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I diari di Quazza e Artom

la selezione è operata sulla base dell’importanza che l’autore dà agli eventi nel momento in cui li vive, per cui egli decide di raccontare solo quelli più rilevanti dal suo punto di vista. Ci sono però casi di scrittura diaristica in cui l’intervento dell’autore sulla cronologia è più pesante, con giorni soppressi oppure con sequenze più lunghe raggruppate in una sola nota, accanto a testi che rispettano fedelmente la scansione giornaliera, annotando i fatti ogni giorno, con la stessa precisione e oggettività. Se si legano queste teorie alle due tipologie di scrittura diaristica individuate da Castelli, la scrittura a freddo permetterebbe una più libera selezione della cronologia, mentre la scrittura a caldo limiterebbe le scelte dell’autore, obbligandolo ad aderire alla scansione temporale reale. Frigeri sostiene la sua teoria sulla base di due esempi opposti: il diario di Emanuele Artom,81 pubblicato postumo, rappresenta il tipo di cronologia “personale”, mentre la scansione giornaliera è rispettata fedelmente nel diario di Guido Quazza, posto in appendice al volume da lui curato La Resistenza italiana. Appunti e documenti. 82 Dopo aver individuato queste differenze, Frigeri si interroga sulle motivazioni che possono portare a preferire un tipo di cronologia piuttosto che un’altra. Egli dice:

Quali sono le ragioni profonde di queste diverse scansioni del tempo? […] Per Artom il diario è il luogo dove scrivere, in quel particolare momento, ciò che non si può dire a nessuno e in esso Artom si confessa e registra il cambiamento che sta avvenendo in lui. In questo senso è anche diario intimo, oltre che documento storico. In Quazza non ci sono riflessioni personali e lo stile telegrafico, senza concessioni alla scrittura, è più rivolto ai fatti che ai palpiti. Non vi è introspezione psicologica ma autodisciplina, obbligo morale a scrivere tutti i giorni per non lasciare dietro di sé nessun vuoto, quasi il bisogno di rispondere così ad un “horror vacui” che rimanda alla funzione religiosa che originariamente il diario aveva: quello di verifica e controllo della vita spirituale dello scrivente.83

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I diari di Quazza e Artom

Artom risulta essere esempio della scrittura a freddo, di riflessione, di dialogo con il proprio io; Quazza, invece, è l’emblema della scrittura a caldo, di

81 EMANUELE ARTOM, Diari di un partigiano ebreo: gennaio 1940-febbraio 1944 (a cura di Guri Schwarz), Torino, Bollati Boringhieri, 2008. 82 GUIDO QUAZZA, La Resistenza italiana: appunti e documenti, Torino, Giappichelli, 1966. 83 S. FRIGERI, Memorialistica partigiana. Il problema della cronologia e la dimensione del ricordo, cit., p. 24.

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azione, che annota i fatti in modo cronachistico. La differenza tra i due testi è evidente. Ecco alcune note dal diario di Quazza:

6 novembre, lunedì Rapporto di brigata: organizzazione delle squadre di pianura per molestare i tedeschi; rimpasto degli organici di banda; epurazione della brigata (gruppo Flack) e istruttoria. Organizzazione di un servizio di polizia per epurare la pianura dalle bande di pseudo partigiani. 7 novembre, martedì In un’operazione di polizia a Orbassano catturiamo 5 delinquentipartigiani, che disonorano il nostro buon nome. I russi mi invitano alla loro festa: affettuosità di brilli. Riordino la banda in seguito all’invio di squadre in pianura: 2 plotoni, 1 squadra guastatori, 1 squadra di pianura (75 uomini).84

Come si può facilmente notare, lo stile di Quazza è tutto fatti, stringato e concreto, tanto da limitare all’essenziale anche la sintassi. La cronologia rispetta la scansione giornaliera: poche e brevi annotazioni, tenute con regolarità, tutti i giorni. Lo stile di Artom, invece, è diametralmente opposto: egli è molto più concentrato sulle proprie riflessioni e reazioni emotive a quel contesto così concreto, per lui del tutto nuovo. Le annotazioni, poi, non ricorrono esattamente giorno dopo giorno. Quando Artom scrive, raggruppa magari le riflessioni di più giorni consecutivi, scrivendo anche intere pagine. Eccone un esempio:

Ho preso il criterio di non parlare mai di politica con gli antipolitici, che si irritano e rispondono in pubblico con uno scetticismo che conturba e avvelena i compagni presenti. Se alla prima conversazione si presentano refrattari in modo assoluto li lascio stare: se mai può darsi che in futuro qualcuno venga a cercarmi spontaneamente. Li guadagno di più portando un carico, segando la legna, facendo una corvée con loro, che con cento discorsi, che me li stancherebbero solo: per amor di polemica, con il gusto di contraddirmi, discutendo si ficcano sempre più in testa le loro idee, come chiodi storti. 85

E ancora:

C’erano anche tre capi comunisti […] attivi, pratici, cordiali, ma fanatici e ignorantissimi. Uno mi chiese se Omero scrisse in greco antico o moderno, l’altro disse che Croce, essendo un grande filosofo, dovrebbe studiare i problemi della criminalità in rapporto alle malattie mentali. Povero Croce, col compito di Lombroso. Inoltre spaventosamente villani: uno sputava sul fieno in cui si doveva dormire, l’altro sonava di continuo la tromba di Barbariccia. Quando andammo a dormire, mi dissero: «tutti voi intellettuali dovreste fare un po’ di questa vita». E io risposi: «Voi avreste bisogno di studiare

84 G.QUAZZA, La Resistenza italiana: appunti e documenti, cit., pp. 219-220. 85 E.ARTOM, Diari di un partigiano ebreo: gennaio 1940-febbraio 1944, cit., p. 146.

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un po’ qualche libro». Come potremo affidare a questa gente il governo dell’Italia? 86

Artom riflette spesso sulla propria estraneità a questo mondo così pratico e concreto. Egli, colto borghese abituato a ben altri agi, si trova a vivere a contatto con persone rozze, poco istruite: il suo disagio è ben espresso in queste pagine di diario. Si vede l’intellettuale di città scoprire il mondo contadino, e adattarsi anche ai lavori più umili:

Vedo che mi calunniavo e mi calunniavano dicendo che mancavo di spirito pratico; in poche settimane da quando ho lasciato l’albergo dell’infermeria, ho fatto grandi progressi. Solo ieri non mi riusciva di accendere i fiammiferi; oggi ho acceso benissimo subito il primo. Oggi Leone rideva ricordando che qualche sera fa andai per attingere l’acqua, ma legai male la secchia, di modo che si sciolse, e tornai a casa dicendo tutto mortificato: «La corda è tornata da sola» – ma ora non mi capiterebbe più. Inoltre ho fatto una scoperta e cioè che se ci si dà da fare nei lavori pratici ci si rende molto più simpatici alla gente, che apprezza anche di più le qualità intellettuali. Se non si sa fare niente, o non se ne ha voglia, i manovali restano molto malignamente soddisfatti.87

Nella gerarchia d’importanza data da Artom alle proprie esperienze, il fatto di aver imparato ad accendere un fiammifero occupa uno dei primi posti, e quindi merita di essere raccontato: per lui è una conquista personale. Il diario di Quazza invece si sofferma sugli eventi bellici, collettivi, sui suoi spostamenti, sulle decisioni da prendere a livello organizzativo; non c’è spazio per i momenti d’introspezione o di riflessione. Oltre alla differenza tematica, tra i due diari è evidente la distanza stilistica: le pagine di Artom sono linguisticamente più elaborate. Il diario rappresenta per lui un momento di pausa dagli eventi bellici e dalla vita di banda, un attimo per sé, per recuperare il contatto con il suo essere intellettuale, che gli eventi hanno obbligato ad accantonare:

Questo diario è molto mal scritto, ma ho pochi minuti al giorno da dedicargli e molte cose concrete da dire. Addio poesia, addio introspezione.»88

86 Ivi, pp. 118-119. 87 Ivi, p. 89. 88 Ivi, p. 139.

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