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Le reazioni degli ex partigiani
visione innovativa della Resistenza con la teoria della tripla guerra: civile, patriottica e di classe. Il suo monumentale saggio, che si sostiene su una ricerca approfondita condotta sulle fonti documentarie, ha provocato non poche reazioni anche tra gli storici di sinistra. Ma, se una teoria è elaborata sulla base di una documentazione valida e fondata – e soprattutto contribuisce ad arricchire la conoscenza storica con nuovi apporti – sia la benvenuta. Le teorie revisioniste, invece, non portano nulla di nuovo: sono opinioni, elaborate su fonti di parte. De Luna ribadisce che non è sbagliato, in sé, studiare la parte avversa, dando voce a protagonisti della storia che fino ad ora hanno avuto poco spazio. È necessario, però, che questi approfondimenti non diventino materiale destinato ad un uso propagandistico: il mondo della politica non deve, in sostanza, sfruttare il dibattito storiografico per dirigere l’elettorato verso una parte politica piuttosto che un’altra.
L’uso strumentale della storia non è mai stata prerogativa unica di destra piuttosto che di sinistra; per fare solo un esempio, tanto Hitler quanto Stalin avevano avviato una politica di riscrittura della storia. A tutt’oggi in Italia ci sono studiosi301 convinti persino che tutta la storiografia italiana sia sempre stata monopolio di storici comunisti, che l’hanno scritta a loro piacimento tralasciandone i particolari fastidiosi. Qui, ad ogni modo, non si discute di ragione o di torto. Ho ricordato il dibattito revisionista in modo da abbozzare un panorama delle discussioni relative ai temi resistenziali negli anni ’90 poiché sarà utile per capire il risveglio degli ex partigiani memorialisti.
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Le reazioni degli ex partigiani
In conclusione, il revisionismo tocca il tema resistenziale nell’ambito del giudizio di valore su partigiani e repubblichini. Per fare ciò, si avviano ricerche sia sulla buona fede dei repubblichini, sia sulle malefatte partigiane. Lo scopo è dimostrare che anche i “ragazzi di Salò” combattevano inseguendo un ideale di patria – l’Italia fascista – per il quale hanno messo in gioco la vita; proprio come i partigiani, anche se questi si sacrificavano
301 Per un approfondimento sul tema del revisionismo di sinistra, vedi PAOLO MIELI, Storia e politica: Risorgimento fascismo e comunismo, Milano, Rizzoli, 2001.
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per ben altri motivi. Anche qui, non è il caso di entrare nella discussione, cercando di stabilire dove stanno torto e ragione. Si può immaginare quale impatto possano aver avuto tesi di questo genere sugli ex partigiani ancora vivi: le loro reazioni sono, ovviamente, forti. Giorgio Bocca, per citare un esempio tra i tanti, interviene dalle pagine di “La Repubblica” contro le teorie revisioniste di Ernesto Galli della Loggia. Galli della Loggia sostiene la tesi della “morte della patria”. Secondo lui l’incerto sentimento patriottico italiano, formatosi durante il fascismo, si sarebbe dissolto con l’8 settembre, per non risorgere mai più, dopo quella data. Contro quest’idea, Bocca scrive:
Il fascismo, la guerra, la sconfitta, l'occupazione nazista, la volontà di esistere come nazione, come paese civile con la Resistenza, non sono giudicabili da chi li visse e soffrì di persona […]. No, pare che chi possa giudicarne sia solo uno storico revisionista come Ernesto Galli della Loggia […]. È quasi mezzo secolo che cerco di spiegare, al mio collega Montanelli, che la guerra partigiana ci fu, e coinvolse milioni di italiani, e ai revisionisti che fu una guerra di popolo e non solo una congiura comunista. Queste sono cose che sa benissimo chi alla guerra partigiana prese parte e che finge di ignorare chi ne discute solo ora, nella vigilia elettorale in cui pare si debba sostenere che i comunisti erano degli antipatria e i partigiani di altro colore degli utili idioti […]. Comunque sono rassegnato, non riuscirò mai a convincere il professor Galli della Loggia che – in quell'otto settembre del '43 in cui salivamo in montagna – l'idea di Patria non solo era viva ma l'unica esistente, nella nostra testa di ragazzi usciti dalla dittatura: l'idea che la Patria era viva come non mai, tanto che ci convinceva a iniziare una guerra impari, una guerra senza prigionieri. 302
Le teorie di Galli della Loggia sono state oggetto di un grosso dibattito, che ha coinvolto anche il mondo della politica. In La morte della patria egli infatti mette in crisi uno dei dogmi su cui si è sempre retta la storia dell’Italia repubblicana, cioè l’idea che la democrazia italiana sia sorta grazie alla spinta vitale della Resistenza, che ha risvegliato gli animi degli italiani e li ha uniti nella lotta contro l’invasore, per un paese democratico. Gli ideali resistenziali dopo la Liberazione sarebbero confluiti nella Costituzione, che ora li rappresenta. Secondo Galli della Loggia, invece, solo il regime fascista aveva saputo infondere una sorta di spirito patriottico, che nei secoli precedenti il popolo italiano – sempre preda di potenze straniere e frammezzato in molteplici stati – non ha mai avuto. Con la caduta del regime fascista, la vergogna della monarchia e la disfatta
302 GIORGIO BOCCA, Quell’ideale che ci portò in montagna, in “La Repubblica”, 5 marzo 2001, pp. 1 e 13.
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dell’esercito gli Italiani hanno perso quel tipo di patriottismo e di fiducia nelle istituzioni. Ecco perché parlare di “morte della patria”. In queste teorie Bocca vede espliciti legami con la situazione politica contemporanea, che vira sempre più a destra:
Scrivere saggi revisionisti sulla guerra partigiana, inventata dai comunisti, gonfiata dalla falsa storia paracomunista – diciamo: la storia di una minoranza di mezzi delinquenti che, come si legge nelle ultime sensazionali rivelazioni, pubblicate con risalto anche da giornali che si definiscono antifascisti e democratici – altro non era che una cospirazione agli ordini di Mosca, e scriverlo in una vigilia elettorale in cui l'anticomunismo più beota viene usato a piene mani, per giustificare il possibile ritorno al governo dei fascisti, non ci sembra una onesta revisione della storia, ma il solito salto sul carro del possibile vincitore.303
Effettivamente, le forze al governo non riservano un trattamento di particolare rispetto nei confronti della Resistenza. Al contrario, sembrano quasi disprezzarla, trattandola – nei dibattiti televisivi, nelle interviste oppure nelle commemorazioni – con sufficienza; addirittura, rendendola oggetto di scherno. Nicola Tranfaglia descrive questi comportamenti, vedendoli come un tutt’uno con l’atteggiamento revisionista di alcuni storici:
Il negazionismo revisionista si è sviluppato con particolare virulenza nel nostro paese subito dopo la creazione della democrazia repubblicana nel 1946 accanto all’ingresso in parlamento degli eredi del fascismo di Salò che fondarono il Movimento Sociale Italiano ma ha assunto una singolare accelerazione negli anni Ottanta e Novanta del Novecento […]. Questo tipo di revisionismo che più correttamente dobbiamo definire, come ho già detto, negazionismo o pura propaganda politica e ideologica ha molta fortuna nell’Italia governata da Silvio Berlusconi che non a caso ha ritenuto, il 25 aprile scorso, di non partecipare a nessuna delle manifestazioni pubbliche indette per commemorare la Resistenza e si è limitato a inviare un messaggio che ricorda un solo resistente, Edgardo Sogno, che combattette (sic) valorosamente nei venti mesi di guerra sul nostro territorio ma che nel 1974, come egli stesso ha testimoniato prima di morire, tentò un colpo di Stato contro la costituzione e la legalità repubblicana. Commise cioè un reato gravissimo per le nostre leggi che avrebbero potuto, se provato, farlo condannare all’ergastolo dai nostri giudici. Difficilmente un presidente del Consiglio avrebbe potuto dare un peggiore messaggio alle vecchie generazioni che hanno vissuto o partecipato alla Resistenza e alle nuove che attendono dai loro padri di sentire con quali lotte e quali sofferenze i partigiani e tutti i loro alleati, le donne, il clero, i resistenti civili, contribuirono a sconfiggere la barbarie nazista e fascista e a porre le basi per la repubblica democratica.304
303 Ibid. 304 NICOLA TRANFAGLIA, Quelli che negano la storia, in “L’Unità”, 27 aprile 2002, pp. 1 e 30. 183
È soprattutto il comportamento sprezzante nei confronti della Resistenza ostentato dai politici al potere che – molto più delle teorie revisioniste – irrita gli ex partigiani. Le uscite imbarazzanti degli esponenti del governo italiano sono frutto di ignoranza, però rimbalzano da Nord a Sud grazie ai media e all’informazione di massa, andando a colpire e influenzare inconsciamente l’immaginario collettivo. Angelo Del Boca – nella già citata introduzione all’edizione del 2006 di La scelta – così descrive la situazione contemporanea:
Oggi, a quarantasei anni dal tentato golpe di Tambroni, la situazione, per chi ha a cuore il rispetto delle istituzioni democratiche, presenta aspetti ancora più inquietanti. Per cominciare, i neofascisti, sdoganati nel 1994 da Silvio Berlusconi, sono oggi al potere, e insieme alle altre eterogenee forze della Casa delle libertà hanno assestato, negli ultimi cinque anni di malgoverno, colpi durissimi all’economia del paese, alla sua immagine all’estero, ai pilastri della giustizia, alla stessa costituzione, nata dalla guerra di liberazione. Il tentativo di oscurare la Resistenza, di ridurla a un semplice e labile mito, è stato portato avanti con una campagna di un’ampiezza sinora mai vista. Per ben due volte, nel 2003 e nel 2005 un gruppo di parlamentari di Alleanza nazionale cercava di far approvare una legge che cancellasse ogni distinzione fra quanti hanno combattuto il nazifascismo e i militi di Salò […]. Si va dal progetto della maggioranza di centrodestra di varare una festa anti 25 aprile, ad attribuire all’attività di guerriglia dei partigiani la responsabilità delle stragi naziste; dal tentativo di Berlusconi di assolvere Mussolini precisando «che non ha mai ucciso nessuno» mentre gli oppositori li mandava «in vacanza» al confino alla gara tra pseudo storici nell’enfatizzare le stragi compiute dai partigiani nell’immediato dopoguerra.305
A questo punto il quadro generale relativo agli anni ’90 è ben chiaro: revisionismi di destra su tematiche ritenute basilari per la fondazione della democrazia italiana, sfruttamento mediatico di questi dibattiti, amplificati e semplificati per un pubblico non specializzato, che ne è inconsciamente influenzato. Si aggiunga lo sfruttamento propagandistico che la nuova destra giunta agli organi di governo opera su queste nuove tesi – giuste o sbagliate che siano – con l’unico scopo di indebolire indirettamente le sinistre, giustificare i movimenti neofascisti, che portano sempre voti in più, e attirare l’elettorato ancora indeciso. Tutto ciò, a spese della storia della Resistenza, o meglio, della percezione di essa come fondamento dello Stato democratico:
Non posso nascondere il mio stupore per un' Italia che rifiuta di capire che la Resistenza è stata il ponte fra il fascismo e la democrazia, quella che ha pagato il biglietto di ritorno alla democrazia, senza la quale saremmo rimasti all'indecente voltafaccia del 25 luglio del '43:
305 ANGELO DEL BOCA, La scelta, cit. (ed. 2006), pp. 29-30.
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