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Tra Risorgimento e Resistenza
from PIERO PIERI
Nel secondo dopoguerra, quando ormai Fieri aveva raggiunto una sistemazione stabile a Torino e si era assestato nella considerazione accademica come riferimento nella storia militare , gli interessi dello studioso si erano ormai definiti. Se da un lato giunse al completamento delle ricerche sulla Grande guerra, la libertà offerta dalla Repubblica gli permise di passare allo studio del nuovo fenomeno storico di cui era stato nel suo piccolo protagonista e testimone , la Resistenza, e di riprendere le ricerche sul Risorgimento, accantonate negli anni Trenta a causa della censura. I due fenomeni si ricollegavano idealmente all'interno di quel paradigma politico e culturale antifascista che, pur tra profonde divisioni ideologiche esistenti nello scenario politico italiano della guerra fredda, costituiva il fondamento della nuova democrazia repubblicana1 •
Nell'ambito degli stud i sulla Resistenza , Pieri operò prevalentemente attraverso analisi storiografiche che contribuirono a legittimare il i<paradigma antifascista» dominante negli studi fino agli anni Sessanta. Fi eri fece parte di quella che è stata definita la «prima fase » delle ricerche sulla Resistenza, quella degli storici -protagonisti, spesso non figure accademiche professionali - anche se non è questo il caso - ma intellettuali e uomini politici che, come è accaduto per la prima guerra mondial e, trasferirono la propria esperienza negli studi2
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Nel contesto del Risorgimento, Fieri lasciò da parte le analisi politico -economiche che avevano caratterizzato i suoi primi studi, per dedicarsi maggiormente agli aspetti più strettamente politico-militari che sarebbero confluiti nella sua Storia militare del Risorgimento (1962). il quale , sottolinea Del Negro, ha mantenuto il ruolo di «indispensabile testo di riferimento di ch i s'interessa di questa fase storica»3 •
Pieri e lo studio della Resistenza
Il dopoguerra italiano, fino alla fine degli anni Ottanta, fu dominato dal punto di vista politico, culturale e anche storiografico dal cosiddetto «paradigma antifascista•>. Dopo la Liberazione tutte le forze politiche democratiche e liberali, marxiste e cattoliche rivendicarono il proprio ruolo nella guerra al nazifascismo: comunisti e azionisti per aver sostenuto il maggior peso nella lotta armata contro i «repubblichini» e i tedeschi; i monarchici per il ruolo svolto dal Regno del Sud e dalle sue forze armate; i cattolici per quello della chiesa nel supporto alla lotta. Il clima ideologico teso, connesso alla guerra fredda , l'affermarsi del centrismo e della Democrazia Cristiana, che rivendicò (senza mai ottenerlo davvero) un ruolo egemone anche dal punto di vista culturale, il ripresentarsi di monarchici e fascisti, portarono ad una crescente contrapposizione sw ruolo della Resistenza. Tuttavia, a partire dal decennale della Liberazione (1955), fu chiaro che un paradi gma antifascista era riuscito ad affermarsi e a fondare una «narrazione egemonica» che costituiva il sostegno ideale e politico della nuova Repubblica, compreso un richiamo al passato antifascista su cui si fondava 4.
La maturazione di questa narrazione avvenne in un contesto politico, economico ed ideologico complicato. Tutta l'Europa era percorsa dalle spaccatura che la guerra e l'occupazione nazista avevano creato in quasi tutti i Paesi e con la fine del conflitto si era aperta una «resa dei conti» che non fu mai condotta fino in fondo, contribuendo ad alimentare le divisioni relative alla memoria del conflitto5 • Con l'inasprirsi della guerra fredda e quindi dell'anticomunismo, la storia della Resistenza perciò divenne oggetto anche del confronto ideologico. Ciononostante, anche se il processo di storicizzazione della Resistenza richiese tempo, una prima fase degli studi scientifici (di cui Pieri fu tra i protagonisti italiani) avrebbe cominciato a maturare negli anni Cinquanta e sarebbe durata fino agli inizi degli anni Settanta, completando il processo di «storicizzazione» della Resistenza 6 •
A livello europeo, come tutte le storiografie della «prima generazione», lo abbiamo visto nel caso della Grande guerra, anche Io stud io della Resistenza fu caratterizzato da una forte connessione all 'esperienza personale degli studiosi 7 • In questo periodo, le ricerche prestarono una fortissima attenzione alle componenti politicamente più attive nella lotta armata, quindi ai comunisti e agli azionisti, anche per il disinteresse verso quei soggetti che erano ritenuti r ei di «attesismo »8 •
Di conseguenza, anche dal punto di vista tematico gli elementi centra - li delle prime storie della Resistenza furono la guerra partigiana e la sua leadership politica9 •
Risorgimento e Resistenza
Nell'analisi degli aspetti etico-politici della Resistenza , ebbe notevole importanza il richiamo ai valori del Risorgimento. Si trattò di un punto su cui conversero, più o meno , tutte le posizioni politiche e ideologiche dello schieramento resistenziale, tanto da far affermare la definizione della Resistenza stessa come «secondo Risorgimento»10. Anche in questo caso la situazione italiana non era unica, !'«irenismo», ovvero il tentativo di coagulare le diverse facce della Resistenza intorn o ad una posizione comune e i conflitti politici e culturali che ne conseguirono, trovavano un parallelo in Francia, dove i primi passi per l'evoluzione degli studi avre bbero avuto sfaccettature simili a quelle italiane11 •
Fra i tanti segnali di questa concorrenza può essere ricordato che, già nel tempo della lotta, il Partito comunista e il Partito d'Azione si erano rifatti al Risorgimento: il primo denominando le proprie formazioni militari Brigate Garibaldi , e il secondo nella stessa propria autodefinizione, con il richiamo alla democrazia radicale di matrice mazziniana del primo Partito d'Azione (1853 -1867). Gli azionisti che si sentivano eredi dell'interventismo democratico del 1914-1915, come il loro leader Ferruccio Parri, posero la lotta resistenziale in continuità non solo col Risorgimento , ma anche con la Grande guerra, contro quello che era il tradizionale nemico degli italiani: i tedeschi12
Nel dopoguerra questa connessione costituì parte integrante del bagaglio politico e culturale dei partiti e del mondo accademico italiano, pur con utilizzi e accezioni molto diversi che potevano andare dalla retorica neoguelfa dei cattolici fino al suo utilizzo, soprattutto da parte dei comunisti, come parte dell'ideologia dell'unità della Resistenza13 Il richiamo al Risorgimento comunque costituì una base comune per la costruzione della memoria della seconda guerra mondiale, contribuendo a sostenere chi - come Benedetto Croce - aveva proposto un ' immagine del fascismo come parentesi della storia nazionale1 4.
Il paradigma in questione si traslò anche negli studi, favorendo le interpretazioni moderate della Resistenza pronte a vedere una relazione diretta Risorgimento -Resist enza che in ev itabilmente avrebbe circoscritto gli elementi invece di rottura e discontinuità che erano stati propri della lotta antifas cista, partigiana e resistenziale. Nell'Italia degli anni Cinquanta, per chi la Resistenza l'aveva fatta nelle file degli azionisti, come Pieri, l'obiettivo politico era la costituzione di una democrazia pienamente compiuta. Viceversa, il clima politico sembrava indirizzarsi in senso conservatore, se non reazionario, rischiando anche di «espungere, quasi, la Resistenza dalla storia del paese»15 Da queste spinte politiche derivò anche il tentativo dell e forze moderate di ridisegnare la storia della Liberazione in chiave moderata , ponendo maggiore enfasi sul molo del Regno del Sud nelle vicende del 1943-1945 . li massimo esempio di questa interpretazione moderata è possibile trovarlo in una raccolta di saggi pubblicata nel 1955 , in occasione ciel decennale della liberazione, dall'eloquente titolo ll s econdo Risorgimento. Nel decennale della. Resistenza e del ritorno alla d em ocrazia 19451955. Si trattava di nove testi, tra i cui autori comparivano alcuni studiosi di rilievo , come Luigi Salvatorelli e il generale Raffaele Cadorna, comandante del Corpo dei Volontari della Libertà (CVL), rappresentante quindi dell'avvenuto coordinamento tra le forze partigiane del Centro -Nord e il Regno del Sud 16 .
Diversa era invece l'impostazione della storiografia vicina alla sinistra, fra cui Roberto Battaglia, già azionista e poi comunista, figura fondamentale di questa fase degli studi, soprattutto per il s uo volume del 1953 sulla Storia della. Resistenza. Scriveva Battaglia:
Pun to di partenza e non d'arrivo. Qualunque siano le vicende che il futuro riserba all'Ita li a è certo che la strada delravvenire passa per la Resistenza, è certo che le forze popolari hanno messo nel paese qu el le rad ici profonde che erano manca te nel primo Risorgimento 17
Nel dopoguerra , pure in termini e da lidi molto diversi da quelli di Pieri, anche Battaglia era pronto a ritenere che lo sviluppo storico italiano andasse osservato nei tennini di un lungo percorso dal Risorgimento alla Res istenza, ma senza per questo cedere e ignorare gli aspetti di discontinuità nel passaggio dall'uno all'altra 18 •
L'ambiente degli azioni s ti, più vic ino a Pieri , avrebbe invece riproposto insistentemente la continuità di valori della democrazia radicale risorgimentale dalla lotta per l'Unità alla Grande guerra sino alla Resistenza. Al riguardo si pen s i ai richiami di Calamandrei alla Res istenza come moto di volontari che egli accomunava all'esp erienza d egli interventisti democratici del 1915-1918 19 • Ad esempio, Ferruccio Parri - peraltro presidente dell'Istituto per la storia del movimento di Liberazione - abbondò sempre nei richiami n eo-risorgimenta1i 20 • Infine , qui anche per la sua relazione con Pieri, è opportuno ricordare Salvemini, il quale, affascinato dall'idea mazziniana e dai sogni risorgimentali di questo per un'insurrezione popolare, riteneva che con il 1943 -1945 si fosse verificata finalmente quella piena maturazione della nazione italiana intorno all'idea democratica, capace di legare ad essa non solo gli intellettuali, ma anche gli strati popolari che avevano partecipato alla lotta di liberazione21
Pieri, dopo il 1945, era fortemente connesso a tutti questi ambienti: lettore del «Ponte», frequentatore di Calamandrei, autore di saggi per l'ISMLI, restò legato in particolare alle posizioni a matrice democraticointerventista salveminiane. Per lo stud io so, Risorgimento, Grande guerra e Resistenza erano fra loro intimamente connessi a dimostrare il processo di sviluppo unitario e costante verso la democrazia che governava la storia italiana. Tutto ciò rifletteva la sua doppia esperienza di storico e di resistente, come ricordò agli studenti dell'ateneo torinese nel 1961:
Comunque, il professore di Storia della Faco l tà di Magistero doveva aver veramente delle 'idee pestilenziali', com'ebbe a dire il capo della polizia politica fascista, l'ineffabile Maselli, perché i suoi collaboratori Andrea Dho, Sandro Bortolotti, Teodolfo Tessari, Carlo Pischedda, cui si aggiunsero poi Marcello Secco e Raimondo Luraghi, parteciparono in misura diversa e talora molto rilevante alla cospirazione alla lotta: il Dho , pur nutrito d i altri ideali. era caduto da prode in Russia obbedendo al suo dovere di soldato, e il Tessari era sfuggito alla condanna a mone con taglia . Così la vecchia tradizione di Mazzin i, di Cattaneo, e di Sa lvemini si continuava spontaneamente presso la cattedra di Storia della Facoltà di Magistero a Torino, ed era non piccola soddisfazione per il vecchio insegnante il veders i non discaro come compagno di lavoro a una tale schiera di giovani22 •
Per comprendere quanto forte fosse, per Pieri , la connessione tra Risorgimento, Grande Guerra e Resistenza è significativa una lettera che inviò ad Alessandro Galante Garrone nel 1954. Quest'ultimo, il 15 novembre aveva scr itto un articolo sulla «Stampa» intitolato La generazione del Carso, in cui evidenziava la cesura netta che separava la guerra del 1915 , cui quella generazione aveva aderito in nome degli ideali ereditati dal Risorgimento, e la completamente diversa retorica bellicista del fascismo . Tale diversità aveva nutrito ideali che costituiva no anche la base comune su cui la Resiste nza aveva lottato contro i tedeschi tra il 1943 e il 19452 ~. Il giorno successivo, Pieri inviò questa accalorata lettera all'amico:
Torino, 15-IX-"58
Carissimo Galante Garrone. permetti che mi congratuli di tutto cuore con te, per il magnifico articolo: La Generazione del Carso. apparso sulla Stampa di ieri. L'ho letto d'un fiato. con un senso di commozione soJJievo, non si poteva scrivere una più nobile e sincera rivendicazione dei valori morali della guerra '15-'18, va lori falsati in pieno dalla retorica gaglioffa del fascismo. negatrice di rutta la tradizione più nobile del nostro Risorgimento.
Bene hai fatto a ricordare quanto scrisse l'Omodeo in quel magnifico libro che io non mi stanco di elogiare appena posso. E ottimo è stato il tuo ricollegare la Resistenza al Risorgimento, in quanto essa aveva di più nobile, di più vitale, di valore davvero universale.
Se dovessi congratularmi per i tuoi scritti sulla Stampa ad esprimerti ogni volta il mio consenso e la mia ammirazione non ti darei tregua. non ti lascerei in pace. Ma qualche volta non riesco a trattenermi!. ..
Il 12 ottobre sc.-orso ho commemorato a Vene.zia. nel Palazzo Ducale, presenti le autorità, la grande guerra vittoriosa del 1915-18. TI mio discorso è piaciuto, ho avutO, specialmente dai giovani, molti applausi. Io parlai con tono nettamente mazziniano-salveniniamo perché non mi sento. a 65 anni. di rinnegare gli ideali nostri di quaranta e quarantacinque anni fa [ Ju .
In un"altra occasione. parlando al convegno della 4<Scuola democratica>1, tenutosi a Torino nella primavera del 1952. affermava:
Così non sì può negare. anzi si deve nei testi scolastici affermare come cosa fondamentale che il Risorgimento è stato animato da un profondo motivo spirituale, da quella che il Croce ha chiamato «religione della libertà" libertà d'opinione, d"associazione, di scampa: e che il fascismo l'ha irrisa e soppressa in ogni sua forma; e che la R esistenza l'ha riaffermata di fronte ai tribunali speciali. nelle galere, nel confino. nell'esilio e infine sui campi di battaglia durante l'aspra lotta partigiana [ ).
E resistenza e lotta partigiana significarono non solo lotta di liberazione dall'eterno barbaro: ma sforzo generoso di rinnovamento spirituale. di purificazione dopo tanti anni di vergogna r... ). Tutto questo non va nascosto ai giovani: si tratta d'un grande patrimonio morale da salvare e trasmettere; si tratta di chiarire le idee a molti illusi e ignari: e la scuola non deve mancare a questo altissimo suo compito: e i libri di testo non devono mostrarsi muti di fronte alle fondamentali esigenze della formazione spirituale dei nostri giovani. La Repubblica italiana è sona dal sangue e dal sacrificio sopra un"immane rovina: ma è sorta dagli elementi mig l iori non dimentichi delle tradizioni della patria25 •
In questo testo so no p resenti tutti i rich iami alla co nn essione R isorgimento-Resistenza di cui abbiamo detto: la matrice di valori democratico-liberali che nell'Ottocento avrebbero permesso la maturazio n e della nazione italiana; il fascismo come rottura nella storia nazionale che irride e contrasta questi valori; la n ecessità pe r la nuova R epubblica d i insegnare aIJe giovani generazioni i valori di democrazia e libertà come base per la costruzione della nuova Italia democratica.
L'opera dove questa connessione emerse in misura più evidente e importante fu il saggio Fascismo e Resistenza, pubb licato nel 1 956, nell'abito di un numero monografico dell a rivista dtinerari11 intitolato n on a caso Prospettive storiografiche in Italia: Omaggio a Gaetano Salvemini26. Pieri vi offriva una linea interpretativa di tipo etico-politico che faceva della Resistenza un passaggio fondame n tale della storia nazionale, in q u anto riscatto definit ivo dai mali nazio nal i post-co n cilio di Tren to . AJ tempo stesso, criticava l'impostazione classista della storiografia di sinistra e in particolare di Battaglia, sostenendo, come già aveva fatto riguardo la Grande guerra, il ruolo vitale avuto dalla borghesia tra il 1943 e il 1 945 2 7 • Tuttavia, lo sto rico rite neva anche che la R esistenza avesse confermato la piena maturità della nazione: anche il proletariato urbano aveva aderito all'opposizione armata al nazifascismo. contrariamente a quanto era accaduto nel periodo risorgimentale. Scrivendo la prefazione al lavoro di R aimondo Lurag hi sul movimento operaio to rinese nella Resistenza, affermava:
È rilievo comune che il Risorgimento italiano fu opera d'una minoranza virtuosa, la quale sia nelle città che nelle campagne trovò ben scarso segu i to nei ccci inferiori, quando non dovette lottare contro la loro aperta ostilità: e i tentativi di pochi gruppi animosi di provocare un vasto incendio rivoluzionario fallirono assai spesso nelle nostre città per la mancanza d'un proletariato industriale conscio dei suoi diritti e dei suoi doveri, e nelle campagne per l 'ostilità d'un contadiname arretrato, nelle mani d'un clero reaziona ri o. Solo dopo cinquant'anni di vita unitaria e l'esperienza della grande guerra del 1915-18. nel secondo Risorgimento si poté notare il diverso animo della popolazione sia di fronte alla nuova tirannide interna che rispetto poi all'invasore straniero, così che fu possibile la grandiosa affermazione della Resistenza armata del 1943-45 . Ma essa è un fenomeno o ltremodo complesso, che va stu diato analiticamente. pazientemente. di sui documenti , con grande sforzo di obiertività nei suoi molteplici aspeni 28 •
Proprio perché questa volta gli italiani dimostrarono la capacità di sapere di radunarsi dietro l'ideale democratico, frutto di una maturazione che andava rintracciata in un percorso cominciato molto prima del 1943:
Da noi, Resistenza significò ben prima opposizione al fascismo, per lo meno, entro certi limiti, dal principio del 1921, quando cominciò veramente ad affermarsi; certamente dall'ottobre 1922 e in pieno dal gennaio 1925, allorché si mutò in un elemento distruttore di tutte le libertà e demolitore delle precedenti conquiste politiche e sociali, di cui l'Italia poteva andare orgogliosa29 • Comunque l'espressione può servire, perché indica la maggiore piena estrinsecazione della Resistenza fino a divenire una 'guerra totale'; e d'altro lato mostra come la fase finale non possa scindersi dal lungo precedente periodo, che la preparò30
Con la sua connessione Risorgimento-Resistenza e la visione del periodo 1943-1945 come definitiva maturazione della nazione italiana, capace per questo anche di sostenere una guerra totale, Pieri andava ad iscriversi appieno nel paradigma antifascista che dominò gli studi del dopoguerra, ricevendo anche l'apprezzamento del maggiore studioso europeo della Resistenza, Henri MicheP ' . Tuttavia, il suo contributo scientifico maggiore su questi temi va ricercato soprattutto nelle analisi dei problemi metodologici connessi alla storia della Resistenza, frutto della collaboraz ione con l'ISMLI di Parri.
Per lo studio scientifico della Resistenza
Nelle fasi iniziali, la storiografia della Resistenza fu caratterizzata da un carattere fortemente memorialistico, spesso a sfondo locale e affidata alla voce dei protagonisti, centrata sugli aspetti in primo luogo politici e poi anche militari . Non si trattava di una peculiarità solo italiana, anche in Francia lo studio della seconda guerra mondiale e della Resistenza aveva le stesse caratteristiche, come prodotto della vicinanza del conflitto3 2 In Italia , la sintesi iniziale di questa tendenza fu la «triade» di lavori di Luigi Longo, Leo Valiani e Raffaele Cadorna. Tutti e tre questi volumi rinviavano all'esperienza personale degli autori : i primi due, tra i maggiori esponenti politici rispettivamente della Partito comunista e del Partito d'Azione; il terzo, comandante militare, insisté più sul ruolo svolto dall'esercito regolare del Regno del Sud e dalla sua personale funzione di capo del CVL, con un parallelo ridimensionamento del ruolo delle formazioni politiche e dei partigianp:i _
A questa primissima fase fece seguito un tentativo di ridimensionamento del ruolo della Resistenza, corrispondente con la prima legislatura repubblicana (1948-1954). In seguito all'inasprimento della tensione politico-ideologica, agli effetti dell'amnistia Togliatti, alla fine del processo di epurazione, alla scarcerazione di alcuni esponenti chiave della RSI (Rodolfo Graziani e Junio Valerio Borghese per fare due esempi), alla nascita del Movimento Sociale Italiano e i processi ai partigiani, sembrò ridursi l'enfasi precedente sulla lotta resistenziale, se non proprio ripresentarsi la possibilità di un tentativo di riabilitazione del fascismo 34 • Era anche il momento in cui venivano pubblicate le memorie di protagonisti del ventennio, trincerati a difesa del proprio operato, a cominciare dallo stesso Graziani, ma anche del generale Mario Roatta, capo di stato maggiore dell'esercito nel 1943 e tra i responsabili del disastro dell'8 settembre10 •
In questo clima di «restaurazione clandestina», come lo ha definito Santomassimo, si assisté però ad una sorta di reazione , da parte dei protagonisti della lotta resistenziale (e degli intellettuali, fra cui alcuni storici, loro vicini), che può essere sintetizzata nella fondazione nel 1949 dell'ISMLI, voluta da Parri. Nasceva così un centro propulsore della valorizzazione della memoria, e al tempo stesso di studi seri e scientifici, nonché di convegni . Di quella stagione molti furono i prodotti, co m e il Congresso di Venezia sulla Resistenza e la cultura italiana 36 e il volume Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana37, che fece emergere senza mediazioni «l ' humus da cui l'esperienza antifascista e partigiana aveva tratto forza e vita>>, travolgendo la retorica ufficiale moderata 38 •
Negli stessi anni nasceva, fra gli storici, la necessità di riflettere in maniera nuova su n,tta la storia d'Italia e sul ruolo avuto in essa dalla Resistenza. Parte di questa riflessione fu il contributo magistrale di Federico Chabod, nelle lezioni sull'Italia contemporanea tenute all'lnstitut d'Etudes politiques di Parigi nel 1950, ma uscite solo nel 1961 per l'Einaudi di To rino. In queste pagine, il grande storico avrebbe illustrato una prima analisi del var iegato paesaggio politico della Resistenza, ma anche del ruolo della chiesa durante il periodo dell ' occupazione e del Regno del Sud, come elementi di cont inui tà e dello stato di cose pre-esistenti39 In quegli stessi primi anni Cinquanta, Battaglia sarebbe giunto alla determinazione che fosse arr ivato il momento di procedere alla scrittura di una storia scientifica della Resistenza, meno legata alle valutazioni di tipo celebrativo: da qui il suo volume del 1953, la prima grande ricostruzione dettagliata del fenomeno resistenziale nel suo complesso 40 •
Pieri storico militare
L' inserimento di Pieri in questa fase fu la base che portò alla sua collaborazione con l'ISMLI, la cui fondazione Parri volle proprio in risposta a quella involuzione conservatrice e attacco ai valori della resistenza in corso. Lo studioso, in quel periodo, espresse la preoccupazione per la ripresa degli ex fascisti anche in ambito accademico e scrivendo a Saivernini nel giugno 1949 , affermava: «Purtroppo l'ambiente universitario in Italia appare sempre più grigiamente democristiano o addirittura fascist:a»4 1 • Per lo stesso motivo , i suoi rapporti con il generale Bencivenga si guastarono, in quanto questi nel dopoguerra si era avvicinato al Fronte dell'Uomo Qualunque e poi ai monarchici, accusando i governi del CLN di essere stati nominati dallo stran iero e di essere responsabili dello sfascio del Paese42
L'istituto venne costituito a Milano il 20 febbraio 1949, raccolse iJ patrimonio documentario del Corpo Volontari per la Libertà ed ebbe come obiettivo quello di dare un «fondamento organico» alla conservazione della memoria della Resistenza, che fosse basata anche su una sistemazione storica e scientifica del fenomeno. Per contribuire a questo progetto fu fondata una rivista «Il movimento di Liberazione in Italia», uscita per la prima volta nel luglio 1949, sotto la direzione di Parri, Franco Antonicelli, Mario Del Pra e Giorgio Vaccarino43 Pieri aderì immediatamente all'iniziativa, presentando una recensione molto severa delle memorie di Roatta nel primo numero:
Orbene R. colla più edificante naturalezza ci fa sapere che lo stato maggiore dell ' esercito non avrebbe dovuto dare nuovi ordini prima che il concentramento d'armata a Tivoli fosse ultimato , ossia non prima del pomeriggio del 10 settembre. Era ben naturale dunque che per oltre trenta ore le sole truppe motocorazzate disponibili per la difesa della città restassero senza ordini di sorta! E aggiunge di più che per i provvedimenti relativi alle truppe della difesa «non comportavano, per parecchio tempo, altre disposizioni». E poi ancora ripete che lo stato maggiore in fuga da Tivoli a Pescara, «non aveva, per diverso tempo, nessuna nuova disposizione da dare né al comando d ell e truppe predette né ai servizi periferici». Siamo di fronte a piena incoscienza o ad assoluta insensibilità morale. Se leggiamo la cronistoria della fuga nelle pagine di un suo sincero amico, il Gcn. Zanussi, il quale invero sentiva angoscia e vergogna in quel doloroso momento , non possiamo restare indignati del contegno indifferente e cinico del Capo di stato maggiore dell'esercito , di fronte alle sciagure della Patria e alla rovina dell ' esercito! Occorre ricordarlo bene: negli eserciti nazionali odierni , o l 'ufficiale sente d'essere al servizio della Patria e solo di qu esta, e comprende che è suo stretto do- vere dare il buon esempio e sacrificare ad essa anche la vita , o si muta in un puro e semplice mercenario , colla fede e l'onore , al più degli ufficiali di carri era del secolo XVIII : non c'è via di mezzo! E la nazione, fin che ha coscienza di sé, deve temere come la peggio peste il servizio di s imili 'tecnici di primo ordine'! .. . 44 •
L'a ttività dell'istituto di Parrì trovava parallelo con quanto accadeva all'estero, specie in Francia, dove negli anni Cinquanta gli studi sulla Resistenza , specie ad opera di Henri Miche! , lasciarono la fase memori alistica per avviarsi allo studio scientifico del problema. Nel dicembre 195 0 , sotto la sua guida fu fondata la «Revue d ' histoire de la Seconde guerre mondiale» e nel dicembre dell 'anno success ivo il «Comité d 'Histo ire de la Seconde Guerre Mondiale» (CHGM), sotto la presidenza iniziale di Lucien Le Fevre e con Miche! come segretario . Il centro, che se si dedicò allo studio più in generale del conflitto, ebbe anche un compito rilevante nella promozione degli studi sulla Resistenza . In particolare, si sa rebbe occupato del reperimento di una grande quantità di documentazione e testimonianze, anche per s opperir e all ' anacronistica regola della chiusura degli archivi per cinquant'anni allora vigente, in modo da poter conferire una validità scientifica alle ricerche: un progetto, sep pure molto più grande, analogo a quello dell ' ISMLI e all ' approccio proposto da Pieri al problema45
L'attività scientifica di Miche! riguardo la R esistenza fu molto più vasta e importante di quella di Pieri, anche perché fu autore di alcuni lavori di natura molto più ampia dello studioso italiano; inoltre con gli anni i suoi studi avrebbero assunto una dimensione europea. Primo passo del suo lavoro fu la pubblicazione nel 1950 di una breve storia della Resistenza, uscita nella co llana «Que-je-sais'?», come precoce inquadramento sc ientifico del fenomeno in Francia46 Ancora più importante fu la pubblicazione della sua tesi di dottorato , uno studio sulle correnti di pensiero della Resistenza, uscito n el 196247 • Soprattutto questo secondo lavoro segnò un chiaro passaggio nell'utilizzo scientifico delle fonti sulla Resistenza , che Miche( aveva avviato nel decennio precedente. Ad esempio, nel 1954 era uscita una antolog ia sulla stampa clandestina, a cura dello stesso Miche! e di Boris Mirkine-Guetzévitch, alla qua.le il celebre storico Luci en Febvre scrisse una breve prefazione sottolineandone l'importanza. del profilo scientifico e criticando ironicamente i sostenitori della necessità di lasciar tra.scorrere molto tempo dagli avvenimenti prima di pote rne scrivere «o biettivamente»48 • Come vedremo, anche Pieri si s arebbe scagliato contro questa tendenza e nel contempo -- 171
Pieti storico militare l'attività dei due studiosi trova un'ulteriore parallelo nella scrittura di un gran numero di recensioni e rassegne critiche, molto simili a quelle di Pieri49 Un ' impostazione che aveva il fine di inquadrare le opere per ciò che erano, allo scopo di comprenderne il valore per Io studio scientifico della Resistenza:
Poiché è scritto da un ex partigiano, scrittore di talento, il romanzo non fornisce elementi di conoscenza ma è decisamente più efficace di racconti o resoconti dei ricordi del partigiano, il quale ha vissuto l'atmosfera eccezionale dell'evento, senza però esserne pienamente consapevole50 •
Somma di questo primo sforzo metodologico fu la pubblicazione, nel 1964 , di una Bibliographie critique de la Résistance , il cui scopo era tracciare un bilancio critico e filologico di quanto prodotto nel primo ventennio intercorso dagli avvenimenti del 1944-1945, ribadendo la necessità di procedere alla ricerca sull'argomento, anche se le fonti documentarie erano per ora precluse agli studiosi:
Inoltre, il ricercatore deve sfruttare al massimo indicazioni che, in merito ad altri argomenti o per altri periodi, sarebbero quasi interamente trascurabili, come ad esempio articoli di quotidiani locali o volantini pu· ramente propagandistici. Di conseguenza, diventa impossibile dirigere l'attenzione del ricercatore unicamente su scritti particolarmente importanti e, al contrario, obbligatorio tendere a una bibliografia esaustiva, dal momento che lo storico può sperare di ricavare qualcosa da ognuno di essi. Chiaramente, abbiamo concentrato la nostra anali si soprattutto sugli studi, ancora rari, sulle raccolte di documenti e sulle memorie; ma ci è sembrato necessario citare, inoltre, in larga parte , le testimon ianze (di attori o spettatori), i racconti (anche di avventura), nonché i sagg i, i documenti contenenti immagini e i romanzi 51 •
Il percorso di Pieri presenta, pur con le dovute proporzioni, molte analogie con l' evoluzione storiografica di Miche!. Un primo punto di contatto è rintracciabile negli articoli e rassegne che Pieri scrisse per la rivista dell'ISMLI. In tutto, tra il 1950 e il 1965, si trattò di sei articoli prevalentemente di natura metodologica e critico-storiografica delle opere sulla Resistenza uscite in quegli anni.
Il primo, uscito nel settembre 1950, fu dedicato aJ Congresso storico di Amsterdam sulla seconda guerra mondiaJe (5-9 settembre 1950) , al quale gli itaJiani parteciparono con tre relazioni. La prima fu dell'ammiraglio Marcantonio Bragadin52 , che discusse la situazione della mari - na dopo 1'8 settembre. La seconda di Giorgio Vaccarino 53 che presentò una relazione in parte dedicata a spiegare la nuova attività dell'istituto e al carattere della Resistenza italiana. La terza era proprio di Pieri che discusse i problemi più generali della Resistenza europea. Lo studioso ci tenne a sottolineare che la presenza dell'Italia, un Paese sconfitto, in un consess o così importante era dovuta «più ancora che per la sua qualità di Paese già cobelligerante, in vista appunto del la sua Resistenza» 54 • Si era di fronte a1Ia rivendicazione di quel ruolo primario della lotta partigiana che era stato messo sotto attacco dalla memorialistica di area moderata e monarchica e in parte dal ritorno degli ex fascisti.
Proprio contro questi Pieri si scagliò nel saggio successivo, dedicato alla Resistenza nella Venezia Giulia, una lunga revisione critica del volume di Francesco Coceani, ex prefetto di Trieste e sottosegretario agli Esteri della Repubblica di Salò, in cui l'autore difendeva ìl proprio operato, come parte più generale della capacità della RSI di fermare la presupposta «ira» dei tedeschi, che si sarebbero sentiti traditi dal colpo di stato badogliano e accusava il CLN di essere il principale responsabile della perdita della città55 • Anche qui Pieri si richiamò alla necessità di non lasciare che la storia della Resistenza fosse appannaggio dei «residui elementi dell'anti-risorgimento», identificati nei fascisti, un chiaro richiamo agli studi di Luigi Salvatorelli56 •
I saggi successivi ebbero uno spessore ancora più ampio, riflesso della più generale evoluzione che gli studi stavano cominciando ad attraversare in quegli anni Cinquanta, rimodulandosi da un approccio memorialistico-polemiço ad uno più scientifico 5 7 • Pieri diede precocemente il proprio contributo di metodo che questa trasformazione comportava, pubblicando nel gennaio 1953, È possibile la storia di avven imenti molto recenti?. Presentando argomenti simili a quelli di Miche!, Pieri confutava la tesi crociana secondo cui la mancanza dì documentazione archivistica e ufficiale impediva una seria storia della Resistenza. L''incipit dell'articolo annunciava:
Il prob lema della possibilità d'una ricostruzione esatta e serena d'avvenimenti molto vicini, oggetto di accalorate passioni e d'aspre lotte non è invero nuovo; ma si è ripresentato oggi particolarmente vivo e non in Italia soltanto, di fronte alla sentita necessità di salvaguardare il patrimonio ideale da cui scaturì da noi dapprima la diuturna lotta sorda e clandestina della resistenza alla dittatura fascista, poi la lotta aperta e senza es i tazione e compromessi della guerra partigiana. La comune obbiezione è che non si devono rinfoco lare le ire e rancori; che non si deve fare della cattiva politica sotto il travestimento della storia; che bisogna lasciar pas-
Pieri storico militare sare un adeguato periodo di tempo perché gli spiriti s i plachino e le passioni si calmino; che trop p o materiale documentario è ancora inedito; e che insomma, mancano tutto ra i mezzi materiali e le possibilità sp iri tuali per rico struire con sufficiente esattezza ed obbiettività e la Resistenza e la lotta Partigiana, vale a dire la eventua le resistenza alla dittatura e la successiva guerra civile58 •
Rifacendosi metodologicamente allo stesso Croce, Mare Bloch, Saivernini e Arnold J. Toynbee, Pieri rigettava la tesi secondo cui necessariamente occorresse molto tempo prima di poter pas sare ad un ' analisi scientifica dei fatti recenti, in quanto la linea di demarcazione tra l' attendibilità e l'inattendibilità non era data dallo scorrere del tempo, né dalla possibilità pe r lo studioso di estraniarsi dalle proprie tendenze e convinzioni, quanto piuttosto dal «cauto procedere negli asserti e nei giudizi» in quanto «l'obiettività storica consiste[...] nel comprendere e valutare la funzione - positiva o negativa che sia - di tutte le forze politiche in moto »59 • Era poi sottolineata la questione dell'utilizzo delle fonti, riguardo alla quale l'autore evidenziava che il problema non era la mancanza di documenti , quanto la necessità di un'adeguata critica filologica dell'esistent e:
Quan to poi all'uso dei documenti contemporanei, valgo no le stesse norme che la metodologia storica app l ica anche ai documenti meno recenti o antichi, salvo diverse particolarità tecniche. Così ad esempio, se lo storico deve con ogni scrupolo fissare p er la storia medioevale il valore di certi termini, quali 'comes', 'miles', 'eques', ' respublica ' , perché altri m enti la sua ricostruzione e valutazione potrebbe essere sbagliata in partenza, così anche ogg i occorre ch'egl i c hi ari sca il significato di certi termini che pur sembrano dell ' uso più comune: rivoluzione, democrazia , pro letariato, volontà popolare, e via di seguito. Ma occorre soprattutto sgombrare il terreno da un preconcetto: che gli atti e specificatamente i documenti cosiddetti riservati, verbali, diari, rapporti confidenziali , progett i, abbiano un valore maggiore che non le narrazioni con carattere più prop riam e nte storico; e ch e di co n seguenza non sia possibile una vera storia senza ' i ghio tti inediti' per usare un'espressione chiara ai puri eruditi. Ora non v'è dubbio che nessun documento è stato mai steso allo scopo di raccontare la verità agli storici, ma bensì per produrre un ce rto risul tato pratico: ottenere una cosa, impedirne un ' altra, produrre un dato effetto sugli interlocutori , far credere una data cosaw.
Pieri poi metteva in guardia dalla censura sulla stor ia recente, in quanto po teva essere il riflesso d ella volontà di evitare che le istituz ioni fossero soggette a critica pubblica:
Ma un altro pericolo si prospetta allora per allontanare gli spiriti dello studio della storia recente: quello di colpire l'istituzione, per sminuirne il prestigio: la Monarchia, la Chiesa, la Repubblica, l"Esercito, la magistratura, tutti termini astratti, tutti istituti rappresentati come enti metafisici i nfallib ili , vasi ripieni d'ogni virtù e d'ogni elezione! Inutile dire che proprio g li istituti della Storia per vive re e non corrompersi hanno bisogno di provarsi al vaglio della critica e delle opposte tendenze: solo le dittature e i regimi tirannici hanno bisogno di rappresentarsi sempre e dappertutto, sani, robusti, felici, di po rs i insomma fuori dalla realtà 61 •
Infine, probabilmente anche perché memore delle difficoltà che aveva avuto nella ricostruzione degli avvenimenti della Grande guerra, sotto lineava «l 'o pportuni tà di cominciare a m ette re per te mpo a c hiarir e e rendersi conto degli avvenimenti che tanto hanno influito e influiscono sulla vita della nazione». Da questo ne traeva la necessità di raccogliere la documentazione e in tervistare i testimoni , anc h e p e rché g li archi vi erano chiusi, riprendendo quanto ve niva fatto all'estero, perché «più che mai s i deve affermare oggi l a necessità di una storia della R es istenza ossia di que i supremi valori spir ituali alla conservazione dei quali è affidato non solo l'avve nire d'Italia, ma la di fesa della nostra civiltà1162 •
Pi e ri non scrisse mai un volume d edicato alla Resistenza, ma attraverso i suoi stu di s i sfo rzò di porre le fonda menta metodologiche p er raggiu ngere una maggiore maturità degli stu di e un 'anal isi ch e prescindesse dagli orientamenti politici. Una prima applicazione di questi principi m etodo logici è rintracciabile nella lun ga recen sio n e, quasi ve ntisette pag in e, ded icata all a storia della R esistenza di Ba ttag lia del 19 53, probabil men t e la maggiore opera di Picri dal punto di vist a scientifico in quest'ambito. assieme all'artico lo appena ricordato sulla po ssibilità di stud iare eve nti recenti 63
La rece nsione uscì s ul 1<M ov imento cli Liberazione» n el settembre 1954. Il testo si apre con una lung a sintesi del volume, rip e rcorso minuziosamente in tutti i suoi aspetti in te r pretativi e narrativiM. Pieri non sfugge a lla tentazione di ironizzare ogni tanto su ll 'eccessiva enfas i p osta dall 'a utore s ul ruolo dei co munisti a scap ito d el Partito d 'Az ione:
A questo proposito il B. osserva che in questo modo viene sottovalutata l'importanza delle grandi città del Nord, però, egli aggiunge non senza disinvoltura, si eviti così di lasciars i trascinare in un'insurrezione 'prematura' come quella di Varsavia. E su qu esto punto sono d'accordo Longo e
Pieri storico militare
Parri: il primo, grazie al suo 'realismo' che gli consente di cogliere i dati essenziali degli avvenimenti; il secondo in virtù del suo 'pessimismo', (il realismo è una prerogativa dei soli comunisti), che ' lo fa arretrare dinnanzi alle speranze troppo vivide e ai proposti troppo energetici' 6 5
Va detto che in parte questo fu dovuto alla richiesta proveniente dalla redazione, come Pieri ammise sinceramente: «Le mie osservazioni finali erano più brevi, ma la redattrice della rivista , sig.na Professoressa Bianca-Ceva me ne fece aggiungere varie altre, dicendo che si trattava d ' un ' esposizione, da parte del Battaglia, troppo smaccatamente filo-comunistait66.Tuttavia, al di là di questi aspetti critici minori, nel tracciare il giudizio complessivo del lavoro, Pieri ne confermò l'assoluta validità scientifica, riconoscendone il merito «d'aver visto la Resiste n za nel suo insieme, nella sua grande e varia complessità», facendo del Battaglia un testo che:
[... ) è sempre tale da sopportare molte critiche pur rimanendo fondamentale e punto di partenza necessario per ogni ulteriore studio. Non esitiamo anzi a dire che per parlare in modo davvero adeguato sarebbe stato necessario possedere la profonda conoscenza , per gloriosa esperienza diretta e per studio dell'ampia letteratura in argomento, che è dote del Battaglia, e poter quindi ripercorrere per conto proprio tutta la via che egli ha seguito nella narrazione di tanti e così svariati e complessi discussi avvenimenti. Certo la conoscenza del materiale archivistico consentirà una sempre più sicura ed obiettiva valutazione dei fatti; ma comunque il B. ha posto in evid enza le linee fondamentali del grande avvenimento storico e ha fatto opera degna della gratitudine degli italiani67 •
Pieri insomma, al di là di qualche critica, presentò come fondamentale il libro di Battaglia, facendone lo spartiacque tra quello che avrebbe potuto essere Io studio scientifico della Resistenza e quella che era stata la fase memorialistica/pubblicistica. Da quel momento, la critica filologica - la base del lavoro degli storici - avrebbe dovuto regnare sugli studi sulla Resistenza. Per Pieri, questo emerse già negli anni Sessanta, quando sempre sulla rivista dell'ISMLI, ingaggiò una polemica storiografica sulla mancata difesa di Roma nel settembre 1943 .
Metodologia della fonti sulla R es istenza: la questione della difesa di Roma
Una delle questioni più spinose relative ai giorni dell'armistizio fu quella della mancata difesa di Roma, l'unico punto deila penisola dove, secondo Rochat e Aga R ossi, l'esercito italiano avrebbe potuto difendere efficacemente la popolazione dalroccupazione tedesca, e che invece fu perso senza una resistenza organizzata da parte delle truppe, me ntre il sovrano e il capo del governo Badoglio s i spostavano, assieme ai vertici dell 'ese rcito. verso Pescara e poi Brindisi68 •
La mancata difesa della capitale rappresen tò uno dei nodi più delicati dell'azione del governo Badoglio e fu oggetto di un'inchiesta di una commissione che operò tra l'ottobre 1944 e il marzo 1945, composta dal Sottosegretario alla Difesa Mario Palermo (comunista). e dai generali Pietro Ago e Luigi Amantea. L'inchiesta scaricò le colpe dell'accaduto sul generale Carboni, comandante delle truppe poste a difesa della città.
Quest'ultimo nel dopoguerra intraprese invece una dura campagna di stampa contro i propri ex s uperiori, tra cui lo stesso Badoglio e i vertici del governo, in particolare Roatta, al fine di ottenere la riabilitazione deila propria immagine69 •
La ricostruzione dei fatti di Roma chiamava in causa le responsabilità de l re e del governo Badoglio e attorno ad essa si aprì nel dopoguerra un'enorme attenzione. Ad occuparsi di questo argomento fu anche Salvcmi ni , che tra il 1952 e il 1 953 pubblicò un saggio a puntate sul «Ponte»70 • Per scrivere questi testi, il grande studioso si servì anche del proprio co ntatto personale con il genera le Carboni, con il quale intrattenne una corrispondenza, durata dall'estate 19 52 fino al 1955. A partire dal 1956, Carboni fu in contatto anche con Pieri , aJ quale tra l'altro inviò copia del carteggio che aveva intrattenuto con Salvemini, p ensando ad una eventuale pubblicaz ione, poi mai fatta, intitolata Tre anni di corrispondenza episto lare con Gaetano Salvemini71 • In qu esto carteggio, lo studioso pugli ese di fatto vali dò la tesi di Carboni di essere stato utilizzato come capro espi atorio da Badoglio:
Purtroppo, il terzo articolo s u Badoglio nei quarantacinque giorni, non potrà andare avanci a seguire - o inseguire - Badoglio nella fuga da Roma alla destituzione del giugno 1944. Verrebbe in questa parte del lavoro la storia delle infamie commesse contro di Lei dalla camorra di Brindisi. Ma è opera di largo respiro, che implica materie e militari e politiche e italiane e non italiane, nelle quali il mio pensiero non è ancora maturo 72 •
Fieri storico militare
Pieri negli anni Sessanta era interessato a Badoglio per via della biografia del generale che gli era stata commissionata e avrebbe continuato la corrispondenza con Carboni, traendone informazioni e spunti . Nel 1962, nel corso di un programma radiofonico, riprese la tesi del generale secondo cui i vertici del governo avevano rinunciato alla difesa della capitale, richiamando il corpo motocorazzato a Tivoli a protezione della loro fuga, lasciando Carboni senza ordini precisi, mentre parte delle truppe continuavano a battersi 73 •
La trasmissione causò un polemico scambio di battute con il generale Raffaele Cadorna, il quale scrisse allo storico per chiedergli su quale docwnentazione si basassero le sue affermazioni relative alla difesa della capitale 74 • L'accigliata replica di Pieri fu che esse erano riprese dalla sentenza del 19 febbraio 1949 del tribunale militare di Roma, che aveva assolto Carboni, affermando nel contempo di non ritenere che:
Lei possa essere al tempo stesso giudice e parte degli avvenimenti dell'8 -9-10 settembre 1943; e della successiva triste sequela d ' inchieste e polemiche. Concludeva rivendicando «ancora una volta, anche con lei , la mia piena indipendenza e libertà d'uomo e di studioso, non vincol ato a nessuna cli entela e a nessun partito»75 •
A questa lettera Cadorna rispose a s ua volta evidenziando i risultati della commissione d'inchiesta del 1944-1945 che aveva incolpato Carboni, fornendo a Pieri copia della sentenza76 • L'elemento centrale comunque della questione non era tanto la val idità dell e affermazioni di Cadorna o di Carboni, quanto la ricostruzione filologica degli avvenimenti attraverso le fonti. Infatti, Pieri si servì della corrispondenza con Carboni per verificare le informazioni della pubblicistica e memorialistica. Le loro lettere erano ricche di informazioni:
Carissimo Pieri, f... ] ti scrivo per la 'replica' di Monelli, pubblicata da 'TI giorno' di domenica scorsa e segnalatami ieri. [... ] In ogni modo ti segnalo alcuni 'falsi' della sua ' replica ', sui quali tu non potresti essere informato.
1 ) Dopo aver scritto che per il suo libro egli si era valso della testimonianza di Thbellini, afferma ora che se è ne valso per una nota delle sue tante edizioni'' .
[...] Il fatto che questi due altri corpi d'Armata non sono indicati nell'indirizzo dell'ordine Roatta è la prima prova che l'ordine vero è que ll o riprodotto nel mio libro. Il fatto che l' ordine De Stefanis , che pure include nel suo testo la difesa interna e quella esterna, è indirizzato anche quello so ltanto a me, dimostra che la variante è opera di De Stefani (o Salvi), ma egli non esita a mettere nell'ind irizz o anche Barbieri e Zanghieri perché più anziani di lui, non gli avrebbero obbedito e con ragione. Ma ciò che tag l ia la testa al toro è la pagina 225 dell'TI volume del libro 'Guerra e catastofe' di Zanussi. Zanussi come sai [ ... ) conobbe l'ordine di Roatta. Egli scrive che Roatta gli disse, a suo tempo, che nel suo fo. gl ietto a matita, senza né data né firma, era indicato che anche le trup· pe di Barbieri e Zanghieri ' però non specificate' sarebbero passate agli ordin i d i Carboni'8
Essendo interessato alla verifica dei fatti, Pieri interpellò anche Ruggiero Zangrand i, il quale all'epoca stava preparando la prima edizione del suo lavoro sul periodo tra il colpo di Stato del 25 luglio e 1'8 settembre, portato avanti con una ampia documentazione ricevuta da privati e con numerose interviste7 9 • In realtà, anche se il lavoro fu un superamento di quelli precedenti, quello di Zangrandi risenti di pesanti difetti dovuti alla mancanza della documentazione anglo-americana e degli archivi militari italiani. Inoltte, l'autore diede molto cred ito proprio alle tesi di Carboni, probabilmente a causa della simpatia che il generale s'era conquistata presso lo studioso (per il suo ordine di distribuire le armi alla popolazione) . Ciononostante il volume ebbe un'importanza cruciale per tracciare le responsabilità dei vertici politici e militari italiani attorno all ' 8 settembre 1943, superando la memorialistica e fornendo un contributo notevole , con le fonti allora disponibili, per ricostruire i fatti di quei giorni80 .Essendo all'epoca quanto di meglio fiJologicamente potesse essere disponibile, dato lo stato delle fonti, era logico che Pieri si rivolgesse a Z angrandi. Questa collaborazione s i estese, progressivamente e lo storico inviò al giornalista copia della corrispondenza con Cadoma e quella cli una relazione svolta al convegno nazionale sulla Resistenza di Roma del 23-25 ottobre 1964 , dedicata proprio ai quarantacinque giorni decisivi del 194381
Alla fine dell'anno , Il saggio di Pieri fu pubblicato sul «Movimento di liber azione», con il titolo La storiografia italiana dal 25 luglio all'B settembre: una rassegna critica dei princ ipali lavori usciti fino a quel momento sull'argomento . Molto simile per l'impostazione alla bibliografia critica di Miche!, il testo cominciava dalle memorie dei protagonisti: Paolo Puntoni, aiutante di campo di Vittorio Emanuele; Ivanoe Bonomi, presidente del consiglio dal 10 giugn o 1944; Galeazzo Ciano, considerato di «notevoliss ima importanza>> sebbene «soggetto in alcuni punti a manomissioni»; Enrico Caviglia, senatore, maresciallo d 'Italia e presente nei giorni dell 'armistizio a Roma8 2 •
Pieri storico militare
Seguivano gli studi a sfondo memorialistico dei militari, il generale Giacomo Zanussi, come abbiamo osservato citato da Ca r boni, il cui volume era giudicato denso «d i osservazioni, episodi, giudizi, descrizioni, esami critici; e spesso una spregiudicatezza insolita per un generale. Il che non toglie che in vari punti i suoi asserti siano discutibili» . Veni- . vano poi ribadite le critiche al lavoro di Roatta, già espresse nel 1949, e si invitava alla prudenza nei confronti di quelle degli altri generali. Ad esempio nel caso dei due volumi del gen . Giuseppe Castellano sull'armistizio di CassibiJe, usciti nel 1945 e nel 1963, Pieri invitava, nel leggerli, alla «maggiore cautela e a sottoporli a frequenti controlli»83 Venivano poi le memori e di Carboni, che naturalmente erano giudicate positivamente e di «grande valore» 84 •
Si passava infine ai saggi storici veri e propri, cominciando con quello di Luigi Salvatorelli e Raffaele Mira sulla storia d'Italia nel periodo fascista, uscito presso l'Einaudi nel 1964, che Pieri considerava : «un'opera che nonostante le riserve che si possono fare in alcuni punti, deve considerarsi fondamentale; e anche le pagine dedicate alla genesi del 25 luglio rappresentano una chiara e robusta sintesi; e la situazione italiana è vista nel quadro della politica anglo-americana»85 • Apprezzamenti erano espressi anche per il volume di Gianfranco Bianchi, 25 luglio - Crollo di un regime, perché ritenuto una «ricerca accuratissima - la sola bibliografia occupa 38 pagine - sulle opere a stampa, su documenti inediti, sopra diligenti inchieste presso superstiti degli avvenimenti, anche, anzi spesso di parte avversaria»86 • Analogamente, Pieri giudicava positivamente anche il già citato lavoro di Zangrandi, per la ricerca che stava alla base 87 • Questa parte si concludeva con l'accenno positivo alle opere più generali di alcuni storici: Salvemini, Franco Catalano ed Enzo Collotti 88 .
L'ultima parte del testo era dedicata specificatamente agli avvenimenti dell'8 settembre e della mancata difesa di Roma. Su questo punto è avvertibile l'influenza di Zangrandi e di Carboni, tanto da indurre Pieri a criticare le pubblicazioni degU altri esponenti militari coinvolti e autori di volumi a riguardo, a cominciare dalla «Riscossa» di Cadorna e dal volume di Ettore Musco, che lo storico invitava ad «esaminare con cautela», affermando che la ricostruzione più efficace restava quella dello Zangrandi89 .
La rassegna storiografica di Pieri ebbe alcuni strascichi, in quanto Cadorna e Musco si rivolsero alla redazione della rivista dell'ISMLI protestando per il modo in cui erano state presentate le loro opere. Ne conseguì la scrittura di un altro breve saggio da parte di Pieri, con la pub- - 180 -- blicazione anche dell e lettere inviate da Cadorna e Musco, nel quale lo storico confutava le proteste dei due generali, sostenendo che le fonti di Zangrandi e Carboni erano più affidabili filologicamente90 • I due ufficiali protestarono ancora una volta, scrivendo nuovamente alla redazione , che informò Pieri 91 La questione comunque fu lasciata cadere, anche perché Parri probabilmente volle evitare il trascinarsi della polemica:
Volevo fare una breve recensione al libro La verità sull ' 8 settembre del Musco: poche ma sentite parole, per lui e per il suo degno compare Raffaellino; e scrissi alla Prof. Bianca Ceva. Mi rispose che già la recensione per il 'Movimento di liberaz ione in Italia ' l ' aveva scritta il Rochat, ed era già in bozze. È apparsa infatti sul numero di ottobre-dicembre '65, pp. 116-117 , ed è una cosa seria, pur non entrando nella quistione dei falsi del Musco. Mi ha scritto al riguardo che si è limitato a rilevare ' la sostanzia le uguaglianza tra il volume 1965 e quello del 1962: esempio di notevole insensibilità morale! E aggiunge: 'Ma la concertata campagna di alcuni gruppi militari e politici non ha più limiti: basti vedere le recensioni di certi quotidiani al volume del Musco!' Io ho pensato di mandare la mia breve recensione al 'Giorno ' , poi ho riflettuto in ogni caso che me l'avrebbero mutilata; e poi non voglio creare fastidi al Pietra! Poi ho pensato all'Astrolabio, che du e o tre anni fa mi chiese ed ottenne 50,000 lire di sostegno; ma ormai ho visto che Parri, forse s uo malgrado, non desidera più polemiche del genere92 •
Al di là della validità o meno della polemica, che ci interessa secondariamente, l'elemento centrale è di natura metodologica , perché Pieri basava la propria confutazione dei lavori dei generali attraverso la critica delle fonti 93 • Certamente, visto oggi, ci è chiaro quanto il lavoro di Zangrandi avesse dei limiti e come la figura di Carbonj s i esponeva a critiche maggiori di quanto Pieri fosse disposto a concedere. In particolare, riguardo il generale, la ricerca ha messo in evidenza che dimostrò una condotta ondivaga nei momenti decisivi precedenti l'armistizio, in cui sarebbe stato necessario preparare la capitale alla difesa94 • R estava il dato di fondo che, anche per la storia degli avvenimenti recenti, anche se non era di spo nibile tutto il materiale esistente, si poteva procedere alla scrittura di una storia scientifica, in quanto: la storia è ricostruzione critica attraverso le fonti criticamente vagliate; e conta più una fonte sicura veritiera di cento o mille infide e insincere; e di questa incomoda es igenza troppa gente non riesce a rendersi conto! %
Pieri storico militare
La difesa della metodologia fatta da Pieri va inserita nel quadro più ampio di consolidamento degli studi della Resistenza. Si era ormai alla metà degli anni Sessanta, nell'atmosfera del centro-sinistra, quando la memoria della Resistenza ormai era assunta a patrimonio ampiamente condiviso dal Paese, consolidandone la funzione di «mito di fondazione» dello stato democratico e repubblicano 96 • In questa atmosfera favorevole, lo studio scientifico della Resistenza aveva assunto dimensioni notevoli , producendo una crescente riflessione teorica, un'ampia se rie di convegni di studi e l'allargamento del numero e dell'attività degli istituti di ricerca , a cominciare dall ' ISMLI, che nel 1967 ottenne il riconoscimento giuridico e un finanziamento statale per le proprie attività97 • Negli stess i anni s i assistette al moltiplicarsi di ricerche dall'innegabile carattere scientifico : la storia di Franco Catalano del CLNAI (1956); la storia della resistenza di Carli Ballola (1957); la seconda edizione dell 'ope ra di Battaglia riveduta e ampliata (1962); l'ampia sintesi divulgativa di Pietro Secchia e Filippo Frassati; l'Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza , sempre promossa da Secchia98
La prima fase degli studi scientifici sulla Resistenza giungeva così al proprio culmine, mantenendo «pur in forme pacate e con crescente corredo di apparati scientifici, la riflessione di ispirazione antifascista», riflettendo il configurarsi di un'identità politica, come confermato dalla presenza di nwnerosi protagonisti dei fatti del 1943-1945 tra gli autori delle opere a carattere più generale99
Dopo il 1968, gli studi avrebbero intrapreso un nuovo percorso, dando ormai per scontato che essi non potevano non essere basati sulla più attenta critica delle fonti e allargando lo sguardo per comprendere la Resistenza nel contesto più ampio delle strutture, economiche, sociali e politiche del Paese, concentrandosi maggiormente in una prospettiva dal basso. Ma tutto questo era lontano dal pensiero di Pieri, che, proprio alla vigilia dell'irruzione delle trasformazioni indotte nella ricerca storica sulla Resistenza dalle trasformazioni deJJa fine degli anni Sessanta, uscì dalla vita accademica.
Nel complesso, l'interesse di Pieri per la Resistenza, i suoi saggi di storiografia e la polemica filologica attorno alla questione della mancata difesa di Roma avevano avuto lo scopo sia di contrastare la riabilitazione degli ex fascisti e dei monarchici, temuta nei primi anni Cinquanta, sia di fondare storiograficamente e professionalmente (tramite una accurata critica delle fonti, come base per il lavoro dello storico) gli studi allora nascenti attorno a questo momento fondamentale della storia d'Italia. In questo modo, anche senza mai dedicarsi a ricerche d'archivio e alla ricostruzione di specifiche vicende, Pieri diede un proprio fondamentale contributo al consolidamento del paradigma antifascista e alla professionalizzazione di questo settore di studi, così ril evante per la comprensione e per un giudizio sulla storia d'Italia. Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che tutto ciò non era scontato . Pieri, un socialiberale, un democratico-interventista, si trovava a pubblicare nella stessa rivista su cu i pubblicavano cattolici e marxisti , alimentando un dibattito scientifico libero, trasversale alle posizioni politiche, in un Paese dove la contrapposizione ideologica costituiva l'ordine del giorno nella vita pubblica.
Le guerre del Risorgimento
La Resistenza rappresentava per Pieri l'apice di un processo di maturazione della nazione in senso democratico, che si traduceva nella capacità del Paese di saper combattere, creando una giunzione tra Stato, forze armate e cittadini . Gli italiani avevano perso quella capacità con la crisi militare del Rinascimento e l'avevano pienamente riacquisita con la Grande guerra e la Resistenza . La congiunzione tra questi momenti era necessariamente il momento in cui questa capacità aveva ricominciato a maturare, come riflesso di una più profondo sviluppo politico: le guerre dell'unificazione, sintetizzate nella Storia militare del Risorgimento del 1962. Del progetto del vo lum e, Pieri cominciò ad occuparsi nel 1951:
L'editore Einaudi insiste meco perché dopo la Crisi militare , prepari una storia militare del Risorgimento italiano , del tipo del m io articolo sull'esercito Piemontes e apparso sul «Ponte», con esame dei sistemi di reclutamento, bi lanci m il itari, spropositi ne ll a condotta di guerra, ecc. così che la s toria militare s i leghi a quella po li tica; prima voleva un lavo ro di 200 pagine, ora Io vorrebbe sempre più nutrito, di 400 circa: l'idea di fondo non mi dispiace. Che te ne sembra'? Certo la storia militare italiana nel Medio Evo che da tempo vagheggio si a ll ontana sempre più, ed è sempre rimandata!100
Alla fine il vo lu me sarebbe stato di quasi 900 pagine e fu il punto di arrivo di un lungo filone di ricerche su ll e guerre risorgimentali, influenzato dal rinascente dibattito storiografico sull'unificazione, ora libero dalle pressioni culturali del fascismo, e al tempo stesso parallelo agli studi di storia militare internazionali della prima generazione,
Pieri storico militare che s i occuparono delle istituzioni militari del XIX secolo in Francia e in Germania.
Negli anni del fascismo, lo abbiamo osservato, il regime intraprese un preciso sforzo di controllo sulla memoria e gli studi del Risorgimento. In quegli anni, il dibattito italiano fu segnato da quattro grandi intellettuali: Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Gioacchino Volpe e Gaetano Salvemini. Nonostante i tentativi del regime di esercitare una precisa strategia di controllo sugli studi storici, queste personalità esercitarono tutte una certa influenza sui risorgimentisti formatisi in quel periodo, tra cui vanno ricordate le figure fondamentali di Omodeo, Chabod, Alberto Maria Ghisalberti e Walter Maturi1°1 .
Con il collasso del regime, l ' interpretazione gentiliano-volpiana del Risorgimento fu abbandonata, consentendo l'emersione di una visione liberale e moderata. Omodeo fu uno degli esponenti di maggiore rilievo di questa tendenza e, come abbiamo osservato, già durante il ventennio aveva attaccato la patina agiografica imposta dal regime sugli studi. Ai primi degli anni Quaranta, analizzando l'opera politica di alcuni esponenti di spicco del Risorgimento , a cominciare da Cavour, Omodeo era giunto alla conclusione che il tratto distintivo del successo del loro progetto politico fu la capacità di saper coniugare il realismo con un progetto politico centrista-moderato basato su una politica del «possibile» anziché del «des iderabile»102
Simile fu l'impostazione di Alberto Maria Ghisalberti, nel secondo dopoguerra direttore dell'Istituto per la storia del Risorgim ento. Dopo il 1945, la sua figura acquisì crescente importanza per la riorganizzazione dell'Istituto che attuò e per i suoi studi, nei quali, pur mantenendo la convinzione sull'efficacia del mazzinianesimo, evidenz iò l'abilità della classe djrigente moderata piemontese di realizzare l'unità grazie ad una politica realista 103 • Importante da questo punto di vista fu il suo volume su Massimo D 'Azeglio, figura fondamentale neJia crisi attraversata dallo stato sabaudo dopo la sconfitta del 1849, capace però di salvare lo Statuto albertino come pilastro della causa liberale in Italia, accettando la pace draconiana imposta dall'Austria104. Per Ghisalberti, come per gli altri studiosi moderati, restava importan te anche il ruolo svolto dalla casa Savoia, come elemento coagulante del sommovimento politico risorgimentale. Una funzione riassumbile nella massima: iiinsomma, Mazzini, Garibaldi, Cavour hanno fatto l'Italia una: ma chi permise loro di farla fu Vittorio Emanuele II»105 •
Pieri, lo abbiamo osservato a proposito del referendum del 1946 , era ormai disincantato circa la funzione storica della monarchia. Un proble- ma dimostrato dalle sue discussioni con Fran cesco Cognasso, affennatosi come l'eminente storico filo-sabaudo nel periodo fascista e sostenitore della assoluta centralità della dinastia nella vita nazionale106. Nel dopoguerra, i due sedettero assieme nel comitato torinese dell'Istituto di Storia del Risorgimento, diretto da Luigi Bulferetti . Il comitato aveva il compito di gestire il locale Museo del Risorgimento e, con il ricorrere degli anniversari del 1848-1849, ebbe anche una funzione culturale di primo pia.no in città. All'interno del comitato, Pieri e Cogna.sso rappresentavano la contrapposizione tra due precise tendenze: una, supportata anche da Bulferetti, desiderosa di trasferire nello studio del Risorgimento e nell'assetto organizzativo dell'Istituto la ventata di novità portata dalla recente esper ienza resistenziale; l'altra più tradizionale e strettamente legata alla tradizione sabaudista torinese e spalleggiata anche da l presidente nazionale Ghisalberti 107 .Negli anni successivi le iniziative intraprese dall'Istituto furono periodicamente occasione di scontro tra Pieri e Cognasso, con conseguente inasprimento dei rapporti, che riflettevano una ben più importante contrapposizione storiografica:
(. . .] Cognasso, il quale, già in urto con me perché non l'avevo appoggiatO nella sua lite co l Gen. Mondini, mi ha preparato un colpo mancino, e nelle elezioni per il rinnovamento delle cariche alla Deputazione di Storia Patria, mi ha fatto escludere dal consiglio direttivo. Ma ti assicuro che non ho perso né il sonno né l'appetito: io non faccio la collezione delle cariche; e trovo anche giusto che s i faccia un po' di rotazione. Ad onta di tutto, io ho mandato una lettera di ringraziamento al Cognasso, per l'opera preziosa da lui svolta al Museo, dolenti di non averlo più fra noi. E lui non ha nemmeno risposto. Negli ultimi mesi non era più venuto nemmeno alle adunanze, e mai aveva giustificato l'assenza108 !
Per Pieri importante fu anche l'influsso di Luigi Salva.torelli, antifascista e importante intellettuale del periodo. Salvatorelli fu autore di un fondamentale saggio, Pensiero e azfone nel Risorgimento, pubblicato a Torino nel 1943, in cui evidenziò il real ismo politico cavouriano, ma anche la necessità di analizzare il Risorgimento come nazionale, popolare e spirituale109 La sua visione del Risorgimento era simboleggiata nel binomio Mazzini-Cavour, considerate figure complementari, uno rappresentante del1'iniziativa rivoluzionaria democratica dal basso, l'altro quella liberale monarchica dall'alto . Al tempo stesso però, Salvatorelli «da buon razionalista illuminista arretra davanti alla mistica finale unità di Mazzini, nella quale[ .. .] avverte una specie di totalitarismo, e si arrocca nelle posizioni separatistiche liberali di Cavour»110 • Salvatorelli
Fieri storico militare diede molto risalto alla tesi del Risorgimento come momento in cui la storia italiana era tornata a riallacciarsi a quella europea, dopo Io stacco imposto dalla controriforma, che aveva isolato politicamente e culturalmente il Paese11 1. L'influsso della cultura illuminista e della rivoluzione francese, che il fascismo aveva cercato di minimizzare, era considerato decisivo per il risveglio degli italiani, riallacciando la storia del Paese al ciclo rinascimentale, quando era al centro di quella storia europea. Pieri non poteva che concordare apertamente con questa impostazione e nella Storia militare del Risorgimento avrebbe datato al 1748, con il trattato di Aquisgrana, il momento in cui «si è soliti rilevare una rinnovata coscienza degli italiani»11 2
Le influenze su Pieri però non si limitarono alla scuola liberale. Alla fine degli anni Quaranta, la storiografia sul Risorgimento fu radicalmente trasformata dall'emergere dell'interpretazione marxista, maturata soprattutto in seguito all'uscita di uno dei «Quaderni dal carcere» di Antonio Gramsci, dedicato appunto al Risorgimento. Pubblicato nel 1949, il volume affermava che il Risorgimento era una rivoluzione passiva, perché non seppe coniugare la trasformazione politica conseguente all'unificazione con una rivoluzione sociale basata su una riforma agraria per legare le masse contadine al riscatto nazionale113 • Poco precedente era stato il volume di Emilio Sereni, il quale aveva individuato nell'unificazione un processo di conquista regia, che marginalizzò le classi popolari, per evitare che assumessero un ruolo politico nello stato postunitario114.
Le tesi della storiografia marxista sarebbero state contestate dai maggiori esponenti di quella liberale. Nel 1956, Rosario Romeo, il quale si sarebbe rapidamente proposto come il maggiore erede di questa corrente, in un saggio dal titolo Risorgimento e Capitalismo avrebbe difeso l'opera degli uomini di governo del Risorgimento sul piano economicosociale, affermando che l'alternativa «giacobino-democratica» propugnata dalla storiografia marxista, non comprendeva che la scelta moderata costituisce la premessa necessaria a qualunque futuro sviluppo economico-sociale del Pa ese data l ' arretratezza italiana115 •
L'impostazione gramsciana comunque avrebbe continuato ad esercitare una certa influenza, ispirando le ricerche di importanti studiosi come Giorgio Candeloro e Franco D ella Peruta. II dibattito tra marxisti e liberali era una diretta conseguenza del clima politico postbellico e anche della necessità di spiegare l'evoluzione dello Stato italiano verso la dittatura fascista in relazione ai problemi sorti con l'unità. Significativa a riguardo fu l'opera del britannico Denis Mack Smith, il quale con il -- 186 -- suo saggio Cavour and Garibaldi del 1954, illustrò il peso che i conflitti nella leadership p olitica risorgimenta le ebbero nel distmggere i propositi di riforma dei democratici . Seppur basato s u un'im postazione metodologica diversa da qu ella marxista, il lavoro di Mack Smith contribuì ad alimentare questa contrapposizione negli studi116 • La trasform azione della storiografia ebbe un impatto notevole anche sull'oggetto delle ricerche spostò l'attenzione sulle questioni economiche e sociali, piuttosto che sulla storia politica tradizionale, che aveva costituito il filone dominante degli studiosi precedenti (anche di Pieri)117 •
Il sinteti co inquadramento deJJo sviluppo della ricerca che abbiamo presentato serve pe r meg lio comprendere la posizione di Pie ri in relazione a l d ibattito d i queg li anni . Circa le influenze determinanti sul suo lavo ro, è egli stesso a indicarcele nel volume del 1962 :
Mi basta accennare alle opere fondamentali del Tivaroni, del Bolton King , del Rosi, dello Spellanzon , e agli studi del Croce, del Salvemini , dell'Omodeo , del Salvatorelli, alle pagine del Gramsci e del suo fede l e interprete Candeloro che fo r mano la base di ogni studio sul R isorgimento1 18 •
E ancora: Gli srudi di Romeo , del Romano, del Mack Smith e della De Palma hanno chiarito molto questo lato troppo trascurato del Risorgimento in Sicilia, alla sperata divisione dei beni demaniali, compiuta solo in parte, e in realtà a favore dei coltivatori abbienti '119
Soprattutto di Mack Smith avrebbe detto che era: 'opera d'importanza fondamentale , basata sopra un ' amplissima indagine archivistica , rappresenta la rivendicazione della politica di Garibaldi e degli elementi democratici ch e lo attorniavano rispetto alla politica di Cavour e dei suoi agenti moderati e conservatori. Il volume è importante anche per le discussion i a cui aveva dato origine120 •
Il volume del 1962, come ha sottolineato Del Negro, completa un lungo processo di costruzione che cominciò ben prima, in occasione de l centenario del 1848-1849, che come tutti g li anniversari ebbe importanti ricadute quantitative sulla produzione storiografica. In quegli anni, Pieri scrisse quattro importanti saggi dedi cati alla prin1a guerra d'indipendenza: La guerra regia nella pianura padana (1948), Carlo Cattaneo storico militare della prima guerra d'indipendenza , L'esercito
Pieri s torico militare piemontese e la campagna del 1849 (1949), L'esercito napoletano e la. prima guerra d'indipendenza (1950) . A questi poi si sarebbero aggiunti altri lavori, soprattutto in occasione del centenario della seconda guerra d'indipendenza e i primi saggi complessiv i , tra cui il già citato testo sulle guerre dell'unità ita li ana. Significativa fu la relazione tenuta a Milano in occasione del 38° Congresso di storia del Risorgimento (28 maggio -1 ° giugno 1959):
Tale relazione, bella o brutta che fosse, mi era costata sette od otto mesi di lavoro (d'un lavoro che avrebbe potuto servire per una vera monografia) : mi ero studiato le tre grandi relazioni austriaca, francese e italiana, e quanto di rilevante era apparse da parte di storici e critici militari austriaci, tedeschi, francesi, italiani1 21 •
La relazione fu pure apprezzata dagli studiosi presenti, tra i quali spiccava la figura di Henry Contamine, ma ebbe un carattere molto tecnico, dimostrando un certo inaridimento interpretativo, frutto probabilmente della crescente stanchezza dello studioso1 22 Le relazioni e i saggi composti in oltre un decennio comunque furono la base su cui Pieri avrebbe costruito poi la sua opera finale123 •
Il lungo saggio sulla guerra regia nel 1848 segna il punto di inizio della sua analisi sul tema della guerra regia e della guerra di popolo, mostrando, insieme a quelli successivi su Cattaneo, la persistenza dell ' influenza di Salvemini su Pieri, della sua visione dell 'Ita lia come «democrazia in cammino>t124 • Vi emergono già i temi dominanti che caratterizzeranno il volume sul Risorgimento riguardo alle istituzioni militari degli stati preunitari. Per scriverlo Pieri compì un ' approfondita ricerca, probabilmente con la collaborazione di Carlo Pischedda 125, con materiale d 'arc hivio inedito del Generale Eusebio Bava, comandante del I corpo d 'a rmata nella prima guerra d'indipendenza126, e dell 'a rchivio segreto cli Carlo Alberto . Sempre basato sul binomio guerra e politica , da questo studio Pieri avrebbe ricavato un'immagine fortemente critica del sovrano, che pur era stato oggetto cli esaltazione nella storiografia precedente, specialmente negli anni ciel fascismo. Ne l testo è forte l'influenza ciel lavoro di Omodeo su Carlo Alberto, il quaJe demolendo l'agiografia prec edente aveva messo in evidenza come il re sabaudo fosse simile agli aJtri esponenti delle monarchie europee della R esta uraz ione1 2 7 •
Pieri fa così emergere nuovamente la connessione tra politica e istituzioni militari, analizzando la riforma degli ordinamenti militari, at- tuata negli anni Tr enta , che trasformò l'esercito piemontese in un 'armata professionale, affidata ad ufficiali provenienti prevalentemente dalla nobiltà, ritenuti politicamente affidabili. Tale sviluppo fu conseguenza dei moti del 1820-1821 , che aveva messo in crisi il riformismo piemontese e il partito illuminista che l'aveva sostenuto, producendo anche nell'ambito militare una ripresa degli elementi reazionari , rimasti sconcertati dall'abdicazione di Vittorio Emanuele I, ritenuta un attentato contro lo Stato128 • In questo modo, furono messi da parte gli elementi più capaci e vitali della borghesia, che costituivano ad esempio il nerbo dell'esercito francese e quindi il cuore della sua efficienza . Da allora, il numero di quadri disponibili si dimostrò cronicamente insufficiente per preparare adeguatamente le riserve, rendendo anche impossibi le utilizzare gli uomini, inquadrare i volontari e condurre que ll a «guerra di popolo» che pure sarebbe stata necessaria per fiaccare gli austriaci e verso la quale invece il sovrano fu sempre diffidente. Inoltre, Pieri tracciò una dettagliata ricostruzione della condotta della guerra, mettendo in luce la debolezza e l'incapacità dell ' alto comando piemontese e in particolare d el sovrano, che intervenne r ipetutamente in maniera errata nelle operazioni, alterando spesso decisioni già prese e alimentando l'incertezza dei generali. Queste debolezze politicoistituzionali e della leadership di comando riflettevano l'inadeguatezza politica del Piemonte albertino a condurre una guerra nazionale e rappresentarono la principale causa della sconfitta, nonostante la relativa debolezza dell'Austria , tanto da spingere lo studioso a definirla la guerra delle <<opportunità perdute»129
Nel 1949 , seguendo questo filone, Pieri analizzò il lavoro di Carlo Cattaneo sull' in su rrezione milanese e la guerra del 1848-1849. Lo studioso pose il problema metodologico di verificare le informazioni di quello che era stato il capo delle cinque giornate di Milano, vagliando soprattutto le sue accuse nei confronti della condotta della guerra da parte di Carlo Alberto. Pieri riconobbe la correttezza di buona parte delle critiche rivolte da Cattaneo al sovrano, che agì con diffidenza nei confronti del movimento insurrezionale e dei democratici, minando i questo modo le possibilità di successo nel conflitto130. Connesse furono anche le discussioni con Cesare Spellanzon, un giornalista di formazione democratica poi datosi agli studi storici, fortemente influenzato da Cattaneo. Secondo Spellanzon, nell'agosto 1848, alla vigil ia della capitolazione, Carlo Alberto avrebbe deciso di concentrare l'esercito a Milano per impedire un'insurrezione popolare e la proclamazione della repubblica13 1 Pieri, dopo una minuziosa analisi, scartava questa tesi, ritenendola frutto
Pieò storico militare di errori interpretativi della documentazione e, pur non negando i timori di Carlo Alberto nei confronti di una deriva giacobina, e dichiarava che la decisione di andare a Milano era dovuta alla volontà di tentare un'ultima resistenza, poi bloccata dalla firma dell'armistizio1 3 2 •
Negli anni successivi, Pieri proseguì lo studio dei conflitti risorgimentali con le analisi sulla guerra insurrezionale, dedicandosi dallo studio del pensiero di alcuni de i maggiori patrioti e intellettuali italiani : Carlo Bianco, Gugliemo Pepe, Cesare Balbo, Carlo Pisacane e Giacomo Durando. Tutti avevano in comune l'esperi enza militare nel periodo napoleonico, oppure la partecipazione alle rivoluzioni che investirono Italia , Spagna e Belgio nel periodo 1820-1821, dalle quali vollero ricavare modelli insurrezionali che potessero essere applicati anche per produrre una guerra rivoluzionaria in Italia133
La prima analisi fu su Carlo Bianco d i Saint Jorioz (1795 -1843), esule dopo le rivoluzioni del 1821, amico di Mazzini ed esponente della Giovine Italia di Marsiglia, autore di un trattato in due volumi Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia, pubblicato a Malta nel 1830 134 • Pieri dedicò un lungo saggio all'analisi del pensiero di Bianco , perché fu il primo a sistematizzare un modello teorico insurrezionale per l'ind ipendenza italiana, influenzando anche i pensatori successivi, a cominciare da Mazzini13 5 • Perciò il suo trattato divenne il paradigma sul quale analizzare anche i lavori degli altri patrioti:
Il trattato del Bianco è indubbiamente un'opera singolare, e fa meraviglia che da oltre un secolo non sia stato preso in esame. Frutto di grande studio e di lunga meditazione [...] può dirsi il primo lavoro che affronti in pieno il problema della guerra insurrezionale [... ] che dovrà essere opera del popolo italiano, senza aiuto straniero136•
Il lavoro del Bianco de lineava la possibilità di condurre una guerra insurrezionale nella penisola mobilitando larga parte della popolazione maschile atta al servizio militare, costituendo in questo modo un esercito rivoluzionario di centinaia di migliaia di uomini, divisi per bande, sostenuto dalla massa della popolazione, appoggiato al difficile territorio italiano e per questo in grado di resistere indefinitamente all'eventuale nemico 1 ~ 7 Tuttavia, al Bianco, Pieri contesta due problemi chiave : a) L'azione insurrezionale si manifesta nella sua maggiore efficienza quando è a sostegno d'eserciti regolari che attraggano su di sé il grosso o comunque una parte notevole delle forze del nemico; e s i svolge con particolare efficacia sulle sue linee di comunicazione, e soprattutto quelle più arretrate; b) l'unanimità degl'Italiani d ' ogni ceto e d ' ogni condizione in una simile guerra che volgerebbe sempre più verso la sua forma assoluta, richiedendo tenacia e sacrifici senza limiti, è un semplice atto di fede: l'adesione delle masse rurali, ossia dei nove decimi della popolazione , presupposto per il Bianco stesso indispensabile, non è per nulla dimostrata né dimostrabile 138 •
Fieri quindi criticava Bianco per la sua mancata comprensione di alcuni problemi militari di base, soprattutto in relazione allo sforzo economico e logistico necessario a far funzionare un così grande numero di combattenti. Inoltre , dal patriota non sarebbero state tenute ben presenti le condizioni politiche e sociali dell'Italia che impedivano un simile progetto e in particolare il ruolo del clero, che se in Spagna (il principale riferimento di Bianco) aveva appoggiato l'insurrezione, difficilmente avrebbe fatto lo stesso in Italia139 •
Il trattato, pur nei suoi limiti, rappresentò lo spunto di discussione per gli altri studi di Pieri sul problema insurrezionale, a cominciare da quelli su Mazzini . Qui si vide l'influenza di Salvemini, perché Pieri riconobbe nell ' analisi insurreziona le mazziniana un progetto politico che legava le istanze militari con quelle politiche e sociali, mantenendo la necessità di un esercito regolare, ma che «vede neUa lotta e come elemento di questa la rigenerazione delle plebi agricole» . Semmai, Mazzini viene criticato, come Bianco, per non aver ben tenuto presenti le considerazioni logistiche ed economiche connesse alla costituzione di un così grande numero di combattenti140
Venivano infine le anali s i di Cesare Balbo e Gugliemo Pepe , che in virtù della loro esperienza militare avevano cognizioni «meno utopistiche» dei problemi connessi a l funzionamento di un esercito e del suo mantenimento, oltre che delle circostanze favorevoli dal punto di vista internazionale che erano necessarie per l'efficacia dell'insurrezione , come nel caso della Spagna delle guerre napoleoniche, in cui fu fondamentale il ruolo britannico141 •
L'ultimo patriota esaminato era Carlo Pisacane (1818-1857), ex ufficiale dell ' esercito borbonico, volontario nella guerra del 1848, capo di stato maggiore dell ' esercito della Repubblica romana nel 1849 e organizzatore di una tragica spedizione nel Regno delle due Sicilie nel 1857, che gli costò la vita. Pisacane pubblicò un volume s ulla guerra del 1848-1849 e una raccolta postuma di Saggi storici-politici militari , polemizzando con Mazzini suJl'impossibilità della guerra di bande in Italia considerate
Pieri storico militare una «chimerica idea», ritenendo che gli insorti sarebbero stati utili solo se operanti nel proprio territorio e contro un nemico temporaneamente vincolato ad una fortezza o ad un ostacolo naturale. Al contrario, l'esperienza del 1848-1849 mostrava che il problema dell'insurrezione non era acquisire il controllo di città e campagne, ma come affrontare la controffensiva dei reazionari e del loro alleato austriaco. Perciò, all ' insurrezione bisognava collegare una trasformazione economico-sociale, la ridistribuzione della terra, che creasse le basi per legare gli strati sociali inferiori alla rivoluzione. Nella fase successiva, le bande sarebbero state riunite in un nuovo esercito, con capi eletti, e costituito dai giovani fino ai venticinque anni, quindi un esercito nazionale, ma al tempo stesso di caserma1 42 • Pieri rilevò come ciò costituisse il limite di Pisacane, legato ad una concezione militare cresciuta nell'orbita dell'esercito di caserma napoletano della Restaurazione. Secondo lo storico, poiché Pisacane fu influenzato soprattutto da Jomini e non conosceva Clausewitz, non riuscì a riconoscere la fondamentale evoluzione della guerra che tendeva all'assolutizzazione e quindi ad eserciti di massa sempre più grandi. In sostanza, Pisacane sarebbe incorso nel paradosso di non comprendere la relazione tra politica e guerra, in cui una rivoluzione sociale induce anche ad un modo di fare la guerra rivolu zionario e tota1e1 43
Nel tracciare i limiti all'azione e pensiero dei patrioti del Risorgimento , in realtà Pieri trovava la maggiore speranza in Giuseppe Garibaldi. Le discussioni sulla figura dell ' Eroe dei due mondi in questi anni risentì dell'atmosfera più generale della contrapposizione storiografica tra liberali e marxisti. Ghisalberti ed Emilia Morelli, i più interessati al nizzardo tra i liberali, richiamarono alla necessità di «rispettare» la sua figura come quella di altri eroi del Risorgimento, seppure ridimensionandone il ruolo rispetto a Mazzini e ad altri personaggi minori. Invece, la storiografia marxista insistette sul ruolo minore svolto dall'azione umana nel processo di unificazione, ritenendo che il peso degli eroi nel processo di unificazione , come Garibaldi, fosse stato sopravvalutato144
La posizione di Pieri, come nei casi precedenti, analizzava la questione da una prospettiva militare, identificando nell'azione di Garibaldi un principio di trasformazione della relazione tra politica e guerra in Italia e sottolineando i limiti della sua azione, attribuiti prevalentemente agli ostacoli posti sulla sua strada dal governo regio . In un saggio del 1961, dedicato specificam ente all'eroe dei due mondi, Pieri attribuisce a Garibaldi il merito di saper collegare il volontarismo dei suoi uomini, che consentì di disporre di truppe disciplinate e calme, all'elaborazione di un metodo tattico efficiente di controffensi- va all'arma bi a nca che costituì il segreto de i suoi successi sul campo di battaglia145 • In sostanza, un principio politico efficace si tradusse in un modo di fare la guerra efficiente.
I volontari d i Gari baldi, per la loro stessa costituzione, consentirono al generale una guerra mobile, capace di rapide manovre in grado di assicurare la sorp r esa. È quindi proprio nel volontarismo che andrebbe ricercata la possibilità per l'Italia di accen dere una guerra di popolo in grado di rovesciare le sorti della situazio n e. Tuttavia, nel 1848 questo tentativo fu tardivo, a causa della diffidenza della monarchia sabauda e nel 1859, quando i volontari accorsero pure numerosi in Piemonte, fu attuato solo parzialmente . Garibaldi fu relegato ad una posizione relativamente marginale, a capo di un corpo, i Cacciatori delle Alpi, che rappresentava «un singolare compromesso fra la guerra di popolo e guerra regolare>i 14 6 Ciononostante, il richiamo volontaristico del garibaldinismo fu inarrestabile anche a guerra inoltrata, per quanto il Piemonte non riuscisse a servisene per il prevalere della struttura dell'esercito regio, per sua natura incapace di assorbire il potenziale militare dei volontari:
Tale era adesso l ' afflusso dei volontari, che Garibaldi avrebbe potuto formare una bella divisione; ma il Cavour dopo S. Martino gli scriveva che sarebbe stato necessario devo lverne una parte a ripianare le perdite dell'esercito piemontese. L'esercito di caserma si mostrava inetto a raccogliere e utilizzare le molte forze vive del Piemonte147 •
Proprio il fatto che aI volontarismo garibaldino non fosse stato concesso lo spazio che meritava rappresentava il limite della condotta italiana nelle guerre del Risorgimento, per questo diverse ad esempio da quelle dalla Prussia del 1866 e del 1870. Solo con la prima guerra mondiale e la Resistenza si sarebbe arrivati ad una piena mobilitazione delle forze della nazione, insomma a quella
[. .. ] grande lotta in cui per la prima volta città e campagna, patrioti e clero, si trovarono uniti, in cui la tenacia e lo spirito di sacrificio raggiunsero a volte le più alte vette. Ma l' Italia del Risorgimento, divisa e lacerata dopo tre secoli di servitù, ebbe tuttavia in sé tali forze da giungere all'unità dopo cinquant' anni d i martirologio e di lotta gloriosa , attraverso una lunga cris i rivoluzionaria ricca d'episodi singolarissimi, e in mi a Garibaldi spettò il grande onore di rappresentare e sintetizzare quanto di più nobile le forze popolari sapevano esprimere148 •
Pieri storico militare
Un'interpretazione che rientra in quel ritorno in scena di Garibaldi, come vessillo della gue r ra di liberazio n e nazionale conclusasi nel 1945, legata all'accezione della Resistenza come «secondo Risorgimento» cara agli azionisti149 •
U lavoro di Pieri sulla contrapposizione tra guerra regia e guerra di popolo non è direttamente iscrivibile in una delle due scuole che dominavano il dibattito in quegli anni . Tuttavia, abbiamo osservato come egli assorbì da entrambi i filoni per costruire una propria immagine dell'efficacia militare degli italiani, tale posizionamento <(intermedio» finì col non farlo sempre apprezzare dai colleghi.
Nel 1954, Roberto Cessi, importante storico di formazione materialista, ma anche un conservatore metodologicamente e rigido sostenitore della scuola economico -giuridica, affermava che «L'onesta e giudiziosa opera di Piero Pieri ha avviato a una migl ior comprensione dello svolgimento bellico, ma più forse nell'aspetto tecnico che in quello politico»150 . Era questo il riflesso di una polemica tra i due riguardante il lavoro sulla guerra regia del 1948 , risultato sgradito allo studioso veneto che dopo averlo letto aveva scritto a Pieri «come a uno scolaretto» 151 • In sostanza, il Cessi accusava Pieri di ignorare le necessità del realismo politico, a vantaggio di una descrizione dei fatti tecnicistica:
[ ] nei qua li si riflette l'espressione immediata dell ' azione, e con i criteri militari e anti storici di un Clausewitz e d i un Delbruck, maestri di arte della guerra, ma ignari di politica e di storia. Vero è ch e le operazioni militari costituiscono un problema politico, e assai male se ne può apprezzare contenuto e validità storica fuori del quadro politico, del quale furono parte integrante e indissolubile. La prospettiva tecnica adottata dal Pieri, dal Porzio e dal Kisziling incontra spesso smentite nella documentazione viennese 152 •
Le parole di Cessi rimandavano anche alla poca comprensione nell ' accademia italiana per la metodologia della storia militare. Paradossalmente, alcuni studiosi della nuova scuola marxista si espressero con maggiore favore . Della Peruta, autore nel 1959 di un importante volume sul ruolo dei democratici nel Risorgimento 153 , pur avendo una posizione più radicale rispetto a Pieri, riconosceva apertamente che lo studioso aveva accuratamente esaminato il pensiero mil itare di Cattaneo1 54 Invece , nel terzo volume della sua Storia dell'Italia moderna, Candelora avrebbe definito il lavoro di Pieri sulla guerra regia de l 1848 come «il più chiaro, spregiudicato e al tempo stesso equilibrato» allora disponibile15 ;;.
Il principale limite dell'interpretazione di Pieri, come ha sottolineato Del Negro, era nella tendenza a risolvere la contrappos izione tra le due forme di guerra nel segno del «concorde sforzo», lasc iando in un cono d'ombra il variegato fronte dell'Antirisorgimento e trascurando le contraddizioni che spesso interessarono il rapporto fra la guerr a di popolo e la guerra regia. Tale approccio inoltre, lo avrebbe indotto a evitare l'analisi dell'azione antipartigiana dei reazionari, i quali sebbe ne fossero meno procl ivi nell'analisi teorica delle loro controparti democrat iche, la monopolizzarono invece sul p iano pratico1 56 • Significativa a riguardo è l'analisi dell'atteggiamento di Garibaldi in Sicilia nel 1 8 60:
Ma Gariba ldi non era venuto in Sicilia per risolvere un problema sociale. Il suo proclamarsi d ittatore in nome del re, col motto 'Italia e Vittorio Emanuele', significava che l'impresa aveva per scopo l'unità d'Italia, senza intempestive deviazioni di carattere sociale: le grandi riforme sarebbero state impresa doverosa dell'Italia unita e libera157 !
Si era ben lontani dalle posizioni della recente storiografia di Romeo e Mack Sm ith ai quali pure lo storico militare diceva di aver prestato attenzione. Per lo stori co siciliano, la vittoria del moderatismo borghese segnò un indubbio p rog resso, nel Nord perchè permise l'affermazione di un ceto d irigente che aprì la strada verso un moderno assetto capitalistico, nel Sud (specie in Sicilia), perchè, anche se i ceti d ir igenti che rimasero al potere non su bi rono un ricambio, riuscirono comunque a integrarsi nella n uova vita nazionale1 5 8 • Viceversa, per il britannico, il confl itto politico, riflessosi nelle scelte militari, tra moderati e democratici, anal izzato attraverso la contrapposizione tra Cavour e Garibaldi, non era stato risolto dall'unità e anzi avrebbe costituito un elemento di instabilità decisivo nella vita del nuovo regno1 5 9 • La posizione di Pieri, situata a latere di questa evoluzione più generale degli studi, era un ennesimo rimando al fi lone democratico-azionista, che rappresentava l'Italia del seco n do dopoguerra come democrazia ormai matura, in opposiz ione all' Italia liberale prodotta dal R isorgimento e per questo democrazia i ncom pleta160• Da questo derivò una visione del Risorgimento incompiuto, ma che preparava la futura maturazione dell'Italia, pienamente espressa nel vo lume del 1962 :
L'esame dei caratteri e degli sviluppi delle guerre del Risorgimento e della rivoluzione i taliana ha mostrato deficienze e lacune numerose, ma anche una capacità combattiva, un eroismo, un'abnegazione diffuse , da fa-
Pieri storico militare re della rivoluzione italiana , colle due fasi luminose del 1848-1849 e del 1860, una singo lare caratteristica della storia europea del secolo XIX1 6 1•
Un'impostazione di fondo che rimandava alle tesi più generali del maestro di sempre, Salvemini, della cui opera scientifica riguardo il Risorgimento. Pieri non esitava a dichiarare che sarebbe stata ancora per molto tempo a «servire di lume e guida nel campo sdentificoit 162 • Lo storico militare perciò si ricollegava alla visione del Risorgimento di processo «faticoso c penoso» , ma che permise alla fine la costruzione della patria italiana. Un'interpretazione opposta sia ai sostenitori del moderatismo sia ai marxisti e volto a sostenere, nel turbolento secondo dopoguerra italiano, un riformismo diretto contemporaneamente contro il conservatorismo e l'ideologia rivoluzionaria classista della sinistra 163 •
La Storia militare del Risorgimento e la storiografia militare internazionale
Il pinnacolo, anche se non pienamente compiuto , del lavoro di Pieri sulle guerre dell'unità fu il volume del 1962, la Storia militare del Risorgimento: guerre e insurrezioni . Il testo richiese dieci anni di lavoro per essere completato, in un contesto cli difficoltà lavorative, specie dovut e agli impegni di faco ltà al Magistero e forse ad un certo affaticamento di Pi eri. che ormai si avviava ai sessant'anni. In questo probabilmente va rintracdata la tendenza, notata da Rochat , ad una minore profondità rispetto ai problemi politici e la quas i assenza di quelli economici, rispetto al lavoro sul Rinascimento 164 •
Lo stesso problema probabilmente contribuisce anche a sp iegare Io sbilanciamento dello s pazio concesso alla prima guerra d 'indipendenza rispetto alla seconda. La narrazione degli eventi del 1848-18 50, basata sulle profonde ricerche del 1948-50, occupa infatti 358 pagine, contro le 138 della seconda guerra d'indipendenza. mentr e 23 sono quelle dedicate alla terza. Il vo lume si co nclud e con la sconfitta di Garibaldi a Mentana (1867) e non analizza la presa di Roma (1870) che in realtà concluse il ciclo delle guerre del Risorgimento 166 • Dalla ripartizione interna appare evidente lo sq uilibrio verso la prima parte. che come vedre mo Pieri cominciò ad analizzare neg li anni successivi alla seconda guerra mondiale, mentre le s ucces s ive, prodotte tra gli anni Cinquanta e Sessanta, furono più ridotte anche a causa del crescente affaticamento dello stud ioso. Il volume comunque rappresenta uno sforzo notevolissimo, per la sua ampiezza (quasi 900 pagine), per la dens ità dei fatti narrati e per la profonda conoscenza della letteratura, espressa in forma sintetica nel saggio bibliografico di quaranta fitte pagine alla fine del volume1 66
Il testo riprende in gran parte le precedenti pubblicazioni e in buona parte dei passaggi è possibile osservare poche modifiche rispetto ai lavori usciti precedentemente. Tra le parti più nuove, soprattutto dal punto di vista in terpretativo, stanno le pagine iniziali dedicate alle guerre napoleoniche, intitolate Il risveglio guerresco italiano (17961815), come abbiamo visto frutto dell'influenza di Salvatorelli. Il capitolo affrontava il coinvolgimento degli italiani nelle guerre napoleoniche, analizzando la condotta delle truppe sotto le diverse bandiere e concludendo che dopo la crisi militare del Rinascimento, quello era il primo momento in cui gli italiani avevano dimostrato di essere tornati ad avere una effettiva capacità di combattere sia come forze regolari che come forze insurrezionali1 67 •
Altre parti appositamente costruite per il volume, o ltre a quella sul 1866, furono quelle dedicate alla spedizione dei Mille168 Abbastanza nuove furono anche le pagine dedicate ai primi anni di vita dell'esercito italiano (1860-1866), nelle quali Pieri espresse nuovamente le sue critiche per le scelte conservative in materia di ordinamenti militari, intraprese dal neonato Stato unitario, ora dominato dalle correnti moderate, per la dispersione del patrimonio rappresentato dell'esercito meridionale di Garibaldi, con il cui scioglimento «la vicenda degli sforzi degli elementi democratici italiani fra il 1851 e il 1861 per una piena utilizzazione delle forze vive della nazione si potrebbe considerare al termine>t169 Tali analisi confluirono in parte come introduzione un volume di documenti sulle forze armate neJl'età della destra che uscì lo stesso anno 1 70 Infine, nuove furono pure le pagine finali sulla spedizione nello Stato pontificio, terminata nella sconfitta di Mentana (1867), nelle quali Pieri rintraccia i limiti dei metodi tattici di Garibaldi di fronte al progredire delle armi da fuoco 171 •
Nel complesso il lavoro rappresenta una sistematizzazione degli studi precedenti, non a caso frequentemente ripresi e lo stesso Pieri ci avverte che il suo scopo era raccogliere i temi di ricerca che lo avevano lungamente accompagnato nella sua analisi del rapporto tra guerra e politica:
Diversi miei successivi lavori sulle guerre del Risorgimento lo mostravano , come pure saggi sui nostri teorici della guerra e della rivoluzio- ne [... ). Mi giunse perciò assai gradito l'invito dell"editore Einaudi a continuare il lavoro e a presentarlo in forma sin tetica in un 'opera che abbracciasse le guerre e le insurrezioni e il correlativo svolgimento del pensiero militare italiano172 •
Il tema delle guerre e delle insurrezioni, o come abbiamo visto della «guerra regia» e «g uerra di popolo», rifletteva appi eno il problema più genera le degli eserciti ottocenteschi tra coscrizione di massa e l'ese rcito professionale. Non a caso, nel volume tra i riferimenti di Pieri compaiono due studi che si dedicarono approfonditamente a questo problema: que11o di Gerhard Ritter, cui abbiamo accennato in relazione a Clausewitz, e quello, di molto precedente, ma ancora imp ortante negli anni Cinquanta del francese Jo seph Monteilhet, sulle istituzioni militari francesi da l 1814 al 1926 (poi 193 2), nel qu a le è descritta l'evo lu zione dell'ese rcito francese attraverso una analisi g iuridi co-istituzionale di tipo tradizionale, ma stretta proprio intorno alla tensione t ra nazione armata ed esercito professionale. Per comprenderne l'importanza, va detto che è l ' unico saggio francese di storia mi li tare a cui Pieri dedicò un'intera recensione1 73 •
I tre lavori sono certamente comparabili per alcuni punti in comune, anche perché gli sto rici militari di questa generazione era no attenli essenz ialmente a dinamiche politico-islituzionali: ordinamenti, uomini al comando, pensiero militare e condotta delle operazioni. Inoltre, Pieri, Monteillhet e Ritter avevano un punto in comune: avevano la necessità di spiega re le difficoltà e il processo di sviluppo storico dei ri spett ivi Paesi alla luce degli ordinamenti militari, per comprendere alcuni fenomeni chiave della storia nazionale.
Ritter fu membro della resistenza tedesca e fu coinvolto nel complotto per assassinare Hitl er d el lu g li o 1 944. dopo il quale fu arrestato dàlla Gestapo e internato in lager fino alla caduta del Terzo Reich. Ie lla sua opera in più volumi sul militarismo tedesco intendeva dimostrare che la deriva bellicista della Germania era dovuta all'irrompere delle masse sulla scena politica dopo la rivoluzione francese. differenziandosi in questo da Pieri. per il quale come abbiamo visto la tradizione liberale di maturazione verso la democrazia costituiva un punto fondamenta le174 • Lo studio di Ritter su l militarismo era certamente più esteso di quella di Pieri, se non altro perché la parte dedicata alla tradizione militare pru ssi ana, quindi focalizzata sulla que stio ne dell'esercito di mestiere contro il popolo in armi, occupa tutto il libro primo del primo vo lum e del suo lavoro che termina con la fine del cancellie-- 198 -- rato di Bismarck (1890) 175 • Differente era la figura di Joseph Monteilhet (1877-1964), padre dello scrittore Hubert Monteillet: laureato in legge e poi magistrato, era un pacifista che si dedicò alla storia militare saltuariamente. Il suo pensiero fu largamente influenzato dal lead er socialista francese Jean Jaurès, al centro della battaglia pacifista francese prima della Grande guerra11<> . TI suo libro sulle istituzioni militari in Francia, diventato poi un class ico dell 'ana lisi giuridico-istituzionale, era volto a dimostrare la necessità dell'esercito di leva per lo sviluppo democratico del Paese e non a caso nella prima edizione era sottoti tolato Dall'esercito permanente alla nazione armata, poi di ventato Dalla pace armata alla pace disarmata nell'edizione del 1932. Il testo da allora è rimasto come classico del pensiero della sinistra francese sulla questione degli ord in ame nti militari 177 • Anche in questo caso l'analisi si estendeva oltre i limiti crono logici del vo lume di Pieri, superando la Grande guerra, ma lo sguardo sul periodo dalla rivoluz ione francese alla fine dell'Ottocento era piuttosto ampio 178 •
I tre volumi condividono l'interesse comu n e di illustrare lo sviluppo militare in relazione a l problema della contrapposizio ne tra nazione armata (o esercito di popolo) o esercito professionale (esercito regio).
Ritter è più attento alle dinamiche politiche e Montcilhet a quelle giuridico-istituzionali, mentre Pieri spende molta parte ciel testo ad analizzare le operazioni militari , dettagli ai quali gli altri due studios i risultano meno interessati.
I parallelismi nell'impostazione metodologica dell'analisi risultano comunque evidenti, a comi nci a re dalla dichiarazione di intenti, in cui si centrava il punto delle analisi sul ruolo della politica nella guerra e viceversa. Scriveva Ritter: li problema di cui tratta il mio libro è di carattere storico politico, non sociologico: la politica (Staatkur,st, letteralmente 'arte dello stato') e la tecnica militare (Kriegsshandwerk, letteralmente ·mestiere della guerra'). o per megli o dire il 'p roblema del militarismo', ma anche questo è inteso soltanto come probl ema politico 179 •
Monteilhet invece riprendeva le tesi dello studio so Henri Berr, secondo cui la comprensione del lo sviluppo delle istituzioni mmtari era fondamentale per comprendere la storia politica di uno stato 180 • Infine , per Pieri:
La gue rra[ ... ] come il Clausewitz lucidamente intuì, essa è l'espressione, quanto più vo lge verso la sua naturale forma, dello sforzo di tutto il pae-
Pieri storico militare se, d'ogni sua attività convogliata verso la grande lotta e l ' alta meta. E la storia mibtare affonda le sue radici nella struttura economica, sociale e politica di uno stato, e può essere un utile forse e necessario complemento alla storia politica18 1 •
La stessa stiuttura dei temi rimanda ad una vicinanza di interessi e modi di svolgimento dell'indagine. Come Pieri, anche Ritter parte dal Settecento e dall e sue conseguenze sulla Germania, analizzando, come abbiamo anticipato , il pensiero di Claus ew itz182 • Si segnala qui un ' attenzione al problema del pensiero militare e dei teorici della guerra che pure costituisce carattere comune all'opera dei due studiosi, come abbiamo osservato dalle numerose analisi compiute da Pieri, poi regolarmente confluite nello studio del 1962183 • Lo sviluppo di Monteilhet è meno attento alle dinamiche teoriche, ma il punto di partenza della sua analisi è comunque nella rivo lu zione francese e nelle guerre napoleoniche , vere genesi del moderno «ese rcito di popolo» , rappresentato soprattutto dalla Guardia nazionale una «nazione in armi contro il nemico della patria»184
Nella s ua analisi, lo storico tedesco analizza il problema dello sviluppo dell'esercito prussiano, osservando la contrapposizione tra i fautori e teorici di un'armata di massa basata sulla coscrizione, come Gneisenau, e quelli di un esercito del re, che avrebbe riguardato tutta la storia prussiana fino al cancellierato di Bismarck. Il prevalere d ell'esercito regio viene così ricondotto ad una precisa strategia politica di contenimento delle aspirazioni popolari e ad un'impostazione di rigida selezione sociale che lascia agli aristocratici e a una borghesia socialmente selezionata il controllo dell'istituzione :
TI rigido attaccamento alla monarchia del co rpo ufficiali rimase in alterato e il suo spirito di corpo si trasm ise ai giovani della borghesia colta ch e si nutrì di nobili tradizioni piuttosto ch e di idee progressiste, legato ad uno spirito di corpo pericoloso soprattutto perché favoriva l'imitazione da parte dei borghesi dei costumi della nobiltà , compreso l'orgoglio di casta.[ ] Tvolontari studenti e gli ufficiali della milizia del 1813 erano stati invece del tutto inunwù da questo s pirito 'militaristico'. Tuie conseguenza può quindi essere considerata una conseguenza indiretta del passaggio dall'esercito popolare all ' esercito regio di cui ci siamo così a lungo occupati, e che l ' esito del conflitto cons olidò definiti vamente . Ma - e ciò è ancor più importante - venne consolidata anche la particolare posizione dell'esercito nello stato monarchico costituzionale: al di là delle lotte di partito esso divenn e uno strumento di potere della corona, del quaJc nessun parlamento osò più mettere in discuss ione la struttura di potere interna [. .
D'altra parte questa tradizione seppe dimostrare la sua efficacia nel coniugare poli ti ca e guerra entro limiti sostenibili grazie alla direzione del duo Bismarck-Helmut von Moltke, il capo di stato maggior e prussiano nelle guerre del 1 864, 1866 e 187 0-1871186 .Tuttavia, Ritter esp rime la consapevolezza che con la guerra franco-prussiana si assistette all ' apice e ad un mutamento di quella tradizione militare, di cui aveva voluto tracciare il distacco rispetto alla deriva delle due guerre mondiali. Sottolineava lo storico tedesco che la vittoria nella guerra del 1866 contro l' Austria fu «nello stile politico di un gabinetto», mentre quella imposta a.lla Francia nel 1 871:
(.. .] anche se non di impronta schiettamente nazionalista, fu tuttavia dominata dalla coscienza che esistevano contrasti nazionali insuperabili f.. .]. La guerra nazionale aveva provocato gl i effetti da lui paventati, scatenando passioni smodate e odi inconciliabili che nessuna arte politica avrebbe potuto facilmente dominare187•
L'impostazione di Monteillhet è molto diversa, in quanto a suo giudizio «l'esercito permanente è, per il solo fatto di esistere, un fattore di guerra»188 • Non solo, ma l' esercito di caserma professionale rifletteva il militarismo e il monarchismo della Restaurazione e poi del Secondo impero, essendo uno strumento a sup porto di una politica di aggressione quanto di mantenimento dell'ordine interno . In particolare, questo era valido per l ' imperatore Napoleone III , nonostante le guerre d i Crimea e d'Italia avessero dimostrato che nell'epoca delle nazioni un esercito di mestiere era ormai insufficiente189 Di fatto, questo creò le premesse per la sconfitta del 1870-1871 ad opera della Prussia, la quale però in virtù della prolungata resistenza delle raffazzonate forze di coscritti imp iegate dall ' esercito repubblicano dopo l ' abdicazi one di Napoleone III, dimostrò comunque la superiorità dell ' esercito di popolo190• Un'opportun ità che la Terza Repubblica non seppe impiegare e, sebbene nel 1872 la neonata assemblea nazionale approvasse la costituzione di un esercito nazionale basato sulla coscrizione, questi ordinamenti furono progressivamente annacquati dalla costruzione di un esercito semiprofessionale che creò i presupposti per le difficoltà militari del 1914191 • Al di là di tutto un elemento però emerge, nuovamente d i natura politica, e cioè che «i rapporti che veniamo a stabilire tra la democrazia e il servizio obbligatorio sono latenti e profondi»192
A conclusione di ques t o ragionamento, possiamo osservare come Ritter e Monteillhet offrono chiari parall elismi con le osservazioni di
Pieri circa gli eserciti italiani. Non è un caso che lo studioso italiano fece riferimento ad entrambi per l'analisi dello svi luppo degli eserciti preunitari, soprattutto di quello napoletano e piemontese, come abbiamo visto allo scopo di sottolineare la debolezza del primo in relazion e alla prima guerra d'indipendenza 193
Lo studio risorgimentale e della prima Italia unita di Pieri riscosse immediato successo : Candeloro Io inserì tra le opere gene rali raccomandate nella bibliografia della sua Storia dell"Italia moderna, in questo punto il lavoro di Pieri delineava «cri ticament e le vicende belliche insurrezionali e i dibattiti sui problemi militari in connessione con lo sviluppo politico, economico e sociale nell'età del Risorgimento>+ 19\ Oggi. come sottolinea Del Negro, il volume s i presenta per molti versi ancor più come un lavoro tradizionale, specie se comparato alla storiografia più recente, più sensib ile alla contaminazione con le a ltre scienze sociali e attenta alla storia della cultura: per intendersi quella invocata come necessaria da Banti e Gi nsborg. Tuttavia. si tratta di interpretazioni odierne e non comparabili alla fase degli studi di Picri. per il quale l'intreccio guerra, politica e patriottismo riassumeva e conchiudeva l'interpretazione d el Risorgimento 19 5 • Tale stagione era comunque destinata a rapidamente chiudersi e nel 19 64 lo storico marxista Ernesto Ra gionieriavrebbe parl ato di «fine del Risorgimento», riferendosi alla scomparsa della militanza e alla partecipazione degli storici ai valori risorgimentali , alla quale Pieri aveva chiaramente aderito in virtù del suo patriottismo di matrice democratico -azionista 196 • Ancora oggi però la Storia militare del Risorgimento si può considerare come runica sintesi complessiva dei conflitti dell'unificazione, fondamentale punto di partenza critico per lo studio delle guerre dell'unità 197 •