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Il testo di Luigi Longo. Sovrapposizioni tra storiografia e memoria personale
da considerare, poggiando dalla convinzione che solo chi ha vissuto la Resistenza abbia il diritto di parlarne, e soltanto la sua testimonianza risulti veritiera. Temendo ricostruzioni erronee, gli ex partigiani presentano il loro racconto soggettivo e limitato come un resoconto storicamente impeccabile e oggettivo, poiché non inficiato da interpretazioni o strumentalizzazioni di parte. Per avere una percezione numerica dell’enorme quantità di memorie pubblicate negli anni compresi tra l’immediato dopoguerra e il 1950, basta consultare l’articolo La lotta partigiana in Italia,119 che raccoglie tutte le pubblicazioni di quegli anni: esso occupa quattro fogli di giornale a tre colonne, fitte di titoli. Tra questi figurano ricordi di singoli e anonimi partigiani (Diario di un patriota120), di incarcerati, di attivisti politici e diari di brigata – che raccontano la vita magari di un’intera divisione – accanto a ricostruzioni più oggettive del fenomeno (Caratteri della guerra partigiana in Italia121, Aspetti politici della guerra partigiana in Italia122) che spesso tradiscono una certa partecipazione emotiva dell’autore. Anche le prime ricerche propriamente storiche sulla Resistenza, infatti, sono iniziativa di ex combattenti, e risulta quasi impossibile che, a pochissimi anni di distanza, essi riescano a guardare quei momenti con distacco e freddezza.
Il testo di Luigi Longo. Sovrapposizioni tra storiografia e memoria personale
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Un esempio di questa impossibilità di evitare la partecipazione emotiva – a così poca distanza dai fatti che si vorrebbero analizzare con oggettività – è il volume Un popolo alla macchia di Luigi Longo, uscito nel 1947. Sin dalla dedica si coglie il coinvolgimento sentimentale del’autore:
Questo libro è dedicato ai morti, ai martiri e agli eroi della guerra di liberazione nazionale, alle loro madri, alle loro spose, ai loro figli con il cui nome sulle labbra essi caddero; a quanti oprarono e soffrirono nei luoghi di battaglia, di deportazione e di prigionia, nelle officine e
119 La lotta partigiana in Italia, in “Rassegna bibliografica mensile”, marzo 1950, pp. 24-27. 120 ADRIANA LOCATELLI, Diario di una patriota, Bergamo, Orobiche, 1946. 121 NICOLA DE FEO, Caratteri della guerra partigiana in Italia, Roma, Città Libera, 1945. 122ALESSANDRO GALANTE GARRONE, Aspetti politici della guerra partigiana in Italia¸ Napoli, Macchiaroli, 1946.
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sui campi della patria perché l’Italia fosse di nuovo libera e rispettata nel mondo, madre premurosa di tutti i suoi figli.123
Avendo letto l’articolo di Parri, notiamo subito la somiglianza nello stile e la comunanza dei temi: eroismo, sacrificio, patriottismo. Longo si propone di dare una prima ricognizione della Resistenza italiana, da lui vissuta sin dagli albori. Questa partecipazione attiva, però, gli impedisce di adempiere completamente allo scopo. Nonostante ciò, alcuni meriti vanno riconosciuti al suo sforzo: Longo è il primo a tentare una periodizzazione della Resistenza, e a studiare l’esperienza italiana confrontandola con il resto dell’Europa. Egli inoltre lega la lotta partigiana all’antifascismo clandestino attivo nel ventennio fascista, messo a tacere dal regime. È importante per lui sottolineare la dimensione popolare di questa guerra di popolo che ha saputo unire operai, contadini e gruppi dirigenti in uno sforzo comune:
Quando è nata la Resistenza italiana? La risposta è facile e sicura: essa è nata col fascismo stesso. Fin dal primo giorno, fin dalle prime manifestazioni di violenza delle camice nere, violenza organizzata e armata contro il popolo, il popolo si è levato alla difesa, alla resistenza e alla lotta. Fin dal primo giorno, la resistenza popolare fu la difesa non solo di semplici interessi di parte, ma della libertà, del progresso e della dignità umana, e, per ciò stesso, dei più vitali ed essenziali interessi nazionali.124
Longo descrive gli atti del regime contro la dissidenza antifascista, l’esilio dei primi avversari, il loro lavoro di propaganda clandestina e i contributi all’estero, per esempio nella Guerra di Spagna, a cui lui stesso ha preso parte. In seguito, l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’incapacità italiana di ribellarsi alle decisioni di Mussolini, i più tenaci antifascisti messi a tacere al confino: essi però da Ponza, da Ventotene continuano la lotta clandestina. Longo vede come primo successo dell’opera antifascista gli scioperi del marzo ’42 avvenuti nel Nord Italia, che a suo avviso, indeboliscono il regime. Dopo il 25 luglio gli antifascisti escono dalla clandestinità, ma l’insicurezza del re e gli «inauditi provvedimenti presi dal Governo semifascista di Badoglio»125 impediscono di organizzare l’esercito italiano contro l’avanzata tedesca, che, secondo Longo, le forze militari italiane sarebbero state in grado di fermare. Il governo preferisce abbandonare L’Italia centro-settentrionale
123 LUIGI LONGO, Un popolo alla macchia, Verona, Mondadori, 1947, p. 7. 124 Ivi, p. 11. 125 Ivi, p. 48
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all’avanzata tedesca e lasciare tutto in mano agli Alleati, dopo aver firmato l’armistizio. Ecco che la Resistenza scende sul serio in campo:
Da quel momento, dal pomeriggio del’8 settembre, comincia apertamente la marcia del riscatto vittorioso del popolo italiano: dal popolo minuto che con le sue stesse mani costruirà, pietra su pietra, il proprio avvenire. Abbandonato, tradito, odiato e combattuto, esso esprimerà dal suo seno comandanti geniali, organizzatori capaci, uomini politici che si porranno interamente al servizio della Patria, e che, dal nulla e dal disastro, sapranno fabbricare un esercito nuovo, audace e vittorioso: l’esercito della liberazione nazionale.126
Dopo questa parte introduttiva, Longo descrive l’organizzazione vera del movimento partigiano, la sistemazione in montagna, la creazione delle rete di bande, che copre capillarmente il territorio italiano occupato, i primi scontri. Il paese risponde con un grande afflusso di giovani e un continuo susseguirsi di scioperi e resistenze nelle città nei confronti dell’esercito tedesco lì insediatosi. La guerriglia partigiana inizia ad ottenere i primi successi, ma il nemico risponde con altrettanta forza, e con l’arma del rastrellamento. Per rafforzarsi, il partigianato si dota di un Comando Unico, diventando così un’unica organizzazione armata, con un centro coordinatore. La realizzazione del Comando Unico è per Longo una tappa molto importante:
Tutti i combattenti per la libertà e l’indipendenza della patria si sentivano veramente come soldati di un esercito solo, uniti per la vita e per la morte un in blocco che doveva schiacciare il nazifascismo.127
L’autunno del 1944 è la stagione della grande offensiva partigiana: in ogni regione le formazioni partigiane sferrano attacchi ai comandi nazifascisti. Longo racconta con toni enfatici alcuni esempi di eroismo e coraggio, come la «bella prova di freddezza e di fermezza»128 del partigiano “Gaio”. Il clima di lotta continua fino al proclama Alexander, che intima ai partigiani di tornare nelle loro case. Longo descrive la reazione del partigianato:
La risposta la dettero, immediata, tutti i distaccamenti, le brigate, le divisioni, che in quei giorni intensificarono la lotta. La risposta la dettero tutti gli eroi che caddero nei grandi, furibondi rastrellamenti dell’inverno. La dette tutto il popolo, organizzando in tutta l’Italia occupata la «Settimana del partigiano» o scendendo sulle piazze a lottare contro la fame, contro il freddo, contro il terrore. La dettero i comandi periferici che respinsero con sdegno le proposte nemiche di
126 Ivi, p. 53. 127 Ivi, p. 215. 128 Ivi, p. 311.
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tregua e ordinarono d’attaccare. E la dette su mia proposta il Comando Generale del CVL, con una circolare che, formalmente, era di interpretazione, ma sostanzialmente di rettifica del messaggio di Alexander.129
Longo parla poi del grande sostegno popolare durante il durissimo inverno a cavallo tra il ’44 e il ‘45, l’importante contributo femminile delle staffette partigiane, fino alla primavera del ’45 e alla grande insurrezione, alla liberazione delle città più importanti, sostenute da scioperi e agitazioni popolari. E la conclusione è elogio retorico dei combattenti, ricordo dei caduti e già monito enfatico rivolto alle generazioni future:
Ora la guerra è terminata, la vittoria ha arriso all’eroismo e al sacrificio dei nostri combattenti; i nostri morti e i nostri martiri giacciono nella terra della Patria tornata libera. Essi chiedono ai compagni di lotta sopravvissuti, agli italiani cui il loro sacrificio ha ridato libertà e dignità di cittadini, di non frustare il loro sacrificio, di restare fedeli agli ideali per cui assieme si combatté e si soffrì, di continuare per la strada aperta dal loro eroismo e dal loro sacrificio e al cui termine essi videro, morendo, un’Italia unita e rinnovata nella libertà e nel lavoro, non matrigna, ma madre amorosa e premurosa di tutti i suoi figli. Sappiamo ricordare sempre questa consegna; sappiamo realizzare questo testamento dei nostri morti: eleveremo così il miglior monumento alla loro gloria e alla loro memoria!130
La ricostruzione storica che Longo propone si fonda sui ricordi ancora freschi e sullo spoglio dell’archivio delle Brigate Garibaldi, quindi su una documentazione scritta; il volume è infatti corredato da tutta una serie di documenti ufficiali, tabelle e statistiche che rendono conto del fenomeno partigiano nel suo insieme. La partecipazione diretta ai fatti – Longo era vicecomandante del Corpo Volontari della Libertà – non lascia scampo al coinvolgimento emotivo e impedisce all’autore di vedere anche gli aspetti negativi del movimento resistenziale. Per fare un esempio, il progetto del Comando Unico si rivela un completo fallimento, ma Longo evita completamente di parlarne. È forse per questa eccessiva partecipazione sentimentale che Battaglia considera lo scritto di Longo come un testo di memoria. Un popolo alla macchia, infatti, rientra in quella che lo studioso definisce la «triade conclusiva» della prima ondata di memorie: essa comprende anche La riscossa di Cadorna, definita «opera svolta in forma di diario o in prima persona»,131 e Una lotta nel suo corso
129 Ivi, p. 333. 130 Ivi, p. 452. 131 R.BATTAGLIA, La storiografia della Resistenza, cit., p. 90.
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