 . A partire daJla metà degli anni Venti. la "scuola storica>1 di Volpe, che di questo progetto di regime (oltre che di professionalizzazione della ricerca storica) era ambiguo strumento. cominci ò ad assumere una posizione di sempre maggiore importanza. con la costituzione dell' Istituto di storia moderna e contemporanea (1934) e il controllo di riviste importanti. come la «Rivista Storica Ttaliana >1 e la "Rassegna Storica del Ri sorgi mento>1&e.
Pieri, come abb iamo osservato, fu personalmente danneggiato da questa tendenza politica. con ricadute accademiche, per via dei s uoi noti legami personali con Salvemini, oltre che per la pratica delle metodiche delJa sc.110Ia economico-giuridica. Significative furono le note polemiche che si scambiava con Omodeo. come questa del 1936, riferita ad Alessandro Luzio:
Ella salva il decoro della culrura italiana, e l'esoso monopolio che dalla storia del Ri so rgimento e dei documenti d'archivio vuol fare quel velenoso settario, in parte forse ora rammollito. che è il Luzio. ScLtario a tremila lire al mese ct·appannaggio. però!. .. 59 •
Ricordando questi sviluppi. nel secondo dopoguerra. Pieri parlava di «vere e proprie intimidazioni» ai danni degli stori ci che non si adeguavano al filone dominante degli studi 60 • Non sorprende che confessasse. nel
1941, a Carano Don vito che era meglio dedicarsi ad altri studi: «sulla Rassegna storica del Risorgimento, ultimo numero, è uscito un violento articolo contro qu elli che non dicono bene di Carlo Alberto. Meglio sarà occuparsi di picchieri e balestrieri! »6 1 • Al contrario di quello del Risorgimento. lo studio del Rinascimento offriva maggiori spazi di libertà, consentendo a Pieri di portare avanti un approccio non idealistico. e apparentemente men o soggetto alle esigenze di regime, con una minore esposizione alle critiche. Come vedremo, nel suo libro sulla Crisi militare, l'ap profondita analisi economica e sociale non sarebbe mancata e avrebbe funzionato da premessa a quella delle questioni militari. Al tempo stesso, sempre verso la fine degli anni Venti, a indurre Pierì a concentrarsi s ull 'età moderna fu anche il contatto con gli studi stranieri di storia militare e soprattutto con queJJi di Hans Delbrii ck e con il pensiero di Cari von Clausewitz.
Clausewitz, Delbriick e Pieri
Abbiamo osservato che fondamentali per l'avvicinamento di Pieri alla sto ria militare furono C lausewitz e Delbriick. I due vanno considerati in un certo senso complementari, perché il primo, come teorico della guerra, influì sul secondo, lo storico militare, facendogli assumere che per spiegare i conflitti bisognasse andare oltre la de s crizione delle operazioni militari, considerando i fattori che sono imposti dalle circostanze esterne, di natura geografica o tecnica. e soprattutto analizzare lo sviluppo politico che forma le guerre62 • Sull'importanza e il ruolo di Clausewitz esis te un'amplissima letteratura che non è po ssibile qui ripercorrere, perciò ci focalizzeremo su alcuni aspetti chiave in relazione a Pieri 6.'1_
Ai fini del discorso storiografico che stiamo conducendo, l'elemento centrale che ci interessa è la connessione tra politica e guerra elaborata da Clausewitz. Il teorico prussiano fu fortemente influenzato dal pensiero dei generali August Neidehard von Gneisenau e soprattutto Gehrard von Scharnhorst; in particolare da quest'ultimo riprese l'idea che la formulazione di una teoria generale della guerra doveva essere concretamente incardinata nelle condizioni politiche, umane e militari. collegandole direttamente all'esperienza storica 64 • Ancora più grande fu l'impatto intellettuale delle guerre napoleoniche, le quali secondo lo studioso prussiano avevano reso i conflitti guerre «del popolo intero», come conseguenza della trasformazione politica indotta dalla rivoluzione france-
Tra Salvcmini e Delbriick: la Crisi militari' del Rinascimento se. spingendo verso l'assolutizzazione della guerra 65 • Nel Della guerra, questi problemi furono discussi soprattutto nei libri primo e ottavo, dove Clausewitz evidenziò in maniera rivoluzionaria l'intima connessione tra il modo in cui si combattono le guerre e la struttura delle società 66 Il Della gtterra. non ebbe un successo immediato, anche a causa dell'influenza che il pensiero di un altro teorico, Antoine Henry ]omini, ebbe nell'Europa del XIX secolo, ma nel corso del tempo si sarebbe affermato come «il prisma» attraverso cui generazioni di studiosi di storia militare hanno osservato la natura della guerra"'· In Germania, non è certo quanto Clausewitz esercitò influenza su Helmut von Moltke, capo di tato maggiore durante le guerre contro l'Austria (1866) e la Francia (1870 -1871) 68 Nonostante questo, la presunta eredità di Clausewitz fu raccolta e fraintesa dai successori di Moltke alla guida dell'esercito della Germania imperiale. i quali anche distorcendo il suo pensiero, affermarono che la tendenza della guerra a diventare assoluta doveva spingere alla ricerca dell'annientamento come paradigma della condotta militare(,<) . Tale scuola di pensiero avrebbe dominato non solo il mondo militare tedesco fino al 1914 ma anche gli studi di storia della guerra, all'epoca appannaggio quasi esclusivo degli studiosi in uniforme, almeno fino alla comparsa sulla scena proprio di Hans Delbriick. il quale. secondo una definizione di Keegan, fece da «battistrada» per lo studio accademico della storia militare70 •
Delbriick nacque nel 1848, studiò storia a Hcidclberg, Greifswald e Bonn, conseguendo il dottorato nel 1873. Nel corso della sua formazione, acquisì la metodologia di Leopold von Rankc, che lo educò allo storicismo e alla critica filologica delle fonti. Al tempo stesso, fu influenzato dalla cultura materialista e in particolare del saggio di Fricdrich Lange sulla storia del materialismo 71 • Delbriick servì anche nella guerra franco-prussiana (1870-71), raggiungendo il grado di tenente e venendo decorato con una croce di ferro. Nel 1874. cominciò a prestare s ervizio come tutore del principe Waldcmar, secondogenito dell'erede al trono Federico Guglielmo. Da quel momento. grazie alla sua frequentazione della corte tedesca, Delbruck ebbe modo di accedere direttamente a testimonianze di ufficiali che avevano combattuto nelle guerre dell'unificazione tedesca. In quegli anni approfondì la sua conoscenza di Clauscwitz e nel contempo ebbe accesso all'archivio della famiglia di August von Gneisenau. grazie al quale avrebbe scritto una biografia del generale, pubblicata nel 1880. Il testo gli consentì di ottenere l'abilitazione all'insegnamento e nel gennaio 1881 fu chiamato all'università di Berlino. dove iniziò le lezioni tenendo un corso sulla guerra del 18667 2 •
Negli anni successivi, combinando l'insegnamento con l'attività politica (fu deputato del Landtag e poi del Reichstag). Delbriick si dedicò a tempo pieno alla storia militare, una disciplina che (come in Italia) era allora considerata marginale nel panorama accademico. Forse anche per questo divenne ordinario solo nel 1896 e (come più tardi Pieri) senza mai occupare una cattedra di storia militare. Fu anche editore e poi direttore dei «Preussische Jahrbiicher~, il periodico politico più innuente dell'epoca, fatto che gli fece guadagnare fama come critico di questioni politiche e militari. La formazione universitaria e la vita militare gli permisero di combinare i metodi della sensibilità hegeliana, appresi dall'università tedesca, con rattenzione per la storia intellettuale, un approccio rankiano per le fonti primarie e l'attenzione ai dettagli tecnici della vita miliare73 •
Negli anni Ottanta e Novanta, la sua produzione storiografica fu caratterizzata dall'analisi comparata delle guerre persiane e burgundiche (1887) e poi di quelle di Pericle e Federico il Grande (1890)74 •
In questi studi, Delbriick introdusse una serie di innovazioni fondamentali dal punto di vista metodologico, che aggiornarono la storia militare. La prima fu la critica filologica delle fonti classiche, che mise in discussione alla luce dell'esperienza militare contemporanea. Ad esempio, sottolineò che era impossibile che nell'invasione della Grecia i persiani schierassero un esercito di 4,2 milioni di uomini, come invece sosteneva Erodoto. perché una simile massa era logisticamente insostenibile per un esercito contemporaneo e lo sarebbe stata ancor più per uno dell'antica Persia75 •
Riprendendo Clausewitz e la questione della guerra assoluta e della strategia di annientamento. Delbriick mise in disc.ussione la tesi dominante nell"establishment militare prussiano, evidenziando come secondo il teorico prussiano nella guerra esistesse una tensione tra le due alternative: la strategia di annientamento (Niederwerfungs-strategie) e quella di attrito (Ermattungs-strategie), la cui scelta era determinata dalle condizioni politiche76 • Oelbriick, analizzando le campagne di Federico II di Prussia, evidenziò ironicamente che il suo principale successo era stato evitare battaglie che potevano annientarne l'esercito e che questo fosse il prodotto deffintrinseca debolezza economica e politica dello stato prussiano. Tuli critiche, anche perché basate su un approccio concreto e materiale - se non proprio materialistico - inviso alla maggior parte dell'accademia tedesca (solitamente hegeliana, idealista o al massimo storicista) lo trasformarono in un bersaglio privilegiato degli attacchi da parte di non pochi dei suoi colleghi storici. Allo stesso tempo, essere il
Tra Sah-emini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimetzto primo storico civile a criticare l'approccio dei militari alla storia militare e so pratrutto a intaccare l'immagine di un eroe nazionale come Federico II, per di più in un'epoca di crescente nazionalismo, lo rese sospetto agli stu dio si in uniforme77 • li vero capolavoro di Delbriick fu però la sua raccolta in quattro volum i pubblicata tra il 1900 e il 1920. Geschichte der Kriegskunst ìm Rahrnen der politischen Geschichte (Storia dell'arte della guerra nel quadro della storia politica). dedicati rispettivamente all'età antica, ai germani, al Medioevo e all'età moderna78 • Come sottolinea Paret:
Per il lettore superficia le, la «Storia dell'arte della guerra~.[ ...] è una mera collezione di questi pezzi di battaglie. Ma la precisione con cui Oelbriick ricostruisce le battaglie è necessaria per il suo obiettivo principale. [ ... ] Attraverso la ricostruzione delle singol e battaglie egli cerca la continuità nella storia militare. e perciò la sua Sachkritik lo rende capace di sviluppare tre temi principali che danno al suo lavoro significato e unità non rintracciabili in nessun libro precedente sull'a rgomento: in sostanza, revoluzione della tattica dai Persiani fino a Napo leone. la correlazione tra storia e politica attraverso la storia e la divisione della strategia in due forme basilarF9 •
Inoltre. sebbene nel testo non includa una discussione generale sulla relazione tra politica e guerra a livello teorico, come quella di Clausewitz, Delbriick sin dal titolo dell'opera riuscì a inserire le questioni militari nel contesto generale della stori a politica, mostrando:
[ ]la stretta connessione tra istituzioni militari e politiche e mostrando come i cambiamenti in una sfera inducevano la necessità di corrispondenti reazioni nell'altra. f...] Eg li mostra come le vittorie degli svizzeri nel quindicesimo secolo furono rese possibili dalla fusione di elementi democratici e aristocratici nei vari cantoni, e dalla unione della nobiltà urbana con le masse di contadini 1 ]. L'attenzione che Delbriick presta all'emergere deg li organismi tattici serve [ ] anche a illustrare il tema che considera fondamentale per il suo libro. vale a dire al correlazione tra politica e guerra 80 •
Per comprendere l'importanza (e il merito) di Picri, occorre ricordare. come hanno fatto John Gooch e Virgilio Ilari. che in Italia Clausewitz fu quasi sconosciuto almeno fino agli anni Trenta , in quanto la cultura militare nazionale, sopratrutto fino alla Grande guerra, fu largamente influenzata dal pensiero militare francese. so pratrutto da Jomini 81 Solo alcune figure, come l'ufficiale napoletano Nicola Marselli (1832-1899) e il Capo di stato mag giore Alberto Pollio (1852-1914). nei loro lavori fecero riferimenti al teorico tedesco. Solo nel 1930 apparve in Italia un primo studio dedicato a Clauscwitz, scritto da Emilio Canevari, premessa alla traduzione integrale che poi lo stato maggiore dell'esercito avrebbe fatto nel 1941 , parte di un preciso sforzo di introdurlo presso il pubblico italiano82 • Questo testo uscì parallelamente ad una se lezione di pagine del Della Guerra, pubblicata da colonnello Octe B1a tto83 • Negli stessi anni, nell'ambito civile, fu uno dei maggiori esponenti della cu ltura italiana ad occuparsi di C lausewitz, Denedetto Croce, pubblicando nel 1933 un saggio intitolato Azione successo e Giudizio, note al margine al ~vom Kriege>+ del aausewitz, frutto di una conferenza tenuta all'Accademia di scienze morali e politiche della società reale di Napoli. Nel testo, Croce lamentava che il provincialismo degli uomini di cultura li teneva lontani da testi come quello di Clauscwitz, credendo che i fenomeni militari fossero lontani dai problemi della cultura filo so fica 84 •
Proprio attraverso i suoi contatti con Croce sappiamo che Pieri, il quale probabilmente conosceva già il generale prussiano, stava studiando Clausewitz nello stesso periodo. Infatti , dalla corrispondenza tra i due emerge il reciproco interesse per il teorico della guerra. Ne l dicembre 1933 , Pieri informava Croce. dopo una conversazione avuta dal vivo, dell'esiste nza del testo di O etc B1atto85 e poco dopo lesse lo scritto di Croce, dichiarando di apprezzarne notevolmente il contenuto:
Illustre Senatore. ho letto tutto d'un fiato lo scritto su l Clausewitz, d'una lucidità e d·una penetrazione che non si p otrebbero desiderare maggiori. È la prima volta che vedo un s imile argomento trattato da un ~lai co~ e così magistra lm ente. Sarebbe davvero un bene p er la cultura italiana che certi argo menti non restas ero fuori dalla ,rita e dal pensiero! Interessantissime tutte le sue osservazioni e degne della massima attenzione: rapporto fra teoria e pratica, ca rattere amorale della guerra. valor e del g iudi zio sto rico nel determinare una teoria militare. rapporto fra genio e fortuna. Forse tutto il saggio. per il gran numero dei lettori sarà troppo coinciso e den so di pensiero; e forse costoro vorrebbero più ampiamente trattata la parte p. 6-7 ove si parla dell e ar ti c he hann o a loro mat eria esse ri viventi. Sarei tentato di parlare di qu es ta memoria in una mi a prossima rassegna di stori a milit are per la .Riv.Stor. Sol o non vorrei cadere in errori e in improprietà . e se del caso. mi permetterei di mostrare a Lei il manoscritto. Inte ressante assai anche la memoria su l Vitrioli. sop rattutto per le valutazione sto ri ca della seconda Restaurazione. Non ho trovat o nei libri di
Tra Salvcmini e Delbriick: la Crisi militare del Ri11ascime11to cui dispongo l'indicazione circa il titolo specifico dei Comandanti delle armate spagnole in Italia ai primi del '600. e ne sono dolente. Con i più sentiti r ingraziamenti e rispettosi ossequi mi professo. dev.mo. aff.mo
Piero Pieri
Napoli 21-1-'3486
Anche se dalla lettera si deduce che prima del 1934 Pieri aveva certame nte letto Clausewitz, purtroppo stabilire la data precisa di quando lo fece non è possibile con le fonti di cui disponiamo, sebbene nella sua biblioteca siano presenti alcuni testi riguardanti lo studioso prussiano di mo lto precedenti, peraltro tutti in francese117 • Un dato però è certo: nelle opere principali di Pieri i riferimenti a Clausewitz sarebbero comparsi regolarmente nei decenni successivi e in particolare nel volume sul Risorgimento vi d edicò un intero paragrafo per illu stra re come la sua assenza tra i patrioti italiani costituisse un grosso limite al loro pensiero 88 • Dal punto di vista intellettuale, l'elemento centrale di innovazione che Pieri riconosceva a Clausewitz era l'aver identificato la relazione tra guerra e politica e l'influsso che quest'ultima aveva sulla storia militare. Molto più tardi avrebbe detto:
[ ... ] la guerra è azione di uomini, che hanno passioni e desideri, coraggio e timore. necessità fisiche e morali: e come disse e ripeté il Clausewitz. la guerra è solcata continuamente e in ogni caso da motivi di carattere morale, su i quali il calcolo matematico non può applicarsi. Per questo la storia militare ha un campo suo. che non è soltanto tecnico. né soltanto economico, e richiede, come ogni altra disciplina preparazione e attitudine8 q.
La guerra non è soltanto la politica continuata con altri mezzi. vale a dire la politica estera che sostituisce all'azione diplomatica la più rude azione degli eserciti; ma come pure il Clausew itz intuì, essa è l'espressione, quanto più volge verso la sua naturale fom,a si fa più intensa. dello sforzo di tuno il paese. d'ogni sua attività ed energia convogliata verso la grande lotta e l'alrra meta. Di conseguenza - è bene insisterci - la storia mi li tare affonda le sue radici nella struttura economica, socia le e politica d'uno staco. e può essere quindi un utile e talora ncc<.-ssario complemento alla storia politica90 •
Sempre a C lausewit:z riconosceva il merito di aver evidenziato le due differenze tra strategia annientatrice e logoratrice: anche se g li rimproverava. come aveva fatto Oelbriick. di non averle analizzate adeguata- mente a livello storico : «il tentativo di sintesi. dall'antichità a apoleonc. nella seconda parte d el 3° capitolo dell'VIII libro del Della guerra . diciamolo francamente, è ben povera cosa per quanto riguarda la storia militare» 9 1 • Anche in questo passaggio possiamo osservare la so sta nziale continuità che per Pieri esisteva tra Clausewitz e Delbrii ck. Solo nell'analisi storica elaborata dal secondo i modelli teorici trovati dal primo potevano trovare applicazione (o confutazione):
Ma anche il Clausewitz rimase nel campo teorico. Solo col Oelbriick, mi sembra, il problema fu affrontato panendo dal minuto esame di una grande guerra per esaminare lo strumento di guerra e le condizioni dello stato che lo metteva in campo; e questo poco prima del 188092 •
Fu quindi in Delbri.ick che Pieri andò a cercare le basi storiche e metodologiche per lo studio della stor ia militare, mettendone al centro la connessione tra guerra e politica. Quanto peso ebbe l'influenza di Delbriick su Pieri è egli stesso a dircelo nelle pagine. che Rochat ha definito "commosse»9 \ quando - ricordandolo negli anni Sessanta - affermava che «come il Clausewitz deve essere considerato il maggior teorico della guerra, così il Delbriick non può non apparire. allo stato attua le. il maggior sto ric o militare»9 ~
In Italia, prima cli Pieri. a conosc ere seriamente Delbriick probabilmente furono solo Francesco De Sanctis. che lo riprese nella sua storia di Roma per la descrizione degli ordinamenti militari. e l'antichista Giulio Giannelli, che studiò alla Normale quasi negli stessi anni di Pieri95. Que st'ultimo plausibilmente le sse Delbri.ick intorno alla metà degli anni Venti: lo si deduce dalla sua presenza nelle note del saggio sull'Arte della guerra del Machiavelli pubblicato nel 1927. Anzi è proprio da questa lettura che s i può documentare la duplice consapevolezza che le ricerche del tedesco e dei suoi allievi erano in grado di produrre una profonda innovazione in Italia. e che gli studi italiani di quell'innovazio ne avevano assai bisogno:
Fatto notevole questo. e vorrei dire. doloroso. che mentre in Italia siamo ancora rimasti alla Storia delle compagnie di ventura del Ricotti lavoro pregevolissimo sì, ma che risale al 1844, e mentre per aie.uni casi è sempre utile risalire alle buone considerazioni che si trovano nella Storia delle repubbliche italiane del Sismondi. in Germania si vada dissodando sistematicamente a nostra insaputa, un nostro campo di studio dei più interessanti 96 • -
Tra Salvem ini e Delbrùck: la Crisi militare del Ri11asci111e11to
Tali interessi si espansero negli anni successivi, come dimostra la lunga recensione pubblicata sulla 1( Rivista Storica Italiana,. nel 1930 alvolumetto di Wilhelm Erben Kriegsgeschichte des Mittelalters97 , dedicata alla guerra nel Medioevo, che di fatto si trasfom1ò in una rassegna suJla letteratura militare esistente, evidenziando l'importanza che il lavoro degli storici militari della prima gene razione stava assumendo: t·A. fa ora un rapido esame della storiografia militare dal secolo XV, cominciando dai nostri teorici umanisti f... ] e finendo col D elbriick. E conclu de che in poco più di quarant'anni il prob lema è stato veramente inteso nei termini e nella s ua complessità, colropcra, pur sempre importantissima. d e l Gen . Kohlcr [ .. . ] e il sagg io del Delbriick. Perse r und Burgunderkricge n (del 1887). Questi due storici sembrano fondamentali, sebbene si debba tener conto de!ropcra dell ' inglese Oman [... ]98 •
Ciò conferma che già prima del 1930. con lo spostamento degli interessi di Pieri verso la storia militare. crebbe su di lui l'influenza di Clausewitz, di Delbrii ck e della storiografia militare tedesca (e in misura minore di Oman), come egli stesso confermò a Salvemini nel dopoguerra:
Sono poi molto lieto nel trovarmi in così buona compagnia nello stim are grandemente il Oelbruck! Io in verità n on lo conobbi né fui in relazione episto lare con lui, perché pres i a dedicarmi veramente alla storia militare dopo il 1930, e lui morì ne l 1929. Ma l 'ho stud iato con intelletto d'amore sui suoi librì9'J .
Nel 1933, anche il generale Bencivenga, che come vedremo ebbe molta influenza s ull'interpretaz ione della Grand e guerra di Pieri, lo spronava a seguire le orme del grande studioso tedesco. invitandolo a: ,(prend e re in Italia il posto del Delbriick in Germania. Occorre un ... civile per scrivere dell·arte della guerra»100• Da questo sarebbe nata una profonda conness ione intellettu ale, tanto forte che quando Fieri fu arrestato nel 1945, in carcere (quando pensava che sarebbe stato giustiziato) si fece portare la propria copia personale del quarto volume dell 'o pera principale di D elbriick: quella dedicata al Rinascim ento 101.
Nel corso della sua maturazione di stu dioso di storia militare , Pieri riconobbe più volte quelli che erano i principali meriti di Dclbriick per la storia militare del punto di v ista metodologico. Scrivendo nel 1938 a Plinio Fraccaro1 02 , uno dei maggiori clas s icisti italiani, esperto anche di questioni militari e che fu penalizzato dal regime per il suo approccio critico nei confronti dell'arte militare romana, affermava :
Picri srorico militare
Detto questo però bisogna che con la mia usuale franchezza dichiari che non mi sento di seguirla nella stro ncatura che ella fa abbastanza sbr igativamente di uno storico come il Delbruck. Da dicci anni ormai io st udio tale autore. e più ne conosco e ne afferro il pensiero. e maggiormente lo ammiro. Mi pare che fra lui e gli altri ci s ia spesso una distanza chilometrica, non solo nella storia militare antica, ma in quella medi eva le e moderna. Le dirò di più: è il solo grande storico militare che io conosca. Quando anni orsono lessi le sue osservazioni sul famoso passo di Livio (Vlll, 8) mi parve di trovarmi di fronte a una rivoluzione! Mi pare che solo lui abbia dato una spiegazione plausibile della tattica romana: prima di lui. dal Machiavelli e dal Lipsius in poi. non si era sostanzialmente fatto un solo passo avanti 103 •
L'influenza di Delbri.ick su Pieri s i vedeva anche nella ripresa - da parte del secondo - della intima connessione tra politica, società e il modo in cui è condotta la guerra. Questo approccio sarebbe ricomparso più volte nelle rassegne di storia militare sul Medioevo e Rina scimento pubblicate periodicamente, nelle quali Pieri apprezzava soprattutto gli autori che mettevano in evidenza questa connessione:
Come la guerra sia legata alle condizioni sociali, lo Sch. mostra osservando le ana logie delle form e di guerra dei popoli più antichi, Eg iz iani, Assiri. Micenei, con quelle dei popoli d'America del secolo XVI o d'alcunc odierne popolazioni d'Africa o d'Asia 1
1 e lla Crisi militare del Rinascimento. Pieri sosteneva esplicitamente che il pensiero del Delbri.ick rappresentava una evoluzione rispetto a quello del Clausewitz. specialmente per quanto riguardava la tensione tra la guerra annientatrice e la guerra logoratrice. oggetto dell e forti polemiche in Germania di cui abbiamo detto:
Vediamo ora la strategia. Essa è influenzata non so lo dalla tattica, ma da una serie di altri clementi. spesso di carattere non militare. Da ciò la distinzione. già fissata dal Dclbrt'.ick fra strateg ia annientatrice, e strategia logoratrice c he cerca invece solta nto di indebolire la sua forza e volontà di resistenza [...]. La strategia annientatrice rappresenta indubbiamente la forma più evoluta dell'arte militare luttavia i cas i in cui appare nella sua integrità e purezza sono ben rari: in realtà la strategia logoratrice è quella che ha predominato nel corso della storia: essa però si presenta con forme più progredite nell'impiego degli svariati strumenti di lotta. [e aggiungeva nelle note] Intendiamo con questa parola non so lo «l'idea direttiva c he presiede all'impiego delle forze nel teatro d'opcrazio-
Tra Salvemini e De lbriick: la Crisi militare del Rinascimento ni» (C lausewitz), ma in senso più lato, co l Delbri.ick «l'idea direttiva che presiede alla condotta della guerra »105 •
Riprendendo le osservazioni di Delbriick, in particolare su Federico II di Prussia, Pieri avrebbe definito il paradigma secondo cui il modo in cui sono condotte le guerre rifletteva lo sviluppo più generale degli stati e delle loro società:
Lo storico prussiano negava che il grande sovrano avesse nella guerra dei 7 anni svolto una strategia d'annientamento, e rafforzava le conclus ioni tratte dall'esame delle operazioni di guerra, coll'indagine del le condizioni dello stato prussiano che si ripercuotevano su ll 'esercito; esse a suo avviso non erano tali da consentire una strategia d'annientamento, che richiede innanzi tutto ricchezza di mezzi , uno stato forte , organizzatissimo, ove l'autorità del sovrano non fosse inceppata da privilegi e autonomie 106 •
Si era così alla questione centrale della relazione tra politica e guerra, che costituiva il fondamento del pensiero storico del Delbriick e al quale Pieri mirò anzi ad aggiungere un occhio più attento ai problemi dell'economia. Infatti, come scriveva a Cantimori nel 1955, il teorico e lo storico prussiani, pur tra i grandi meriti che avevano avuto, forse avevano messo in secondo piano proprio questo aspetto :
Fine e acuta la tua osse rvazione finale e la terrò presente: realmente il Clausewitz e anche il Delbri.ick trascurano il rapporto fra la tecn ica militare e lo sviluppo genera le delle forze produttive e dei mezzi di produzione. Non credo però che va neppure esagerata l ' importanza delle modHicazion i tecniche nello sviluppo della tattica: è un processo molto lento nella storia militare; lo svi luppo vertiginoso dal 1914 in poi non deve portarci a vedere nei secoli scorsi qualche cosa di simile. Ma comunque tecnica e mezzi di produzione vanno tenuti s empre presenti 10 7
Ail'inizio degli anni Trenta, Pieri avrebbe insomma cominciato a co ll egare l'approccio economico-giu ridic o con la lezione di Clausewitz e Delbriick per iniziare a scrivere una storia militare del tutto nuova in Italia.
Il lavoro che probabilmente segnò questo passaggio non fu la Crisi militare, quanto Io studio preliminare che Pieri condusse sulle milizie comunali italiane, uscito alla fine del 1933 sulla «Rivista Storica Italiana». I n quel lavoro, lo storico ripercorre tutto lo sviluppo della fanteria italiana dall'epoca della Prima lega lombarda e della battaglia di
Picri storico militare
Legnano (1167) fino alle soglie del Rinascimento. Qui emerge, precocemente. il suo interesse per l'analisi sociale che sta alla base del funzionamento delle milizie:
Nelle fanterie comunali c'è una divisione per qi1artieri e per contrade cui rispondono più tardi delle vere società delle amli: e ognj contrada fornisce una o più compagnie con due o tre ufficiali. Certo l'autorità dicostoro è relativa: sono nominati per l'occasione o comunque temporaneamente e appaiono soprattutto dei "Primi inter parcs~108•
Non mancava lo spazio per qualche rivendicazione nazionale. Inoltre. criticando in parte la storiografia tedesca. a cui pure faceva riferimento, Pieri soLtol i neava come nel corso del Duecento e Trecento le fanter ie italiane non furono influenzate da quelle svizzere, come invece sostenevano gli storici tedeschi. Anzi. esse si differenziano notevolmente nel modo di combattere, perché riflettevano una diversa evoluzione sociale, frutto della maggiore sofisticazione della vita urbana dei comun i italiani:
La fanteria svizzera è una leva in massa: e se qualche analogia può present.are colla fanteria comunale italiana del primo periodo, in quanto la scarsa differenz iazione de ll e class i permette una comun ità di interessi e una relativa concordia. questa omogeneità e questa concordia non si trovano più affatto nell'Italia ciel terzo periodo comunale. Analogie politico-sociali, quindi, molto lontane, principi tattici diversi. [... ]
La vera evoluzione nostra, consona anche al maggior grado di civiltà dei comuni italiani, è quella che si nota presso i comuni toscani: guerra che tende a divenire arte, a sostituire all'impeto bruto dell'azione tattica risolutiva all'arma bianca, la sapiente combinazione risolutiva dei cavalieri, razione frontale e la manovra laterale, l'uso dei rincalzi e quello. più difficile e maggiormente redditizio delle riserve. [... ] Vim1osisrno insomma, opposto al «furOl"' ultrarnontano 109
Emerge insomma qui chiaramente quella connessione tra la struttura politica, economico-sociale e la guerra che costituì il pr i ncipale apporto di Picri nella storiografia militare italiana e che sarebbe confluita nel suo capolavoro sul Rinascimento, nel quale avrebbe inteso - lo scrisse ad Omodeo - «economia. politica e guerra quali simultanee manifestazioni di un unico processo; e come io veda la crisi mili t are quale espressione di una cr isi etico-po litica» 1 10 •
Tra Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento
Gli studi sul pensiero militare
Prima di analizzare la Crisi militare occorre discutere un altro aspetto dell'influenza di Clausewitz e Delbriick su Pieri. Si tratta dell'analisi del pensiero militare italiano, che Pieri avrebbe esaminato da storico e che ancora una volta avrebbe ricondotto ai rapporti tra guerra e politica 1 11 Va infatti anticipato che uno degli interessi di Pieri fu vagliare, rispetto ai tempi in cui vivevano, il pensiero di alcuni grandi italiani che avevano studiato la teoria della guerra. Come vedremo questo ebbe una connessione con la sua analisi del Rinascimento.
Il primo esempio di questo interesse fu il saggio su Machiavelli del 1927, che si segnalò anche per l'attenzione ai lavori dagli studiosi tedeschi. Soprattutto, Pieri fece riferimento e criticò l'importante studio di Martin Hobohm su Machiavelli e l'arte della guerra nel Rinascimento, il quale per primo aveva vagliato filologicamente la narrazione del fiorentino sugli eventi militari del suo tempo 112 • In realtà, secondo Pieri, anche se aveva compreso alcuni limiti del pensiero militare di Machiavelli, Hobohm aveva mancato d i inquadrarne il pri nc ipale, ovvero la mancata connessione tra l'arte della guerra dei condottieri e la situazione politica del loro tempo . Viceversa, secondo Pieri, Machiavelli non riusciva a comprendere appieno i condottieri perché focalizzato sull'idealità del modello militare romano :
(... ] con la sua arte della guerra tutta fissa al ricordo di Roma, si vale assai meno di quanto non paia degli esempi che le guerre del tempo suo, e quella d'Italia specialmente gli offrivano. [...1 Il M. intento unicamente a ritrovare la virtù guerriera nelle forme e negli ordinamenti romani, si precludeva in certo modo di comprendere il fenomeno che si stava svolgendo (... ]113
È vero che il giudizio di Machiavelli rienn·ava nella più generale polemica che alcuni scrittori rinascimentali condussero contro i capitani di ventura, spesso screditandone l'immagine a scopo politico: un giudizio consequenziale alle loro proposte di riforma degli ordinamenti militari 114 • Pieri invece si mosse nella direzione opposta, evidenziando che proprio i condottieri erano in grado di capire la trasformazione della guerra che stava affacciandosi nella loro epoca. Infatti, dopo quello su Machiavelli, nel 1931 pubblicò un saggio sull'arte militare di Diomede Carafa (1406-1487), uno dei più importanti esponenti politici del periodo aragonese di Napoli e autore di una serie di «memoriali» sul governo e l'economia dello Stato, che discutevano anche di questioni militari. Un
Pieri storico militare pensiero, quello del Carafa. secondo Pieri basato su due pilastri: il denaro come propulsore della potenza militare. evidentemente frutto dell"esperienza della guerra mercenaria nell"Italia del tempo; l'utilizzo di una strategia logoratrice, dovuta alla relativa vulnerabilità istiruzionale di un esercito così costituito. Lo storico comunque giudicava positivamente il Carafa, che dimostrava una conoscenza notevole dell'arte della guerra a cominciare proprio dalle necessità finanziarie e di un comando unico, cui dovevano accompagnarsi comunicazioni tempestive. Inoltre, l'autore dimostrava anche una certa comprensione delle innovazioni tecniche, soprattutto delle armi da fuoco, contrariamente a Machiavelli, offrendo «intuizio ni geniali presentimenti e visioni più ampie del problema della guerra>1 115 • In seguito, nel 1933 , dedicò un altro saggio a Carafa e in parte a Orso Orsini, uno dei maggiori condottieri italiani del Quattrocento. il quale promosse una riforma degli ordinamenti militari del regno aragonese, con la prevista costruzione di un esercito stanziale di 20.000 uomini, basato su un modello professionale. ma che non poté essere realizzato a causa delle condizioni politiche del regno 116 •
Parte di tutt e queste considerazioni sarebbero confluite nel saggio sulla Crisi militare. nel quale Pieri avrebbe sostenuto che gli intellettuali italiani del Rinascimento come Machiavelli e Guicciardini testi moniavano una generale sfasatura tra la realtà dell 'arte della guerra sul campo e le loro elaborazioni teoriche. Que ste ultime, basando s i su modelli ideali e sui classici, erano di fatto astratte dalla società del tempo e per questo non funzionanti:
[... 1Non per nulla nel secolo XVI e nel secolo XVTT i militari restavano delusi e stup iti dall'inattuabilità della tattica romana, e dal nessun servigio che recava. non la riconoscevano. erano di fronte a una serie di fraintendimenti o di costruzioni fantastiche (come gli schemi di battaglia di Vegesio) 117 •
Nel 1935. Pi e ri fu invitato da Volpe a presentare il pro getto per una collana sugli scrittori militari d"Italia dall 'antichità atretà contemporanea. In quell"occasione, tracciò un grande progetto che avr ebbe dovuto comprendere il Machiavelli, Montecuccoli, Giuseppe Palmieri, Luigi Blanch. Ugo Foscolo e Carlo Cattaneo. Carlo Corsi e Carlo Dc Crist0foris11 6. La collana effettivamente prese avvio e Pieri scrisse J"incroduzione agli scritti di Eugenio di Savoia (editi nel 1936) e all'Arte della guerm di Machiavelli. Sul politico fiorentino, Pieri non lesi nò critiche, ma per comprenderne app ieno !"importanza bisogna ricordare che negli anni
Tra Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento del fascismo Machiavelli fu considerato non di rado quale modello archeti pico di leader politico dallo stesso Mussolini11 9 • Nonostante questo, Pieri definì il trattato del Segretario fiorentino:
[ ...] un brillante sforzo d ' ingegno , senza avere possibilità pratiche. La sua milizia e ra fallita alla prova del 1512 né i miglioramenti ideati sarebbero stati tali da infonderle veramente vita e vigore. Ma l'inesatta interpretazione degli ordini militari antichi. presi come modello assoluto e infallibile termine di paragone, porta il Machiavelli a giudicare in modo troppo soggettivo e spesso arbitrario l'arte militare del tempo suo [ ... ] finché per giustificare storicamente le necessità della sua riforma, non finisce col fare nelle Storie fiorentine, una vera caricatura , a volte fin grottesca, di quella ch'era stata l'arte militare italiana del secolo XV1 20
Se si pensa che L'arte della guerra era stata definita da Mussolini un modello militare universale, valida anche per l'epoca degli eserciti motorizzati 121, e che la critica al modello militare romano costituiva una indiretta messa in discussione del mito di Roma, parte fondante delle rivendicaz ioni imperiali e militariste del regime122, si avranno chiare le implicazioni non solo storiografiche ma direttamente politiche della presa di posizione di Pieri. Soprattutto, non c' è da sorprendersi se la cosa gli causò parecchi grattacapi con Volpe e Grazioli , ma per lo studioso la ricerca storica e l'esaltazione patriottarda che il regime imponeva negli studi non andavano d'accordo, come gli scriveva Bencivenga dopo aver saputo dei suoi problemi:
Terribile poi è l'argomento venuto di moda, che cioè non bisogna screditare i nostri esponenti militari, s ia condottieri, sia, come il Machiavelli, scrittori! Allora ogni imposizione si ammanta di un bandierone patriottico che soffoca ogni slancio dello spirito dello scrittore. E se ancora si riesce ad evitare che sia opposto un veto ad una pubblicazione editoriale, non si riesce mai a far apparire lo scritto su una rivista ufficiale123
Non era so lo questione di gerarchi o fascisti. Lo stesso Pieri nel dopoguerra ammise che la cosa gli aveva procurato «l'osti lità e la gelosia» dei militari di professione124 Per certi versi, tutto ciò richiamava quanto era accaduto allo stesso Delbriick, quando i militari tedeschi avevano negato il diritto di criticare Federico il Grande, ritenendosi gli unici qualificati a poter discutere di strategia120 • Gli studi di Pieri sul pensiero militare italiano poterono proseguire nei decenni successiv i attraverso voci dell 'Enciclopedia italiana e con
Picri storico militare piccoli studi specifici dedicati (a parte quello a Giuseppe Palmieri, del 1938). L"idea di proseguire questo filone con un approfondimento lo avrebbe portato in contatto con l'Einaudi, che durante la guerra si dichiarò interessata alla pubblicazione di un volume al riguardo:
Torino 6.7.1941
I due saggi sul Machiavelli e sul Palmieri andrebbero integrali con altri due su l Montecuccoli e su Carlo De Cristoforis. Avremmo così l'arte militare dei secoli XVI, XVII, XVIII e XIX attraverso l'interpretazione dei nostri teorici più rappresentaLivi. Il lavoro andrebbe poi integrato da una mia c hiusa sopra l'arte militare della guerra mondiale e di quella attuale. Ne verrebbe un volume di circa 220 pagine, che potrebbe uscire di qualche interesse e di qualche utilità agli studiosi. Non so però se editorialmente sarebbe destinato ad una grande fortu na; ne dubito anzi. Certo il mio saggio s ul Machiavelli scrittore militare è l'unico che ora ci sia in I talia. I quattro saggi non furono terminati per il Volpe. perchè io non volli più sottostare alle osservazioni e mutilazioni di due militari di professione messi alle costole delraccademico. Al Volpe del rnsto la parte scientifica non interessava affatto; l'importava so lo d'avere delle introduzioni alla sua collana. E io, in nome della dignità scientifica mi ribellai a un simile sistema. andando incontro alle sue basse vendette 126
Non c'è da soprendersi se era proprio l'editore Einaudi a voler pubblicare un volume così critico nei confronti dei teorici della guerra italiani, mentre il Paese aveva appenna incassato le prime gravi sconfitte nella seconda guerra mo ndi ale. Tuttavia, il volume non ebbe mai la luce. in quanto Pieri non lo consegnò alla sca denza prevista, l'ottobr e del 1941, e nell'agosto 1945 (poco dopo la liberazione). l'Einaudi rescisse definitivamente il contratto relativo127 •
Solo nel dopoguerra con i saggi su Carlo Cattaneo (1949) c Raimondo Montecuccoli (1951). lo studioso poté esporre liberamente le sue analisi della relazione tra guerra e politica, intesa nel senso clausewi tziano. Scrivendo d i Montecuccoli, Pieri poteva finalmente osservare che non era da ritenersi iQ!IlO spirito innovatore che precorre l'avvenire, ma soprattutto lo sforzo di ricavare da un ·arre militare luminosa, ma ormai al tramonto, le estreme po ssib ilità ». Un limite che lo storico collega alla natura stess a del Mo nt ecuccoli, definito «un conservatore tanto nella politica che nella guerra, stretta espressione di questa»128 •
Alla fine. nel 1955, tutto questo lavoro sul pensiero militare sarebbe confluito nel saggio Guerra e politica negli scrittori italiani, un chiaro richiamo alla relazione tra guerra e politica in Clausewitz:
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Tra Salvcmini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento
Per metà sono cose edite (Machiavelli, Montecuccoli, Palmieri) e per metà inedite (De Cristoforis, Pisacane, Marselli). Per valutare esattamente questi tre ultim i ho dovuto studiarmi o ristudiarmi lo Tomini e specialmente il Ciausewitz, e trattare pure di questi auto ri . Il libro non è di amena e lieve lettura; pure tratta di argomenti che in Italia non si erano mai trattati scientificamente (i militari sono mo l to spesso fuori dal campo scientifico) [... ]129 •
L'influenza del prussiano percorreva in sottofondo come un paradigma tutto il libro, specie nelle nuove parti dedicate a Pisacane, Nicola Marselli e Carlo De Cristofori s, corredate con alcune osservazioni estese fino alla seconda guerra mondiale: Pieri riconobbe a Pisacane l'originalità del rapporto tra guerra e insurrezione, al Marselli il tentativo di formulare una teoria scientifica globale deJla guerra e al De Cristoforis di aver riconosciuto la tendenza intrinseca della guerra ad diventare sempre più assoluta, analogo merito lo aveva attribuito proprio a Clausewitz130
Nel secondo dopoguerra, gli studi su C lausewitz però furono oggetto di una profonda revisione, volta a evidenziare come dalla sua teoria della guerra, della quale il nazismo si era impossessato, si potevano trarre spunti differenti . In particolare, Io storico tedesco Gerhard Ritter, nella sua storia del militarismo tedesco, sostenne il fraintendimento da parte dei militari delle teorie di Clausewitz, presentato ora come un sostenitore del controllo de ll a politica sul mondo militare e della necessaria imposizione di limiti alla tendenza della guerra a diven tare assoluta131 Pieri sposò le teorie di Ritter, anche se avevano un ch iaro sfondo politico, e nel dicembre 1 954, quando il saggio di Ritter era appena uscito in Germania, parlando con Salvemini di Clausewitz, evidenziava :
Quanto al Clausewitz persona, fu un'anima nobilissima, figura eroica de ll a riscossa contro Napoleone; e fu messo in realtà in disparte dopo il 1815; e il suo Vom Kriege avrebbe dovuto in ogni caso uscire dopo la sua morte, per non urtare tutto il filisteismo dell'esercito e della corte. Il Clausewitz non ha nulla di vedere coi generali prussiani che conosciamo! r.. .) Che poi delle teorie scientifiche e filosofiche del Clausewitz si sia fatto uso ed abuso, è cosa che succede sempre; non giudicherebbe Ges ù dai roghi dell ' inquisizione132 •
Inoltre, nelle ultime pagine, dedicate alla progressiva assolutizzazione della guerra, concludeva affermando che:
Picri storico militare
La guerra di Corea ha però mostrato, dopo l'esa s perazione del fermento bellico della seconda conflagrazione mondiak che quegli elementi moderatori di cui la po litica di s pone in larga mi sura. nonché i co ntrappesi insiti negli stessi fattori della guerra, possono pur sempre, come già aveva asserito il Clausewicz, limitare l'intensità del fenomeno bellico e impedirg li il manifestarsi nella sua estrema rovinosa energia133•
Era chiara qui la ripresa delle tesi di Rittcr, a cui diede ulteriore visibilità presso il pubblico italiano, recensendolo nel 1957 sulla ~Nuova Rivista Storica» ed evidenziando proprio le sue innovative tesi riguardo il teorico prussiano 134. Soprattutto, questa attenzione è una conferma della continuità di un interesse e della duratura intluenza di Clausewit7. sullo studioso italiano, cominciata negli anni Trenta. Si tratta di un punto sinora trascurato da chi aveva studiato la penetrazione di Clausewit7. in Italia. in quanto era stato sostenuto che a Canevari e al suo lavoro si deve, negli anni Trenta, la prima presentazione del teorico pmssiano 135 • Al contrario, ci pare che Picri si mosse prima, o quanto meno in parallelo nello studio di Clausewitz, e certo in maniera più profonda: cosa che rende il teorico della guerra prussiano un po' meno ~disregarded », per riprendere la definizione di Gooch, di qu anto si pensasse.
La crisi militare del Rinascimento
Solo dopo questo lunghissimo percorso, è possibile capire m egl io la prima importante opera pubblicata da Piero Pieri: La crisi militare italiana nel Rina-Scimento nelle sue rela?.ioni con la crisi economica ed politica, uscita nel 1 934 presso l'editore Ricciardi di Napoli. In essa emerse nettamente il legame tra guerra e politica e al tempo stesso si combinò l'eredità econo mi co-giuridica e per certi versi persino quella salveminiana.
Pieri cominciò a lavorarvi verso la fine del 1927, gros so modo nello stesso periodo in cui si avvicin ò alla storiografia mi litare tedesca136 Abbiamo visto che nel 19 33 una bozza del testo fu premiata dall'Accademia dei Lincei e dall'Accademia d'Italia e con il denaro ottenuto Picri poté dare il volume a ll e stampe, nella limitata tiratura di 300 copie. Pane delle conclusioni fu anticipata nel Congresso storico di Varsavia del 19 33, cui Picri fu ammesso a pa,tecipare con una relazione su La sciemm militare italiana del Rinascimento, nella quale mirò soprattutto a mettere in evidenza il contributo tecnico italiano all'evoluz ion e dell'arte della guerra nella prima età moderna137
Tra Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento
Il volume delinea i tratti salienti dal punto di vista militare delle guerre d'Italia tra il 1494, anno della discesa di Carlo VIII nella penisola, e il 1530, anno della restaurazione dei Medici a Firenze, centrando la narrazione in particolare sulle difficoltà militari degli Stati italiani. Nella prefazione, Pieri annuncia subito che egli intende spiegare questa cris i come parte di un problema più complesso:
Ma tutto l'ordinamento militare è intimamente connesso alla costituzione politica sociale economica, e non si può comprendere esattamente da chi la trascuri; e d'altra parte uno studio dell'organismo politico-sociale che non esamini la capacità di questo ad affrontare la forma più alta di lotta che è la guerra, non può non riuscire unilaterale138
Ne lle righe successive, Pieri passa in rassegna la letteratura esistente, evidenziando il ritardo della storiografia italiana, ferma ancora al lavoro di Ercole Ricotti, edito nel 1844, mentre proprio sulla guerra nel Rinascimento «da l 1880 in poi [...]l'argomento è stato oggetto in Germania specialmente di notevoli studi che fanno parte di quella fioritura di storia militare che si lega ai nomi dello Jahns, del Koehler, del Delbriick e delle loro scuole»139 • Pieri poi accennava al lavoro dell'inglese Fredrick Taylor, uscito nel 1921, il quale, pur presentando importanti elementi di rottura riguardo lo studio delle capacità belliche italiane, però aveva mantenuto una trattazione esclusivamente tecnica, esaminando in senso tradizionale «fanteria , cavalleria, artiglieria, le fortificazioni e via di seguito»140• Neppure lo studio di Hobohm, cui pure Delbriick si rifece, era considerato da Pieri adeguato, ritenendo che alle questioni tecniche lo studioso tedesco aggiungeva solo «una specie di continuo contraddittorio» nei confronti di Machiavelli 141 •
Per quanto fosse al modello del Delbriick che Pieri suggeriva di guardare, possiamo aggiungere che egli menzionava anche quello di Oman, che sin dal 1930 lo storico italiano aveva riconosciuto come fondamentale e cui, nel 1937, lo storico britannico aggiunse un volume sulla guerra nel XVI secolo, proprio il periodo della Crisi militare. Il testo cominciava con un un'analisi delle battaglie delle guerre d'Italia in relazione alla loro importanza per lo sviluppo della tattica della nuova guerra fatta da armate di professionisti. Oman poi s i dedicava però anche alle guerre del resto d'Europa: analizzando l'esperienza inglese, le guerre di religione in Francia, la guerra d'indipendenza olandese e infine l'espansione ottomana142 .
Il lavoro di Pieri aveva una dimensione cronologica minore rispetto alle grandi storie di Delbruck e Oman. Le storie dell'arte della guerra
Pieri storico militare di questi ultimi due coprivano nel primo caso praticamente tutta la storia dall'antichità a Napoleone e nel secondo dal IV al XVI secolo. In tutti e tre però è riscontrabil e lo stesso approccio: prima l'illustrazione di istituzioni militari che portano all'affermazione di nuovi modi di fare la guerra e poi la verifica dell'effettiva capacità di combattimento di queste istituzioni attraverso l'analisi delle campagne e soprattutto delle battaglie decisive.
Nel periodo tra il XIV e il XVI secolo, l'elemento centrale della storia militare di tutti e tre gl i autori è l'ascesa della fanteria al posto della cavalleria medioevale come arma regina del campo di battaglia. Per Oman, la trasformazione cominciò al tempo delle guerre dei Plantageneti contro il Ga lles e la Scozia (1 296 -132 8) che dimostrarono la possibilità di impiegare gli arcieri e di sfruttare il terreno per resistere alla cavalleria pesante143 • Nella prima fase della guerra dei Cent'anni, gli inglesi si trovarono in una posizione analoga a quella in cui essi stessi avevano affrontato gli scozzesi: i francesi avevano la più forte cavalleria pesante d'Europa, alla quale gli inglesi potevano rispondere con l'utilizzo di arcieri e fanteria. A sua volta questo rifletteva una precisa costituzione politico-sociale. in quanto secondo Oman:
La forza degli eserciti di Filipp o e Giovanni di Valois era composta da una fiera e indiscip linata nobiltà, che immaginava se stessa come la forza militare più efficiente del mondo, ma che in realtà era poco più che una folla armata. Un sistema che riproduceva sul campo di battaglia le distinzioni della società feudale che era considerata daJla aristocrazia francese come la forma ideale di organizzazione guerriera. TI cavaliere francese credeva che, poiché era infinitamente superiore a qualunque contadino nella scala sociale, egli di conseguenza avrebbe eccelso nello stesso modo per valore militare. Egli perciò era pronto non solo a disprezzare tutti i generi di fanteria, ma anche a guardare la loro apparenza sul campo contro di lui come una specie di insulto al prestigio della sua classc' 44 •
Al co ntrari o, l"efficienza dell'esercito inglese, soprattutto nella prima parte della guerra dei Cent ' anni, evidente nelle battaglie di Crecy (1346) e Poitiers (1356). ma anche successivamente ad Azincourt (1415), era il prodotto di una trasformazione istituzionale che ne aveva camb iato la natura. Con il consolidamento dell'autorità regia e la cresc ita d"importanza della fanteria. i Plantageneti cominciarono a contare sempre meno sulle leve feudali. rafforzando il reclutamento attraverso Commissio11s of Array, affidate a funzionari regi posti sul territorio, con il compito di reclutare fanteria e arcieri 145 • Con il perdurare della n-a Salvcmini e Delbriick: la Crisi militare del Rina.scìmento guerra e la sempre crescente richiesta di truppe, entrò in vigore anche il s istem a dell e Indenture (contratti) , con i quali anziché obbligare i nobili a prestare servizio feudale oltremanica, eventualmente organizza ndo una leva n ei propri domini, il sovrano preferiva pagarli e concedere diritti perché reclutassero un certo num ero di truppe volontarie o mantenessero una guarnigione. Inoltre, questi contratti erano completa m e nte svincolati dagli obblighi feudali e infatti alcuni contraenti non erano nemmeno vassalli del re. Con il proseguire della guerra, soprattutto nella seconda fase, il s istema dei contratti consentì il reclutamento dei veterani raccolti dal possessore di una Tndenture , inducendo la creazione di forze professionali 146 • Seppure non al livello di profondità del Delbri.ick , emerge in questi esempi una certa connessione tra guerra e politica, sia nel modo in cui viene condotta, sia rispetto alla formazione degli eserciti.
Lo storico tedesco nel suo saggio del 1887 sulla guerra burgundica aveva invece dedica t o un intero capitolo ai caratteri politici di quel co nflitto, per spiegare l ' origine e l' efficienza della fanteria svizzera, la forza che dominò i campi di battaglia europei tra la fine del Medioevo e il primo Cinquecento. Lo stesso funzionamento tattico della fanteria svizzera è ricondotto alle sue origini come massa armata di contadini e pastori che deve affrontare avversari meglio equipaggiati. Ciò indusse gli svizzeri alla formazione di quadrati di picchieri compatti, protetti da ogni lato , con gli uomini più forti nelle prime file , alle spalle dei quali si pigiava il resto della massa del popolo che con la sua coesione e pressione consentiva non solo la difesa dalla cavalleria, ma anche di caricare offensivamente. La struttura politica ed economica della confederazione fece il resto: la difesa del Paese nelle guerre burgundiche infuse negli svizzeri patriottismo e spirito di corpo, mentre la povertà dell ' economia favorì il richiamo al mestiere delle anni come mercenari. Questa nuova fanteria, estremamente disciplinata e feroce, avrebbe dominato i campi di battaglia a partire dalla fine del Trecento147 •
Lo sviluppo militare svizzero segnò secondo Delbri.ick la tappa fondamentale della formazione della fanteria europea dell'età moderna, venendo presto imitato. In Germania, fu sotto la spinta dell ' imperatore Massimiliano che, negli ultimi trenta anni del XV secolo, si cominciò ad operare con una fanteria mercenaria e stanziale addestrata alla maniera degli svizzeri: i Lanzichenecchi1 48 • Analogo era il giudizio di Oman, per cui lo scopo dell ' imperatore era disporre di un corpo di armati abbastanza efficiente da contrapporre agli svizzeri per fermarne l ' espansione 149 •
Ebbero così origine gli eserciti professionali composti da mercenari che dominarono la scena europea fino alla guerra dei Trent'anni. L'efficienza di queste forze armate poi fu aumentata dalla progressiva e lenta introduzione delle armi da fuoco portatili e dcll'artiglieria150 , ma il vero motore delle loro prestazioni sul campo di battaglia erano la disciplina collettiva e l'organizzazione che inquadrava gli uomini in masse compatte dotate di un forte spirito di corpo1 5 1 • Il reclutamento perciò costituiva un elemento decisivo per il loro funzionamento e dipendeva dal contesto politico in cui avveniva. Per questo, ad esempio, tedeschi e spagnoli riuscirono a costituire rapidamente truppe in grado di confrontarsi su un piano di parità con gli svizzeri, mentre in Francia l'opposizione dell'aristocrazia ad un miglioramento della fanteria, che avrebbe potuto scalzarne il molo politico, assieme alla disponibilità dei mercenari, ostacolò i miglioramenti qualitativi che Carlo VUI e Francesco I provarono a introdurre152
Secondo Delbri.ick e Oman, gli eserciti mercenari non richiedevano combattenti di grande abilità individuale: un breve addestramento e inquadramento erano sufficienti per fare un soldato, di conseguenza il numero di uomini disponibili per il mestiere delle armi crebbe. Si verificò una massificazione della dimensione degli eserciti e solo i primi grandi Stati, come quello nazionale francese, l'unione di Castiglia e Aragona o la fusione dei domini asburgici, riuscirono ad avere le risorse per schierare eserciti di grandi dimensioni. In sostanza, una costruzione statale sufficientemente grande divenne il requisito politico per avere un esercito adeguato 153.Al tempo stesso, poiché le capacità finanziarie condizionavano il reclutamento, gli eserciti avrebbero dovuto essere limitati dal denaro disponibile, ma i sovrani allargarono regolarmente i ranghi oltre le loro possibilità di finanziamento, ritenendo che la vittoria avrebbe coperto i costi necessari. Di conseguenza, crebbe l ' inaffidabilità delle truppe, pronte ad abbandonare il campo o a cambiarlo se le loro condizioni di pagamento e le loro richieste non erano soddisfatte ''+.
I limiti finanziari spiegano anche le difficoltà dei piccoli Stati nel trasformarsi in grandi potenze militari. A riguardo è interessante notare la differenza nelle tesi di Oman e Delbriick circa i limiti dell'espansionismo elvetico, i quali evidenziano anche le differenze qualitative dal punto di vista metodologico esistenti tra i due. Per il primo, gli svizzeri non avevano desiderio di espandersi ai danni dei vicini, in quanto la loro «psicologia» metteva il denaro alla base di tutte le loro azioni, rendendoli più interes sati alle ricomp ense che alle conquiste, secondo la massima «Point d'argent , point de Suisse»1 ">. Al contrario, Delbri.ick sostenne che
Tra Salvcmini e Dclbriick: la Crisi militare del Rinascimento il progetto della Confederazione di trasfonnarsi in una grande potenza europea, eventualmente acquisendo anche i territori del Ducato di Milano, trovò la propria fine dopo il 1515. Secondo lo storico tedesco, gli s vizzeri ebbero a disposizione la migliore fanteria d'Europa, ma dipendevano dai loro alleati asburgici e francesi per artiglieria e cavalleria necessarie a completare un esercito . A sua volta, questo problema era dovuto aJle limitate risorse finanziarie a disposizione degli svizzeri, dovute a ll e piccole dimensioni, al territorio montuoso e alla decentralizzazione del potere pol itico della Confederazione156 •
Se questi erano i giudizi di Delbriick e d i Oman, è adesso interessante rileggere e comparare le pagine di Pieri . Lo studioso italiano aveva piena consapevolezza delle novità interpretative proposte da Delbriick e infatti, nell'identificare il quadro generale dell'evolu zione dell'arte militare nella prima età moderna, s i rifà allo schema di quest'ultimo:
Il carattere fondamentale dell ' arte militare moderna è dato dal prevalere della fanteria sulla cavalleria, e la fanteria che riesce ad affermarsi vittoriosa è quella degli Svizzeri, la naturale prosecutrice delle fanterie comunali italiane. La massa dei picchieri sembra ottenere quella definitiva vittoria che è mancata ad arcieri e balestrieri , l'azione tattica risolutiva , breve e brutale , tr ionfare sopra quella distruttiva , inteJligente e studiata [ ]. La guerra burgundica, che segna la fine del predominio della cavalleria è del 1476-77; la trasformazione dell'artiglieria, col largo uso di palle di ferro, si aggira intorno al 1470-1500. Il perfezionamento delle armi da fuoco portatili precede di poco il 1520. Ciò nonostante la trasformazione della cavalleria pesante medievale in cavalleria moderna e della fanteria pesante, stretta in quadrati e armata di picca, in fanteria moderna in formazioni tattiche meno massicce e munita di arma <la fuoco è avvenuta molto lentamente , così che si può considerare all' in grosso dello spazio di due secoli (1450-1650) [ ]. Proprio nel periodo che a noi interessa. dunque, hanno luogo le prime fondamentali modificazioni, l e quali fecero sentire la loro influenza sullo svolgimento delle guerre d ' Italia e di conseguenza sulle sorti della nostra penisola1 ; 7 •
Al tempo stesso, lo scopo ultimo di Pieri era indagare la crisi militare italiana e non l' arte militare: il che significa che la sua analisi si concentrò prevalentemente sulla definizione delle cause strutturali delle difficoltà militari italian e, piuttosto che sulla condotta bellica in senso stretto1 58 . Per questo, il suo lavoro è diviso in due grandi parti: la prima di circa centocinquanta pagine dedicata a tracciare le condizioni politiche ed economiche italiane tra la fine del Medioevo e il Rinascimento; la seconda, trecentosessanta pagine, traccia lo sviluppo tecnico degli eserciti italiani fino alla calata di Carlo VIII e poi discute i fatti militari in connessione con le debolezze al livello politico, economico e organizzativo maturate nei decenni precedenti .
I cinque capitoli che costituiscono la prima parte della Crisi militare perciò affrontano la situazione economica e politica della penisola, con una profondità (sebbene basata su fonti secondarie) comunque sconosciuta a Delbriick e ad Oman e chiaramente connessa alla lezione della scuola economico-giuridica. Il primo capitolo è dedicato all'espansione economica italiana nei secoli del Basso Medioevo, che aveva portato all'affermazione dell'artigianato italiano, soprattutto tessile, che Pieri definisce «industria», il quale dopo una fase di rapida espansione nei secoli XIII-XIV, aveva iniziato ad accusare soprattutto la concorrenza fiamminga159 • A questo poi si aggiungeva il flusso ininterrotto di denaro dovuto alle decime versate alla Chiesa dal mondo cattolico, le quali avevano favorito lo sviluppo del siste m a bancario. Tuttavia, alla vigilia del Cinquecento, il sistema fiscale della Chiesa attraversava una fase di prolungata riduzione delle proprie entrate, dovuta anche al crescente malcontento per questa imposizione 160 • Ciononostante, al momento della calata di Carlo VIII, Pieri giudica l'Italia:
(... ] un paese assai florido [...]. Gl'italiani possono a ragione sembrare ancora dei grandi ricchi[ ...]. Ma proprio nel periodo 1494-1530, in cu i si compie la rovina politica, maturano alcuni avvenimenti d ' importanza decisiva, che si accompagnano ai grandi avvenimenti politici e militari , sebbene non sembrino influenzarli direttamente: il tracollo dell'influenza italiana i n Oriente, lo spostamento dell'asse commerciale dalla linea Costantinpoli-Venezia-Bmges, alla linea Lisbona -Anversa, il decisivo affermarsi dell ' industria tessile inglese, l'apogeo dei banchieri d'Augusta. E, si potrebbe aggiungere, la piena e definitiva rotrura dell ' Europa nordoccidentale colla chiesa di Roma 1 61 •
Le difficoltà economiche, seppure non decisive, si traducono in un inasprimento della tensione politica, descritta nei capitoli dal secondo al quarto, nei quali Pieri evidenzia la crisi trasversale che attraversava gli Stati della pen isola, delineando le particolarità dei singoli casi. Due fattori però prevalgono su tutti, la duplice spaccatura esistente tra i sovrani degli Stati e i differenti strati sociali:
[ . . .] lo stato in Italia nel secolo X.V domina nelle singole città i diversi ceti delle industrie e dei commerci, ma è ben lungi dall'averli riuniti e fusi in un un ' unità che si accompagni e quasi serva di base a una su -
Tua Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascinum.to
periore unità spirituale e politica. Sottomessi di fronte al signore e al Principe, mercanti e artigiani sono pervasi tuttavia dal vecchio spirito particolaristico ed egoista nei riguardi dei colleghi delle altre città e della campagna162 •
Ad esempio, sulla terraferma veneta il dominio della Serenissima, giudicata da Pieri come la compagine statale più solida della penisola, è minato dal contrasto esistente tra la capitale e le città dell'entroterra che le sono ostili, le quali a loro volta sono in contrasto con il contado che invece supportava il dominio veneziano163 Nel Regno di Napoli, il più debole degli Stati italiani, invece il sovrano deve affrontare i baroni in perenne stato di insofferenza verso il potere centrale, senza poter contare sul supporto della plebe, che a causa delle condizioni economiche formava «una massa amorfa, avvilita, dominata da una cupa rassegnazione»1 64. In sostanza, a causa dell'intrinseco particolarismo della penisola, il processo di rafforzamento dell'autorità centrale che investiva le altre monarchie europee, era in deciso ritardo:
Riassumiamo: verso il 1494 non vi è in Italia una classe dirigente omogenea e affiliata, legata saldamente per tradizioni e interessi al sovrano; così come di conseguenza non vi sono dei ceti inferiori stretti saldamente a questa. Di conseguenza, lo stato presenta una solidità relativa. Ma vi è però un grande divario da paese a paese: minima nel regno di Napoli , quest'intima forza interiore è invece massima nello stato di Venezia, sebbene quivi siamo lontani da ll a monarchia assoluta che domina altrove. La crisi delle invasioni coglie però i nostri stati mentre questo delicato processo di assestamento è ancora in corso; il più debole organicamente degli stati italiani, il Regno di Napoli, soccombe; ma è pure particolarmente colpito uno degli stati in cui questo processo era meglio avviato, il ducato di lv1ilano 165 •
A questo punto, Fieri comincia la seconda parte della sua analisi , parlando nei capitoli primo e secondo (l'ordine dei capitoli qui ricomincia dal primo) dei caratteri dell'evoluzione dell'arte della guerra dal periodo comunale al Rinascimento, utilizzando soprattutto i lavori della storiografia tedesca , in particolare Delbriick e Oman166
Nel terzo capitolo invece l'autore si sofferma su Trecento e Quattrocento italiani, ricorrendo prevalentemente a fonti originali e alla storiografia nazionale , analizzando le peculiarità dello sviluppo militare italiano. Probabilmente è in questa analisi che emerge la massima profondità della connessione tra guerra, politica ed economia presente nel saggio.
Partendo dalle caratteristiche dell'evolur.ione dell'arte bellica documentate sulla storiografia dei due precedenti capitoli. Pi eri valuta le capacità militari degli Stati italiani attraverso i loro tentativi di costituire eserciti pennanenti, lo svilup po della tattica e infine della strategia, connettendoli con le questio ni politiche generali.
Per quanto riguarda l'e sercito permanente, il frazionamento della penisola e le diversità istituzionali es istenti tra gli Stati italiani producono problemi e soluzioni diverse. 11 Ducato di Milano , sotto la guida degli Sforza, è lo stato meglio avviato alla costruzione di una forza stabile. Negli anni Settanta prevede già una forza divi sa in due eserciti: uno comprendente 11.800 uomini di cui 11.000 mercenari in servizio permanente o reclutati direttamente dal governo e il secondo di 6.500 uomini, di cui 5.000 permanenti. Dietro c'era il progetto politico di Francesco Sforza. il quale. in quanto maggiore condottiero della penisola. era riuscito a legare al ducato la principale scuo la dei capitani di ve ntura italiani, mirando a farne «un elemento meno nomade e più stabile, non più estraneo cd ostile al paese che lo stipendiava e lo ospitava»167 .
Gli altri Stati erano più indietro, soprattutto il Papato e Napoli, quest'ultimo a causa del persistere degli ordinamenti feudali, mentre di particolare interesse erano le osservazioni riguardanti Venezia e Firenze. dove la s ituazione politica scoraggiava la creazione di eserciti permanenti. Nel primo ca so, le forze permanenti furono scarse a causa delrinaffidabilità della nobiltà dell"entroterra. alla quale la Repubblica fu poco propen s a ad affidare la guida delle truppe, perché «un patrizio con una larga clientela in città e un esercito nel territorio potrebbe trasformarsi in un tiranno». Questo spinse alla costruzione di un esercito eterogeneo: forze mercenarie non sempre stabili e provenienti prevalentemente da Milano e dalla Romagna, forze au s iliarie territoriali, pure ritenute fedeli e abbastanza ben addestrate e corpi di cavalleria leggera (gli Stradiotti) che furono tra i principali clementi di successo dei veneziani 168 Nel caso di Firenze invece è la debolezza del potere dei Medici, non ancora consolidato. a impedire la creazione di una forza regol are pern1an ente, in quanto lo Stato mediceo " non è più il vecchio libero comune e neppure un vero principato, e non possiede l'antica mili zia comunale né le nuov e forze regolari del sovrano as s oluto »169 .A riguardo, sebbene non lo segnali direttamente. Pieri condivide le osservazioni di Delbri.ick, secondo cui gli s tati repubblicani della penisola e le s ignorie più deboli non costituirono eserciti stanz iali ritenendoli una potenziale minaccia interna170 • 100
Tra Salvemini e Dclbriick: la Crisi militare del Rinascimento
La tattica della guerra era altrettanto condizionata dagli elementi del territorio , pesantemente fortificato e dalla geografia, caratterizzata da numerosi ostacoli naturali. Così nel Quattrocento italiano, mentre si affermano le masse di picchieri svizzeri, adatti soprattutto allo scontro in campo aperto, la tattica italiana si centra su una cavalleria debole, perché inadatta al terreno , una artiglieria leggera ed efficace e una fanteria che combatte con una spada corta e uno scudo piccolo, capaci di garantire maggiore mobilità. Al tempo stesso pesarono notevolmente le fortificazioni campali , che inducevano ad una lunga serie di azioni preliminari per far uscire il nemico dagli accampamenti, così come si cercò il vantaggio del terreno per guadagnare la superiorità tattica. Ciononostante, negli ultimi decenni del secolo, soprattutto dopo il 1478, anche in Italia si affermò una forma di guerra controffens iva, se non addirittura offensivo-decisiva e nelle battaglie si combatté prima con tentativi di contenimento al centro e di avviluppamento ai lati da parte della cavalleria, poi anche con un assalto frontale della fanteria sostenuta dall'artiglieria. Pieri conclude perciò che la tattica italiana, pur con forme proprie, stava superando i metodi medievali verso una forma «più decisamente risolutiva ed offensiva» 171 •
Lo scopo di Pieri era dimostrare l'influenza che questi sviluppi avrebbero avuto nell'evoluzione più generale dell'arte della guerra, opponendosi alle tesi di numerosi storici del periodo, i quali, spesso riprendendo le narrazioni degli intellettuali rinascimentali, in particolare di Machiavelli, avevano ritenuto la tattica italiana arretrata. In particolare, questi studiosi avevano sottolineato la propensione dei condottieri italiani ad ev itare lo scontro risolutivo, facendo della guerra essenzialmente «un'arte», o come la definisce Oman una «partita a scacchi», in cui la manovra spesso si concludeva in una battaglia «senza sangue». Spesso questa storiografia accusava i condottieri della mancata comprensione delle innovazioni in fatto di impiego dell'artiglieria e della fanteria. Tali interpretazioni facevano giungere alla conclusione, come aveva fatto Hobhom, secondo cui la facilità della calata di Carlo VllI su Napoli fu dovuta alla ferocia delle truppe francesi sconosciuta agli italiani , per l'impiego della fanteria come arma offensiva decisiva 172 •
Pieri arrivava poi all'ultimo punto, ovvero come la strategia era influenzata dalla tattica, ma soprattutto come essa era connessa alle particolari condizioni della penisola, lette attraverso il paradigma della polarità tra strategia a1rnientatrice e logoratrice che aveva appreso dal Delbruck. Va detto che qui Pieri adopera anche la distinzione, sempre ripresa dagli studi tedeschi, interna alla strategia tra condotta politica della guerra (concezione strategica) e la condotta operativa173 .
Riface n dosi al primo livello, secondo Pieri l'azione degli Stati italiani era dettata da specifiche circostanze politiche. diplomatiche ed economiche della penisola:
(...1gli stati hanno bilanci e risorse notevoli, e gli eserciti possono essere tenuti in campo per periodi assai lunghi; ma i nuovi eserciti di professionisti. con parco d'artiglieria. costano d'altro canto in misura spesso eccessiva. e i prestiti forzosi e le nuove tasse possono accrescere paurosamente il numero dei malcontenti. Oltre l'elemento economico c'è ancora poi quello politico e diplomatico: governi e Principi si sono relativamente consolidati, ma restano sempre numerosi i malcontenti e gl'indiffcrcnti: nobili spodestati. funzionari e condottieri infidi. amici tiepidi r... J. Inoltre le città o provincie di recente acquisto sopportano mal volentieri il nuovo dominio [.. .) vi è pur sempre stato un equilibrio instabiJe. una profonda diffidenza tra Stato e Stato, un timore morboso dell'ingrandimento altrui: così che l'alleato di oggi può essere il nemico di domani e viceversa 174 •
Tuli limiti a loro volta inducevano ad una concezione operativa prudente, ne ll a quale s i tende ad evitare lo scontro campale decisivo, logorando il nemico con azioni secondarie. perché l'esercito rappresenta un capitale investito notevole e difficile da ricostruire, soprattutto a causa della sua crescente complessità tecnica (armature, artiglierie, specialisti). Anche la manovra è infl uenzata d a questa concezione, mirando prevalentemente a distruggere le linee di comunicazioni e rifornimento del nemico, per indurlo a ritirarsi senza dare battaglia. Siamo così di fronte ad una strategia difensivo-controffensiva, la quale lascia all'attaccante l'onere di logorar si nella conquista di posizioni fortificate e del terreno, mentre il difensore attende il momento migliore per contrattaccare. Nella conclusione del suo ragionamento sulla strategia italiana, Pieri affcrma che essa rappresenta il massimo sviluppo possibile della strategia logoratrice (o d'attrito), frutto delle condizioni degli Stati italiani e condotta come un vero e proprio virtuosismo, ma:
Al tempo stesso però appaiono evidenti i difetti di questa strategia, che sono poi quelli dell'ambiente da cui si emana: un mondo ancora in equilibrio instabile, fondato sulla diffidenza più che sull'amore, su interessi contingenti più che sopra una vera tradizione politica e diplomatica: i capi hanno limitata fiducia nei soldati. i governanti negli uni e negli altri. nonché nei sudditi e negli alleati: l'edificio che un uomo di Stato o il guerriero compone volta a volta presenta sempre il carattere di qualche cosa di poco solido, di transitorio : manca in alto e in basso un profondo motivo ideale, una idea-forza che guidi capi e gregari, militari e civi -
TI-a Salvemini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento li, e influisca su tutta la condotta di guerra. La crisi delle guerre d'Italia avrebbe messo a nudo soprattutto i numerosi elementi negativi di siffatta prassi guerresca 1n
In questo ci pare emerga tutta l'innovazione apportata da Pieri, che aveva combinato la metodologia della storia militare tedesca con l'interesse italiano per le questioni economico-sociali appreso da Salvemini, tracciando un quadro interpretativo originale della storia militare rinas cimentale che connetteva saldamente politica, economia, istituzioni militari e condotta della guerra.
Gli ultimi tre capitoli del testo passano alla narrazione dei fatti militari nella penisola tra il 1494 e il 1530, divisi in altrettanti periodi (1494-1501, 1502-1520, 1520-1530). Non è qui necessario ripercorrere tutte le vicende narrate da Pieri per sottoporle ad un vaglio critico. Gli elementi di interesse, in sintesi, sono sostanzialmente due: il primo è che, contrariamente a Delbriick e Oman (e pur rifacendosi soprattutto al primo), Pieri non valuta singolarmente le battaglie176 , ma le inserisce nella narrazione generale delle campagne, analizzando i fattori e i mutamenti politici che condizionano e sono prodotti dagli scontri decisivi delle guerre italiane; il secondo è che nella descrizione delle operazioni, Pieri insiste stù fatto che l'arte della guerra italiana influì sui contendenti che si affacciarono nella penisola, con la sua innovatività.
Il rapido successo di Carlo VIII infatti non viene ricondotto alle sconfitte subite dagli italiani sul campo, ma ad una favorevole combinazione politica. Gli italiani si aspettavano di logorare l'esercito francese nel suo progressivo penetrare nella penisola e per farlo tentarono di volta in volta di arginarne l'avanzata creando successive linee di difesa, secondo i principi della loro strategia difensivo-controffensiva. I francesi però riuscirono comunque a farsi largo grazie al crollo interno degli Stati italiani. Secondo Pieri, il passaggio delle difese italiane nell ' Italia centrale fu possibile «grazie alle preoccupaz ioni politiche del signore di Firenze», che temendo le conseguenze interne di una sconfitta militare aprì ai francesi il proprio territorio. La seconda linea di difesa preparata dai napoletani e dai pontifici nello Stato della Chiesa non fu efficace, perché i Colonna (nemici dell ' allora pontefice Alessandro VI Borgia) tradirono e passarono con Carlo VIII. Infine, con l'avvicinarsi al Regno di Napoli , le città e i territori dell'Abruzzo e del nord del Regno insorsero contro la dinastia aragonese, a causa della cronica infedeltà della nobiltà e temendo di subire i danni dell'avanzata francese177 . Perciò , sottolinea Pieri:
La calala di Carlo VITI mette a nudo non l'intrinseca insufficienza strategica o tattica degli italiani. ma soprattutto la loro insufficienza spirituale: la mancanza cioè d·un superiore forte sentimento di coesione sia come cittadini fra di loro e verso il proprio governo, sia come italiani n ei riguardi degli a ltri stati della penisola. Da ciò la debolezza coslituz ionalc da un lato e La fragilità e incertezza politica dall .altro. da ciò grinsuccessi politici che si traducono in insuccessi militari toslo che fra i contendenti sia apparsa una potenza estera organic amente più solida e capace d ' una politica ene rgica e risoluta 178 •
È quindi - secondo Pieri - nei limiti della politica che va rintracciata l 'orig ine delle sconfitte italiane , un dato ch e sec ondo lo studioso caratterizza tutte le guerre d'Italia. Analogo ad esempio il caso dctresercito veneziano dopo la battaglia di Agnadello (1 4 maggio 1509), combattuta in segu ito alla formazione della Lega di Cambrai, che racco g li eva l ' Imp e ro , la F rancia e g li spagno li ed era stata vo luta da papa Giulio II per rid im ensionare Venezia. rea di essersi espansa eccessivamente dopo la discesa dei francesi in Italia. La grave sconfitta è cau s ata , oltre che dalla superiorità numerica france se , d a ll e insuffici e nze del comando veneziano. riflesso di tutte le difficoltà di quell'imperfetto sistema militare. Ancora più grave, dopo lo scontro, le truppe in ritirata si trovano le porte delle città d etrentroterra sbarrate, segno del ver ificarsi del disgrega mento politico che aveva co lpito già Napoli e Milano. Alla fine, secondo Pieri. la Serenissima riuscì a salvarsi grazie alla maggiore so lidi tà politica, che permise di mobilitare le risorse d ella città e portò a lla vittor ia nell'assedio di Padova (settembre 1509), il qu a le perm ise ai ve neziani di guadagnare il tempo necessario per ap pro fittare delle crepe apertcsi nella coa l izione nemica, che avrebbe portato al rovesciamento delle posizioni e alla formazione della Lega Santa (151 1 ) voluta dal Papa contro i fran ces i 179 •
La conclusione di questo rag ionamento era che g li italiani eran o stati sconfitti mil itarmente non tanto a causa delle loro scarse prestazioni su l camp o, ma a causa delle divisioni politiche. Lam pante il caso della battaglia di Fornovo (149 5). dove g li it a liani due volte e mezzo superiori furono battuti a causa della 4>reoccupazione politica che aJ solito inceppava ogni migliore concenzion e operativa~180 • Perciò:
Debolezza interna cd esterna avevano infatti contrassegnato la vi ta po· litica italiana. L'invasione straniera aveva trovato nel 1494 un 'Italia politicamenlc divisa in stati al sommo grado gelosi e sospetto s i d'ogni recip roco ingrandimento. [ . ..1essa s i rovescia a nche nel momento in cui il
Tra Salvernini e Delbriick: la Crisi militare del Rinascimento processo di assestamento interno è nella fase più delicata, senza la rude e sia pur partigiana energia del vecchio stato città, e senza la for·za che viene da una nuova e più ampia concordia e da un potere superiore universalmente riconosciuto e accettato 181 •
L'altro aspetto chiave dell'interpretazione di Pi eri era quello del contributo italiano alla nuova arte della guerra. Circa quest'ultimo punto è particolarmente significativo quanto lo storico italiano afferma della battaglia di Cerignola (28 aprile 1503). Lo scontro è famoso soprattutto perché fu la prima battaglia significativa persa dai francesi in Italia. Combattuta nei pressi della cittadina pugliese, la battaglia vide gli spagnoli guidati dal Gran Capitan Gonzalo da Cordoba, che poteva contare su circa 10.000 uomini, misti tra s pagnoli, italiani e mercenari lanzichenecchi, contrapposti a 11.000 francesi, guidati dal Luigi d'Armagnac duca di Nemours, forti sop rattutto nella cavalleria pesante e per la presenza degli svizzeri. Gli spagno li sistemarono le loro forze nei rilievi ondulati vicini alla cittadina pugliese, migliorando le loro posizioni con lo scavo di un fosso, classico esempio di fortificazione campale. Lo scontro fu deciso dall'assalto della cavalleria francese, fermata proprio dal fosso, in cui il Nemours rimase ucciso e dal successivo fallimento dell'assalto della fanteria svizzera contro il centro spagnolo, tenuto dai lanzichenecchi. Anche l'impeto degli svizzeri fu spezzato dalla fortificazione, costringendoli a combattere da una posizione svantaggiosa, perché in basso rispetto al nemico, mentre venivano logorati dal tiro delle anni da lancio e degli archibugi delle ali spagnole . In breve tempo, l'assalto francese si trasformò in una rotta catastrofica. La battaglia fu identificata da Delbriick come il primo fulgido esempio di scontro tra eserciti dopo la trasformazione della fanteria avvenuta nella prima età moderna182
Al tempo stesso, la narrazione storiografica dominante dell'epoca, dovuta prevalentemente a Hobhom , attribuiva a Gonzalo l'ideazione del metodo difensivo-controffensivo che risultò vincente in Puglia e che sarebbe stato ripreso in tutte le guerre rinascimentali, anche dai condottieri italiani al servizio di sovrani stranieri, come Pietro Navarro e Prospero Colonna183 • In realtà, secondo Pieri , fu quest'ultimo, assieme al fratello Fabrizio, entrambi al servizio di Gonzalo, a disporre l'esercito spagno lo e a ideare la fortificazione campale che fermò la cavalleria francese e gli svizzeri. Per lo storico italiano, a Cerignola la tattica spagno la è <<sostanzia lm ente italiana», mentre la superiorità straniera si esercita soprattutto nell'ambito strategico, dove gli italiani sono debo- li a causa dei fattori di cui abbiamo detto1 84 • In conclusione, Pieri afferma che:
L'organismo degli stati italiani dal punto di vista puramente tecn ic o , non ci è risultato in complesso, non solo attorno al 1494, ma anche nel primo periodo della crisi, inferiore a quello degli ultramontani; sotto molti aspetti, anzi, superiore. Niente tornei, finte battaglie, rese in massa, ma guerre serie e sanguinose; e neppure una guerra prettamente, ostinatamente medievale, come vorrebbe lo Hobohm , ma una guerra con spiccata tendenza evolutiva, sviluppo accanto alla cavalleria pesante, di cavalleria leggera, artiglieria leggera , fortificazione permanente, fortificazione permanente e campale, fanteria destinata ad avere ragione di questa: strategia logoratrice sì, ma capace di azioni strategiche e risolutive, energiche e brillanti! Tutta l'arte militare degli ultramontani posteriore al 1494, crediamo d'averlo dimostrato è profondamente influenzata dalla strategia e dalla tattica italiana185 •
Naturalmente, quanto afferma Pieri risentiva della propria personale esperienza e del proprio sentimento nazionale: essi lo inducevano a ricercare il valore militare degli italiani dove esso era stato negato dalla storiografia esistente. Infatti, secondo Del Negro, l'obiettivo del lavoro di Pieri era duplice: rivendicare la superiorità della tecnica militare italiana e studiarne la crisi militare in relazione all'avvento dello stato moderno, ovvero dello «stato forte)). Al tempo stesso, l'antifascista Pieri si intratteneva col rapporto «antago nistico » assegnato alla monarchia sabauda rispetto a quello stato forte fascista, assegnando a quest'ultima una «funzione assiomatica» in quanto nelle conclusioni del volume sottolineava che il futuro sarebbe appartenuto al ducato di Savoia, stato capace di coniugare sviluppo politico e militare186 • Forse va aggiunto che questo va compreso alla luce della volontà dello studioso di evitare compromissioni con la retorica savoiarda di parte degli studi, influenzata come abbiamo v isto dall'azione di De Vecchi dalla quale Pieri aveva voluto svincolarsi. II libro gli valse gli apprezzamenti del mondo accademico, Alberto Maria Ghisalberti lo definì un'opera fondamentale e anche i militari, solitamente riottosi all'intromissione dei civili nella storia militare, ammisero che Pieri si era «mosso egregiamente>f187 •
Un dato fondamentale fu comunque la volontà dello stud ioso di provare a preservare l'indipendenza del dibattito negli anni del regime. A riguardo è sign ificativa la recensione che Omodeo fece del volume sulla «Critica», la rivista diretta da Croce :
Tra Salvemini e 11clbriick: la Crisi militari! del Ri1wscimcmto
Qucst.'opcra, il maggior contributo italiano di questi anni alla storia del Rinascimento. dà un senso di conforto. Non solo perché ci fornisce una migliore conoscenza, lungamente e scrupolosamente elaborata, delle vicende militari e politiche ed economiche dell'Jtalia nei seco li XV e XVI. ma anche perché ci dà affidam e nt0 che da noi non si è ancora perduto del tutto il tipo dello studioso che vive con dedizione assoluta del suo problema, ne fa la sua id ea dominante, e lo innesta in una più vasta ~isione chiarendo i nessi e i processi [... ]. Da una parte smantella il mito degl'Italiani imbelli e inetti alla guerra: ma dall'altra. per ciò che si riferisce alla politica. riconferma. liberandolo dalle stratificazioni retoriche e senùmentali, il giudizio che la storiografia del Risorgimento aveva dato dell'età del Rinascimento 188 •
All'estero l'eco del lavoro di Pieri fu scarsa, a causa del limitato numero di copie in cui fu stampato e probabilmente anche per la barriera linguistica. In seguito, negli ann i Quaranta, su sp int a di Omodeo, Picri cominciò una revisione del saggio pensando a una ripubblicazione che sarebbe dovuta uscire prima per i tipi dell'IS PI, poi per quelli di Mondadori. ma che alla fine sarebbe stata pubblicata dall'editore Einaudi solo nel 1952. Dal punto di vista interpretativo non ci furono grandi cambiamenti da l 1934 al 1952 e il lavoro fu integrato prevalentemente aggiungendo maggiori dettagli sulla guerra franco-spagnola nel mezzogiorno:
[.. .] per la nuova edizione della mia Crisi militare nel Rinascimento: ho accettato tutte le condizioni che mi sono state proposte, intendo ora rivedere il testo e fare qualche aggiunta. Dietro precedente consiglio del Fedele mi ero rimesso a rifare le pagine relative alla guerra franco-spagnola del 1502-03 nel regno di Napoli, trattandola più diffusamente. ed ero a buon punto. quando fui arrestato 189 •
Nella nuova edizione l'apparato di note fu allegger ito su richiesta dell"editore. rendendo la prima edizione più interessante per l 'ana lisi della metodologi a di Pieri. Le modifich e rafforzarono l'attenzione all'impatto della tattica italiana difensivo-controffensiva, riprendendo quanto l'autore aveva anticipato in un o studio del 1938 a riguardo, dedicato alla battaglia del Garigliano (1 503), in cui gli spagnoli riuscirono nuovamente ad impiegare la tattica difensivo-controffensiva italiana con successo. questa vo lta lanciand osi anche all'inseguimento del nemico e facendone strage190 • Altre modifiche riguardarono il capitolo V, dedicato alle classi sociali e gli stati, che subì alcuni rim aneggiamenti , soprattutto per l'inserimento di due paragrafi dedicati al ducato di Savoia191 •
Tabe/In di raffronto tra le edfaioni del 1984 e del 19.52
Secondo D el Negro. quest'ultimo aspetto permetteva di rimediare alla lacuna presente nell'edizione del 1952, dopo che il referendum del 1946 aveva fatto «piazza pulita dell'ipoteca sabauda>•192 • Tuttav ia, bisogna anche considerare che so lo quando fu a Torino ebbe accesso a documenti e ricerche necessarie ad approfondire questo aspetto della storia militare italiana, tanto che come abbiamo visto pensò anche di scrivere una sto ria dell'esercito sabau do, che poi decise di abbandonare, con l'approvazione di Salvemini:
Tra Sal vemini e Dclbriick: la Crisi militare d e l Rinascime nto
Hai avuto perfettamente ragione ad abbandonare la storia dell ' esercito piemontese dal 1559 al 1859. Non avresti avuto niente da dire salvo che i soldati piemontesi ~stavano bene al fuoco » come si suol dire in linguaggio culinario193
Nel secondo dopoguerra, la fama del testo crebbe anche a livello internazionale e nel 1950 al Congresso internazionale di scienze storiche di Parigi, scriveva Pieri a Calamandrei, fu definita: f...] dal Prof. Ner 9 4 dell'Università di Chicago, nella sua relazione introduttiva. sopra la storia militare , la mia crisi militare italiana del Rinascimento fra i tre più significativi lavori del genere apparsi negli ultim i sessant'anni accanto cioè al Mahan , The influence of sea power upon history. e al Sombart, Krieg und Kapitalismus 'Iroppo onore in vero non chiedevo tanto 1 95 •
Con l'edizione del 1952, ristampata identica nel 1970, si assistette poi ad una vera e propria consacrazione, con numerose recensioni su importanti riviste straniere, che riconobbero unanimemente il merito di Pieri di aver compiu to una piena rivalutazione dell'arte della guerra italiana, evidenziando come essa fosse non solo all ' avanguardia, ma anche produttrice di innovazioni che si diffusero nel resto cl'Europa196• Il successo di questi anni funzionava da tardivo riconoscimento e segnava in un certo senso l'apogeo dell'interpretazione di Pieri , che uno storico delle istituzioni militari rinascimentali ha definito «geniale», anche se legata ad una visione tradizionale degli studi197
Quanto l'interpretazione di Pieri fosse stata innovativa lo sugger isce Michael Mallett, autore di un saggio importante sulla guerra nel Rinascimento italiano, uscito nel 1974, quando gli studi si erano già evoluti nella direzione della storiografia «war and society». Riguardo la condotta della guerra nell'Italia del Quattroc e nto , Mallett presentava quarant'anni dopo conclusioni del tutto analoghe a quelle d i Pieri 198 • Lo studioso britannico riconobbe che nelle battaglie del Quattrocento si trovavano già operanti molti dei fattori che furono decisivi nella guerra del Rinascimento italiano riconosciuti da Pieri: «il molo delle fortificazioni campali , la complessità del processo decisionale circa le operazioni da svo lg ere, il sagace uso del terreno e delle spie, l'uso dell'artiglieria e la coordinazione delle varie armi»199 Infine, allo storico toscano, Mallett riconosceva di aver messo le «cose a posto», in quanto prima di Pieri la storiografi.a aveva svalutato sistematicamente il molo degli eserciti italiani rinascimentali 200 • Da allora Pieri ha mantenuto la sua posizione
Pieri storico militare di riferimento negli studi per questi aspetti, comparendo regolarmente nelle biografie e nelle note dei lavori riguardanti la guerra nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, come opera fondamentale 201
Se oggi infine possiamo notare un limite complessivo nel lavoro di Fieri sul Rinascimento esso forse era quello intrinseco agli studi della prima generazione di storici militari, cioè quello di una sopravvalutazione della prospettiva dall'alto per spiegare vittorie e sconfitte, pur considerando politica, economia e in misura minore società. Invece, a partire dalla fine degli anni Cinquanta e soprattutto dai Sessanta, gli studi sulla guerra nel Medioevo e Rinascimento avrebbero attraversato importanti cambiamenti. Fu soprattutto con l'affermarsi dei «war and society studies» che l 'attenzione si sarebbe posta su altri temi : il rapporto stato-società-istituzioni militari, l'esperienza della guerra e gli aspetti giuridici, etici e religiosi (lato sensu culturali) ecc.
Per il periodo discusso dalla Crisi militare si pensi alle novità storiografiche impo ste dalla discussione attorno alla «rivoluzione militare» dell'età moderna, una discussione aperta nel 1956 da Michael Rob erts, le cui tesi sono state ampliate e precisate da Goeffrey Parker negli anni settanta e ottanta, facendo emergere la stretta connessione tra la dinamica della guerra e le evoluzioni degli Stati, dell'economia e della società202 • Sempre su questo filone, ma ancor più orientati alla dimensione della sto ria soc ia le delle istituzioni militari, possiamo citare gli studi di André Co rvis ier su ll 'esercito francese di antico regime, comparsi alla fine degli anni C inquant a e centrati s pecificatamente sulla composizione sociale dell'istituzione203 • Seguendo questa scia, ma dedicatasi specialmente al tardo medioevo, spicca poi la figura di Philippe Contamine, il quale a partire dagli anni Sessanta ha prestato fortissima attenzione ai combattenti e al loro reclutamento. E poi, per l'esperìenza della guerra, non possiamo non ricordare John Keegan e il suo <<Volto della battaglia» 204 Una sintes i di tutta questa evoluzione può essere considerata il saggio, più tardo rispetto agli altri, di J.R. Hale su guerra e società nell'Europa del Rinascimento, il quale offre una panoramica complessiva dell'impatto della guerra sugli Stati e le loro istituzioni, l'economia, lo sviluppo tecnico, gli aspetti giuridici connessi alla guerra e le ricadute sociali e umane del rcclutamento 205 Si tratta di sviluppi che hanno riguardato anche l'Italia, dove pure si è assistito ad un profondo rinnovamento degli studi sulla guerra m edioevale e rinascimentale, che ha però sempre riconosciuto a Fieri il ruolo di capostipite degli studi più seri206
Tra Sal\'emini e Delbriick: la Crisi milil<m.> del Ri11asrime11to
Il lavo ro di Pieri s ul Rinascimento. che pure ai fattori economici prestò m o lta più attenzione di O elb riick e di Oman. resta quindi uno dei migliori esempi dell e origini d e lla storia militare co me disciplina accademica in Italia. Una tradizion e che guarda va preva le ntement e alla relaz ion e tra gue rra e politica e c he in Itali a s i affermò nonostante le diffico ltà imposte dalla presenza di un regim e c he es ig eva un'acritica esaltazione del valo r e militare nazional e . Un aspetto che si sa rebbe prese ntato in maniera se possibile ancora più n etta nella memoria e neg li studi re lativi a ll a Grand e guerra.