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Dalla Russia ai Berici
Dalla Russia ai Berici
Un esempio è lo scritto di Curzio Tridenti.316 Tridenti – soldato dell’ARMIR e partigiano sui colli Berici – narra in Dalla Russia ai Berici la propria esperienza come militare in Russia, il ritorno e il contributo partigiano. Nell’introduzione si trovano espresse le motivazioni che hanno spinto l’autore al racconto:
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Varie sono le ragioni che, a distanza di anni, mi hanno indotto a raccogliere queste note: anzitutto il tempo libero dovuto al pensionamento; il ritrovamento di lettere, di vecchie fotografie, di carte lasciate a lungo nei cassetti; il desiderio di lasciare una testimonianza, una voce che si unisse a quella di tanti amici, come un piccolo tassello di un mosaico; infine, l’intenzione di raccontare ai figli e ai nipoti quei giorni. Intenzione dovuta all’età: ma è voglia di non morire, tentativo di ricomporre la propria vita, di coglierne l’interezza e di chiarirla.317
Tridenti scrive, quindi, per soddisfare l’esigenza di raccontare ai nipoti, lasciare la propria testimonianza; ma soprattutto per la «voglia di non morire». Il desiderio di rimanere anche dopo la morte – bisogno di ogni essere umano – emerge fortemente dalle sue parole. Giunto al traguardo della propria vita, Tridenti volge lo sguardo indietro al percorso compiuto. I due momenti che brillano per importanza sono la guerra di Russia e l’esperienza partigiana. Segno che, per l’autore, sono state tappe di maturazione fondamentali:
Il viaggio dai Berici al fronte del Don, con ciò che ne seguì, non fu soltanto un percorso bellico, di sacrifici compiuti per la patria come ci avevano insegnato. Fu soprattutto, in me e in molti altri, l’inizio di una sofferta maturazione che provocò un radicale mutamento interiore, una volontà di riscatto. Sono partito con il bagaglio educativo del tempo, colmo di grandiosi sogni di conquista e di gloria, fondato sulla retorica militare, sui miti della forza, del coraggio, stravolti nell’esaltazione dell’”odio al nemico” e della “bella morte” per servire un assurdo disegno di grandezza: e sono stato buttato all’inferno. E lì, convinzioni giovanili e falsi valori sono crollati lasciando emergere un prepotente bisogno di giustizia, di verità e di libertà. Sono diventato ribelle. Dolorosamente, contro ogni ipocrisia, ogni violenza, specialmente se inutile e ingiusta, ho capito che noi eravamo stati ingannati. Con tutto me stesso amai la vita. Per vivere dovevo
316 Curzio Tridenti è nato a Novafeltria, nel 1921. Trascorsa l’infanzia a Vicenza, è impiegato al catasto quando viene convocato per il servizio militare. Partecipa alla guerra di Russia e successivamente alla Resistenza. Dopo la Liberazione, si trasferisce in Venezuela. Tornato a Padova, è commerciante nell’editoria scolastica. 317 CURZIO TRIDENTI, Dalla Russia ai Colli Berici: memorie 1942-1945, con introd. Di Mario Rigoni Stern e Ettore Gallo, Verona, CIERRE, 1994, p. 15.
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combattere e resistere. Volevo tornare a lavorare, a costruire su altre basi il futuro.318
Nella percezione di Tridenti, il passaggio dal fronte russo al partigianato equivale al ritorno alla vita, dopo la fase dei vuoti ideali fascisti. Solo constatando sulla propria pelle le esperienze dolorose del fronte egli si rende conto della vacuità dei progetti del regime. Anche Tridenti, quindi, fa parte della “generazione tradita”. Come i molti Lajolo e Del Boca, illuso per anni dalle promesse mussoliniane, solo nel momento più critico dell’8 settembre comprende quale è la “parte giusta”. Vestendo i panni del partigiano, egli recupera una dimensione sconosciuta del suo essere. Da ribelle il protagonista sente di combattere consapevolmente per la propria vita, per il proprio futuro di uomo libero. La Resistenza diventa quindi un percorso personale di passaggio dalla sottomissione alla libertà. Non si tratta di una libertà assoluta: è la liberazione
dalle imposizioni della dittatura, ma obbliga ogni giovane come lui – prima guidato dal regime in ogni momento della propria vita – a prendere coscienza di sé, delle proprie responsabilità personali, e a costruirsi i propri valori. Il testo di Tridenti ribadisce spesso la dimensione “educativa” del partigianato. Termini come «imparavamo», «osservavo» sono ricorrenti nel testo. Ciò dà l’impressione che si stia leggendo un romanzo di formazione. Oltre a ricostruire la canonica narrazione della guerra partigiana – con i suoi combattimenti, le marce, il freddo, le preoccupazioni materiali, i rapporti con la popolazione – Tridenti si preoccupa di mettere in rilievo anche la dimensione “pedagogica” del partigianato, e gli effetti di queste nuove esperienze sul gruppo di giovani di cui fa parte:
La nostra maturazione, cominciata nella sofferenza dei fronti, doveva ancora svilupparsi nel confronto delle idee, nella lettura della realtà liberata dalla propaganda e dalle menzogne a cui eravamo stati abituati. Anche il concetto di patria, che emergeva nei discorsi, era piuttosto scolastico e riduttivo; conservava il romanticismo del Risorgimento, la retorica della “cultura fascista”. Ma per la patria, che era la nostra terra, ci dichiaravamo pronti a morire. Si viveva in uno stato emotivo in cui odio e amore correvano e s’intrecciavano sui fili di una continua tensione. La nostra amicizia ci riempiva di gioia ed era vitale, ci aiutava a misurarci, a crescere. Avevamo capito che la dittatura portava ad errori mortali. Le sere d’estate erano belle a Sanfise ed erano un dono quando potevamo prolungarle, fino a notte
318 Ivi, pp. 15-16.
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inoltrata, tra grandi discorsi, intensi silenzi e canti al suono della fisarmonica di Nettuno o di Bill.319
Tutta l’esperienza resistenziale è rivissuta da Tridenti nell’ottica di questo percorso di maturazione: egli legge ogni evento individuandone le conseguenze nel carattere suo e dei compagni. Per questo il suo interesse si concentra poco sugli eventi bellici di altre zone; vi accenna soltanto, senza indugiare su eroismi e azioni leggendarie. Anche la dimensione ideologico-politica è pressoché assente. La mancanza di questi elementi nel testo di memoria è frutto di una scelta precisa. Il percorso di crescita che Tridenti vuole raccontare non porta come risultato ad una presa di coscienza politica; si tratta di una maturazione dell’individuo nella sua globalità. Accennare tematiche politico-ideologiche sarebbe stato inutile nel percorso narrativo perché per la crescita del protagonista non sono state importanti. L’apparente apoliticità del testo non deve far pensare che l’autore non sia attento alle dinamiche socio-politiche attive in Italia nel momento in cui decide di scrivere. Negli anni, egli ha seguito tutta la storia dell’Italia repubblicana. In particolare, è a conoscenza anche del dibattito revisionista degli anni ’90:
La memoria storica della Resistenza ha subito, negli anni che sono succeduti, vicende alterne e contrastanti, tra esaltazioni e complici silenzi, tra indebite appropriazioni e strumentalizzazioni di comodo, tra attacchi, demolizioni e celebrazioni che l’hanno imbalsamata nelle biblioteche e nei musei. Guardando a quel tempo, ancor oggi sono intimamente contento che gli eventi mi abbiano portato ad essere un “ribelle per amore”, come dice Olivelli. Ma lo sono stato anche per rabbia contro la stupidità e contro la follia distruttiva di chi ci governava. 320
Si vede in questo stralcio finale un riferimento alla contemporaneità; segno che, ad ogni modo, Tridenti ha prestato attenzione al dibattito in cui l’immagine pubblica della Resistenza è stata coinvolta. Questo è però solo un accenno posto alla fine del testo, che non ha motivato la decisione di scrivere. Il testo di Tridenti nasce da un’esigenza personale, dal bisogno di lasciare qualcosa di sé che possa resistere al tempo, e insieme cercare un filo conduttore nel proprio percorso di formazione. Tutta l’esperienza resistenziale viene sbobinata e descritta senza uscire da questa dimensione soggettiva e personale di partenza.
319 Ivi, p. 116. 320 Ivi, p. 157.
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