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Il tema della memoria

Avagliano si concentra sulle fonti coeve che ‒ come Portelli sottolinea ‒sanno restituire l’atmosfera storica e umana di quei momenti in modo autentico poiché sono libere dal peso della memoria, che può distorcere la narrazione di un fatto vissuto e ricordato a distanza di tempo. La mia analisi invece si focalizzerà proprio sulla memorialistica che, come l’autobiografia, è strettamente legata ai meccanismi della memoria poiché è dal serbatoio del ricordo che si selezionano i fatti da raccontare.

Il tema della memoria

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Prima di concentrarmi sulla più specifica memorialistica vorrei dedicare un breve paragrafo al tema della memoria, che è stato sin dall’Antichità oggetto di dibattito per le sue implicazioni in ambito filosofico, antropologico, letterario e politico. Essendo la prima fonte da cui la scrittura memorialistica trae il proprio materiale, credo sia utile per le nostre riflessioni successive analizzarlo più nel dettaglio. 50 Questa breve panoramica sul tema della memoria inizia ripercorrendo le tappe dello studio di Paul Ricoeur, Ricordare, perdonare dimenticare.51 Ricoeur ragiona sul ricordo partendo dalla definizione aristotelica che fa della memoria una proprietà esclusiva del passato. Secondo Aristotele, i ricordi sono immagini fisse lasciate da un fatto nella memoria, come delle impronte. Queste tracce sono conservate nel magazzino della mente umana, come una collezione di esemplari che si mantengono intatti col passare del tempo. Secondo il filosofo greco, la memoria fa capo alla stessa parte dell’anima che gestisce l’immaginazione: per questo motivo anche i ricordi, che si articolano in immagini, possiedono un loro livello di finzione. Ricoeur sviluppa ulteriormente le teorie aristoteliche mostrando come la memoria sia sì legata al passato, ma possa influenzare anche il presente e il futuro, ed esserne a sua volta condizionata. Chi ricorda un fatto vissuto nel passato è sempre guidato, in quella ricostruzione, dal presente in cui vive, e anche dal progetto che ha per se stesso nel futuro: il ricordo, quindi, non è

50 Non sono qui considerate le riflessioni sulla memoria come unico modo per sopravvivere alla morte. Il tema della memoria come restanza sarà recuperato come uno degli scopi della memorialistica partigiana più recente. 51 PAUL RICOEUR, Ricordare, perdonare, dimenticare. L’enigma del passato, Bologna, Il Mulino, 2004.

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più un’immagine fissa, ma diventa una costruzione di cui è il soggetto a decidere i modi.

La memoria, già per Sant’Agostino, sapeva superare la divisione triadica del tempo – passato presente futuro – poiché rendeva presenti le cose assenti. Ricoeur sviluppa la riflessione di Agostino sottolineando come la memoria del passato influenzi anche il futuro attraverso il peso della colpa. Il senso di colpa è generato da un episodio colpevole commesso in passato ma si proietta su un tempo futuro, finché non interviene il perdono, ad annullarlo. Si è già detto che anche il futuro può influenzare il passato: sebbene la realtà di fatti già accaduti non si possa modificare, può cambiare il senso con cui uno stesso fatto viene interpretato dal soggetto che lo ricorda. L’osservazione di Ricoeur sulla memoria come strumento di recupero del passato al tempo presente mostra come il ricordo sia l’unico modo che l’uomo ha per mantenere un legame con il proprio vissuto individuale, le proprie origini. Esso diventa la risorsa fondamentale su cui ogni individuo fonda la costruzione dell’identità personale, che non può prescindere dalla propria storia passata. Tzvetan Todorov dice a questo proposito:

Ciò non vuol dire che l’individuo può rendersi interamente indipendente dal suo passato e usarlo come vuole, in tutta libertà. Anche perché l’identità presente e personale è fatta, tra l’altro, delle immagini che egli ha di quel passato. Il sé attuale è una scena sulla quale intervengono come personaggi attivi un sé arcaico, poco cosciente, formato dalla prima infanzia, e un sé riflesso, immagine dell’immagine che gli altri hanno di noi – o piuttosto di quella che noi immaginiamo presente nel loro spirito.52

Non avere un passato individuale è una prospettiva da incubo, ed è un’eventualità ricorrente nelle tematiche della letteratura novecentesca. Si pensi alla situazione di Mattia Pascal, che ha creato la sua persona dal nulla per liberarsi da una vita che lo opprimeva, e per questo non ha una storia personale. All’inizio questa sensazione gli dà gioia, ma in seguito lo fa sentire rinchiuso in una dimensione di estraneità e incomunicabilità legata proprio alla mancanza d’identità. Il protagonista si sente come sospeso, bloccato in questo limbo – metaforicamente rappresentato dalla biblioteca – spazio-temporale in cui non c’è più né passato né futuro, quindi non c’è più identità: o, per meglio dire, c’è

52 TZVETAN TODOROV, Gli abusi della memoria, Napoli, Hypermedium, 1996, p. 32.

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un’identità vuota, ridotta ad uno sterile nome. Nella Premessa il protagonista del romanzo pirandelliano dice:

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. […] Non pareva molto, per dire la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora cosa volesse dire il non sapere neppure questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza: – io mi chiamo Mattia Pascal. Qualcuno vorrà bene compiangermi (costa così poco), immaginando l’atroce cordoglio di un disgraziato, al quale avvenga di scoprire tutto ad un tratto che…sì, niente, insomma: né padre, né madre, né come fu o come non fu. E vorrà pur bene indignarsi (costa anche meno) della corruzione dei costumi e dé vizii, e della tristezza dei tempi, che di tanto male possono esser cagione ad un povero innocente.53

Un altro esempio che sottolinea l’importanza delle memoria individuale per la vita di un uomo è la storia del protagonista del romanzo di Lurija, Un mondo perduto e ritrovato:54 reduce di guerra e offeso, oltre che nel fisico, anche nella mente, poiché non ricorda niente del proprio passato, Zasetskij lotta con tutte le sue forze per recuperare la propria memoria, da cui può ripartire per ricostruirsi un’identità e un futuro.

Se la memoria individuale rappresenta le fondamenta su cui costruire l’identità individuale, si può anche parlare di una memoria collettiva, su cui fondare l’identità di un gruppo. Per Ricoeur, nella mente del singolo prima si deve formare l’identità individuale come base su cui inserire quella collettiva. Il processo però non è così semplice, poiché ancora prima che l’identità individuale si sia formata, il singolo è passivamente bombardato dai racconti e dalla simbologia che fondano la memoria collettiva del gruppo di cui fa parte; queste narrazioni influenzano quindi anche la memoria individuale, ad un livello inconscio, che non è possibile controllare. Parlando dei processi che governano i meccanismi del ricordo, Ricoeur affronta il difficile problema dell’oblio. Secondo lo studioso, l’oblio è una forma di uso della memoria, non necessariamente il suo contrario. Il ricordo opera sulle immagini del vissuto sscegliendo quelle più importanti, e tralasciando le altre; ecco che la selezione diventa il meccanismo basilare della memoria. Ricoeur

afferma che la forma di oblio selettivo è benefica, poiché l’uomo la utilizza per creare una “coesione di vita”, cioè per riordinare la propria catena di ricordi sulla

53 LUIGI PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal, in ID., Opere, Milano, Sansoni Editore, 1993, p. 55. 54 ALEKSANDR ROMANOVIC LURIJA, Un mondo perduto e ritrovato, Roma, Editori Riuniti, 1971. 28

base di una coerenza pseudo-narrativa; in questo senso, anche la storiografia opera un uso ragionato e temporaneo dell’oblio per creare un intreccio narrativo. L’oblio diventa letale quando viene strumentalizzato per controllare la memoria, soprattutto quella collettiva: a questo proposito, Ricoeur ricorda la politica di censure attuata dai regimi dittatoriali novecenteschi. In Gli abusi della memoria anche Tzvetan Todorov riflette in modo

approfondito sull’oblio e sui suoi usi. Il filosofo nota come la società contemporanea si stia avviando su una strada che porterà al rifiuto della memoria, del passato e della tradizione:

Oggi vengono molto spesso formulate delle critiche alle democrazie liberali dell’Europa occidentale o dell’America del Nord, che sono rimproverate di contribuire anch’esse al deperimento della memoria, al regno dell’oblio. Precipitati in un consumo sempre più veloce di informazioni, noi saremmo destinati alla loro sempre più veloce eliminazione; tagliati fuori dalle nostre tradizioni e abbruttiti dalle esigenze di una società permissiva, sprovvisti di curiosità spirituale come di familiarità con le grandi opere del passato, saremmo condannati a celebrare allegramente l’oblio e ad accontentarci delle vane glorie dell’istante. La memoria, in questo caso, sarebbe minacciata non tanto dalla mancanza d’informazioni, ma piuttosto dalla loro sovrabbondanza. Così, in modo molto meno brutale, ma finalmente più efficace (perché non provoca la nostra resistenza, in quanto ci trasforma in attori consenzienti di questa marcia verso l’oblio), gli stati democratici condurrebbero le loro popolazioni verso la stessa meta dei regimi totalitari, e cioè nel regno della barbarie.55

Questo processo di abbandono della memoria è stato individuato anche da Ugo Fabietti, che ha analizzato i meccanismi della memoria collettiva per comprendere i processi di formazione delle identità comunitarie. Muovendo dalle riflessioni dell’antropologo francese Marc Augé sulla contemporaneità, Fabietti nota:

L’operazione fondamentale su cui si basa tale riflessione è l’avvicinamento fra l’antropologia culturale e la storia, segnato da due fenomeni che condensano il modo in cui è cambiato il mondo negli ultimi decenni: l’accelerazione della storia, che investe primariamente la dimensione temporale, e il restringimento del pianeta, che investe primariamente la dimensione dello spazio. Le vicende locali sono sempre più coinvolte nei processi planetari (è ciò che si dice globalizzazione); per via dell’istantaneità delle informazioni inoltre, avvengono continuamente eventi “storici”, e questo non può non avere degli effetti sul modo in cui si ricorda, sulla memoria e, di conseguenza, sull’identità, sempre meno legata al passato e sempre più frantumata nel presente. Per di più, la dimensione planetaria

55T.TODOROV, Gli abusi della memoria, cit., p. 32.

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dell’informazione e identità, ci pone di fronte allo spettro di un’umanità senza memoria…e senza identità.56

Secondo Fabietti, le cause dello scivolamento verso la non-memoria, tipica della società contemporanea, sarebbero da ricercarsi negli effetti della globalizzazione, che influenzerebbero la percezione dello spazio e del tempo eliminando il concetto di distanza storica. Bombardato continuamente di

informazioni in tempo reale, il singolo non ha più il tempo materiale di percepire e elaborare il proprio passato per dargli la dimensione del ricordo, che quindi è preda dell’oblio. Dopo aver individuato il processo di cancellazione della memoria come elemento peculiare del XX secolo, Todorov si concentra sugli usi dell’oblio: come già Ricoeur, anche per lui l’oblio può essere uno strumento utile, se usato in modo responsabile. La memoria è sempre interazione tra conservazione e cancellazione, poiché è frutto di una selezione; dal momento che non è umanamente possibile ricordare tutto, l’oblio deve in certi casi intervenire. Riflettendo su questi stessi temi, Marc Augé57 ha sottolineato che tra memoria e oblio vi è lo stesso rapporto che sussiste tra vita e morte, poiché sono due enti la cui esistenza è strettamente intrecciata, interdipendente. La memoria si nutre dell’oblio, e viceversa. Si deve quindi riconoscere la sua importanza nell’attività del ricordo: esso è utile, ad esempio, per rimuovere i ricordi più dolorosi, la cui persistenza opprimente spesso impedisce la vita presente a chi li ha vissuti e li porta dentro di sé, continuando a riviverli. Lo sa bene Primo Levi, che ne parla in I sommersi e i salvati, a proposito del ricordo delle vittime dei campi di sterminio:

Intendo esaminare qui i ricordi di esperienze estreme, di offese subite o inflitte. In questo caso sono all’opera tutti o quasi i fattori che possono obliterare o deformare la registrazione mnemonica: il ricordo di un trauma, patito o inflitto, è esso stesso traumatico, perché richiamarlo duole o almeno disturba: chi è stato ferito tende a rimuovere il ricordo per non rinnovare il dolore; chi ha ferito ricaccia il ricordo nel profondo, per liberarsene, per alleggerire il suo senso di colpa.58

La cancellazione della memoria può essere uno strumento potentissimo, soprattutto se non è applicato da un individuo singolo, ma dal potere statale. La

56 UGO FABIETTI, VINCENZO MATERA, Memorie e identità, Roma, Meltemi editore, 1999, pp. 2930. 57 MARC AUGÉ, Le forme dell’oblio, Milano, Il Saggiatore, 2000. 58 PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 2002, p. 14.

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nostra identità e la nostra cultura dipendono dalla memoria e quindi dal passato; manipolare i ricordi significa influenzare anche la cultura, ad un livello profondo. I regimi dittatoriali sono un esempio di come si può distorcere la memoria controllando comunicazione e mezzi d’informazione. Ancor oggi, infatti, c’è chi sostiene che i campi di sterminio non siano mai esistiti; ed è un fatto che l’eliminazione del genocidio ebraico dalla memoria storica fosse nei progetti del regime nazista se, poco prima dell’arrivo dell’Armata Rossa, il Quartier Generale nazista aveva diramato l’ordine di distruggere tutti i documenti che potevano confermarne l’esistenza, compresi i campi stessi. Data la potenza di questo strumento, lo Stato deve cercare di farne un buon uso pubblico: deve recuperare la memoria per poterla applicare in modo vantaggioso alle situazioni presenti. Secondo Todorov, oggi a livello pubblico si ha una forte richiesta di memoria. Questo succede poiché in un società massificata e omogeneizzata come la nostra, l’individuo si sente privato della sua identità:

Ora, che lo si voglia o no, la maggior parte degli esseri umani ha bisogno di sentire la sua appartenenza ad un gruppo: è là che essi trovano il mezzo più immediato per ottenere il riconoscimento della propria esistenza […]. Anche se non si è particolarmente perspicaci, non si può non rendersi conto che il mondo contemporaneo evolve nel senso di una più grande omogeneità e uniformità […]. La riunificazione di queste due condizioni – il bisogno di identità collettiva e la distruzione delle identità tradizionali – è responsabile, in parte, del nuovo culto della memoria: è costituendosi un passato comune che si potrà beneficiare del riconoscimento dovuto al gruppo. 59

L’individuo singolo è spinto verso il recupero della memoria per ricostruire la propria perduta appartenenza ad un gruppo identitario. Il potere politico risponde a questo bisogno con lo strumento delle commemorazioni. Todorov avverte che la commemorazione può essere un’arma a doppio taglio poiché, se in apparenza sembra combattere l’oblio, essa singolarizza l’evento che vuole ricordare, fino a fossilizzarlo in una forma definitiva e sterile, che impedisce la riflessione su di esso. Al contrario, la memoria del passato deve essere recuperata in funzione di una migliore comprensione del presente:

Tutti hanno il diritto di ricordare il loro passato, certo, ma non è il caso di erigere un culto della memoria per la memoria; sacralizzare la memoria è un’altra maniera per renderla sterile. Una volta che

59 T.TODOROV, Gli abusi della memoria, cit., p. 62.

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abbiamo ristabilito il passato, dobbiamo interrogarci sul modo in cui ce ne serviremo e a che scopo!60

Il recupero della memoria è sempre motivato da uno scopo presente. Anche lo storico, quando ricostruisce un fatto, è guidato da un fine pratico:

Il lavoro dello storico, come ogni lavoro sul passato, non consiste mai nello stabilire solo dei fatti, ma anche nello scegliere alcuni di essi come più significativi e porli in relazione tra loro; ora questo lavoro di selezione e di combinazione è sempre orientato dalla ricerca, non della verità, ma del bene. L’opposizione reale non sarà dunque tra l’assenza o la presenza di un fine esterno alla ricerca stessa, ma tra una buona e una cattiva politica.61

Per quanto si insegua la scientificità e l’oggettività, anche la storia conserva un margine di individualità: lo storico non è al di fuori del suo tempo, vive immerso in una realtà presente che lo influenza nelle scelte degli episodi a cui dare rilievo.

Quest’ultima riflessione ci porta a considerare nuovamente i meccanismi che regolano la memoria: se l’individuo recupera il ricordo del proprio passato sulla base di esigenze presenti, allora il presente peserà sulla ricostruzione del passato, come un filtro. Oltre a Ricoeur, anche Primo Levi lo sottolinea:

La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, e al suo stesso comportamento. I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei.62

È chiaro che la memoria di per sé non potrà mai ricostruire un fatto in maniera oggettiva: sono molte, infatti, le varianti che possono influenzarla. Prima di tutto, gli scopi di chi ricorda indirizzano la scelta dei fatti e i modi con cui vengono raccontati. In secondo luogo, l’io del presente, cioè quello che rievoca, è diverso dall’io del passato che ha vissuto il fatto; questa differenza è causa di una prima inconsapevole distorsione tra evento vissuto e ricordato. Il punto di vista di colui che ricorda opera sulla memoria, poiché lo porta ad organizzare la narrazione del vissuto seguendo una gerarchia d’importanza che è solo soggettiva e influenzata dalla partecipazione emotiva: più chi ricorda è stato coinvolto

60 Ivi, p. 47. 61 Ivi, p. 60. 62 P.LEVI, I sommersi e i salvati, cit., p. 13.

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emotivamente nel fatto, più la ricostruzione ne risentirà. Può anche avvenire che sulla ricostruzione del ricordo pesi l’immagine pubblica che quell’evento ha assunto, oppure quella tramandata dalla memoria collettiva, o dalla storiografia. I processi di omologazione e semplificazione hanno in questa fossilizzazione del ricordo individuale un loro ruolo, che non va sottovalutato: nel caso della memorialistica partigiana, per fare un esempio, si è notato che diverse testimonianze scritte di uno stesso evento – riportate da partigiani differenti per ruolo e collocazione fisica all’interno del fatto – sono molto simili. Questo avviene poiché prima di diventare memorie scritte, quei racconti erano nati dallo scambio orale e reciproco di esperienze tra i partigiani, durante i momenti di tregua. Può avvenire poi che un individuo racconti come suoi alcuni momenti che non ha vissuto direttamente, ma che gli sono stati raccontati, oppure che ricostruisca i suoi ricordi modellandoli sul racconto altrui. Spesso si tratta di processi inconsapevoli, di cui però si deve tener conto nel leggere gli scritti di memoria.

La mia seppur breve riflessione sulla memoria, sui suoi processi e sui legami con l’oblio e l’identità non è casuale: serve a fornire gli strumenti utili per affrontare l’analisi della memorialistica partigiana, in cui gli elementi qui esposti trovano una loro applicazione concreta.

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