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Gianni Dolino
pubblico giovanile, da un lato si può collocare Lavagna, a rappresentare gli ex partigiani che, ancora delusi dai risultati della Resistenza, e disillusi sulle possibilità dell’avvenire, guardano al passato con rimpianto. All’opposto, i memorialisti comunisti, i quali – dopo aver affrontato i difficili anni ’50 e aver superato la politica di contrasto a sinistra della Dc – sono convinti che il progetto resistenziale, inscindibile dalla lotta di classe, sia ancora attuabile se trasferito sulle spalle delle giovani promesse.
Gianni Dolino
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Se la virtù sta nel mezzo, ecco anche un ex partigiano, scrittore di memoria, le cui conclusioni possono essere collocate a metà strada tra queste due posizioni estremistiche: si tratta di Gianni Dolino. Di famiglia antifascista, Dolino ha aderito alla Resistenza come partigiano nelle Valli di Lanzo, commissario della seconda divisione Garibaldi; in seguito è stato attivo nella politica torinese, come assessore all’istruzione e al lavoro, e in Parlamento, come deputato di Rifondazione Comunista. La descrizione dell’esperienza partigiana che lui tenta in Partigiani in Val di Lanzo non è offuscata dall’appartenenza politica: questo perché Dolino ricostruisce i fatti a cui ha preso parte sulla base di testimonianze altrui, di interviste. Il testo si fonda su un lavoro di ricerca storico-scientifica, come l’autore spiega nella prefazione:
Ora, dunque, da testimone d’un tempo. Dopo quarant’anni, però, tramontati i miti, i ricordi più vivi sfumano in leggenda, e il narrare può trasformarsi in favoleggiare. Non così. Alla memoria accompagno: 1. Le cronache immediate, desunte da diari o da note sparse dei vari protagonisti […] 2. Il lavoro di ricerca per due tesi di laurea […] 3. I ricordi-sollecitazione di Piero Carmagnola e di Matelda e Beatrice Chiesa […]. E a conclusione, l’elenco di coloro che «ricordiamo con nomi giovani»: semplici nomi di tutt’Italia, anzi d’Europa.282
In questo caso si deve sottolineare che il testo ha come scopo la ricostruzione storica e impersonale dei fatti; non è quindi, un testo di memoria personale. Solo nella prefazione, Dolino parla in prima persona della propria esperienza, e rende espliciti i motivi che l’hanno spinto a scriverne; qui ritorna il riferimento ai giovani, al clima socio-politico contemporaneo. L’autore ricorda
282 GIANNI DOLINO, Partigiani in Val di Lanzo, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 4-5.
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con una certa nostalgia quegli anni di lotta, ma nel riviverli attraverso il racconto, non cerca di riattualizzarli agli occhi della nuova generazione. Egli scrive infatti:
Quell’8 settembre non fu Quarto di Genova, ma, giovanissimi, lo vivemmo come tale. Quel 25 aprile ’45, soprattutto, non fu Teano: non conquistammo, infatti, ma riscattammo un Paese; non iniziammo la Storia dell’Italia unita, ma le restituimmo dignità di popolo, con gl’Istituti della democrazia riconquistati e rinnovati. Una patria, insomma, che sentiamo appartenerci, avendo deciso «nelle ore solenni della vita, in libertà e per la libertà» […]. È stata la stagione più bella di quest’antica nostra terra di passioni civiche e di bandiere, di viltà e di grandi fermenti sociali. Ma ogni generazione vuole vivere la propria storia, non decifrare e fare tesoro di storie passate. Nessuno: singolo o gruppo. Rimane il ricordo: così è, così sia: poiché se è vero che il fosso che divide le generazioni esiste in ogni epoca, è altrettanto vero che «sui suoi margini crescono i fiori dei buoni sentimenti».283
Gianni Dolino si riferisce alla Resistenza come ad una fase storica
importantissima per la nascita della democrazia in Italia: personalmente, dice di averla vissuta come una grande avventura giovanile, intrisa di valori e di ideali in cui i partigiani, giovani come lui, credevano. L’autore è ben cosciente che la guerra partigiana non può essere sentita e rivissuta ora come allora: le situazioni sono completamente diverse. Di fronte ad una nuova crisi socio-politica, di fronte al ritorno delle violenze di destra, del terrorismo, altri giovani ora dovranno rispondere, con armi diverse da quelle della lotta partigiana. Della Resistenza si dovrà sempre coltivare la memoria – scrivendo e raccontando di essa – ma senza avanzare la proposta di un “ritorno alle armi”. Se quei valori, quegli ideali sono ancora validi, allora saranno i giovani, autonomamente e spontaneamente, ad attingervi e a rivalutarli: solo così il recupero di essi sarà fruttuoso. È chiara la differenza tra la posizione ragionata di Dolino e le idee di Vaia, più proiettato verso la possibilità di una nuova insurrezione socialista simil-partigiana. In conclusione, il clima socio-politico in subbuglio degli anni ’60 e ’70 è uno stimolo per gli ex partigiani: essi riprendono a scrivere testi di memoria rivolgendosi ad un nuovo destinatario ‒ studenti o classe operaia ‒ che giudicano attivo e abbastanza maturo per caricare su di sé l’eredità del passato. I testi di memoria di questi anni quindi ripropongono i valori resistenziali come positivi, attuali e applicabili ancora ad un presente che indietreggia.
283 Ivi, pp. 3-4.
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